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Come riportato nella Relazione di Cantone del 2 luglio 2015, “la gestione del rischio rappresenta uno degli elementi cardine dell'amministrazione e comporta

43 Si veda: BILARDO F., PROSPERI M., Piano nazionale e piani decentrati anticorruzione. La riforma

anticorruzione in una visione integrata giuridica e organizzativa., Maggioli Editore, Rimini, 2013, p.

198 e 199.

44 TURTURIELLO R., PORCARI D. M., Manuale teorico-pratico in materia di anticorruzione., Maggioli Editore, Rimini, 2016, p. 38.

la definizione delle aree e dei processi più esposti al rischio di corruzione e, quindi, delle specifiche misure di contrasto da mettere in atto da parte di singole amministrazioni.

L'efficacia di tale strumento dipende non solo dall'accuratezza della mappatura dei processi in sede di elaborazione del P.T.P.C., ma anche dallo svolgimento dei controlli sulla gestione delle misure di trattamento dei rischi di corruzione in sede di attuazione dei Piani triennali”45

Si tratta della parte più innovativa e difficile dell'intero sistema anticorruzione, in quanto prende in considerazione i criteri tecnico-organizzativi su cui si basa la costruzione dei sistemi di gestione del rischio e di conseguenza dei Piani per la prevenzione della corruzione a livello decentrato.

Considerando che la predisposizione di un Piano della Prevenzione della Corruzione presuppone una preparazione sul luogo di mesi e, soprattutto, un'aderenza personalizzata alla singola struttura da pianificare, appare del tutto evidente che tale questione non possa essere affrontata attraverso un Piano Nazionale Anticorruzione, il quale è un documento unico, non diversificabile e inidoneo a soddisfare i criteri di specificità tipici di un sistema di gestione del rischio corretto.

A tal riguardo il P.N.A. se ne occupa unicamente in via standardizzante focalizzando maggiormente la sua attenzione su quella serie di misure preventive ritenute obbligatorie e non derogabili che, nonostante siano desumibili da tutte le leggi che ruotano attorno al programma anticorruzione, necessitano di una schematizzazione unitaria valida a livello nazionale:

1. Trasparenza

Con il termine Trasparenza si fa riferimento agli obblighi di informativa richiesti, in un primo momento, dalla Legge 190/2012 e, successivamente, dal D.Lgs. 33/2013 di riordino della disciplina. Nel P.N.A. la Trasparenza viene indicata come strumento fondamentale per la prevenzione della corruzione ma, soprattutto, come “misura trasversale”

45 TURTURIELLO R., PORCARI D. M., Manuale teorico-pratico in materia di anticorruzione., Maggioli Editore, Rimini, 2016, p. 40-41.

che obbliga le amministrazioni pubbliche a creare sul proprio sito internet istituzionale un'apposita sezione denominata “Amministrazione Trasparente” all'interno della quale deve essere inserito il Programma Triennale per la Trasparenza e l'Integrità.

2. Codice di Comportamento

Tale misura prevede l'obbligo di adozione per ogni Amministrazione di un Codice Etico contenente un insieme di norme correlate a cui viene attribuito il compito di delineare i principi fondamentali su come ci si deve o non ci si deve comportare all'interno del settore in cui ci si trova ad operare. Tale Codice che è stato adottato con il Decreto del Presidente della Repubblica 62/2013, deve essere pubblicato e reso noto a tutti i dipendenti.

3. Rotazione del personale

Essa rappresenta una specifica misura espressamente richiesta dalla Legge 190/2012 e consiste nell'alternare più professionisti nella gestione di uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che si verifichino casi di corruzione. Spesso le amministrazioni pubbliche, però, sono un po' in difficoltà nell'applicazione di tale misura a causa della scarsità di personale dotato di competenze necessarie a ricoprire i suddetti uffici.

4. Obbligo di astensione in caso di conflitti di interesse

Il P.N.A. ricorda che l'obbligo di astensione in caso di conflitti di interesse deve essere incentivato attraverso la predisposizione di iniziative volte ad informare il personale sull'obbligo di astenersi dal partecipare a decisioni che potrebbero porsi in conflitto con l'interesse perseguito nello svolgimento della funzione.

5. Svolgimento di incarichi d'ufficio – attività ed incarichi extra- istituzionali

In relazione a tale misura il P.N.A. interviene disponendo che le amministrazioni pubbliche debbano definire gli incarichi e le attività non consentite ai pubblici dipendenti secondo criteri differenziati per qualifiche e ruoli. In particolare è opportuno che queste informazioni siano elaborate come proposte di decreto e che vengano trasmesse al Dipartimento della Funzione Pubblica.

6. Conferimento di incarichi dirigenziali in caso di particolari attività o incarichi precedenti

In questo caso si fa riferimento al tema dell'inconferibilità disciplinato con il D.Lgs. 39/2013, il quale con tale termine intende la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal Decreto stesso a coloro che abbiano riportato condanne penali per specifiche tipologie di reati46, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche presso enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività a favore di questi e, infine, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico.

7. Incompatibilità specifica per posizioni dirigenziali

Anche in questo caso il richiamo è al D.Lgs. 39/2013 che prevede due ipotesi di incompatibilità. La prima tra gli incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonché lo svolgimento di attività professionale. La seconda tra gli incarichi appena citati e le cariche di componenti di organi di indirizzo politico.

8. Attività successiva alla cessazione del rapporto di lavoro (pantouflage –

revolving doors)

Con attenzione particolare per tale misura il P.N.A. dispone che le amministrazioni pubbliche implementino direttive interne finalizzate a sottolineare il divieto, da parte dei dipendenti pubblici che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni, di prestare attività lavorativa o professionale, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.

9. Formazione di commissioni, assegnazione agli uffici e conferimento di incarichi in caso di condanna per i delitti con la Pubblica Amministrazione Essa è disciplinata dalla Legge 190/2012, la quale prevede che coloro che sono stati condannati per i suddetti reati non possono fare parte o essere assegnati a commissioni o uffici preposti a svolgere determinate operazioni.

10. Tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (whistleblowing)

Al whistleblowing vengono ricondotte tutte le azioni di tutela del dipendente che denuncia fatti o condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in virtù del proprio lavoro svolto all'interno dell'amministrazione pubblica. Conseguenza diretta a tale scelta è rappresentata dalla predisposizione di tre specifiche forme di tutela che devono essergli garantite, quali la garanzia dell'anonimato, il controllo su eventuali forme di discriminazioni e la sottrazione della denuncia al diritto di accesso fatti salvi i casi di necessità di svelare l'identità del denunciante. (nuovo art. 54 bis nell'ambito del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 1, comma 51, della legge 190 del 2012). In particolare, per quanto

riguarda il terzo punto, l'identità del segnalante può essere rivelata all'autorità disciplinare e all'incolpato solo se vi è il consenso del segnalante, se la contestazione dell'addebito disciplinare è fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione oppure nel casi in cui la contestazione è fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell'identità è indispensabile per la difesa dell'incolpato.

11. Formazione

La formazione, quale misura generale di prevenzione della corruzione, è ampiamente disciplinata dalla Legge 190/2012 e rappresenta un punto del Piano Nazionale Anticorruzione molto importante. In particolare quest'ultimo, in relazione a questa misura, dispone che le amministrazioni pubbliche si impegnino a predisporre percorsi di formazione e aggiornamento continuo, anche mediante sessioni formative in house o svolgimento di formazione ad hoc, indirizzati al personale con l'obiettivo di informare ma soprattutto “formare” tutti i dipendenti su quelle che sono le concrete modalità di attuazione della strategia preventiva.

12. Patti di Integrità

I patti d'integrità richiamati dal P.N.A. non sono altro che quei protocolli di legalità previsti dalla Legge 190/2012. Questi, proprio tale legge, li definisce come un complesso di regole di comportamento finalizzate alla prevenzione della corruzione che possono essere introdotte dalle stazioni appaltanti negli avvisi, nei bandi di gara o nelle lettere di invito. L'accettazione delle clausole contenute nei patti d'integrità, da parte dei concorrenti ad una gara d'appalto costituisce il presupposto necessario per la loro partecipazione visto che il mancato rispetto provoca l'esclusione dalla gara.

13. Azioni di sensibilizzazione e rapporto con la società civile

Il P.N.A. in questo caso fa riferimento alla pianificazione di adeguate misure di sensibilizzazione della cittadinanza istituendo canali di comunicazione nell'ambito dei quali possano essere fatte segnalazioni relative ad episodi di cattiva amministrazione, di corruzione o di conflitti di interesse da parte dei cittadini.

In relazione a quanto appena detto giocano un ruolo molto importante gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico che hanno come obiettivo principale proprio quello di agevolare i rapporti tra ente pubblico e cittadini.

Sulla base delle specificità di ciascuna amministrazione è compito dei responsabili della prevenzione aggiungere alle misure appena elencate tutte le possibili e ulteriori disposizioni ritenute opportune.

Dopo questa premessa è opportuno sottolineare che il tema della gestione del rischio ha come obiettivo principale quello di definire le modalità concrete finalizzate a prevenire l'illegalità e, quindi, proprio per tale motivo, si muove su un piano diverso rispetto a quello dell'individuazione delle misure preventive menzionate sopra.

In sostanza l'argomento che sarà preso in considerazione nei successivi paragrafi non è né l'obiettivo, né le misure generali ma il mezzo, ovvero le modalità operative attraverso il quale raggiungere l'uno e le altre.47