• Non ci sono risultati.

Il maṣdar arabo. Classificazione degli schemi secondo Raḍī ad-Dīn al-Astarābāḏī.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il maṣdar arabo. Classificazione degli schemi secondo Raḍī ad-Dīn al-Astarābāḏī."

Copied!
138
0
0

Testo completo

(1)

2

INDICE

PREMESSA ... 5

INTRODUZIONE: LA GRAMMATICA ARABA DELLE ORIGINI ... 7

I. Nascita e sviluppo ... 7

I.1 I personaggi di rilievo ... 7

I.2 Le scuole di Baṣra e Kūfa ... 15

I.2.1 Reinterpretazione della suddivisione tradizionale ... 18

II. La lessicografia ... 22

III. La grammatica come scienza islamica ... 24

I CONCETTI FONDAMENTALI ... 28

1.1 La logica dell'aṣl ... 28

1.2 La contrapposizione di naḥw e taṣrīf ... 33

1.3 Il criterio del qiyās ... 35

(2)

3

IL MAṢDAR ... 40

2.1 L’origine della parola ... 40

2.1.1 La definizione e le sue problematiche ... 40

2.1.2 La storia: un'espressione di al-Ḫalīl ... 42

2.1.3 La ricezione nella linguistica indoeuropea moderna ... 44

2.2 La disputa tra Baṣra e Kūfa sul maṣdar ... 46

2.2.1 La controversia tradizionale in Ibn al-ʾAnbārī ... 46

2.2.2 Tesi e confutazioni in az-Zaǧǧāǧī ... 49

2.2.3 Soluzioni possibili ... 52

2.3 L'infinito tautologico... 53

2.3.1 La funzione enfatica ... 53

2.3.2 La confutazione alla tesi di Kūfa sul maf‘ūl muṭlaq ... 56

2.4 Classificazione intermedia tra nome e verbo ... 58

2.4.1 La doppia natura del maṣdar ... 58

2.4.2 Analisi logica: processo e risultato ... 60

CLASSIFICAZIONI DEGLI SCHEMI DEL MAṢDAR ... 64

3.1 Gli schemi nelle lingue semitiche ... 64

3.2 Confronto tra grammatici antichi e grammatiche moderne ... 65

(3)

4

LA VITA E LE OPERE DI ASTARĀBĀḎĪ ... 73

4.1 Ricostruzione della biografia ... 73

4.2 Introduzione alle opere... 74

COMMENTO AL TESTO ... 80

5.1 Il capitolo sul maṣdar dello Šarḥ aš-Šāfiya ... 80

5.2 Il maṣdar come prova di concetti linguistici ... 87

5.2.1 Elementi di filologia ... 87

5.2.2 Tesi a favore di un’origine comune ... 89

5.3 Tavole riassuntive ... 91

CONCLUSIONI ... 94

BIBLIOGRAFIA ... 98

(4)

5

PREMESSA

Il maṣdar arabo è una categoria nominale che esprime il senso puro del verbo e che ha per

secoli diviso le opinioni degli studiosi circa la sua natura e il suo posto nella derivazione. Oggi, seppure tali questioni appaiano risolte, o almeno archiviate, rimane una certa riluttanza alla classificazione completa degli schemi di questa classe grammaticale, in quanto operazione troppo prolissa o restia a una chiara organizzazione.

Il presente lavoro mira invece a dimostrare che un ordine esiste e che l’apprendimento del

maṣdar è un’impresa possibile anche per chi studi o parli l’arabo come seconda lingua. Per

avvalorare questa convinzione verrà presentata la traduzione di un capitolo dello Šarḥ aš-Šāfiya del grammatico persiano conosciuto come Astarābāḏī e vissuto nel tredicesimo secolo, a cui seguirà una sintesi schematica semplificata.

La premessa necessaria a questa analisi sarà una breve introduzione alla storia del pensiero linguistico di Sībawayh e dei maestri delle origini e ai concetti di base della grammatica araba, che differiscono sostanzialmente dal sistema indoeuropeo ma che sono alla base di ogni discussione linguistica valida. Seguirà poi uno studio della categoria in questione, basato sulle teorie dei grammatici moderni, sia arabi che occidentali, atto a rielaborare le opinioni degli studiosi antichi, che si concentrerà sul funzionamento sintattico

del maṣdar. Solo dopo aver appreso dunque il concetto in esame, traducibile come ‘nome

verbale’, e averne colto le implicazioni teoriche, si potranno riassumere alcuni tentativi di schematizzazione compiuti nel corso dell’evoluzione della disciplina.

(5)

6 La classificazione di Astarābāḏī, ritenuta una delle più complete e attente analisi sul tema, sarà presentata alla fine, dopo aver raccolto qualche breve informazione sulla vita, alquanto misteriosa, e sull’opera di questo grande maestro del passato.

(6)

7

INTRODUZIONE

LA GRAMMATICA ARABA DELLE ORIGINI

I. Nascita e sviluppo

I.1 I personaggi di rilievo

Il Medioevo, come è inteso comunemente, non è un concetto che appartiene agli Arabi. O meglio, l'epoca che per l’Europa è in genere definita medievale, nell'accezione dispregiativa del termine, corrisponde a una stagione di incredibile fermento culturale della civiltà vicino-orientale, quella delle corti dell'impero omayyade e ʿabbaside. Seppure oggi non sia più proponibile il concetto di 'secoli bui' per l'Europa medievale, è ugualmente singolare il fatto che quell'ottavo secolo dell'era cristiana, periodo di guerre e smembramenti nei territori occidentali, conobbe sull’altra sponda del Mediterraneo alcuni dei più stimati scienziati, filosofi e poeti arabi. Al contrario dell'Europa infatti, la civiltà arabo-musulmana godeva all'epoca di una coesione forse mai più raggiunta, di una notevole stabilità politica e di un clima di tolleranza e apertura culturale, simboleggiato dall'incontro con il pensiero filosofico greco e dalla buona convivenza, all'interno dei territori degli imperi, delle tre comunità religiose (musulmana, ebraica e cristiana) delle 'Genti del Libro'. L'ottavo secolo, tra i suoi tanti meriti, ebbe quello di dare alla luce l'opera del più grande grammatico arabo di tutti i tempi, stimato tale sia dagli studiosi classici che dai moderni, Abū Bišr ʿAmr ibn ʿUṯmān, noto

(7)

8 ai più come Sībawayh (m. 180/796). Egli, quasi a simbolo della multiculturalità dell'impero ʿabbaside, pur essendo di origine persiana, compose uno dei più completi trattati sulla lingua degli Arabi.

In realtà, la contraddizione è solo apparente, poiché risponde a una precisa esigenza del tempo, quella di divulgare la lingua della Rivelazione del Corano e la lingua ufficiale dell'impero ai parlanti non nativi, e di conseguenza alla quasi totalità dei sudditi, dato che l'arabo antico era la lingua delle sole popolazioni beduine dell'Arabia centrale: una lingua diversa, dunque dalle parlate urbane dell’Iraq. Già dal regno del califfo omayyade ʿAbd al-Malik ibn Marwān, il kalām al-ʿarab era divenuto la sola lingua amministrativa dell'impero. Il cambiamento di status dell'arabo fu notevole: esso si evolse in un periodo relativamente breve da lingua prevalentemente orale ed etnica a lingua universale e parlata, ma soprattutto scritta, da un'élite culturalmente eterogenea. Fu una conseguenza diretta di tali circostanze, dunque, la nascita dello studio sistematico della grammatica con funzione descrittiva e pedagogica. Insieme alla grammatica, inoltre, si svilupparono saperi di varia natura sull'antica civilizzazione degli Arabi, come la lessicografia, lo studio della metrica, la storia delle guerre tribali e la genealogia.1 Agli occhi dei primi grammatici, infatti, le popolazioni

arabe beduine erano la maggiore autorità, al pari del Corano, in ambito linguistico e delle tradizioni e la loro testimonianza diretta era fondamentale.

Se i motivi dello sviluppo della disciplina sono chiari, sorprende comunque la sua precocità e la sua repentina maturazione, espressa nel Kitāb di Sībawayh in tutta la complessa e ricercata serie di concetti e procedure. Come notato da Bohas,2 si è cercato di

trovare una giustificazione a tale fenomeno nelle influenze esterne, talvolta nella logica

1

The Arabic Linguistic Tradition a cura di G. Bohas et al., London, Routledge, 1990, pp. 2, 3. 2 Ivi, p. 4.

(8)

9 aristotelica o nella grammatica stoica, altre volte nella teologia islamica, altre volte ancora, come ha aggiunto Carter,3 nella giurisprudenza. Tutte le ipotesi espresse sono plausibili e

l’influenza di ciascuna di queste discipline è individuabile in certi aspetti della grammatica araba. Eppure, nessuna soddisfa pienamente poiché lo studio della lingua degli Arabi non è il mero frutto di un’influenza esterna, bensì si è sviluppato secondo una logica e una coerenza interna totalmente originali e differenti da altre scienze o discipline. Una sorta di riflessione linguistica primitiva doveva dunque esistere prima di Sībawayh e del suo maestro al-Ḫalīl, anche in considerazione del fatto che un anonimo gruppo di grammatici, i naḥwiyyūn, è talvolta citato nell’opera del primo sia per fornire un’autorità tradizionale che per confutarne le tesi. Secondo il parere di Carter 4 il termine potrebbe indicare

semplicemente un gruppo di persone interessate al modo di parlare della gente, vissute in un’epoca in cui la connotazione di ‘grammatica’ non si era ancora sviluppata in senso moderno ma si riferiva a una semplice descrizione della lingua. È probabile, infine, che tale riflessione non fosse ancora giunta a maturazione poiché mancante di coerenza ed esaustività, caratteri che acquisirà invece con i primi grammatici conosciuti.

Il contesto a cui ci si riferisce è dunque quello dell’ottavo secolo, il secondo dell’egira, in cui si fa sempre più pressante la necessità di costituire una grammatica a fini pedagogici per istruire una moltitudine di non-arabi islamizzati. Ed è qui che si colloca il primo grammatico e lessicografo arabo, al-Ḫalīl ibn ʾAhmad (m. 175/791), anch’egli di origine persiana. Autore del Kitāb al-ʿAyn, il primo dizionario della lingua araba, che sopravvisse in un’edizione secondaria, è conosciuto soprattutto per le citazioni, più di quattrocento, attribuite a lui da

3 M. G. Carter, ‘Arabic Grammar’ in M. J. L. Young et al., Religion, Learning and Science in the 'Abbasid Period, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 120.

(9)

10 Sībawayh sul suo Kitāb. È stato di conseguenza assegnato alla scuola bassoriana5, anche se la sua testimonianza diretta non è pervenuta. Suo contemporaneo è uno dei sette lettori canonici del Corano, al-Kisāʾī, che fu inoltre grammatico e maestro alla corte del califfo filellenico al-Maʿmun. Egli è considerato in maniera approssimativa il primo esponente della scuola kufiota poiché al-Farrāʾ, capostipite dei grammatici kufioti di cui si parlerà a breve, fu suo allievo e prese spunto dalla sua opera per la composizione del Maʿānī l-Qurʾān.

Con la generazione successiva venne definito il modello e sancita la vera e propria nascita della grammatica, che fino ad allora era rimasta allo stato embrionale, con i due grandi maestri e, tradizionalmente ma forse non verosimilmente, antagonisti, Sībawayh e al-Farrāʾ. Il primo morì a Baṣra ancora giovane, poco dopo i trent'anni, ma ebbe il tempo di lasciare una traccia indelebile in tutto il pensiero linguistico successivo: il suo Kitāb, opera senza titolo ma chiamata 'libro' per antonomasia, è un trattato sull'arabo antico diviso in 571 capitoli e pubblicato in due volumi, il primo dei quali si concentra sulla sintassi, mentre il secondo tratta di morfologia e fonetica. La grandiosità del lavoro risiede, oltre che nella sua originalità, nella sua resistenza al tempo: la terminologia utilizzata continuò a essere impiegata dai grammatici successivi, e in molti casi continua ancora oggi.6 Con il

contendente kufiota di Sībawayh, il maestro al-Farrāʾ (m. 207/822), si entra nel terzo/nono secolo. In realtà, come si vedrà in seguito, la presunta controversia è solamente frutto di una

5 Per la sintesi sulle posizioni delle scuole di Baṣra e Kūfa si rimanda al secondo paragrafo. dell’introduzione.

6 Gli esempi di termini utilizzati da Sībawayh e presenti ancora oggi nei libri di grammatica moderni sono numerosi. Si tratta principalmente di vocaboli già esistenti nella lingua araba, a cui il linguista persiano attribuì un significato specifico, rendendoli termini tecnici della linguistica. Alcuni di questi sono kalām ('espressione, enunciato') e ğumla ('frase'), o ancora mutakallim ('parlante' e di conseguenza 'prima persona') e muḫāṭab ('ascoltatore' e dunque 'seconda persona') (M. G. Carter, ’Arabic grammar’, cit., p. 122).

(10)

11 reinterpretazione successiva del pensiero dei due autori e, lungi dall'esprimere un reale antagonismo, è da spiegarsi principalmente con la natura differente dell'opera dei due. Di al-Farrāʾ, che fu maestro alla corte del grande califfo Hārūn ar-Rašīd (m. 193/809), rimane solo uno scritto, probabilmente il suo trattato più importante, un commentario dei passi difficili del Corano. Basandosi su un testo già composto e da preservarsi nella sua integrità (al-Farrāʾ fu il primo a considerare l'arabo coranico la forma linguistica più elevata, e dunque l’arabo più puro),7 l'autore doveva necessariamente applicare un metodo deduttivo che,

come si vedrà, almeno nella prima fase dello sviluppo della disciplina fu una prerogativa della scuola kufiota. Rimane evidente però che ai due grandi maestri fu attribuita pari autorità dalle generazioni successive, che presero spunto da entrambi i loro insegnamenti per ampliarli e proseguire lo sviluppo di una scienza ancora in fase di consolidamento. La fama dei due fu tale che per quasi l'intero nono secolo non si conobbero altri grandi grammatici - ad esclusione di al-Aḫfaš - anche in conseguenza alla morte prematura di Sībawayh che non ebbe il tempo di istituire una scuola. Il suo solo erede fu infatti un uomo più vecchio di lui, originario dell'attuale Transoxania: al-Aḫfaš (m. 215/830) ebbe principalmente il ruolo di mediare tra due generazioni e di tramandare l'opera del suo maestro.

È solo alla fine del secolo che si colloca l'opera del grande grammatico yemenita, famoso soprattutto per la sua eloquenza e per la sua attitudine alla polemica, al-Mubarrad (m. 285/898). La sua figura è il simbolo di una nuova epoca per due motivazioni principali: innanzitutto la grammatica, che fino ad allora aveva mantenuto un carattere pre-teorico, si concretizza in una disciplina realmente scientifica, con il consolidamento dei metodi e la definizione di ciò che prima veniva dato per scontato.8 Le regole e i principi generali utilizzati

7 Ivi, p. 124.

(11)

12 finora non erano mai stati formalmente riconosciuti, ma venivano tralasciati in favore di una descrizione che rispondesse piuttosto a esigenze concrete, in cui dunque un tale tipo di astrazione non era ancora necessario. Con al-Mubarrad si forma un metodo, ed è proprio su questa base che si crea il secondo punto di rottura con il passato: la nascita di due opposte scuole linguistiche. Se già con i grammatici precedenti si era parlato di scuole bassoriana e kufiota, ciò è dovuto solo a una tradizione formale, a una valutazione a posteriori del pensiero di Sībawayh e al-Farrāʾ da parte delle generazioni successive. Altra causa, ma al contempo conseguenza, della nascita della disputa è l'influenza della logica greca nell'elaborazione linguistica, che a partire da quest'epoca sarà un tratto fondamentale della grammatica araba e accompagnerà ogni controversia linguistica a venire. La rivalità di al-Mubarrad nei confronti del contemporaneo Ṯaʿlab (m. 291/904) è nota e si articola in motivi sia personali che ideologici. L'opera di quest'ultimo, il primo esponente della scuola kufiota a pieno titolo, è perduta, ma di lui si sa che fu il primo a parlare esplicitamente della

controversia e che il suo pensiero era tradizionalmente legato ad al-Farrāʾ, mentre al-Mubarrad, d'altra parte, aveva rielaborato il Kitāb di Sībawayh.

I grammatici più influenti del quarto secolo, il decimo dell'era cristiana, furono perlopiù allievi di al-Mubarrad, a testimonianza della consistente attività di spartiacque svolta dal maestro. Il grande merito degli studiosi del quarto secolo fu quello di formulare la teoria dell'autosufficienza della lingua. Furono loro i primi, az-Zağğāğ, Ibn al-Sarrağ, Ibn Ğinnī e az-Zağğāğī, a notare la potenziale perfezione del sistema dell'arabo e a elaborare una gerarchia tra le parole che avrebbe potuto spiegare ogni fenomeno linguistico analizzato: questa consapevolezza fu del tutto nuova rispetto al passato e permise di passare dalla mera descrizione dei fatti linguistici alla spiegazione profonda del loro accadere. Questo atteggiamento caratterizzerà tutto il pensiero dei grammatici successivi e sarà il fattore

(12)

13 principale della vittoria di Baṣra su Kūfa, poiché con esso verrà sancita la predominanza di un ordine implicito e sottostante sulla particolarità dei casi isolati. Del primo erede di al-Mubarrad, az-Zağğāğ (m. 311/923), l’unica opera rimasta è un commentario del Corano. Ibn al-Sarrağ (m. 316/928) è invece ricordato principalmente per aver compiuto un’opera di organizzazione sistematica della grammatica nel suo al-Uṣūl fī l-naḥw, trattato che funse da modello pedagogico per tutti i grammatici successivi. Il titolo è già esplicativo: si ricercano le basi, e dunque i motivi, sottostanti alle regole grammaticali, con la convinzione che la lingua degli Arabi avesse una logica, una sorta di saggezza intrinseca da svelare. Allo stesso modo le Ḫaṣāʾiṣ di Ibn Ǧinnī (m. 392/1002), sua opera principale, hanno l’intento pedagogico di presentare una spiegazione semplificata del linguaggio grazie all’aiuto del concetto di ‘analogia’, di cui si parlerà in seguito. Il titolo dell’opera può essere tradotto come ‘questioni particolari’ e indica dunque la volontà dell’autore di occuparsi di tematiche ancora aperte, da chiarificare ai fini dell’insegnamento dell’arabo. Il ritratto della sua vita compiuto da Guillaume9 è utile a esemplificare la condizione dei grammatici e in generale dei letterati del

tempo. A causa della mancanza di istituzioni pubbliche per l’insegnamento, il principale mezzo di sostentamento per i contemporanei di Ibn Ǧinnī era la protezione di un personaggio influente; tale condizione favoriva lo sviluppo di una società brillante e in fermento e allo stesso tempo competitiva, in cui le rivalità erano frequenti. Al seguito dell’emiro di Aleppo, l’autore acquisì un grande successo mondano, a tal punto che furono ben ventitré i commentari sulla sua opera scritti dagli autori successivi. Infine, l’ultimo grande grammatico di quest’epoca, az-Zağğāğī (m. 337/949), compose un commentario sui capitoli

9 J. P. Guillaume, ‘La nouvelle approche de la grammaire au IVe-Xe siècle: Ibn Ǧinnī (320/932 – 392/1002)’ in R. Talmon et al., ‘The establishment of Arabic linguistics’ in Auroux S. - History of the Language Sciences: an International Handbook on the Evolution of the Study of Language from the Beginning to the Present, Berlin, Walter de Gruyter, 2000, pp. 273-274.

(13)

14 introduttivi del Kitāb, l’Īḍāḥ, in cui espresse la convinzione che la logica potesse essere disposta al servizio della grammatica ma che tuttavia gli obiettivi delle due discipline fossero ben differenti.10

Con il quinto secolo dell’egira si entra nella fase definita dagli studiosi “della maturità e del declino”,11 in cui si definiscono i caratteri che saranno tipici di tutta l’epoca che dal quinto

secolo culminò nel decimo, ossia il quindicesimo dell’era cristiana, con l’ultimo grande grammatico arabo tradizionale, as-Suyūṭī (m. 911/1505). Dopo di lui la grammatica degenererà in una serie standardizzata di prescrizioni e regole, quasi del tutto priva di innovazioni e sviluppi. L’epoca della maturità fu invece il tempo del consolidamento e del perfezionamento: il suo contributo principale fu la composizione di opere onnicomprensive, in cui a ogni singolo problema dibattuto si tentava di dare una risposta coerente ed esaustiva, senza tralasciare alcun particolare. Questa è l’epoca dello šarḥ, il commentario, una tipologia di trattato diffusissima che aveva l’intento di riprendere l’opera di un grande grammatico del passato, ma talvolta anche di un contemporaneo, per rielaborarla e spiegarla agli studenti. Un uso estensivo di questo strumento fu evidentemente possibile solo in epoca tarda, periodo in cui il materiale su cui lavorare e discutere ammontava a decine e decine di trattati. I commentari sono la base, ancora oggi, dello studio linguistico nei paesi arabi. Grandi maestri del tempo, oltre ad Astarābāḏī di cui si parlerà ampiamente nel quarto capitolo, furono l’egiziano Ibn al-Ḥāğib (m. 646/1249) e l’andaluso ibn al-Mālik (672/1247), entrambi maestri a Baghdad. La provenienza dei due testimonia la funzione coesiva della capitale, in cui all’epoca convenivano studiosi e maestri da ogni angolo di un impero sempre più vasto. Entrambi apportarono un contributo innanzitutto pedagogico alla disciplina, dato che le loro

10 M. G. Carter, ‘Arabic grammar’, cit. p. 128. 11 G. Bohas, The Arabic…, cit., pp. 14-16.

(14)

15 innovazioni si concentrarono sulle tecniche di insegnamento piuttosto che sulla ricerca pura. Altri due noti grammatici, Ibn Hišām (m. 761/1360) e Ibn al-ʾAnbārī (m. 577/1181), sono invece ricordati per aver fornito i dettagli della disputa tra le scuole di Baṣra e Kūfa. I due studiosi elencarono, per sostenerle o confutarle, le posizioni dei grammatici protagonisti della controversia e delinearono, talvolta in maniera artificiale, due correnti di pensiero opposte, nei confronti delle quali fino ad oggi si sono compiuti svariati tentativi di rielaborazione o interpretazione, accompagnati da una notevole dose di dubbio e scetticismo.

I.2

Le scuole di

Baṣra e

Kūfa

Ibn al-ʾAnbārī, che scriveva nel dodicesimo secolo, individuò nel suo ʾInṣāf ben 121 questioni dibattute dalle scuole concorrenti di Baṣra e Kūfa: tra queste, solamente sette erano concluse a favore dei kufioti. Tale predominanza netta della scuola di Baṣra fu favorita, come si vedrà, dalla maggiore funzionalità del metodo dei suoi esponenti e dall'istituzione di una grammatica ortodossa costituita da regole consolidate. Ma fu anche, e soprattutto, determinata dalla parziale artificiosità della distinzione, che stigmatizzò i kufioti come perenni antagonisti nell'evoluzione storica della scienza linguistica.

Le due città dell'attuale Iraq furono, ancora prima di Baghdad, centri di cultura e di studio dell'arabo. La scuola di Kūfa, a nord-ovest di Baṣra, si sviluppò già nell'ottavo secolo per l’influsso di maestri educati a Baṣra, come al-Farrāʾ e Kisāʾī. L'origine delle due scuole è dunque comune e ha un'unica matrice da riscontrarsi probabilmente in quel gruppo di anonimi naḥwiyyūn citati da Sībawayh. Con la fondazione di Baghdad nel 145/762 i due antichi centri di cultura persero il prestigio di un tempo, ma l'appartenenza a una delle due

(15)

16 scuole divenne la discriminante per sostenere una determinata posizione in materia linguistica. Così come avvenne per le scuole giuridiche, si svilupparono diverse scuole di grammatica con differenti gradi di tolleranza e di flessibilità.12 A seconda dell'elasticità con

cui venivano considerati i dogmi della disciplina, i grammatici si ascrivevano a una delle due scuole, quella bassoriana canonica o quella kufiota possibilista. La successiva nascita nel decimo secolo di una terza scuola, quella di Baghdad, che combinava il pensiero delle due, è considerata da molti studiosi una pura invenzione,13 o perlomeno una ricostruzione

approssimativa dei fatti storici.

La divisione tradizionale è legata ai concetti di qiyās e samāʿ, di cui si tratterà in maniera più approfondita nel primo capitolo. Il primo, connesso alla norma e traducibile con il significato di 'analogia', è collegato alla scuola di Baṣra e permette di considerare la lingua come un sistema regolare e sistematico e la grammatica come un corpus di regole generali applicabili all'intero linguaggio. Quella bassoriana è dunque una visione 'chiusa' della lingua, in cui le irregolarità sono da spiegare con motivazioni coerenti, per essere reinserite all'interno del sistema generale o, nella peggiore delle ipotesi, da catalogare come anomalie isolate. L'opposto termine samāʿ è invece legato al concetto di 'trasmissione': gli esponenti della scuola di Kūfa accettano solamente ciò che è stato tramandato e dunque ciò che è attestato e verificabile. Il linguaggio è per loro un insieme di fenomeni individuali e non schematizzabili in un sistema generale; di conseguenza viene accettato e inserito nel corpus linguistico ogni nuovo dato, purché sia attestato dall'evidenza. È necessario inoltre mantenere 'aperta' la discussione grammaticale e la formulazione delle regole, dato che il processo produttivo in evoluzione non può essere costretto in un sistema perfetto come

12 M. G. Carter, ‘Arabic grammar’, cit., p. 126. 13 Ibidem.

(16)

17 quello che i bassoriani tentavano di creare. Da tali premesse si arriva a generalizzare che il sistema di Baṣra fosse basato sull'induzione e che invece il procedimento di Kūfa si caratterizzasse come deduttivo. Ciò è tra l'altro confermato dall'atteggiamento mostrato dai presunti capostipiti delle due scuole, Sībawayh e al-Farrā ʾ , nelle loro due opere rappresentative, il Kitāb e il Maʿānī l-Qurʾān. Nel primo si stabiliscono regole generali, a riprova delle quali vengono forniti esempi dalla poesia antica o da alcuni passi del Corano, mentre nel secondo si parte dal testo coranico per spiegarlo attraverso fenomeni linguistici singolari. Come suggerito in un articolo di Dévényi14 però, compiendo una schematizzazione

simile si tralascia di considerare che l'atteggiamento deduttivo o induttivo è la conseguenza, e non la causa, del materiale analizzato. Il Maʿānī l-Qurʾān è la sola opera sopravvissuta di al-Farrāʾ, ed è da identificarsi come prodotto dell'attività di esegeta dell'autore, piuttosto che frutto della sua opera di grammatico, non tramandata ma praticata verosimilmente dal padre dei kufioti. Al-Farrāʾ costruisce regole grammaticali ad hoc per la spiegazione dei passi analizzati,15 ma ciò è dovuto allo scopo del suo lavoro e non a un'ideologia opposta a quella

del suo collega bassoriano. Inoltre, un ipotetico ritrovamento delle sue opere perdute potrebbe confutare l'intera teoria della separazione, se queste fossero trattazioni di grammatica pura e non commentari e opere esegetiche. Il dibattito quindi potrebbe ricordare quello tra anomalisti e analogisti, come suggerì Weil, se non fosse per le numerose implicazioni connesse a una tale suddivisione.16

Che non si tratti di una pura invenzione dei grammatici tardi è attestato comunque

14 K. Dévényi, 'On Farrāʾ's linguistic methods in his work Maʿānī l-Qurʾān' in Prooceedings of the 2nd

Symposium on the History of Arabic Grammar: Nijimegen, 27 April-1 May 1987 (Studies in the History of the Language Sciences, vol. 56), Amsterdam, John Benjamins, 1990, pp. 106, 107

.

15 Ibidem.

16 M. G. Carter, ‘The development of Arabic linguistics after Sībawayhi: Baṣra, Kūfa and Baghdad’ in R. Talmon et al., op. cit., p. 265.

(17)

18 nell'opera dei maestri della fine del terzo secolo, al-Mubarrad e Ṯaʿlab, ma come notato da molti autori tra cui Bohas,17 la loro rivalità è in effetti soprattutto una lotta di potere, che si

tramandò alle generazioni successive, le quali a loro volta la proiettarono ancora più indietro nel tempo, fino ai grammatici delle origini. Ciò permise di interpretare come ideologiche delle differenze all’inizio solo terminologiche o di metodo, come nel caso della natura diversa degli scritti di al-Farrāʾ e Sībawayh: per i due infatti non esisteva nessuna conscia divisione.

Owens18 ha sintetizzato la questione sostenendo che le posizioni delle due scuole fossero

strutture imposte dagli studiosi tardi al pensiero linguistico-grammaticale delle generazioni precedenti: tali strutture divennero da allora parte del modello utilizzato per capire la grammatica delle origini. La prova dell'approssimazione in al-ʾAnbārī e in altri autori che come lui si occuparono della rielaborazione della controversia risiede nel fatto che nei trattati dei grammatici tardi, tra i quali anche i commentari di Astarābāḏī, non esiste alcuna discriminazione tra l'autorità degli esponenti delle due scuole. Inoltre, come si darà prova nell'analisi di una tematica linguistica dibattuta, ossia la natura e l'origine del maṣdar, i due punti di vista sono in taluni casi conciliabili.

I.2.1 Reinterpretazione della suddivisione tradizionale

Gli studiosi europei moderni hanno sempre dubitato dei fondamenti storici della disputa, e alcuni di essi non hanno esitato ad affermare che si trattasse di una pura invenzione dei grammatici tardi. Primo fra tutti, Gotthold Weil nel 1913 sostenne che il dibattito non poteva

17 Bohas, The Arabic…, cit., pp. 7, 8.

18 J. Owens, Early Arabic Grammatical Theory: Heterogeneity and Standardization, Amsterdam, John Benjamins Publishing Company, 1990, pp. 2-4.

(18)

19 essersi sviluppato prima dell’undicesimo secolo – epoca in cui tutti i maggiori esponenti della disputa non erano più in vita – per due principali motivi: innanzitutto, la distanza tra le due città non ne favoriva la continuità, dato che la controversia era sostenuta oralmente; in secondo luogo, le posizioni a favore delle due teorie non sono nette negli scritti dei grammatici anteriori all’undicesimo secolo, i quali dunque non avevano ancora coscienza della distinzione. Owens19 riassume le posizioni di Weil, rielaborandole in parte: non sostiene

infatti un rifiuto totale dell’esistenza dell’opposizione ai tempi di al-Mubarrad e si chiede se, pur accettando che le due scuole siano un mito del passato, possa esistere una base storica che funga da spunto a questa leggenda. La risposta a tale domanda viene formulata alla fine del suo saggio,20 in cui lo studioso giunge a considerare Baṣra e Kūfa come strumenti per

codificare qualsiasi discussione in ambito linguistico; non nega una relativa autenticità della disputa nel nono secolo, ma ritiene che essa venne trasformata e formalizzata per rispondere a esigenze moderne.

Come già affermato, se l’ostilità tra Sībawayh e al-Farrāʾ è fittizia, quella tra i loro successori al-Mubarrad e Ṯaʿlab è reale e attestata. Nelle loro opere e in quelle dei loro allievi la polemica contro le posizioni concorrenti ha un ruolo tutt’altro che marginale: il disaccordo su determinate questioni grammaticali è espresso nei rispettivi trattati dei due grammatici, il Muqtaḍab e il Mağālis. Inoltre in quest'ultima Ṯaʿlab parla esplicitamente dell'inimicizia tra lui e al-Mubarrad, paragonando il loro rapporto a quello tra "Muʿāwiya e Alī”.21 Carter22 ha riassunto i motivi dell'ostilità mostrando che si trattasse solo marginalmente

19 Ivi, pp. 2, 3. 20 Ivi, pp. 214, 215.

21 Zağğāğī, Mağālis, 123, citato da M. G. Carter in R. Talmon et al., op. cit., p. 268. La citazione si

riferisce alle ostilità tra ʿAlī, genero di Muḥammad e ultimo dei quattro califfi ben guidati, e Muʿāwiya, il quale fece uccidere il califfo e divenne il primo regnante della dinastia omayyade.

(19)

20 di un dibattito scientifico. I punti di contrasto risiedevano soprattutto in questioni di natura personale, professionale e istituzionale, come la competizione per l'insegnamento dell'arabo, professione prestigiosa e lucrativa sulla quale entrambe le scuole aspiravano a conquistare il monopolio. Il quarto secolo dell'egira fu inoltre un'epoca di svolta per l'insegnamento superiore, con l'apertura della madrasa, istituzione che si diffuse ben presto in tutto l'impero. Ogni madrasa possedeva il suo personale corpo docente e i suoi libri di testo, i quali si confacevano agli insegnamenti di una delle due scuole. Un'altra motivazione, intellettuale stavolta, della disputa, fu infine l'utilizzo della logica greca nel discorso grammaticale. La filosofia era entrata a far parte delle discipline studiate alle corti arabe già dal secondo secolo del calendario islamico, si era evoluta in filosofia islamica e aveva contribuito alla nascita della teologia. Esistevano dunque contatti tra grammatici e filosofi fin dall'epoca più antica, ma l'innovazione del quarto secolo fu che da allora la logica venne utilizzata come strumento del dibattito nascente e favorì inevitabilmente la vittoria dei bassoriani. Trattare infatti il linguaggio come un sistema logico e non più come un comportamento – come invece faceva Sībawayh – significò metterne in luce la razionalità e dunque screditare le posizioni di chi si basasse solamente sulla deduzione dall'esperienza.

In realtà in quest'ultima affermazione giace una contraddizione che non sfuggì ai grammatici kufioti, che nel corso della disputa tentarono di battere gli antagonisti di Baṣra sul terreno della loro stessa logica. Come espone Carter in un suo articolo,23 la distinzione

comune tra una logica bassoriana induttiva e un ragionamento deduttivo a Kūfa è un mito da sfatare. Tale convinzione, come spiegato all'inizio del saggio, può essere rivalutata anche

R. Talmon et al., op. cit., pp. 269-271.

23 M. G. Carter, ‘The struggle for authority: a re-examination of the Baṣran and Kūfan debate’ in Tradition and Innovation, Norm and Deviation in Arabic and Semitic Linguistics, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1990.

(20)

21 grazie alla recente pubblicazione del Kitāb al-Intiṣār di Ibn Wallād, contemporaneo di az-Zaǧǧāǧī, che offre una prospettiva della disputa più ravvicinata rispetto a quella classica di al-ʾAnbārī.

È stato possibile associare il qiyās dei bassoriani al ragionamento induttivo dei filosofi empiristi settecenteschi per la comune tendenza a ricavare principi generali da fenomeni particolari. D'altra parte, però, l'attitudine a ricavare dell'esperienza è tipica della scuola di Kūfa. Il controsenso espresso in queste due constatazioni è la prova che non si possa volontariamente applicare una distinzione moderna filosofica a due scuole grammaticali del passato: facendolo, si è contribuito a perpetrare il falso mito di una opposizione netta in termini di metodo. Carter24 sostiene che l'induzione sia stato un procedimento comune a tutti

i grammatici delle origini che, avendo come scopo una trattazione descrittiva del linguaggio, dovevano necessariamente basarsi sui dati empirici e sulla loro personale esperienza. Ciò è l'ulteriore prova al fatto che, almeno in origine, non esistesse distinzione di metodo. In secondo luogo, Ibn Wallād riferisce che il potenziale inserimento di qualunque nuovo termine utilizzando la logica dell'induzione fu proprio l'argomento usato dai discepoli di Ṯaʿlab contro la scuola avversaria. In tale discussione è evidente la maestria retorica dei grammatici dell'epoca, che tentavano di far cadere in contraddizione i loro avversari. I grammatici di Baṣra di conseguenza, sempre come racconta Ibn Wallād, decisero a un certo punto che il corpus linguistico era ormai chiuso e nessun nuovo dato poteva esservi inserito.25 I kufioti

continuarono invece a utilizzare la supposizione, il ṭarīq aẓ-ẓann, interpretabile in senso

24 Ivi, pp. 58-66.

25 Il paragone più evidente è quello con la giurisprudenza. La nota metafora che afferma che le porte dell'iǧtihād si chiusero nell'undicesimo secolo (dell'era cristiana) significa che a quell'epoca lo sforzo interpretativo si considerò concluso e si vietò l'introduzione di qualunque nuova norma all'interno di un corpus ritenuto abbastanza completo e allo stesso tempo elastico per resistere nei secoli.

(21)

22 moderno proprio come 'induzione'. I bassoriani si caratterizzarono a quel punto come sostenitori della tradizione, di una lingua ormai codificata e schematizzata, mentre ai kufioti rimase l'inevitabile stigma di ribelli e anarchici.

Tali considerazioni sono da tenere presenti nell'analisi dell'evoluzione storica della disciplina e della disputa che la contraddistinse: è necessaria una rielaborazione della controversia, che né la rinneghi in toto e nemmeno la accetti senza una dovuta riflessione. Come in altri casi, tradurre la disputa tra Baṣra e Kūfa in termini moderni e tipicamente europei si è rivelato fallimentare; attenersi alle fonti arabe invece, è la strada da seguire per chiunque voglia compiere una riflessione sui dati storici e linguistici che non pecchi di superficialità.

II. La lessicografia

Sui grammatici che si occuparono della compilazione dei vocabolari è conveniente compiere un discorso a parte. Le prime raccolte sul lessico erano infatti più vicine all'antropologia che alla linguistica: in esse la definizione di alcuni vocaboli si estendeva a tal punto da diventare una piccola trattazione etnografica sui costumi delle antiche popolazioni beduine. Come è stato espresso in Carter,26 i dizionari erano vere e proprie "liste alfabetiche degli ingredienti

di un'intera civiltà". Ciò implicava necessariamente una forte attitudine alla conservazione, comune alla maggior parte delle scienze islamiche, e un alto grado di astrazione: i lessicografi furono i primi a trasformare il linguaggio da processo a stato.

(22)

23 Il maestro al-Ḫalīl fu l'iniziatore di una disciplina che contribuì significativamente alla costruzione dell'identità arabo-musulmana in un'epoca in cui l'urgenza di definire ciò che era arabo e ciò che invece proveniva dall'esterno si faceva sempre più impellente. Il suo Kitāb al-ʿayn copriva ogni aspetto della vita beduina, dalla topografia alla cura degli animali, e fu un modello per le generazioni successive e per tutti coloro che tentarono di rielaborarlo.27 Qui

ogni vocabolo è spiegato attraverso esempi, citazioni poetiche e coraniche o antichi proverbi e le forme verbali sono menzionate nell'ordine paradigmatico che diventerà canonico: coniugazione a suffissi, coniugazione a prefissi, nome verbale, aggettivi e sostantivi derivati. Il titolo del dizionario di al-Ḫalīl si spiega attraverso un ordine alfabetico fonetico, in cui la ʿ ayn è la prima lettera poiché è quella prodotta più in profondità nel cavo orale.28 Ma la

disposizione delle parole non segue un ordine alfabetico, bensì permutativo, in cui i vocaboli vengono sistemati attraverso criteri sinonimici. Ogni gruppo di tre consonanti viene combinato per formare quante più radici possibili, poiché le parole composte dalle stesse radicali invertite, o aventi come differenza un'unica radicale, sono considerate affini nel significato. Altri vocabolari preferiscono invece seguire un ordine alfabetico, pur sempre mantenendo la definizione sotto radice. Registrando ogni parola sotto le tre radicali originarie, ogni dizionario arabo sarà anche conseguentemente un dizionario etimologico.29

I due grandi vocabolari dell'epoca tarda, su cui si baserà l'intera lessicografia moderna, sono il Lisān al-ʿarab, chiamato comunemente solo Lisān, di Ibn Manẓūr (m. 711/1311) e il

27 Uno degli esempi più validi di rielaborazioni del Kitāb al-ʿayn è l'opera di al-Azharī (m. 370/980), intitolata Tahḏīb ('Correzione').

28 L'alfabeto aprente con ʿayn è uno dei tre alfabeti arabi. Il più antico si forma sull'originale semitico, da cui trasse origine anche l'alfabeto fenicio e, attraverso il greco, quello latino. Le prime lettere di quest'ordine formano la parola araba abǧad, col significato, appunto, di 'alfabeto'. Il secondo è l'alfabeto fonetico, mentre l'ultimo, quello più usato attualmente, è un ordine basato su criteri grafici di somiglianza delle lettere.

(23)

24 Qāmūs – letteralmente 'oceano', ma oggi 'dizionario' per antonomasia – di Fīrūzābādī (m. 817/1414). Il primo ebbe il merito di citare le fonti di ogni dato inserito mentre il secondo si distinse per l'introduzione delle abbreviazioni e l'eliminazione di ogni commento non pertinente. Fīrūzābādī fu anche l'artefice di un metodo funzionale che assicurasse una corretta vocalizzazione attraverso l'assimilazione di ogni vocabolo raro a una parola più nota contenente le stesse vocali. L'efficienza e l'affidabilità di entrambi i dizionari ne hanno mantenuta intatta la validità nel tempo e hanno permesso la preservazione di una lingua antichissima, la stessa parlata dalle popolazioni arabe nomadi, giunta fino a oggi grazie all'opera dei grammatici e dei lessicografi medievali.

III. La grammatica come scienza islamica

I discorsi precedenti hanno dimostrato che la conservazione della lingua nella sua purezza era una delle urgenze principali dei grammatici arabi. I motivi di tale premura risiedevano nella labilità di una lingua che in pochi decenni era passata da dialetto di popolazioni perlopiù nomadi a lingua d’impero e che doveva conservarsi nella sua forma originaria a dispetto delle influenze esterne. L’opera di regolarizzazione e organizzazione compiuto dai grammatici dei primi secoli fu innanzitutto funzionale alla coesione e alla creazione dell'identità, e tuttavia ciò non basta a giustificare tale eccessiva dose di conservatorismo. L'arabo è la lingua del Corano, ne fa parte in funzione della sua comprensione, come si afferma esplicitamente nella quarantatreesima Sura del Libro:30 da questo dato non si può

(24)

25 prescindere se si intende compiere uno studio completo di una lingua che non è dunque solo “vascello della Rivelazione, ma è il linguaggio creduto parte integrante di essa”.31 Questa

forte connessione di lingua e parola divina ha permesso che l’originale versione del Corano sopravvivesse nei secoli e che, ancora oggi, la liturgia e il testo sacro vengano recitati in arabo anche nei paesi non arabofoni e che le traduzioni in altre lingue siano considerate piuttosto un commento al testo e non sua una sostituzione. Il Corano arabo è infatti insostituibile, poiché è la precisa copia del testo eterno che è consustanziale a Dio, e dunque immutabile e increato.

La suddetta teoria fu motivo di contestazione da parte del movimento mu ʿ tazilita razionalista, nato nell’ottavo secolo dell’era cristiana, che tentava di conciliare i principi della logica con l’Islam. Durante il califfato di al-Maʾmūn (m. 218/833) la Muʿtazila divenne dottrina di Stato e il dogma del ‘Corano creato’ venne imposto dall’inquisizione a tutti i credenti. Il contrasto aveva naturalmente implicazioni politiche, poiché, se il testo è Parola di Dio ma tuttavia contingente, ciò significa che può essere reinterpretato; la prima autorità in grado di ordinare una reinterpretazione è il califfo stesso, il cui potere si arricchisce di questa possibilità. Tuttavia le generazioni successive rifiutarono la dottrina muʿtazilita e si impose definitivamente la credenza dell’unità di Dio e testo sacro: si sancì che le parole recitate da Muḥammad erano valide in eterno, da seguire allora come nei secoli a venire.32 Insieme a

questo dogma si confermò quello della ‘inimitabilità (ʾiʿğāz) del Corano’, da cui scaturì la necessità di divulgare a tutti i popoli e in tutte le terre il testo nella sua versione ufficiale. Affinché esso fosse capito era necessario innanzitutto diffondere l’insegnamento dell’arabo e in secondo luogo offrire una spiegazione dei passi difficili. L’esegesi coranica, come si è

Bausani,1988).

31 J. Peters ‘Language and revelation in Islamic society’ in R. Talmon et al., op. cit., p. 307. 32 Ivi, pp. 309, 310.

(25)

26 visto, nacque insieme alla grammatica con l’opera dei numerosi linguisti-esegeti che compilarono congiuntamente trattati di grammatica e commentari coranici.

Eppure, non è corretto affermare che la grammatica appartenga al novero delle scienze islamiche, per diverse ragioni di contenuto oltre che di stile. Come già accennato, nell’articolo di Dévényi33 si elencano le differenze stilistiche delle opere di Sībawayh e al-Farrāʾ, le quali

dipendono dalla differente natura dei due trattati. Se il primo utilizza, tra gli altri, anche esempi coranici, che fungono a uno scopo esplicativo, per il secondo questi sono il punto di partenza. Di conseguenza l’approccio di Sībawayh è generalizzante, tende a fornire delle norme, mentre al-Farrāʾ si limita a spiegare i casi presi in considerazione. Se si ritrovassero le opere di grammatica perdute del kufiota, questi potrebbe rivelarsi molto più simile a Sībawayh e mostrare un’analoga attitudine alla generalizzazione poiché lo scopo della grammatica è indicare la via giusta. La grammatica si basa sulle produzioni orali e scritte, ma ne è allo stesso tempo indipendente: il suo sistema include un dato soltanto se risponde a criteri di correttezza prestabiliti. Da ciò si può concludere che sarebbe limitante considerare la grammatica, anche quella delle origini, come funzionale alla nuova religione di Stato: piuttosto è lecito credere che il suo repentino sviluppo rispose alle esigenze della società dell'epoca, che per motivi coesivi e religiosi sentì la necessità di una lingua comune.

Levin34 analizza le affermazioni di Sībawahy nel Kitāb per giungere alla conclusione che lo

sviluppo della grammatica non fu per asservimento alla teologia, ma avvenne indipendentemente, stimolato da curiosità intellettuali autonome. La prova delle sue convinzioni è fornita, in primo luogo, dall'ordine delle citazioni nel libro. Il linguaggio dei beduini è ritenuto la principale autorità linguistica, e la testimonianza diretta delle popolazioni

33 K. Dévényi, op. cit. pp.102-106.

34 A. Levin, ‘An interpretation of a difficult passage from the Kitāb’ in Jerusalem Studies in Arabic and Islam (XXVII), Jerusalem, Università Ebraica di Gerusalemme, 2002.

(26)

27 nomadi arabe è preferita talvolta ai passi coranici. Questo atteggiamento contrasta con la dottrina dell'inimitabilità del Corano:35 Sībawahy utilizza talvolta diverse versioni del Testo

sacro, a seconda dell'utilità del momento, e non ha la pretesa di correggerle, poiché è convinto dell'immutabilità del testo canonico. Il suo utilizzo è strumentale, e comunque subordinato a forme di autorevolezza maggiori. Inoltre, a differenza dei grammatici successivi, l'autore del Kitāb non considera l'ḥadīṯ una fonte linguistica, né offre testimonianze linguistiche da parte di membri della tribù dei Qurayš, di cui faceva parte Muḥammad.36 Se dunque la lingua parlata dal Profeta non è l'arabo migliore a giudizio di

Sībawayh, da ciò si potrebbe dedurre che la grammatica possedesse sin dagli inizi una sua indipendenza scientifica, all'interno della quale anche l'esegesi coranica trovava il suo posto, pur non essendone l'interesse principale. Le intenzioni dei primi linguisti sono esposte nella definizione della grammatica araba formulata da Ibn al-Sarrāğ che, come riassume Levin,37

include tre elementi: lo studio del kalām al-ʿarab ossia il linguaggio dei beduini, la scoperta delle regole soggiacenti a quel linguaggio e la volontà di divulgarlo. Lo scopo ultimo dello studio della grammatica è dunque la sua funzione didattica: i più grandi grammatici sono anche maestri e, come tali, svolgono le loro ricerche ai fini della massima correttezza scientifica. Ricerche, queste, che porteranno all'elaborazione di un sistema perfetto, di gran lunga avanzato nella sua complessità e al quale è conveniente affidarsi per comprendere qualunque fenomeno linguistico dell'arabo antico e moderno.

35 Ivi, p. 4.

36 I membri della tribù dei Qurayš erano cittadini e la loro lingua presentava dunque alcune differenze dialettali rispetto alla parlata delle popolazioni beduine dell'interno.

(27)

28

CAPITOLO PRIMO

I CONCETTI FONDAMENTALI

1.1 La logica dell'aṣl

Esistono, e sono forse la maggior parte, termini della grammatica araba a quali è difficile trovare un corrispondente nella linguistica europea, così come è difficile coglierne il senso nella sua interezza. Tra questi vi è il concetto di aṣl, la cui traduzione come 'base', seppur approssimativa, è quella che più si avvicina all'originale. Capire il significato di aṣl è fondamentale per intraprendere lo studio della linguistica araba per due motivi principali: prima di tutto esso è alla base della suddivisione tradizionale di morfologia e sintassi e in secondo luogo è la chiave di comprensione di ogni gerarchia linguistica, poiché rappresenta l'intuizione, che gli Arabi possedevano e che oggi è andata perduta, dell’ordine intrinseco del linguaggio.

Bohas e Guillaume38 identificavano l'aṣl con la 'radice' triconsonantica dei vocaboli arabi,

la quale, combinata a uno schema grammaticale preciso, dà vita alla parola. Tale schema bipartito consentirebbe virtualmente di spiegare l'intera lingua araba, considerandola il frutto di incroci perfetti di significati e significanti, secondo i termini saussuriani. Questa semplificazione, che pure trova consenso in alcuni grammatici arabi tradizionali, è stata però

38 G. Bohas, J. P. Guillaume, Études des théories des grammairiens arabes, vol. I: Morphologie et phonologie, Damas, Institut Français de Damas, 1984, pp. 26, 27.

(28)

29 contestata da Larcher in diversi articoli39 in cui il linguista francese mette in luce le eccezioni

a questa corrispondenza biunivoca per dimostrare la parziale inesattezza di tale sistema incrociato. La conferma della sua indagine è già percepibile nella disposizione sotto radice nel dizionario, che talvolta cela incongruenze semantiche spiegabili solamente con un'etimologia differente da quella predicata. I casi sono molteplici: esistono ad esempio verbi denominativi, come qammaṣa, formatisi per effetto di una parola straniera, in questo caso il sostantivo qamīṣ ('camicia'), derivato dal latino.40 Ciò avviene persino quando le consonanti

sono in esubero rispetto alla radice triconsonantica, come nel caso della radice TLMD derivata dalla parola ebraica talmid (discepolo), in cui il prefisso è stato reinterpretato come radicale. I due esempi presi in considerazione dimostrano che l'aṣl non ha solo valore lessicale, ma talvolta anche infra-lessicale,41 quando determina la sintassi di una parola.

D'altra parte non è solo la radice a determinare semanticamente una parola, ma ogni significato è il frutto di una serie di passaggi secondari: un esempio tra molti è quello della 'relazione al passivo'42 attraverso cui si spiegano relazioni semantiche altrimenti oscure. La

forma passiva wuğida, con il significato di 'trovarsi, esistere' spiega il significato della quarta forma dello stesso verbo all'attivo,ʾawğada ('credere qualcosa') attraverso la relazione semantica tra il credere qualcosa e il farlo esistere. Il senso di ʾawğada non si spiegherebbe con il semplice wağada, la sua forma base attiva con significato di 'trovare'. Un ulteriore prova del fatto che lo schema abbia dunque funzione semantica si riscontra nel caso in cui

39 P. Larcher, ‘Racine et schème, significations lexicale et grammaticale: quelques exemples de non bijection en arabe classique’ in Cassuto P., Larcher P. in La formation des mots dans les langues sémitiques, Aix-en-Provence, Université de Provence, 2007 e P. Larcher, ‘Vues “nouvelles” sur la dérivation lexicale en arabe classique’ in Edzard L., Nekroumi M., Tradition and Innovation, Norm and Deviation in Arabic and Semitic Linguistics, Wiesbaden, Otto Harrassowitz, 1999.

40 P. Larcher, ‘Vues “nouvelles” sur la dérivation lexicale…’, cit., pp. 112, 113. 41 Ivi, p. 109.

(29)

30 questo eserciti un' 'attrazione'43 nei confronti di parole affini: è il caso della parola zamān

('tempo'), che allunga la vocale quando è citata insieme a makān ('luogo'), o anche del termine bidāya ('inizio') che, pur provenendo da una radice di ultima hamza, prende la y per associazione alla parola nihāya ('fine').44 Secondo Larcher dunque, nessuna parola è frutto di

un incastro perfetto, ma è piuttosto il risultato di una moltitudine di associazioni. Di conseguenza non è lecito attribuire rispettivamente il solo valore lessicale e grammaticale alla radice e allo schema.

Considerata questa premessa, si capisce meglio il significato della parola maʿnā, a cui finora ci si è riferiti con 'schema', tipicamente affiancata al termine aṣl. Anche Bohas e Guillaume45 colgono la complessità del concetto di maʿnā, che si traduce nella lingua

comune come 'senso, significato' ma che in grammatica ha piuttosto la funzione di schema grammaticale. Per questo motivo è stata compiuta una distinzione tra due diversi tipi di maʿnā: il primo, denominato maʿnā I, è legato alla radice ed è la carica semantica comune a tutte le parole derivate dalla stessa, mentre il maʿnā II è la struttura attraverso la quale si declina la radice. Parallelamente, anche l'aṣl o radice si distingue tra aṣl fonetica, ossia la mera combinazione dei suoni in essa presenti e aṣl semantica, legata alla struttura attraverso cui si realizza la parola. Da un simile quadro è possibile notare che i due concetti non siano solamente incrociati e combinabili, ma anche sovrapponibili: anche in questo caso

43 P. Larcher, ‘Racine et schème…’, cit., p. 106.

44 nihāya e bidāya sono forme nominali dei corrispettivi verbi nahà e bada'a. Il primo dei due è considerato difettivo poiché ha come terza radicale la semivocale y che può apportare dei mutamenti fonetici. Nel caso di bada'a invece, la terza radicale è la hamza, segno grafico che rappresenta il colpo di glottide. Pur non rientrando nella classificazione canonica di consonante, la hamza non è considerata una lettera radicale difettiva poiché i mutamenti che apporta nella coniugazione sono solamente di carattere grafico. L'anomalia della parola bidāya risiede dunque nel fatto che essa non dovrebbe logicamente presentare una y, ma la inserisce per analogia con la parola nihāya con la quale forma una coppia antonimica.

(30)

31 si è dimostrato che a una traduzione approssimativa dei concetti è preferibile l'uso della terminologia araba, dopo averne intuito il senso. Da questo momento aṣl e maʿnā saranno impiegati senza traduzione, per tentare di conformarsi alla opinione dei grammatici arabi.

La combinazione dei due dà vita al taṣrīf, la morfo-fonologia della linguistica araba. La prima parte del taṣrīf è data dall'incontro di un'aṣl con un maʿnā del secondo tipo: questo incrocio funziona a livello morfologico e riguarda il valore semantico e grammaticale delle parole. Le norme che regolano, invece, il passaggio dell'aṣl da concetto astratto a forma concreta costituiscono la seconda parte, fonetica, del taṣrīf, che studia le combinazioni dei suoni nelle parole.

Della distinzione tra taṣrīf e la sua controparte sintattica, il naḥw, si discuterà nel paragrafo successivo. Per ora sarà interessante tornare al concetto primario di aṣl, quello di 'base', per intenderlo in senso lato come 'base del discorso', ossia criterio per stabilire la gerarchia interna tra le parole. Owens46 definisce l'aṣl come una nozione pre-teorica in

linguistica che si basa sulla premessa che esistano termini più basilari rispetto ad altri e afferma che questa percezione fosse data per scontata dai grammatici arabi, i quali argomentavano frequentemente le loro posizioni con prove date dalla maggiore o minore 'pesantezza' fonetica, ma anche semantica o sintattica. I termini utilizzati per rendere questo concetto sono molteplici: si contrappongono le coppie 'leggero' e 'pesante', 'più forte' e 'più debole', 'prima' e 'dopo' per definire il rapporto tra due termini. Il più leggero tra i due è quello che si caratterizza per essere venuto prima, e dunque per essere il termine di base, l'aṣl. Si contrappone a esso il termine farʿ, che Owens traduce come 'marcato', riprendendo un

46 J. Owens, The Foundations of Grammar: An Introduction to Medieval Arabic Grammatical Theory, Amsterdam, John Benjamins Publishing Company, 1988, pp. 199-205.

(31)

32 concetto della linguistica moderna47 non sempre applicabile all'analisi della lingua araba. I

grammatici arabi si basavano piuttosto sull'intuito per decidere quale termine fosse derivato dall'altro, poiché possedevano ancora la capacità di 'sentire' l'ordine linguistico, capacità che venne sempre più esaurendosi con la scomparsa degli originari parlanti nativi.

Un esempio di ragionamento sulla basilarità di alcune parole è riscontrabile nell'affermazione che il nome sia un termine aṣl rispetto al verbo. Owens48 riassume in due

punti le motivazioni principali di questa convinzione. Il primo afferma che mentre una frase può essere composta solo da sostantivi, quando essa sia una frase nominale,49 ciò non è

altrettanto possibile per il verbo, che necessita sempre di un nome come suo agente. La seconda motivazione si articola sul fatto che, mentre di un nome è subito intuibile il referente, poiché esso è percepibile e specifico, al contrario l'azione del verbo avrà sempre bisogno di un soggetto che la completi, poiché non si sostiene da sola.

Si vedrà in seguito che, mentre la priorità del nome sul verbo è un postulato accettato dalla maggioranza degli studiosi, non sempre la marcatezza, o d'altra parte la basilarità, sono percepibili intuitivamente: nel corso del secondo capitolo si tratterà con dovizia il tema della priorità tra verbo e maṣdar, il 'nome verbale', tradotto anche approssimativamente come 'infinito', che fu uno dei motivi di antagonismo tra Baṣra e Kūfa. La polemica su tale argomento fu alimentata proprio dall'incapacità di cogliere istintivamente quale dei due termini fosse anteriore rispetto all'altro. In questo caso non bastava percepire la maggiore o

47 La definizione di 'marcatezza' venne creata dalla Scuola di Praga negli anni Venti del Novecento, basandosi sull'opera di De Saussure. Il concetto indica la presenza di termini – così come di suoni in fonetica e strutture grammaticali in sintassi – più neutrali e basilari rispetto ad altri, invece, più marcati.

48 Ivi, p. 205.

49 In arabo la frase nominale, ğumla ismiyya, si regge senza la copula ed è quindi formata dal semplice accostamento di due sostantivi, in ordine soggetto e predicato.

(32)

33 minore pesantezza dei due, e ciò è la dimostrazione che i concetti di aṣl e farʿ non sono completamente traducibili in termini moderni. La posta in gioco della disputa era tuttavia alta: si trattava di decidere quale fosse l'origine dell'intera derivazione della lingua araba e stabilire un metodo.

Tale tipo di derivazione è da intendersi in senso ristretto rispetto all'intera morfologia: si tratta qui del passaggio da un termine basilare a uno derivato, nel senso di composizione piuttosto che di flessione. Questo tipo di processo derivazionale è chiamato ʾištiqāq50 e si

distingue dal taṣrīf, seppure su di esso sia basato, poiché comporta un cambiamento sia di forma che di significato. Il taṣrīf è invece sia un processo che un sistema poiché da una parte è la somma di tutti i possibili maʿnā applicabili a un'aṣl, ma d'altra parte è il principio stesso che si applica alle radici per farle 'muovere liberamente',51 per ottenere dunque l'intera

gamma delle forme che il sistema permette. Su di esso si regge l'intera derivazione e flessione della lingua araba, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.

1.2 La contrapposizione di naḥw e taṣrīf

Bohas e Guillaume utilizzano la definizione del linguista aleppino Ibn Yaʿīš (m. 643/1245) di suddivisione della grammatica:

Il termine taṣrīf è un maṣdar utilizzato come nome proprio di questa disciplina, per specificarla. Questa scienza ha come oggetto i cambiamenti che si verificano sulla base delle parole, sulla loro stessa natura, così come la sintassi (naḥw) ha per oggetto proprio

50 Ivi, p. 106. 51 Ivi, p.101.

(33)

34

la scienza della lingua araba. Il taṣrīf è dunque un discorso sull'essere delle parole e la sintassi un discorso sui fenomeni che le condizionano.52

In seguito, utilizzando la metafora classica dell'oro e dell'argento come origine di tutti gli oggetti che con essi vengono prodotti, l'autore prosegue spiegando che il taṣrīf interviene nell’evoluzione di una radice, attribuendo un senso aggiuntivo a ogni passaggio della trasformazione. Così, ad esempio, il verbo muta dal senso di passato a quello di presente, e poi di futuro e di participio, in un'evoluzione costante. Da questa prospettiva è facile cogliere il senso di processo in atto che il taṣrīf racchiude in sé e che differisce dalla derivazione nelle lingue indoeuropee (si veda il paragrafo 2.1.3). L'ordine seguito nella derivazione forma infatti una catena, come ha schematizzato Bohas,53 in cui ogni anello contiene i significati

degli anelli precedenti e ne aggiunge uno nuovo: ciascun ampliamento del significato è simboleggiato dall'annessione di un kalima, parola traducibile con 'morfema', ma che è anche il termine per 'parola'. La radice ṢRF di taṣrīf implica il significato di 'cambiare direzione' e in generale di 'mutare liberamente, poter cambiare da una forma all'altra'54 e

dunque 'trasformarsi'.

Il termine naḥw, tradotto come 'sintassi' e solitamente in opposizione al taṣrīf, può essere anche inteso come grammatica in senso lato. Tale significato di naḥw è chiaramente il precedente in ordine cronologico, essendo la suddivisione una conquista successiva all'elaborazione formale della grammatica e all'acquisizione di nozioni strutturali da parte dei suoi studiosi. Sībawayh parlava di naḥwiyyūn (si veda il primo paragrafo dell'introduzione) per riferirsi ai grammatici generici, che si occupavano sia di morfologia che di sintassi. La struttura del naḥw arabo è un edificio perfetto, in cui ogni elemento trova il suo posto in una

52 Šarh al-Mufaṣṣal, 18, 19 in G. Bohas e J. P. Guillaume, op. cit., p. 23. 53 G. Bohas et al., The Arabic…, cit., pp. 76, 77.

(34)

35 serie chiusa di possibili assegnazioni. Queste sono determinate da proprietà definite che circoscrivono gli elementi e si applicano sia a livello morfologico che a livello sintattico.55

Ma più specificamente lo studio del naḥw implica la relazione sintattica tra le parole e il loro ordine nella frase, la loro coordinazione e subordinazione. Ibn Ğinnī56 lo definiva come la

descrizione dei mutamenti della finale nella declinazione - processo denominato iʿrāb - a seconda del contesto e della parola reggente. L'iʿrāb è il termine utilizzato comunemente per indicare l'analisi logica della frase, fondamentale in una lingua particolarmente flessiva come l'arabo. Il taṣrīf è invece, secondo le parole del grammatico, la descrizione dell'essenza delle parole, la loro struttura e la loro natura. Questa concezione faceva sostenere a Ibn Ğinnī, a differenza di molti altri linguisti arabi, che lo studio del taṣrīf dovesse precedere quello del naḥw, poiché gettava le basi per la sua comprensione. Al contrario, la maggior parte dei grammatici tradizionali ha preferito concentrarsi sull'analisi sintattica della lingua, analisi che meglio mostrava la coerenza interna dell'arabo, mentre la morfologia veniva spesso mantenuta in secondo piano. Nei capitoli conclusivi si tenterà di dimostrare la logica interna di un argomento confuso come le forme del maṣdar, concentrandosi dunque sugli aspetti morfologici di quest’ultimo e provando a fornirne un'ottica complessiva.

1.3 Il criterio del qiyās

Al di là delle differenze, esiste un criterio che accomuna naḥw e taṣrīf e li rende parte dello stesso sistema: esso è il loro carattere regolare, o che perlomeno aspira alla

55 J. Owens, ‘The structure of Arabic grammatical theory’ in R. Talmon et al., op. cit., pp. 286, 287. 56 Ivi, p. 293.

(35)

36 regolarizzazione della lingua, alla sua catalogazione in una serie finita di possibilità. Tale criterio è basato sull'analogia, ossia il qiyās dei grammatici arabi, un tipo di ragionamento logico che da norme primarie può derivarne altre secondarie. Anche se è stato spesso paragonato al sillogismo, il qiyās è piuttosto un procedere per paragoni, per analogia, appunto. Il ragionamento è in un primo tempo associabile all'induzione, e per tale motivo è sempre possibile mettere in discussione una norma derivata da qiyās nel caso in cui l'evidenza affermi diversamente. Questo procedimento tende a esercitare un effetto livellante sulla lingua, ma i suoi stessi sostenitori rifiutavano di applicarlo quando l'esistenza di una forma su cui l'analogia non agiva dimostrava il contrario.

Il qiyās è ben conosciuto anche in ambito legislativo, da quei giuristi islamici che dovettero integrare le leggi mancanti procedendo per paragoni. Infatti, se di un caso specifico non esisteva normativa né nel Corano e neppure nelle testimonianze del Profeta, o se si presentava una circostanza nuova che necessitasse di regolamentazione, gli esperti di diritto applicavano al loro ragionamento alcuni criteri analogici. Per cui si stabiliva la legge sulla base di casi, trattati nel Testo sacro o in un ḥadīṯ di Muḥammad, simili e comparabili al nuovo in questione.

Eppure, secondo Ibn Ğinnī,57 il qiyās dei grammatici era più vicino alla logica dei teologi

piuttosto che a quella dei giuristi, poiché si basava su una percezione di ciò che era ammissibile e ciò che invece non lo era. Ibn Ğinnī era infatti convinto dell'affinità tra la saggezza inconsapevole dei parlanti nativi e della intrinseca razionalità della lingua, motivo per cui l'analisi linguistica si basava piuttosto su intuizioni e sensazioni, o comunque da esse non poteva prescindere.

La tensione tra la consapevolezza della finezza e della precisione innate del linguaggio e

(36)

37 l'opera di comprensione e regolarizzazione compiuta dai grammatici sarà esplicita nel secondo capitolo, in cui si esamineranno tutte le prospettive di analisi di un tema tanto dibattuto quanto il maṣdar. Per il momento sarà sufficiente considerare quali implicazioni comportasse la logica del qiyās nell'elaborazione linguistica, tentando di evitare confusioni e interpretazioni improprie.

1.3.1 Reinterpretazione secondo il concetto di induzione

Come spiegato nell'introduzione, il procedimento induttivo del qiyās fu utilizzato sin dal principio dai grammatici di entrambe le scuole per derivare norme generali dai casi particolari, ossia da ciò che si tramandava della lingua degli arabi. Nonostante ciò, alla logica del qiyās si è spesso opposto come sua controparte il concetto di samāʿ: il termine deriva dalla radice SMʿ con il significato di 'sentire' e può essere tradotto come 'ciò che è attestato o tramandato'. Affidarsi al samāʿ significa dunque accettare all'interno del corpus linguistico solamente quegli elementi provati dall'evidenza: in tal senso la logica del samāʿ non rifiuta il qiyās,nell'eventualità che quest'ultimo rispetti la realtà.

La comune distinzione tra qiyās bassoriano e samāʿ kufiota necessita dunque di alcune puntualizzazioni. Come già notato, entrambi i concetti dipendono logicamente dal procedimento induttivo, poiché si basano sull'esperienza.58 La differenza risiede nel fatto che

il samāʿ non pretende di istituire regole generali, mentre il qiyās aspira a regolamentare la lingua. In tal caso, una volta ricavata la norma generale dal particolare, la stessa viene estesa ad altri casi specifici: qui il ragionamento è molto più vicino al sillogismo piuttosto che

Riferimenti

Documenti correlati

Politiche previdenziali - Prestazioni economiche agli assicurati, 2.1 Tutela della Salute - Attività socio sanitarie, 2.2 Tutela della Salute - Attività di reinserimento

vista l’allegata relazione dell’Ufficio Poas datata 06 aprile 2018, parte integrante della determina, che espone in dettaglio le motivazioni del provvedimento in oggetto

140 toner e drum per la Direzione Regionale e le Strutture Territoriali INAIL della Regione per l’importo complessivo di Euro 10.616,05 IVA e oneri fiscali inclusi, pari

922 del 20 dicembre 2017, a seguito della consultazione di quattro operatori economici del settore, è stata aggiudicata la riparazione urgente della

tenuto conto che la spesa di cui trattasi, pari complessivamente a Euro 3.124,42 IVA inclusa è imputabile capitolo U.1.03.02.13 (Servizi ausiliari per il

801 del 16 novembre 2017 con la quale l’Ufficio POAS è stato autorizzato a effettuare una ricerca di mercato (on line considerato l’importo contenuto dell’affidamento) per

5740, parte integrante della determina, che espone in dettaglio le motivazioni del provvedimento in oggetto finalizzato l’iscrizione della funzionaria socio educativa

01 (Manutenzione ordinaria e riparazioni di beni immobili) nell’ambito delle seguenti missioni e programmi del bilancio di previsione 2017: 1.1 Politiche