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III. La grammatica come scienza islamica

5.3 Tavole riassuntive

Riassumendo, si può ora formulare una griglia di riferimento che includa i principali schemi su qiyās che Astarābāḏī inserì nella sua opera. Tra parentesi verranno riportati i significati più rari.

28 Ivi, pp. 164-166.

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CONCLUSIONI

Una delle poche notizie pervenute sulla vita di Astarābāḏī informa che il saggio autore dei due šarḥ avesse origini persiane. Delle sue vicende personali non si conosce pressoché altro, ma è plausibile che egli, come la gran parte dei grammatici del suo tempo, svolgesse la professione di maestro in una madrasa della sua città. Le due constatazioni, affiancate, inducono a riflettere sul fatto che il suo insegnamento fosse rivolto a parlanti non nativi, per i quali l’arabo, che pure era necessariamente noto in quanto lingua d’impero e lingua della Rivelazione, rimaneva un idioma straniero. Il maestro Sībawayh, persiano anch’egli, si distinse proprio per la sua volontà di mediare tra diverse culture e rendere accessibile la lingua degli antichi Arabi ai cittadini di un impero in continua espansione, con la convinzione che la lingua fosse un veicolo di saperi e anche di valori. E Astarābāḏī, quasi cinque secoli dopo, seguì le orme del suo antico maestro. Nell’epoca che separa i due grandi autori, si può leggere l’evoluzione che trasformò l’ʿilm an-naḥw, la scienza grammaticale, da riflessione primitiva a sistema logico di elevata elaborazione e che le fornì strumenti sempre più raffinati attraverso i quali esprimersi. Ma la motivazione che spinse entrambi è unica e consiste nel proposito di conciliazione che è alla base di buona parte della ricerca grammaticale e che ha tentato di caratterizzare anche il presente lavoro.

Il fine dell’analisi compiuta è stato sin dall’inizio la ricerca di una soluzione volta alla semplificazione dello studio della classe grammaticale in questione: il maṣdar. La tendenza a tralasciarne l’apprendimento in quanto troppo complesso o privo di regolamentazione evidente non rende infatti giustizia a questo raffinato elemento linguistico, che era tenuto invece in gran conto dai grammatici antichi e che racchiude nel suo stesso nome un

95 ìsignificato che lo rende interessante a campi di indagine diversi: esso è infatti l’‘origine’. Per comprendere una tale sottigliezza sono necessari diversi presupposti. Innanzitutto è d’obbligo un cambio di prospettiva: solamente uscendo dal sistema della linguistica europea e dalle categorie derivate dalla grammatica greca e latina, quali ‘infinito’, ‘derivazione’, e ‘radice’, è possibile entrare nel profondo della lingua araba. Se si sostituiscono, e si imparano a comprendere, i termini citati con i rispettivi ‘maṣdar’, ‘ištiqāq’ e ‘aṣl’, lo sforzo di mediazione verrà ripagato da una improvvisa chiarificazione sui temi più confusi. La grammatica araba non si rivolgeva solo agli eruditi e utilizzava pertanto nozioni intuitive e concetti semplici, che stanno alla base di una percezione comune. Ma rimane condizione fondamentale, oggi, l’abbandono del vecchio sistema e la conoscenza del nuovo, per compiere il primo passo nel senso di una conciliazione.

Il successivo sforzo di mediazione è da mettere in pratica in seguito allo studio del pensiero delle due scuole antagoniste di Baṣra e Kūfa. Solo dopo avere appreso le opinioni dei grandi grammatici antichi protagonisti della controversia e dopo averne analizzato la realtà storica e le implicazioni ideologiche, è possibile tentare una sintesi tra le due posizioni. Così sembra fare con disinvoltura Astarābāḏī, che sceglie di procedere autonomamente nella sua analisi del maṣdar, rifiutando di ragionare per preconcetti e formulando la sua teoria in libertà ma ugualmente sotto la guida dei maestri del passato, membri di entrambe le scuole di pensiero. Il secondo commentario dell’autore è dedicato allo studio della morfologia ed è proprio l’analisi morfologica da lui compiuta a rivelarsi preziosa per tracciare una via intermedia tra l’analisi sintattica di Baṣra, che si concentrava sugli aspetti formali della lingua, e quella semantica kufiota, che ne valutava il contenuto. È qui, probabilmente, che nasce l’incomprensione tra i sostenitori delle due teorie, almeno per quanto riguarda il nome verbale: nome, appunto, formalmente, ma con significato di verbo.

96 Infine, e ciò è il motivo per cui è stato compiuto il presente studio, è necessario cercare una soluzione per sciogliere in parte il groviglio di regole che accompagnano la formazione

del maṣdar: regole che i grammatici medievali studiarono con dovizia ma che le

grammatiche moderne occidentali spesso ignorano. Un terzo livello di mediazione – una conciliazione tra passato e presente – è dunque richiesto a chiunque si appresti a fornire indicazioni in materia. Nel farlo, bisogna abbandonare ogni proposito idealista e apprestarsi a considerare la realtà dei fatti, per cui ogni lingua viva è tale in quanto soggetta ad evoluzione. Se il fine ultimo dello studio degli insegnamenti del passato è la comprensione della grammatica moderna, come in questo caso, ogni teoria sarà soggetta a un riesame che verifichi la sua possibile applicazione al presente.

Come si è accennato, il maṣdar arabo è ben lungi dal formare una classe di nomi statica, ma è bensì una categoria produttiva per la quale bisogna quindi fornire una chiave di lettura efficace. La griglia formulata in questa sede, che trae spunto dal capitolo dedicato all’argomento sullo Šarḥ aš-Šāfiya, è un tentativo di sintesi dello studio dell’autore che si offre di aiutare a conoscere, ma forse ancora di più a riconoscere, i sostantivi appartenenti a questa classe. Questo tipo di analisi non ha la pretesa di prescrivere, ma si limita a descrivere il linguaggio, poiché ogni maṣdar ha dato prova di essere una parola spesso molto antica. Esso, se non l’origine di tutta la derivazione nominale e verbale, è almeno l’eredità di un’epoca passata.

Sembrerebbe dunque che non ci siano grandi speranze di apprendere il nome verbale così come si fa col verbo coniugato, poiché la sua forma è estremamente mutevole. E tuttavia, Astarābāḏī dice chiaramente che una soluzione esiste. Dopo aver ispezionato ogni ambito semantico in cui agisce una particolare analogia, l’autore consiglia ai suoi studenti di considerare lo schema di base, nel caso in cui ogni altra ipotesi venga esclusa. Tale schema

97 è faʿl, parola all’origine di qualunque maṣdar, usata soprattutto nella regione dell’Hiğaz e forma tipica per il transitivo. Così come invitava a fare l’autore, questo schema potrebbe essere applicato ancora oggi per la resa di un nome verbale di cui si ignorino altre informazioni. Ciò dovrebbe avvenire solo dopo aver appreso il funzionamento dell’oggetto in esame e dopo aver compiuto la triplice mediazione di cui si è parlato. Ma una volta ultimato questo studio preliminare, l’uso di faʿl potrebbe rappresentare un punto di partenza volto a rendere accessibile l’acquisizione dell’argomento e potrebbe fornire un espediente per l’espressione di un concetto fondamentale in ogni lingua umana. Tale nozione è il maṣdar: il significato dell’azione in sé, privato di qualsiasi caratteristica accessoria e di ogni temporalità.

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APPENDICE

Premessa

La traduzione è corredata di due diversi tipi di note. Le prime, numeriche a piè di pagina, sono le note originali di Astarābāḏī, in cui l’autore integra alcune informazioni utili alla comprensione del testo. Le seconde, a numerazione alfabetica poste alla fine dell’appendice, sono note mie volte a chiarificare le citazioni di nomi propri o di opere o ancora di passi coranici presenti nel testo. Per la resa delle parole arabe si è utilizzata la traslitterazione canonica in caratteri latini. Negli schemi di maṣdar si è volutamente omessa la desinenza nominale distintiva del caso, anche quando essa fosse marcata nell’originale, per evitare confusioni e uniformare l’insieme. Per trascrivere la desinenza femminile è stata eliminata la tāʾ marbūṭa e si è lasciata la sola vocale a, che risulterà una chiara marca del genere in quanto i nomi maschili non hanno vocale finale, non essendo declinati nella traslitterazione. Le parole inserite tra parentesi quadre sono supplementi funzionali alla scorrevolezza del discorso, mentre tra parentesi tonde sono inserite le traduzioni delle parole (schemi verbali o termini grammaticali). Si è scelto di utilizzare l’originale nome arabo di questi ultimi in quanto immune da possibili fraintendimenti ed esente da implicazioni estranee alla materia. Soltanto il termine samāʿ è stato tradotto talvolta come ‘attestazione’ o ‘trasmissione’ in vista di una maggiore comprensione del testo. I maṣādir sono stati tradotti con l’infinito italiano preceduto dall’articolo determinativo, per sottolineare la maggiore nominalizzazione e la diversa natura del nome verbale arabo rispetto al suo equivalente italiano. Fanno eccezione i nomi verbali

103 diversi dal maṣdar (ism al-marra, ism maṣdar, etc.) che, essendo ancora più simili al sostantivo, sono stati tradotti con il nome equivalente. I verbi alla terza persona maschile singolare del māḍī sono stati resi con l’infinito italiano, sebbene questa traduzione sia errata e ingannevole, al fine di rispettare la volontà dell’autore nei casi in cui egli intendeva fornire la forma base del verbo preso in considerazione. Le parentesi quadre racchiudono infine le citazioni coraniche, per le quali è stata fornita la traduzione di Alessandro Bausani. Le traduzioni dei passi poetici e di ulteriori citazioni sono mie. I numeri di pagina si riferiscono all’originale arabo.

[151] Il maṣdar

Dice: ﹤﹤Il maṣdar: di questo gli schemi per il trilittero semplice sono numerosi: come qatl (l’uccidere), fisq (il deviare), šuġl (l’occupare), raḥma (l’avere pietà), nišda (il cercare), kudra (l’essere stinto), daʿwà (il chiamare), ḏikrà (il ricordare), bušrà (il rallegrarsi), layyān (l’essere molle), ḥirmān (il privare), ġufrān (il perdonare), nazawān (il saltare), ṭalab (il ricercare), ḫaniq (il soffocare), ṣiġar (l’essere piccolo), hudà (il guidare), ġalaba (l’essere probabile, il prevalere), sariqa (il rubare), ḏahāb (l’andare), ṣirāf (il volgere), suˈāl (il chiedere), zahāda (l’astenersi, il disinteressarsi), dirāya (il sapere, l’apprendere), buġāya (il desiderare), duḫūl (l’arrivare), waǧīf (l’essere agitato), qabūl (l’accettare, il ricevere), ṣuhūba (l’essere rosso), madḫal (l’entrare), marǧiʿ (il tornare), masʿāda (l’affrettarsi, lo sforzarsi), maḥmida (il lodare), karāhiyya (l’essere butto). E tuttavia il prevalente nel verbo intransitivo, come raka ʿa (chinarsi), è rukuwuʿ (il chinarsi); nel transitivo, come ḍaraba (colpire), è ḍarb (il colpire), nel [verbo di] azione e simili, come kataba (scrivere), è kitāba (lo scrivere), nel [verbo di]

104 movimento, come ḫafaqa (vibrare), è ḫafaqān (il vibrare), e nel [verbo di] suono, come ṣaraḫa (gridare), è ṣurāḫ (il gridare). Dice al-Farrāʾ*a: quando ti si presenta un verbo di cui

non è attestato il maṣdar, [152] rendilo [con lo schema] faʿl per l’Hiǧaz e [con lo schema] fuʿūl per il Nağd; [schemi] come hudà e qirà (il leggere) si riferiscono in particolare al [verbo] manqūs (diminuito, di ultima debole) e [schemi] come ṭalab si riferiscono ai [verbi di forma] yafʿul, eccetto l’arrecamento di ferita e la vittoria﹥﹥.

Cito la sua frase: ﹤﹤la folla e il canto﹥﹥ : il primo non è [nome] di volta e il secondo [non è nome] di aspetto, e se i due si accordano nello schema, questa è la loro formazione.

Quelli che l’autore indica come schemi dei maṣādir (plurale di maṣdar) trilitteri sono i più frequenti e i prevalenti. È stato riscontrato inoltre [che esistono] anche [gli schemi] al-fuʿlal, come as-sūdad (l’essere a capo), al-faʿalūt, come al-ğabarūt (il costringere)1, at-tufʿal, come

al-tudraʾ (il costringere, il difendere)2, al-fayʿalūla, come al-kaynūna, e la sua base kayyanūn

(l’essere)3, al-fa ʿ lūla, come aš-šayḫūḫa (l’invechiare) e [153] aṣ-ṣayrūra (l’arrivare,

1 al-ğabarūt: la grandezza e la supremazia; questo schema è stato riscontrato per molti ʾawzān (plurale di wazn, paradigma).

2 at-tudraʾ: la t con ḍamma, la d con sukūn, la r con una fatḥa – la repulsione e il rigetto, come dice al-Abbās Ibn Mirdās as-Sulamī*b : ﹤﹤Ero in guerra, provvisto di difesa, e non mi fu fatto nulla e non fui impedito﹥﹥. Dice Ibn al-ʾAṯīr*c : ﹤﹤provvisto di difesa: cioè provvisto di attacco, non ha paura e non teme, vi è in lui la forza per respingere i nemici﹥﹥.

3 al-kaynūna: il maṣdar di kāna kūnā kīnūna; dice al-Farrāʾ: gli Arabi dicono che tra [i verbi] che contengono la y, come ziʿtu e sirtu, ṭirtu (tayrūra), ḥidtu (haydūda) nella d, sono innumerevoli di questo tipo. In quelli che contengono w, come qultu e ruḍtu, [gli Arabi] dicono così, e si sono presentate in favore di ciò quattro parole, ossia: al-kaynūna da kuntu, ad-damyūma da dumtu (il durare), al-hayʿūʿa da al-hūāʿ (vomitare), as-saydūda da sidtu (l’essere signore). Doveva essere kawnūna [in origine] ma poiché è rara nei maṣādir (plurale di maṣdar) la w e invece è frequente la y, si sono attenuti a ciò che è più frequente, poiché la w e la y si approssimano nell’articolazione. Dice: al-Ḫaīl*d aveva detto: kaynūna, [di forma] fayʿūla è all’origine kayūnūna, in cui y e w si incontrano e la prima tra loro è sākina, allora la y viene raddoppiata, come ad esempio dicevano al-hayan da huntu, dunque rendevano [la pronuncia] più leggera e dicevano kaynūna, così come dicevano haytu e laynu. Dice al-Farrāʾ*a: è un modo di vedere la cosa, tuttavia l’espressione

105 l’accadere), al-fuʿalnīa, come al-bulahnīa (l’essere sciocco),4 al-faʿīla, come al-šabība (il

crescere) e al-faḍīḥa (l’essere chiaro), al-fāʿūla, come aḍ-ḍārūra (il nuocere) nel senso di “danno”, al-tafʿula, come at-tahluka (il morire), al-mafāʿla, come al-masāʾya (il divenire malvagio),5 la cui origine è masāwiʾa ed è mutato, al-fuʿulla e al-fuʿullà, come al-ġulubba e

al-ġulubbà (il conquistare),6 e così via.

Quanto dice: ﹤﹤La maggioranza [di maṣādir] per i verbi intransitivi è [di schema] fuʿūl﹥﹥ non è assoluto, e infatti non è [valido] per la debolezza che riscontriamo nei [verbi di] suono, malattia e confusione. È meglio che non distinguiamo dapprima i gruppi tra faʿala, faʿila e faʿula, né tra transitivo e intransitivo, ma invece diciamo:

Quello che prevale nei [verbi di] professione e simili di qualsiasi tipo è [lo schema] al-fiʿāla con kasra, come aṣ-ṣiyāġa (il modellare), al-ḥiyāka (il tessere), al-ḫiyāṭa (il cucire), at-tiǧāra (il commerciare), al-ʾimāra (il comandare), ed è consentito pronunciare la prima [radicale] con fatḥa in alcuni casi come al-wakāla (l’incaricare), ad-dalāla (il mostrare) e al-walāya (l’essere

[giusta] secondo me è la prima. Ma ne diremo di più nel capitolo sui deboli Inshallah. 4 al-bulahnīa: la tranquillità e il benessere nella vita.

5 al-masāʾya: uno dei maṣādir di sāʾ è yasūʾ , quando gli fa ciò che è sgradevole. Dice nel Lisān*e:

﹤﹤Sībawayh*f ha detto: domandai a al-Ḫalīl riguardo a sawāʾya e lui disse: esso è [di schema] faʿālya , come ʿalānya (l’essere noto), e coloro che dicevano sawāya eliminavano la ʾ (hamza), così come la eliminavano [in] hāra (andare in rovina) e lāta (sporcare), così come si trovava d’accordo la maggior parte di loro sulla caduta della ʾ [in] malak (messaggero) la cui base è malaʾk. E gli chiesi riguardo a masāʾya e disse: questo è trasformato ma la sua definizione è masāwaʾa [poiché] essi detestavano la w con ʾ in quanto esse sono due lettere che non vanno d’accordo; e coloro che dicono masāya eliminano la ʾ per alleggerirlo﹥﹥. Da ciò capisci che il wazn dell’autore è masāʾya di schema mafāʿala, ma è [così] rispetto alla base prima del cambiamento, e il suo wazn ora è mafālaʿa, ma la w è trasformata il y per una sua eccezione concessa senza tener conto della violazione.

6 al-ġulubba e al-ġulubbà: in essi la ġ e la l hanno ḍamma; sono due maṣādir di ġalaba, e dal primo proviene la poesia del poeta che è: ﹤﹤ho accettato l’aiuto ma non ho accettato la sopraffazione (ġulubba), e in profondità ho una forza fiera e grande﹥﹥. Non esaminiamo il secondo [come] testimonianza, ma così è riferito nel Lisān.

106 vicino).

Quello che prevale nei [verbi di] fuga e agitazione e simili è [lo schema] al-fiʿāl, come al-firār (il fuggire),7 e aš-šimāš (il fare resistenza, l’opporsi), an-nikāḥ (lo sposarsi), [154]

aḍ-ḍirāb (il colpire),8 al-widāq (il desiderare), aṭ-ṭimāḥ (il bramare), al-ḥirān (l’essere

recalcitrante),9 simili a aš-šimāš,10aš-širād (il fuggire), al-ǧimāḥ (il disobbedire) e al-ǧamāʿ

(il riunire) e tutti significano un’astensione da ciò a cui si aspira.

[Lo schema] fiʿāl con kasra si presenta anche per [i verbi di] suono e tuttavia è più raro rispetto all’occorrenza di fuʿāl con ḍamma e di faʿīl, come: az-zimār (suonare uno strumento a fiato) e al-ʿirār (l’essere vergognoso).11

al-fiʿāl è il qiyās (norma, modello generale costruito su analogia) di altri maṣādir di accadimento dell’evento, come al-qiṭāf (il cogliere), aṣ-ṣirām (il tagliare), al-ğidād (l’essere nuovo), al-ḥiṣād (il mietere, il raccogliere) e ar-rifāʿ (il sollevare),12 e si associa a faʿāl con

7 al-firār: l’evasione e la fuga, e da esso proviene la Sua parola: {Se fossi lì capitato d’improvviso e li avessi visti, ti saresti volto subito in fuga pieno d’arcano spavento}.*g

8 aḍ-ḍirāb: il maṣdar di ḍaraba è lo stallone quando monta la cammella.

9 aš-šimāš: il maṣdar di: la bestia e il cavallo fanno resistenza – come samiʿa (sentire) e naṣara (aiutare) – e in questa [frase] c’è una terza variante [di forma] faḍala yafḍilu, del gruppo di at-tadāḫul (l’interferire) – quando fuggono e disobbediscono e impediscono [di salire sul] loro dorso.

10 al-widāq: il maṣdar di brama l’animale (quando questo è dotato di zoccolo): lo stallone ne ha desiderato; e riportano al-wadāq – con fatḥa su w - Ibn Qūṭiyya*h e Al-Mağd*i : ha riferito Ibn Qawatiya che il verbo è come wadaʿa (mettere in pericolo) e waṯaqa (essere solido) e ha riferito Al-Mağd che la sua seconda radicale è vocalizzata; aṭ-ṭimāḥ: il maṣdar di: la donna desidera, dal capitolo sulla fatḥa – quando è ribelle e disobbediente; al-ḥirān: il maṣdar di: l’animale è recalcitrante, quando si ferma nel mezzo della sua corsa.

11 az-zimār: il verso dello struzzo, e il suo verbo è come ḍaraba ; al-ʿirār: il maṣdar di ʿarra: ʿarra

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