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c Visioni, sogni e medicine powers

le indiane d'America si raccontano

III. c Visioni, sogni e medicine powers

Il lucido rispetto mostrato da Linderman nei confronti degli “old Indians”, delle loro tradizioni, delle loro credenze spirituali e i suoi continui sforzi per aiutare le popolazioni indigene nordorientali fanno maturare negli storytellers la fiducia necessaria per raccontargli i loro medicine-dreams.

In maniera molto puntuale Linderman spiega mediante le sue interpolations, prima di trascrivere i racconti personali di Pretty-shield e Plenty-coups, in cosa consistono i sogni e le visioni, la sofferenza necessaria affinché l’individuo possa avere la “chiamata” e l’importanza del ruolo ricoperto da queste persone riconosciute come “wise-ones” — i saggi, persone dotate di poteri curativi, profetici e naturalmente di saggezza — e altamente rispettate all’interno della società tribale:

“The Indians of the Northwest are great believers in dreams. They starve and torture themselves in preparation for “medicine-dreams”and[...] appealing to “helpers.” [...] “Their resulting dreams are weird and often terrifying, though sometimes wonderfully prophetic of the future.” (Plenty-coups, 28; enfasi mia)

Plenty-coups deve digiunare e soffrire invano e a lungo prima di ottenere, all’età di nove anni, la visita di una Person che giunge per condurlo in un

“sacred lodge” all’interno del quale gli viene detto di possedere già i poteri per essere un grande capo, deve soltanto imparare ad usarli in maniera appropriata:

“‘He will be a Chief.’[...] He already possesses the power to become great if he will use it.

Let him cultivate his senses, let him use the powers which Ah-badt-dadt-deah has given him, and will go far.” (Plenty-coups, 42)

Quando al mattino al suo risveglio Plenty-coups riflette sulle parole che gli sono state dette riconosce sé stesso: “I had a will and I would use it, make it work for me. [...] I knew myself now.” (Plenty-coups, 44)

Il medicine-dream di Plenty coups è un viaggio nella self-knowledge, è un breve ma intenso — e soprattutto molto atteso — momento di autoriconoscimento e self-knowledge.

All’età di dieci anni, inoltre, Plenty-coups è protagonista del “great medicine dream” che gli conferisce saggezza e il “protective power” del chickadee, piccolo uccello dai grandi poteri:

“ ‘[...] the Chickadee. He is least in strenght but strongest of mind among his kind. [...]

never misses a chance to learn from others. He gains success and avoids failure by learning how others succeded or failed, and without great trouble to himself. [...] Develop your body, but do not neglect your mind, Plenty-coups. It is the mind that leads a man to power, not strenght of body.’” (Plenty-coups, 66-67)

Gli anziani della tribù spiegano a Plenty-coups che il suo sogno profetizza che nel corso della sua esistenza “the buffalo will go away forever” e, pertanto, un giorno sarà costretto a vivere “differently”. (Plenty-coups, 73-74)

L’indiano riceve la profezia riguardante la sua intera esistenza e la visione lo prepara a organizzare la propria vita rendendo comprensibile e accettabile l’esperienza del periodo di transizione successivo allo sterminio del buffalo.89 Il piccolo potente chickadee è presente anche nel racconto di Pretty-shield

— tutte le tribù delle pianure ne hanno grande rispetto — quando narra a Linderman il “tribal myth” secondo il quale i Crow stabiliscono in quale mese invernale si trovano contando le lingue dell’uccello; quest’ultimo, infatti, in

89 A. Krupat, ed. by, Native American Autobiography, An Anthology, The University of Wisconsin Press, 1994; pag. 242;

autunno ha soltanto una lingua mentre con l’avvicinarsi della stagione primaverile il numero delle lingue diventa sette.

Pretty-shield conferma che il chickadee è “big medicine” e che bisogna essere riverenti verso tale uccello nella conclusione della storia a proposito della visione di sua nonna e dei poteri a lei conferiti: “It is bad to harm the chickadee, and foolish not to listen to him,” she finished, emphatically.”

(Pretty-shield, 160)

Linderman è particolarmente abile e astuto nell’aspettare finché il momento opportuno gli consenta di porre a Pretty-shield una domanda al fine di dedurre un’altra storia. Simile strategia è adottata nel caso specifico della storia riguardante il chickadee e la visione della nonna dell’indiana. L’editore-amanuense coglie immediatamente l’occasione per chiedere alla donna Crow:

“Now tell me your medicine-dream.” (Pretty-shield, 165; enfasi mia)

Il racconto che Pretty-shield fornisce del proprio medicine-dream è estremamente breve — soprattutto se paragonato a quello di Plenty-coups — ma intenso ed essenziale.

Pretty-shield ha perso una bellissima figlia molto piccola e, per oltre “two moons”, continua a lamentarsi, a piangere per il proprio lutto, nutrendosi soltando per quel poco che le basti a restare ancora in vita e “hoping for a medicine-dream, a vision, that would help me to live and to help others.”

(Pretty-shield, 165; enfasi mia)

Un mattino, mentre fa ritorno al suo “lodge”, dopo aver trascorso la notte

“on a high cliff”, vede una donna precederla nel cammino verso il proprio alloggio; Pretty-shield afferma: “I saw that she was not a real woman, but that she was a Person [apparition], and that she was standing beside an ant hill.”

(Pretty-shield, 166)

La donna-spirito fa cenno a Pretty-shield di avvicinarsi chiamandola figlia e di esprimere i suoi desideri:

“‘Rake up the edges of this ant hill and ask for the things you wish, daughter,’ The Person said; and then she was gone. Only the ant hill was there; and a wind was blowing. I saw the grass tremble, as I was trembling, when I raked up the edges of the ant hill, as the Person had told me. Then I made my wish, ‘Give me good luck, and a good life,’ I said aloud, looking at the hills.” (Pretty-shield, 166; enfasi mia)

La visione, infine, le consente di entrare in un confortevole e bellissimo

“white lodge” con una “war-eagle” che non le parla ma sarà sempre presente nella sua vita.

Gli “ant-people” conferiscono, dunque, a Pretty-shield “wisdom” e

“medicine-power”, qualità che la guideranno e l’aiuteranno durante la propria esistenza; ogni qual volta si presenti il bisogno di avere un’aiuto basta rivolgersi a loro e, ascoltando i consigli che le formiche sono in grado di offrire, è possibile risolvere le situazioni difficili: “And even now the ants help me. I listen to them always. They are my medicine, these busy, powerful little people, the ants.” (Pretty-shield, 166)

L’autobiografia di Pretty-shield presenta un aspetto molto interessante che è, a mio parere, opportuno mettere in luce in quanto accomuna il testo alle altre

“indian women’s autobiographies”, differenziando al tempo stesso la personalità di Pretty-shield da quella di Plenty-coups.

Pretty-shield parla “irriverentemente” dei morti nell’intenzione di fornire a Linderman un racconto più completo delle vicende che la vedono protagonista nel corso della propria vita; con le narrazioni delle donne indiane d’America,

difatti, “taboos were broken” e raccontare la storia della propria famiglia significa essere “often forced to speak the names of the dead.”90

In occasione del dialogo riguardante la volontà di Pretty-shield di tramandare, attraverso il proprio racconto, gli “old customs” alle generazioni future che rischiano di diventare completamente estranee alla cultura tribale, la donna manifesta a Linderman la sua più completa sincerità e disponibilità, testimoniate anche dal suo infrangere una regola così rigida come nominare i morti:

“I believe that you know more about our old ways than any other man of your age, Crow or white men. This is the reason why I hide nothing from you. I have even spoken the names of the dead, which you know the Crows never do. Ask me anything you wish to know, and I will tell you, truthfully, Sign-talker.” (Pretty-shield, 24; enfasi mia)

Ho usato il termine “irriverente” per riferirmi al modo in cui Pretty-shield parla dei componenti della propria famiglia che non sono più in vita poiché Linderman chiarisce che gli storytellers Crow “are sworn to secrecy” e hanno un grande rispetto — poco comprensibile per gli euroamericani — “for tribal customs.” (Plenty-coups, 105)

Questo costume tribale, chiaramente, rende estremamente complicato organizzare un percorso storico tribale in maniera ordinata, e le difficoltà maggiori Linderman le incontra durante l’intervista con Plenty-coups, nel corso della quale molti dei nomi sono ottenuti “from younger men than Plenty-coups, who refused to speak them.” (Plenty-Plenty-coups, 106; enfasi mia)

90 Gretchen M. Bataille & Kathleen Mullen Sands, AMERICAN INDIAN WOMEN, Telling Their Lives, University of Nebraska Press, 1984; pag. 30; (grassetto mio);

L’anziano capo indiano, specialmente all’inizio dell’autobiografia, è molto restio a violare la sacralità dei morti, ma la reticenza svanisce con il dispiegarsi del racconto e “he named many men and women who had passed away.”

(Plenty-coups, 34)

Le autobiografie di Pretty-shield e di Plenty-coups includono la narrazione e il commento dei protagonisti di un episodio storico di grande rilevanza nella storia degli scontri tra i settlers e gli indianoamericani: la battaglia di Little Bighorn del 25 Giugno 1876 durante la quale i Sioux e i Cheyenne infliggono una pesante sconfitta alle truppe del famoso “Seventh United States Cavalry” e uccidono il Generale Custer.

Linderman chiede a Pretty-shield di raccontargli tutto ciò che ricorda di questo evento storico in quanto suo marito, Goes-ahead, era con Custer “on the Rosebud” durante lo scontro. La donna accetta di raccontare l’episodio sottolineando più volte: “I have said that I know nothing about the fighting on the Rosebud, except what my man, Goes-ahead, told me.” (Pretty-shield, 228) Il resoconto dell’episodio proposto da Pretty-shield ha un tono molto amareggiato poiché, dal mio punto di vista, una donna che attende il ritorno del proprio marito da una simile battaglia vive la situazione, anche in seguito, con una sensibilità e un’apprensione tipica dell’animo femminile. La sua storia contiene un particolare che evidenzia come il racconto dello stesso evento possa presentare delle differenze a seconda che il narratore sia un uomo oppure una donna.

Tutti gli appartenenti alla comunità Crow e tutti i “Wolves” (gli scout) che erano presenti alla battaglia sapevano che due donne avevano preso parte al conflitto per aiutare l’esercito statunitense; eppure nessuno all’infuori di

Pretty-shield — neanche Plenty-coups— aveva precedentemente dato a Linderman questa informazione:

“All the men saw these things, and yet they have never told you about them.”

[...] “Ahh,” she said a little bitterly, “the men did not tell you this; but I have. And it’s the truth. Every old Crow, man or woman, knows that it is the truth.”

[...] “I am sure that your friend, Plenty-coups, has told you only the truth. But if he left this out he did not tell you all of the truth,” she added quite severely. Two women, one of them not quite a woman, fought with Three-stars [General Crook], and I hope that you will put it in a book, Sign-talker, because it is the truth.” (Pretty-shield, 235)

Pretty-shield si sofferma sul “big mistake” compiuto da Son-of-the-morning-star ( è il nome indiano del Generale Custer) quando separa le truppe in tre gruppi, allontanandone due dal proprio nucleo di soldati e, in questo modo, “Son-of-the-morning-star was going to his death, and did not know it.

He was like a feather blown by the wind, and had to go.” (Pretty-shield, 235)

La donna termina il racconto rilevando che il Generale Custer è andato incontro alla morte “foolishly”; suo marito le aveva detto di aver visto molto spesso l’ufficiale bere dalla sua “straw-covered bottle that was on his saddle” e questo la conduce a una amara conclusione:

“Sign-talker,” she said, severely, “too much drinking may have made that great soldier-chief foolish on that day when he died. I have seen whisky do such things. Our own soldier-chiefs have signed too many papers with their thumbs when whisky was doing their thinking for them.” (Pretty-shield, 243)

Prevedibilmente, Plenty-coups, illustra l’episodio in maniera diversa, dal punto di vista del guerriero che affianca gli alti ufficiali dell’esercito americano nel tentativo di sconfiggere i nemici secolari della tribù dei Crow.

Il leader ricorda la visione affascinante che si schiude dinanzi ai suoi occhi quando giunge presso il Bighorn River: “I shall never forget what I saw there.

[...] “Blue soldiers were everywhere.”

Plenty-coups descrive dettagliatamente come i guerrieri Crow si preparano ad affrontare il nemico, il loro grido di guerra pronunciato con orgoglio e coraggio, tutti i particolari riguardanti lo scontro e la triste e pesante sconfitta subita dai Sioux e dai Cheyenne.

Allo stesso modo di Pretty-shield, Plenty-coups ammette l’errore strategico compiuto dal Generale Custer, ma riconosce l’aspetto coraggioso e audace della sua morte:

“He had died fighting, as a warrior should, and there were two mortal wounds in his body. He had been foolish to attack so great a village alone, but he had been too brave to take his own life, like a coward.” (Plenty-coups, 177)

Le storie che danno forma alle autobiografie di Pretty-shield e Plenty-coups sono incluse nel testo nel momento in cui riaffiorano alla mente degli storytellers oppure quando a Linderman sembra il momento più opportuno per sollecitare il racconto di un episodio particolare.

In tal modo le opere autobiografiche hanno una forma leggera e agevole in quanto sono strutturate attraverso i ricordi della memoria e sono prive di un rigido ordine cronologico.

Ciò che risulta inusuale all’epoca di Linderman è il metodo da lui usato per trasmettere e trascrivere gli stati d’animo e i cambiamenti d’umore degli storytellers. Attraverso la scrittura Linderman cerca di condurci nella psiche di chi racconta e di descrivere minuziosamente anche l’ambiente esterno per

ottenere un linguaggio descrittivo e tradurre in parole l’oralità dei racconti autobiografici.

E’ osservatore di tutto ciò che lo circonda, dell’ambiente e dell’atmosfera, nota le espressioni facciali, il linguaggio del corpo, le pause brusche che interrompono i racconti, le differenti modulazioni del ritmo, del tono e del volume della voce in maniera molto accurata, “to translate the oral traditions of the native people.”91

In ultima analisi vorrei evidenziare in quale modo le conclusioni dei due testi autobiografici presentano un elemento che le accomuna e un aspetto che differenzia l’atteggiamento dei protagonisti nei confronti della propria condizione esistenziale.

Per quanto riguarda Pretty-shield siamo di fronte a una storia malinconica, una storia di “remembering and questioning”92, di preoccupazione per le sorti di una popolazione che dopo lo sterminio del “buffalo” e il deterioramento degli “old ways” ha perso la felicità diventando triste e inattiva:

“But how could we live in the old way when everything was gone.”

[...]“ I shall soon be going away from this world; but my grandchildren will have to stay here forever for a long time yet. I wonder how they will make out.” (Pretty-shield, 250-252)

Se dalle parole di Pretty-shield è facilmente intuibile la preoccupazione per un futuro incerto ma soprattutto un futuro privo degli insegnamenti e della saggezza degli anziani e sempre più invaso dalla cultura euroamericana, Plenty-coups trova nell’integrazione la speranza per il suo popolo.

91 C. River, “THE GREAT STILLNESS, Visions and Native Wisdom in the Writings of Frank Bird Linderman”, in A. Krupat, ed. by, New Voices in American Literary Criticism, The Smithsonian Institution Press, 1993; pag. 299;

92 Gretchen M. Bataille & Kathleen Mullen Sands, AMERICAN INDIAN WOMEN, Telling Their Lives, University of Nebraska Press; 1984; pag. 45;

D’altronde il grande capo non era mai stato ostile agli euroamericani ed è convinto che se la sua gente “would have an equal chance with him in making a living”, purché essi “learn all they can from the white man, because he is here to stay, and they must live with him forever.” (Plenty-coups, 308; enfasi mia)

Pretty-shield e Plenty-coups salutano Linderman riconfermandogli la fiducia, la stima e l’affetto che hanno consentito l’inizio delle loro collaborazioni e la trasmissione dei valori terreni e spirituali dell’“Indian way of life”.

Plenty-coups afferma: “You have felt my heart, and I have felt yours.”

(Plenty-coups, 309; enfasi mia)

Pretty-shield chiede a Linderman:

“When are you traveling?”

“Tonight,” I signed, adding, “You and I are friends, Pretty-shield.”

“Bard-ners,” she said earnestly, in pidgin English.” (Pretty-shield, 253;

enfasi mia)

Capitolo IV

“Some families will, if they can, tear you down, reject you, tell you you are a defective person. You could end up brokenhearted and brokenspirited. If you come from such a family and you have no one else to turn to, then you must, for the sake of your own sanity and self-respect, break free, venture out on your own and go far away. Then you will have to rely on yourself and what you have managed to internalize regarding strenght, stamina, identity and belonging.”

— Janet Campbell Hale, Bloodlines

“La propria nascita viene identificata attraverso la provenienza da un luogo, ma quel luogo è qualcosa di più di un semplice luogo fisico o geografico, si tratta

ovviamente di un luogo spirituale, un luogo che comprende l’intero schema della vita, l’universo, la potenza della creazione. Luogo vuol dire la fonte di quel che si è per quanto riguarda l’identità.”

— Intervista a Simon Ortiz, in L. Coltelli, Parole fatte d’alba

IV. “Bloodlines”: autodefinirsi tra dolore, verbal abuse” e “constant uprooting”

Nel 1968 N. Scott Momaday pubblica il romanzo House Made of Dawn, inaugurando quello che è stato definito il contemporaneo “Native American Renaissance” nella letteratura scritta nativa americana.

A partire da questa data fino ad oggi, la produzione di un numero considerevole di materiale poetico e narrativo, unitamente a racconti personali, ha esposto gli artisti indiani all’attenzione del pubblico sia nel continente americano sia oltreoceano, generando vivaci discussioni critiche a proposito della produzione letteraria degli indianoamericani.

Le autobiografie di indiani pubblicate recentemente sono quasi tutte

“autobiographies by Indians”, testi in cui troviamo il “real Indian”, l’indiano

“autentico” che narra la propria storia in prima persona e costruisce l’identità personale senza interferenze o alterazioni da parte di curatori ed interpreti;

l’indiano, infine, che, appropriatosi degli strumenti della cultura euroamericana, sceglie deliberatamente di e come autoraccontarsi.

Questi artisti contemporanei scrivono servendosi di tecniche e strategie euroamericane ma palesano un cosciente attaccamento agli aspetti della tradizione orale poiché, nonostante siano persone ben istruite e che hanno viaggiato, continuano ad avere un “place-determined sense of self” più affine ai

nativi che agli euroamericani.93

Grazie all’influenza dei colonizzatori sull’ambiente culturale indigeno, il genere tipicamente occidentale dell’autobiografia ha ricevuto, fino a oggi, centinaia di importanti contributi da parte degli indigeni nordamericani.

Attraverso il racconto delle proprie vicende esistenziali gli indiani e le indiane d’America creano due tradizioni letterarie differenti, concentrandosi i primi su imprese belliche gloriose o importanti mediazioni diplomatiche e, le seconde, al contrario, sul processo di sviluppo d’identità mediante la narrazione di fatti molto privati e personali.

La forza delle loro opere, testi che raccontano una storia senza uguali all’interno delle letteratura internazionale, risiede nella lotta continua per l’affermazione di un’autonomia culturale e nel tentativo, attraverso la scrittura, di preservare retaggi tradizionali tribali nella possibile prospettiva di disintegrazione culturale causata dalla strategia dell’assimilation da parte del sistema societario bianco.

Le produzioni autobiografiche di donne native americane, in particolare, hanno suscitato l’interesse dei critici soltanto nell’ultimo decennio, dopo essere passate inosservate per molto tempo.

Quando, intorno agli anni ‘70, i teorici cominciano a rovistare nel grande magazzino dei testi femminili focalizzano l’attenzione sulle scrittrici bianche, formulando una serie di teorie femministe che, fondamentalmente, tendono a creare la categoria della “universal woman”, vale a dire un’identità unica di donna, che esclude la possibilità di considerare lo sviluppo di una personalità singola e particolare.

93 ed. A. Krupat, Native American Autobiography, An Anthology; The University of Wisconsin Press, 1994; p. 399;

Un tale percorso critico tende ad essenzializzare le donne mediante il

“gender” sorvolando fattori cruciali come la classe, l’etnicità, il tempo, elementi questi in relazione ai quali le donne si costituiscono come soggetti e che contribuiscono fortemente alla diversificazione delle loro identità.

La cultura dominante accademica — e femminista — crea, dunque, una categoria in opposizione alla quale nascono e discutono i critici della

La cultura dominante accademica — e femminista — crea, dunque, una categoria in opposizione alla quale nascono e discutono i critici della