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VITE E VINO IN PIEMONTE

Nel documento Cronache Economiche. N.131, Novembre 1953 (pagine 60-64)

dal I al XV seonlu

R O S S A N O Z E Z Z O S

Nel nostro ultimo articolo, dedi-cato a qualche notizia economica ri-guardante Torino nei secoli di Roma, abbiamo accennato alla produzione del vino e alla ricchezza delle viti torinesi e piemontesi, dichiarando però che l'argomento era troppo va-sto e ne avremmo trattato separa-tamente.

Ed eccoci qui a mantenere fede — in parte — alla nostra promessa. Diciamo « in parte » perchè, nel riesaminare i documenti di c a r a t t e r e -vinario « accantonati » da noi al pre-cipuo scopo di svolgerli, ci siamo accorti che, parecchi, riguardavano anche l'epoca romanica ; ed allora ab-biamo fatto altre ricerche, ampliando quelle già esperite ed estendendole sino a tutto il basso Medioevo; così che oggi offriamo ai nostri lettori non

quattro secoli della storia del vino, bensì quindici secoli, vale a dire tutti quelli che vanno da Augusto — che abbellì Torino di molti monumenti, tra cui, ancora ritta e conservatis-sima, la Porta Palatina con le sue alte torri cariche di memorie — alla scoperta dell'America con la quale si suole chiudere il Medioevo.

Del vino piemontese già abbiamo parlato su queste colonne, e precisa-mente nei numeri 115 e 118, trat-tando però dei vari vini, non del

vino in generale, e attardandoci

so-prattutto sul folclore leggendario che circonda i « tipi ». Va da sè che ab-biamo dovuto fare — qua e là — qualche accenno storico ; tuttavia l'abbondanza delle notizie documen-tate fu, allora, limitata al secolo XIX,

là dove abbiamo parlato del vino di

Barolo.

Così che oggi non ci ripetiamo bensì integriamo il già detto con l'esame di carte, memorie, vecchi co-dici che — unitamente ai miti fol-cloristici — fanno testimonianza della nostra millenaria gloria eno-logica.

Gloria che cominciò ad affermarsi storicamente quando Giulio Cesare, di ritorno dalla guerra delle Gallie (50 av. C.), passando per le Langhe si portò a Roma dei vini della Morra ; i quali vini — come tutti sanno — sono considerati gli antenati legittimi del « regale Barolo ».

Questa notizia si trova in una an-notazione ai Commentari e ad essa fa cenno il rev. Domenico Massè nella sua monografia II paese di Barolo

Slemma d'Alba.

(Alba, 1923); secondo l'A. l'annota-zione in merito fu resa pubblica, per la prima volta, dal Rubin nelle sué

Memorie Storiche del Comune di La Morra.

Ma ben di più e di più sicuro si trova, al principio dell'Era Vol-gare, nell'opera gigantesca del vec-chio Plinio, il quale si attarda assai intorno alla coltura della vite in « Alba Pompeja » a proposito della quale dice:

« Nella terra di Alba Pompeja, « benché i campi siano argillosi e « troppo grassi, la coltivazione della « vite è anteposta a tutte le altre, « cosa che generalmente non si fa » (XVII, 25).

Sull'ubertosità delle Langhe parla diffusamente lo storico piemontese Ferdinando Gabotto (morto nel 1924) nella sua dettagliatissima e documen-tatissima Storia dell'Italia

Setten-trionale-, secondo lui il territorio in

questione — detto fin da allora Langa (variazione di Landa: paese per antonomasia) •— era fecondo oltre ogni dire e ricco di ville patrizie con frutteti e vigneti splendidi.

Del resto, come dicemmo nel pre-cedente nostro scritto, Pollenzo ed Asti rivelarono, grazie agli scavi, quella loro specializzazione nella fab-bricazione di vasi potori che Plinio

(XXXV, 60) tanto decanta dichia-randoli « pari a quelli di Sorrento conosciuti in tutto il mondo antico ».

Due cose meravigliarono il grande naturalista nella sua visita alla IX regione (l'Italia Settentrionale dell'Ovest): la capacità delle botti e i mezzi con cui venivano trasportate queste botti: quei vasa viatoria che non si stanca di ricordare ad ogni momento buono, quello in cui c'entri il vino.

Lo stato delle vigne piemontesi dovette progredire di secolo in

se-colo ; diciamo « dovette » poiché i documenti dal III secolo alla fine del IX secolo andarono quasi tutti di-strutti nelle spaventose invasioni degli Ungheri e dei Saraceni che devastarono il Piemonte, special-mente le regioni più vitifere.

Queste invasioni — avvenute tra la fine del IX e la fine del X secolo — ridussero il fiorente territorio delle Langhe in così estrema miseria che Ottone I, nuovo re d'Italia e Impe-ratore del Sacro Romano Impero, nell'anno 967, « dispensò da ogni tri-buto gli abitanti dell'Albese ».

Nell'opera già da noi citata del Gabotto, è detto fra l'altro — ri-guardo al tema che ci interessa — che « tra il X secolo e il principio « dell'XI, buona parte del Piemonte « s'era in buona parte coperta di « boschi e ciò in conseguenza delle « terribili calate dei barbari d'Oriente « e del Sud Orientale ».

A far testimonianza della fiorente viticoltura prima delle invasioni, sono rimasti i documenti del grande Monastero che trovasi proprio al confine tra il Piemonte e la Lom-bardia: quello, cioè, di Bobbio. Il quale Monastero (e ciò appunto si rileva dai documenti pubblicati dal Cipolla negli Atti del R. Istituto

Ve-neto di Scienze, Lettere ed Arti. T. XXXVIII e L. Serie VII) tra l'altro produceva 300 anfore di vino nel suo terreno « dominicale » ; 500 an-fore riceveva poi dai propri coloni e massari ; ma 2000 anfore di vino pro-duceva il Monastero di Bobbio che aveva il suo bravo « custode delle vigne », il « cellarius » o cantiniere.

Chi poi ami rovistare fra le carte annose, può trovare larga messe per quanto riguarda l'argo-mento in tema: nell'Archivio Capi-tolare d'Asti che serba documenti persino dell'VIII secolo, nel Rigestum

Communis Albe o Codex Albensis,

nonché nell'Archivio di Stato di Torino.

Noi non possiamo certo esaminare tutti questi documenti (chi ne avesse voglia, li può trovare pubblicati dal Gagotto nel voi. XXVIII della

Bi-blioteca della Società Storica Subal-pina), tuttavia l'accenno di qualcuno

vogliamo darlo, specie del più antico di tutti, quello dell'Archivio Capito-lare d'Asti che risale all'anno 755 e riguarda una vendita di terreni del-l'Astigiano ; in esso, parlando dei vari appezzamenti di terreno, si accenna ad una vigna confinante con altre vigne.

C. Plinio.

del maggio 830 : la vendita, appunto, di una « pezza di vigna » nel terri-torio di Pladiva (Archivio di Stato di Torino); di vigne parlano anche i due primi documenti del Rigestum : uno, dell'anno 1026, col quale Cor-rado II, re dei Romani, conferma e sancisce i possedimenti in Pollenzo del Monastero di Breme, tra cui « vineis et ulivetis » ; 1' altro, del 19 aprile 1048, nel quale Enrico III riconferma quanto sopra, ripetendo la frase « et vineis et ulivetis ».

Ricchi di documenti per noi pre-ziosi sono pure l'Archivio Arcive-scovile di Torino e l'Archivio Capito-lare di Santa Maria di Novara (do-cumenti raccolti anch'essi nella Bi-blioteca della Società Storica Su-balpina, miniera inesauribile per i ricercatori del passato).

Nella più antica « scartoffia » del-l'Archivio Arcivescovile (un atto confermante i privilegi accordati da Ottone III alla Chiesa di Torino, che risale all'anno 981) si parla specifi-catamente delle vigne esistenti f r a Rivoli, Carignano, Pinerolo, Celle, Canove, Testona (l'attuale Monca-lieri); e vigne... fioriscono pure da una « charta » di Enrico UT in data 10 maggio 1087.

Dall'Archivio Novarese non sap-piamo che scegliere, poiché i docu-menti in onore del « licor di Bacco » sono parecchi: cessione di fondi con

vigne', donazioni di campi con vigne;

conferme di immunità e di privilegi per il trasporto di varii prodotti tra cui il vino sta in prima fila, da parte di Vescovi e di Imperatori (tra i duali figurano anche Carlomagno e Berengario); atti di locazione e di vendita di vigne; contratti di lavoro con pagamenti in vino; permuta di beni terrieri scrupolosamente de-scritti in cui le vigne non mancano

mai (significativa quella, in data 17 marzo 898 fra Garibaldo Vescovo di Novara e Novemperto, diacono di San Gaudenzio) ecc. ecc. Non si fini-rebbe più di ricordare ed elencare.

I documenti si fanno ancor più numerosi dopo il Mille. È vero che i Comuni frastagliano le grandi pro-prietà (che del resto in Piemonte appaiono quasi sempre molto suddi-vise) tuttavia nell'Italia Settentrio-nale, e in particolar modo da noi, i padroni di terre poterono conser-vare sia i propri averi, sia l'antica autorità.

Per un esame dell'enologia piemon-tese nel basso Medioevo non abbiamo che da consultare il non mai abba-stanza consultato Gabotto, il quale ci informa che « in quel di Saluzzo » solo dopo il 1250 la vite cominciò a prendere il posto dei boschi.

Fra il numero imponente delle « charte » che il Gabotto pubblica nella sua Monografia sull'Agricoltura

Saluzzese, una delle più importanti,

a parer nostro (anche perchè si rial-laccia ad un nostro recente breve studio apparso sul numero 127 di questa stessa rivista) è quella risa-lente al 1290 mediante cui l'Abba-zia di Staffarda concede a privati due « giornate » di bosco in quel di Saluzzo, con l'obbligo di ridurne una a vigna entro il limite massimo di cinque anni; l'altra «giornata» (ri-cordiamo che la « giornata » è antica misura piemontese dei terreni e cor-risponde a circa m. q. 3810) doveva rimanere boschiva onde fornire i pali per le viti.

Visto che abbiamo fatto il nome di Saluzzo, restiamoci raccontando come Dogliani, robusto Comune delle Langhe, abbia potuto affrancarsi dalla signoria del Marchese di Sa-luzzo, proprio grazie al suo vino: infatti, nel 1369 venne rogata, con atto solenne, la libertà delle Milizie dai gravami e dalla servitù a patto di pagare una gabella per la minuta vendita del vino, gabella da versare nella vigilia di Natale.

Del resto è quasi ormai di domi-nio pubblico, tanto è noto, il fatto

accaduto alla marchesa Margherita di Foix, la quale ottenne da Papa Giulio II, per la sua Saluzzo, il titolo di città e di sede vescovile mediante il dono « graditissimo » di varie e capaci botti di « pelaverga » il fa-moso vino monferrino.

Il Gabotto (op. cit.) riproduce un curioso « Conto della Castellania di Pinerolo » (ottobre 1294 - settem-bre 1296) dal quale si ricavano un mucchio di gustosissime regole circa la viticoltura.

Per merito di questo « Conto » ve-niamo così a sapere che le viti dove-vano essere « potate, propagginate, concimate e legate con vimini du-rante la quaresima; dovevano essere sostenute tutte con pali (brope); in maggio poi si doveva zapparle e sarchiarle; in agosto sfogliarle (1-2 volte). A maturazione avvenuta, le vigne erano custodite notte e giorno sino alla vendemmia dai Campari del Comune e da speciali guardie pagate dal padrone della vigna; sia gli uni che le altre stavano in ca-panne di paglia costruite apposita-mente e dette benne.

La vendemmia non era libera; bi-sognava attendere il permesso del-l'Autorità (Comunale o Signorile che fosse) la quale, a suon di tromba,

bandiva il giorno in cui si poteva

dar mano al taglio dei grappoli. Vo-lendo vendemmiare prima, era obbli-gatorio, sotto pena di grossa multa, tener chiusa la propria vigna finché i vicini non avessero terminata la loro vendemmia.

Dal secolo XII al secolo XV noi assistiamo al fenomeno di sposta-mento delle vigne le quali, grado a grado, lasciano la pianura e si av-viano su per le colline. Da questo fatto viene — forse — la voce

al-teni sempre usata dai nostri

vigna-roli, per quanto il Gabotto creda che con l'aggettivo alteni si voglia ^distin-guere non la posizione della vite, ma

l'altezza del suo ceppo.

Sì, i terreni si misuravano a « gior-nate », ma le vigne propriamente dette vengono misurate — più spes-so — a sapature (il tempo occorrente

I * vasa viatoria » di Plinio. - Una grande cupa.

Domenico Someda: La calata degli Ungheri (Udine: Museo Civico).

tra il secolo XIII e XIV, del vino delle suddette località.

Nè mancano prove dell'esistenza di ubertose vigne in Val d'Aosta. In-fatti, nel gennaio 1272, un Vescovo di Ivrea, certo Federico di Front, accordando agli abitanti di Alice in Val Chy tutto il bosco di una valle, impone loro l'obbligo di convertire in vigne i terreni ad esse adatti di questo bosco; un terzo del provento di queste future vigne doveva spet-tare allo stesso vescovo « donante ».

Ad Alessandria, poi, si racconta una bellissima leggenda, circa l'ori-gine del nome di Strevi, piccolo Co-mune che da Alessandria dipende; questa : dieci fratelli vivevano in Orsara, sulla sponda della Bormida opposta a quella dove sorge il borgo, famoso per il suo moscato; questi dieci fratelli erano divisi in due grup-pi ben distinti: quello dei sobri, for-mato da tre componenti; quello degli amatori del vino, formato da sette... adepti.

Questi ultimi, non andando d'ac-cordo con i tre fratelli morigerati, andarono ad abitare sull'opposta riva del fiume ove si misero a coltivare la vite fondando un centro rurale che dai « septem » ebbri com'erano, fu detto Septembrum, e poi Septrevi e infine Strevi.

Gli altri tre fratelli fondarono poi

Trisobio che non riuscì mai a vincere

la fama di Strevi.

Ma ovunque, si può dire, venne coltivata la vite e prodotto vino in Piemonte, dall'XI al XIV secolo: e la prova di ciò è seminata in tutti gli archivi piemontesi, soprattutto — come dicemmo — in quello Arci-vescovile di Torino e in quello Capi-tolare di Santa Maria di Novara.

Nel fluire del tempo molte località si specializzarono e quelle più adatte per terreno e posizione alla coltura della vite, acquistarono quella rino-manza che va oltre i confini della Patria.

Le Langhe — produttrici di vino sino dai secoli più lontani — rima-sero ferme nella loro gloria: gloria ascensionale che non conosce tra-monto ma anzi, col suo « Barolo », si afferma sempre più... « Urbi et Orbi ».

Gruppo di vasi vinari romani trovati ad Acqui.

per zappare una determinata su-perficie).

Molte leggi e disposizioni vennero emanate in questo tempo, a prote-zione delle vigne; in primo luogo il divieto assoluto di portare le bestie a pascolare là dove vi fossero le viti, dal 1° aprile e dopo vendemmiato; e poi regole ai vendemmiatori, bandi vendemmiali, pene corporali (persino anche la morte) a chi tagliava le viti, ecc. ecc.

Per la completa conoscenza di tutte queste disposizioni, rimandiamo il cortese lettore di buona volontà all'opera del nostro Gabotto:

L'Agri-coltura nella regione saluzzese dal secolo XI al XV.

Tre vini si usava ricavare dalla pigiatura delle uve : il vino puro

(quello della prima pigiatura), il

medio (ottenuto dalla seconda

pigia-tura) e infine il vinello (o pusca) che si otteneva gettando dell'acqua sulle vinacce e lasciando fermentare.

Tra le vendette più... quotate in quel di Saluzzo, quella che consisteva nel guastar le viti o il vino era la maggiore di tutte.

Riguardo poi alla sua misurazione, il vino era calcolato a pinte (equiva-lente nel peso a Kg. 3,032); lo staio era di 35 pinte.

Geloso f u il Piemonte del suo vino : Cuneo, ad esempio (e ciò sino al secolo scorso) vietò sempre nella sua provincia l'importazione di « vini fo-rastieri » (V. Stanislao Cordaro di Pamparato : Documenti per la Storia

del Piemonte. Torino, 1902).

E giacché siamo scivolati, senza volerlo, nel tema delle « proibizioni », ecco le principali riguardanti il no-stro argomento, che si trovano negli « Statuti del Comune di Torino del 1360 » tutti derivati da quelli del 1258-1280 detti « della Catena ».

« Vietato ai custodes vinearum,

« campari vinearum, ecc. di entrare

« senza motivo nelle vigne o lasciarvi « entrare alcuno, parenti suoi com-« presi — Vietato vendemmiare se « non si ha ottenuto prima regolare

« licenza, che si può dare solo a chi « abbia le uve che marciscono o a « chi desideri preparare " agresto " « o vino agro. Anche in questi casi, « tuttavia, la licenza viene concessa « solo dopo accordi coi vicini e con-« finanti — Vietato racimolare prima « che in tutte le vigne della contrada « sia stato vendemmiato — Vietato « preparare furtivamente vino — « Vietato introdurre vino forestiero « (salvo nei casi di carestia)... ».

Questi sono i « vietato » principali ; chè, se si volesse dirli tutti... chissà quando finiremmo!

A proposito del vino del Monfer-rato vogliamo qui rammentare che il paese di San Salvatore potè to-gliersi il peso e l'onta di provvedere a soldatesche pericolose e devasta-trici, a prezzo di... vino. Per cento barili « di quello buono » il Cardi-nale Sedem, di origine svizzera, fece levare le tende alle truppe che occu-pavano la località.

*

Anche per il vino di Moncalieri (an-tica Testona), Rivoli, Val di Susa, i documenti sono moltissimi. Ci con-tenteremo della citazione di uno solo, del 1272, che ricorda il passaggio avvenuto, in detto anno, del re d'In-ghilterra, al quale venne presentato fra l'altro, quale omaggio, « sei se-stari di vino di Rivoli » ; vino s'ebbe il detto sovrano, anche da Alba.

Ma vi sono inventari, atti di suc-cessione e di suc-cessione che parlano,

Nel documento Cronache Economiche. N.131, Novembre 1953 (pagine 60-64)

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