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3. LA GERMANOFONIA SUDALPINA

4.5. Il Windisch

Il sostantivo Winden o Wenden designava le popolazioni che i Franchi, i Sassoni e i Baiuvari incontrarono durante gli spostamenti a oriente, e in particolare “i Polabi lungo il corso del basso Elba e la costa baltica, i Sorbi o Lusaziani sul Saale e lungo l’Elba superiore; e le tribù slave nelle regioni alpine orientali” (Lencek, 1990:93). Sempre a proposito dell’uso generico dell’etnonimo Windisch Oswald Gutmann scrisse:

“Die Bezeichnung Windisch ist historisch und steht in älterer Zeit im allgemeinen Sprachgebrauch wie auch in den Toponymen des Typs Windisch Garsten, Windisch Mat[t]rei, Windisch Grätz, Windische Bühel usw. synonym für slowenisch.“82

Entrambi i termini da cui trae origine il glottonimo Windisch hanno come radice etimologica il nome Venedi, Veneti, Uenedai, forme riportate rispettivamente da Plinio il Vecchio, Tacito e Tolomeo e proprio di vari popoli, etnie e tribù residenti lungo le coste della Vistola. Tali popolazioni furono colonizzate da genti slave fin dall’Alto Medioevo. Un’ulteriore testimonianza dell’esistenza in area carpatica di una popolazione di Venethi o Winidi, stavolta affiancata alla definizione di Sclaveni proviene dagli scritti del monaco Giordano Castalio (1861:27) :

“[…]Introrsus illi Dacia est, ad coronae speciem arduis alpibus emunita, iuxta quorum sinistrum latum, quod in aquilonem vergit, et ab ortu Vistulae fluminis per immensa spatia Venetarum natio populosa consedit. Quorum nomina licet nunc per varias familias et loca mutentur, principaliter tamen Sclaveni et Antes nominantur [… ]“83.

Se dunque in tedesco gli etnonimi Winidi, Winden e Wenden venivano usati indiscriminatamente per far riferimento a qualsiasi popolazione slava insediatasi nei

82 “Il termine Windisch è storico ed è presente fin dai tempi antichi nella lingua comune, così

come nei toponimi quali Windisch Garsten, Windisch Mat(t)rei, Windisch Grätz, Windisch Bühel, ecc. come sinonimo di sloveno.” O. Gutmann, 1777, in: www.Windische.at

83 “[…]Verso la parte più interna di esso (sottinteso il Danubio) si trova la Dacia, fortificata da

una specie di corona di alte montagne, vicino al lato sinistro di queste, che digrada verso

settentrione, e a oriente del fiume Vistola si insediò su ampi spazi la popolosa nazione dei Veneti. I loro nomi tuttavia ora sono stati modificati per le varie famiglie e luoghi, e vengono principalmente chiamati Sclaveni e Anti […]”. Si veda anche la relativa nota nel testo originale di Iordanis, in cui vengono riportate le varianti per Venetarum, e segnatamente Venetorum, Venetharum, Veneidarum, Venetiarum, Undarum, Unnidarum e Winidarum.

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pressi dei territori germanofoni, in tempi più recenti si preferì operare una distinzione più netta e si fece corrispondere ai Wenden i Sorbi lusaziani e al

wendisch la loro lingua, mentre con l’etnonimo Winden si iniziò a indicare gli

Sloveni, e con il glottonimo Windisch il loro idioma (Brockhaus, 1923).

Nel VI secolo, in seno alle invasioni barbariche o “migrazioni dei popoli” in base alla dicitura tedesca (Völkerwanderung), alcune tribù di slavi alpini, oggi riconosciuti come antenati dei moderni sloveni, si insediarono nel territorio compreso fra le coste adriatiche e il Danubio e dalle sorgenti della Drava fino a buona parte della Pannonia, fra cui le attuali regioni della Stiria, della Carinzia, dell’Oltremura (detta anche Transmurania, Ultramurania o Prekmurje), del goriziano, del triestino e dell’Istria. Gli slavi alpini, che sostituirono in buona parte l’elemento romanzo preesistente, furono inizialmente assoggettati al dominio degli Avari, ma all’inizio del VII secolo nel sud dell’Austria, nell’attuale Carinzia, sorse un principato relativamente autonomo, chiamato Marca Vinedorum e retto da Valuk, citato nelle fonti storiche come duca degli Slavi o “Wallux dux Winedorum”. Nel 623 d.C. gli slavi alpini si unirono al regno tribale retto dal mercante francone Samo84 e vi rimasero fino alla disgregazione del regno stesso, avvenuta nel 658. Una

piccola parte dell’antica Marca Vinedorum riuscì tuttavia a mantenere una certa indipendenza e il principato, ormai limitato al bacino di Klagenfurt iniziò a essere citato nei testi come Carantania85 mentre il concetto di Carantanum, affiancato a

Gens Sclavorum, venne utilizzato con chiara denotazione etnico-geografica dallo

storiografo Paolo Diacono nella sua Historia Langorbadorum.

Il Principato di Carantania conservò l’indipendenza fino al 745 d.C., anno in cui il duca Borut, per contrastare il crescente riavanzamento degli Avari, dovette formulare una richiesta di aiuto alla Baviera. I Carantani dovettero accettare la supremazia del Regno dei Franchi e di conseguenza essere cristianizzati e in parte germanizzati. L’inglobazione totale della Carantania nel Regno Franco si realizzò con la soppressione del tentativo di rivolta operato dal principe Ljudevit Posavski

84 Le uniche fonti contemporanee disponibili sono gli scritti contenuti nella “Cronaca di Fredegar”

o “Fredegarius”, di cui non è tuttora acclarata l’identità dell’autore.

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Sull’origine dell’etnonimo “Carantania” ci sono varie teorie: il nome potrebbe derivare dalla parola pre-indogermanica “car” con il significato di “roccia” oppure dalla voce celtica “carant” con il significato di “amico, parente”.

(819-822 d.C.). La Carantania perse dunque il diritto ad avere dei principi slavi, che furono sostituiti da reggenti bavaresi (Prilasnig, 2006/2007).

Strettamente legata alla Baviera, la Carantania rimase una signoria abbastanza autonoma all’interno del sistema feudale franco e iniziò a comparire nelle documentazioni ufficiali con il nome latinizzato di Carinthia. Nel 1335 il piccolo principato divenne parte dei domini degli Asburgo, e tale rimase fino alla caduta della dinastia imperiale nel 1918, quando divenne uno dei Länder della neonata Repubblica d’Austria.

Se il primo periodo bavarese, coincidente all’incirca con i primi duecento anni di dominio franco, e il proselitismo cristiano avevano tenuto conto della lingua parlata dal popolo carantano e avevano permesso la realizzazione delle prime testimonianze scritte della lingua slovena arcaica, nel secondo periodo bavarese e nel primo periodo asburgico, quindi per quasi quattro secoli, non si ebbero produzioni in lingua slovena provenienti dalla regione della Carinzia. Il primo nuovo documento in sloveno di cui si ha notizia è, infatti, il Manoscritto di Klagenfurt (Celovski rokopis), databile alla fine del XIV secolo (Prilasnig, op. cit.).

Nel XV secolo nella regione si contornarono in maniera più decisa i confini linguistici. Due terzi della Carinzia erano ormai prevalentemente di lingua tedesca, mentre la zona che andava da Hermagor fino a Dobratsch lungo la valle del Gail, attraversava a sud di Villach la Drava per poi raggiungere, oltre i Tauri di Ossiach e le località di Moosburg, di Maria Saal e di Ottmanach, la Saualm e Diex e quindi terminava presso la confluenza del fiume Lavant con la Drava, rimase di lingua slovena. Tuttavia il divario linguistico non rappresentava un problema per la Carinzia, dove le differenze sociali non erano marcate dall’idioma parlato, ma dall’appartenenza alla nobiltà feudale o alle classi meno abbienti.

Nel 1478 i contadini di entrambi i gruppi linguistici, riunitisi in vere e proprie confederazioni per contrastare lo strapotere dei nobili, insorsero. Nel 1515 i contadini di lingua slovena si ribellarono nuovamente, dando luogo alla cosiddetta “Windische Bauernkrieg”, guerra dei contadini Windisch, che comprendeva anche i territori di lingua tedesca e che fallì a causa della disorganizzazione e dell’inesperienza bellica (Prilasnig, op. cit.). Nella seconda metà del XVI secolo

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l’avvento del protestantesimo interessò tutta l’area slovenofona e condizionò il prestigio della lingua slovena in Carniola e Carinzia. Nel 1550 Primor Trubar pubblicò il primo libro in sloveno, Katekizem in Abecednik (Catechismo e Abecedario) e nel 1584 furono pubblicate la traduzione in sloveno della Bibbia per opera di Jurij Dalmatin e la grammatica di lingua slovena di Adam Bohorič con il contributo economico da parte delle autorità governative carinziane. A Klagenfurt fu fondata una scuola media protestante in cui molto probabilmente veniva insegnato lo sloveno. Nei due secoli seguenti i tentativi operati dai gesuiti per reintrodurre il cattolicesimo si concentrarono nella formazione di predicatori sloveni, cosicché alla fine del XVIII secolo la lingua scritta slovena era ancora quasi totalmente appannaggio del clero. In Carinzia il nome più importante fu quello di Oswald (Ozbalt) Gutmann, autore del “Deutsch-Windisches Wörterbuch” (Dizionario tedesco-Windisch),. Nella prima metà del XIX secolo fu fondata la rivista Carinthia, pubblicazione di riferimento per gli sloveni carinziani alla quale collaborarono diversi nomi dell’intellighenzia locale, fra cui il filologo e storico Urban Jarnik.

La convivenza fra i due gruppi etnici tedesco e sloveno non rappresentò un problema in Carinzia almeno fino alla seconda metà del XIX secolo, quando i tentativi di germanizzazione provenienti dal nord della regione si contrapposero alle crescenti aspirazioni politiche degli sloveni. Negli anni Settanta del 1800 la minoranza slovena si organizzò in diversi movimenti popolari fra cui il Tabor, che ebbe il pregio di trasformare un’etnia politicamente informe in un popolo con aspirazioni sociali ben definite, che miravano in particolare a una Slovenia riunificata e che secondo quanto emerse dal risultato di un’azione quasi plebiscitaria, potesse comprendere le genti slave della Carniola, della Carinzia, della Stiria e del Litorale Austriaco.

Fra i massimi esponenti del movimento ci fu Andrej Eisenspieler con la sua lotta per il pieno riconoscimento ufficiale della lingua slovena. Tuttavia fu la borghesia liberale tedescofona a imporsi come forza politica dominante nella regione e il processo di germanizzazione fece arretrare la lingua slovena a un ruolo di secondaria importanza negli stessi luoghi dove aveva avuto origine la sua rinascita. A Klagenfurt, ad esempio, l’insegnamento dello sloveno nella scuola elementare

utraquista rappresentava un semplice mezzo per l’insegnamento del tedesco, che divenne ben presto lingua dominante.

La situazione per l’etnia slovena peggiorò ulteriormente nel periodo precedente il primo conflitto mondiale e durante la guerra stessa, quando iniziarono le persecuzioni nei confronti dei politici e del clero sloveno-carinziani. L’esito di queste persecuzioni sfociò spesso nell’accusa di alto tradimento nei confronti della patria e nell’esilio coatto o spontaneo86.

Con la fine del conflitto e la caduta della monarchia asburgica, gli sloveni carinziani e tutta la Carinzia meridionale furono chiamati a scegliere se voler continuare a essere parte della neonata Repubblica austriaca a maggioranza tedesca oppure essere annessi al regno di Slovenia. Il 5 novembre 1918 il neonato “Stato degli Sloveni, Croati e Serbi” (SHS) varcò con le sue truppe i confini della Carinzia, di cui pretendeva la sovranità per un terzo, e occupò la valle del Gail, il Rosental, Ferlach e Völkermarkt. Gli austriaci riuscirono a riconquistare Arnoldstein il 5 gennaio del 1919. Il tentativo di armistizio condotto a Graz fra austriaci e SHS si rivelò fallimentare; per evitare altri spargimenti di sangue il tenente colonnello Sherman Miles, di stanza a Vienna, si propose volontario nell’organizzare una commissione che studiasse la questione dei confini. La proposta fu accettata da entrambe le parti in causa e la commissione, detta appunto Commissione Miles, potè svolgere le proprie indagini.

Sorprendentemente la Commissione Miles constatò che la maggioranza della popolazione carinziana, compresa quella di lingua slovena, era contraria a una divisione della regione e dunque dichiarò che la linea di confine dovesse essere rappresentata dalle Caravanche. Lo SHS aumentò però le proprie richieste al momento in cui, in aprile dello stesso anno, iniziarono i lavori preparatori del trattato di pace fra Austria e gli stati membri dell’Intesa. Belgrado pretese di annettere metà della Carinzia, con Hermagor, Villach, Klagenfurt e Völkermarkt. Le velleità slave vennero immediatamente respinte dagli Stati Uniti e dall’Italia, mentre

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Un caso celebre è quello di Franc Grafenauer, consigliere del Regno, condananto per alto tradimento nel 1916, amnistiato nel 1917 e costretto alla fuga nel 1919. Eletto rappresentante per la Carinzia nel parlamento jugoslavo, non potè fare ritorno nella sua terra natale prima del 1925.

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Francia e Gran Bretagna proposero di concedere un plebiscito decisionale alla popolazione residente nella Carinzia meridionale.

Lo SHS fece la mossa diplomatica di ridurre le proprie pretese e decise di rivendicare la sovranità su una zona più ristretta che però avrebbe dovuto essere annessa senza plebiscito. Gli Stati Uniti e i membri europei dell’Intesa rifiutarono la proposta in virtù delle risultanze della precedente Commissione Miles e organizzarono il plebiscito in accoglimento di un’unica richiesta di Belgrado: la divisione della regione sottoposta a plebiscito in “Zona A” (a meridione) e “Zona B” (a settentrione). Con la firma del trattato di Saint Germain il 10 settembre 1919 si disciplinò in via ufficiale lo svolgimento del referendum e la suddivisione nelle due zone. Klagenfurt, centro principale della Carinzia, fu inclusa nella Zona B. Il risultato del referendum popolare del 10 ottobre 1920 sancì che la volontà della maggioranza assoluta dei carinziani meridionali (59,4 %) era quella di rimanere cittadini austriaci. Il dato fu particolarmente sorprendente se si tiene in considerazione che nella zona ribattezzata “A” circa il 70% degli abitanti era di lingua slovena e che almeno il 40% degli slovenofoni si era espresso a favore della permanenza della regione con l’Austria. In forza di quanto sancito dall’articolo 50, cioè in base alla necessità referendaria per la zona B solo qualora la zona A si fosse espressa a favore della Slovenia, Klagenfurt venne “esentata” dal plebiscito.

Il risultato del referendum in Carinzia contribuì alla formulazione della “Windischentheorie”, ad opera dello storico Martin Wutte (1927), le cui tesi principali si basavano sulla differenziazione fra sloveni carinziani (Windisch) e gli “sloveni di Slovenia” o della Carniola in base alla fedeltà dimostrata dai primi nei confronti della Patria e alla maggiore vicinanza/amicizia, quasi fratellanza, con la Carinzia tedesca. Nell’elenco di tesi, Wutte non potè tuttavia escludere anche gli aspetti linguistici che differenziavano gli sloveni dai Windisch.

Per la Carinzia il Trattato di Saint Germain non significò soltanto assicurarsi la fedeltà dell’etnia slovena residente nella regione, ma anche la perdita di alcuni territori. L’articolo 27 del Trattato di Pace stabilì che la zona dell’Unterdrauburg, con alcune valli contigue, andasse al Regno Serbo-Croato-Sloveno, e che la Valcanale fosse assegnata al Regno d’Italia.

La valle che si estende da Coccau a Pontebba, nonostante fosse ormai prevalentemente germanizzata, conservava e conserva tuttora insediamenti slovenofoni rappresentati principalmente dai centri di Ugovizza, Bagni di Lusnizza e Camporosso, dove i Windisch rappresentano la maggioranza, e con una buona quota di presenza anche a Valbruna. La popolazione slovena residente a Cave del Predil non è considerata Windisch giacché formata da sloveni provenienti da oltre confine e comunque di recente immigrazione.

Nella dialettologia slovena le parlate Windisch della Valcanale vengono comunemente identificate come parte del gruppo ziljsko, la varietà del Gailtal e fortemente connotata dalla ricorrenza di elementi lessicali e morfosintattici tedeschi. Si preferisce usare il termine plurale di “parlate o dialetti sloveni della Valcanale” piuttosto che l’accezione al singolare poiché nonstante la forte coesione e intelleggibilità riscontrate fra i vari centri Windisch, ogni idioma manifesta a un’analisi più attenta delle caratteristiche distintive accentuate.

È interessante notare che gli slovenofoni valcanalesi, così come quelli carinziani, difficilmente si identificano etnicamente come sloveni, mentre tendono a rimarcare le differenze etniche dalla Slovenia usando per se stessi l’etnonimo Windisch e per la loro lingua un nome che derivi dalla località geografica, come ad esempio žabnško, “camporossiano”, da Žabnice, Camporosso. In alternativa, i parlanti un dialetto di matrice slovena fanno riferimento al loro idioma con il semplice ricorso alle locuzioni pa našǝm o naša špraha, rispettivamente “alla nostra (maniera di parlare) ” e “la nostra lingua”. Ciò che accomuna i vari dialetti sloveni valcanalesi è comunque la differenziazione nei diversi sottoregistri lessicali, con chiari riferimenti alle varie vicissitudini sociolinguistiche che la valle ha affrontato nel tempo: i termini burocratici, amministrativi e giuridici sono prevalentemente austriaci (tedeschi), le parole legate alla sfera della quotidianità e della vita familiare sono di netta matrice slovena, i termini correlati all’attività boschiva e della silvicoltura in genere sono di origine carnico/friulana mentre i neologismi sono italiani (Oman, 2011)

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A titolo esemplificativo per quanto riguarda le varietà slovene della Valcanale viene di seguito riportato un brano scritto nel dialetto di Ugovizza, mentre le analisi linguistiche si basano sugli studi di I. Di Giusto e sul suo materiale raccolto nel 1987-1988 a proposito della parlata camporossiana.

“Pravda za zemljo

U stárǝh čásǝh so se tépli za Kuádje, za grénce med Úkljani pa med Zljáni. Je že bua gràht tadej tis’ cajt, no pa pole je biu ‘n Úkljan nkai zbrísan, je djau zémlja u čieulje, k’ je šèu k rìhti. Mpa pr riht je upòu: “Jest stajìm na moji zemlji” je reku. Zèj gràht pa ni biu nkaj móder, da bi se žínjau hudič, da ma njega zemlja u čjeuhliah. Àn je pač upòu, da staji na njega zemlje mpa skuz to sa Úkljani peréhtikt tud na uènkraj gôre.”87

Per quel che concerne il vocalismo, nel dialetto Windisch di Camporosso sono presenti nove vocali lunghe:

-/û/ vocale lunga, come ad esempio nel vocabolo ûra “orologio da taschino” (possibile grafia anche úra);

- /ûǝ/ con /ǝ/ come vocale indistinta, ad es. nel vocabolo stûǝ “cento” (possibile grafia anche stuǝ);

- /ộ/ dove ộ è vocale lunga e chiusa, ad es. in rộka “mano” (possibile grafia anche

rôka);

- /ô/ vocale lunga, ad es. in gôbe, “funghi” (possibile grafia anche góbe): - /â/ vocale lunga, ad es. in žâga, “segheria” (possibile grafia anche žága); - /ê/ vocale lunga, ad es. in dasêt, “dieci” (possibile grafia anche dasét);

87 “La lite per i confini

Anticamente gli abitanti di Ugovizza e quelli della valle della Zeglia litigavano per i confini in località Kuadje. Di fronte ai giudici ci fu uno di Ugovizza talmente furbo da mettersi un po’ di terra nelle scarpe quando si presentò di fronte ai giudici. E dai giudici gridò: << Io sto sulla mia terra>> disse. E il giudice non era tanto scaltro da pensare che quel diavolo aveva la sua terra nelle scarpe. Quello infatti gridava di stare sulla sua terra e così quelli di Ugovizza furono padroni anche dall’altra parte del monte. “ tratto da P. Merkù, “Le tradizioni popolari degli Sloveni in Italia. Raccolte negli anni 1965-1974 / Liudsko izročilo Slovencev v Italiji. Zbrano v letih 1965-1974”, Editoriale stampa triestina / Založništvo tražaškega tiska, Trieste / Trst 1976, p. 422 in Frau, op. cit., pag 260-261.

- /ệ/ vocale chiusa e lunga, ad es. in palệte, “in estate” (possibile grafia anche

paléte);

- /î/ vocale lunga, ad es. in lîca (il grafema “c” si pronuncia come l’italiano /z/), “guancia” (possibile grafia anche líce);

- /îǝ/, con /ǝ/ come vocale indistinta, ad es. in klîǝsče, “tenaglia” (possibile grafia anche kljǝ́šče)88.

In presenza di vocali atone si riscontra inoltre il fenomeno detto di akanje, che consiste nell’esito in “a” per le vocali “e” e “o” paleoslave, qualora queste si trovino in posizione pretonica o postonica (es. nadélja, “domenica”, anziché nedelja come in sloveno standard, oppure dabêt ,“nove”, anziché devet). Si osservano frequenti fenomeni di sincope per le vocali atone, come nel caso di mâlca e sbota (rispettivamente “merenda” e “sabato”) rispetto allo sloveno letterario melica e

sobota. Infine si riporta, per quanto riguarda il vocalismo, l’alto grado di frequenza

con cui ricorre la vocale indistinta “ǝ”. L’esito in tale fenomeno di schwa è il risultato dell’indebolimento della vocale atona (ad es. kuòbǝk, “cappello”, contro lo sloveno standard klobuk) ma anche tonica (sǝr, “formaggio”, rispetto allo sloveno standard sir) oppure può anche rappresentare la resa fonetica di una “r” vocalica, come nel caso di pǝrstìnǝc, “anulare” , rispetto a prstanec in sloveno letterario.

Per quanto riguarda gli aspetti del consonantismo del dialetto Windisch camporossiano si osserva: a) il fenomeno detto dello švapanje, ovvero il cambiamento della “l” dello sloveno letterario nella semivocale “u” nei lessemi dialettali (si veda l’esempio già riportato di kuòbǝk e klobuk); b) una frequente palatalizzazione delle consonanti “k”, “g” e “h” davanti alle vocali “e” e “i” (es.

roče, “mani”, invece dello sloveno standard roke); c) la trasformazione di “w”

paleoslava nella fricativa bilabiale “b” (es. bilce, “forchetta” , con “b” che va pronunciata come la “b” spagnola, rispetto allo sloveno standard vilice); d) a differenza di altre varianti dialettali zegliane, “-m” finale non si trasforma in “-n” con il conseguente mantenimento di forme comuni allo sloveno standard (es. ộsem, “otto”); e) la conservazione del suono palatale “lj”all’interno della parola ma non

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alla fine di essa (es. dilja “spianatoia” sia in camporossiano che in sloveno standard, da confrontare con krâl, “re”, come variante dialettale di kralj).

In quanto alla morfologia della parlata camporossiana, gli aspetti più salienti sono: a) la possibilità di sintagmi su modello romanzo o germanico, come ad es.

špǝk ad gôre, “cima del monte”, da confrontare con lo sloveno standard spica gore

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