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“Io sono speciale” Percorso dedicato ad aumentare la fiducia in sé stessi attraverso la musica e l’improvvisazione ritmica e melodica

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Academic year: 2021

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LAVORO DI DIPLOMA DI

CHIARA VASSALLI LEHMKUHL - KLINT

MASTER IN INSEGNAMENTO PER IL LIVELLO SECONDARIO I

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

“IO SONO SPECIALE!”

PERCORSO DEDICATO AD AUMENTARE LA FIDUCIA IN SÉ STESSI ATTRAVERSO LA MUSICA E L’IMPROVVISAZIONE RITMICA E MELODICA

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Un grazie di cuore agli allievi della Seconda A delle Scuole Medie di Stabio che hanno permesso la realizzazione del progetto rendendolo speciale e al mio docente di pratica professionale, Angelo Sonvico, per la completa fiducia che ha dimostrato nei miei confronti.

Un grande grazie alla mia relatrice Chiara Dignola per il percorso intrapreso in questi due anni di formazione e per la stima dimostrata nei miei confronti, e ai miei compagni di DFA, Giorgia, Marta, Marino, Moreno e Mirko, che con risate e complicità mi hanno aiutata ad affrontare quest’avventura!

Un ringraziamento speciale va ai miei genitori Monica e Gilberto e a mia sorella Lorenza, famiglia davvero unica, perché, nonostante tutte le difficoltà, sono sempre riusciti a non farmi mancare il loro appoggio, il loro sostegno e concedendomi la loro completa disponibilità.

Un ringraziamento straordinario a mio marito Gustavo per il suo supporto, la pazienza e per il suo amore incondizionato.

Ed infine un grazie speciale alla mia fantastica bambina, Emma, che con i suoi sorrisi e la sua allegria mi ha dato la forza per affrontare tutto ciò!

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Abstract

Chiara Vassalli Lehmkuhl-Klint

Master in Insegnamento per il Livello Secondario I

“Io sono speciale”

Percorso dedicato ad aumentare la fiducia in sé stessi attraverso la musica e l’improvvisazione ritmica e melodica

Relatrice: Chiara Dignola

L’autostima di ogni individuo deriva dalla consapevolezza che ciascuno di noi ha nei propri mezzi, riconoscendo i propri punti di forza e le proprie debolezze. Essa, frutto di un lungo lavoro analitico su sé stessi, è quindi una premessa indispensabile per poter vivere nel migliore dei modi la quotidianità. In ambito educativo la stima di sé stessi e l’inclusione all’interno del gruppo classe sono dei requisiti fondamentali per poter affrontare serenamente l’ambiente scolastico, le relazioni con gli insegnanti e i propri pari.

La ricerca effettuata mira a dimostrare che se un allievo con un disturbo specifico dell’apprendimento aumenta la propria autostima, aumenta anche la sua inclusione all’interno del gruppo classe. Essa si è svolta nell’ambito dell’Educazione Musicale, con un percorso di sette unità didattiche sull’improvvisazione ritmica e melodica, con lo scopo di sviluppare la competenza trasversale del pensiero creativo. I dati raccolti attraverso l’osservazione, i questionari in entrata e in uscita e i diari di bordo hanno confermato che l’autostima dei tre allievi con disturbi specifici dell’apprendimento presi in esame è aumentata, e di conseguenza è migliorato anche il grado di inclusione all’interno del gruppo classe.

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Indice

Abstract ... 5 1 Introduzione ... 1 2 Domanda di ricerca ... 2 3 Inclusione ... 3 3.1 Che cos’è l’inclusione ... 3 3.2 Una scuola inclusiva ... 3 3.3 Importanza dell’inclusione e riferimenti teorici ... 4 3.4 Il gruppo classe ... 6 3.5 Il ruolo del docente ... 8 4 Difficoltà di apprendimento ... 10 4.1 Che cosa sono i disturbi di apprendimento ... 10 4.2 La dislessia ... 10 4.2.1 Definizione ... 10 4.2.2 L’accoglienza degli allievi dislessici ... 10 4.2.3 Caratteristiche della dislessia ... 11 4.2.4 La dislessia è un dono? ... 12 4.3 Distraibilità e disattenzione ... 13 4.3.1 Caratteristiche ... 13 4.3.2 Strategie generali ... 13 5 Autostima ... 14 5.1 Definizione ... 14 5.2 Perché l’autostima è fondamentale per l’apprendimento? ... 14 5.3 Componenti dell’autostima ... 15 5.4 L’immagine di sé ... 16 6 Analisi del contesto ... 18 7 Metodologia ricerca ... 20 7.1 Tipo di ricerca ... 20 7.2 Campioni presi in esame ... 21 7.2.1 Campione di riferimento ... 21 7.2.2 Campione di controllo ... 21 7.3 Modalità di raccolta dei dati ... 22 7.3.1 L’osservazione ... 22 7.3.2 Il questionario ... 23 7.3.3 Il diario di bordo degli allievi ... 23 7.3.4 Il diario di bordo dell’insegnante ... 24 8 Sperimentazione ... 25 8.1 Schema del percorso pedagogico didattico ... 25 8.2 Descrizione dell’itinerario didattico ... 25 9 Risultati ottenuti ... 31 9.1 Analisi dei dati tratti dai questionari ... 31 9.2 Analisi dei dati tratti dai diari di bordo ... 36 9.3 Interpretazione dei dati ... 37 10 Conclusioni ... 41 10.1 Limite della ricerca ... 42 10.2 Sviluppi futuri ... 43 11 Bibliografia ... 44 11.1 Libri ... 44 11.2 Periodici e giornali ... 45 11.3 Materiali didattici ... 45 11.4 Sitografia ... 45 11.5 Formatori e corsi ... 46

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Indice Figure e Tabelle

Tabella 1: Sesso ed età del campione di riferimento ... 21 Tabella 2: Sesso ed età del campione di controllo ... 22 Figura 1: Schema del percorso pedagogico didattico ... 25 Figura 2: L’evoluzione dell’autostima del campione di riferimento ... 31 Figura 3: L’evoluzione dell’autostima del campione di controllo ... 32 Figura 4: L’evoluzione dell’inclusione del campione di riferimento secondo il questionario “Come mi sento con i compagni” ... 33 Figura 6: Livello di inclusione del campione di riferimento e del campione di controllo all’inizio della sperimentazione ... 35 Figura 7: Livello di inclusione del campione di riferimento e del campione di controllo all’inizio della sperimentazione ... 35 Tabella 3: Allievo n. 1: ASTER ... 36 Tabella 4: Allievo n. 2: IRENE ... 36 Tabella 5: Allievo n. 3: GIULIA L. ... 37

Indice Allegati

Allegato n. 1: Format della Situazione problema...47 Allegato n. 2: Schema delle lezioni effettuate………...52 Allegato n. 3: Questionario proposto alla classe in entrata e uscita………...65 Allegato n. 4: Dati raccolti dal questionario in entrata ……….68 Allegato n. 5: Attività “Composizione di melodie” (Fase di allenamento n.1) ………....71 Allegato n. 6: Scheda di valutazione tra pari e di autovalutazione (Fase di allenamento n.2)...75 Allegato n. 7: Brano ritmico “Rhumba” (Fase di allenamento n.3)...79 Allegato n. 8: Canto “Every morning” (Fase di allenamento n.4)...83 Allegato n. 9: Scheda di autovalutazione (Fase di allenamento n.4)...84 Allegato n. 10: Attività “I Quadri di un’esposizione” di Mussorsgkij (Fase di allenamento n.5)...88 Allegato n. 11: Attività “I Contrasti” (Fase di allenamento n.6)...92 Allegato n. 12: Quadri proposti agli allievi (Fase di realizzazione)...95 Allegato n. 13: Partiture non convenzionali prodotte dagli allievi per i quadri scelti (Fase di realizzazione)..96 Allegato n. 14: Schede di valutazione tra pari del campione di riferimento (Fase di realizzazione)... 101 Allegato n. 15 Dati raccolti dal questionario in uscita...110 Allegato n. 16: Il mio diario di bordo...113

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1 Introduzione

Uno degli snodi fondamentali del nuovo Piano di Studio (2015) è l’inclusione degli allievi: ogni ragazzo ha il diritto di trovare il giusto spazio all’interno del gruppo classe e sentirsi parte di esso e deve poter partecipare secondo le sue qualità e risorse; è importante, inoltre, che egli si senta valorizzato nei suoi punti di forza e venga aiutato ad accettare le sue debolezze. L’insegnante deve quindi promuovere una didattica e delle possibilità di apprendimento per tutti, senza escludere nessuno. Ciò richiede da parte del docente flessibilità, ascolto attento, valorizzazione e responsabilizzazione dei ragazzi e lo sviluppo della motivazione degli allievi. L’insegnante deve saper educare e non solo trasmettere nozioni!

L’inclusione degli allievi diventa una premessa fondamentale per avere successo a scuola. Spesso, infatti, gli allievi che faticano ad essere integrati e inclusi nella realtà del gruppo classe hanno una bassa autostima che li porta ad isolarsi e a costruirsi un mondo tutto loro; i problemi possono essere molteplici: disturbi specifici dell’apprendimento, problemi personali e familiari, …

Durante la pratica professionale del primo anno, svolta alle Scuole Medie di Stabio, ho avuto la fortuna di lavorare con una classe di prima media. Alcuni di questi allievi mi hanno colpito subito per la mancanza di stima in sé stessi e per l’assenza di consapevolezza dei loro punti di forza. Avendo avuto l’occasione di svolgere la pratica professionale del secondo anno nella stessa sede, con la stessa classe, ho deciso di progettare un itinerario per il mio lavoro di diploma che aiutasse alcuni di questi ragazzi a credere maggiormente in sé stessi. Nella mia esperienza di insegnante, infatti, le difficoltà legate ad autostima e disturbi specifici dell’apprendimento mi hanno sempre affascinata ed è un tema che ha sempre riscosso in me molta curiosità.

Lo scopo di questa ricerca è stato verificare se ci fosse una relazione tra autostima e inclusione: ho cercato di dimostrare che se si aumenta l’autostima dei ragazzi aumenta anche la loro inclusione all’interno del gruppo classe. Per fare ciò mi sono concentrata su tre ragazzi in particolare, con disturbi specifici dell’apprendimento.

La situazione problema che ho ideato per questa classe di Seconda Media è la creazione di un brano musicale, con strumenti a percussione ritmici e melodici, per rappresentare un dipinto a loro scelta. Il quadro doveva inoltre rappresentare i sentimenti degli allievi. Essa si è svolta in sette unità didattiche, con una condivisione di senso iniziale, sei fasi di allenamento, e un’ultima fase di realizzazione e riflessione finale.

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2 Domanda di ricerca

Le domande di ricerca che mi hanno stimolato a progettare questo itinerario sono state le seguenti: - Grazie ad un itinerario basato sul pensiero creativo, durante le lezioni di Educazione

Musicale, gli allievi di una classe di seconda media con disturbi specifici dell’apprendimento, possono migliorare la loro autostima?

- Aumentando l’autostima degli allievi migliora anche la loro inclusione all’interno del gruppo classe?

Le ipotesi di ricerca che si sono delineate durante la stesura del lavoro sono state, invece, le seguenti:

- Lo sviluppo della competenza trasversale del pensiero creativo permette l’aumento della stima in sé stessi.

- Lavorare ad un progetto sull’improvvisazione consente agli allievi di assumersi responsabilità e a diventare protagonisti del proprio apprendimento.

- Il lavoro a gruppi favorisce un aumento dell’inclusione.

- La diversificazione delle strategie didattiche permette una maggiore consapevolezza in sé stessi, nei propri mezzi e nelle proprie risorse.

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3 Inclusione

3.1 Che cos’è l’inclusione

L’inclusione, come sostiene Canevaro1, è “una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di

fornire una cornice dentro cui gli alunni, a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale, possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola” (Dignola, 2016).

3.2 Una scuola inclusiva

L’inclusione è un tema importante ormai da diversi anni. Già negli anni ’70 si presentava il concetto dell’equità e dell’imparzialità del sistema scolastico (Scuola ticinese verso l’inclusione, 2014). Don Milani, in “Lettera a una professoressa”, scriveva che “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” (Scuola ticinese verso l’inclusione, 2014, p.42).

Una scuola che include è infatti una scuola che progetta e pensa tenendo conto delle esigenze e dei bisogni di ciascun allievo. “Una scuola che”, come dice Canevaro, “non si deve sempre muovere nella condizione di emergenza, in risposta cioè al bisogno di un alunno con delle specificità che si differenziano da quelle della maggioranza degli alunni ‘normali’ della scuola” (Dignola, 2016). Emanuele Berger2 afferma che la scuola di tipo inclusivo deve sapersi adattare, “affinché sia possibile un funzionamento fluido e armonioso, che accolga tutte le diversità, dagli allievi più deboli a quelli più talentuosi, facendo in modo che ognuno possa trovare delle risposte ai propri bisogni” (Scuola ticinese verso l’inclusione, 2014, p.4).

Dalla letteratura sulla tematica dell’inclusione si evince che le tre parole chiave dell’inclusione sono: rispetto, partecipazione e convivenza. L’allievo si deve quindi sentire riconosciuto, sostenuto e valorizzato, per poter sviluppare pienamente la propria personalità. In tutto questo il docente assume un ruolo di facilitatore per l’apprendimento e aiuta gli allievi nel percorso di crescita nella costruzione attiva della loro conoscenza (Dignola, 2016).

Una scuola inclusiva stimola quindi il dibattito, incoraggia gli atteggiamenti positivi e garantisce una formazione e un apprendimento reale a tutti, alfine di sviluppare le potenzialità di ciascun allievo, perché “il successo scolastico non può più essere garantito solo ad una parte degli allievi”

1 Andrea Canevaro: è nato a Genova il 19 settembre 1939; è un pedagogista ed un editore italiano, attento e sostenitore

dell’inclusione sociale. È ritenuto il fondatore della pedagogia speciale e della disabilità in Italia.

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(Scuola ticinese verso l’inclusione, 2014, p.46).

Un aspetto fondamentale di questo nuovo tipo di scuola non è quello di offrire una scuola uguale per tutti, ma differenziare le procedure e i processi d’apprendimento e di insegnamento, mettendo a disposizione materiali, percorsi e tempi diversi in base alle potenzialità, alle necessità e alle caratteristiche di ogni allievo. Bisogna quindi valorizzare e potenziare le differenze degli allievi per favorire il loro apprendimento e la loro riuscita scolastica.

3.3 Importanza dell’inclusione e riferimenti teorici

L’inclusione è un tema divenuto molto importante nel sistema scolastico: esso è infatti un aspetto chiave anche nel Nuovo Piano di Studi. Leggiamo infatti in esso che “la scuola promuove, in collaborazione con la famiglia e con altre istituzioni educative, lo sviluppo armonico di persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare sempre più le istanze di giustizia e di libertà” (Piano di Studio dell’obbligo della scuola ticinese, 2015, p.15) e “la scuola pubblica assume compiti di educazione e trasmissione dei valori sociali” riguardanti “l’integrazione nella presa a carico delle differenze” (Piano di Studio dell’obbligo della scuola ticinese, 2015, p.17).

Come riportato sopra, una delle parole chiave dell’inclusione, “partecipazione”, è un fondamento della pedagogia sociale. Come sostiene Janusz Korczac3 nel libro “Come amare il bambino”, si

chiede ai bambini di partecipare perché è un loro diritto, perché essi sono delle persone fin dalla nascita, perché i bambini hanno molta competenza nell’ambito educativo e perché viene sviluppata la loro autonomia e la loro capacità di decidere, attraverso i processi dell’apprendimento (1996). Un altro grande filosofo, sostenitore dell’inclusione, è Axel Honneth (1990)4. Egli sostiene infatti che l’integrità e la dignità di una persona derivano dall’approvazione, dalla stima e dall’attenzione attribuita dagli altri. Se ciò manca, e quindi, se a dominare sono le offese e il disprezzo, onestà e rispettabilità risultano ferite e lo sviluppo sano della persona è danneggiato (Dignola, 2016).

Honneth riconosce diverse forme di abuso, che possono disorientare e turbare il rapporto che una persona ha con sé stesso, sino a privarla della sua identità: il maltrattamento fisico; l’esclusione da alcuni diritti all’interno della società; la svalutazione di “stili di vita” individuali o collettivi (Dignola, 2016).

Esaminando tali esperienze negative, Honneth ricava tre rapporti di riconoscimento che possono

3 Janusz Korczac: fu un poeta e un medico; nacque a Varsavia nel 1878 e morì a Treblinka nel 1942. Dedicò la sua vita

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aiutare a tutelare le persone dall’offesa e dall’umiliazione (Dignola, 2016): - “La fiducia in sé stessi come prodotto del riconoscimento nella relazione”. - “Il rispetto di sé come prodotto implicito nella relazione giuridica”

- “L’autostima come prodotto implicito del riconoscimento in una relazione improntata sulla solidarietà”.

Questi concetti furono ripresi e inseriti nel contesto scolastico dalla pedagogista Annedore Prengel5, che sosteneva che dovrebbe sempre sussistere il riconoscimento sociale dell’educazione per tutti. Alla base della pedagogia della diversità c’è l’idea di accogliere la disuguaglianza degli allievi, perché ognuno è unico e speciale; Prengel riconosce nella diversità una risorsa e non un problema. L’elemento fondamentale di una scuola che promuove la differenza è l’accoglienza dell’individualità e l’apertura verso l’eterogeneità (Prengel, 2006). Infatti, nel suo libro “Pädagogik der Vielfalt” elaborò 17 concetti, con l’intento di incoraggiare e favorire la partecipazione di tutti nell’educazione e quindi nelle istituzioni che la promuovono (2006).

Riporterò qui di seguito i principali concetti (Prengel, 2006):

- “Il rispetto per sé stessi, l’approvazione e il riconoscimento degli altri”: è importante trovare dapprima il riconoscimento in sé stessi, prima che negli altri; ciò richiede un’attenta riflessione con e su sé stessi.

- “Imparare a conoscere gli altri”: per avere successo è importante conoscersi e conoscere chi ci sta a fianco; è importante che in classe ci sia dello spazio in cui i bambini possano frequentarsi, nel senso proprio di migliorare la conoscenza reciproca.

- “L’evoluzione, lo sviluppo attraverso la diversità”: ogni alunno può portare i propri punti di forza nel processo di apprendimento; ciò sviluppa delle relazioni positive tra persone differenti.

- “L’attenzione per la storia individuale e per quella collettiva”: gli allievi colgono gli sviluppi sociali a partire dal proprio sviluppo personale.

- “Il rispetto di sé e degli altri nel ruolo di docente”: tra i docenti esiste la stessa diversità che tra gli allievi; è importante riconoscere i punti di forza in ciascun collega.

Per Andrea Canevaro un indicatore dell’inclusione è la partecipazione. Egli sostiene che il termine inclusività porta la scuola a cambiare i suoi principi, favorendo una didattica inclusiva invece che

5 Prengel Annedore: è nata nel 1955 a Beelitz ed è un’insegnante universitario e un’educatrice tedesca. Si dedica a temi

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una integrativa. Egli infatti propone di “… rendere partecipi tutti gli alunni, attraverso l’assegnazione di un ruolo ben preciso a ciascun componente della classe con la finalità di rendere tutti complessivamente autonomi nei processi di apprendimento e di favorire appieno il diritto dell’apprendimento” (Dignola, 2016). Prosegue poi dicendo che in questo modo i docenti riconoscono i bisogni di ogni allievo, prestando un’attenzione maggiore ai ragazzi che hanno delle esigenze particolari.

3.4 Il gruppo classe

La scuola deve essere uno spazio in cui si condividono esperienze, risorse, competenze, emozioni, interessi, averi, passioni, bisogni, desideri ma anche fallimenti, ingiustizie e frustrazioni; un posto dove ogni allievo può coltivare i propri talenti, può contribuire a valorizzare i punti forti dei compagni, costruirsi la propria personalità e collaborare al benessere e all’arricchimento del gruppo classe (Polito, 2000).

Gli allievi sono infatti delle persone, che devono costruirsi il proprio sapere, la propria personalità e non devono semplicemente “subire” delle nozioni scolastiche impartite dall’insegnante.

Mario Polito6 afferma che “il gruppo classe è una risorsa educativa e didattica che finora è stata

troppo trascurata” (2000, p.9). Il gruppo classe costituisce infatti un mezzo educativo e didattico dove ogni allievo può raccogliere e prendere il sostegno che gli serve per autorealizzarsi. Il senso di gruppo si forma quando tutti i vari componenti si impegnano a raggiungere il benessere e l’autorealizzazione di ciascun membro, e favoriscono scambi di relazioni personali. Ciò che contribuisce a creare il gruppo classe è la conoscenza, l’accoglienza e la valorizzazione reciproca (Polito, 2000).

Molti studi hanno affermato che “il gruppo possiede una notevole capacità di influenzare il cambiamento individuale” (Polito, 2000, p.40). Nel gruppo classe non esistono i singoli individui, ma gli allievi e i loro comportamenti vengono sempre messi in relazione con il gruppo classe. Se succede quindi un problema di disciplina o di gestione, tutto il gruppo viene coinvolto per risolverlo.

Solitamente gli allievi con difficoltà di apprendimento o di comportamento sono coloro che contribuiscono a migliorarci come insegnanti. Infatti se in classe abbiamo qualche allievo con queste caratteristiche dobbiamo cambiare, modificare, adattare le nostre strategie didattiche e le nostre metodologie, alfine di trovare una didattica che possa coinvolgere tutti (Polito, 2000).

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Polito distingue alcune “tipologie di studenti difficili:

- Gli studenti con scarso rendimento, che possiedono normali capacità, ma conseguono risultati scarsi e insoddisfacenti;

- Gli studenti demotivati, che non riescono a capire il senso esistenziale della scuola e dello studio personale;

- Gli studenti aggressivi, che con la loro ostilità, ribellione e irritabilità creano una relazione tesa, conflittuale ed esasperata con gli insegnanti e i compagni, con cui talvolta si verificano casi di sopraffazione, prevaricazione e bullismo;

- Gli studenti disadattati per scarsa autostima, timidezza e ansia” (2000, p.49).

Le cause di queste dinamiche possono essere molteplici: abbandono e rifiuto, esperienze negative a livello familiare, fallimenti scolastici, … Con questi allievi è importante predisporre un clima di classe sereno e accogliente in cui poter apprendere il rispetto di sé e degli altri e in cui poter costruire le proprie competenze; essi devono provare il desiderio di migliorarsi e di imparare (Polito, 2000).

Il clima della classe facilita infatti l’apprendimento, la socializzazione e la motivazione; quando risulta però negativo ostacola gli allievi e crea amarezze e conflitti. È quindi importante creare un clima accogliente perché “chi si sente accolto apre la mente e lascia fiorire la sua voglia di conoscere e di imparare”(Polito, 2000, p.96). Infatti se un allievo si sente accolto nel gruppo classe proverà all’istante una sensazione di benessere, e l’insegnante avrà predisposto le fondamenta per costruire l’apprendimento.

La rete di relazioni che si crea all’interno del gruppo classe va coltivata e nutrita tutti i giorni. Se ciò non viene fatto i danni che si creano possono essere molto gravi: infatti si “può guastare la stima che gli altri hanno di lui, minacciare la sua popolarità all’interno del gruppo e danneggiare le sue relazioni personali con i compagni” (Polito, 2000, p.64).

A causa di ciò, già Don Bosco7 aveva deciso di inaugurare la regola pedagogica di “lodare in pubblico e rimproverare in privato” (Polito, 2000, p.64). Così facendo si proteggeva l’autostima degli allievi e la stima che gli altri avevano di lui (Polito, 2000).

Succede spesso che dei ragazzi non vengano mai elogiati; questi studenti sono spesso esclusi o assenti nel gruppo classe. Polito afferma infatti che “è la costruzione della rete sociale di

7 Don Bosco: il suo nome completo è Giovanni Melchiorre Bosco; è nato a Castelnuovo d’Asti nel 1815 ed è morto a

Torino nel 1888. Fu un pedagogo italiano e un presbitero; ha fondato diverse congregazioni, quali quella dei Salesiani e quella delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

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valorizzazione reciproca che dà consistenza a questi ragazzi. Purtroppo non sono valorizzati dagli insegnanti e di conseguenza non riescono ad essere presenti nel gruppo” (Polito, 2000 p.67). È quindi molto importante che l’insegnante crei delle situazioni di gruppo dove ciascuno possa sentirsi a suo agio e possa esprimere le proprie risorse, perché “ogni persona è un tesoro di potenzialità da accogliere, esplorare e coltivare” (Polito, 2000, p.68).

L’opinione che ogni persona ha di sé è formata anche da come gli altri si comportano nei suoi confronti. Infatti se intuisce che le persone agiscono in modo ostile, inizierà a valutarsi in modo negativo. Al contrario se chi lo circonda si comporta in modo positivo, si considererà positivamente (Polito, 2000). “L’accoglienza ha quindi una grande importanza nella costruzione del proprio senso di identità e del proprio valore” (Polito, 2000, p.99).

3.5 Il ruolo del docente

L’insegnante, nella nuova visione della scuola, in un certo senso assume come il ruolo di educatore in un senso più generale: egli è infatti chiamato a prestare attenzione alla formazione cognitiva e all’autorealizzazione di ogni allievo (Polito, 2000). Deve inoltre (Polito, 2000):

- Formare gli allievi a diventare veri cittadini servendosi di metodologie e strategie didattiche. - Riuscire a rapportarsi con le nuove generazioni.

- Comunicare con gli allievi e partecipare alla loro crescita e formazione. - Prestare attenzione e favorire le reti di relazioni che si creano in classe.

È importante che l’insegnante impieghi sufficiente tempo per conoscere le competenze e le abilità di ogni allievo, “per intrecciare lo svolgimento del programma con le mappe cognitive personali e con le risorse del gruppo” (Polito, 2000, p.37).

Ogni programmazione deve infatti tener conto delle componenti motivazionali e cognitive degli allievi (Polito, 2000).

L’insegnante che valorizza il gruppo classe e le sue risorse è aperto a continui cambiamenti, a rinnovare la sua didattica, accogliendo i suggerimenti proposti dagli allievi: egli infatti crede di poter imparare dai suoi studenti e sa di poter sempre proseguire il suo percorso di crescita sia come insegnante sia come persona (Polito, 2000).

Diventa quindi molto importante che l’insegnante sia consapevole del ruolo educativo che assume e che si dedichi alla crescita degli allievi, coltivando con loro il rapporto personale, conoscendoli in profondità, accogliendo i loro stati d’animo, dialogando con loro e ricercando soluzioni ad eventuali

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problemi.

Le parole chiave da prediligere sono quindi: rispetto, comunicazione, dialogo, affetto e interesse per la crescita e il benessere di ogni allievo (Polito, 2004). Mario Polito sostiene che una relazione pedagogica sensibile e tollerante aiuta l’allievo a autorealizzarsi e formarsi e aiuta il docente a comprendere il punto di vista dello studente ed “a guardarlo con gli occhi della speranza e dell’amore” (2004, p.46).

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4 Difficoltà di apprendimento

4.1 Che cosa sono i disturbi di apprendimento

I disturbi dell’apprendimento, in generale, costituiscono un ostacolo all’apprendimento, soprattutto per quanto riguarda la sfera comunicativa e gli aspetti formali e pratici della materia. È importante quindi che la materia coinvolga sempre attivamente l’allievo sviluppando la sua curiosità e la sua attenzione, la motivazione ad imparare e le abilità cognitive.

Le difficoltà di apprendimento possono essere molteplici: dislessia, iperattività, impulsività, disattenzione, disorganizzazione, … (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002, aprile).

Come oggetto della mia tesi mi soffermerò ad analizzare, dal punto di vista teorico, il tema della dislessia e della disattenzione e distraibilità.

4.2 La dislessia

4.2.1 Definizione

“La dislessia è un disturbo neurologico per cui il soggetto, pur essendo capace di leggere e comprendere le singole parole scritte, non riesce né a leggere né a comprendere un intero scritto”. (Enciclopedia Treccani, online)

4.2.2 L’accoglienza degli allievi dislessici

È importante che l’insegnante accolga un allievo dislessico con un atteggiamento sereno, empatico e fiducioso, affinché l’allievo dislessico si possa sentire accolto ed a suo agio. Il docente non deve infatti dimenticare che un allievo con una diagnosi di DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) attraversa anni difficili nell’accettazione del disturbo, mentre lo studente che non ha ancora la certezza della diagnosi si ritrova a lottare contro dubbi e interrogativi a cui non riesce ancora a dare una risposta (Bufano, 2013). “Bisogna che l’insegnante sia pronto a comprendere questo stato di profondo disagio, che sappia sostenere l’alunno con dolcezza e simpatia, ricordando che ha di fronte un bambino o un ragazzo che soffre” (Bufano, 2013, p.6). Se l’insegnante non riesce a predisporre un clima di classe sereno, l’allievo dislessico avrà un calo

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del rendimento, e progressivamente perderà la sua autostima e la motivazione per lo studio.

Questi allievi hanno bisogno di evidenti dimostrazioni di stima, di simpatia e di comprensione dai compagni e dagli insegnanti (Bufano, 2013).

L’insegnante dovrà dare importanza regolarmente ai successi degli allievi con continui rinforzi positivi anche “a riscontri minimi sulle competenze acquisite in relazione ai contenuti compresi” (Montanari, 2013, p.65).

4.2.3 Caratteristiche della dislessia

La dislessia è un disturbo che va certificato con appositi esami e test specifici; l’elemento fondamentale della diagnosi è “la discrepanza fra l’intelligenza del bambino e le sue prestazioni nelle abilità di letto-scrittura” (Oglethorpe, 2011, p.19).

I disturbi specifici dell’apprendimento influiscono sulle capacità cognitive, e creano agli allievi parecchie difficoltà primarie, quali (Bufano, 2013):

- Problemi visivi: la funzione binoculare non è perfetta; “ciò accade perché i due occhi non convergono sull’obiettivo nello stesso momento, o almeno vi convergono a tratti, provocando diversi problemi di non lieve entità, che condizionano notevolmente molti aspetti della quotidianità del ragazzo” (Bufano, 2013, p.7), ad esempio la sensazione che una parola o una nota si sposti da sinistra a destra e viceversa, la difficoltà a tenere una direzione costante, la lentezza nel mettere a fuoco, la complessità nel distinguere le diversità e le affinità.

- Problemi uditivi: essi sono causati dall’intensità e dalla velocità diversa con la quale le orecchie riconoscono i suoni e rumori. “Questi disturbi non consentono una buona coordinazione uditiva e sono responsabili della lentezza con la quale alcuni dislessici elaborano gli stimoli sonori” (Bufano, 2013, p.10), ad esempio la difficoltà nel riconoscere le rime di una lirica poetica e la ripetizione di frammenti melodici.

- Problemi spaziali: quali la confusione tra destra e sinistra, confusione sulla terminologia “su e giù” ed “alto e basso”.

- Disprassia: cioè la disorganizzazione del movimento, es. la difficoltà di coordinare le mani e la difficoltà di decifrare e leggere uno spartito.

- Scarsa memoria a breve termine: è un sintomo che ha effetti rilevanti perché costringe gli allievi dislessici a ripetere molte volte le cose, fino a quando l’apprendimento non passa

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nella memoria a lungo termine.

La dislessia fa però emergere anche altri sintomi secondari, quali (Bufano, 2013): - Scarsa autostima

- Frustrazione - Ansietà

- Problemi familiari

- Scarsa capacità di concentrarsi - Scarsa abilità di ricopiare

- Discontinuità nell’apprendimento e nello studio - Inadeguatezza a pianificare la propria vita

- Stanchezza dovuta ai problemi visivi, uditivi e all’insufficienza memoria e breve termine. La mancanza di autostima e di fiducia dell’allievo dislessico in sé stesso minaccia il suo benessere psico-fisico. L’insegnante si deve sentire in sintonia con l’allievo dislessico, e portarlo a gioire dei piccoli progressi. Infatti “è la somma di piccoli traguardi che giorno dopo giorno contribuisce ad accrescere la sua autostima, così importante per il suo sviluppo” (Oglethorpe, 2011, p.37).

L’allievo dislessico ha, infatti, “un rapporto difficile con tutto ciò che lo circonda” (Bufano, 2013, p.14), a causa della percezione di sé e del proprio corpo che lo stanca e lo destabilizza, delle difficoltà di cogliere le spiegazioni dell’insegnante e di comprendere tutte le attività e relazioni all’interno del gruppo classe.

4.2.4 La dislessia è un dono?

“Alcuni esperti di dislessia sostengono che personaggi come Steve Jobs, Albert Einstein, Leonardo Da Vinci, oppure Francesco Facchinetti, Cher, Tom Cruise sono arrivati al successo non ‘malgrado’ la dislessia, ma ‘proprio’ perché erano dislessici” (Bufano, 2013, p.13).

Gli allievi dislessici presentano molto spesso grandi competenze nell’inventiva, nella creatività e nelle materie artistiche. Quando non riescono a esprimere la loro fantasia molto spesso la causa è da ricercare nell’ansia da prestazione e nella non serenità e non fiducia che provano in sé stessi. Infatti “la fiducia è indispensabile a un percorso animato dall’energia dell’entusiasmo creativo” (Montanari, 2013, p.96).

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Proprio a causa dei grandi aiuti che necessitano ogni giorno, questa tipologia di allievi presenta una grandissima umanità, che si manifesta nella generosità e nell’aiuto verso il prossimo (Bufano, 2013).

Gli allievi dislessici sono inoltre capaci di “mettere in atto strategie compensative” (Oglethorpe, 2011, p.11); essi infatti riescono sempre a trovare una loro personale intuizione per risolvere un problema.

4.3 Distraibilità e disattenzione

4.3.1 Caratteristiche

Il deficit di attenzione si manifesta quando gli allievi si lasciano distrarre e condizionare dagli stimoli esterni ed estranei. Spesso i ragazzi appaiono svogliati, non prestano attenzione, non ascoltano e compiono molti errori di disattenzione. Stare attenti e concentrarsi è infatti un processo che racchiude molteplici componenti: si chiede all’allievo di distinguere un oggetto e di concentrarsi su quest’ultimo, di mantenere l’attenzione il tempo necessario e di non prendere in considerazione le distrazioni (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002).

Il disturbo dell’attenzione ostacola una di queste fasi e l’allievo, attratto da stimoli inattesi o nuovi, sembra così assorto nelle sue fantasie e nei suoi pensieri.

4.3.2 Strategie generali

Le strategie proposte dalla letteratura fanno riferimento soprattutto alla motivazione: somministrare quindi agli allievi compiti vari, interessanti e vicini al contesto della loro vita reale. L’aspetto affascinante dell’attività dovrebbe prevenire qualsiasi distrazione e mantenere la concentrazione dell’allievo convogliata nell’esercizio (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002).

Il compito dell’insegnante è quindi rendere la sua didattica stimolante e interessante per ogni allievo, basando le sue attività sull’uso della creatività e della fantasia.

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5 Autostima

5.1 Definizione

“L’autostima è la considerazione che un individuo ha di sé stesso. L’autovalutazione che è alla base dell’autostima può manifestarsi come sopravvalutazione o come sottovalutazione a seconda della considerazione che ciascuno può avere di sé, rispetto agli altri o alla situazione in cui si trova”.

(Enciclopedie Treccani online).

“L’autostima è sentire di essere adeguati alla vita e alle sue richieste. È la fiducia nelle nostre capacità di pensare e di superare le sfide fondamentali della vita.” (Branden, 2004, p.20)

5.2 Perché l’autostima è fondamentale per l’apprendimento?

L’autostima è l’apprezzamento e la stima che una persona ha di sé stesso, e ha l’importante funzione di condizionare lo stato di benessere di una persona. Essa è infatti un elemento fondamentale di ciascuno di noi, e può influenzare il funzionamento generale e la personalità di ciascun individuo (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002). L’anima dell’autostima è essere consapevoli di poter ottenere la felicità e aver fiducia nella propria mente (Branden, 2004).

“L’autostima è legata al sentirsi degni d’amore e al sentirsi capaci” (Plummer, 2002, p.13). È infatti un elemento fondamentale per la costruzione e il mantenimento del benessere emotivo e sociale e quindi anche per l’apprendimento. Mauro Montanari8 sostiene che è importante che “l’insegnante comunicherà la sua soddisfazione agli allievi essendo contento per loro e non di loro” (Montanari, 2013, p.96), dando rilievo quindi alla responsabilità degli allievi, alla loro autonomia e all’utilità di usare nella vita ciò che imparano.

Inoltre è importante sottolineare che l’autostima non è ritenuta come un’unica qualità, ma è la somma di tutte le varie valutazioni che ognuno da di sé stesso in diversi ambiti e situazioni (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002).

Le considerazioni e le sicurezze che ogni persona ha di sé stesso influenzano le sue performance,

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smentendo a volte le reali potenzialità dell’individuo. Un bambino con una elevata autostima riuscirà a usare maggiormente le sue potenzialità e instaurare relazioni positive, al contrario di un bambino che soffre di mancanza di fiducia in sé stesso. I bambini, invece, con una bassa autostima non riconoscono i loro successi, non credono nelle loro potenzialità, hanno difficoltà a fissarsi degli obiettivi e a trovare una soluzione per risolvere un problema. Alcuni di loro rinunciano facilmente e ottengono quindi risultati scolastici inferiori alle loro competenze (Plummer, 2000).

Un adeguato livello di autostima favorisce quindi “un buon funzionamento anche di fronte a eventuali ostacoli o problemi che saranno, di conseguenza, affrontati meglio riuscendo a limitarne gli effetti dannosi” (Difficoltà di apprendimento – sostegno e insegnamento individualizzato, 2002, p.484). Una buona stima di sé stessi non consente solo di sentirsi meglio, ma dà la possibilità di vivere in modo migliore (Branden, 2004).

L’autostima non nasce dal successo ma dalla fiducia che ogni persona ha in sé stesso che consente di affrontare i successi ma soprattutto i fallimenti (Plummer, 2002). Se un bambino non riesce a sviluppare un notevole senso del proprio valore, anche gli incoraggiamenti e le lodi non riusciranno a fargli dimenticare le esperienze negative precedenti. Se un allievo non crede in sé stesso non riuscirà a vivere in modo stimolante gli ostacoli manifestati durante l’apprendimento. Quando incontra infatti delle difficoltà è importante che li affronti in modo sereno, attivo, aumentando anzi l’impegno, senza perdere la motivazione e l’interesse.

Carl Rogers9 studiò a fondo le relazioni umane. Secondo lui se si riusciva a creare delle relazioni caratterizzate da trasparenza e genuinità dove esprimere i propri sentimenti, da considerazione e accoglienza delle persone e dalla sensibilità di osservare il mondo e le persone con punti di vista diversi, allora le altre persone coinvolte nelle relazioni si sentiranno capite e integrate, saranno più autonome e sicure di sé stesse, diventeranno più comprensive e abili nell’esprimere sé stessi e saranno capaci di affrontare più serenamente le difficoltà della vita (Plummer, 2002).

5.3 Componenti dell’autostima

Lo sviluppo dell’autostima è strettamente connesso alle esperienze che un bambino ha fatto nella sua vita.

L’autostima è composta da due fattori strettamente legati: il senso di efficacia, e il rispetto di sé. Il senso di efficacia indica fiducia nella propria mente, nei propri pensieri, nelle proprie decisioni e dimostra una buona fiducia in sé stessi. Il rispetto di sé, invece, si rivela nel saper sostenere le

9 Carl Rogers: è nato nel 1902 a Oak Park ed è morto nel 1987 a La Jolla; fu uno psicologo statunitense e fu considerato

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proprie decisioni, i propri desideri e le proprie necessità e nel riconoscere il proprio valore. Essi sono due componenti fondamentali per un’autostima sana: se ne manca anche solo, l’autostima è compromessa (Branden, 2004).

Deborah Plummer riconosce sette elementi principali che possono contribuiscono a incrementare la propria autostima (Plummer, 2002):

- La conoscenza di sé stessi, nel sviluppare una sicurezza che porti ad avere maggiore fiducia in sé stessi e nel comprendere le differenze e le somiglianze con altre persone.

- La conoscenza di sé stessi e gli altri, nel conoscere e capire le relazioni interpersonali con le altre persone, quali: la collaborazione, la comunicazione il rispetto per idee divergenti rispetto la propria, la comprensione e la consapevolezza delle proprie emozioni e come esprimerle.

- L’accettazione di sé stessi, nell’essere consapevoli delle proprie potenzialità e delle difficoltà e insicurezze nelle quali si può migliorare.

- L’autonomia, nel saper valutare la propria indipendenza e motivazione ed essere capaci di autoregolarsi.

- L’espressione di sé stessi, nel comprendere le relazioni della comunicazione con altre persone (linguaggio, postura, tono della voce, …) e nel sviluppare la fantasia e la creatività per esprimere sé stessi.

- La fiducia in sé stessi, nell’essere consapevoli che le proprie opinioni, i propri pensieri e le proprie azioni hanno un valore importante e nello sviluppare una fiducia nei propri mezzi e nelle proprie abilità.

- La consapevolezza di sé stessi, nell’essere fiducioso in sé stesso per poter sviluppare strategie che permettono di sostenere imprevisti e situazioni difficili, e nel riconoscere le proprie abilità.

5.4 L’immagine di sé

Durante il periodo dell’adolescenza i ragazzi si studiano e si guardano attentamente nel loro intimo, producendo pensieri e riflessioni diverse rispetto l’infanzia. In questo periodo dove domina l’indecisione e la confusione, gli adolescenti paragonano le proprie sensazioni e le proprie conoscenze con quelle dei compagni, con le aspettative dei genitori e degli insegnanti (Rivista SSP, 1993, settembre).

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Susan Harter ha teorizzato il modello della “motivazione di competenza” (Rivista SSP, 1993, settembre):

“Se il soggetto ottiene rinforzi positivi, interiorizza un sistema di autogratificazione che gli consente di incrementare autonomamente i suoi tentativi di padronanza e di far propri gli obiettivi degli agenti di socializzazione che lo premiano o lo puniscono. Col procedere di questo processo di interiorizzazione la dipendenza dal rinforzo sociale esterno diminuisce e la motivazione di competenza aumenta grazie alla percezione della propria competenza e del proprio controllo sull’ambiente, tale spinta propulsiva diminuisce invece se i tentativi del bambino di padroneggiare l’ambiente vengono frustati e/o se vengono rinfornati i comportamenti di dipendenza dagli adulti, la storia personale dei rinforzi, quindi, ha risvolti non solo per il complessivo orientamento motivazionale, ma anche per la percezione della propria competenza” (L. Pedrabissi e M. Santinello, il “Self-perception Profile for Children” di Susan Harter. La diagnosi della motivazione e della percezione della propria competenza negli alunni della scuola dell’obbligo, Psicologia e scuola, 61, 1992, p-3-12).

A dipendenza quindi delle circostanze e delle condizioni con i quali l’allievo si confronta, esso svilupperà una parte precisa dell’immagine di sé stesso e della stima che ha nelle proprie capacità. Susan Harter ha anche creato uno strumento per misurare l’immagine di sé nei diversi ambiti: scolastico, sociale, dell’apparenza, delle capacità fisiche, della condotta e del valore proprio (Rivista SSP, 1993, settembre).

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6 Analisi del contesto

La classe a cui si rivolge il mio progetto è una seconda media, e in particolare la Seconda A delle Scuole Medie di Stabio. È una sezione formata da 20 allievi, 8 femmine e 12 maschi. È una classe che conosco molto bene, perché ho la fortuna di poter seguire questi allievi dallo scorso anno, durante la pratica professionale del primo anno.

La classe si presenta molto eterogenea:

- Alcuni allievi sono molto chiacchieroni, ma motivati nell’apprendere - Altri più vivaci, creativi e partecipi

- Altri ancora passivi, apatici e pigri nella partecipazione; essi vanno continuamente sollecitati e stimolati

- Altri alunni sono invece più svogliati nell’attenzione; infatti si distraggono per qualsiasi intervento o rumore inusuale

- Altri ancora più rumorosi e agitati.

È una classe molto interessata alla disciplina dell’Educazione Musicale e sono, in generale, ben disposti al lavoro. Solitamente agli allievi piace molto lavorare in piccoli gruppi e sono molto produttivi e creativi in quello che fanno.

In questa classe sono in particolare presenti tre ragazzi su cui si concentrerà il mio itinerario didattico: Giulia, Irene e Aster.

Giulia e Irene sono due ragazze molto serie e volenterose, con diagnosi di dislessia. Anche se in loro si rivela lo stesso disturbo di apprendimento, in realtà, sono molto diverse:

- Irene ha accettato il “suo problema” e cerca di trovare in esso la propria risorsa e il proprio punto di forza. È una ragazza che non si lascia abbattere dalle critiche e dagli errori e cerca di trovare sempre una soluzione ai suoi problemi, aiutata anche dalle compagne. Si mostra al resto del gruppo classe forte, ma in realtà è una ragazza molto sensibile e fragile. Nonostante tutto, la stima che ha di sé stessa non è alta e si nota che sta cercando di crearsi la propria personalità.

- Giulia, invece, ha rifiutato la diagnosi di dislessia, continuando a sostenere che le sue difficoltà sono da imputare a difficoltà scolastiche. Di conseguenza, rifiuta tutti gli aiuti che le vengono offerti, facendo così il doppio della fatica e impiegando molto sforzo e impegno. È una ragazza molto fragile e debole: nei confronti di sé stessa, della scuola e della vita, in

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generale, appare insicura, dubbiosa e sfiduciata; è, inoltre, più restia a chiedere aiuto alle compagne e al docente.

Entrambe le ragazze non frequentano il servizio di sostegno pedagogico, per motivi diversi, e non esiste quindi un Progetto Educativo Personalizzato per loro.

Aster è, invece, un ragazzo che tende ad isolarsi dal gruppo classe, a non lasciarsi coinvolgere nelle discussioni e nelle attività; il suo isolamento l’ho attribuito ad una scarsa fiducia in sé stesso che lo porta a non relazionarsi con i compagni. Tende infatti a perseguire la sua strada senza cercare confronti con nessuno, ma nel contempo appare molto insicuro nell’esporre poi soluzioni e prodotti finali in ambito di discussioni o attività pratiche. Il suo tono di voce è sempre sussurrato e anche il suo linguaggio non verbale manifesta un atteggiamento di chiusura (braccia serrate, sguardo vacuo, …). Egli si lascia distrarre spesso da qualsiasi rumore o intervento esterno e spesso mi sembra che soffra di disturbi dell’attenzione. Fatica anche a mantenere la concentrazione sullo stesso compito per più tempo e a convogliare tutte le sue energie in un determinato compito. È difficile riuscire a coinvolgere Aster nelle attività, ma spesso, sollecitandolo non poco, sono riuscita a farlo collaborare e intervenire abbastanza attivamente.

In generale la classe sta vivendo un momento di ribellione nei confronti di Aster. Lo scorso anno scolastico hanno instaurato con lui un rapporto di solidarietà, cercando di spronarlo, di aiutarlo e di sostenerlo nei suoi momenti di difficoltà. Purtroppo Aster non ha saputo o non è riuscito a cogliere l’aiuto fornito dai suoi compagni, e quest’anno la classe è “scoppiata” e inizia a ribellarsi nei suoi confronti. Infatti, Aster continua secondo la sua “linea” mantenendo sempre i suoi atteggiamenti passivi, e partecipando solamente saltuariamente alle attività di classe e di gruppo.

Attualmente questa classe fatica a comunicare e ad esprimere i propri sentimenti; gli allievi preferiscono tenere le proprie emozioni per sé stessi, senza condividerle con gli altri compagni o i docenti; è per questo che, per spronarli e per cercare di risolvere le problematiche riguardanti l’inclusione e l’autostima di Giulia, Irene e Aster, ho pensato di proporre questo itinerario didattico, che spiegherò qui di seguito.

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7 Metodologia ricerca

7.1 Tipo di ricerca

In ambito educativo, solitamente, le ricerche scientifiche hanno lo scopo di trovare soluzioni efficaci per favorire il benessere degli allievi.

Il tipo di ricerca che ho effettuato è di tipo empirico, basato cioè sull’osservazione e sulla raccolta diretta dei dati. L’osservazione vista come tecnica di rilevazione dei dati aspira a “descrivere oggetti e contesti, spiegare fattori sulla base di altri fattori, comprendere le - buone ragioni - alla base dell’agire dei soggetti” (Addimando-Rocca, 2016).

La finalità della mia indagine è quella di cercare di comprendere e cogliere alcuni elementi, affinché io possa prendere delle decisioni in ambito educativo mirate a favorire il benessere degli allievi.

Per la parte sperimentale del mio lavoro di diploma ho scelto un tipo di ricerca, chiamato anche “ricerca-azione”, in cui gli allievi diventano i protagonisti della ricerca e con i quali si stabilisce una relazione. Questo tipo di ricerca consente, partendo dai concetti teorici sull’inclusione e l’autostima, di ottenere delle soluzioni e delle spiegazioni chiare e precise a determinati problemi.

L’obiettivo della mia ricerca è quello di aumentare l’autostima personale di tre ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento, per favorire una loro maggiore inclusione all’interno del gruppo classe. Data l’intenzione della mia ricerca, il metodo che ho utilizzato è di tipo sia qualitativo che quantitativo. La parte qualitativa riguarda l’osservazione approfondita delle dinamiche delle relazioni fra i componenti della classe, il loro atteggiamento e il comportamento nei confronti della materia, avvenuta prima di poter progettare l’intero itinerario e l’analisi dei diari di bordo del campione di riferimento. La sezione dedicata alla raccolta dei dati, con un questionario sull’autostima e sull’inclusione, ha costituito la parte quantitativa, dove ho potuto valutare la concezione che gli allievi avevano di sé stessi all’inizio e alla fine dell’itinerario. Ciò mi ha successivamente permesso di ordinare i dati in diversi istogrammi.

Questo tipo di ricerca ha purtroppo dei limiti: essendo una ricerca empirica, i criteri su cui si basano le opinioni non rimangono sempre le stesse ma cambiano da una cultura ad un’altra e da un’epoca all’altra (Addimando-Rocca, 2016) e il “senso comune e le intuizioni valgono solo finché funzionano” (Addimando-Rocca, 2016). Inoltre il tipo di ricerca effettuato prevede sia un’analisi qualitativa che quantitativa dei dati. La parte qualitativa fa quindi riferimento al paradigma

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fenomenologico-ermeneutico; questo implica che i fatti sociali sono vincolati al contesto in cui avvengono, le variabili che condizionano il comportamento dei ragazzi sono complesse e problematiche da misurare, si indagano i comportamenti e le percezioni spontanee e non si può divulgare e generalizzare gli elementi acquisiti. La parte quantitativa riguarda invece il paradigma neopositivista; ciò comporta una verifica razionale della domanda di ricerca attraverso una quantificazione numerica che porta a spiegare i fenomeni ricercati con dei modelli statistici e la somministrazione di strumenti precisi (ad esempio i questionari) (Addimando-Rocca, 2016).

7.2 Campioni presi in esame

Alfine di poter eseguire una ricerca qualitativa ho scelto due tipi di campione: il campione di riferimento, costituito da tre ragazzi della Seconda A di Stabio con disturbi specifici dell’apprendimento e il campione di controllo, formato dall’intero gruppo classe.

La ricerca verrà effettuata paragonando il campione di riferimento a quello di controllo per avere una maggiore qualità dei dati raccolti e per poter compiere una migliore analisi.

7.2.1 Campione di riferimento

Il campione di riferimento preso per la mia tesi è composto da tre allievi: due femmine e un maschio, appartenenti alla stessa classe.

Tabella 1: Sesso ed età del campione di riferimento NOME SESSO ANNO DI NASCITA

Giulia Femmina 2005

Irene Femmina 2005

Aster Maschio 2005

7.2.2 Campione di controllo

Il campione di controllo analizzato per la mia ricerca è il rimanente gruppo classe, composto da diciassette allievi: sei femmine e undici maschi.

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Tabella 2: Sesso ed età del campione di controllo NOME SESSO ANNO DI NASCITA

Chiara Femmina 2005

Andrea Ca. Maschio 2005

Samuel Maschio 2005

Andrea Ce. Femmina 2005

Isabel Femmina 2005 Marco Maschio 2005 Dominic Maschio 2005 Sofia Femmina 2005 Alex Maschio 2005 Giulia N. Femmina 2005 Leonardo L. Maschio 2005 Melody Femmina 2005 Cristian Maschio 2005 Davide Maschio 2005 Manuel Maschio 2005 Leonardo W. Maschio 2005 Ahmed Maschio 2005

7.3 Modalità di raccolta dei dati

Per raccogliere i dati per la mia ricerca ho utilizzato diverse modalità: l’osservazione, il questionario e il diario di bordo.

7.3.1 L’osservazione

L’osservazione è stata uno strumento molto importante perché mi ha permesso di conoscere meglio gli allievi, la percezione che avevano di sé stessi e nella relazione con i compagni e la scuola. Dopo un lungo periodo di attenta osservazione, corrisposto alla prima parte dell’anno scolastico, ho ideato la sperimentazione in classe basata sull’improvvisazione, volta a stimolare la creatività e la fantasia di ciascun allievo.

Durante tutto l’itinerario l’osservazione si è rivelata nuovamente fondamentale in quanto mi ha permesso di monitorare i lavori a gruppi e le attività svolte dagli allievi grazie a delle rubriche

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competenze trasversali, in particolare il pensiero creativo, le strategie d’apprendimento, la collaborazione e il pensiero critico e riflessivo, e a vedere la loro evoluzione durante le varie unità di apprendimento.

7.3.2 Il questionario

La seconda modalità di raccolta dati è stato un questionario in entrata e in uscita dell’itinerario; il test che ho proposto agli allievi è stata una rielaborazione del questionario “Il benessere in classe” di Polito e quello tratto da “Imparare a studiare” di Cornoldi, De Beni e Gruppo MT, adattato alle mie necessità.

Ho creato tre diversi questionari, riguardanti tre differenti ambiti: il primo riguardava la sfera personale di ciascun allievo (“Come mi sento”), il secondo la relazione con i compagni (“Come mi sento con i compagni”) e il terzo le dinamiche e le relazioni nella sfera scolastica (“Come mi sento nei confronti della scuola”) (vedi allegato n.3).

Esso mi ha permesso di valutare la fiducia e la stima che l’allievo aveva in sé stesso, la percezione di sé e il suo grado di consapevolezza e benessere nei confronti della scuola e dei compagni.

Proponendo quest’attività in due momenti diversi dell’anno scolastico (dicembre e marzo) volevo vedere se c’era un’evoluzione positiva nel campione di riferimento, ma anche nel campione di controllo.

Per creare una maggiore atmosfera di serenità e tranquillità, per svolgere questo compito, ho usato una musica di sottofondo: Massenet – Thais, per violino e pianoforte. Questo brano lento, molto melodico, ha saputo creare un ambiente disteso, di pace e di fiducia reciproca.

7.3.3 Il diario di bordo degli allievi

Per tutto l’itinerario ho chiesto agli allievi di tenere un diario di bordo; con il gruppo classe ho usato la metafora del comandante di una grande nave che prende nota degli avvenimenti che accadono durante la navigazione. Nel nostro caso specifico il diario aveva lo scopo di ricordare stati d’animo e sentimenti manifestatosi durante le varie lezioni, e valorizzare e stimolare le riflessioni personali dei ragazzi.

Ho effettuato questa particolare scelta perché reputo che questo strumento abbia un grande potenziale e molteplici aspetti positivi nell’ambito della didattica, quali:

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analizzando le proprie strategie d’apprendimento, il proprio atteggiamento e comportamento e il grado di interesse e fiducia provato nelle varie attività proposte.

Il diario di bordo è anche un mezzo autobiografico, in quanto permette ad ognuno di noi di effettuare un’attenta analisi del proprio stato interiore, raccontando liberamente ciò che prova, senza aver paura del giudizio e delle critiche altrui; esso consente inoltre di esprimere anche le emozioni più intime e nascoste in noi stessi, che a voce faremmo fatica a comunicare.

Al termine di ogni unità di apprendimento ogni allievo ha avuto a disposizione qualche minuto per annotare le proprie difficoltà e i propri punti di forza sul proprio diario, con un sottofondo musicale. Ho deciso, in fase di programmazione, di non lasciare questo momento “libero” ma di guidarlo attraverso quattro domande, uguali per tutte le lezioni. Esse avevano lo scopo di favorire un approccio metacognitivo costruttivo e produttivo, e si articolavano in:

• Come mi sono sentito/a durante la lezione? • Ho avuto difficoltà nell’affrontare qualcosa? • Mi sono sentito/a capace?

• Sono riuscito/a ad usare la mia fantasia?

All’inizio dell’itinerario ero un po’ restia e impaurita di come gli alunni avrebbero accettato il diario. Non erano mai stati abituati infatti a tenere un diario ed era la prima volta che riportavano per iscritto i loro sentimenti per tutto un percorso didattico. Gli allievi hanno accolto con entusiasmo la novità e hanno vissuto questo momento conclusivo della lezione come un’occasione per riflettere sul proprio operato e sul proprio atteggiamento.

7.3.4 Il diario di bordo dell’insegnante

Per questo itinerario ho ritenuto importante e opportuno redigere io stessa un diario di bordo (vedi allegato n.16).

Non avevo mai usato questa modalità, e ho deciso di non strutturare il mio diario, a differenza di quello degli allievi, ma di annotare ad ogni lezione, sensazioni, atmosfere, situazioni particolari che si sarebbero verificate.

Il diario mi ha permesso di vedere un’evoluzione e una crescita nell’unitarietà del gruppo classe, e una crescita personale dei singoli allievi, riguardo i temi trattati nel mio Lavoro di Diploma.

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8 Sperimentazione

8.1 Schema del percorso pedagogico didattico

Figura 1: Schema del percorso pedagogico didattico

La sperimentazione che ho ideato per questo gruppo classe si articola in quattro fasi: la prima riguarda una condivisione di senso della situazione problema, la successiva si compone di sei fasi di allenamento, e gli ultimi due stadi sono costituiti dalla realizzazione finale con una conseguente riflessione conclusiva.

8.2 Descrizione dell’itinerario didattico

Questo itinerario l’ho ideato come progetto sperimentale per il mio lavoro di Diploma, basato sull’inclusione di allievi con disturbi dell’apprendimento. L’oggetto del mio percorso si focalizza sull’autostima di questi ragazzi: se la loro autostima aumenta, aumenta anche la loro inclusione all’interno del gruppo classe? Inoltre, un aspetto secondario del mio percorso è accrescere il senso di unitarietà del gruppo classe.

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che melodica, mediante strumenti a percussione, strumenti melodici (xilofoni), voce e strumenti non convenzionali.

Ho colto l’occasione quando, durante la prima parte dell’anno scolastico, ho riscontrato esserci delle difficoltà ad improvvisare comunicando i propri sentimenti. Da li è nata quindi l’idea di questo itinerario che mi permetteva di lavorare su due fronti:

- Dal punto di vista disciplinare avrei potuto approfondire la pratica vocale e strumentale legata all’improvvisazione e accrescere la loro creatività

- Dal punto di vista relazionale, invece, avrei potuto lavorare sull’inclusione dei tre allievi con disturbi dell’apprendimento e migliorare quindi anche il senso di unità del gruppo classe. Per la descrizione dettagliata delle diverse componenti della situazione problema rimando al “format” del mio progetto incluso negli allegati (vedi allegato n.1) e allo schema delle lezioni (vedi allegato n.2). La situazione problema che ho scelto per questo itinerario è la creazione di un brano con gli strumenti a percussione, a piccoli gruppi, per sonorizzare un quadro che rispecchia i sentimenti degli allievi. La finalità di questo itinerario mi permette di lavorare sull’improvvisazione in ogni ambito: sia quella ritmica, grazie agli strumenti a percussione intonati (xilofoni) e non intonati (strumentario Orff) e il flauto dolce, sia quella vocale, mediante la voce.

La cornice di senso per gli allievi è l’immedesimarsi compositori; comprendere quindi quali sono gli elementi essenziali per comporre un brano, riuscire ad esprimere i loro sentimenti e le loro sensazioni con la musica e con l’improvvisazione. Quando ho condiviso ciò con gli allievi, amando particolarmente la disciplina, si sono subito dimostrati entusiasti ed erano ansiosi di iniziare le attività.

In fase di progettazione e pianificazione del mio itinerario mi sono posta una serie di domande: come avrei potuto migliorare la situazione del gruppo classe? Come avrei potuto semplificare le difficoltà legate al tema dell’improvvisazione riscontrate dagli allievi?

Ho ritenuto indispensabile lavorare a fondo sull’improvvisazione, coinvolgendo diverse strategie e architetture didattiche, per favorire la differenziazione e più dinamicità nel lavoro. Se un allievo non si fosse infatti trovato a proprio agio con una particolare architettura, magari in un’altra si sarebbe sentito più tranquillo e sereno. Il fondamento per la buona riuscita era sviluppare una maggiore fiducia in sé stessi e nei propri mezzi: ero sicura che lavorando su questo aspetto avrei ottenuto risultati più immediati nel tema proposto. Durante le prime lezioni ho cercato di incoraggiare la discussione, motivando e sollecitando gli allievi a confrontarsi con i compagni, a fornire dei feedback sul proprio operato, promuovendo il lavoro individuale, a coppie e a gruppi per cercare di

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far emergere le loro conoscenze pregresse.

Condivisione di senso e Fase di allenamento n.1:

Durante la prima lezione abbiamo fatto una mappa concettuale su come si compone un brano, e ci siamo focalizzati sulla composizione di piccole melodie. Sono cosciente del fatto che sono partita da un tema difficile: l’improvvisazione melodica. Gli allievi hanno però manifestato molto interesse verso questo tema, il quale mi ha permesso di per accrescere la loro motivazione e una maggiore condivisione di senso della situazione problema.

Sia durante la mappa concettuale che la composizione di piccoli brani (vedi allegato n.5), sperimentati poi al flauto, gli alunni hanno dimostrato grande creatività, impegno, attenzione e coinvolgimento. Le loro idee si sono rivelate piene di fantasia e hanno capito l’importanza della ripetitività di un piccolo frammento nell’improvvisazione: non sempre bisogna partire da cose completamente nuove per improvvisare, ma spesso ripetendo o modificando dei frammenti ritmici o melodici si riesce a comporre dei bei brani.

I vincoli che avevo dato nello svolgere l’attività erano molto chiari e definiti (es, numero di battute; altezza delle note in battute precise; unità di misura; tonalità, …): gli allievi dovevano rispettare le condizioni e aggiungere successivamente la loro creatività.

Questo primo approccio, favorito dall’apprendistato cognitivo, ha permesso agli allievi di sentirsi a proprio agio; con questa attività avevo voluto scindere i tre processi: quello di pianificare, produrre e eseguire. In questa prima fase, infatti, gli allievi avrebbero potuto concentrarsi sul pianificare la propria attività e il proprio lavoro, e in una successiva fase produrre e eseguire il proprio lavoro.

Fase di allenamento n.2:

Durante la seconda unità di apprendimento gli allievi, a coppie, hanno corretto l’esercizio dei compagni svolto la lezione precedente sulla composizione di brevi melodie, utilizzando la strategia didattica dell’istruzione fra pari; successivamente hanno riempito un questionario di autovalutazione e di valutazione tra pari, favorendo nuovamente un approccio metacognitivo (vedi allegato n.6). Ciò li ha resi coscienti dei vari aspetti emersi durante la correzione dell’esercizio (quali: la correttezza delle composizioni delle battute, l’uso di una buona grafia musicale, l’impegno, …).

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con un rondò al flauto; esso prevedeva un tema A prestabilito, suonato da tutti (quattro battute), e una parte B (due battute) di improvvisazione di ciascun allievo, uno alla volta. Il tema A è stato costruito con l’intera classe, coinvolgendo gli allievi in prima persona. Prima di proporre l’attività, tramite l’approccio narrativo, ho tematizzato con gli allievi quali sono le paure che possono manifestarsi nell’esibirsi di fronte ai compagni e come si devono sentire i musicisti prima di un concerto e quali sono i sentimenti che devono provare.

Fase di allenamento n.3:

In quest’unità dell’itinerario ci siamo avvicinati all’improvvisazione ritmica, con un brano percussivo: la “Rhumba” (vedi allegato n.7). Ho scelto di suonare questo brano con strumenti non convenzionali (secchi, giornali e battenti); il brano, composto da tre ostinati, è stato eseguito divisi in tre gruppi, in modo da assegnare ad ogni gruppo un ostinato. Dopo aver studiato e sovrapposto gli ostinati, attraverso l’apprendistato cognitivo, abbiamo introdotto un intermezzo ritmico, improvvisato da ogni gruppo.

Fase di allenamento n.4:

Durante la quarta lezione ho voluto riprendere l’improvvisazione ritmica e, avendo a disposizione due ore di lavoro, abbiamo affrontato anche l’improvvisazione vocale.

L’improvvisazione ritmica ho voluto affiancarla, questa volta, a quella melodica, e ho quindi proposto agli allievi di creare un ostinato di 4/4 su quattro fogli bianchi, utilizzando l’apprendimento cooperativo; ho spiegato loro che ogni foglio aveva il valore complessivo di un quarto. Utilizzando i valori musicali che più preferivano dovevano comporre un ostinato in 4/4, da sonorizzare inizialmente con la Body Percussion e successivamente con il flauto. Successivamente gli allievi utilizzando la forma del rondò, dovevano creare un brano musicale: la parte A sarebbe stata affidata all’ostinato creato in precedenza ed eseguito da tutti, mentre le altre successive parti sarebbero state affidate all’improvvisazione dei singoli allievi (o coppie).

Durante l’ora successiva abbiamo invece affrontato il difficile tema dell’improvvisazione vocale: avevo immaginato e pianificato che questo ambito avrebbe potuto creare imbarazzo o difficoltà agli allievi, perché la voce coinvolge la nostra intera persona, e non tutti gli allievi sono abituati a farlo. Per quest’attività ho proposto un breve canto Gospel (vedi allegato n.8), con una seconda parte legata all’improvvisazione e alla creazione di piccoli pattern melodici proposti da ogni allievo. Attraverso l’approccio narrativo, ho fornito alcuni esempi di improvvisazione vocale, in diversi

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