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Correlati psicofisiologici della dipendenza affettiva in soggetti con esperienza di meditazione

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA E

DELLA SALUTE

CORRELATI PSICOFISIOLOGICI

DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA IN SOGGETTI

CON ESPERIENZA DI MEDITAZIONE

RELATORE

Prof.ssa Antonella Ciaramella

CANDIDATA

Simona Silvestri

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1

A me

e a tutte le persone che come me

spesso hanno paura di non farcela

ma poi attingono alla loro forza innata

e, con determinazione

e testardaggine,

riescono nei propri obiettivi.

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2

INDICE

PARTE 1

INTRODUZIONE……….………..….6

1. Love Addiction……….……….………...………6 1.1. L’amore romantico……….……6

1.1.1. L’amore romantico ed il legame di coppia: la prospettiva evoluzionistica………..6

1.1.2. L’amore romantico e la psicopatologia……….8

1.1.3. La neurobiologia dell’amore romantico………...11

1.2. Dall’amore romantico alla dipendenza affettiva………13

1.2.1. Somiglianze e differenze tra l’amore romantico e la dipendenza da sostanze……….17

1.2.2. Reati di passione………19

1.2.3. Attivazione neurale nelle addiction……….19

1.2.4. Fattori neuroendocrini coinvolti nelle addiction……….22

2.

La meditazione come trattamento………...……25

2.1. Definizione di Meditazione………25

2.2. La meditazione in psicologia della salute………27

2.3. Le principali tecniche di meditazione……….29

2.3.1. Meditazione Trascendentale………32

2.3.2. Thai Chi Chuan………...33

2.3.3. Meditazione Vipassana……….33

2.3.4. Amorevolezza Incondizionata non referenziale………..34

2.3.5. Meditazione Samatha………34

2.3.6. Zen (zazen)……….34

2.3.7. So’ham Jap (Hamsa)..……….35

2.3.8. Kirtan Kriya………35

2.3.9. Yoga………36

2.4. I meccanismi neurobiologici implicati nella mindfulness……….38

2.5. La meditazione come trattamento delle dipendenze……….42

2.5.1. La meditazione come trattamento nella dipendenza da fumo……….44

2.5.2. La meditazione come trattamento nella dipendenza da uso di sostanze……….46

2.5.3. La meditazione come trattamento nella dipendenza da alcol………..47

(4)

3

PARTE 2

1. RICERCA SPERIMENTALE

1.1. Ipotesi………..49

1.2. obiettivo dello studio……….49

1.3. Campione………..50

1.4. Il disegno dello studio……….…….51

1.5. Strumenti di indagine………...52

1.6. Analisi statistiche……….58

2. RISULTATI………60

2.1. Analisi descrittive………...60

2.1.1. Analisi descrittiva delle variabili socio-demografiche nel campione totale……….60

2.1.2. Anali descrittiva delle variabili di indagate nel campione totale……….62

2.1.3. Analisi descrittiva della variabile mania nel campione totale………66

2.1.4. Analisi descrittiva dei gruppi distinti in base al test di screening per Love Addiction……….69

2.1.5. Analisi descrittiva della variabile mania nei gruppi con LAST<7 E LAST≥7………71

2.2. Analisi statistica dei dati………..76

2.2.1. Analisi dei dati relativi al campione totale………..76

2.2.2. Analisi dei dati relativi ai gruppi LAST<7 E LAST≥7……….77

2.2.3. Analisi dei dati relativi agli alti meditatori e al gruppo di controllo………79

2.2.4. Analisi dei dati relativi al gruppo di praticanti Vipassana e al gruppo di controllo….82

3. DISCUSSIONE………85

4. CONCLUSIONE……….91

BIBLIOGRAFIA……….96

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4

Abstract

La Love Addiction, non essendo presente né nel DSM-5 né nel ICD-10, non dispone di criteri diagnostici riconosciuti, ma si ritiene essere caratterizzata da una sintomatologia che sembra comparabile a quella presente nelle dipendenze da sostanze: ossessività, impulsività e compulsività. Come le altre forme di dipendenze sembrano siano interessati disfunzioni dei medesimi neurotrasmettitori, sono coinvolti gli stessi percorsi neurali, in particolare, il sistema cerebrale di ricompensa. La mindfulness, intesa come l’acquisizione attraverso la pratica di una peculiare modalità di vivere le esperienze con attenzione consapevole, senza giudicarle, accogliendole e accettandole così come sono, viene utilizzata nel controllo del comportamento di dipendenza. Dalla narrativa scientifica si evince come la mindfulness possa essere usata come trattamento integrativo per una grande varietà di dipendenze poiché sembra influenzare positivamente la gestione dei pensieri ossessivi e ridurre il craving.

Il presente studio intende riscontrare le eventuali differenze in soggetti che risultano positivi al test di screening per Love Addiction in relazione a differenti livelli di familiarità nell’attenzione di tipo meditativo. L’indagine oltre a strumenti self-report esplora questo tipo di soggetti anche mediante risposte psicofisiologiche a stimoli che elicitino la componente affettiva denominata “romantic

obsession”, indicatore / predittore di dipendenza affettiva. Sono stati utilizzati i seguenti test: il LAST

(Love Addiction Screening Test, Aaron Alan, 2010; Mellody et al., 1992), l’ASQ (Attachment Style Questionnaire, Feeney, Noller e Hanrahan, 1994), la MAAS (Mindful Attention Awareness Scale, Brown e Ryan, 2003), la LAS (Love Attitudes Scale, Hendrick e Hendrick, 1986). Oltre al Software OpenSesame, appositamente creato per lo studio, per la visualizzazione degli stimoli e l’Heart&Emotion utilizzato per rilevare i parametri fisiologici quali la conduttanza cutanea e la frequenza cardiaca.

L’analisi è stata condotta su 65 soggetti di cui circa la metà meditatori. Per le indagini il campione è stato diviso in gruppi in base alle risposte affermative riportate alla LAST. In un ulteriore analisi, i soggetti sono stati valutati anche in base ai giorni dedicati alla pratica meditativa. E in particolare alla pratica Vipassana.

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5

Dai risultati emerge che la meditazione non influenza positivamente i tratti della Love Addiction ma addirittura sembra esserci un peggioramento, come constatato dal peggioramento dei tratti della mania confrontata con il passato. Si rileva, inoltre, che gli alti meditatori restano più rilassati in confronto al gruppo di controllo rispetto alle domande che provocano una risposta emozionale più intensa. Esplorando, quindi, quanto la tecnica della meditazione possa aiutare i soggetti che presentano un comportamento di Love Addiction, si evidenzia che a differenza di ciò che ci si aspettava i soggetti alti praticanti presentano una maggiore tendenza al comportamento romantic

obsession rispetto alla restante parte di soggetti che non pratica o pratica poco la meditazione.Per quanto riguarda i parametri neurovegetativi che tendono ad esplorare l’arousal invece si osservano i benefici della meditazione in maniera del tutto indipendente dalla presenza di Love Addiction.Il nostro studio non conferma, dunque, i dati della letteratura circa l’efficacia delle pratiche meditative in funzione della sintomatologia delle dipendenze, in quanto non risultano evidenti differenze sia quando il campione viene diviso in base al test di screening LAST sia indagando una strategia di controllo della dipendenza come la pratica meditativa

PAROLE CHIAVI: consapevolezza, dipendenza, love addiction (dipendenza affettiva), mania, meditazione, mindfulness.

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PARTE 1: INTRODUZIONE

1. LOVE ADDICTION

«L’amor che move il sole

e l’altre stelle»

(Dante)

1.1. L’amore romantico

L’amore romantico è definito come “uno stato di intenso desiderio di unione con l’altro” (Hatfield e Rapson, 1987).

L’esperienza dell’amore romantico durante l’adolescenza è un fattore importante per lo sviluppo psicosociale di ciascun individuo e rappresenta un’opportunità significativa per prepararsi alle future relazioni romantiche che verranno sperimentate da adulti (Bajoghli et al., 2013). Dunque, le relazioni romantiche sono delle importanti e necessarie opportunità di apprendimento, favorendo lo sviluppo dell’identità, delle competenze psicosociali per le future relazioni romantiche da adulti e il valore dell’unione della coppia. Gli studi in psicologia evolutiva mostrano come l’esperienza dell’innamoramento e, al contrario, il decadimento dell’amore siano fenomeni interculturali e universali rappresentando esperienze riscontrabili in tutti i contesti sociali, culturali e religiosi.

1.1.1. L’amore romantico e il legame di coppia: la prospettiva evoluzionistica

È stato osservato che i sistemi neurali associati ai sentimenti dell’amore romantico e dell’attaccamento verso il partner si siano evoluti congiuntamente con l’evoluzione della predisposizione umana per il legame di coppia, fungendo da meccanismi per stimolare la scelta del compagno e motivando gli individui a rimanere con un compagno abbastanza a lungo da allevare ed educare insieme la prole (Fisher, 2016). Questa ipotesi suggerisce che i sistemi neurali attivati

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durante l’esperienza dell’amore e dell’attaccamento romantici siano sistemi di sopravvivenza con radici di tipo evoluto (Frascella et al., 2010).

I legami di coppia sono un segno distintivo dell’umanità. Pur essendo vero che, a livello mondiale, i tassi di matrimonio sono diminuiti negli ultimi decenni, oggi l’85-90% degli individui negli Stati Uniti progetta di sposarsi (Cherlin, 2009). A livello culturale, molti individui sono monogami. La poliginia è permessa nell’84% delle società umane, ma solo il 5-10% degli uomini ha in realtà più mogli contemporaneamente (Van den Berghe, 1979; Frayser, 1985). Inoltre, la poligamia è stata spesso associata al rango e alla ricchezza, al contrario, la monogamia sembrerebbe essere stata rilevata soprattutto, nel passato, nelle società pre-orticole, non divise in classi sociali e dedite alla caccia (Daly e Wilson, 1983), periodo a cui risale, probabilmente, l’evoluzione dei sistemi neurali associati all’amore romantico, della fase iniziale, e all’attaccamento verso il partner.

La predisposizione umana per il legame di coppia, preceduta spesso dall’attrazione romantica, sembra avere anche una base biologica. Gli studi sull’attaccamento umano ebbero inizio con Bolwlby (1969, 1973) e Ainsworth et al. (1978) i quali proposero che, per promuovere la sopravvivenza dei piccoli, i primati abbiano sviluppato un innato sistema di attaccamento progettato per motivare i bambini a cercare conforto e sicurezza nel loro caregiver principale (generalmente la madre). Attualmente, i ricercatori credono che questo sistema di attaccamento basato sulla biologia rimanga attivo nell’uomo per tutto il corso della propria vita, servendo da fondamento per l’attaccamento tra i partner, nel legame di coppia, e per prendersi cura della prole.

In senso evolutivo, il legame di coppia potrebbe essere comparso in un qualsiasi momento dell’evoluzione degli ominidi e con essi, probabilmente, le varie dipendenze affettive. Tuttavia, i dati suggeriscono che i circuiti neurali implicati nel legame di coppia negli uomini potrebbero essersi evoluti addirittura agli arbori del genere umano (Fisher, 1992, 2011, 2016), insieme all’adattamento dell’uomo all’ecosistema bosco/savana poco prima di 4 milioni di anni fa. Dai reperti fossili dell’Ardipithecus ramidus, attualmente datato 4,4 milioni di anni fa, sono emersi vari correlati anatomici sessuali associati al comportamento riproduttivo molto simili alla nostra anatomia sessuale (Lovejoy, 2009). Infatti, Lovejoy (2009) sostiene che la monogamia umana si sia evoluta in questo periodo. A supporto di questa ipotesi, gli antropologi che hanno misurato in un secondo momento i fossili di Australopithecus afarensis per evidenziare variazioni scheletriche hanno constatato che, già da 3,5 milioni di anni, gli ominidi presentavano quasi lo stesso grado di dismorfismo sessuale in molti caratteri fisici esibiti attualmente dai due sessi. Così, alcuni ricercatori

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hanno iniziato ad ipotizzare che la specie non era caratterizzata da un sostanziale bimaturismo sessuale e che vi fosse un’elevata probabilità che la strategia riproduttiva di A. afarensis fosse principalmente la monogamia (Reno et al., 2013).

L’emergere del bipedismo potrebbe essere stato un fattore primario nell’evoluzione dei circuiti neuronali preposti al legame di coppia degli ominidi (Fisher, 1992, 2011, 2016) e per l’evoluzione concomitante delle dipendenze affettive come anche dell’attaccamento. Nel cercare di provvedere al cibo nell’ecosistema foresta/savana, le femmine bipedi di Ardipithecine erano molto probabilmente costrette a portare i piccoli in braccio invece che sulla schiena, avendo quindi necessità della protezione e dell’approvvigionamento da parte di un compagno mentre trasportavano il piccolo che stavano nutrendo. Nel frattempo, i maschi di Ardipithecine possono aver avuto notevoli difficoltà nel proteggere e sostenere un harem di femmine in questo ecosistema aperto bosco/savana. Tuttavia un maschio poteva difendere e sostenere una sola femmina e il suo piccolo se rimanevano vicini e prossimi alla comunità più ampia. Pertanto, le esigenze legate all’andatura eretta in associazione all’espansione degli ominidi nell’ecosistema bosco/savana possono aver spinto le Ardipithecine oltre la “soglia della monogamia”, con conseguente selezione dei sistemi neuronali preposti all’attaccamento verso un solo partner e con successivo sviluppo del sistema celebrale destinato all’intensa dipendenza amorosa positiva, volto a motivare maschi e femmine a concentrare le proprie energie amorose su un unico partner con il quale svolgere i compiti genitoriali a favore dei piccoli.

1.1.2. L’amore romantico e la psicopatologia

Contrariamente all’opinione comune, sperimentare uno stato di amore romantico non è sempre un’esperienza gioiosa e felice. Uno studio condotto su un campione di 844 giovani adulti rileva che i partecipanti riferiscono che durante il periodo dell’innamoramento hanno sperimentato anche la cosiddetta ipomania del “lato oscuro” (caratterizzata da disinibita ricerca di stimoli e sintomi di irritabilità atipica); inoltre, è stato riferito che essere infelici in amore porti a sperimentare difficoltà nel sonno. Gli autori hanno concluso che sperimentare l’amore romantico potrebbe essere un evento di vita critico associato a sintomi di depressione e ansia e insonnia (Brand, Foell, Bajoghli, Keshavarzi, Kalak, Gerber, et al., 2015).

Da un altro studio condotto sugli adolescenti iraniani si è scoperto che le femmine adolescenti iraniane che hanno dichiarato di essere innamorate avevano punteggi più alti per l’ipomania e

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l’attività fisica, rispetto a quelle non innamorate (Bajoghli, Joshaghani, Mohammadi, Holsboer-Trachsler, Brand, 2011). I risultati sono stati confermati da un studio, sugli adolescenti innamorati, svolto in Svizzera (Brand, Luethi, von Planta, Hatzinger, Holsboer-Trachsler, 2007). E ancora da un altro studio che ha valutato gli adolescenti maschi che hanno riportato punteggi più alti per l’ipomania e punteggi più bassi per la depressione confrontati con soggetti non innamorati (Bajoghli, Joshaghani, Gerber, Mohammadi, Holsboer-Trachsler, Brand, 2013). Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, negli adolescenti innamorati si riscontrano punteggi più alti per l’ansia di stato (Bajoghli, Joshaghani, Mohammadi, Holsboer-Trachsler, Brand, 2011). Considerando la diversità culturale e i problemi sociali, è ipotizzabile che i punteggi elevati di ansia fossero associati a disapprovazione da parte dei genitori riguardante le relazioni amorose dei figli adolescenti. Questo è coerente con le recenti scoperte che indicano che un atteggiamento più liberale nei confronti delle decisioni sociali degli adolescenti è legato al livello di istruzione paterno (Khalajabadi Farahani, Cleland, 2015).

Gli studi, però, precludevano l’osservazione dei cambiamenti e della stabilità dell’umore, per questo sono stati svolti altri studi il cui scopo era indagare se e come cambia nel tempo l’amore romantico e in che modo il cambiamento si associa a alterazioni dell’umore quali ipomania, depressione e ansia e alterazione del sonno. Per un’ulteriore indagine, i soggetti del precedente studio sono stati ricontattati e rivalutati. È stato constatato che, col passare del tempo, la prima fase dell’amore romantico svanisce anche se varia la durata del cambiamento da questo stato iniziale a uno stato d’amore più stabile o alla rottura della relazione. Negli adulti si rilevano periodi caratterizzati dall’amore romantico che vanno da 7 mesi (Fisher, 2004) a 12-24 mesi (Marazziti, Canale, 2004) a 2,3 anni (Bertels, Zeki, 2000). Mentre tra gli adolescenti, Brand et al. (2007), hanno rilevato un intervallo che varia dai 7 ai 9 mesi, in cui è sperimentato l’amore romantico intenso, tipico della fase iniziale, in cui si constata un aumento dell’ipomania e un aumento degli stati d'animo positivi, meno ore di sonno con maggiore qualità soggettiva del sonno, sonnolenza diurna ridotta e maggiore concentrazione durante il giorno. Da queste constatazioni, la valutazione degli adolescenti è stata effettuata con un intervallo di 8 mesi dalla precedente valutazione sull’amore romantico e gli stati d’umore correlati (ipomania, depressione e ansia). Lo studio di follow-up mirava a indagare l’attuale condizione sentimentale rispetto alla precedente indagine (se il soggetto era innamorato o meno). Sono state indagate: l’ipomania, compilando la HCL-32 (Angst et al., 2005), uno strumento di autovalutazione utilizzato per indagare sintomi ipomaniacali; l’ansia di stato e

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ansia di tratto (cronica) utilizzando lo State-Trait Anxiety Inventory (STAI, Spielberger et al.,1983), un questionario di autovalutazione che raccoglie informazioni sui sintomi dell’ansia attuale e cronica; la depressione indicando i sintomi tipici della depressione nella scala della depressione (HAM-D, Von Zerssen, 1976) e le alterazioni del sonno aggiornando il proprio registro del sonno per sette giorni. Dai risultati emerse che i punteggi di ipomania erano cambiati significativamente nel tempo: i punteggi di ipomania erano diminuiti significativamente sia nei soggetti che risultavano innamorati sia al momento del primo studio che al follow-up che nei soggetti innamorati prima ma non al follow-up; i punteggi risultavano aumentati nei soggetti che non erano innamorati prima ma lo sono al follow-up; non ci sono stati, invece, cambiamenti significativi nei soggetti che hanno dichiarato di non essere innamorati né nel periodo nel primo studio né al follow-up.

I punteggi di ansia di tratto non differivano significativamente nel tempo in nessun partecipante. Al contrario, i punteggi di ansia di stato sono diminuiti nei soggetti innamorati alla prima somministrazione del test ma non al follow-up; mentre sono aumentati nei non innamorati prima ma innamorati al follow-up; non sono state osservate modifiche significative negli altri partecipanti. I punteggi rilevati nella scala della depressione non differivano significativamente nel tempo, ma risultavano diminuiti solo nei partecipanti che hanno dichiarato di essere innamorati al follow-up ma non alla prima valutazione.

Non ci sono stati cambiamenti significativi per alcun soggetto nei fattori collegati al sonno (concentrazione, attività fisica, alterazione dell’umore durante il giorno, qualità del sonno, durata del sonno, inizio del sonno).

Da questo studio è emerso che nei partecipanti che sono stabilmente innamorati durante il periodo di 8 mesi, i punteggi di ipomania sono diminuiti. Questa osservazione è coerente con gli altri studi che sostengono che la prima fase dell’amore romantico svanisce sia negli adolescenti (Brand, Angst, Holsboer-Trachsler, 2010), che nei giovani (Marazziti, Canale, 2004) e negli adulti (Fisher, 2004; Bartels, Zeki,2000). Tale risultato è indicativo di una diminuzione dell’intensità dell’amore romantico quando esso evolve in un amore più maturo. Nei partecipanti che risultavano innamorati al follow-up si è riscontato un aumento dei punteggi di ipomania. Questo risultato conferma i dati di altri studi in cui si sostiene l’idea che l’amore romantico, sperimentato nella fase iniziale, è considerato

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un periodo di vita caratterizzato da sentimenti di ebbrezza, gioia, divertimento ed eccitazione e associato ad un decremento di sintomi di depressione.

I punteggi di ansia di stato significativamente aumentati potrebbero essere indicativi di una erronea interpretazione degli stati di eccitazione fisiologica (Schachter e Singer, 1962). Inoltre, Marazziti et al. (1999) hanno sostenuto che l’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo e gli stati di intenso amore romantico condividono una comune alterazione delle piastrine trasportatrici della serotonina. A questo proposito, Hatfield & Sprecher (1986) hanno sottolineato la presenza di una dimensione ossessiva dell’amore romantico. Allo stesso modo, Leckman & Mayes (1999) e Fisher et al. (2005; 2016) hanno affermato che vi sono somiglianze comportamentali e neurofisiologiche evidenti nella fase iniziale dell’amore romantico e tratti dei disturbi ossessivo-compulsivi. Tuttavia, l’ansia di stato può essere dovuta alla disapprovazione da parte dei genitori circa il coinvolgimento dei propri figli in relazioni amorose. Si nota, inoltre, che l’ansia di stato diminuisce significativamente negli adolescenti che vivevano una relazione amorosa nel periodo del primo studio ma non al follow-up. Infine, non sono state trovate connessioni tra l’amore romantico e alterazioni del sonno. Anche se la letteratura è discordante a proposito di questo (Brand et al., 2007; Bajoghli et al., 2017).

1.1.3. La neurobiologia dell’amore romantico

Il sistema celebrale per l’amore romantico umano mostra analogie biologiche con i sistemi neurali dei mammiferi per l’attrazione tramite il corteggiamento. Quando un’arvicola (roditore) di prateria allevata in laboratorio si accoppia con un maschio, sviluppa una chiara preferenza per questo partner associata ad un aumento del 50% della dopamina nel nucleo accumbens (Gingrich et al., 2000). È stato osservato che iniettando un antagonista della dopamina nel nucleo accumbens, la femmina non mostra più preferenza per il partner; mentre, quando viene iniettato un agonista della dopamina, inizia a presentare una preferenza per l’animale della propria specie che è presente al momento dell’infusione, pur non essendosi accoppiata con questo maschio (Wang et al., 1999; Gingrich et al., 2000). Un aumento dell’attività dopaminergica centrale è anche associato all’attrazione del corteggiamento nelle pecore femmina (Fabre-Nys et al., 1997). Nei ratti maschi è stato anche dimostrato un aumento del rilascio della dopamina striatale in risposta alla presenza di una femmina di ratto quando ricettiva (Robinson et al., 2002; Montague et al., 2004).

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Poiché l’amore romantico umano condivide con i mammiferi molte caratteristiche comportamentali e biologiche come ad esempio l’attrazione tramite il corteggiamento, è probabile che l’amore romantico umano sia una forma evoluta di questo meccanismo neurale dei mammiferi (Fisher, 1998, 2004, 2011, 2016). Tuttavia, nella maggior parte delle specie l’attrazione tramite corteggiamento è breve, dura solo pochi minuti, ore, giorni o settimane; mentre negli umani, l’amore intenso e romantico della prima fase può durare 12-18 mesi (Marazziti et al., 1999) o molto di più (Acevedo et al., 2011).

Quindi, l’attività nel sistema neurale dei mammiferi per l’attrazione tramite corteggiamento, potrebbe essersi intensificata e prolungata con l’evolversi del legame di coppia, fino a diventare la dipendenza positiva (o negativa) dell’amore vissuta oggi da uomini e donne innamorate.

Uno studio di Fisher et al. (2003) e Aron et al. (2005) che coinvolgeva 17 soggetti (10 donne e 7 uomini), felicemente innamorati e che avevano ottenuto un punteggio elevato nella Passionate Love Scale (Hatfield e Sprecher, 1986), mostra, utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fRMI), come nei partecipanti, nel momento in cui veniva mostrata una fotografia della persona amata (vs fotografia di un familiare), si osservava un’attivazione del sistema di ricompensa del cervello (tra cui l’area tegmentale ventrale e il nucleo caudato) mediato principalmente dall’attività della dopamina (Degrado et al., 2000; Schultz, 2000; Elliott et al., 2003). Come vedremo, queste regioni del sistema di ricompensa sono associate anche alla dipendenza da sostanze e ad alcune dipendenze comportamentali.

Come suggerisce Berridge et al. (2009) c’è una differenza tra “volere” e “piacere”. Una faccia attraente (“piacere”) attiva un’area cerebrale diversa da quella attivata alla vista del partner amato (“volere”): la prima attiva l’area tegmentale ventrale sinistra, mentre la seconda attiva l’area tegmentale ventrale destra.

Inoltre, si è costatato che quando gli innamorati osservano le foto del loro partner mostrano un’attivazione significativa in alcune regioni del cervello che includono l’area tegmentale ventrale (VTA), il nucleo accumbens (NAC), il caudato, l’insula, la corteccia cingolata anteriore dorsale (dACC) la corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC), l’ippocampo, la corteccia cingolata posteriore (PCC), il precuneo, la giunzione temporo-parietale (TPJ) e l’ipotalamo (Bartels e Zeki, 2000; Aron et al., 2005; Ortigue et al., 2007; Xu et al., 2011; Acevedo et al., 2012). Da un recente studio, inoltre, si è scoperto che il nucleo accumbens e la corteccia prefrontale mediale (mPFC) risultano attivati quando gli innamorati sono esposti a stimoli correlati al partner (Wang et al., 2016).

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1.2. Dall’amore romantico alla dipendenza affettiva

Nella fase iniziale, come già accennato in precedenza, l'amore romantico è solitamente caratterizzato da intense reazioni emotive come euforia, attenzione intensamente focalizzata sull’individuo preferito, pensiero ossessivo sulla persona, dipendenza emotiva e brama di unione affettiva con la persona amata (Hatfield e Rapson, 1987; Aron et al., 2005).

Per coloro che rimangono in una relazione oltre lo stadio iniziale, che costituisce una fase intensa e romantica, si instaura un’importante seconda costellazione di sentimenti tipici dell’attaccamento (Acevedo et al., 2011).

Dagli studi condotti sugli animali emerge che in individui che vivono relazioni più lunghe (8-17 mesi), cioè quando si instaura l’attaccamento, come ad esempio nella relazione madre-figlio nei ratti, si osserva una peculiare attività nella porzione ventrale del globo pallido ipsilaterale (Insel a Young, 2001), continuando, tuttavia, a mostrare attività nell’area tegmentale ventrale (VTA) e nel nucleo caudato, come già visto, associato all’amore romantico. Con il tempo, i sentimenti che caratterizzano l’attaccamento cominciano ad accompagnare i sentimenti tipici dell’amore romantico, di conseguenza i due sistemi neurali attivati costituiscono il fondamento biologico del legame di coppia, creando il contesto per l’evoluzione della dipendenza affettiva.

Le relazioni romantiche sono una parte significativa delle nostre vite. Una relazione sana può aumentare la nostra soddisfazione di vita e il nostro benessere psicologico, proteggendoci così dagli effetti deleteri dello stress (Kawamichi et al., 2016; Kiecolt-Glaser e Wilson, 2017; Love and Holder, 2016). In effetti, le relazioni romantiche forniscono una varietà di effetti positivi gratificanti come la compagnia, la passione e l'intimità (Gable and Impett, 2012). Sfortunatamente, tuttavia, le relazioni romantiche possono anche essere fonte di grande dolore e sofferenza. Questo perché fattori come il rifiuto, l'abbandono e i conflitti in una relazione possono portare a disagio psicologico e dolore emotivo. In effetti, i problemi nelle relazioni romantiche possono portare all'emergere o esacerbare i sintomi psicopatologici esistenti come depressione, ansia e abuso di sostanze (Gable and Impett, 2012, Collins et al., 2002).

Alcuni autori sostengono che l’“amore patologico”, coinvolge passione e dedizione altruistica, caratterizzato dal fornire attenzione e cura ripetitiva e incontrollata al partner romantico (Berscheid, 2010; Marazziti et al., 2003; Sophia et al., 2009).

Alcune persone sentono che il loro modo di amare il loro partner provoca sofferenza a causa della cura eccessiva e della devozione mostrata al partner. Il partner è spesso considerato una priorità,

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mentre altre attività e interessi, una volta valutati, vengono ignorati (Sophia et al., 2007). Una caratteristica distintiva dell’amore patologico sono i disperati tentativi di portare avanti la relazione, nonostante un forte sentimento interiore di sconvenienza e insoddisfazione per il rapporto, che sottolinea la natura paradossale e patologica della sindrome (Sophia et al., 2009). In effetti, la combinazione di tratti dipendenti di personalità, inclinazione all'ansia e eccessiva suscettibilità alla punizione aumenta la probabilità di mantenere una relazione anche se è gravosa a causa della paura dell'abbandono (Simon, 1982; Norwood, 1986).

Fisher et al. (2016) hanno proposto che l’amore patologico possa essere meglio definito come una dipendenza. A supporto di questa supposizione, gli individui con amore patologico riferiscono un aumento della ricerca di novità, dell’eliminazione del disagio, del premio-dipendenza, dell’auto-trascendenza, una bassa auto-direzionalità e una maggiore impulsività. Tutti questi fattori sono associati anche ai comportamenti caratteristici della dipendenza (Sophia et al., 2007, Fisher et al., 2016).

Sophia et al. (2007; 2009) suggeriscono sei criteri che, in realtà, fanno riferimento alla dipendenza in quanto l’amore patologico è stato concettualizzato proprio come un disturbo da dipendenza. 1) segni e sintomi di astinenza (insonnia, tachicardia, tensione muscolare, periodi alternati di letargia o attività intensa) quando il loro partner è fisicamente o emotivamente non disponibile, o avverte il pericolo di abbandono;

2) il comportamento di prendersi cura del partner è più intenso di quello che vorrebbe che fosse; 3) perdita di controllo con frequenti tentativi falliti di ridurre o interrompere l'attaccamento malsano; 4) passare troppo tempo a cercare di controllare le attività del partner;

5) abbandono di attività sociali pregresse come realizzazioni personali e professionali, socializzazione con colleghi e parenti;

6) mantenimento del legame patologico, nonostante i danni personali, familiari e professionali. In effetti, ricerche passate suggeriscono che persone con amore patologico dimostrano la perdita di controllo, sintomi di preoccupazione e di astinenza (Simon, 1982, Sophia et al., 2007), a conferma di una patologia da dipendenza.

Il costrutto di “dipendenza affettiva” (Love Addiction) non è presente né nel DSM 5 né nel ICD 10 per cui, ad oggi, non si dispone di criteri diagnostici ufficialmente riconosciuti, ma molti sono gli autori che indagano tale costrutto. Si ritiene che la “Love Addiction” fa parte delle cosiddette “New Addictions”, quelle forme di dipendenza definite “dipendenze comportamentali”, poiché non

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vedono coinvolta alcuna sostanza chimica (come alcol o droghe): l’oggetto di queste dipendenze infatti è un comportamento (o una persona nel caso della dipendenza affettiva) o un’attività lecita e socialmente accettata.

Molte delle diagnosi di dipendenze comportamentali hanno in comune diversi elementi diagnostici caratteristici dei disturbi da “deficit del controllo degli impulsi” o dei disturbi “compulsivi”.

Alcune new addictions o dipendenze comportamentali oltre alla dipendenza affettiva sono: il gioco d’azzardo patologico (o pathological gambling), la dipendenza da internet, la dipendenza da lavoro (work addiction o workaholic), lo shopping compulsivo (compulsive buying), la dipendenza da attività fisica (exercise addiction) e la dipendenza dal sesso (sex addiction).

La caratteristica di queste forme di dipendenza è che esse rappresentano, nella loro manifestazione compulsiva, il versante patologico di attività comunemente praticate dalle persone nella loro vita quotidiana.

Nel 2006 è stata pubblicata in Italia una ipotesi di nuovi criteri diagnostici delle dipendenze patologiche o addictions (La Barbera et al., 2006.):

A) Persistente e ricorrente comportamento di dipendenza maladattivo che conduce a menomazione o disagio clinicamente significativi, come indicato da un totale di cinque (o più) dei seguenti criteri [con almeno due da (1), di cui uno è (c), due da (2) e uno da (3)] per un periodo di tempo non inferiore ai 12 mesi.

1) Ossessività

a) pensieri e immagini ricorsivi circa le esperienze di dipendenza o le ideazioni relative alla dipendenza (per es. è eccessivamente assorbito nel rivivere esperienze di dipendenza passate o nel fantasticare o programmare le esperienze di dipendenza future);

b) i pensieri e le immagini relativi al comportamento di dipendenza sono intrusivi e costituiscono tensione ed eccitazione inappropriate e causano ansia o disagio marcati;

c) in qualche momento del periodo di durata del disturbo la persona ha riconosciuto che i pensieri e le immagini sono prodotti della propria mente (e non suscitati dall'esterno).

2) Impulsività

a) irrequietezza, ansia, irritabilità o agitazione quando non è possibile mettere in atto il comportamento di dipendenza;

b) ricorrente incapacità di resistere e di regolare i desideri di dipendenza inappropriati e gli impulsi a mettere in atto il comportamento di dipendenza.

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3) Compulsività

a) comportamenti di dipendenza ripetitivi che la persona si sente obbligata a mettere in atto, anche contro la sua stessa volontà, nonostante le possibili conseguenze negative, come conseguenza delle fantasie di dipendenza ricorrenti e del deficit del controllo degli impulsi;

b) i comportamenti o le azioni di dipendenza coatti sono volti a evitare o prevenire stati di disagio o per alleviare un umore disforico (per es. sentimenti di impotenza, irritabilità, inadeguatezza). B) I pensieri e i comportamenti di dipendenza ricorrenti e compulsivi impegnano il soggetto per la maggior parte del tempo, o interferiscono significativamente con le sue normali abitudini, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o le relazioni sociali usuali.

C) I pensieri e i comportamenti di dipendenza ricorrenti e compulsivi non avvengono esclusivamente durante un episodio maniacale, o condizioni mediche generali.

Da uno studio di Stravoggiannis et al. (2016), che valuta le somiglianze e le differenze tra l’amore patologico e la gelosia patologica, emerge che tra i partecipanti lo stile d’amore più dominante che caratterizza l’amore patologico così come la gelosia patologica è la mania (dimensione esplorata nella LAS o Love Attitudes Scale di Hendrick et al., 1998). Questa scoperta ha un senso intuitivo di come lo stile di amore-mania è caratterizzato da amore ossessivo, gelosia e dipendenza. In altre parole, le caratteristiche dello stile d'amore-mania sono caratteristiche sia della gelosia patologica (ossessiva, gelosa) sia dell'amore patologico (dipendente). Quindi, anche se gli individui con gelosia patologica e amore patologico hanno in comune probabilmente lo stile maniacale dell'amore, le caratteristiche dominanti si manifesteranno in modo diverso se si è più preoccupati dell'infedeltà o della paura dell'abbandono. Inoltre, lo stile dell'amore-mania è stato associato ad una minore autostima e a livelli più alti di impulsività (Mallandain e Davies, 1994), caratteristiche che si ritrovano anche nella gelosia patologica e nell'amore patologico (Costa et al., 2015, Sophia et al., 2007). Presi insieme, è probabile che lo stile di amore-mania sia quello più strettamente associato alla psicopatologia dell'amore e più strettamente correlato allo stile di attaccamento ansioso. Sfortunatamente, gli stili di attaccamento sono in gran parte influenzati dal rapporto delle persone con il loro caregiver primario, infatti le persone, da adulti, tendono a organizzare la propria vita affettiva in funzione dei precoci legami di attaccamento (Fraley and Shaver, 2000). Cioè, le persone che hanno avuto rapporti malsani e disadattivi con il loro caregiver primario possono essere maggiormente a rischio di vivere l'amore in modo disadattivo.

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Inoltre, nei soggetti con amore patologico si evidenzia un’alta comorbilità psichiatrica soprattutto con il disturbo depressivo maggiore. Vale la pena notare che il pensiero suicidario è risultato elevato (un terzo dei partecipanti) in entrambi i campioni. Questo risultato suggerisce che mentre relazioni sane e romantiche aumentano il benessere soggettivo e quindi possono tamponare il disagio psicologico e il rischio di suicidio, al contrario, la difficoltà nelle relazioni romantiche sono un fattore di rischio per idee e tentativi suicidari (Kingham e Gordon, 2004).

1.2.1. Somiglianze e differenze tra l’amore romantico e la dipendenza da sostanze

“All'inizio, ogni incontro era accompagnato da un'ondata di euforia: nuove esperienze, nuovi piaceri, ognuno più eccitante dell'ultimo. Ogni dettaglio è stato associato a quei sentimenti intensi: luoghi, tempi, oggetti, volti. Altri interessi improvvisamente sono diventati meno importanti in quanto è stato dedicato più tempo a perseguire il prossimo incontro gioioso. Gradualmente, l'euforia durante questi incontri calò, sostituita impercettibilmente da sentimenti di appagamento, calma e felicità. I momenti tra un incontro e l'altro sembravano crescere più a lungo, anche se rimanevano gli stessi, e la separazione si riempiva di desiderio doloroso e brama. Quando tutto fu bruscamente interrotto, la disperazione e il dolore seguirono, conducendo lentamente nella depressione”. (Burkett and Young 2012).

Burkett e Young (2012) mostrano come sia possibile descrivere l’esperienza dell’innamoramento e la dipendenza da sostanze in egual modo.

L’amore romantico, di solito, attraversa due fasi. La prima fase dell’amore romantico è la fase dell’innamoramento ed è maggiormente caratterizzata da euforia, attenzione intensamente focalizzata sulla persona amata, pensiero ossessivo rivolto all’amato, aumento di energia, oltre alla dipendenza emotiva, alla brama di unione emotiva con l’amato, eccitazione e stress (Marazziti e Canale, 2004; Aron et al., 2005). Dopo alcuni mesi (circa 6 mesi) il rapporto si evolve in una seconda fase in cui le caratteristiche dell’inclinazione allo stress, come il pensiero ossessivo, la dipendenza emotiva e la brama verso la persona amata si placano e vengono sostituite da sentimenti di calma, sicurezza e equilibrio (Stárka, 2007).

I ricercatori asseriscono che, come l’amore romantico, anche lo sviluppo delle dipendenze si divide in due fasi. Durante la prima fase l’uso di droghe è completamente deliberato e volontario (recidiva

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regolamentata) e i cambiamenti transitori nel funzionamento neuronale continuano per ore fino a qualche settimana durante l’astinenza. Durante la seconda fase, invece, l’uso di droghe è compulsivo e i cambiamenti nella neuroplasticità diventano “stabili” e durano per alcune settimane fino a diventare permanenti, responsabili del mantenimento della dipendenza diventano il substrato della ricaduta dopo un periodo di astinenza (Kalivas e O’Brien, 2008).

Alcuni ricercatori considerano l’amore romantico come un tipo di dipendenza comportamentale (Burkett e Young, 2012, Fisher et al., 2016). Come abbiamo visto, le persone che si trovano nella prima fase dell’amore romantico manifestano molti tratti simili ai tossicodipendenti (Liebowitz, 1983; Hatfield e Sprecher, 1986; Melody e Fisher, 2005, Association,2013). L’attenzione è rivolta completamente alla persona amata (salienza), anelano all’amato (craving), sentono un “rush” di euforia nel momento in cui vedono o pensano l’amato (euforia/intossicazione). Durante la costruzione del rapporto, l’amante cerca di interagire sempre di più con l’amato (tolleranza). Se l’amato interrompe la relazione, gli amanti sperimentano i segni comuni di astinenza da droghe come letargia, ansia, insonnia o ipersonnia, perdita o aumento dell’appetito, irritabilità e solitudine cronica (Fisher et al., 2016).

Dunque, come sostiene l’antropologa Helen Fisher (2016) il cervello innamorato e il cervello sotto effetto di droghe, come la cocaina, si assomigliano: sono attivati dagli stessi neurotrasmettitori chimici, caratterizzati dagli stessi percorsi neuronali e coinvolti dallo stesso effetto stimolante. Gli amanti pensano ossessivamente al loro oggetto d'amore, esagerano le sue qualità positive ed evitano di pensare sulle ripercussioni future. L’amore romantico (ma anche amore genitore-figlio e perfino forme perverse di amore compreso feticismo, sadomasochismo, ecc.) può facilmente diventare compulsivo, difficile da controllare e troppo focalizzato sull'immediato, con poca considerazione per le conseguenze future.

Ma cos’è la dipendenza? È un’abitudine che cresce e si auto-perpetua in tempi relativamente brevi, quando si persegue ripetutamente lo stesso obiettivo che appare molto attraente.

Molti ricercatori sostengono che la dipendenza sia una “malattia del sistema di ricompensa” (Rosenberg e Feder, 2014). Inoltre, uomini e donne innamorate o rifiutati dall’amato mostrano i sintomi base della dipendenza da sostanze e dal gioco elencati nel DSM 5, inclusi il craving, l’alterazione dell’umore, la tolleranza, la dipendenza emotiva e fisica e il ritiro. Inoltre, anche la ricaduta è un problema comune per chi soffre di dipendenza da sostanze o dipendenza comportamentale, così come tra gli amanti rifiutati.

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La dipendenza può essere considerata una risposta naturale a condizioni ambientali o economiche, al di là del controllo del tossicodipendente, compresa la povertà e l'alienazione sociale [Hart e Carl, 2013. Alexander e Bruce. 2008). La dipendenza può essere vista come una forma di automedicazione che funziona contro la sofferenza psicologica. Il trauma, sia fisico che psicologico o sessuale, è spesso considerato la causa principale dell'ansia e della depressione a lungo termine; e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è altamente correlato con l'uso di sostanze (Brady, Kathleen T., and Rajita Sinha, 2005. Szalavitz e Maia, 2008). Un quadro che comprende tutti questi approcci considera la dipendenza come un prodotto dello sviluppo cognitivo ed emotivo in cui, la predisposizione costituzionale, è consolidata dall'apprendimento durante l'infanzia e l'adolescenza (Szalavitz e Maia, 2008).

1.2.2. Reati di passione

Una patologia che è legata regolarmente all’amore romantico è lo stalking. Esistono due tipi di stalker: quelli impegnati nella ricerca di un ex che li respinge e quelli che perseguono uno sconosciuto o un conoscente che non è riuscito a contraccambiare le proposte romantiche dello stalker (Meloy e Fisher, 2005). In entrambi i casi, lo stalker esibisce molti dei comportamenti caratteristici di tutte le dipendenze, tra cui l’attenzione focalizzata sull’oggetto d’amore, l’energia aumentata, il pensiero ossessivo e l’impulsività diretta verso la vittima, suggerendo che lo stalking attiva aspetti del sistema di ricompensa (Meloy e Fisher, 2005) come nelle dipendenze da sostanze. Inoltre, la serie di fenomeni negativi associati al rifiuto nell’amore, tra cui la protesta, l’aumentato stress, l’esperienza della frustrazione, la rabbia dell’abbandono e la gelosia, in concomitanza con i sintomi del desiderio e dell’astinenza, probabilmente contribuiscono all’elevata incidenza mondiale di crimini di passione (Meloy, 1998; Meloy e Fisher, 2005).

1.2.3. Attivazione neurale nelle addiction

La dipendenza è caratterizzata da cambiamenti nei sistemi celebrali che mediano l’esperienza e l’anticipazione della ricompensa, i sistemi responsabili della percezione e della memoria e i sistemi esecutivi di ordine superiore che sottostanno al controllo cognitivo. La dipendenza è meglio considerata come un ciclo compulsivo di uso di sostanze associato alla disregolazione nei circuiti

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neurali che governano la motivazione e l'esperienza edonistica, il comportamento abitudinario e la funzione esecutiva (Koob e Volkow, 2016).

Nei i tossicodipendenti, se esposti a stimoli relativi alla droga, si rileva un’attivazione significativa in molte aree cerebrali quali l’area tegmentale ventrale, il nucleo accumbens, il caudato, l’insula, la corteccia cingolata anteriore dorsale, la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata anteriore ventrale (vACC), la corteccia orbitofrontale mediale (mOFC), il giro frontale inferiore (IFG) e l’amigdala (Volkow et al., 2003; Baler and Volkow, 2006). Dai recenti studi di Zhang et al. (2009, 2011) emerge che i fumatori esposti a stimoli relativi al fumo mostrano un’attività significativa nella corteccia prefrontale dorsolaterale, corteccia prefrontale mediale, corteccia cingolata anteriore ventrale, corteccia occipitale, insula, amigdala destra e corteccia cingolata anteriore dorsale.

Recentemente, sono stati indagati i cambiamenti neurali indotti da stimoli relativi alla dipendenza. I tossicodipendenti mostrano che la corteccia orbitofrontale destra (OFC), il nucleo accumbens, il cingolato anteriore bilaterale (ACC), la corteccia prefrontale mediale, la corteccia prefrontale dorsolaterale destra, il nucleo caudato destro, il paraippocampo sinistro sono attivati da stimoli relativi alla dipendenza (Zhang et al., 2016).

È, dunque, evidente che le regioni cerebrali associate all’amore romantico e alla dipendenza da sostanze sono l’area tegmentale ventrale, il nucleo accumbens, il caudato, l’insula, la corteccia cingolata anteriore dorsale, la corteccia prefrontale mediale e la corteccia prefrontale dorsolaterale come è stato evidenziato nella figura 1.

Per contro, ci sono aree cerebrali che vengono attivate esclusivamente dall’amore romantico o dalla dipendenza da sostanze. Nello specifico, le regioni cerebrali attivate solo dall’amore romantico includono l’ippocampo, la corteccia cingolata posteriore, il precuneo, la giunzione temporo-parietale e l’ipotalamo. Le regioni attivate unicamente dalla dipendenza da sostanze includono la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata anteriore ventrale, la corteccia orbitofrontale mediale, il giro frontale inferiore e l’amigdala.

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Fig. 1. Confronto tra l’alterazione funzionale del cervello nella tossicodipendenza e nell’amore romantico [AAC

corteccia cingolata anteriore, Vacc corteccia cingolata anteriore ventrale, Dacc corteccia cingolata anteriore dorsale, PCC, corteccia cingolata posteriore, OFC corteccia orbitofrontale, IFG giro frontale inferiore, dlPFC corteccia prefrontale dorsolaterale, PFC corteccia prefrontale, VTA area tegmentale ventrale, NAC nucleo accumbens, TPJ giunzione temporo- parietale, HIP ippocampo, HT ipotalamo, TEP corteccia temporale] (presa da Romantic love vs. drug addiction may inspire a new treatment for addiction. Zou et al. 2016)

L’area tegmentale ventrale, il nucleo accumbens e il caudato comprendono il sistema mesolimbico e sono principalmente associati al piacere, all’eccitazione generale, all’attenzione focalizzata e alla motivazione per perseguire e acquisire ricompense e sono mediate principalmente dall’attività del sistema della dopamina (Degrado et al., 2000; Schultz, 2000; Elliott et al., 2003). Queste regioni del sistema di ricompensa sono direttamente associate alla dipendenza e all’amore romantico.

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La corteccia cingolata anteriore dorsale contribuisce al monitoraggio del conflitto attraverso l’elaborazione delle informazioni e facilita gli aggiustamenti compensativi al controllo cognitivo (Botvinick et al., 2004). La corteccia cingolata posteriore contribuisce alla cognizione sociale e all’affidabilità sociale (Meddock, 1999; Winston et al., 2002). Durante l’amore romantico, l’aumento dell’attivazione della corteccia cingolata anteriore dorsale è associato alla soppressione del pensiero ossessivo e l’attivazione alterata nella corteccia cingolata anteriore indica che la cognizione sociale e l’affidabilità sociale aumentano in modo significativo con l’aumento della durata della relazione d’amore. Ad esempio, quando si visualizzano le immagini della persona amata, l’attivazione della corteccia cingolata anteriore dorsale e della corteccia cingolata posteriore indica una significativa correlazione positiva con la durata della relazione amorosa. Inoltre, la corteccia cingolata anteriore dorsale e la corteccia cingolata posteriore vengono attivati negativamente durante le relazioni brevi (1-7 mesi), ma attivati positivamente durante le relazioni più lunghe (8-17 mesi) (Aron et al., 2005). Le caratteristiche della dipendenza scompaiono all’incirca 6 mesi dopo la fase d’innamoramento iniziale, quindi le alterazioni nell’attivazione della corteccia cingolata anteriore dorsale e della corteccia cingolata posteriore sono potenziali basi neurali per la scomparsa delle caratteristiche della dipendenza.

L’attivazione della corteccia prefrontale ventrale, in particolare la corteccia prefrontale mediale, la corteccia orbitofrontale mediale e la corteccia cingolata anteriore ventrale è correlata con la forza del craving nelle persone con dipendenza da sostanze (Goldstein e Volkow, 2011). Mentre, l’attivazione della corteccia prefrontale dorsale, in particolare la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia cingolata anteriore dorsale e il giro frontale inferiore è correlata con la soppressione del craving da droghe.

1.2.4. Fattori neuroendocrini coinvolti nelle addiction

La maggior parte degli studi neuroendocrini sul legame di coppia e la dipendenza da sostanze sono condotti sugli animali. Pertando, dagli studi sugli animali emerge che i neurotrasmettitori e neuropeptidi coinvolti nel legame di coppia e nella dipendenza da sostanze includono principalmente la dopamina (DA), il fattore di rilascio di corticotropina (CRF), l’ossitocina (OT) e l’arginina vasoppressina (AVP) insieme ai loro recettori ( D1R e D2R per dopamina; CRF-R1 e CRF-R2 per fattore di rilascio della corticotropina ; OTR per ossitocina; V1aR, V1b R e V2R per vasoppressina)

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come rappresentato nella figura 2 (presa da Romantic love vs. drug addiction may inspire a new

treatment for addiction. Zou et al. 2016)

La dopamina è generalmente considerata fondamentale per la ricompensa biologica e i processo motivazionali (Esch e Stefano, 2005). La dopamina è un neurotrasmettitore fondamentale per motivare, dirigere e premiare il comportamento diretto verso un obiettivo e focalizzare l’attenzione e la memoria. Poichè l’azione della dopamina promuove la formazione di nuove sinapsi (e la corrispondente perdita di quelle più vecchie), i cambiamenti nel metabolismo della dopamina determinano cambiamenti strutturali nelle reti sinaptiche.

Il fattore di rilascio di corticotropina è coinvolto nella neurobiologia sottostante a stress, paura e ansia (Bale e Vale, 2004). L’ossitocina e l’arginina vasoppressina sono, invece, associati all’elaborazione e alla conservazione di informazioni sociali (Hollander et al., 2007). Inoltre, la vasopressina e l’ossitocina sono chiamate “gli ormoni dell’amore” in quanto vengono rilasciate durante le relazioni intime e sono importanti per promuovere sentimenti di intimità (Zou et al., 2016). Tuttavia, è stato visto che la disregolazione dell’ossitocina e della vasopressina possa determinare il circolo vizioso noto nella dipendenza, poiché entrambi influenzano il sistema di ricompensa del cervello (Fisher et al., 2016; Zou et al., 2016).

Amore Dipendenza da sostante MANTENIMENTO

DA D1R promuove il mantenimento D1R e D2R promuovono il mantenimento La plasticità nel D1R striatale promuove il

mantenimento

La plasticità nel D2R promuove il mantenimento

CRF CRF promuove il mantenimento CRF-R1 promuove il mantenimento La plasticità nel CRF promuove il

mantenimento CRF-R2 può inibire il mantenimento

OT OT non è necessario per il mantenimento OTR inibisce il mantenimento

La plasticità nel sistema OT promuove il mantenimento

INTERRUZIONE

DA D2R promuove la ricaduta

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La plasticità nel CRF ipotalamico favorisce il ritorno al partner

La plasticità nel CRF-R1 ipotalamico promuove la ricaduta, il CRF-R2 può inibire la ricaduta

OT Rilasciato dopo l'interruzione Rilasciato dopo l'interruzione

OT inibisce il ritorno al partner

La plasticità endogena nel sistema OT promuove la ricaduta

L'OT esogeno inibisce la ricaduta

Fig. 2. Funzione e alterazioni dei sistemi neurochimici coinvolti nell’amore e nelle dipendenza da sostanze

[DA dopamina; CRF fattore di rilascio della corticotropina; OT ossitocina; AVP arginina vasoppressina] (Zhiling, 2016)

L’attivazione di D1R promuove il mantenimento del legame di coppia e dell’abuso di droghe e gli aumenti di CRF nel nucleo accumbens anche promuovono il mantenimento del legame di coppia (Aragona et al., 2006 Grippo et al., 2007; Burkett and Young, 2012). Inoltre, l’attivazione di D2R e CRF-R1 nel sistema nervoso centrale promuove anche il mantenimento dell’uso di droghe; tuttavia, l’attivazione di OTR e CRF-R2 inibisce il mantenimento della dipendenza da sotanze (Carson et al., 2010; Koob, 2010; Zanos et al., 2014). Il legame di coppia e l’esposizione cronica all’abuso di droghe inducono plasticità nei recettori DA e CRF (Nakajima and McKenzie, 1986; Zorrilla et al., 2001; Bosch et al., 2009; Burkett and Young, 2012).

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2. LA MEDITAZIONE COME TRATTAMENTO

“Siedo accanto alla finestra inondata dalla luna

osservando le montagne con le orecchie,

ascoltando il torrente con occhi aperti,

Ogni molecola predica una legge perfetta,

ogni momento canta un vero sutra:

il pensiero più veloce è senza tempo,

un solo capello è sufficiente ad agitare il mare”.

(Buddha)

1.1. Definizione di Meditazione

Il termine meditazione deriva dal latino “meditatio” e significa “riflessione”. Generalmente, è conosciuta come una tecnica utilizzata per raggiungere una maggiore padronanza delle proprie attività mentali e, dunque, una maggiore consapevolezza.

Gli insegnamenti buddhisti includono lo sviluppo della consapevolezza come una delle cinque facoltà spirituali, insieme alla fede, allo sforzo, alla concentrazione e alla saggezza (Goldstein e Kornfield, 1987). Secondo la prospettiva psicologica occidentale, una costante pratica di meditazione formale e il conseguente sviluppo di un atteggiamento mindful nella vita quotidiana, porta a un “processo di risveglio” (Kabat-Zinn, 1999). Teoricamente, questo risveglio fa parte di un processo di sviluppo integrato durante il quale si realizza l'interconnessione tra tutte le dimensioni dell'esperienza: cognitive, emotive, fisiche, comportamentali, sociali e spirituali (Kristeller 2007). Pertanto, ci si aspetta che l'addestramento sistematico alla consapevolezza generi un modello prevedibile di cambiamenti interconnessi tra fattori psicologici e spirituali tali da giovare alla salute.

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Derivato dalle antiche pratiche contemplative e filosofie Indo-Sino-Tibetane riguardanti la coltivazione della consapevolezza, il costrutto mindfulness (consapevolezza) è stato alternativamente reso operativo come stato, tratto e pratica nella moderna letteratura (Garland e Howard, 2018) La consapevolezza è stata descritta come «il processo di prestare attenzione in modo particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza nel presente momento dopo momento» (Kabat-Zinn, 2003).

Gli interventi mindfulness-based (MBIs) insegnano alle persone a osservare, riconoscere, accettare e decentrarsi da pensieri, sentimenti ed emozioni che arrivano alla consapevolezza e non mirano a cambiare l'esperienza diretta (pensieri, sentimenti, sensazioni corporee, ecc.), ma piuttosto incoraggiano un nuovo modo di relazionarsi ad essa (Kabat-Zinn et al., 1985; Shapiro et al., 2006). Vi è una crescente evidenza che gli MBIs possono avere conseguenze positive per la salute psicologica (Brown e Ryan 2003, Keng et al., 2011) e fisica (Grossman et al., 2004), sia nella popolazione in ambito clinico (Chiesa e Serretti 2011; Hofmann et al., 2010; Strauss et al., 2014 ; Vøllestad et al., 2012 ) che non clinico (Eberth e Sedlmeier 2012 ; Khoury et al. 2015). Gli MBIs forniscono training in pratiche progettate per evocare lo “stato di mindfulness” cioè uno stato di consapevolezza metacognitiva caratterizzato da un attento e non giudicante monitoraggio momento per momento della cognizione, emozione, sensazione e percezione senza perseverare sui pensieri del passato e del futuro.

La pratica della minfulness è stata proposta per coinvolgere due elementi primari: “attenzione focalizzata” e “monitoraggio aperto” (Lutz, Slagter, Dunne, Davidson, 2008; Vago, Silbersweig, 2012). Durante la pratica dell'attenzione focalizzata, l'attenzione si concentra su un unico oggetto sensoriale (spesso si può usare la sensazione del respiro, o anche sensazioni corporee interocettive e propriocettive o stimoli visivi esterni), nel mentre che il soggetto lo riconosce esso si libera dai pensieri e dalle emozioni distrattive. Le pratiche di attenzione focalizzata spesso precedono la pratica del monitoraggio aperto, in cui si osserva sia il sorgere di contenuti mentali sia il campo di consapevolezza nel quale tali contenuti sorgono (Lutz, Slagter, Dune, Davidson, 2008). Infatti, il monitoraggio aperto è uno stato di consapevolezza metacognitivo nel senso che implica il monitoraggio del contenuto della coscienza orientando l’attenzione sul processo o sulla qualità della coscienza stessa. Questa forma di pratica di mindfulness è pensata per ridurre la reattività emotiva rivelando l'inconsistenza e l'effimero di ogni particolare contenuto della coscienza.

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I modelli neuropsicologici di attenzione focalizzata e monitoraggio aperto hanno mappato queste pratiche su sistemi di processi cognitivi interagenti, tra cui l’attenzione sostenuta, il riorientamento dell'attenzione, il monitoraggio dei conflitti, la conservazione delle informazioni online nella memoria di lavoro, il controllo inibitorio e la regolazione delle emozioni (Vago e Silbersweig, 2012). Sebbene l'attenzione focalizzata e il monitoraggio aperto siano stati distinti nella letteratura scientifica, nella pratica sono spesso combinati, in modo tale che le pratiche di mindfulness iniziano tipicamente con l'attenzione focalizzata e poi si trasformano in un monitoraggio aperto mentre la sessione di meditazione si svolge nel tempo.

1.2. La meditazione in psicologia della salute

Tang Y.Y. (2017) ritiene che la pratica frequente e regolare (ad es. giornaliera) delle tecniche di mindfulness promuovono cambiamenti duraturi nella propensione ad essere mindful di tratto nella vita di tutti i giorni (es. Mindfulness disposizionale o tratto) anche quando non si è impegnati nella pratica della meditazione. Si sostiene che questo aumento di mindfulness di tratto si verifichi attraverso la plasticità neurocognitiva dovuta all'attivazione ripetuta della mindulness di stato durante le sessioni ricorrenti di pratica mindfulness (Tang, 2015). In parziale supporto a questa ipotesi, l'aumento della sperimentazione di una mindfulness di stato prodotta nel tempo attraverso la meditazione predice un aumento di mindfulness di tratto (Kiken, Garland, Bluth, Palsson, Gaylord, 2015) e la meta-analisi dimostra che gli effetti degli MBIs sugli esiti clinici sono mediati dall'aumento della mindfulness di tratto (Gu, Strauss, Bond, Cavanagh, 2015).

Inoltre, una meta-analisi di studi di neuroimaging morfometrica suggerisce che una maggiore pratica della meditazione mindfulness è associata a cambiamenti neuroplastici di alcune strutture cerebrali quali corteccia frontopolare/BA10, cortecce sensoriali, insula, ippocampo, corteccia orbitofrontale anteriore e media, fascicolo longitudinale superiore e corpo calloso (Fox, Nijeboer, Dixon, Floman, Ellamil, Rumak, et al., 2014). Secondo le operazionalizzazioni del costrutto derivate dalla ricerca analitica fattoriale, la mindfulness disposizionale o di tratto è caratterizzata dalla capacità di non reagire e accettare pensieri ed emozioni angoscianti, osservare l'esperienza interocettiva ed esterocettiva, discriminare gli stati emotivi e essere consapevoli della propria “automaticità” (Baer, Smith, Hopkins, Krietemeyer, Toney, 2006). Queste qualità mindful possono servire da antidoto al comportamento di dipendenza; infatti, la mindfulness di tratto, che è stata correlata con le capacità

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avanzate di controllo cognitivo (Anicha, Ode, Moeller, Robinson, 2012), è significativamente inversamente associata all'uso di sostanze (Karyadi, VanderVeen, Cyders, 2014) e al craving (Garland, Roberts-Lewis, Kelley, Tronnier, Hanley, 2014), e positivamente associata alla capacità di distogliere l'attenzione e recuperare la funzione autonomica in seguito all'esposizione a stimoli legati alla dipendenza (Garland, 2011; Garland, Boettiger, Gaylord, Chanon, Howard, 2012). In contrasto con la mindfulness di tratto, che è associata alla flessibilità cognitiva e comportamentale, la dipendenza può essere caratterizzata dalla mindlessness (Langer, 1992) cioè, risposte abituali o stereotipate che possono essere eseguite automaticamente senza la volontà cosciente e senza considerazione per le conseguenze future. Alla luce della classica descrizione della dipendenza di Tiffany come prodotto dell'automatismo (Tiffany, 1999), la consapevolezza delle proprie reazioni comportamentali ed emotive automatizzate può consentire una maggiore autoregolazione del comportamento abituale di dipendenza. Pertanto, la pratica di mindfulness può evocare la mindfulness di stato che si accumula con ogni sessione di pratica di meditazione in una propensione duratura a mostrare la mindfulness di tratto nella vita di tutti i giorni, offrendosi così come un tampone contro il comportamento di dipendenza.

Molti di noi vivono la propria vita quotidiana con il “pilota automatico”, non pienamente consapevoli delle nostre esperienze coscienti. La consapevolezza è l'obiettivo intenzionale, accettante e non giudicante della propria attenzione sulle emozioni, i pensieri e le sensazioni che si verificano nel momento presente (Paulson, Davidson, Jha e Kabat-Zinn, 2013).

La psicologia moderna definisce la mindfulness come una specifica modalità di vivere l’esperienza interna ed esterna con attenzione consapevole, senza giudicarla, accogliendola e accettandola momento dopo momento così com’è, senza identificarsi nei propri contenuti mentali. Si tratta, dunque, di uno “stato” mentale e di un “tratto” in quanto attitudine (Kabat-Zinn, 2003).

Gli atteggiamenti specifici, ovvero gli otto pilastri (Chiesa, 2011), sollecitati per affrontare e portare avanti la pratica della consapevolezza e sviluppati attraverso la pratica stessa sono:

1)  Il non giudizio: sospensione del giudizio ed essere osservatore della propria esperienza.

2)  La pazienza: comprensione e accettazione rispettosa della propria esperienza, tutto ha un corso naturale.

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3)  La mente del principiante: il praticante è invitato a vedere le cose come se le vedesse per la prima volta (guardare, ascoltare, toccare, odorare e assaggiare).

4)  La fiducia: nella propria intuizione, nelle proprie sensazioni. 5)  Il non cercare risultati: non avere scopi.

6)  L’accettazione: il momento viene preso e vissuto per quello che è nella sua pienezza senza cercare di modificarlo.

7)  Il lasciare andare: l’attaccamento al piacevole e l’avversione allo spiacevole.

8)  L’impegno e l’autodisciplina: affinché la pratica funzioni portando allo sviluppo della mindfulness come tratto e come stato.

1.3. Le principali tecniche di meditazione

Le tradizioni contemplative e la successiva occidentalizzazione hanno prodotto una proliferazione di molte pratiche meditative disparate che utilizzano tecniche diverse e sposano obiettivi diversi. L'idea che il buddismo sia una tradizione razionale, empirica e orientata alla terapia compatibile con la scienza moderna è una delle caratteristiche del "modernismo buddista", approccio che si è evoluto da un intellettuale complesso scambio tra l'Asia e l'Occidente che ha avuto luogo negli ultimi 150 anni circa. Una particolare pratica caratteristica del modernismo buddhista, conosciuta come "mindfulness" e definita come l'interpretazione della consapevolezza come "nuda attenzione" o "consapevolezza centrata sul presente”, una tecnica non giudicante di prestare attenzione nel qui ed ora. Gli studiosi hanno sostenuto che la comprensione diffusa della consapevolezza come “nuda attenzione” ha le sue radici nel revival della meditazione Theravada del 20 ° secolo (Sharf, 2014). Nel testo Stages of Meditation (Lama, 2013), un contemplativo buddhista indiano dell'VIII secolo, Kamalasila descrive 10 fasi sequenziali di allenamento dell'attenzione, indicate come "domare la mente" o "calma stabile" (Pāli: samatha ) che inizia con una forma di attenzione focalizzata (FA) e avanza progressivamente verso uno stato di consapevolezza senza sforzo e senza oggetti (Wallace, 2006). La stabilità dell'attenzione si riferisce alla concentrazione e alla vigilanza sostenute che rimangono imperturbate dalla distrazione o dalle interferenze del vagabondaggio della mente discorsiva, mentre la calma si riferisce all'intensità fenomenica con cui viene vissuto il contenuto

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sensoriale o mentale (Wallace, 2006; Lutz, Dunne, Davidson, 2007). La pratica della perspicacia (Pāli: vipassana), una forma di meditazione di monitoraggio aperto (OM), in genere segue un allenamento calmo e costante con l'obiettivo di facilitare la meta-consapevolezza delle proprie abitudini mentali, aumentando l'apertura della consapevolezza a tutti gli oggetti sensoriali e mentali che sorgono e passano naturalmente. La meditazione consapevole è spesso insegnata come un'interazione tra meditazione calma e profonda.

Sebbene il respiro sia l'oggetto “focus” più comunemente descritto nei contesti buddisti storici (ad esempio, Satipatthana sutta), la concentrazione può essere indirizzata su qualsiasi oggetto sensoriale interno o esterno attraverso le modalità, il flusso temporale degli oggetti che sorgono e passano attraversano lo spazio/tempo, o lo stato di tranquillità in cui non sono presenti gli oggetti. Un particolare sistema di mindfulness contemporaneo, il sistema basico Mindfulness, è stato sviluppato da Shinzen Young (2011) e prende in considerazione molteplici tradizioni buddiste e utilizza un approccio algoritmico che insegna alle persone a prendere nota ed etichettare qualsiasi esperienza in tre modalità (visiva, uditiva o somatica). Gli oggetti sensoriali possono essere annotati ed etichettati nel momento in cui sorgono e passano nella meditazione OM, oppure può esserci un focus concentrato su una particolare modalità ed esperienza (cioè soggettiva, oggettiva, di quiete o di flusso).

Un focus sulla quiete è un particolare metodo di concentrazione per coltivare una mente tranquilla con specificità in ogni modalità, tale che l'assenza dell'oggetto sensoriale diventa l'oggetto di messa a fuoco e viene regolato qualsiasi impulso a impegnarsi con oggetti sensoriali esterni o interni. Young (2011) descrive il "vedere la quiete" come un focus sullo "spazio bianco su uno sfondo grigio" con gli occhi chiusi o "nello spazio dell'immagine ma non su un'immagine" con gli occhi aperti; "Ascoltare la quiete" è descritto come un "silenzio mentale" o un "silenzio fisico" attorno al praticante; "Sentirsi tranquilli" è indicato come un focus sul "rilassamento fisico e assenza di emozioni nel proprio corpo".

Senza il controllo volontario, il profondo interesse per un oggetto (focus) con consapevolezza può anche essere disadattivo, in modo tale che i processi inibitori impediscano l'ottenimento di informazioni sensoriali pertinenti alla consapevolezza cosciente, portando potenzialmente a una sensazione travolgente e al mantenimento della reattività emotiva relativa all'oggetto di interesse (Mogg, Bradley, 1998). Inoltre, l'esperienza della zonizzazione, come è comunemente sperimentata

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