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INDICE
1. DANNO DA ISCHEMIA/RIPERFUSIONE ... 3
1.1 DURANTE L’ISCHEMIA ... 4
1.2 DURANTE LA RIPERFUSIONE ... 6
1.3 MECCANISMI DI MORTE CELLULARE NEL DANNO DA I/R ... 9
2. MECCANISMI ENDOGENI DI PROTEZIONE: PRE- E POST-CONDIZIONAMENTO ISCHEMICO ... 11
3. IL PRECONDIZIONAMENTO ISCHEMICO ... 13
4. EARLY IPreC ... 17
4.1 TRIGGERS ... 17
4.2 MEDIATORI... 22
4.3 L’IPOTESI DEL RISK PATHWAY ... 42
4.4 EFFETTORI FINALI ... 44
5. LATE PHASE O SECOND WINDOW OF PROTECTION (SWOP) ... 47
5.1 TRIGGERS ... 50 5.2 MEDIATORI PRECOCI ... 55 5.3 FATTORI DI TRASCRIZIONE ... 58 5.4 MEDIATORI DISTALI ... 61 5.5 EFFETTORI FINALI ... 67 BIBLIOGRAFIA ... 71
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1. DANNO DA ISCHEMIA/RIPERFUSIONE
Le cardiopatie ischemiche sono legate ad una parziale o totale occlusione delle
arterie che portano quindi ad una ostruzione dei vasi, limitando così l’afflusso di
sangue ai vari organi o tessuti. Questo ridotto apporto sanguigno causa una
diminuzione dell’ossigenazione e dell’apporto nutritizio di tali aree, questo flusso
non è più sufficiente a rispondere alla domanda della cellula, che va dunque
incontro a morte. Sorprendentemente, il danno da ischemia è incrementato anche
nella fase della riperfusione, ovvero la fase successiva in cui vengono ripristinate le
condizioni pre-anossiche (normale apporto di ossigeno e nutrienti), si parla perciò
di danno da Ischemia/Riperfusione (I/R).
Nel miocardio sottoposto a I/R la morte cellulare può avvenire sia per necrosi sia
per apoptosi. Mentre la necrosi può essere causata sia dall’ischemia sia dalla
riperfusione, l’apoptosi è indotta soprattutto dalla riperfusione (Zhao, et al., 2002).
I meccanismi metabolici di danno che innescheranno la morte cellulare sono
differenti nella fase ischemica e nella fase riperfusiva.
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1.1 DURANTE L’ISCHEMIA
Abbassamento del pH intracellulare.
Durante l’ischemia la richiesta energetica della cellula cresce, ci sar{ un
incremento della glicolisi con conseguente aumento della concentrazione di
acido lattico (Halestrap, et al., 1998). Anche la degradazione di ATP in ADP e
P
icontribuirà all’acidificazione della cellula con un valore di pH che scende
fino a 6.2 nei primi 13 minuti (Garlick, et al., 1979) (figura 1A).
Diminuzione di ATP.
L’interruzione di apporto di ossigeno che avviene all’instaurarsi
dell’ischemia determina il blocco della fosforilazione ossidativa
mitocondriale e il veloce consumo di ATP, convertito in ADP e AMP, che
fuori dalla cellula è causa della riduzione della performance cardiaca (gravi
riduzioni di ATP portano a danni irreversibili del miocardio) (Sanada, et al.,
2011) (figura 1A).
Modificazioni nelle concentrazioni ioniche.
Aumento della concentrazione di Na
+intracellulare a causa dell’inibizione
della pompa Na
+/K
+ATPasi conseguente alla diminuzione di ATP.
L’inibizione di questa pompa, e il conseguente accumulo di Na
+, causerà
l’inibizione dell’antiporto Na
+/H
+, che abbasserà ulteriormente il pH
intracellulare (Testai, et al., 2015). Aumento della concentrazione
intracellulare di Ca
++per inibizione o inversione dello scambiatore Na
+/Ca
++(che pompa sodio dentro e calcio fuori la cellula) e della pompa Ca
++ATPasi
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(Sanada, et al., 2011). Questi eventi sono responsabili di un sovraccarico di
Ca
++che potrebbe contribuire all’apertura dei canali MPTP (figura 1A).
Figura 1 (A) Rappresentazione schematica degli eventi durante l'Ischemia e durante la successiva Riperfusione (B) (Testai, et al., 2015).
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1.2 DURANTE LA RIPERFUSIONE
Stabilizzazione pH fisiologico.
Contestualmente al ripristino del flusso ematico, dovuto alla riperfusione,
avviene una rapida normalizzazione del pH extracellulare che determina il
formarsi di un forte gradiente di H
+attraverso la membrana plasmatica. Il
risultato principale è un ulteriore flusso massivo di Na
+all’interno della
cellula per permettere l’espulsione degli ioni H
+in eccesso (Schäfer, et al.,
2001) (figura 1B).
Produzione di ROS (Reactive Oxygen Species).
L’improvviso ripristino del metabolismo aerobico, fondamentale per la
ripresa della produzione di ATP, ha come conseguenza un accumulo di
specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto, in particolare di anione
superossido (O
2-). In condizioni fisiologiche il superossido viene convertito
in Perossido di Idrogeno (H
2O
2) dalla Superossido Dismutasi (SOD) ed è
successivamente inattivato dalla catalasi in H
2O e O
2. L’ischemia può aver
compromesso i meccanismi antiossidanti della cellula e, se i mitocondri non
sono in grado di eliminarli, i ROS possono danneggiare le strutture cellulari,
gli enzimi o le proteine canale presenti sulla membrana cellulare (Sanada, et
al., 2011) (figura 1B).
Accumulo di Ca
++intracellulare.
Il Ca
++gi{ accumulato durante l’ischemia entra anche dai canali voltaggio
dipendenti di tipo L (Smart, et al., 1997). Le cellule però, provate da una
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lunga ischemia, non sono in grado di ristabilire repentinamente l’omeostasi
del calcio intracellulare. Solo dopo 30-60 minuti di riperfusione avviene una
graduale ripresa dell’escrezione e il ri-immagazzinamento ATP-dipendente
di Ca
++nel reticolo sarcoplasmatico (Sanada, et al., 2011). Questo accumulo
di Calcio nei primi stadi della riperfusione è responsabile di una serie di
fenomeni che accelerano il danno cellulare: attivazione di lipasi, nucleasi e
proteasi che minano la struttura cellulare (viene attivata la Calpaina,
proteasi calcio-dipendente la cui azione è inibita dal calo di pH); apertura
dei canali MPTP (figura 1B).
Apertura dei canali MPTP (Mitochondrial Permeability Transition Pore).
Gli MPTP sono pori di natura proteica ancorati tra la membrana esterna e
quella interna dei mitocondri. Quando sono attivati consentono la
comunicazione tra citoplasma e matrice mitocondriale. La loro struttura non
è stata ancora pienamente definita, si ipotizza la presenza del canale
anionico voltaggio-dipendente nella membrana mitocondriale esterna
(VDAC) e dell’Adenina Nucleotide Translocasi (ANT) in quella interna; è
stata accertata, anche, la presenza a livello strutturale della proteina
traslocatrice TSPO (nella membrana mitocondriale interna) e della
Ciclofillina D (nella matrice) (Testai, et al., 2015). Durante l’ischemia questi
pori sono chiusi, inibiti dall’abbassamento del pH. Durante la riperfusione il
ripristino dei valori di pH fisiologici, l’accumulo di ROS e l’alta
concentrazione di Ca
++promuovono l’apertura degli MPTP. L’apertura di un
singolo poro causa una repentina depolarizzazione che ne stimola
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l’attivazione a cascata (Scorrano, et al., 1997). L’apertura degli MPTP rende
la membrana mitocondriale permeabile a tutti i soluti di grandezza inferiore
ai 1500 Da che raggiungono un equilibrio chimico ai lati della membrana. Le
molecole di grandezza maggiore rimangono intrappolate all’interno della
matrice creando un gradiente osmotico che richiama acqua. In queste
condizioni si ha un rigonfiamento del mitocondrio con rottura della
membrana esterna e fuoriuscita di proteine proapoptotiche come il
Citocromo C (situato nello spazio intermembranale). Quindi un’apertura
prolungata degli MPTP è incompatibile con la sopravvivenza della cellula a
causa della perdita di funzione mitocondriale (con conseguente perdita di
ATP) e della perdita dell’omeostasi degli ioni intracellulari (con conseguente
rigonfiamento cellulare, rottura della membrana plasmatica e morte
cellulare) (figura 1B).
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1.3 MECCANISMI DI MORTE CELLULARE NEL DANNO DA I/R
La morte cellulare causata da I/R ha caratteristiche proprie dell’apoptosi,
dell’autofagia e della necrosi.
Molti studi si sono concentrati sul definire quale forma di morte cellulare avvenga e
con quale distribuzione nella zona danneggiata: alcune ricerche propongono che la
morte necrotica prevalga quando i livelli di Ca
++mitocondriali diventano
estremamente bassi o si azzerano del tutto.
Similmente, i livelli intracellulari di ATP potrebbero servire anche da switch
molecolare: in presenza di alti livelli si avvierebbe l’apoptosi, a bassi livelli la
necrosi. Altri ipotizzano che dopo l’I/R il destino della cellula sia determinato
dall’estensione dell’apertura degli MPTP nel mitocondrio: se minima la cellula è in
grado di ristabilirsi, se moderata la cellula potrebbe innescare il meccanismo di
morte programmata (l’apoptosi), se severa la cellula subirà necrosi a causa della
inadeguata produzione di energia. In tutti e tre i casi, comunque, i mitocondri
sembrano essere gli arbitri del destino cellulare in risposta allo stress.
Al di là della modalità finale di morte è importante che i meccanismi siano tutti
interconnessi. La morte cellulare durante l’I/R sembra essere un processo attivo
che può essere inibito con interventi appropriati. In questo contesto i mitocondri
stanno emergendo come importanti mediatori e regolatori di tutte le forme di
morte cellulare nell’I/R. In particolare, gli MPTP sembrano essere i regolatori
principali sia della morte apoptotica che necrotica e sembra avere un ruolo
importante nel danno da I/R (Murphy, et al., 2008) (figura 2).
10 Figura 2. Eventi che portano a morte cellulare in seguito a I/R.
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2. MECCANISMI ENDOGENI DI PROTEZIONE: PRE- E
POST-CONDIZIONAMENTO ISCHEMICO
Nel 1986 C.E. Murry e colleghi hanno mostrato, in un modello canino, che
esponendo il cuore a quattro brevi cicli di ischemie subletali (5 minuti di ischemia
seguiti da 5 minuti di riperfusione ciascuno), prima di un evento ischemico più
severo della durata di 40 minuti, si conferiva una profonda resistenza all’infarto.
L’esposizione a questo tipo di stress, infatti, poneva il cuore in uno stato di difesa
che determinava la riduzione della dimensione dell’infarto (la dimensione
dell’infarto nei soggetti precondizionati risultava essere un quarto rispetto a quella
del gruppo di controllo) (Murry, et al., 1986). Questa fu la prima descrizione di un
meccanismo di protezione endogeno chiamato Precondizionamento Ischemico.
Gli stessi effetti benefici furono confermati in altre specie animali tra cui conigli
(Cohen, et al., 1991), maiali e ratti (Schott, et al., 1990); in seguito gli studi si
trasferirono
sull’uomo
accertandone
l’efficacia
e
evidenziando
il
Precondizionamento Ischemico come nuovo e importantissimo target di ricerca per
la farmacologia e la fisiopatologia cardiovascolare (Kharbanda, et al., 2001).
Oltre a quanto detto, è stato osservato che un certo grado di protezione si può
anche ottenere con la riperfusione graduata dopo l’ischemia (Sato, et al., 1997).
Tenendo conto dell’estensione del danno che avviene durante la riperfusione e
nella ricerca di una metodica di protezione in grado di essere applicata nel
momento preciso in cui si poteva avere l’inizio di questi danni, Zhao e la sua equipe
hanno pensato di intervenire proprio all’inizio della riperfusione. Il risultato della
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loro ricerca è stato l’allestimento del protocollo del Postcondizionamento Ischemico.
Tramite studi nel cane anestetizzato sottoposto ad ischemia miocardica prolungata,
hanno eseguito tre occlusioni di 30 s ciascuna a partire da 30 s dopo l’inizio della
riperfusione. Le occlusioni erano separate l’una dall’altra da un periodo di
riperfusione anch’esso della durata di 30 s. Mediante questa tecnica, che essi hanno
definito di postcondizionamento, gli autori hanno ottenuto la riduzione
dell’estensione dell’infarto, dell’edema tissutale e della disfunzione endoteliale
postischemica che favorisce le lesioni da riperfusione (Zhao, et al., 2003) (figura 3).
L’entit{ della protezione è stata in questi esperimenti pressoché uguale a quella
ottenuta con il precondizionamento ischemico, con la quale tuttavia non è stata
vista sommarsi. È possibile ipotizzare, quindi, che la mancata sommazione degli
effetti sia dovuta al fatto che questi sono entrambi attivati dalle medesime cascate
protettive (Rastaldo, et al., 2006).
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3. IL PRECONDIZIONAMENTO ISCHEMICO
Il precondizionamento ischemico (IPreC) richiede un breve periodo di ischemia
seguito da riperfusione per innescare la risposta.
Il minimo periodo di riperfusione richiesto per conferire cardioprotezione dopo
un’ischemia precondizionante è tra 30 sec e 1 min (Alkhulaifi, et al., 1993).
In origine l’IPreC venne considerato un fenomeno da risposta “tutto o nulla”,
basandosi su vari studi sia sul cane (Li, et al., 1990), sia sul coniglio (Van Winkle, et
al., 1991) e sia sugli esseri umani (Morris, et al., 1997) dove venivano variati i
numeri dei cicli di occlusione coronarica precondizionante.
Successivamente altri studi condotti sul topo (Barbosa, et al., 1996) e sul maiale
(Schulz, et al., 1998) rivelarono una differenza nella misura dell’infarto al variare
della forza dello stimolo precondizionante, suggerendo un tipo di risposta graduale.
I sistemi Off/On sono rari in natura, è più probabile che il precondizionamento
segua una curva dose-risposta molto rapida; una volta raggiunta una risposta
massima, ulteriori stimoli non hanno alcun effetto, dando l’impressione di un
sistema “Tutto o nulla” (Yellon, et al., 2003).
L’IPreC è caratterizzato da due fasi in relazione a quando avviene il danno
ischemico grave: una precoce definita early phase o classical phase (FWOP first
window of preconditioning) e una tardiva chiamata late phase o delayed phase
(SWOP second window of protection), cronologicamente e fisiopatologicamente
distinte (figura 4).
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La fase precoce inizia immediatamente dopo lo stimolo ischemico
precondizionante, finisce dopo 1-2 ore ed è caratterizzata da modificazioni
post-traduzionali di proteine preesistenti con conseguente attivazione di vie di
segnalazione cellulare che, da un lato, avviano meccanismi pro-survival e, dall’altro,
inibiscono l’azione di segnali pro-morte cellulare (Yang, et al., 2010).
L’effetto cardioprotettivo descritto dal gruppo di C. E. Murry nel loro storico studio
corrisponde ad un early preconditioning (Murry, et al., 1986).
La fase tardiva, invece, comincia a 12-24 ore dallo stimolo iniziale, continua fino a
2-3 giorni ed è caratterizzata da una riprogrammazione genetica della cellula che
attiva la trascrizione di geni stress-responsivi e dalla successiva sintesi di proteine
che conferiscono un fenotipo cardioprotettivo (Hausenloy, et al., 2010).
La cardioprotezione conferita dalla fase tardiva è molto consistente ma, pur avendo
una durata nel tempo maggiore, non è paragonabile a quella che si presenta
durante la fase precoce (Yellon, et al., 2003).
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Figura 4. Diagramma che descrive la natura temporale delle due finestre di precondizionamento.
Malgrado i molti studi effettuati sull’IPreC, i meccanismi che portano come risultato
finale alla protezione d’organo non sono stati ancora chiariti del tutto, in particolar
modo per quel che concerne la fase tardiva.
Sia la fase precoce che la tardiva hanno molte caratteristiche comuni: in entrambe
lo stimolo ischemico precondizionante provoca il rilascio di una serie di sostanze
che, legandosi a recettori sulla superficie cellulare, innescano il meccanismo di
protezione, iniziando una cascata di eventi intracellulari. Queste “sostanze-innesco”
(triggers) sembrano essere le stesse in entrambe le forme di precondizionamento
(Yang, et al., 2010) (Hausenloy, et al., 2010).
Le due fasi, però, sembrano coinvolgere due differenti tipi di reazione: la fase
precoce comprende reazioni che possono essere completate in un breve periodo di
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tempo come l’attivazione di canali ionici, l’attivazione tramite fosforilazione di
enzimi esistenti, il rapido ricambio o la traslocazione di sostanze (Yang, et al.,
2010).
La fase tardiva, invece, è caratterizzata da reazioni che chiedono un tempo
maggiore come la modulazione genomica e la sintesi ex novo di svariate proteine
tra cui canali proteici, recettori, enzimi, immunotrasmettitori ma anche
modificazioni post-traduzionali e traslocazione di proteine (Hausenloy, et al.,
2010).
Un’ischemia precondizionante innesca un cambiamento nella fisiologia del cuore,
rendendolo molto resistente all’infarto.
Sappiamo che una serie di vie di trasduzione sono attive nella protezione e
confluiscono in uno o più effettori finali. L’attivazione di quest’ultimi conferisce
protezione durante un insulto ischemico e/o il seguente periodo di riperfusione.
In entrambe le fasi andremo a riconoscere e, dove possibile, spiegare il ruolo di
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4. EARLY IPreC
4.1 TRIGGERS
Possiamo identificare due tipi di triggers:
a. Recettore dipendente, sono quelle sostanze che svolgono la loro azione
mediante l’interazione con specifici recettori.
b. Sostanze endogene che non necessitano del legame con il proprio recettore
per espletare la propria azione.
Adenosina
.
Il primo attivatore identificato nel processo di IPreC è stata l’adenosina tramite
studi effettuati su tessuto cardiaco di coniglio; è stato infatti visto che i livelli di
questa sostanza aumentano durante brevi periodi di ischemia. Essa induce la
riduzione dell’inotropismo cardiaco e la dilatazione delle resistenze periferiche;
la conseguenza è un bilanciamento della richiesta/domanda di ossigeno (Liu, et
al., 1991). Si ritiene che l’adenosina, liberata dal miocardio ischemico, porti
all’apertura dei canali MitoK
ATPattraverso l’attivazione/traslocazione della
Proteina Chinasi C (PKC). Legandosi al proprio recettore A
1accoppiato a
proteina G, si attiva la Fosfolipasi C (PLC) che catalizza l’idrolisi del
Fosfatidilinositolo 4,5-difosfato (PIP
2) in Inositolo 1,4,5-trifosfato (IP
3) e
Diacilglicerolo (DAG), i quali andranno a stimolare due diverse isoforme della
Proteina Chinasi C (PKC) (rispettivamente α e δ) che andranno a fosforilare i
MitoK
ATPo si dirigeranno verso la cascata delle chinasi (figura 5).
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Figura 5. Schema di attivazione della protezione miocardica esercitata dalla liberazione di adenosina (Rastaldo, et al., 2006).
Bradichinina.
In brevi periodi di ischemia è dimostrato il rilascio di bradichinina dalle cellule
cardiache (Goto, et al., 1995). I recettori accoppiati a proteina G attivano un
processo cascata simile a quello dell’adenosina.
Oppioidi.
I peptidi oppioidi endogeni sono triggers del precondizionamento ischemico. È
stato accertato un aumento dei livelli di encefalina nel tessuto miocardico in
seguito a brevi eventi di ischemia. I recettori oppioidi μ, δ e κ sono accoppiati a
19
proteina G e ne è stata appurata la presenza nel miocardio. Agonisti di questi
recettori imitano l’effetto cardioprotettivo del precondizionamento (Maslov, et
al., 2014).
È interessante notare come l’azione di questi triggers sia una compartecipazione al
raggiungimento del valore soglia per il precondizionamento. C’è una sommazione
di effetti e in mancanza di uno di essi si verifica un innalzamento del valore soglia
dello stimolo precondizionante (figura 6) (Goto, et al., 1995).
Figura 6. Un esempio di come più triggers agiscono in parallelo nell'IPreC. Nel primo pannello 5min di ischemia raggiungono la soglia di protezione, ma, nel secondo pannello, 3 min di ischemia no. Nel terzo pannello bloccando i recettori B2 della bradichinina con HOE 140 non si raggiunge la soglia nonostante i 5 min di ischemia. Nel quarto pannello si raggiunge il valore soglia con 3 min di ischemia associati a un ACE inibitore che aumenta i livelli di bradichinina.
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ROS.
Primo trigger recettore-indipendente. Studi sul coniglio verificarono che il
trattamento con ROS Scavenger innalzava la soglia di precondizionamento,
mentre un generatore di radicali liberi innescava uno stato precondizionante
(Tritto, et al., 1997). Si ritiene siano attivatori diretti della PKC, infatti studi in cui
inibitori della PKC erano in grado di inibire la protezione conferita dai ROS
(Baines, et al., 1997) e studi in cui sostanze antiossidanti non erano in grado di
abolire la protezione conferita da attivatori diretti della PKC (Liu, et al., 2008)
indicano che anche i ROS agiscono a monte della PKC. Possono derivare
dall’azione della Xantina Ossidasi nel catabolismo delle purine (enzima presente
nel cuore di molte specie), ma il mitocondrio sembra essere la sorgente primaria
dei ROS. L’apertura dei canali MitoK
ATPpresenti sulla membrana mitocondriale
interna, su stimolo della Proteina Chinasi G (PKG), permette allo ione K
+di
entrare nella matrice grazie al suo gradiente elettrochimico. L’ingresso dello
ione K
+è bilanciato dall’uscita di H
+; la conseguente alcalinizzazione della
matrice mitocondriale determina un aumento della produzione di anione
superossido, H
2O
2e radicali ossidrilici da parte del complesso I e III della catena
respiratoria mitocondriale (Costa, et al., 2005). Bloccando, infatti, il sito III della
catena con Mixotiazolo non si ha rilascio di ROS (Oldenburg, et al., 2002). C’è da
precisare, però, come gli stessi ROS si comportino in modo diverso in base
all’attivazione di determinate isoforme della Proteina Chinasi C (PKC). In
particolare l’interazione con un gruppo dell’isoforma ε, le PKC- ε2, sembra
inibire l’apertura degli MPTP e conferire protezione al cuore, invece,
21
l’interazione con il gruppo delle PKC- ε1 agisce direttamente sui MitoK
ATPmantenendoli aperti (Costa, et al., 2008).
Ca
++.
È stato appurato, sul cuore di ratto, come brevi periodi di elevata concentrazione
di Ca
++innescano uno stato protettivo che sembra essere lo stesso di quello
dipendente da PKC. Inoltre è stato riscontrato che l’azione Ca
++-bloccante del
Verapamile inibisce l’attivazione e la traslocazione della PKC, mediatore centrale
dell’IPreC. Quindi transitori picchi di [Ca
++] sono trigger diretti della PKC
(Miyawaki, et al., 1997). Osservazioni simili sono state fatte e confermate su
modelli canini (Przyklenk, et al., 1997).
Ipertermia.
È stato confermato su cuore di ratto come brevi periodi di ipertermia
conferiscano cardioprotezione sia nella early phase che nella fase tardiva. Il
meccanismo è associabile a quello dei ROS, in quanto prodotti essi stessi nello
stato febbrile (Yamashita, et al., 1998).
Etanolo.
La breve esposizione a etanolo poi sospesa e seguita da tempo sufficiente a
metabolizzare l’alcool prima dell’ischemia, induce uno stato protettivo
precondizionante-like. È interessante notare come questa attività di innesco sia
inesistente se l’etanolo persiste durante l’ischemia (Krenz, et al., 2001).
22
4.2 MEDIATORI
Proteina Chinasi C (PKC).
La prima descrizione del ruolo della PKC nel precondizionamento ischemico fu
merito di Ytrehus e la sua equipe nel 1994 (figura 7). Essi evidenziarono che
inibitori selettivi della PKC come staurosporina e polimixina B abolivano l’effetto
cardioprotettivo del precondizionamento nei conigli. Analogamente, attivatori
della PKC, come gli esteri del forbolo, ponevano il cuore in uno stato protetto
(Ytrehus, et al., 1994).
La PKC è una serina/treonina chinasi attivata da cofattori lipidici che derivano
dalla degradazione dei fosfolipidi di membrana da parte della Fosfolipasi C. Nel
cuore è presente in diverse isoforme, che possono essere suddivise in classiche:
α, β e γ che dipendono sia dal Diacilglicerolo (DAG) che dal Ca
++, e nuove
isoforme: ε, δ e η che sono Ca
++-indipendenti e sono attivate solo dal DAG. Ci
sono, infine, isoforme atipiche come la ζ che non richiedono né DAG né Calcio.
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Figura 7. Principali tappe nello studio del coinvolgimento della PKC nel precondizionamento ischemico (Simkhovich, et al., 2013).
Le isoforme di PKC attivate possiedono un’alta specificit{ per il legame con una
proteina chiamata Recettore per Kinasi C attivate (RACK). Questi RACKs sono
situati solo su alcuni organelli all’interno della cellula per portare l’isoforma di
PKC in prossimità di una specifica proteina substrato. Il legame al RACK
completa l’attivazione dell’isoforma e causa la fosforilazione del substrato nelle
vicinanze (Johnson, et al., 1996). L’attivazione della PKC richiede la
traslocazione fisica dell’enzima dal citosol al sito di legame nella membrana del
sarcolemma, e questo sembra essere un evento chiave del precondizionamento
ischemico (Liu, et al., 1994).
24
Per quanto riguarda le varie isoforme , il ruolo della PKC-ε nell’IPreC è stato
dimostrato da Gregory e la sua equipe attraverso studi su cuore di topo
fosfolambano-deficiente e livelli ridotti di questa isoforma, i quali hanno
evidenziato un’insufficienza nel recupero contrattile durante la riperfusione
seguente i 40 min di ischemia. Accoppiando questi topi con altri che
esprimevano la εRACK, i transgeni risultanti dimostravano maggiore
traslocazione di PKC-ε e un miglioramento nella contrattilit{ cardiaca durante la
riperfusione (Gregory, et al., 2004).
Il ruolo della PKC-δ è più controverso. Da una prima evidenza sugli effetti
mediati nella cardioprotezione da questa isoforma, si è passati a considerare la
sua traslocazione come deleteria nell’IPreC.
Churchill e il suo gruppo hanno dimostrato che il precondizionamento
ischemico, in un isolato modello di cuore di ratto perfuso, causa una diminuzione
della PKC-δ nella frazione mitocondriale, contrastata da un aumento di PKC-ε
(Churchill, et al., 2010).
Questi recenti studi hanno indicato che la PKC-δ non ha un ruolo protettivo nel
cuore, contribuendo a sottolineare i ruoli divergenti delle isoforme ε e δ nella
cardioprotezione (Simkhovich, et al., 2013).
La Proteina Chinasi C può essere, quindi , attivata attraverso la via della proteina
G (Fosfolipasi C e DAG) oppure dal picco di generazione di ROS che avviene
durante la fase riperfusiva. Il suo meccanismo d’azione e i suoi target non sono
ancora del tutto definiti, ma sicuramente sono stati fatti passi in avanti nella
comprensione del suo ruolo nella cardioprotezione.
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In particolare attraverso la via della proteina G, la PKG media l’attivazione della
PKC-ε1 e PKC-ε2. La PKC-ε1, vicino la membrana mitocondriale interna, fosforila
e apre i MitoK
ATPcon conseguente aumento di produzione di ROS, i quali
diffondono e attivano a loro volta entrambe i gruppi di PKC-ε
.La PKC-ε1
mantiene la produzione di ROS in quello che è un meccanismo a feedback
positivo, mentre la PKC-ε2 inibisce l’apertura degli MPTP e protegge il cuore
(Costa, et al., 2008).
All’azione della PKC è dovuto anche un innalzamento del pH intracellulare
agendo sullo scambiatore Na
+/H
+(Simkhovich, et al., 2013).
Sembra che la PKC-α attivi direttamente la 5’-nucleotidasi, un enzima che genera
un aumento dei livelli di adenosina a partire dall’adenosina monofosfato (AMP)
(Kitakaze, et al., 1993). Inoltre la PKC può aumentare l’affinit{ del recettore A
2bper l’adenosina (A
2bAR) attraverso la fosforilazione dello stesso recettore o
l’accoppiamento a proteine; sembra possibile, infatti, che questo recettore possa
rispondere all’adenosina endogena solo dopo la sensibilizzazione della PKC che
ne abbassa la soglia di sensibilità (Kuno, et al., 2007)(Yang, et al., 2010) (figura
8).
Recentemente è stato appurato come la PKC-ε attivi l’enzima mitocondriale
Aldeide Deidrogenasi 2 (ALDH2), che rimuove i prodotti della perossidazione
lipidica proteggendo così le funzioni mitocondriali (Chen, et al., 2008).
Altre azioni riconducibili alla PKC sono: la riduzione della morte cellulare per
apoptosi (PKC-ε) e la riduzione del volume dell’infarto (Saurin, et al., 2002);
inoltre la PKC sembra contribuire alla fosforilazione e attivazione della
26
connessina-43, una proteina importantissima per la formazione delle
gap-junctions intercellulari (Schulz, et al., 2003).
Figura 8. PKC signaling (Simkhovich, et al., 2013).
Proteina Chinasi G (PKG).
La PKG è una proteina chinasi serina/treonina cGMP-dipendente. È stata
implicata per la prima volta come potenziale mediatore dell’IPreC in studi
dimostranti l’aumento dei livelli di cGMP in cuori precondizionati (Iliodromitis,
et al., 1996).
27
Attivata dalla cascata del fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) che conduce a un
aumento di cGMP, la PKG va a mediare l’apertura dei MitoK
ATPtramite
l’attivazione della PKC-ε (Costa, et al., 2005) (figura 9).
Takuma e la sua equipe hanno dimostrato su mitocondri di topo che cGMP e PKG
sono in grado di inibire l’apertura degli MPTP (Takuma, et al., 2001). Si può
ipotizzare che l’attivazione della PKG possa mediare l’inibizione degli MPTP
IPreC-indotta che si verifica al momento della riperfusione miocardica
(Hausenloy, et al., 2006).
Altri studi suggeriscono che l’attivazione della PKG possa ridurre la
comunicazione gap-junction (Kwak, et al., 1995).
28
Proteina Chinasi A.
Studi hanno riportato l’attivazione della PKA durante il protocollo di
precondizionamento e il suo contributo alla protezione indotta dall’IPreC
(Sanada, et al., 2004). È interessante notare (in comune con p38 MAPK) come la
PKA potrebbe avere un duplice ruolo nel precondizionamento: la sua attivazione
durante l’ischemia sembrerebbe essere dannosa, mentre l’attivazione durante la
fase di precondizionamento porterebbe a protezione (Makaula, et al., 2005).
L’attivazione della PKA durante il protocollo di precondizionamento sembra
correlata alla generazione di cAMP indotta dall’ischemia. Inserte e la sua equipe
hanno suggerito la mediazione della PKA nel processo di IPreC che protegge i
miociti dalla distruzione mediata dalla calpaina al momento della riperfusione
(Inserte, et al., 2004).
Uno dei meccanismi d’azione più accreditati è stato riscontrato su modelli di
cuore canino, dove l’attivazione transitoria della PKA ,durante il protocollo di
precondizionamento, conferisce protezione al miocardio inibendo la Rho
GTP-asi e la Rho chinGTP-asi. Gli effettori di questa cascata non sono ancora del tutto
chiari (Sanada, et al., 2004).
Tirosin Chinasi (TK).
Possono essere divise in: recettori tirosin-chinasici che vanno ad attivare la PKC
e per certi versi possono essere definiti come trigger dell’IPreC, oppure, recettori
citosolici che possono agire come mediatori nel precondizionamento, agendo a
valle o in parallelo con la PKC.
29
Furono identificate da Maulik e la sua equipe, i quali dimostrarono che la
genisteina, antagonista tirosin-chinasico, poteva bloccare la protezione indotta
da precondizionamento nel cuore di topo (Maulik, et al., 1998). Studi condotti da
Downey e il suo gruppo suggeriscono che la TK in congiunzione con il recettore
del fattore di crescita epidermico posa essere richiesta per attivare il pathway
PI3K-Akt, implicato nella protezione indotta da IPreC (e già visto in precedenza
nella cascata di attivazione della PKG) (Krieg, et al., 2002). Il meccanismo
attraverso il quale il recettore delle TK induce protezione non è ancora del tutto
chiaro, ma potrebbe essere legato all’attivazione delle Mitogeno-Attivate Proteine
Chinasi (MAPK) (Hausenloy, et al., 2006).
La famiglia delle MAPK (Mitogen-Activated Protein Kinase) comprende quattro
proteine chinasi tra cui la 42 e 44 kDa Extracellular Signal-regulated Kinase
(Erk1/2), la 38 kDa (p38MAPK), la c-Jun N-terminal Kinase (JNK) e la Big MAP
Kinase 1 (BMK1 o Erk5). Esse trasmettono i segnali ai loro bersagli attraverso
l’attivazione di varie vie di segnalazione intracellulare (Widmann, et al., 1999)
(figura 10).
30
Figura 10. Schema di attivazione della famiglia delle proteine MAPK. La loro attivazione prevede una cascata di fosforilazioni a partire dalla MAPK kinase kinase(MKKK) che fosforila la MAPK kinase (MKK) che attiva la MAPK (Widmann, et al., 1999).
Erk 1/2.
Fu descritta per la prima volta nel 1990 come una serina/treonina proteina
chinasi. Il suo ruolo come mediatore nel precondizionamento ischemico è
controverso, comunque la maggioranza degli studi supportano la sua presenza
nel meccanismo protettivo.
Nel meccanismo di precondizionamento viene attivata dalla PKC-ε (Ping, et al.,
1999), mentre altri studi hanno dimostrato il ruolo dei ROS, generati in risposta
allo stimolo precondizionante, come attivatori di Erk1/2 (Samavati, et al., 2002).
Recenti studi sembrano confermare l’ipotesi secondo la quale l’attivazione di
Erk1/2 ridurrebbe la morte cellulare, nel danno da I/R, attraverso meccanismi
anti-apoptotici (Hausenloy, et al., 2004).
31
Ricerche su miociti di topo che sovraesprimono la PKC-ε hanno evidenziato
un’interazione tra questa chinasi e Erk1/2 a livello dei mitocondri. Mentre PKC-ε
può legarsi a componenti degli MPTP e inibirli, Erk1/2, attaverso la p90RSK, può
fosforilare e inibire la proteina GSK-3β con la conseguenza di una mancata
apertura degli MPTP e cardioprotezione (Juhaszova, et al., 2004). È stato
dimostrata anche, da Gao e la sua equipe, la traslocazione di Erk1/2 verso le
gap-junctions. Un’ipotesi accreditata sembra essere la riduzione di queste
comunicazioni come meccanismo cardioprotettivo nel precondizionamento
(Gao, et al., 2004).
Le ultime ricerche suggeriscono che l’IPreC induca 2 fasi di attivazione di
Erk1/2, la prima si verifica immediatamente dopo lo stimolo precondizionante,
mentre la seconda al momento della riperfusione miocardica. È interessante
notare che inibendo la prima fase di attivazione si abolisce anche la seconda,
quindi il primo step di attivazione di Erk1/2 è necessario per eseguire il
secondo, forse attraverso la traslocazione della chinasi al suo sito d’azione
(Hausenloy, et al., 2005).
p38 MAPK.
La p38 MAPK comprende 4 isoforme principali: p38α, p38β, p38γ e p38δ
(Widmann, et al., 1999). Gli studi sul suo ruolo nella cardioprotezione sono
controversi e oggetto tutt’ora di discussioni.
Per quanto riguarda le isoforme, sembra che quelle più interessate nella
cardioprotezione siano la α e la β. La p38α sembra mediare processi di morte
cellulare, mentre la p38β contribuirebbe alla sopravvivenza della cellula
32
(Nemoto, et al., 1998). In linea con queste considerazioni, studi hanno suggerito
che è la p38α ad aumentare durante l’ischemia, e il precondizionamento sembra
proteggere i miociti riducendo l’attivazione di questa isoforma (Saurin, et al.,
2000). Contrariamente, altre ricerche hanno dimostrato un incremento
dell’attivit{ della p38β MAPK nel cuore precondizionato del suino (Schulz, et al.,
2003).
Nell’IPreC, la PKC e la TK, sembrano essere potenziali attivatori della p38 MAPK.
È un’ipotesi accreditata anche l’attivazione da parte dei ROS prodotti in risposta
all’apertura dei MitoK
ATP, ma non è stata ancora dimostrata direttamente
(Hausenloy, et al., 2006).
Per quanto riguarda i target della p38 MAPK, studi hanno riportato 2 importanti
substrati come la MAPK-activating protein kinase 2 (MAPKAPK 2), una chinasi in
grado di fosforilare piccole proteine come la HSP27 che conferisce stabilità al
citoscheletro (studi hanno evidenziato la traslocazione p38 MAPK-dipendente
dal citosol al citoscheletro) e la αB cristallina la cui fosforilazione e attivazione
porta a protezione contro il danno da I/R (Armstrong, et al., 1999) (Eaton, et al.,
2001).
Studi di Bines e la sua equipe su cuori di topo che sovraesprimono la PKC-ε
hanno evidenziato un’interazione nel signaling tra p38 MAPK e la stessa PKC
(Baines, et al., 2002). Sono necessari ulteriori approfondimenti per capire il
ruolo della p38 MAPK a livello dei mitocondri nella cardioprotezione.
33
Ulteriori ricerche hanno riportato l’attivazione della connessina-43 da parte
della p38 MAPK (evidenziati aumenti di p38β), che porterebbe a protezione
nell’IPreC riducendo la conduttanza delle gap-junctions (Schulz, et al., 2003).
Ci sono ancora molti dubbi sull’effettivo apporto di questa proteina alla
cardioprotezione, in quanto alcuni studi dimostrarono che la sua inibizione
durante il danno da I/R fosse protettiva. Recentemente un punto di vista comune
sul ruolo della p38 MAPK è che l’IPreC la attiva transitoriamente durante la fase
di precondizionamento e ne riduce l’attivazione durante la prolungata fase
ischemica (Marais, et al., 2001) (Hausenloy, et al., 2006).
JNK.
Questa proteina fu scoperta nel 1991 come appartenente alla famiglia delle
MAPK. Differiva da Erk1/2 in quanto sembrava essere attivata in seguito a stress
cellulare come calore, shock osmotico, raggi UV, endotossine e citochine, da cui il
nome alternativo di Stress-Activated Protein Kinase (SAPK) (Kyriakis, et al.,
1994).
Il ruolo di JNK nel precondizionamento ischemico è controverso, ci sono, infatti,
studi che riconoscono il suo ruolo nella cardioprotezione e studi che ne
evidenziano l’aspetto dannoso.
Per quanto riguarda l’aspetto protettivo, ricerche hanno confermato
l’attivazione di JNK in risposta a uno stimolo precondizionante e il suo ruolo
come mediatore nella protezione indotta da IPreC (Sato, et al., 2000). Altri,
invece, hanno dimostrato la sua attivazione in seguito a stimolo di
precondizionamento ma hanno fallito nel confermare il suo contributo alla
34
protezione (Iliodromitis, et al., 2002). Al contrario, ricerche su modelli di topo
condotte da Gu e la sua equipe hanno riscontrato che l’IPreC inibisce
l’attivazione di JNK durante l’inizio della fase ischemica, suggerendo un ruolo
dannoso nella cornice del precondizionamento (Gu, et al., 2000).
Nell’IPreC probabili attivatori della proteina JNK sono i ROS, che sembrano
mediarne l’attivazione indotta da riperfusione. Come effettivamente i ROS,
generati da uno stimolo precondizionante, attivino JNK è ancora sconosciuto e
da dimostrare (Knight, et al., 1996).
Ping e il suo gruppo hanno dimostrato, invece, un’attivazione a monte da parte
della PKC-ε tramite esperimenti su miociti di coniglio (Ping, et al., 1999). Come
per le altre proteine appartenenti alla famiglia delle MAPK (in ricerche su miociti
di topo che sovra esprimono PKC-ε), anche JNK partecipa a un’interazione nel
signaling con la PKC a livello dei mitocondri, evidenziando quest’ultimi come
target più accreditati (Baines, et al., 2002).
BMK1.
Recentemente è stato descritto un nuovo membro della famiglia delle MAPK,
chiamato Big MAP kinase 1 (BMK1 o Erk5), attraverso studi che ne hanno
dimostrato un aumento di attività in cuori precondizionati di suino (Takeishi, et
al., 1999).
I suoi potenziali effetti cardioprotettivi (con meccanismi e signaling a monte e a
valle tutti ancora da definire) includono una riduzione della conduttanza delle
gap-junctions, quindi, con un probabile interessamento della connessina 43
35
(Cameron, et al., 2004), e la fosforilazione e inibizione del fattore pro-apoptotico
BAD (Pi, et al., 2004).
PI3K e Akt.
La fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) è una famiglia di enzimi coinvolti in
complessi meccanismi cellulari. È in grado di fosforilare l’idrossile in posizione 3
dell’anello inositolico del fosfatidilinositolo bifosfato (PIP2) e trasformarlo in
fosfatidilinositolo trifosfato (PIP3), il quale andrà ad attivare (tra le varie vie di
segnalazione) la proteina serina/treonina chinasi Akt (anche chiamata PKB),
implicata, tra le altre cose, nella sopravvivenza cellulare (Cantley, 2002).
Approfondimenti hanno evidenziato la presenza di un’altra chinasi che media
l’attivazione di Akt: la phosphoinositide-dependent protein kinase 1 (PDK1) (Wick,
et al., 2000) (figura 11).
Tong e la sua equipe furono i primi a dimostrare il coinvolgimento della cascata
PI3K-Akt nella protezione da precondizionamento ischemico (Tong, et al., 2000).
La tirosina chinasi è un attivatore conosciuto di PI3K-Akt, studi hanno
dimostrato che la Src TK innesca la cascata nel pathway di PI3K-Akt nell’IPreC
(Cantley, 2002). Altre ricerche hanno evidenziato che, oltre che essere un
attivatore a monte dei MitoK
ATP, PI3K-Akt possono essere attivati a loro volta a
valle dei MitoK
ATP, probabilmente dai ROS generati dall’apertura dei canali
(Hausenloy, et al., 2006).
Il ruolo di mediatore di Akt nel precondizionamento ischemico è dimostrato da
vari studi che vedono questa chinasi come promotrice diretta della produzione
di NO e PKC-ε (Tong, et al., 2000). Altri target di Akt sono la caspasi 9,
36
fosforilazione e inibizione dei fattori pro-apoptotici BAX e BAD, fosforilazione e
attivazione del fattore anti-apoptotico Bcl-2, la glycogen synthase kinase GSK-3β
(figura 11).
In particolare la fosforilazione e l’inattivazione di GSK-3β porta all’inibizione
dell’apertura degli MPTP, che è uno dei principali apporti della cascata di
PI3K-Akt alla protezione da IPreC (Juhaszova, et al., 2004). Studi recenti hanno
appurato la mancata apertura degli MPTP in cellule sovraesprimenti Akt e
sottoposte a stress ossidativo (Davidson, et al., 2006).
Come Erk1/2, studi suggeriscono che anche Akt possa avere 2 fasi di attivazione
in risposta a uno stimolo precondizionante. È importante sottolineare come la
seconda fase di attivazione, che si verifica alla riperfusione, sia necessaria per la
protezione IPreC-indotta (Hausenloy, et al., 2005).
37
Figura 11. PI3-Akt signaling
GSK-3β.
Glycogen synthase kinase-3β è una proteina coinvolta come mediatore nel
precondizionamento ischemico. La sua fosforilazione e inibizione è il target di
diversi mediatori quali Akt e p70S6K, ma sembra anche un target di PKC e
Erk1/2 (Tong, et al., 2002).
Studi hanno riportato che la fosforilazione e inibizione di GSK-3β ritarda e
inibisce la formazione degli MPTP (sembra il target cardioprotettivo principale
di questa via di signaling) secondo meccanismi ancora sconosciuti ma
38
sicuramente indiretti (Murphy, et al., 2005). Altro target importante nella
cornice del precondizionamento, è la fosforilazione del fattore pro-apoptotico
BAX, quindi l’inibizione di GSK-3β, in questa chiave, ne riduce l’attivazione
(Murphy, et al., 2008).
mTOR.
La proteina chinasi Mammalian or Mechanist Target of Rapamycin (mTOR) è
un’atipica serina/treonina chinasi che esercita le sue principali funzioni cellulari
attraverso l’interazione con specifiche proteine per formare 2 differenti
complessi, mTOR Complex 1 (mTORC1) e mTOR Complex 2 (mTORC2). mTORC1
regola la sintesi proteica, la crescita e proliferazione cellulare, l’autofagia e le
risposte agli stress cellulari, mentre mTORC2 sembra essere coinvolta di più
sulla regolazione della sopravvivenza cellulare. Comunque la maggioranza delle
informazioni disponibili circa il funzionamento di mTOR nel sistema
cardiovascolare, riguardano il ruolo di mTORC1 (Sciarretta, et al., 2014).
Uno dei target più accreditati attraverso il quale mTOR esplica il suo effetto
cardioprotettivo nell’IPreC è l’attivazione tramite fosforilazione sulla treonina
389 della p70 ribosomal S6 Kinase (p70S6K), una proteina che media la
fosforilazione e inibizione del fattore pro-apoptotico BAD, l’inibizione di GSK-3β
e la regolazione positiva dell’autofagia (che sembra avere un ruolo importante
nel danno da I/R) (figura 12).
La Rapamicina, infatti, un inibitore specifico di mTOR, ha dimostrato di bloccare
gli effetti protettivi del precondizionamento ischemico attraverso, appunto,
un’inibizione della fosforilazione di p70S6K (Murphy, et al., 2008).
39
I 2 complessi in questo ambito sembrano agire in maniera diversa. Dati
dimostrano come la rapamicina inibisca la fosforilazione di p70S6K da parte di
mTORC1, ma non l’attivazione da parte di mTORC2 (Ali, et al., 2005).
Figura 12. p70S6K signaling con modulazione di mTORC1 e PDK1.
Sfingosina Chinasi.
La sfingosina 1-fosfato (S1P) è una proteina attivata dalla catalisi della sfingosina
chinasi (SK) che fosforila la sfingosina. L’attivazione/inibizione di questo
pathway è importante per la motilit{ della cellula, l’organizzazione del
citoscheletro, la crescita cellulare, e può determinare il destino della cellula
alterando l’equilibrio ceramide/S1P, la prima pro-apoptotica e la seconda che
attiva processi per la salvaguardia della cellula (Karliner, 2013). La sfingosina
chinasi esiste in 2 isoforme, SK1 e SK2, ma sembra che nella cardioprotezione la
SK1 abbia un ruolo più importante. In particolare, studi su cardiomiociti di topo,
40
hanno portato alla definizione della via signaling della sfingosina chinasi che è
innescata dall’azione del Monoganglioside GM1. Il GM1 fosforila e attiva la PKC-ε
che, successivamente, attiva SK che catalizza la fosforilazione di S1P (Jin, et al.,
2004).
Una volta attivata, la S1P può contrastare l’azione pro-apoptotica della ceramide,
oppure legarsi ai suoi recettori attraverso una traslocazione extracellulare. Il
legame ai suoi recettori (in particolare il recettore S1P
1) accoppiati a proteine G
trimeriche promuove l’attivazione del patwhay della proteina Akt che va a
fosforilare e inibire la GSK-3β (con conseguente inibizione degli MPTP) e il
fattore pro-apoptotico BAD (Karliner, 2013).
41
42
4.3 L’IPOTESI DEL RISK PATHWAY
Quelli elencati finora sono i principali mediatori che esplicano la loro funzione nel
processo di Precondizionamento ischemico, e più precisamente nella Early Phase.
In primo luogo la scoperta della PKC le aveva assegnato il ruolo di mediatore
principale e a monte di tutto il processo. In seguito altre ricerche dimostrarono il
coinvolgimento della PKC (in particolare nell’isoforma PKC-ε) anche a valle, come,
per esempio, nell’attivazione seguita dalla generazione di ROS causata dall’apertura
dei MitoK
ATP. La successiva scoperta del pathway della famiglia delle MAPK ha
richiesto ulteriori cambiamenti nell’approccio allo studio dell’IPreC. È in questa
chiave che Hausenloy e Yellon formularono la loro teoria secondo la quale nel
meccanismo di precondizionamento ischemico trova spazio la coesistenza di 2
cascate di segnali cardioprotettivi che coinvolgono Erk1/2 e PI3K-Akt e la
coattivazione di entrambe le chinasi in seguito a ischemia prolungata.
Considerando il ruolo funzionale e il timing di attivazione, gli autori chiamarono
questa cascata il Reperfusion Injury Salvage Kinase (RISK) pathway. Entrambi i
componenti del RISK pathway, Erk1/2 e PI3K-Akt, si pensa convergano
nell’attivazione della p70S6K. La PKC trovò spazio a valle del meccanismo proposto
dai ricercatori in quanto attivata essa stessa dal RISK (Hausenloy, et al., 2004). In
seguito a queste considerazioni lo schema più condiviso del funzionamento
dell’Early Phase dell’IPreC vedeva la divisione delle vie di segnale protettive in 2
fasi. Una prima fase di risposta allo stimolo precondizionante, chiamata “fase di
precondizionamento”, che ha luogo durante lo stimolo. Questa fase include
43
l’attivazione di PI3K-Akt e i membri della famiglia delle MAPK che convergono
verso i mitocondri, con generazione di ROS, susseguente attivazione di PKC-ε e
apertura dei MitoK
ATP.
La seconda fase ha luogo durante la riperfusione ed è finalizzata a ridurre i danni
della stessa. Durante questa fase un veloce aumento nella generazione di ROS può
attivare la PKC con successiva fosforilazione del RISK pathway che attivano
MitoK
ATPcon conseguente chiusura degli MPTP (Hausenloy, et al., 2005) (figura
14).
44
4.4 EFFETTORI FINALI
MitoK e MPTP.
I MitoK sono costituiti da un canale ionico al K
+in associazione con una proteina
legante sulfonilurea (Sur). Esistono diverse isoforme e il canale può essere
assemblato in diverse combinazioni. Dalle conoscenze che abbiamo oggi,
costituiscono sicuramente uno dei principali target dei signaling endogeni e
farmacologici dell’IPreC.
In condizioni normali, la membrana mitocondriale interna è quasi impermeabile
al K
+. Quindi quando i canali sono chiusi, l’ingresso di ioni K
+è trascurabile e
bilanciato facilmente dall’antiporto K
+/H
+che pompa K
+fuori dalla matrice.
Al contrario, in condizioni di stress o ischemia, l'apertura dei MitoK provoca un
notevole afflusso di ioni K
+, con diffusione di acqua, assorbimento di anioni e
conseguente rigonfiamento della matrice. Questo effetto garantisce la
conservazione di una bassa permeabilità della membrana esterna per i
nucleotidi e la creazione di un favorevole gradiente per la sintesi di ATP e il suo
trasferimento nel citoplasma (Garlid, 2000). Quindi, l’attivazione dei MitoK
controlla il volume della matrice mantenendo uno stretto spazio
intermembranale, necessario per preservare un’efficace fosforilazione
ossidativa. Inoltre, l’apertura dei MitoK produce una lieve depolarizzazione del
potenziale di membrana, responsabile dell’assorbimento ridotto di Ca
++nella
matrice, preservandola da un dannoso sovraccarico e dalla successiva apertura
degli MPTP (Hausenloy, et al., 2005). Quindi l’apertura dei MitoK come target
dell’IPreC garantisce la limitazione nella formazione e l’inibizione dell’apertura
45
degli MPTP, riducendo il rilascio di fattori pro-apoptotici durante la riperfusione,
preservando l’integrit{ della membrana mitocondriale (figura 15).
Figura 15. Spiegazione schematica dei diversi meccanismi collegati all'apertura dei MitoK+ (Testai, et al., 2015).
Citoscheletro.
I miociti sottoposti a ischemia sono più suscettibili a rottura osmotica, a causa
sia del disquilibrio ionico dovuto al danno, sia anche allo stress patito dal
citoscheletro che risulta più fragile e lesionato, probabilmente a causa della
perdita di fosforilazione di proteine strutturali chiave. I miociti precondizionati
sembrano protetti contro lo sviluppo di fragilità strutturale (Yellon, et al., 2003).
In questa chiave la proteina p38MAPK (mediatore nell’early IPreC) e il suo
substrato MAPKAPK2 hanno come target la fosforilazione di piccole proteine
46
come la HSP27 e la αB-cristallina che, a loro volta, provocano l’assemblaggio dei
filamenti di actina nel citoscheletro. Studi hanno riportato la traslocazione di
HSP27 e αB-cristallina al citoscheletro in seguito a precondizionamento (Eaton,
et al., 2001).
Apoptosi.
Come visto prima, nella parte dei mediatori, alcuni processi del
precondizionamento ischemico sono volti a impedire la morte programmata
delle cellule innescata dal danno di I/R. Questo avviene tramite la fosforilazione
e inibizione dei fattori pro-apoptotici BAX e BAD e la fosforilazione e attivazione
del fattore anti-apoptotico Bcl-2 da parte della cascata PI3K-Akt e delle proteine
MAPK (Hausenloy, et al., 2006).
Gap-junctions.
È un’ipotesi che la riduzione delle gap-junctions mediata da alcune proteine
come le MAPK e la stessa PKC attraverso la fosforilazione della connessina 43,
possa essere cardioprotettiva in seguito a danno da I/R (Garcia-Dorado D, et al.,
2002). Recenti studi, però, hanno evidenziato come il ruolo della connessina 43
nell’IPreC possa essere indipendente dalla formazione delle gap-junctions, in
quanto è stato evidenziato una sua traslocazione a livello dei mitocondri durante
il precondizionamento. Studi hanno visto bloccare la protezione in isolati miociti
(quindi dove non ci sono gap-junctions) in seguito a carenza di connessina 43
(Heinzel, et al., 2005).
47
5. LATE PHASE O SECOND WINDOW OF PROTECTION (SWOP)
Abbiamo visto come la fase precoce del precondizionamento ischemico si sviluppi
immediatamente dopo lo stimolo ischemico precondizionante e si protragga per le
1-2 ore successive.
Nel 1993 due laboratori di ricerca, lavorando indipendentemente uno dall’altro,
scoprirono che l’effetto cardioprotettivo riappariva circa 24h dopo il primo stimolo
precondizionante. Yellon e il suo gruppo osservarono una riduzione dell’area
dell’infarto, usando modelli in vivo di coniglio, 24h dopo lo stimolo standard
dell’IPreC e chiamarono questa finestra di protezione Second Window Of Protection
(SWOP) (Marber, et al., 1993).
Kuzuya e colleghi hanno dimostrato riduzioni delle dimensioni dell’infarto
miocardico su modello canino in vivo sia immediatamente che 24h dopo l’inizio
dello stimolo precondizionante, ma fallirono nell’osservare riduzioni dell’infarto
12h dopo l’inizio dello stesso, confermando l’esistenza di una risposta
cardioprotettiva all’IPreC bifasica (Kuzuya, et al., 1993).
Questi studi utilizzarono 4 cicli di 5 min di ischemia e riperfusione per innescare il
Late IPreC, probabilmente seguendo il protocollo standard allora utilizzato per
l’Early IPreC. In seguito venne scoperto che era sufficiente un singolo ciclo di 5 min
di ischemia per suscitare il Late IPreC (Baxter, et al., 1997).
48
La fase tardiva del precondizionamento ischemico può essere generata da (Stein, et
al., 2004):
stimoli fisiopatologici, quali ischemia, stress cardiaco, ipossia e l’esercizio
fisico;
stimoli farmacologici quali:
molecole naturali potenzialmente nocive, come endotossine,
interleuchina-1, il fattore di necrosi tumorale α α), β
(TNF-β), il fattore inibente la leucemia (LIF) e i ROS;
farmaci applicabili clinicamente, come gli agenti capaci di
rilasciare NO, gli agonisti del recettore dell’adenosina, i derivati
delle endotossine come il monofosforil lipide A (MLA) e il suo
analogo RC-552, gli stimolatori dei canali K
ATPcome il diazossido,
gli agonisti dei recettori adrenergici-α1 e gli agonisti dei recettori
oppioidi.
Dalla sua prima descrizione, la fase tardiva dell’IPreC è stata ampiamente studiata
cercando di delineare le vie di segnale che la caratterizzano.
Questa finestra di IPreC è innescata da molecole generate durante lo stimolo
precondizionante che mettono in moto complessi meccanismi protettivi attivando i
corrispondenti recettori sulla superficie cellulare. Le sostanze triggers reclutano
dei mediatori precoci, che sono in genere proteine chinasi, le quali, a loro volta,
attivano fattori di trascrizione. A 12-24h dallo stimolo precondizionante,
l’attivazione dei fattori di trascrizione ha come conseguenza la sintesi ex novo di
proteine, i mediatori distali, che proteggono il cuore nelle successive 24-72 ore,
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agendo su degli effettori finali o targets (figura 16) (Hausenloy, et al., 2010). La
trascrizione e sintesi di proteine-mediatrici cardioprotettive è la principale
differenza tra Early IPreC e SWOP.
Anche qui cercheremo di definire e suddividere, per quanto possibile, il ruolo dei
pathways coinvolti.
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5.1 TRIGGERS
I triggers cardioprotettivi sono generati in risposta a uno stimolo precondizionante
e vanno ad attivare i primi mediatori del Late IPreC. Essi comprendono molti degli
autacoidi e citochine generati dal miocardio in risposta a uno stimolo di
precondizionamento classico (adenosina, oppioidi, TNF-α etc.), nonché ROS e NO
(figura 17).
Adenosina
.
Fu uno dei primi trigger dello SWOP descritti. Yellon e colleghi dimostrarono
attraverso studi su modelli in vivo di coniglio che la somministrazione, prima
dello stimolo precondizionante, di un antagonista non specifico dei recettori
dell’adenosina come l’8-(p-solfofenil)-teofillina (8-SPT) aboliva l’effetto benefico
del Late IPreC sulle dimensioni dell’infarto.
Inoltre l’effetto cardioprotettivo del precondizionamento ritardato poteva essere
mimato somministrando un agonista dei recettori A
1dell’adenosina come
2-cloro-N
6-ciclopentiladenosina (CCPA) (Baxter, et al., 1994). Inoltre la ripetuta
somministrazione ogni 48h di questo agente, manteneva il cuore di coniglio in
uno stato precondizionato (Dana, et al., 1998).
È interessante notare come l’adenosina endogena non sembra avere un ruolo
nell’effetto cardioprotettivo del Late IPreC contro lo stunning miocardico,
evidenziando le differenze con la protezione contro l’infarto (Maldonado, et al.,
1997).
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