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Valutazione degli effetti fisiologici indotti dalla tiroide e dalla liberazione di ormoni tiroidei nel cavallo in diversi stati funzionali

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione pag. 6

La tiroide “ 11

Disponibilità cellulare degli ormoni tiroidei “ 25 Recettori per ormoni tiroidei “ 27 Metabolismo degli ormoni tiroidei “ 29

Regolazione dell’attività tiroidea “ 31

Azione biologica degli ormoni tiroidei “ 38

Effetto di membrana “ 38

Metabolismo basale ed effetto calorigeno “ 39

Metabolismo glucidico “ 40 Metabolismo lipidico “ 40 Metabolismo proteico “ 41 Metabolismo idrosalino “ 42 Accrescimento “ 42 Sistema cardiocircolatorio “ 42 Sistema nervoso “ 43 Sistema immunitario “ 44 Riproduzione “ 44

Sviluppo dei tessuti “ 45

Variazioni fisiologiche della concentrazione

di ormoni tiroidei “ 50

Il fotoperiodo “ 50

La lattazione “ 51

Il ruolo dei ritmi circardiani “ 52

La temperatura e la stagione “ 54

L’età “ 57

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Le paratiroidi “ 62 Meccanismo di controllo e regolazione

ormonale dell’esercizio fisico “ 63

Fisiologia della tiroide nell’esercizio fisico “ 89 Stati funzionali che influenzano il tasso

ormonale tiroideo “ 93

Età “ 93

Temperatura ambientale “ 95

Sostanze ad azione farmacologia “ 96

Alimentazione “ 97 Ritmo circardiano “ 98 Ciclo e gravidanza “ 99 Trasporto su strada “ 100 Esercizio “ 102 Stress psico-fisico “ 126 Conclusioni pag 130 Bibliografia pag 139

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RIASSUNTO

Parole chiave: Tiroide, ormoni, cavallo, variazioni fisiologiche, allenamento sportivo.

L’Autrice, mettendo in evidenza le caratteristiche biologiche e funzionali degli ormoni tiroidei, ha di conseguenza preso in considerazione e valutato gli effetti fisiologici indotti nel cavallo. Analizzando in particolare le azioni metaboliche ha evidenziato le variazioni fisiologiche indotte sia da modificazioni della concentrazione ormonale, sia dal rapporto con specifici stati funzionali (effetti stagionali, ritmi circadiani, alimentazione, stress, età ed altri). In particolare ha fatto riferimento alla “performance atletica” e allo stato di allenamento, in diverse condizioni di utilizzazione dei soggetti presi in esame. Ne è derivata una stretta connessione nel cavallo fra tipologia di attività a cui viene sottoposto e modificazioni fisiologiche legate allo stato funzionale.

ABSTRACT

Keywords : Thyroid, hormone, horse, physiology variations, sport training. The authoress, drawing attention to the biological and functional characteristics of thyroid hormones, has consequently taken into consideration and assessed the physiological effects on the horse. By means of an analysis which places particular attention on metabolic process she has evidenced the physiological variations induced both by modifications in hormone concentrations and by the relationship with specific functional states ( seasonal effects, circadian rhythms, nutrition, stress, age etc.) In particular, she has dealt with “athletic performance” and the level of training , in various conditions of the utilization of the subjects taken into consideration. The result of this study demonstrates a close connection in the horse between the type of activity it undergoes and physiological modifications tied to its functional status.

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INTRODUZIONE

Non si farà offesa alla verità affermando che buona parte del progresso umano è dipeso dall’uso che l’uomo ha fatto del cavallo.

Il cavallo è stato un fattore di sviluppo della società umana a partire dalla notte dei tempi.

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Sappiamo che in tempi preistorici l’uomo cacciava il cavallo per nutrirsene e che già in tempi antichissimi veniva utilizzato come forza lavoro o come strumento di guerra.

Il cavallo moderno, noto come Equus caballus, si è evoluto, attraverso fasi graduali, da l’ Eohippus che esisteva circa sessanta milioni di anni fa.

Per quanto riguarda la sua storia sul nostro pianeta i fossili più antichi del genere Equus, rinvenuti nel continente americano, sono stati datati a circa 3 milioni di anni fa e a questo periodo risalgono quindi le origini del cavallo.

Attraverso lo stretto di Bering, istmo formatosi dopo la glaciazione con l’abbassamento del livello del mare, questa specie migrò e si diffuse in Eurasia e in Africa sviluppando caratteristiche morfologiche diverse in base all’aspetto climatico del territorio in cui si veniva a trovare.

Si pensa che la doma sia cominciata solo tra il 1700 e il 1500 a.C. e che le ossa di cavallo che sono state rinvenute in insediamenti archeologici del neolitico (circa 5 mila anni a.C.), indicassero unicamente che il cavallo era a quel tempo ancora utilizzato esclusivamente come cibo.

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Dopo l’addomesticamento il cavallo è stato utilizzato inmolteplici aspetti della vita dell’uomo: da forza lavoro nelle attività agricole o sui campi di battaglia o lungo le vie commerciali come mezzo di trasporto e comunicazione.

Ha costituito lo strumento di una civiltà in crescita, la base dello sviluppo delle civiltà moderne, dalle comunicazioni, agli scambi commerciali e culturali. Il compito del cavallo si è notevolmente ridotto con la Rivoluzione industriale della seconda metà del XVIII secolo e quindi con la sostituzione della forza lavoro con l’uso delle macchine.

Ma il legame instauratosi tra uomo e cavallo ha dimostrato la sua forza perdurando nel tempo.

L’uomo ha rinnovato l’interesse nel cavallo con l’equitazione e quindi con l’impiego di questo splendido animale in discipline ludico-sportive.

Sono proprio le caratteristiche anatomiche e fisiologiche che lo hanno reso adatto ad essere utilizzato prima, come forza lavoro in campo agricolo e militare, ed oggi come animale per svago e sport nelle discipline equestri.

Con i primi decenni del 1900 inoltre l’attenzione s’è concentrata sullo studio della fisiologia del cavallo

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in esercizio, e questo interesse si è accresciuto in modo esponenziale a partire dagli anni ’50.

Le conoscenze acquisite nel corso degli anni permettono oggi di ottimizzare l’utilizzo del cavallo in molteplici discipline, sfruttando le caratteristiche anatomo-fisiologiche che lo contraddistinguono.

Il cavallo mostra una evidente superiorità atletica nei confronti delle altre specie atletiche come il cane e l’uomo.

Le sue attitudini naturali possono essere anche ricondotte alla sua base etologica che lo vede preda in natura.

La sua sopravvivenza è quindi intimamente connessa alle potenzialità che gli hanno consentito di sfuggire ai predatori, le stesse che oggi vengono sfruttate in campo agonistico.

La domesticazione e la selezione genetica hanno poi contribuito ad affinarne le caratteristiche e farne un vero e proprio atleta.

La differenza tra il cavallo e le altre specie atletiche, non riguarda gli aspetti qualitativi dei meccanismi fisiologici che stanno alla base dell’esecuzione di un esercizio fisico, meccanica respiratoria, cardiocircolatoria e muscolare, la capacità di

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d’energia, sono sostanzialmente le stesse nelle diverse specie.

Ciò che rende speciale il cavallo è l’ aspetto “quantitativo” dei meccanismi fisiologici messi in campo durante l’attività fisica (Snow, 1985; Erickson, 1993).

Intraprendere e sostenere un esercizio richiede di possedere risorse energetiche e la capacità di utilizzarle nel migliore dei modi sia in campo umano che in campo animale. Attualmente è possibile valutare la “capacità di performance” e lo stato di allenamento del cavallo basandosi su indagini funzionali, metaboliche e sul riscontro di alcuni parametri ematobiochimici di natura endocrina e non endocrina (lattato ematico, indici di cortisolemia, CK o creatinfosfochinasi, frequenza cardiaca, massima capacità di assunzione di ossigeno, ed altri ancora).

Da questo complesso si ricavano indicazioni che riguardano quasi esclusivamente l’attività metabolica, cardiovascolare e respiratoria ma non va dimenticato che lo scopo di perseguire elevate prestazioni fisiche è conseguibile solo come risposta integrata e adeguata di tutto l’organismo; proprio per questo è opportuno estendere la ricerca al ruolo

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svolto dall’apparato neuroendocrino nella performance del soggetto, anche in considerazione del suo spiccato coinvolgimento in tutte le attività metaboliche e funzionali endogene.

Questa tesi, in considerazione che nell’ambito neuroendocrino un ruolo spiccato è indubbiamente rivestito dalla tiroide e dagli ormoni tiroidei, in virtù delle loro azioni ubiquitarie, si propone di approfondire le relazioni tra la funzionalità tiroidea e vari stati funzionali nel cavallo con un riferimento più marcato al cavallo sportivo ed alla performance dello stesso.

LA TIROIDE

La tiroide, descritta per la prima volta da Galeno, è una ghiandola endocrina di derivazione endodermica, in quanto origina come lamina ispessita dall’epitelio del pavimento faringeo.

La sua denominazione, coniata nel 1656 da Wharton, è dovuta ai suoi rapporti topografici con la cartilagine tiroide della laringe, che ha la forma di scudo (tyro=scudo; eido=immagine).

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laterale in prossimità del laringe e in corrispondenza dei primi anelli tracheali.

Nel cavallo ,la ghiandola è di colore rosso-bruno e si compone di due lobi, posti lateralmente ai primi tre o quattro anelli tracheali, di forma ovale e di lunghezza circa 5 cm, congiunti da un istmo.

Il peso della ghiandola è all’incirca di 0,1 g per ogni Kg di peso corporeo.

Ciascun lobo è avvolto da una capsula che, all’esterno, è connessa al tessuto connettivo lasso circostante e reca numerosi vasi sanguigni.

A livello della parte mediale di ciascun lobo è presente l’ilo, punto di passaggio per vasi e nervi. L’elevata vascolarizzazione della tiroide, variabile comunque a seconda dell’attività funzionale, è garantita dall’arteria tiroidea craniale, branca della carotide comune.

Il sistema venoso è costituito dalla vena tiroidea caudale, tributaria della vena giugulare.

L’innervazione nei mammiferi è fornita da terminali adrenergici, colinergici e peptidergici, contenenti VIP, sostanza P, somatostatina.

L’innervazione simpatica provvederebbe soprattutto a regolare l’apporto ematico, mentre la modulazione dell’attività tiroidea e della sintesi e secrezione degli

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ormoni dipende principalmente dalla tireotropina (TRH), sotto controllo ipotalmico, e dalla disponibilità di iodio.

I linfatici della ghiandola confluiscono nel tronco giugulare senza attraversare alcun linfonodo.

Pur essendo il secreto riversato nel sistema venoso, una quota degli ormoni tiroidei e la maggior parte delle iodoproteine sono rilasciate nella circolazione linfatica (Pelagalli & Botte, 1999).

La struttura della ghiandola è di tipo follicolare, con follicoli di varie dimensioni(20-50µ ), generalmente rotondeggianti, contenenti una sostanza colloide (Tireoglobulina) prodotta dalle circostanti cellule follicolari tiroidee.

Ogni follicolo infatti è costituito da un singolo strato di cellule epiteliali, i tireociti (o cellule follicolari) che delimitano una cavità centrale (lume follicolare) contenente la colloide.

I tireociti sono caratterizzati da un abbondante reticolo endoplastico e da un apparato del Golgi molto sviluppato.

Il citoplasma di queste cellule è basofilo.

La colloide si colora invece con l’eosina ed è fortemente reattiva alla colorazione con

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acido-Il citoplasma apicale contiene numerosi piccoli granuli densi positivi alla reazione per le idrolasi acide, identificabili quindi come lisosomi e non come granuli secretori.

Sono anche rilevabili vacuoli contenenti materiale positivo alla reazione PAS e colorabili con blu di anilina, interpretabili come gocce di colloide assunte per endocitosi dalla cellula, in risposta allo stimolo del TSH.

La loro attività secernente è rivolta verso il lume del follicolo e la membrana cellulare a contatto con la colloide è fornita di numerosi microvilli.

Lo strato di cellule follicolari varia in altezza a seconda dello stato funzionale.

Le cellule possiedono nuclei ovalari, nel lume del follicolo è presente solo una limitata quantità di colloide e assumono una forma cilindrica quando è presente un riassorbimento attivo da parte delle cellule della sostanza colloide.

Nel secondo caso invece i nuclei sono appiattiti a causa dell’abbondante quantità di colloide presente nel lume follicolare e le cellule si presentano cubiche o appiattite.

La quantità di colloide è inversamente proporzionale al grado di attività tiroidea.

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I tireociti sintetizzano gli ormoni iodati.

In conseguenza di quanto detto sopra le dimensioni del follicolo e quantità di colloide sono proporzionali all’attività tiroidea, nel senso che, con l’incremento di questa, le cellule tiroidee aumentano di volume, diventando cilindriche da appiattite o cubiche e riassorbono attivamente la sostanza colloide.

Nei mammiferi in corrispondenza della porzione basale dei tireociti (altrimenti detti “cellule principali”), sono presenti cellule di maggiori dimensioni (le cellule parafollicolari o cellule C) che sintetizzano la calcitonina, peptide di 32 aminoacidi scarsamente specie-specifico.

Si possono reperire, interposti tra i follicoli tiroidei più periferici, numerose cellule linfocitarie (Bloom & Fawcett, 1996).

Le cellule follicolari hanno la caratteristica di possedere una doppia polarità, possono infatti:

a) secerne la tireoglobulina dal polo rivolto verso la cavità follicolare (fase di accumulo).

b) liberare l’ormone tiroideo dal polo rivolto verso la membrana basale nei capillari previo riassorbimento ed elaborazione enzimatica della colloide (fase di riassorbimento e

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Il follicolo può essere considerato l’unità funzionale della ghiandola tiroide.

La sostanza colloide è costituita fondamentalmente dalla tiroglobulina, una glicoproteina con un coefficiente di sedimentazione di 19S e un peso molecolare di 670.000 D; è sintetizzata nel reticolo endoplasmatico rugoso come peptide che polimerizza e al quale sono aggiunte le componenti glucidiche durante il passaggio nell’apparato del Golgi.

La proteina è quindi incorporata in vescicole e riversata nel lume follicolare. All’occorrenza la colloide viene riassunta nelle cellule follicolari per pinocitosi all’interno di vacuoli, nei quali, una volta fusi con i lisosomi, la tireoglobulina viene scissa da enzimi proteolitici nelle due molecole biologicamente attive tiroxina (tetra-iodotironina o T4) e tri-iodotironina (T3).

La tappa iniziale per la sintesi degli ormoni tiroidei è rappresentata dalla captazione da parte delle cellule follicolari dello ioduro circolante mediante un meccanismo di trasporto attivo che funziona contro gradiente.

Lo ioduro infatti si concentra a livelli anche venti volte superiori rispetto alla concentrazione ematica.

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Per la sintesi di tali ormoni è necessaria la presenza di Iodio. Lo iodio introdotto con la dieta ed assorbito a livello intestinale, oppure derivante dal catabolismo degli ormoni tiroidei, circola nel sangue sotto forma di ioduro; una volta pervenuto al polo basale delle cellule follicolari, viene captato all’interno di esse mediante un meccanismo di trasporto attivo con l’intervento di uno specifico carrier. L’assorbimento giornaliero richiesto di iodio nel Cavallo adulto è di 1 mg al giorno (Jarics, 1993).

Nel citoplasma delle cellule e nel lume del follicolo è presente un sistema enzimatico (ioduro perossidasi) deputato alla ossidazione dello ioduro a iodio molecolare (I2) in presenza di H2O2.

Lo iodio viene quindi legato ai radicali tirosinici della tireoglobulina (partecipando così al processo di organicazione dello iodio), dapprima in posizione 3 dando origine al MIT (3 mono-iodotirosina), poi anche in posizione 5 (3-5 di-iodotirosina) originando DIT: il 90% dello iodio tiroideo è in forma organica.

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Per condensazione di due molecole di DIT si origina la 3-3’-5-5’ Tetraiodotironina (tiroxina o T4), mentre da una molecola di DIT condensata con una MIT si ottiene la 3-3’-5’ (tri-iodotironina o T3).

Questi due ormoni, dal polo basale delle cellule, diffondono nello spazio interstiziale e nei capillari adiacenti.

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Solo una piccola parte dello iodio presente nel siero è inorganico, la quota maggiore è rappresentata da iodio organico legato alle proteine.

Se le proteine seriche vengono precipitate, la quasi totalità dello iodio organico precipita con queste. Lo iodio legato alle proteine (Protein Bound Iodine, o PBI), è rappresentato prevalentemente da T4, e in piccola proporzione da T3, MIT,DIT e, in condizioni patologiche, da tireoglobulina e da proteine abnormi.

Il principale prodotto della tiroide è la T4 (90%), ma vengono secrete dalla ghiandola anche la T3 che costituisce la molecola più attiva, nonché piccole quantità (0,2 %) di T3-inversa (r-T3, riverse T3), dotata invece di scarsa o nulla attività ormonale. Nei mammiferi, è noto che il T3 è l’ormone metabolicamente attivo e quindi il responsabile della maggior parte degli effetti degli ormoni tiroidei sugli organi bersaglio.

Il T4 è infatti considerato un pro-ormone.

I recettori tiroidei hanno affinità più elevata per il T3, sebbene leghino anche il T4 che può comunque innescare gli effetti tipici degli ormoni tiroidei.

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svolti in merito, e la potenza del T3 è molto più alta di quella del T4 nei mammiferi (Engler & Burger, 1984).

Nei mammiferi l’emivita plasmatica della T4 è di 4-5 volte superiore a quella della T3 ( 5-7giorni contro 1-2 giorni, a causa del forte legame con le proteine di trasporto da parte della tiroxina).

Gli ormoni circolanti sono quindi T3, T4 ad r-T3: solo lo 0,1% degli ormoni tiroidei circola nel sangue sotto forma libera, tutto il resto è veicolato dalle proteine (con le quali si stabilisce un legame reversibile), e sotto tale forma sembrano essere biologicamente inattivi.

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Le proteine veicolanti sono tre: una globulina (Thyroxine Binding Globulin o TBG ) la quale migra fra le α1 e le α2, ed ha una maggiore capacità legante per la T4 che per la T3; una prealbumina (TBPA ) che lega solo T3; ed una albumina (TBA) che lega sia la T3 che la T4.

In condizioni normali il 61% degli ormoni tiroidei circolanti è legato alla TBG, il 22% alla TBPA, ed il 17% alla TBA (tabella I, dove TBA è indicata con ALB).

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Gli ormoni legati alle proteine costituirebbero una riserva circolante prontamente utilizzabile, in equilibrio con la quota di T4 e T3 libere (fT3 e fT4 ); queste ultime rappresentano le forme attive dell’ormone a livello periferico.

Poiché tutte queste forme sono in equilibrio tra di loro, variazioni dell’entità del metabolismo intracellulare o dell’assunzione di T3 o del tasso di deiodazione della fT4 possono condizionare le concentrazioni di tutte le forme ormonali.

Benché la T4 sia maggiormente rappresentata nel sangue circolante, sembra ormai accertato che la T3 sia l’ormone biologicamente attivo.

Per questo motivo è di fondamentale importanza la formazione di T3 a partire dalla tiroxina (T4) mediante un meccanismo di deiodazione nei tessuti periferici.

Gli organi in grado di eseguire tale processo enzimatico sono principalmente il fegato, il rene, l’ipofisi ed il muscolo scheletrico.

L’enzima 5’deiodasi converte la T4 in T3, invece un altro enzima, la 5-deiodasi converte in r-T3, biologicamente inattiva.

Le cellule epatiche e renali dispongono quindi di T3 a partire dalla tiroxina, sfruttando il proprio sistema

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di deiodazione intracellulare; altri sistemi periferici invece dipendono principalmente dalla T3 sierica (Pethes e Rudas,1985).

L’ attività tiroidea è notevolmente influenzata, come avremo occasione di chiarire più avanti, da fattori ambientali, quali temperatura, umidità relativa, fotoperiodo, disponibilità alimentare, nonché dall’ambiente interno dell’organismo, in particolare dalle richieste e disponibilità energetiche.

Tali fattori si traducono quindi in informazioni, le quali vengono elaborate dal sistema nervoso centrale e convogliate all’ipotalamo, dove hanno sede i principali centri della omeostasi.

L’ipotalamo può rispondere con la secrezione del Fattore Liberante la Tireotropina Ipofisaria (TRH o TRF), un tripeptide dal peso molecolare di 360 D, il quale, tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario, stimola direttamente la ghiandola pituitaria a liberare Ormone Tireostimolante (TSH), detto anche tireotropina, che a sua volta stimola la tiroide ad una maggiore attività.

La sensibilità dell’ipofisi al TRH, e quindi la messa in circolo di TSH, è strettamente e negativamente correlata con i livelli sierici di T3 e di T4, ma

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sistema di deiodazione intraipofisario: infatti il grado di saturazione dei recettori nucleari intraipofisari per la triiodotironina è principalmente regolato dalla T4 sierica, convertita in T3 in sede intracellulare, mentre sembra meno importante a questo riguardo la T3 che penetra nelle cellule ipofisarie direttamente dal sangue.

Fisiologicamente la tiroide produce tutta la T4 circolante e circa il 20% della T3 ematica; gli ormoni rilasciati nel circolo sono per il 60% costituiti dalla T4 e per il restante 40% dalla T3. La maggior parte dell’attività biologica degli ormoni tiroidei è dovuta agli effetti della T3 sulle cellule bersaglio.

Questo ormone infatti ha una grande affinità per il recettore degli ormoni tiroidei ed è circa 4-10 volte più potente rispetto alla T4.

Poiché l’80% della T3 sierica deriva dalla deiodazione della T4 nei tessuti e poiché il recettore per l’ormone tiroideo lega preferenzialmente la T3, la T4 è considerata un precursore.

Conseguentemente il metabolismo periferico del T4, sia che ne provochi l’attivazione alla forma recettorialmente attiva T3 che ne provochi invece l’inattivazione, è molto importante nella regolazione

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del livello di disponibilità della forma attiva dell’ormone tiroideo e quindi della stessa funzionalità ghiandolare.

Il TSH agisce determinando aumento di volume delle cellule tiroidee, stimola la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei.

Esalta inoltre la captazione dello iodio (fino a 300 volte): può essere concentrato in ambito tiroideo fino al 90% dello iodio presente nell’intero organismo.

Il TSH promuove inoltre l’organicazione dello iodio (Aguggini G. et al., 1992).

L’azione degli ormoni citati si ripercuote sul metabolismo in senso generale, tanto che la loro funzione è risentita da tutto l’organismo e condiziona il metabolismo basale che viene definito come “il livello più basso di produzione energetica compatibile con la vita”.

Disponibilità cellulare degli ormoni tiroidei

In passato, si pensava che gli ormoni tiroidei potessero diffondere passivamente attraverso la membrana cellulare e nucleare.

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L’opinione più recente, invece, è quella che l’idrofilicità da un lato e l’idrofobicità dall’altro della molecola degli ormoni tiroidei impedisca la diffusione passiva.

I siti recettoriali ad alta affinità per gli ormoni tiroidei sono comunque presenti sulle membrane esterne di diversi tipi di cellule, come gli epatociti, eritrociti e le cellule tumorali del neuroblastoma. Le proteine trasportatrici degli anioni organici (Organic Anions Transporter Proteins, Oatps) hanno anche la funzione di introdurre gli ormoni tiroidei all’interno delle cellule. Questi ormoni interagiscono anche con altre proteine di membrana, come ad esempio la Ca2+-ATP-asi, l’adenilato ciclasi ed i trasportatori del glucosio.

E’ stato dimostrato che il T3 favorisce l’entrata degli zuccheri a livello cellulare senza influenzare la sintesi proteica.

Anche gli enzimi citoplasmatici possono legare gli ormoni tiroidei, i quali ne inibiranno o favoriranno l’attività, come già dimostrato per l’attività antivirale dell’interferone γ nell’uomo.

In molti tipi di tessuti sono stati scoperti siti di legame o recettori mitocondriali per il T3, i quali possono innescare la trascrizione di varie classi di

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proteine, come le proteine disaccoppianti (uncoupling proteins, UCPs).

La stimolazione della sintesi di queste proteine favorisce la termogenesi attraverso il processo di fosforilazione ossidativa disaccoppiante, in cui si ha la dissipazione di una parte dell’energia prodotta sotto forma di calore. Questo processo risponde all’esposizione al freddo od al surriscaldamento.

In conclusione questi dati portano ad affermare che sebbene sia riconosciuto, come verrà approfondito in seguito, che la maggior parte degli effetti del T3 sono mediati a livello nucleare da recettori per gli ormoni tiroidei regolanti la trascrizione di geni bersaglio, una parte non trascurabile dell’attività del T3 (nello specifico la produzione di energia) si esplica invece tramite la trascrizione genica nucleare e la sintesi proteica.(Decuypere E. et al., 2005).

Recettori per gli ormoni tiroidei

I recettori per gli ormoni tiroidei appartengono ad una famiglia di fattori di trascrizione nucleare ormono-responsivi, simili a quelli per gli ormoni

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il legame dell’ ormone tiroideo al recettore nucleare, il complesso ormone-recettore si congiunge ad una regione regolatoria del gene (thyroidhormone response elements -TRE), innescando una serie di eventi che culminano in un aumento di velocità di trascrizione del DNA, di traslazione dell’mRNA e quindi della sintesi proteica.

I recettori per gli ormoni tiroidei dimostrano una certa omologia con quelli per gli ormoni steroidei, vitamina D, acido retinoico e con alcuni recettori “orfani”, per i quali non sono stati ancora individuati ligandi o funzioni specifiche.

Questa superfamiglia di recettori ormonali nucleari condivide una struttura proteica simile, possedendo un dominio A/B amino-terminale, un dominio centrale legante il DNA contenente due domini a dita di zinco, una regione cardine contenente il segnale di localizzazione nucleare e un dominio carbossi-terminale che trattiene il ligando.

E’ presente comunque una certa diversità nei domini o nelle regioni di questa famiglia di recettori nucleari.

Nel primo dominio a dito di zinco legante il DNA (DBD) c’è una regione detta “P box”, simile a quella presente nei recettori per gli estrogeni (Ers), per

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l’acido retinico (RARs), per i retinoidi X (RXRs) e per la vitamina D (VDRs).

Questa regione è importante nel riconoscimento sequenza-dipendente degli elementi ormono-responsivi da parte dei diversi membri della superfamiglia degli ormoni nucleari.

Diversamente da altri membri della superfamiglia di recettori nucleari, come i recettori degli ormoni steroidei, trascrizionalmente inattivi in assenza di ligando, i recettori degli ormoni tiroidei liberi (cioè non legati) si possono legare alle TREs modulando così la trascrizione di geni bersaglio.

I recettori degli ormoni tiroidei con il ligando, al contrario, interagiscono con molte proteine nucleari per formare un complesso tracrizionalmente attivo.

Metabolismo degli ormoni tiroidei

La più importante via metabolica riguardante gli ormoni tiroidei è la deiodazione,processo nel quale si verifica la rimozione di una molecola di iodio metallico dall’anello molecolare esterno (nel caso della deiodazione dell’anello esterno o ORD), o dall’anello molecolare interno (deiodazione

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dell’anello interno o IRD) di una molecola diiodotironina.

La deiodazione è un processo irreversibile e può portare sia all’attivazione che all’inattivazione degli ormoni tiroidei.

La deiodazione dell’anello esterno della molecola di T4 è l’unica via che porti alla produzione dell’ormone attivo T3,costituendo quindi una via metabolica attivante.

Questa reazione è catalizzata dall’enzima deiodasi di tipo II (D2).

La deiodazione dell’anello interno sia della molecola del T4 che di quella del T3 conduce invece soltanto alla produzione di iodotironine inattive, rispettivamente reverse T3 (rT3) ad opera dell’enzima deiodasi di tipo I (D1) e 3,3′-diiodotironina (T2) ad opera dell’enzima deiodasi di tipo III (D3), caratterizzandosi così come una via metabolica neutralizzante.

Anche la deaminazione e la decarbossilazione della catena laterale a livello dell’alanina così come la scissione del legame etilico tra i due anelli della iodotironina sono reazioni irreversibili facenti parte del metabolismo degli ormoni tiroidei. Anche loro conducono ad una perdita dell’attività ormonale.

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La coniugazione del gruppo idrossilico fenolico con solfato o acido glicuronico sono invece vie metaboliche reversibili.

Il processo di deiodazione è influenzato dall’interazione degli ormoni tiroidei tra loro e con altri ormoni; le conseguenze di questo scambio si ripercuotono a livello di trascrizione e traslazione genica, influenzando la sintesi proteica o direttamente agendo sulle proteine, cofattori o entrambi. Questo argomento verrà approfondito di

seguito.

Regolazione dell’attività tiroidea

L’attività tiroidea è notevolmente influenzata da fattori di ordine ambientale quali temperatura, umidità relativa, fotoperiodo, disponibilità alimentare, nonché dall’ambiente interno dell’organismo (richieste e disponibilità energetiche).

La tiroide è controllata dall’ asse ipotalamo-ipofisi-tiroide. L’ipotalamo può rispondere ai fattori suddetti con la secrezione del fattore liberante la tireotropina ipofisaria (TRH, Thyrotropin Releasing

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ipotalamo-ipofisario, stimola direttamente la ghiandola pituitaria a liberare l’ormone tireostimolante (TSH), detto anche tirotropina, il quale a sua volta spinge la tiroide ad una maggiore attività.

Questo ormone è una glicoproteina che interagisce con specifici recettori posti a livello dei tireociti, stimolando la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei.

La sintesi ed il rilascio del TSH da parte dell’ ipofisi sono influenzate dagli ormoni tiroidei e dal peptide ipotalamico TRH.

La secrezione del TRH, e quindi quella del TSH, sono pulsatili.

L’ attività della tiroide è regolata da un feed-back negativo neuroendocrino, nel quale l’ormone tiroideo interagisce con specifici recettori sia a livello ipofisario che ipotalamico, inibendo rispettivamente la secrezione di TSH e di TRH.

La secrezione del TSH ipofisario è anche inibita da un neuropeptide ipotalamico, la somatostatina, secreta da neuroni con il corpo cellulare nella regione periventricolare, subito sotto il chiasma ottico.

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Questa sostanza agisce rinforzando l’effetto inibitorio degli ormoni tiroidei sul TSH.

Le interazioni a livello dell’ asse ipotalamo-ipofisi-tiroide mantengono stabile la quantità di ormoni tiroidei circolanti.

Gli effetti del TSH sulla tiroide sono numerosi e complessi. Esso infatti stimola la proliferazione cellulare, aumenta il numero dei microvilli, aumenta la sintesi della adenilato ciclasi tiroidea, della tireoglobulina, favorendo anche la captazione dello iodio all’interno delle cellule follicolari e la sua internalizzazione a livello ghiandolare.

La sintesi e la liberazione in circolo degli ormoni tiroidei dipendono quindi sia da fattori intrinseci alla ghiandola, come la disponibilità di iodio, sia da fattori ad essa estrinseci, come il feed-back negativo.

Quest’ultimo si realizza mediante diversi meccanismi, alcuni dei quali sono stati accennati poco sopra, tramite:

1) l’ipotalamo attraverso il TRH (Thyrotropin Releasing Hormone);

2) l’ipofisi attraverso il TSH (Thyroid Stimulating Hormone);

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3) il livello di concentrazione plasmatica degli stessi ormoni tiroidei;

4) la somatostatina;

5) l’ormone somatotropo (GH), in misura minore; 6) i glucocorticoidi.

Il fulcro dell’autoregolazione è la cellula basofila adenoipofisaria, secernente il TSH.

Su di essa agiscono con influenza contrapposta il TRH (stimolazione) e le iodotironine (inibizione). Il TRH, mediatore ipotalamico di controllo su diverse attività pituitarie (stimolazione della produzione di TSH, prolattina e GH), è prodotto da alcuni neuroni che possono subire l’influenza di altri centri nervosi del diencefalo.

Un decremento del tasso ematico degli ormoni tiroidei determina la secrezione di TSH,mediata dal TRH. Viceversa, un incremento degli ormoni tiroidei in circolo inibisce la secrezione di TSH e diminuisce il numero di recettori ipofisari per il TRH.

La somatostatina, di natura peptidica, agisce invece inibendo la secrezione di TSH ipofisario, concorrendo a rinforzare quell’effetto inibitorio dovuto agli ormoni tiroidei circolanti sul TRH, tramite un meccanismo di feed-back negativo.

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Per quanto riguarda invece i fattori di regolazione intrinseci alla ghiandola, essi si riducono alla concentrazione iodica intratiroidea. Se questa è in difetto c’è una maggiore sensibilità della ghiandola al TSH, fatto che si estrinseca con una maggiore capacità da parte della ghiandola di intrappolare lo iodio plasmatico ed una produzione costituita da quasi solo T3, che abbiamo visto essere funzionalmente più attivo. Inoltre,viene recuperato lo iodio proveniente dalla deiodazione periferica della T4 (a livello di fegato, ipofisi ed altri organi); in tale processo, si può determinare la formazione di T3 (ad opera dell’enzima D2), o di r-T3 (tramite l’azione dell’enzima D1). L’ormone r-t3 appare biologicamente inattivo, caratterizzando così questo processo come il principale meccanismo di inattivazione dell’ormone tiroideo stesso. Tutto ciò viene ad assumere una precisa importanza metabolica, in riferimento a determinate condizioni fisiologiche o patologiche che necessitino di un’attenuazione delle azioni metaboliche supportate dagli ormoni tiroidei (nei mammiferi carenze proteiche, stato neonatale, manifestazioni piretiche, malattie epatiche o renali).

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I prodotti iodati eliminati con la bile nei mammiferi possono anche essere riassorbiti a livello intestinale, instaurandosi così un circolo entero-epatico: in tal modo essi, guadagnando la circolazione generale, pervengono nuovamente alla tiroide, rendendosi così disponibili per la sintesi di nuovi ormoni tiroidei. Questo processo, definito “tesaurizzazione dello iodio”, è molto importante in stati carenziali di tale elemento.

In caso di eccesso di iodio, al contrario, c’è una minore sensibilità al TSH da parte della ghiandola, venendosi a verificare il cosiddetto effetto Wolff-Chaikoff, ovvero il blocco dell’organicazione dello iodio e quindi della sintesi di ormoni.

Esiste anche un “feed-back” negativo a corto raggio esercitato dagli ormoni tiroidei sulla stessa tiroide (“short-loop mechanism”).

Molti altri fattori, infine, intervengono a vari livelli sulla funzionalità dei tireociti: insulina e fattori di crescita in senso stimolante, interleuchine e interferone gamma in senso inibente (per paracrinia).

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Azione biologica degli ormoni tiroidei

L’azione biologica degli ormoni tiroidei è ubiquitaria, coinvolgendo l’attività metabolica dell’intero organismo nell’adulto, e il suo sviluppo e differenziazione cellulare durante la fase di accrescimento accrescimento.

Di seguito verranno esposte le funzioni ghiandolari.

Effetto di membrana

L’effetto di membrana consiste nell’incremento del trasporto di glucosio e di aminoacidi all’interno delle cellule. Questa azione si esplica tramite recettori per la T3 sulla membrana plasmatica, forse attraverso l’attivazione di specifici carriers.

Viene aumentato anche il trasporto di sodio, grazie alla sintesi di ATPasi Na+-K+ dipendente.

Questo effetto però è lento, in quanto dipende dall’azione della T3 sul nucleo. Con lo stesso meccanismo viene stimolata la sintesi di recettori per altri ormoni o neuro mediatori, rendendo la cellule capaci di risposte più intense agli stimoli.

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Metabolismo basale ed effetto calorigeno

Gli ormoni tiroidei determinano uno spiccato aumento del metabolismo basale, della produzione di calore, del consumo di O2 e quindi del fabbisogno di ossigeno e metaboliti.

Un importante contributo agli effetti sul metabolismo basale è il potenziamento dell’azione dell’ATPasi Na+K+ dipendente (pompa del sodio), con notevole aumento di lavoro osmotico e corrispondente spesa energetica.

L’effetto calorigeno si deve soprattutto all’attivazione dell’ATPasi Na+K+ dipendente ed all’azione sui mitocondri; questa attività viene favorita dal trasporto di glucosio e dalla sensibilizzazione alle catecolamine nei tessuti eccitabili. Sulla termoregolazione dell’intero organismo intervengono comunque altri ormoni, tra cui ACTH, oltre alle già citate catecolamine. L’intervento della tiroxina nella termoregolazione contro il freddo consiste nel potenziare l’azione calorigena dell’adrenalina. Nei vertebrati eterotermi gli ormoni tiroidei non intervengono nelle termoregolazione, ma svolgono importanti funzioni

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nei processi di metamorfosi (“effetto metamorfosante”).

Metabolismo glucidico

L’azione in questo ambito si esplica sia direttamente che tramite l’intervento di altri ormoni, quali insulina e catecolamine. Gli ormoni tiroidei stimolano l’assorbimento intestinale dei carboidrati, la glicogenolisi e la gluconeogenesi. La T3 stimola la captazione di glucosio da parte delle cellule agendo sulla membrana plasmatica, aumentando l’efficienza dei meccanismi di trasporto piuttosto che la loro quantità. Gli ormoni tiroidei inoltre esaltano il catabolismo epatico dell’insulina, con conseguente effetto iperglicemizzante.

Metabolismo lipidico

A livello di questa sfera metabolica si ha una riduzione delle riserve adipose: gli acidi grassi originatisi dalla lipolisi vengono ossidati per produrre ATP, con conseguente diminuzione dei tassi plasmatici di trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo. Si ha infatti un aumento del catabolismo del

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colesterolo a livello epatico, che supera l’aumento della sintesi.

L’attività lipolitica delle catecolamine è modulata dagli ormoni tiroidei. Questi favoriscono inoltre la conversione del β-carotene in vitamina A, ma sembra essere vera anche l’affermazione reciproca: a sua volta, infatti, un incremento di β-caroteni determinerebbe un aumento di ormoni tiroidei.

Metabolismo proteico

Gli ormoni tiroidei aumentano sia la sintesi che il catabolismo proteico, sia a livello di proteine strutturali che di enzimi, ed anche di ormoni. Tale effetto biologico risulta indispensabile per la sintesi di tutti gli ormoni proteici, rivestendo un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi endocrina generale. Inizialmente la T3 stimola l’accrescimento e l’anabolismo proteico. Oltre un punto critico però i consumi energetici diventano un fattore limitante, per cui nell’ipertiroidismo prevalgono gli effetti catabolici rispetto agli anabolici (il cosiddetto “effetto difasico”).

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Metabolismo idro-salino

Gli ormoni tiroidei facilitano la diuresi in quanto bloccano localmente l’azione dell’ADH sulle cellule bersaglio. Negli animali in accrescimento si ha ritenzione di Ca+ +, di cui viene favorita la deposizione nella matrice ossea.

Accrescimento

Tra gli ormoni tiroidei e l’ormone somatotropo esiste comunque una differenza nell’azione promotrice della crescita esplicata dalle due tipologie ormonali. Il GH infatti favorisce la proliferazione cellulare e la crescita dei tessuti, mentre gli ormoni tiroidei sono indispensabili per promuovere la corretta differenziazione ed organizzazione cellulare.

Sistema cardiocircolatorio

Il sinergismo con le catecolamine è particolarmente evidente per ciò che concerne questo sistema. Gli ormoni tiroidei infatti aumentano la frequenza e la gittata cardiaca.

Ciò si deve all’aumento della sintesi di recettori di tipo β a livello miocardico, ed alla diminuzione dei

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recettori α. L’ormone T3 produce un rapido e marcato aumento della captazione del Ca+ + da parte del miocardio.

Sistema nervoso

Gli ormoni tiroidei consentono il normale sviluppo del sistema nervoso centrale, promuovendo i processi di mielinizzazione e regolando i tempi di reazione riflessa. Essi esercitano inoltre un’azione di sinergismo, stimolando la sintesi di catecolamine ed aumentando la sensibilità periferica alle stesse. Queste molecole hanno inoltre effetti sul comportamento. Funzionalmente, a livello encefalico gli ormoni tiroidei intervengono nel metabolismo energetico (consumo di ossigeno, metabolismo del glucosio e dei corpi chetonici), sulle poliamine (contenuto e metabolismo), sulla composizione proteica dei microtubuli (tubulina e proteine associate), sulla composizione e sul metabolismo della mielina e su neurotrasmettitori.

Tra le più importanti azioni sulla crescita e differenziazione del sistema nervoso è da ricordare quella svolta sulle arborizzazioni delle cellule del

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Purkinje cerebellari e dei neuroni dopaminergici ipotalamici.

Sistema immunitario

Tiroxina e triiodiotironina possiedono anche attività immunomodulatoria stimolando l’attività anticorpale.

Riproduzione

Gli ormoni tiroidei stimolano la sintesi di recettori per le gonadotropine ipofisarie (LH e FSH) nelle cellule ovariche.

Essi favoriscono in particolare la steroidogenesi e la luteinizzazione delle cellule della granulosa sotto lo stimolo dell’FSH.

Una normale funzionalità tiroidea è altresì indispensabile per una normale spermatogenesi ed attività sessuale nei maschi di tutte le specie.

Il legame della T3 alle cellule di Leydig induce infatti la sintesi di un fattore proteico che a sua volta stimola il rilascio di androgeni.

Una adeguata presenza di ormoni tiroidei è necessaria per la corretta funzionalità endocrina del trofoblasto durante le prime fasi della gravidanza.

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La tiroide è necessaria come regolatore della sensibilità al fotoperiodo nelle specie ad attività riproduttiva stagionale, svolgendo un ruolo permissivo per i meccanismi neuroendocrini endogeni coinvolti nel passaggio all’anestro stagionale (Debenedetti, 2004).

E stato ipotizzato che l’ipotiroidismo conclamato nel Cavallo (specie poliestrale stagionale a giorni lunghi) predispone ai parti prematuri, alla difettosa ossificazione, a pericoli nella riproduzione delle cavalle obese, alla letargia e alla crescita rallentata.

Sviluppo dei tessuti

Molti tessuti necessitano degli ormoni tiroidei per differenziarsi.

Gli ormoni tiroidei potenziano l’azione dell’ormone della crescita(GH) sui tessuti, sono indispensabili per la sintesi di somatotropina e di somatomedine. L’effetto come promotori di crescita svolto dagli ormoni tiroidei comprende infatti la stimolazione della sintesi o del rilascio di fattori di crescita classici.

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crescita dei tessuti, mentre gli ormoni tiroidei sono indispensabili per promuovere la corretta differenziazione e l’organizzazione cellulare (V.Beghelli,2002).

Nell’apparato scheletrico lo sviluppo e la fusione dei centri di ossificazione è stimolato da questi ormoni. E’ necessaria la secrezione di insulin-like growth factors (IGFs) poiché il T3 favorisca il processo di crescita, ma la spinta alla differenziazione dei condrociti ipertrofici (processo di maturazione) da parte del T3 ne è indipendente (Burch & Lebovitz, 1982 e Burch & Van Wyk, 1987).

Lo sviluppo e la differenziazione dell’apparato muscolo-scheletrico necessitano sia del GH che degli ormoni tiroidei.

Questi ultimi sono importanti per la differenziazione delle miofibre esiste infatti una correlazione tra il numero di recettori per gli ormoni tiroidei nei diversi tipi di fibre muscolari e l’attività metabolica delle stesse durante lo sviluppo (Dainat et al., 1984 e Dainat et al., 1986).

Clinicamente le alterazioni funzionali della ghiandola tiroidea sono rappresentate dall’ipotiroidismo e dall’ipertiroidismo i quali possono cambiare la funzionalità del muscolo striato che può variare da

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una moderata insufficienza, dimostrabile soltanto con l’elettromiografia, ad una avanzata miopatia che causa una profonda debolezza.

La miopatia ipotiroidea con un elevato CPK del siero ed una buona risposta alla terapia della tiroide si riscontra spesso nell’uomo (Pearson, 1974) ed è stata riscontrata anche nel cavallo (Waldron-Meese, 1979).

La ben nota lunghezza del tendine di Achille nell’ipotiroidismo e la sua brevità nell’ipertiroidismo sono dovute alle differenze nella velocità di contrazione e rilasciamento del muscolo (Ingbar and Weeber, 1974), e può essere dimostrato in molte specie.

I topi mancanti di tiroide, sostenuti con somministrazioni esogene di ormoni, sia allenati che non, mostrano una capacità ridotta di sforzo fisico dovuto all’inefficienza del miocardio (Baldwin et al, 1980).

L’ipotiroidismo indotto da somministrazione di metimazolo nelle anatre domestiche causa una riduzione della massa muscolare cardiaca e pettorale.

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neuromuscolari, una severa miopatia ipertiroidea venne trovata in quasi il 30% degli uomini che non mostravano nessun segno di malattia tiroidea (Pearson, 1974).

Un ritorno rapido al volume e alla funzione normali del muscolo segue la correzione dell’ipertiroidismo. Senza entrare in una disamina approfondita delle alterazioni patologiche legata alla funzione tiroidea, si può comunque ricordare che l’ipertiroidismo porta alla ipersuscettibilità ad altri ormoni come soprattutto le catecolamine. Questo effetto causa aumentata reazione all’eccitazione del sistemo nervoso simpatico, inducendo tachicardia e ipercinesia, accompagnate nel quadro sintomatologico da una fatica cronica e ridotta facoltà allo sforzo fisico (Irvine, 1968).

E’ stato ipotizzato che l’ipotiroidismo conclamato nel Cavallo predispone ai parti prematuri, alla difettosa ossificazione, a pericoli nella riproduzione delle cavalle obese, alla letargia e alla crescita rallentata. W. Mease (1979) ha ipotizzato che casi di deludenti risultati di corsa dei cavalli come alcune miopatie, come la Sindrone di Rabdomiolisi Equina (ERS), potessero essere correlati ad un leggero ipotiroidismo.

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Non c’è dubbio che i livelli ottimali degli ormoni della tiroide siano essenziali se si deve raggiungere una prestazione neuromuscolare ottimale. E’ importante perciò chiedersi “quanto spesso i livelli dell’attività della tiroide nel cavallo mostrano cambiamenti dall’optimum e quanto tali cambiamenti sono corresponsabili di una ridotta capacità nello sforzo fisico?”

Una risposta a questa domanda richiede misurazioni accurate dell’attività tiroidea e ancora più accurate interpretazioni di dette misurazioni.

Gli ormoni tiroidei ed i glucocorticoidi agiscono di concerto nella maturazione dell’intestino, i primi stimolando la differenziazione cellulare e la produzione di enzimi digestivi, entrambi provocando la maturazione del meccanismo di trasporto del glucosio (Black, 1988, Black & Moog, 1978 e Obst &Diamond, 1992). Anche alcune delle vie metaboliche epatiche e la digestione degli alimenti sono modulate dagli ormoni tiroidei durante lo sviluppo (review, Goodridge et al.,1989).

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Variazioni

fisiologiche

della

concentrazione degli ormoni tiroidei

Il tasso plasmatico degli ormoni tiroidei presenta una notevole variabilità in relazione a molteplici fattori quali specie, razza, sesso e costituzione individuale, ma anche a caratteristiche modificazioni dovute ai diversi stati fisiologici (accrescimento, senescenza, etc).

Tale variabilità è condizionata in maniera determinante dall’alimentazione ed anche dai fattori ambientali in senso lato, come clima, stagione e condizioni di vita.

Il fotoperiodo

Nella maggior parte degli animali che vivono nelle regioni temperate, l’attività riproduttiva è sotto il controllo del fotoperiodo. Questo assicura la nascita dei piccoli in primavera o estate, le stagioni migliori per la sopravvivenza.

In molti riproduttori stagionali, la dimensione testicolare aumenta durante la stagione riproduttiva per poi diminuire durante la stagione di riposo. Nei

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fotoperiodo esterno è codificata da una secrezione ciclica giornaliera di melatonina da parte dell’epifisi, mentre la durata della notte è trasmessa tramite la secrezione costante di questo ormone durante le ore di oscurità. Nei riproduttori a fotoperiodo lungo, la secrezione di melatonina indotta dal giorno corto inibisce l’attività dell’apparato riproduttore, mentre lo stesso tipo di secrezione incrementa l’attività gonadica nelle specie a fotoperiodo corto, come la pecora e la capra (Arendt, 1995). La melatonina ha un ruolo determinante nella regolazione della risposta al fotoperiodo e gli ormoni tiroidei sono essenziali per il verificarsi dei cambiamenti legati alla stagionalità a livello dell’apparato riproduttore (Nicholls et al., 1988 e Karsch et al., 1995).

La lattazione

In questo momento fisiologico la tiroide, pur essendo indispensabile in sinergismo con altri ormoni, non sembra avere particolari compiti durante la fase di sviluppo e preparazione della ghiandola mammaria (funzione mastoplastica), ma sembra invece maggiormente importante nella fase

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In passato infatti si è fatto ricorso alla somministrazione esogena di tiroxina al fine di aumentare la produzione lattea nelle bovine. Tale iperstimolazione oltre i limiti fisiologici però sortiva degli effetti positivi soltanto transitori e limitati al primo periodo di trattamento, seguiti poi da una diminuzione della produzione.

Tale pratica è stata quindi abbandonata in seguito (Debenedetti, 2004).

Il ruolo dei ritmi circadiani

Benché non molto marcate, esistono delle variazioni della concentrazione ematica degli ormoni tiroidei legate a ritmi circadiani.

Gli autori Ferlazzo A., Piccione G., Fazio et al. (1991) hanno valutato il comportamento dei livelli sierici di T3, T4, fT4 e dei relativi rapporti nel corso delle 24 ore in vitelli.

I risultati ottenuti hanno messo in evidenza alle ore 13.00 livelli significativamente più elevati di T3 e di fT4 e del rapporto FT4/T4 (%) e più bassi di quello T4/T3 ma pressoché costanti di T4.

In particolare, inoltre, il rilievo di un picco di T3 e di fT4 alle ore 13.00 si associa a quanto

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precedentemente dimostrato in bovine gravide e in cavalli atleti (Ferlazzo A. et al., 1991).

In merito all'esistenza di un bioritmo della secrezione di ormoni tiroidei nella specie bovina è da ricordare che in giovani manzi è risultata una periodicità corrispondente a 12 ore o a 24 ore per la T4, dipendente dall'alimentazione e dal fotoperiodo, e a 28 ore per la temperatura (Hammond et al., 1984).

È da precisare, però, che l'andamento diurno delle iodotironine sieriche presenta delle difformità nei vari casi e quindi risulta difficile affermare un ritmo circardiano del rilascio degli ormoni tiroidei.

E’ da escludere, seguendo i risultati di questi studi, l’influenza della stagione poiché i dati sovrapponibili provenivano da indagini sperimentali eseguite in periodi dell’anno assai diversi.

Sarebbe più attendibile l’influenza della temperatura ambientale, poiché l’andamento diurno della T3 e dell’fT4 sembra seguire quello della temperatura del ricovero, che presenta massimo valore alle ore 13.00 e il minimo alle ore 5.00, nonché quello del fotoperiodo. In genere infatti la secrezione tiroidea è influenzata negativamente dalla temperatura

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acuta esposizione al sole induce aumento della concentrazione di T3 (Guerrini e Bertchinger,1983). Concludendo, ciò, presumibilmente, viene ad essere legato alle variazioni giornaliere di illuminazione, temperatura, metabolismo (collegato quest’ultimo ai periodi di riposo e di attività nell’arco delle ventiquattro ore).

La temperatura e la stagione

Considerando la funzione termogenica degli ormoni tiroidei appare chiaro come, proprio in virtù dell’esaltazione della termogenesi, la loro produzione sia inversamente correlata con i livelli della temperatura ambientale.

Si dimostra comunque molto più efficace il caldo nel deprimere le concentrazioni plasmatiche di T3 e T4 che non il freddo nell’aumentarle. Mentre infatti i livelli più bassi di ormoni tiroidei si osservano in concomitanza delle calure estive, i valori più elevati sono sovente riscontrati in primavera, non in inverno.

Questo andamento, caratteristico degli erbivori, dimostrerebbe infatti come sia marcata l’influenza di

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altri fattori stagionali, tra cui lo stato fisiologico e la disponibilità alimentare.

Un elevato metabolismo durante l’inverno sarebbe infatti svantaggioso, in considerazione della relativamente povera alimentazione degli animali allo stato brado o semibrado in questa stagione.

Viceversa, l’organismo approfitterebbe delle favorevoli condizioni alimentari primaverili per rinnovarsi, ad esempio tramite un maggior ricambio proteico, favorito appunto dell’elevarsi della concentrazione ematica tiroidea.

In un altro studio l’obbiettivo fu di determinare le variazioni stagionali e/o pulsatili delle concentrazioni plasmatiche di Tsh in cavalle con un regime energetico costante.

Campioni di sangue furono raccolti ogni 20 min. durante le 24 ore durante l’inverno e nuovamente durante l’estate da 6 giumente Quarter horse. Concentrazioni plasmatiche di Tsh, T4 vengono determinate tramite tecniche radioimmunologiche. Non vengono rilevate differenze nel peso degli animali nelle due stagioni (388 +/- 12.5 kg) nell’inverno e (406 +/- 12kg) nell’estate.

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Concentrazione plasmatici di TSH sono maggiori in estate (2.80 +/- 0.07 ng/ml) rispetto a quelle invernali (0.97 +/- 0.07 ng/mg).

La pulsatilità non è differente nelle due stagioni: inverno (6.17 +/- 0.78 pulsazioni/24h); estate (5.33 +/- 0.78 pulsazioni/24h) P=0.49.

Le concentrazioni di T4 erano maggiori durante l’inverno(20.3 +/- 0.4 ng/ml) rispetto all’estate (18.2 +/- 0.4 ng/ml) P<0.001.

Queste differenze dimostrano una probabile regolazione stagionale del TSH.(Buff Pr, Messer NT 2007).

Anche il fotoperiodo influenza la funzionalità tiroidea e quindi il metabolismo.

Il fotoperiodo crescente deprime la concentrazione dello iodio a livello tiroideo inibendo la funzionalità ghiandolare ma stimolando l’attività tireotropa.

L’adattamento alle variazioni di temperatura non comporta soltanto effetti sull’attività tiroidea, ma anche una diversa regolazione dei meccanismi di utilizzazione periferica dell’ormone.

L’esposizione al freddo infatti esita in un aumento dell’utilizzazione periferica della tiroxina ed in una più intensa monodeiodazione con conseguente produzione di T3.

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L’esposizione al caldo, a dispetto dell’effetto depressivo sulla funzionalità tiroidea, può provocare un transitorio aumento della T4, a causa della diminuzione della utilizzazione periferica della T4 stessa.

Successivamente, inoltre, la deiodazione vira sulla via metabolica dell’inattivazione, con produzione di una maggior quantità di r-T3 ed una parallela diminuzione delle concentrazione plasmatiche di T3 e T4.

L’età

L’età ha una notevole influenza sulla concentrazione plasmatica degli ormoni tiroidei.

La funzionalità ghiandolare risulta essere infatti notevolmente elevata nei primi giorni di vita.

Negli animali giovani, durante il periodo di accrescimento, essa permane relativamente elevata, per poi diminuire negli adulti fino a scendere ai valori minimi durante la senescenza.

Durante l’accrescimento, gli animali delle razze a più rapido sviluppo e precocità sessuale presentano in genere un’attività tiroidea più marcata rispetto a

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Il sesso

Il sesso esercita un’influenza relativamente modesta sulla concentrazione plasmatici degli ormoni tiroidei, soprattutto negli animali giovani.

Nelle femmine comunque la T4 è più elevata rispetto ai maschi per la maggiore presenza di proteine di trasporto (TBG nei mammiferi), la cui sintesi è infatti stimolata dagli estrogeni.

Negli individui castrati, sia maschi che femmine, si ha una diminuzione dell’attività tiroidea rispetto agli animali interi.

L’alimentazione

Anche l’assunzione del cibo e la composizione della dieta sono correlate alla concentrazione ed al metabolismo degli ormoni tiroidei.

Grazie alla modulazione dell’attività degli ormoni tiroidei gli animali sono in grado di adattare il bilancio energetico alle differenti condizioni ambientali, alle variazioni dei fabbisogni e della disponibilità di nutrienti, ed ai cambiamenti omeostatici caratteristici dei vari stati fisiologici.

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Le variazioni stagionali nell’attività della ghiandola tiroide e nelle concentrazioni ematiche degli ormoni tiroidei sono particolarmente importanti negli animali selvatici o in quelli allevati tradizionalmente in condizioni estensive, come la capra o la pecora. La concentrazione plasmatica degli ormoni tiroidei risulta strettamente correlata con l’assunzione di alimento ma il rapporto causa-effetto non è ben chiaro e sembra reciproco: da una parte la T3 stimola direttamente l’assunzione di alimento a livello ipotalamico, indipendentemente dalle variazioni del dispendio energetico; dall’altra, manipolazioni della dieta sono in grado di influenzare i livelli di ormoni circolanti. Infatti il livello degli ormoni tiroidei è considerato un buon indicatore dello stato nutrizionale dell’animale (capra) e viene modificato da restrizioni alimentari (pecora), o da integrazioni energetiche (agnelli, pecore, arieti) (Todini L.A, Malfatti A.A, Barbato O.B, Valbonesi A.A, Trabalza-Marinucci M.C, Debenedetti A.B., 1999)

Il rapporto T4/T3 aumenta durante il digiuno, mentre la concentrazione plasmatica di TSH diminuisce. La concentrazione ipotalamica del TRH

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quindi presupporre un ridotto rilascio da parte dell’ipotalamo.

L’aumento del T4 conferma che la disponibilità epatica di questo ormone non diminuisce durante il digiuno.

I livelli plasmatici di IGF-II sono molto meno influenzati dalla restrizione alimentare,come dimostrato nei bovini da Hayden et al., 1993.

Sono state approfondite le differenze nel tempo necessario perché si verifichino cambiamenti significativi dei parametri ormonali e metabolici dopo il pasto o a digiuno.

Il glucosio è l’innesco delle modificazioni che si verificano dopo il pasto. Un aumento del livello di IGF-I segue a breve distanza quello dell’innalzamento del T3. Dato che il glucosio, così come il T3, gioca un ruolo nello stimolare l’espressione genica del recettore per il GH a livello epatico, essendo quindi necessario per la produzione GH-dipendente dell’IGF-I, il loro aumento dovrebbe precedere quello dell’IGF-I stessa.

Un aumento del T3 però dipende dall’inibizione della D3 epatica esercitata a sua volta dal GH.

Una diminuzione dell’attività del D3, direttamente provocata dall’assunzione di carboidrati, ed un

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aumento invece della D1 porterebbero ad un rapido incremento del T3, incoraggiato inoltre dall’inibizione della D3 epatica GH-dipendente (Decuypere et al., 2005).

La regolazione del metabolismo dell’ormone della tiroide ha un ruolo di perno nella utilizzazione degli elementi nutritivi nei tessuti, nel controllo della dispersione di energia e nella mediazione della crescita.

La modulazione nutrizionale della regolazione ormonale sta ottenendo un certo interesse, alla luce dell’evidenza che illustra l’impatto della somministrazione dei nutrienti sui processi di sviluppo.

L’ingestione del pasto è seguito da aumenti nella secrezione di tiroxina e triiodotironina nelle pecore, nei bovini e nei suini.

Nei Cavalli appena svezzati, la secrezione di T3, T4, e dell’insulina, dopo il pasto e le loro percentuali nel siero, dipendono dalla quantità di cibo (Michael J. Glade., et al 1987).

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LE PARATIROIDI

Le paratiroidi sono due piccole ghiandole situate posteriormente al polo caudale di ciascuna tiroide. Esse influenzano il metabolismo del calcio tramite la secrezione di paratormone (PTH), che provoca il riassorbimento tubulare del calcio e l’aumento di riassorbimento di calcio dalle ossa e dall’apparato gastroenterico.

Il PTH è coinvolto nella sintesi di 1,25 deidrossivitamina (D3) ed aumenta l’escrezione del fosforo attraverso il filtro renale.

Quando vi sia richiesta, il PTH mobilizza le riserve di calcio, evitando il suo riassorbimento dalle altre strutture ossee.

Il PTH gioca un ruolo importante nella contrazione muscolare, nella coagulazione del sangue, nell’escrezione dei fosfati dai tubuli renali.

Si pensa che le paratiroidi non siano sotto il controllo di altri organi endocrini, ma che siano regolate solo dal livello ematico del calcio, cioè tramite un meccanismo di feedback (Croce, 2002).

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Meccanismi di controllo e regolazione

ormonale nell’ esercizio fisico.

La produzione e l’utilizzazione dei substrati per la produzione di energia in muscoli scheletrici sottoposti ad attività lavorativa, sono componenti fondamentali dell’abilità di un organismo di portare a compimento un esercizio fisico.

L’adattamento compiuto da un organismo ad un esercizio è riflesso nell’uso che esso fa dei diversi substrati disponibili, che possono indicare una più accurata analisi dell’azione fisiologica degli ormoni. Fra i meccanismi di controllo che regolano la produzione di energia e l’utilizzo dei vari substrati, non poca importanza rivestono gli ormoni prodotti dalle diverse ghiandole endocrine.

E noto che gli ormoni esercitano azioni complesse, di tipo trofico, metabolico, funzionale, e comportamentale.

La performance atletica è il risultato di una complessa integrazione della funzionalità di numerosi sistemi tra i quali, oltre a quello scheletrico, neuro-muscolare, cardiovascolare, respiratorio, quello endocrino svolge un ruolo non

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L’azione degli ormoni in questo contesto può essere influenzata dall’alterazione delle sintesi enzimatiche, della sintesi della AMP ciclica e delle prostaglandine così come della permeabilità della membrana cellulare.

I dati disponibili sul ruolo degli ormoni nel metabolismo energetico e della loro risposta all’esercizio provengono in gran parte da animali da laboratorio e da soggetti umani; relativamente pochi dati provengono invece direttamente dal cavallo. In molti casi, i dati sono basati sulla concentrazione ematica degli ormoni piuttosto che sugli indici della loro secrezione, che possono indicare una più accurata analisi dell’azione fisiologica degli ormoni (Thornton, 1985).

I livelli eccessivi o inadeguati di parecchi ormoni pongono delle limitazioni alla realizzazione dello sforzo fisico.

I livelli nel plasma di parecchi ormoni sono aumentati durante lo sforzo fisico come parte della reazione integrata allo stress fisiologico indotto dall’esercizio (Thornton, 1985).

Sembra che questi aumenti generino delle reazioni che sono benefiche nello sforzo fisico prolungato.

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