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I maṣādir dei verbi derivati: ipotesi di un'origine comune

III. La grammatica come scienza islamica

3.3 I maṣādir dei verbi derivati: ipotesi di un'origine comune

Nell'intricato complesso degli schemi del maṣdar, i verbi derivati, ossia le forme diverse dalla prima, fanno eccezione. Ciascuna di esse infatti presenta solitamente uno o al massimo due schemi prevalenti, riducendo i dubbi e permettendo dunque di utilizzare il qiyās in una delle sue più riuscite applicazioni.

70 Gli schemi principali delle dieci forme derivate, come schematizzato nella grammatica di Laura Veccia Vaglieri,57 sono i seguenti:

II forma: tafʿīl (più rari tafʿila, tafʿāl e tifʿāl); III forma: mufāʿala (più raro fiʿāl);

IV forma: ʾifʿāl; V forma: tafaʿʿul; VI forma: tafāʿul; VII forma: infiʿāl; VIII forma: iftiʿāl; IX forma: ifʿilāl; X forma: istifʿāl.

Oltretutto, all'interno di questa classificazione è possibile compiere un'ulteriore divisione raggruppando insieme la quarta, settima, ottava, nona e decima forma e ugualmente la quinta e la sesta.

Questa tendenza regolarizzante dei maṣādir derivati, unita alla costanza di alcuni elementi, come le vocali i e a presenti nella quasi totalità degli schemi, ha condotto numerosi arabisti e orientalisti a compiere studi che potessero provare l'originaria unità degli schemi degli infiniti derivati, per giungere idealmente alla ricostruzione di uno schema primitivo che li accomunasse. Di questi se ne citeranno alcuni.

La coppia costante i-a, che applicata alla maggioranza delle forme verbali derivate dà vita ai maṣādir, ha indotto Kremers58 a chiedersi se la stessa non fosse all'origine anche

dell'infinito della quinta e sesta forma derivata. La sua conclusione è che la seconda a in

57 L. Veccia Vaglieri, Grammatica teorico-pratica della lingua araba, Roma, Istituto per l’Oriente, 1937. 58 J. Kremers, ‘Maṣdar formation’ in E. Ditters, H. Motzki, Approaches to Arabic Linguistics: Presented

71 queste due forme è un'imitazione della a del prefisso, tipico della forma. Inoltre, secondo l'autore, lo schema di seconda forma si è creato per analogia con le due forme prefisse con ta- ed esse sono di conseguenza tutte accomunabili.

Questo schema comune, secondo Fleisch59 deriva dall'antico infinito semitico faʿāl che si

è tramandato nelle forme derivate dell'arabo. La sua prima a originaria è mutata in i in quasi tutte le forme, mentre è rimasta tale nella seconda (si vedano i suoi schemi più rari). La terza forma non fa eccezione, poiché il suo schema secondario fiʿāl si associa perfettamente allo schema comune, mentre mufāʿala è un'irregolarità dovuta alla reinterpretazione del participio passivo femminile come maṣdar della forma in questione.

Infine, l'articolata analisi compiuta da Testen60 ha come intento l'associazione del maṣdar

di ottava forma a quelli di quinta e sesta per dimostrare che, attraverso la testimonianza di schemi arcaici, è possibile ricostruire l'evoluzione degli schemi dei derivati e la loro differenziazione a partire da una struttura primitiva, che anche Testen riconosce in quello schema faʿāl.

Come punto di partenza dell'analisi vengono prese in considerazione alcune parole con prefisso tu- come la preposizione tuğāha ("di fronte") o il sostantivo turāṯ. Esse provengono da verbi con prima radicale w e l'opinione dell'autore è che siano semanticamente associabili alla ottava forma di questi. Testen sostiene che il prefisso tu- sia l'evoluzione di tw- che si è alleggerito. Questa affermazione si oppone alla tradizionale convinzione che esso si fosse sviluppato dalla sillaba iniziale wu-, composta dalla prima radicale e dalla sua vocale, per renderla più agevole nella pronuncia: la t dello schema sarebbe quindi solo una sostituzione

59 H. Fleisch, Traité de philologie arabe, cit. pp. 338, 339.

60 D. Testen ‘Arabic evidence for the formation of the verbal noun of the Semitic GT-stem’ in Journal of Semitic Studies (XLIV,1), Oxford, Oxford University Press,1999.

72 e non presenterebbe alcuna connessione con l'ottava forma. Testen confuta questa spiegazione sostenendo che la naturale evoluzione di una parola che inizi con la sequenza wu- sarebbe la comparsa della hamza, mentre la mutazione in tu non trova riscontro in altri esempi.

L'autore prosegue sostenendo che, sulla base di lingue come l'accadico o il geez, in origine fosse possibile che la marca dell'ottava forma, la t, fosse anche prefissa oltre che infissa alla radice. L'arabo, più tollerante di altre lingue semitiche, ha mantenuto la forma con metatesi,61 secondo il principio della lectio difficilior, mentre dell'altra rimangono scarse

tracce. La -t- prefissa è dunque assimilabile a quella della quinta e sesta forma: le tre, comuni all'origine, si sono in seguito specializzate seguendo modelli diversi di antichi infiniti semitici.

In questa serie intricata di ripartizioni, soltanto le parole di un grammatico antico possono aiutare a chiarificare il problema. Tra i molti che si sono cimentati nella questione, ve n’è uno, vissuto nel tredicesimo secolo, che ha saputo congiungere magistralmente la tradizione a una riflessione più moderna e ha reso intellegibili quei meccanismi linguistici fino ad allora ritenuti scontati: costui è Naǧm ad-Dīn Muḥammad ibn al-Ḥasan al-Astarābāḏī. La sua vita, tema del capitolo successivo, rimane un mistero, ma la lucidità con cui seppe descrivere i temi controversi della linguistica araba lo ha reso memorabile.

14 Nel prefisso ift- dell'ottava forma la vocale i è stata aggiunta per una pronuncia migliore e lo stesso è avvenuto per le forme settima, nona e decima. L'arabo infatti, così come tutta l'intera famiglia semitica, non consente a una parola di iniziare con due consonanti. Tuttavia in una fase antica è probabile che questo fenomeno fosse tollerato maggiormente in arabo rispetto ad altre lingue, poiché la presenza delle due consonanti iniziali è virtualmente ammessa, anche se corretta dalla vocale.

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CAPITOLO QUARTO

LA VITA E LE OPERE DI ASTARĀBĀḎĪ

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