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Caratterizzazione meccanica di PICC in condizioni "in-vivo like"

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Academic year: 2021

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Sommario

Cap.1. Generalità sui PICC ... 3

1.1Evoluzione ... 5

1.2Materiali ... 6

1.3Problematiche cliniche ... 9

Cap. 2. Prove asciutte ... 11

2.1 Piano delle prove ... 12

2.2 Kit e packaging ... 12

2.3 Analisi della curvatura ... 13

2.4 Caratteristiche geometriche (macro e micro) ... 14

2.5 Kinking test ... 17

2.6 Prove di trazione ... 18

2.7 Test DMTA ... 22

Cap.3. Seconda campagna di prove: pianificazione ... 25

3.1 Campioni ... 25 3.2 Fluidi ... 26 3.3 Incubatrice ... 27 3.4 Disinfezione ... 29 3.5 Prove ... 31 3.5.1 Trazione ... 31 3.5.2 Rilassamento ... 32 3.5.3 DMTA ... 33 3.5.4 Osservazione SEM ... 36 3.5.5 Swelling ... 38

Cap.4. Protocollo e Procedure ... 40

4.1 Scaletta delle prove ... 40

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4.3 Rilievo diametri pre-immersione ... 42

4.4 Pesatura, disinfezione, imbottigliamento e incubazione ... 43

4.5 Asciugatura ... 43

4.6 Pesatura e rilievo diametri post-immersione ... 44

4.7 Prova di Trazione e di Rilassamento ... 44

4.8 Test DMTA ... 45

4.9 Analisi SEM ... 45

4.10 Procedure di elaborazione ... 46

4.10.1 Calcolo sezioni ... 46

4.10.2 Test di trazione e di rilassamento ... 46

4.10.3 Test DMTA ... 48

Cap.5. Prove ... 49

5.1 Dati pre-immersione ... 49

5.2 Swelling del peso ... 50

5.2.1 Swelling dopo 1 mese ... 50

5.2.2 Swelling 2 mesi ... 52

5.2.3 Swelling 3 mesi ... 53

5.3 Prove di Trazione ... 55

5.3.1 Test dopo 1 mese ... 55

5.3.2 Test dopo 3 mesi ... 68

5.4 Analisi SEM 1 mese ... 71

5.5 Test DMTA ... 72

Cap.6. Analisi dei risultati e Conclusioni ... 77

6.1 Conclusioni ... 77

6.2 Sviluppi Futuri... 79

Bibliografia... 80

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Cap.1. Generalità sui PICC

I PICC (Peripherally Inserted Central Catheters) sono cateteri venosi centrali ad inserimento periferico, utilizzati per pazienti in terapia intensiva o sottoposti a trattamenti sanitari a medio termine (possono essere mantenuti in sede da poche settimane fino ad un massimo di 6 mesi); si tratta di cateteri destinati ad un utilizzo sia continuo che discontinuo e sia intra- che extra-ospedaliero (Figura 1.1).

Figura 1.1 Esempio di PICC (www.medgadget.com).

Il termine centrale si riferisce al fatto che la loro estremità viene posizionata in prossimità del cuore, all’altezza della giunzione tra la vena cava superiore e atrio destro (Figura 1.2).

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I PICC hanno una lunghezza tipica di circa 50-60 cm, mentre il loro diametro varia a seconda che siano monolume, bi-lume o tri-lume da 3 Fr a 6 Fr (1 French = m). Possono avere punta aperta (non-valved PICC) o punta chiusa (valved PICC); i primi non contengono valvole interne e hanno bisogno di un blocco con eparina se il lume rimane non in uso per più di 8 ore in modo da evitare il reflusso sanguigno, i secondi invece contengono una valvola nell’hub del catetere e per questo non richiedono il blocco di eparina.

I PICC possono inoltre essere caratterizzati da una tecnologia di tipo

Power-injectable (ultra-resistenti), che garantisce una resistenza ad alti

flussi e pressioni anche con calibri relativamente piccoli.

L’inserimento dei cateteri PICC avviene mediante una venipuntura ecoguidata di vene profonde al 3° medio del braccio (vena basilica o vene brachiali). Questa tecnica consente di ottenere i seguenti vantaggi: la possibilità di posizionare il catetere anche in mancanza di accessi venosi periferici visibili (dovuti a trattamenti endovenosi pregressi) e l’allontanamento della sede di inserzione dalla piega del gomito, eliminando il traumatismo diretto sul catetere legato al piegamento dell’avambraccio.

Tuttavia l’uso dei cateteri PICC presenta anche alcuni svantaggi: frequente indisponibilità delle vene del gomito, alta percentuale di fallimenti d’impianto e di mal posizionamenti, alto rischio di complicanze tardive quali tromboflebite o ostruzione del catetere, e alta resistenza al flusso (a causa della lunghezza del catetere) (www.slidetube.it).

I PICC consentono tutti gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali, quali: misurazione della pressione venosa, infusione di soluzioni ipertoniche, somministrazione di farmaci basici (pH>9), acidi (pH<5) o vescicanti o irritanti per le pareti dei vasi sanguigni. Possono essere utilizzati per trattamenti nutrizionali, chemioterapia e terapie farmacologiche in cui sia indicata la somministrazione venosa centrale (www.ioveneto.it).

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1.1 Evoluzione

I cateteri PICC sono stati sviluppati a partire dagli anni ’70 come dispositivi per la somministrazione di nutrienti per via venosa (nutrizione parentale), ma ad oggi rappresentano una soluzione molto usata anche per la somministrazione di farmaci chemioterapici e antibiotici (Girgenti.C, 2013).

Intorno agli anni ’80 la loro popolarità è cresciuta sempre di più, specialmente negli USA, grazie sia alla riduzione delle potenziali complicazioni rispetto agli altri dispositivi per l’accesso venoso centrale, sia al fatto che potevano essere impiantati anche da semplici infermieri, preventivamente sottoposti ad un training specifico (poiché non necessitano di competenze di tipo anestesiologico o chirurgico) (Leigh AB., 2005).

A partire dalla loro introduzione in commercio, i PICC, hanno subito sostanziali modifiche legate: alle nuove tecniche di posizionamento (eco-guida), all’utilizzo di nuovi materiali (poliuretani) più biocompatibili e meno trombo genici e allo sviluppo di nuovi design (www.ioveneto.it).

Ad oggi si stima che fino all’80% dei pazienti ricoverati nelle terapie intensive siano portatori di cateteri venosi centrali, a cui si aggiungono anche pazienti di altri reparti (medicina interna, oncologia, ematologia, etc).

Nel 2011 il mercato dei PICC è stato stimato essere intorno a 413 milioni di dollari e si prevede possa arrivare a 583 milioni di dollari nel 2017 (www.dicardiology.com). Questo notevole impatto economico ha spinto molti produttori ad interessarsi a questi dispositivi, mettendo sul mercato PICC che presentano nuovi design e nuovi materiali.

Tra le nuove tipologie di PICC proposte sul commercio ci sono: valved PICC e power-injectable PICC (Poli P., 2014).

I valved PICC (tipo Groshong) sono caratterizzati dalla presenza di una valvola interna nell’hub del catetere che garantisce la pervietà del lume senza bisogno di un blocco di eparina quando questo non è in uso (Figura 1.3). I power-injectable PICC si contraddistinguono da un’elevata resistenza alle alte pressioni di infusione, come quelle generate dalle pompe per mezzo di contrasto durante una TAC; sono stati inizialmente progettati proprio per

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procedure radiologiche che necessitano di un’infusione rapida del mezzo di contrasto.

Figura 1.3. Funzionamenti del catetere PICC con valvola del tipo Groshong (www.infermieriattivi.it).

1.2 Materiali

Riguardo ai materiali, i dispositivi vascolari centrali sono costruiti in Silicone o Poliuretano, che hanno differenti caratteristiche fisiche in termini di resistenza e biocompatibilità.

I Siliconi (o Polisilossani) sono polimeri a base di Silicio molto usati in applicazioni biomediche in quanto hanno eccellenti proprietà chimico-fisiche, di biocompatibilità e di affidabilità nel tempo in ambiente biologico (Pietrabissa R., 1996).

Si tratta di polimeri inorganici ad alto peso molecolare basati sulla catena molecolare Silicio-Ossigeno-Silicio (catena silossanica) e gruppi funzionali organici legati al Silicio (Figura 1.4).

Figura 1.4. Catena di polisilossani (Silicone).

Il legame Silicio-Ossigeno è estremamente forte e stabile, da qui deriva l’elevata resistenza al calore e l’assoluta stabilità del polimero e dei suoi derivati. Tra le proprietà tipiche del silicone (www.silicones.it):

 Elevata resistenza agli agenti atmosferici (UV, ozono e numerose sostanze chimiche inclusi farmaci, tessuti e fluidi biologici)

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 Ottime proprietà elettriche  Resistenza alle alte temperature

 Eccellente flessibilità alle basse temperature  Ottima processabilità

 Non va incontro a processi di invecchiamento

Il silicone è un polimero utilizzato in molti ambiti industriali poiché in base ai gruppi funzionali organici sulla sua catena (in termini di natura, formulazione e metodica di preparazione) può mostrare svariate consistenze e proprietà meccaniche (www.siliconi.net).

Il termine Poliuretano si riferisce invece ad una vasta famiglia di materiali polimerici ottenuti per reazione di policondensazione tra un di-isocianato (aromatico o alifatico) e un poliolio (tipicamente un glicole poli-propilenico o un poliestere-diolo), in presenza di catalizzatori per aumentare la velocità di reazione (Figura 1.5).

Figura 1.5. Reazione chimica tra polioli e poli-isocianati che porta alla formazione di poliuretani.

Si tratta di polimeri molto versatili, in quanto in fase di polimerizzazione è possibile aggiungere un grande varietà di additivi in modo tale da poter conferire al materiale le proprietà meccaniche desiderate (possono essere rigidi, elastici, adesivi, schiumosi, etc.) e modulare il rapporto idrofilia/idrofobia della superficie.

I poliuretani sono spesso utilizzati in ambito biomedico in quanto sono chimicamente e biologicamente inerti ed emocompatibili. Tra le proprietà tipiche dei poliuretani:

 Eccellenti proprietà meccaniche (alta resistenza a rottura, alta flessibilità e alta deformabilità)

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 Elevata emocompatibilità e affidabilità nel tempo in ambiente biologico

 Scarsa trombogenicità, anche in protesi di piccolo calibro  Compliance simile a quella dei vasi sanguigni naturali  Facilmente manipolabili

 Possibilità di produzione di oggetti con pareti molto sottili e con superficie liscia

I poliuretani sono in genere copolimeri a blocchi o a segmenti costituiti da due fasi: una meno rigida (soft segment) e l’altra (hard segment). Il rapporto tra queste due fasi determina le caratteristiche meccaniche del polimero (www.docenti.unina.it). In genere per le applicazioni biomediche si usano poliuretani che hanno proprietà di elastomeri.

I PICC in poliuretano possono essere preferibili perché hanno pareti più sottili e quindi maggior diametro interno del lume. Questo incrementa significativamente la capacità di flusso e riduce i potenziali rischi di lesione o rottura del catetere; ciò può essere un vantaggio per l’uso che se ne fa in ambito oncologico.

Il Poliuretano è il materiale utilizzato per i PICC power-injectable, associati a flussi fino a (ottenuti con apposite pompe infusionali).

Le differenze appena evidenziate tra i due materiali comportano implicazioni cliniche da tener presenti nella scelta del catetere.

La facilità di inserzione è influenzata dalla rigidità e dallo spessore della parete del catetere e dalle proprietà di frizione della superficie: in generale i cateteri in silicone avanzano sulla guida metallica con più difficoltà rispetto ai cateteri in poliuretano delle stesse dimensioni (Pittiruti M., 2010).

Il rischio di flebiti (infiammazioni della tonaca interna delle vene) meccaniche è influenzato dalla rigidità e dal calibro del catetere: per avere lo stesso lume interno c’è bisogno di un catetere in silicone più grande (che

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aumenta anche il rischio di trombosi e/o successiva stenosi venosa) (Pittiruti M., 2010).

Il silicone è meno rigido e quindi meno traumatico per l’endotelio vasale (il danno vascolare è legato soprattutto alla rigidezza della punta), per ottenere una resistenza adeguata il catetere in silicone dovrà avere pareti più spesse e quindi lume minore: questo comporta una minore velocità di flusso rispetto ad un catetere in poliuretano (Pittiruti M., 2010).

La pervietà dei cateteri dipende anche dalla kinking-resistance (l’abilità del catetere di mantenere la pervietà quando il lume viene curvato): i cateteri in silicone si piegano più facilmente rispetto a quelli in poliuretano ma si registra l’occlusione del lume con l’applicazione di forze minori rispetto ai cateteri in poliuretano. Inoltre il cateteri in silicone si ristabiliscono più prontamente e non rimangono permanentemente deformati (come può accadere per i cateteri in poliuretano) (Pittiruti M., 2010).

Il poliuretano è intrinsecamente più resistente ma è più suscettibile in

vivo alla degradazione e agli attacchi da parte dei solventi (disinfettanti

utilizzati nella manutenzione del catetere) (Pittiruti M., 2010).

1.3 Problematiche cliniche

Qualunque sia l’accesso venoso, periferico o centrale, la terapia infusionale è associata ad un rischio relativamente elevato di complicanze. Tra le complicanze più frequenti vi sono: la flebite, l’infiltrazione, lo stravaso e l’occlusione (fad.saepe.it).

La flebite può essere meccanica, chimica o infettiva. Si tratta dell’infiammazione dello strato più interno della vena (la tonaca intima). Può essere provocata da : attrito e movimento dell’accesso vascolare contro l’endotelio non solo in fase di insersione (flebite meccanica), iperosmolarità e pH della soluzione somministrata (flebite chimica) oppure da tossine batteriche provenienti dalla contaminazione del catetere (flebite batterica) (fad.saepe.it).

L’infiltrazione è la somministrazione involontaria di una soluzione non vescicante (isotonica o idratante o senza farmaci aggiunti) nei tessuti

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sottocutanei circostanti, questa non provoca necrosi dei tessuti ma può comunque danneggiarli (fad.saepe.it).

Lo stravaso è la fuoriuscita accidentale di farmaci o soluzioni vescicanti (che generano necrosi dei tessuti) dal percorso vascolare, e la loro somministrazione nel tessuto sottocutaneo circostante (fad.saepe.it).

L’occlusione è legata ad una drammatica diminuzione del flusso venoso nella vena dove è inserito il PICC (Nifong TP., 2011), che può essere anche dell’ordine del 95%. L’occlusione è dovuta principalmente alla presenza del catetere stesso che riduce il lume venoso dove scorre il circolo sanguigno.

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Cap. 2. Prove asciutte

La presente tesi si propone come prosecuzione di un precedente studio, svolto dal DICI in collaborazione con il Dip. di Terapia Antalgica dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa. Tale studio era volto ad indagare il comportamento chimico-fisico dei PICC in condizioni as-new, ossia appena prelevati dal kit, al fine di caratterizzare e differenziare i vari prodotti disponibili sul mercato.

I cateteri PICC analizzati nel seguente studio presentano una serie di caratteristiche comuni:

 Materiale: poliuretano

 Single- lumen (diametro esterno 5 Fr)  Tecnologia power-injectable

 Punta aperta

 Lunghezza di circa 60 cm, centimetrato

 Inerti in ambiente biologico e in contatto con farmaci chemioterapici fino ad un massimo di 6 mesi

 Elevata morbidezza e biocompatibilità

Nella seguente tabella è riportata la sigla associata ad ogni produttore (Tabella 2.1):

Sigla Casa Produttrice Codice Prodotto

A Alpha Med MD0102252

B Bard 6195118 REWB1120

C Cook Medical UPICS-501-MPIS-NT G12987

E Argon Medical 384465

F Vycon 1.294.115

G Braun Celsite PICC-cell 04439002

H AngioDynamics Morpheus 12102603

I Healtline A14H-05160

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2.1 Piano delle prove

La campagna di prove è stata definita in accordo con il personale medico per valutare diversi aspetti:

 Composizione del kit  Analisi della curvatura

 Caratteristiche geometriche (macro e micro)  Kinking test

 Prove di trazione uniassiale  Test DMTA

Da questo studio sono state evidenziate molte differenze tra le varie case produttrici (Poli P., 2014).

2.2 Kit e packaging

Per quello che riguarda la composizione, si passa da Kit contenenti da 9 fino a 57 oggetti (dei quali, nella pratica, solo una decina risultano essere utili all’operatore).

All’interno della confezione i cateteri in poliuretano sono conservati in maniera differente: si possono trovare liberi o in un guscio rigido e conforme, e con il filo guida inserito oppure confezionato a parte (Figura 2.1).

A B

Figura 2.1 A) PICC confezionato all’interno di un guscio B) PICC libero all’interno della confezione.

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PICC Packaging PICC Shape Packaging Guidewire

A Libero Circolare Inserito

B Libero U Inserito

C Guscio rigido Spirale A parte, in guscio

rigido

E Guscio compliant U Inserito

F Ad-hoc packaged U Inserito

G Guscio rigido Spirale Inserito

H Libero Circolare A parte, libero

I Libero Circolare Inserito

Tabella 2.2. Packaging dei cateteri e dei fili guida.

2.3 Analisi della curvatura

Il packaging utilizzato è responsabile della curvatura iniziale del catetere che può influenzare la fase di inserimento ed essere motivo di malposizionamenti.

Per la valutazione della curvatura, il catetere è stato appeso verticalmente sottoposto all’azione della forza di gravità (Figura 2.2) e si è andati a misurare la distanza tra i due estremi dopo un intervallo temporale di 1 ora (Figura 2.3), la prova è stata effettuata sia sul catetere libero sia dopo avervi inserito il filo guida.

Figura 2.2. Modalità di esecuzione della prova per l’analisi della curvatura del catetere: dove H e F sono gli estremi del PICC, rappresenta la

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Figura 2.3. Curvatura dei cateteri dopo 1 ora dall’inizio della prova, la colonna tratteggiata fa riferimento al caso in cui il filo guida è inserito

mentre l’altra si riferisce al catetere libero.

In tutti i casi la rigidità del filo guida risulta essere maggiore rispetto a quella del catetere, e questo fa si che esso raddrizzi la forma iniziale.

La modalità di packaging preferibile è quella che produce una minore curvatura iniziale del catetere (senza il filo guida inserito) che si riscontra nei PICC B, E ed F. Questi cateteri hanno in comune la forma in cui sono conservati, indipendentemente dalla presenza o meno di un guscio: U-shape.

2.4 Caratteristiche geometriche (macro e micro)

Riguardo alle caratteristiche geometriche, è stato evidenziato che la maggior parte dei PICC hanno diametro esterno costante (che varia tra 1.64 mm e 1.76 mm), ad eccezione di alcuni che presentano un breve tratto conico all’estremità prossimale (Figura 2.4 e Tabella 2.3).

Figura 2.4. Tratto conico prossimale presente in alcuni cateteri, e la loro lunghezza.

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A B C E F G H I

0 8.5cm 10cm 0 0 10cm 10cm 10cm

Tabella 2.3. Lunghezze dei tratti conici prossimali dei PICC.

Per quanto riguarda invece il diametro interno questo varia in un range tra 0.89 mm e 1.28 mm, perciò si stima una differenza di portata volumetrica tra i vari campioni fino al 50%.

Questo dato è molto interessante a livello clinico poiché le infusioni vengono fatte a velocità standard (di ), ma una differenza così elevata tra i diametri interni dei diversi PICC porta a chiedersi se sia necessario un protocollo specifico a seconda del catetere utilizzato.

In seguito sono riportate tutte le caratteristiche geometriche macroscopiche dei PICC in esame (Tabella 2.4).

PICC Diametro Interno[mm] Diametro Esterno [mm] Lunghezza [cm] Tratto Conico [cm] A 0.98 1.66 55 0 B 0.87 1.63 56.5 8.5 C 1.25 1.70 60 10 E 1.28 1.73 60 0 F 1.18 1.74 60 0 G 0.89 1.64 61 10 H 1.22 1.74 65 10 I 1.03 1.76 60 10

Tabella 2.4. Caratteristiche geometriche dei PICC, sono evidenziati in grassetto i valori massimi e minimi dei diametri interni ed esterni.

In Figura 2.5 sono riportate le sezioni dei vari PICC, si può notare anche da queste come quello che sul mercato viene venduto come un prodotto con stesse caratteristiche poi nella realtà si differenzi molto a seconda del produttore in questione:

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Figura 2.5 Sezione dei PICC presenti in commercio.

Su scala microscopica, dalle immagini SEM, non sono invece state evidenziate differenze rilevanti tra i campioni.

Per quello che riguarda la rugosità esterna i valori risultano molto bassi per tutti i PICC, perciò non si può imputare ad essa una diversa tendenza del catetere a generare trombi.

Riguardo invece all’analisi della superficie interna, risultano bassi e molto simili anche i valori legati alla porosità e alle protusioni (dell’ordine del ); di questi due fattori quello più importante è legato alla porosità poiché è nelle cavità del materiale che si potrebbero annidare batteri (generatori di sepsi).

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L’importante dato evidenziato dall’analisi SEM riguarda il PICC C, che a differenza di tutti gli altri, mostra una composizione double-layer di due materiali diversi (fatto confermato anche dalla DMTA nella quale per questo catetere si hanno due ), Figura 2.6.

Figura 2.6. Sezione del PICC C dall’analisi SEM.

2.5 Kinking test

Questa prova da un’indicazione della capacità del catetere di mantenere la pervietà quando il lume viene curvato, ed ha mostrato significative differenze tra i vari campioni in esame.

Sono state prese ed unite le due estremità del catetere per mezzo di un blocco scorrevole, e si è generato un loop. Il blocco è stato fatto scorrere a velocità costante finche non si è verificata la strizione del lume (collasso della sezione trasversale), a quel punto si è misurata la distanza tra il blocchetto e la strizione nella configurazione critica (Figura 2.7).

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Figura 2.7. Kinking test.

Maggiore è minore è la capacità del catetere di mantenere la pervietà del lume interno.

2.6 Prove di trazione

Sono state inoltre effettuate prove di trazione uniassiale che hanno mostrato significative differenze tra i vari PICC. Queste sono state eseguite a temperatura ambiente a due diverse velocità di deformazione ( e ) fino al raggiungimento di un allungamento massimo del 30% (Figura 2.8a e 2.8b).

Figura 2.8a. Curve forza-deformazione comparative ottenute con le prove di trazione con velocità

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Figura 2.8b. Curve forza-deformazione comparative ottenute con le prove di trazione con velocità .

Confrontando le curve ottenute si notano molteplici differenze tra i vari campioni, legati sia all’andamento nelle fasi iniziali della deformazione (per alcuni il tratto iniziale è più ripido il che significa una rigidezza maggiore) sia al carico necessario per arrivare ad una deformazione del 30% (nel campione I fino a più di quattro volte superiore rispetto ai campioni C ed E).

Dalla prova di trazione è stato possibile risalire alla rigidezza del PICC, la rigidezza del materiale e la rigidezza di curvatura.

Indicando con la lunghezza iniziale del campione e lo spostamento imposto da una forza , la lunghezza istante per istante del campione è e la forza può essere scritta:

(1) Questo modello descrive il campione come una molla con costante elastica . Si può dimostrare che per casi elastici lineari, per piccole deformazioni :

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Dove è il modulo elastico, rappresenta la sezione iniziale del campione, mentre e sono rispettivamente i raggi esterni ed interni del catetere.

Unendo le precedenti equazioni (Equazione 1 e 2) si ottiene:

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(4) Dove è la deformazione nominale e lo sforzo nominale. Quando i risultati della prova di trazione sono in forma forniscono informazioni sul provino (PICC stiffness), mentre se sono in forma danno informazioni sul materiale (Material stiffness).

Può essere interessante anche andare a valutare la rigidezza a piegatura ( , Bending stiffness), legata sia al modulo di Young sia all’inerzia ( ) del provino e quindi alle sue caratteristiche geometriche:

(5) Di seguito sono riportati i valori di rigidezza del materiale, del PICC e di torsione calcolati (Tabella 2.5):

PICC Material stiffness [MPa] PICC stiffness [N/ ] Bending stiffness [MPa] A 74 51 24.23 B 37 24 11.78 C 24 23 6.96 E 14 13 4.31 F 26 20 9.22 G 54 36 17.51 H 41 33 13.98 I 51 32 21.02

Tabella 2.5. Valori di rigidezza dei PICC; in grassetto è evidenziato il valore massimo e in rosso il valore minimo registrato nelle prove.

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La prova di trazione uniassiale è stata utilizzata inoltre per ottenere informazioni anche riguardo al rilassamento dei campioni; una volta raggiunta deformazione del 30% i provini sono stati lasciati in trazione per 20 secondi ed è stata misurata la variazione del carico durante questo periodo.

La prova di rilassamento è stata effettuata in seguito ad entrambe le prove di trazione; i grafici riportati mostrano il rilassamento normalizzato (sull’asse y ho così che tutte le curve partono da 1) per

agevolare il confronto tra i campioni (Figura 2.9a e 2.9b).

Figura 2.9. a) Curve di rilassamento dopo la prova di trazione ad , b)Curve di rilassamento dopo la prova di trazione ad .

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2.7 Test DMTA

Il test DMTA, che valuta la variazione con la temperatura delle proprietà del materiale, rivela che il comportamento termico dei PICC è differente tra le varie case produttrici. In tutti i casi la DMTA evidenzia un notevole effetto termico sulla rigidezza del materiale nel campo di temperature esplorato (Figura 2.10a e 2.10b); cosa prevedibile in quanto essendo i PICC costituiti da materiale polimerico, nell’ampio range di temperature a cui sono sottoposti con la DMTA ( , passano attraverso le temperature critiche di transizione (Tg, temperatura di transizione vetrosa) fino al rammollimento ed infine allo scioglimento.

Figura 2.10. Risultati DMTA a) Diagramma sforzo-temperatura, b)

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Limitando l’osservazione del comportamento dei PICC alla temperatura in cui lavorano (20-40°C), alcuni campioni mostrano un comportamento molto simile che fa presumere che siano costituiti dallo stesso materiale. I PICC in questione sono: A, G ed I (Figura 2.11).

Figura 2.11. Curve ottenute dal test DMTA con zoom nel range di interesse 20°-40°C per i PICC A, G ed I.

In Figura 2.12 sono riportati i grafici degli altri PICC in esame con particolare attenzione al range di temperature di interesse:

Figura 2.12 Curve ottenute dal test DMTA con zoom nel range di interesse per i PICC B, C, E, F ed H.

Alcuni PICC inoltre mostrano una stabilità termica leggermente superiore (per temperature elevate) prima di giungere al rammollimento, mentre gli altri cambiano in modo significativo le loro caratteristiche a temperature superiori a 40°C (PICC C ed E) (Poli P., 2014).

Il diverso comportamento termico dei campioni può essere attribuito alla diversa miscela di additivi usati dalle case produttrici nella sintetizzazione del poliuretano.

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Un’altra importante considerazione che può essere fatta sui risultati della DMTA, riguarda le temperature di transizione vetrosa (Tg) corrispondenti ai picchi del diagramma tan -temperatura. Si nota infatti che per alcuni campioni la è vicina al range di lavoro. In Tabella 2.6 sono tabulati tutti i valori della Tg dei vari campioni.

PICC Tg1 [°C] Tg2 [°C] A -10.9 - B 17 - C -12.8 25 E -58.6 10.8 F -6.9 - G -16.9 - H -14.7 29.3 I -8.8 -

Tabella 2.6. Temperature di transizione vetrosa, sono evidenziati i valori di vicini al range interesse per i PICC.

Da notare che alcuni campioni (C, E ed H) mostrano due temperature di transizione vetrosa, questo è dovuto al materiale di cui sono composti. Per quanto riguarda il PICC C si tratta di una conferma di quanto emerso dall’analisi SEM, che mostrava un doppio strato di materiale.

I PICC C ed H hanno una delle due temperature di transizione all’interno del range 20°C-40°C (quello associato all’utilizzo clinico dei PICC), questo può generare dei problemi in quanto in corrispondenza della

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Cap.3. Seconda campagna di prove: pianificazione

L’indagine precedente ha caratterizzato il comportamento dei PICC in condizioni as-new, mentre questo studio si interroga sui cambiamenti del comportamento fisico-chimico dei cateteri durante il loro utilizzo clinico

in-vivo. Sono quindi stati sottoposti allo studio gli stessi i PICC degli stessi

8 produttori già analizzati e si è caratterizzato il loro comportamento in relazione al contatto sia con il sangue sia con i farmaci chemioterapici somministrati tramite essi.

Ogni PICC è stato suddiviso in segmenti, che a piccoli gruppi sono stati conservati a bagno (o in una soluzione ad alta concentrazione di Etanolo o in una soluzione di Ringer Lattato) all’interno di boccette di vetro. Le boccette sono state poste in un’incubatrice che ha mantenuto una temperatura costante di 37°C, e vi sono rimaste per 1 e 3 mesi (ancora immerse quelle a 6 mesi).

Dopo ogni scadenza sono state prelevate 16 boccette (8 PICC x 2 soluzioni) dall’incubatrice, e sono state effettuate le prove chimico-fisiche previste dal protocollo, in modo da evidenziare il comportamento dei vari campioni al variare del tempo di immersione e della soluzione in cui sono stati a bagno.

3.1 Campioni

I PICC e le sigle ad essi associate sono analoghi a quelli del precedente studio (Tabella 2.1). La scelta del numero di segmenti da inserire in ogni boccetta è stata fatta tenendo di conto alcuni importanti aspetti:

 Disponibilità di PICC: 3 cateteri per ogni casa produttrice.  Alcune prove portano il campione alla rottura (come la DMTA

e la prova di trazione), il che rende necessario avere almeno un segmento per ogni prova prevista.

 Lunghezza utile dei PICC (che non comprende il tratto prossimale conico presente in alcuni campioni): varia da 48 a 60 cm.

(26)

 Lunghezza minima indispensabile per effettuare le prove pianificate: SEM (20 mm), DMTA (50 mm) e Trazione (50 mm).

 Ripetibilità delle prove: prevista per alcuni test, come Swelling e Trazione, per garantire una maggiore affidabilità dei risultati. Tenuto conto di tutti questi aspetti, si è deciso di inserire in ogni boccetta sei segmenti di PICC: 2 segmenti destinati al SEM e 4 destinati alle prove di Trazione, DMTA e Swelling.

Per rendere i segmenti riconoscibili tra loro, non potendo utilizzare marker o etichette, si è pensato di effettuare i tagli a lunghezze leggermente differenti:

 2 segmenti per il SEM: 19 mm e 21 mm.

 4 segmenti destinatii alle prove di trazione, DMTA e Swelling: 53mm, 51mm, 49mm e 47mm.

3.2 Fluidi

L’introduzione sul mercato di nuovi farmaci chemioterapici ad alta concentrazione di Etanolo suggerisce uno studio che evidenzi il comportamento dei PICC in presenza di questa sostanza.

I Fluidi in cui sono stati immersi i campioni sono: una soluzione di Etanolo e una di Ringer Lattato.

L’Etanolo è stato diluito in soluzione fisiologica, secondo il seguente rapporto, tipico dei dosaggi clinici:

La densità dell’etanolo a 20°C è compresa in un range di 805-812 , considerando il limite superiore, si può calcolare il volume di etanolo da sciogliere nella fisiologica:

(27)

Può essere inoltre calcolato il rapporto volumetrico tra soluto e solvente, per facilitare il riempimento delle singole boccette di vetro (dal volume di 30mL):

Il Ringer Lattato è una soluzione isotonica con il sangue, somministrata per via endovenosa per ripristinare la volemia o per contrastare l’acidosi (uno squilibrio chimico caratterizzato da un incremento della concentrazione di ioni idrogeno con conseguente abbassamento del pH). Un litro di Ringer Lattato è composto da:

 Sodio lattato soluzione al 50% 6.34g  Cloruro di sodio 6.00g

 Potassio cloruro 0.40g

 Calcio cloruro biidratato 0.27g

Questa soluzione ha una osmolarità teorica e un pH compreso tra 5.5 e 7.0. Il Ringer Lattato diversamente dall’etanolo non viene diluito.

3.3 Incubatrice

Per la conservazione dei campioni immersi in condizioni ambientali stabili (paragonabili a quelle corporee T=37°C) durante tutto il periodo di immersione, è stata scelta una soluzione economica: un’incubatrice per uova.

L’incubatrice scelta è una REAL 24 semi-automatica (della casa produttrice Borotto) al cui interno è possibile alloggiare tutte e 48 le boccette di vetro contenenti i campioni, in modo tale che non vi sia alcuna variabilità legata alle caratteristiche di conservazione (Figura 3.1).

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Figura 3.1. Incubatrice per uova REAL 24 (www.borotto.com).

L’incubatrice è stata posizionata nel reparto di terapia Antalgica dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa e collegata al gruppo di continuità, in modo da non incorrere in possibili black-out che altererebbero le condizioni di conservazione dei campioni in esame.

La ventilazione interna dell’incubatrice è garantita da una turbina silenziosa che aspira aria dal basso per convogliarla sulle pareti laterali, creando una barriera di aria calda. Grazie al design aerodinamico, viene garantita una maggiore uniformità della temperatura.

L’incubatrice utilizza un dispositivo elettronico digitale che permette all’operatore di impostare il valore della temperatura desiderato con una risoluzione dello 0.1°C, agendo in modo tale da mantenere costante quel valore al variare della temperatura dell’ambiente circostante.

La regolazione sfrutta il principio della retroazione: il valore della temperatura rilevata dal sensore NTC viene confrontato con il valore scelto dall’utilizzatore, il tasso di umidità viene invece rilevato attraverso un igrometro. Un particolare algoritmo di regolazione adottato dal microprocessore permette di eliminare le oscillazioni caratteristiche delle regolazioni, offrendo velocità di risposta e buona stabilità della temperatura (www.borotto.com).

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3.4 Disinfezione

I campioni sono stati mantenuti all’interno dell’incubatrice a 37°C per un periodo piuttosto lungo, questo ha posto l’attenzione sulla necessità di una disinfezione preliminare in modo da eliminare il rischio che si crasse un ambiente favorevole per la crescita di microorganismi patogeni all’interno delle boccette. Posto che i liquidi (soluzione fisiologica e Ringer Lattato) sono comunemente utilizzati nella pratica medica, gli elementi che sono stati disinfettati sono le boccette (con i relativi tappi) e i segmenti di PICC.

I cateteri PICC sottoposti allo studio sono forniti dalle case produttrici già sterili (sterilizzazione effettuata con un processo a base di ossido di etilene EO) e pronti all’uso clinico. Ma dal momento che prima delle immersioni subiscono delle manipolazioni in ambiente non controllato (ad esempio durante i tagli e la pesatura) prima di procedere all’ammollo sono stati sottoposti ad una disinfezione a microonde in ambiente umido.

Occorre chiarire che esiste una notevole differenza tra i termini disinfezione e sterilizzazione.

La sterilizzazione descrive un processo che distrugge o elimina tutte le forme di vita microbica (patogena e non) in un determinato materiale. Un materiale è considerato sterile se il livello di sicurezza e di sterilità (SAL) è inferiore a ; ovvero quando la probabilità di trovarvi un microrganismo

è inferiore ad uno su un milione (www.med.unich.it). I principali agenti utilizzati nelle strutture sanitarie per la sterilizzazione sono: vapore ad alta pressione, calore a secco, ossido di etilene, gas di perossido di idrogeno e altri prodotti chimici liquidi.

La disinfezione descrive invece un processo che distrugge o elimina gran parte dei microorganismi patogeni ad eccezione di spore batteriche presenti nell’ambiente.

Le microonde sono onde elettromagnetiche caratterizzate da una frequenza compresa tra circa 0.3 e 3 GHz. La frequenza generalmente usata per scopi medici è 2.45 GHz. Le microonde producono una frizione di molecole di acqua in un campo elettrico alternato (Najdovski L.,1991). La

(30)

frizione intermolecolare derivata dalle vibrazioni genera calore; secondo alcuni il calore è l’agente letale, secondo altri invece l’energia trasportata dalle onde elettromagnetiche alla materia. Il grado di penetrazione delle microonde dipende dalle proprietà fisiche e dielettriche del materiale e può variare significativamente con la temperatura, la frequenza del campo elettromagnetico, nonché con la composizione chimica del prodotto e la sua forma geometrica (www.edises.it).

La disinfezione mediante microonde è usata in medicina per lenti a contatto morbide, dentiere e cateteri urinari.

In letteratura non c’è traccia di sterilizzazione di cateteri PICC, poiché vengono distribuiti dai produttori già in forma sterile e destinati ad un uso in ambiente controllato. Facendo riferimento ai cateteri urinari, vari studi presentano la possibilità di sterilizzazione a domicilio mediante un semplice forno a microonde da cucina ad una potenza di 700W (Douglas C., 1990) per durate relativamente brevi (non più di 10 minuti).

La procedura usata in questo studio prevede la suddivisione della disinfezione in 4 cicli consecutivi da 2 minuti alla potenza di 700W, ed è stata applicata sia per i PICC sia per le boccette (comprensive del loro tappo, costituito da materiale plastico).

Sono stati posizionati sul piatto rotante del forno a microonde i segmenti di catetere, la boccetta, il tappo ed un becker contenente 350 mL di acqua (che serve come dissipatore di calore (Sanborn MR., 1982)). Il becker è stato sostituito, per evitare che l’acqua contenuta all’interno andasse in ebollizione fuoriuscendo durante la procedura.

La scelta di suddividere la disinfezione in cicli della durata di due minuti è dovuta al fatto che in fase preliminare è stata monitorata la temperatura raggiunta dai PICC (con un sonda a fibre ottiche solidale al segmento) durante la disinfezione, è si è notato che superati i due minuti la temperatura saliva oltre i 40°C. Questo dato ha posto l’attenzione sul fatto che un unico ciclo di durata maggiore avrebbe potuto compromettere il campione in maniera significativa, in quanto il test DMTA sui campioni

(31)

intorno ai 40°C modificando notevolmente le loro caratteristiche meccaniche.

3.5 Prove

Le prove a cui sono stati sottoposti i PICC sono: prova di trazione uniassiale, prova di rilassamento, DMTA, osservazione al SEM e swelling. Di seguito verranno illustrati i principi base di queste prove.

3.5.1 Trazione

La prova di trazione (o prova di trazione uniassiale) consente di valutare la resistenza meccanica del materiale.

Il provino viene fissato sul macchinario (ESAT) mediante due ganasce in posizione verticale (in modo tale che la forza di gravità non influisca sulla prova), dopo di che una delle due ganasce inizia a spostarsi verso l’alto con velocità costante (impostata dall’utente) generando così una forza crescente. Sul macchinario è presente una cella di carico che misura istante per istante la forza applicata al provino, sul quale inoltre è applicato un estensimetro (per la misura dell’allungamento). La prova si conclude una volta che è stata raggiunta dall’afferraggio superiore, la quota desiderata dall’utente.

Tramite l’estensimetro e la cella di carico si ottengono i valori di deformazione e forza campionati a intervalli regolari. I dati sono quindi registrati da un software di controllo tramite computer che genera in uscita direttamente un file .txt contenente tutti i valori.

Dai dati ottenuti si può ricavare lo sforzo nominale sul campione (Equazione 6) e la deformazione (Equazione 7):

(6) (7)

Dove rappresenta l’area iniziale della sezione del provino, il carico applicato, la lunghezza iniziale del provino e la lunghezza finale del provino ottenuta dopo l’allungamento.

(32)

La rigidezza assiale del PICC (descritta dalla legge di Hooke ) non è influenzata solo dal materiale ma anche dalla sezione trasversale iniziale, infatti prima di procedere con la prova di trazione è stato necessario calcolarne l’area. La prova è stata effettuata a 37°C (temperatura corporea, per valutare le caratteristiche meccaniche nel PICC all’interno del corpo) con due diverse velocità di deformazione ( e ) fino al raggiungimento di un allungamento massimo del 30%. Nella precedente campagna prove le velocità di deformazione utilizzate erano le stesse, ma i test sono stati effettuati a temperatura ambiente (25°C).

Se il campione fosse portato a rottura tramite la prova di trazione sarebbe possibile ricavare anche altre informazioni meccaniche come: il carico di rottura (massimo valore di resistenza raggiunto nel diagramma sforzo-deformazione), l’allungamento percentuale a rottura (entità dell’allungamento che il provino subisce durante la prova di trazione) e la strizione percentuale a rottura (riduzione percentuale della sezione del provino a rottura) (Smith WF., 2007).

Nel caso in esame, invece, si è interessati valutare il comportamento meccanico solo fino ad un allungamento massimo del 30%, compatibile con ciò che potrebbe avvenire nella realtà sul PICC.

3.5.2 Rilassamento

Il rilassamento degli sforzi è un comportamento tipico dei materiali viscoelastici, che consiste in una caduta della forza/tensione agente su un provino mantenuto a deformazione costante in un arco di tempo prefissato.

La causa del rilassamento dello sforzo è che si verifica un flusso viscoso nella struttura interna del materiale polimerico, ossia le catene polimeriche scivolano lentamente le une sulle altre, si rompono e si ricostituiscono legami secondari. Il rilassamento permette al materiale di raggiungere spontaneamente uno stato di minore energia (Smith WF., 2007).

L’andamento delle curve di rilassamento è quasi sempre efficacemente descritto da funzioni esponenziali. In generale la velocità con

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cui si verifica il rilassamento dello sforzo dipende dal tempo di rilassamento , che è una proprietà del materiale e viene definito come il tempo necessario per lo sforzo ( ) di diminuire a 0.37 ( ) dello sforzo iniziale ( ). La diminuzione dello sforzo con il tempo è dato da (Equazione 8):

(8)

Può succede che alcune curve di rilassamento non siano ben riproducibili con questa funzione esponenziale, in questo caso è necessario utilizzare funzioni più complesse. In letteratura sono molte quelle citate per il fitting di curve di rilassamento dei materiali polimerici, tra queste troviamo la Kohlrausch-Williams-Watts (KWW) detta anche esponenziale stretchato, che ha la seguente forma nel caso di curva di rilassamento normalizzata (Equazione 9):

(9)

Dove è il tempo di rilassamento caratteristico, il parametro di stiramento (il cui valore è compreso tra 0 e 1) ed I da un indicazione di che peso ha la componente viscosa nella risposta (www.df.unipi.it). Questo modello permette di tenere di conto sia della componente viscosa (primo termine) che di quella elastica (secondo termine) (Fancey KS., 2005).

3.5.3 DMTA

La Dynamic Mechanical Thermal Analysis (DMTA) è una tecnica usata per lo studio delle proprietà viscoelastiche dipendenti dalla temperatura e dal tempo, spesso utilizzata per la caratterizzazione dei polimeri.

Questa tecnica determina il modulo elastico e i valori di smorzamento applicando una forza oscillante al campione in trazione; quello che avviene è l’applicazione di uno strain sinusoidale (Equazione 10) su un campione posto in trazione ( ):

(34)

Dove rappresenta l’ampiezza dell’allungamento applicato e la frequenza angolare in e la misura del conseguente stress sinusoidale generato su esso (Equazione 11):

(11) Dove rappresenta l’ampiezza dello stress, la frequenza angolare

e lo sfasamento (www.anasys.co.uk). Il range di temperatura nel quale viene effettuata la prova può essere impostato dall’utente; nel caso dei cateteri PICC va da e varia con la velocità di .

In caso di test su materiali elastici ideali, questi non mostrano sfasamento tra stress e strain (Figura 3.2), e seguono la legge di Hooke , dove E rappresenta il modulo elastico del materiale :

Figura 3.2. Andamento stress e strain nel tempo.

Nel caso invece che si tratti di fluidi viscosi, si ha uno sfasamento tra stress e strain di 90° (Figura 3.3), e il legame tra le due grandezza può essere definito mediante la legge di Newton ( ), dove è la viscosità del materiale (www.anasys.co.uk):

(35)

Per tutti i valori intermedi di si ha un comportamento viscoelastico. Svolgendo l’Equazione 11 si ottiene:

(12) Dove il primo termine corrisponde al contributo elastico (in fase ) e il secondo al contributo viscoso (in fase ).

Moltiplicando e dividendo il secondo membro dell’Equazione 3 per , ottengo (Equazione 13):

(13)

Dove rappresenta lo storage modulus (o funzione di memoria) ed

è il loss modulus (o modulo di sfasamento) che definiscono i due tipi di

risposta del materiale polimerico:

(14)

(15)

Il primo quantifica l’energia immagazzinata mentre il secondo le perdite di energia durante il recupero della deformazione. Il rapporto di queste due quantità fornisce il fattore di smorzamento:

(16) Tutte queste grandezze ( , e ) sono funzioni del tempo, della

temperatura, della frequenza e dell’ampiezza.

La DMTA è considerata, inoltre, uno dei metodi più attendibili per la misura della temperatura di transizione vetrosa (in corrispondenza della quale si registra un cambiamento consistente ed improvviso del modulo elastico, e quindi di notevole importanza nella caratterizzazione di un polimero in relazione al suo impiego), che è rilevata come un picco nella curva a cui corrisponde un crollo della rigidità, , del campione.

A temperature inferiori della temperatura di transizione vetrosa ( ) i materiali polimerici si comportano infatti come solidi che seguono la legge

(36)

di Hooke per piccole deformazioni (materiali elastici), mentre a temperature più alte (vicine alla ) il loro comportamento risulta essere nettamente viscoelastico. Risulta perciò evidente la dipendenza dello sfasamento tra stress e strain ( dalla temperatura: partendo da a basse temperature (con comportamento totalmente elastico) fino a per temperature più alte (con comportamento totalmente viscoelastico) (www.anasys.co.uk).

3.5.4 Osservazione SEM

Lo Scanning Electron Microscope (SEM) fornisce informazioni sull’aspetto, sulla natura e sulle proprietà delle superfici e degli strati sottostanti di campioni solitamente solidi. Il SEM è utilizzato per la misura di caratteristiche microscopiche, caratterizzazione di fratture, studi di microstruttura, valutazione dei rivestimenti sottili, esame di contaminazioni superficiali e analisi di fallimento dei materiali (Smith WF., 2007).

Il SEM è un tipo di microscopio elettronico che non sfrutta la luce come sorgente di radiazioni, ma un fascio elettronico ad alta energia nel vuoto (Figura 3.4). Il fascio di elettroni è prodotto da un filo metallico portato ad alta temperatura, l’emissione di elettroni avviene per effetto termoionico e gli elettroni espulsi vengono prima accelerati da una differenza di potenziale e in seguito focalizzati da un sistema deflesso di lenti elettromagnetiche. L’interazione fascio-campione genera vari segnali che vengono acquisiti da opportuni detectors e successivamente elaborati fino a formare un’immagine.

(37)

Il termine scansione deriva dal fatto che si tratta di un fascio di elettroni non fisso ma che scansiona il provino in una zona rettangolare, riga per riga (tracciato a reticolo), questo permette di ottenere l’immagine. Il fascio colpisce il campione e interagisce con gli atomi di superficie che liberano elettroni; quelli di maggior interesse sono: gli elettroni secondari e quelli retro-diffusi (back-scatterati).

Gli elettroni secondari (o segnale SE, Secondary Electron) sono convenzionalmente definiti come gli elettroni uscenti dal campione con energia minore o uguale a 50eV, provengono da una profondità di pochi nanometri e forniscono informazioni sulla topografia delle superfici e sulla presenza e distribuzione di campi magnetici o elettrici.

Gli elettroni retro-diffusi (o segnale BSE, Back-Secondary Electron) sono elettroni ad energia maggiore di 50eV che derivano principalmente dall’interazione tra il fascio primario con i nuclei degli atomi del campione. Elettroni retro-diffusi a basso angolo interagiscono con le protuberanze della superficie e generano elettroni retro diffusi secondari che producono un immagine con profondità di campo fino a 300 volte quella del microscopio ottico. Il segnale BSE fornisce informazioni riguardo al numero atomico medio della zona di provenienza, alla topografia e alla struttura cristallina del campione (ww2.unime.it).

I campioni che devono essere analizzati usando un SEM tradizionale sono spesso rivestiti con oro o altri metalli pesanti per ottenere migliore risoluzione o qualità del segnale, questo è particolarmente importante se il campione è di materiale non conduttivo. I PICC sono stati infatti ricoperti da un sottile strato di oro, dello spessore di pochi atomi, poiché costituiti da materiale polimerico.

Gli elementi costituenti dell’immagine finale (pixel) mostrano una risoluzione elevata, infatti è noto che il potere risolutivo cresce proporzionalmente al decrescere della lunghezza d’onda della radiazione impiegata, e in questo caso il fascio di elettroni usato ha una bassissima lunghezza d’onda.

(38)

3.5.5 Swelling

La prova di swelling ha lo scopo di confrontare la massa pre-immersione con quella post-immersione del campione, in modo da evidenziare se durante la permanenza nel liquido il PICC ne ha assorbito una parte all’interno della sua struttura.

Per la misura della massa è stata utilizzata una bilancia (Adventurer Ohaus) con risoluzione 0.1 mg.

Questa prova è stata effettuata sui campioni più grandi (47 mm, 49 mm, 51 mm e 53 mm) che poi in seguito sono stati destinati ad altre prove, dato che il campione non viene in alcun modo compromesso.

La pesatura pre-immersione è stata fatta prima della sterilizzazione del segmento; mentre quella post-immersione è stata successiva ad una fase di asciugatura del campione. Per tutti i campioni l’asciugatura della superficie esterna è stata effettuata mediante della carta assorbente, mentre per il lume si è usata una siringa per far scorrere aria all’interno.

Particolare attenzione è stata posta per l’asciugatura del campione successivamente destinato alla DMTA per il quale anche un piccolo quantitativo di liquido all’interno avrebbe potuto alterare significativamente la prova (infatti lavorando anche a temperature molto basse, il congelamento del liquido avrebbe potuto compromettere l’integrità del materiale stesso). Questo campione è stato sottoposto ad un getto di aria ultrapura (alla pressione di ) per , così da eliminare al meglio le tracce di liquido all’interno del lume.

Questa procedura è stata validata effettuando alcune prove preliminari su campioni in ammollo per una settimana i quali hanno mostrato che anche dopo la fase di asciugatura la massa del campione non ritorna esattamente al valore pre-immersione, e che non vi è sostanziale differenza nemmeno aumentando il periodo del getto di aria (Tabella 3.1):

PICC Pre [mg] Post1 Post2 Post3

B 102.2 103.3 102.9 102.9

(39)

F 135.8 137.1 136.1 136.1

Tabella 3.1. Confronto tra la massa [mg] di tre campioni pre-immersione e post immersione con tre diversi tipi di asciugature. Post1: asciugatura interna con siringa, Post2: asciugatura interna con getto d’aria di 1 min e

Post3: asciugatura interna con getto d’aria di 2 min.

La variazione della massa registrata è intorno all’1%, della stessa entità l’errore di misura (dato dalla risoluzione della bilancia di 1mg su un campione di circa 100mg) perciò si è ritenuta trascurabile.

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Cap.4. Protocollo e Procedure

Lo scopo della seguente tesi è investigare i cambiamenti delle risposte chimiche e meccaniche su PICC di diverse case produttrici in seguito al loro utilizzo clinico; per fare questo si sono posti i cateteri in ammollo in due diversi fluidi (per simulare l’ambiente in-vivo) e in seguito sono stati effettuati test meccanici e chimici.

A tale scopo è stata sviluppata una procedura che ha permesso una differenziazione e caratterizzazione di 8 tra i principali marchi presenti sul mercato.

4.1 Scaletta delle prove

Il lavoro si è svolto seguendo i passi sotto elencati: 1. Taglio dei segmenti

2. Rilievo diametri pre-immersione

3. Pesatura, disinfezione, imbottigliamento ed incubazione 4. Asciugatura

5. Pesatura e rilievo diametri post-immersione 6. Prova di trazione e di rilassamento

7. DMTA 8. Analisi SEM

Una parte rilevante del lavoro è stata formulare un calendario della prove che soddisfacesse diversi vincoli: si è tenuto di conto del fatto che i campioni dovevano rimanere in ammollo esattamente lo stesso numero di giorni, le prove di trazione andavano fatte quando il campione era ancora umido (ovvero lo stesso giorno del prelievo dall’incubatrice) e per quanto riguarda le prove DMTA, essendo della durata di diverse ore, non ne potevano essere fatte più di 3 in un solito giorno.

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4.2 Taglio dei segmenti

Questa fase prevede inizialmente la rimozione del tratto conico prossimale nei PICC dove è presente e il taglio del catetere nelle lunghezze stabilite, attraverso una piattaforma di taglio.

La piattaforma di taglio ha lo scopo di aiutare l’operatore nell’effettuare il taglio in maniera univoca. Si tratta di una striscia di carta millimetrata sulla quale sono segnate varie tacche (riferimenti) in corrispondenza delle quali effettuare i tagli (Figura 4.1).

Figura 4.1. Riferimenti per il taglio.

Dopo l’eliminazione della parte conica si deve posizionare il PICC sulla piattaforma facendo coincidere l’estremità prossimale con lo zero e procedere con i tagli (Tabella 4.1) verso la parte distale (effettuati tramite uno dei bisturi in dotazione con i cateteri).

Tagli Prova Prevista Riferimento Piattaforma di taglio 19 mm SEM 1 I Linea Rossa

21 mm SEM 2 II Linea Rossa

47 mm Trazione 1 I Linea Blu

49 mm Trazione 2 II Linea Blu

51 mm DMTA - Swelling 1 I Linea Nera Tratteggiata

53 mm DMTA - Swelling 2 II Linea Nera Tratteggiata

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4.3 Rilievo diametri pre-immersione

Subito dopo il taglio sono state effettuate fotografie al microscopio elettronico ad entrambe le estremità dei segmenti più grandi ; queste sono in seguito state elaborate, mediante un programma Matlab (Figura 4.2), al fine di calcolare il diametro interno, il diametro esterno, la sezione del PICC pre-immersione.

Figura 4.2. Interfaccia grafica del programma di Matlab creato per il calcolo del diametro interno ed esterno del PICC.

Il Programma Matlab è strutturato in modo che l’utente sia in grado in pochi passi di calcolare la sezione del PICC:

1. In alto a sinistra della schermata c’è un pulsante (“Apri immagine”) che permette di selezionare la cartella contenente le foto delle sezioni dei PICC.

2. In alto a destra nel riquadro “riferimento” si trova un pulsante (“seleziona”) che genera un cursore per selezionare le estremità di 1 mm, visibili sulla carta millimetrata alla sinistra della foto, ed associare ad esso un corretto numero di pixel (che potrebbe essere diverso tra le foto a seconda della messa a fuoco).

3. In seguito si procede con la selezione prima del perimetro esterno poi di quello interno: l’utente può scegliere, in

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entrambi i casi, se partire da un’ellisse o una spline, la quale potrà sia essere spostata che ingrandita/rimpicciolita all’interno dell’immagine finché non ottiene una perfetta sovrapposizione con il perimetro in esame.

4. Una volta selezionati i perimetri, in basso a sinistra sono riportati i valori calcolati da Matlab: area interna e diametro di entrambe le superfici, e sezione del PICC.

Questi dati sono stati poi confrontati con le medesime misure effettuate in fase post-immersione.

4.4

Pesatura,

disinfezione,

imbottigliamento

e

incubazione

Questa fase del protocollo prevede la pesatura dei segmenti più grossi prima di procedere con la sterilizzazione. I segmenti sono stati pesati uno per volta e i valori tabulati per facilitare un successivo confronto con i pesi post-immersione.

La disinfezione mediante microonde (potenza di 700W) è stata suddivisa in 4 cicli da 2 min; questa è avvenuta simultaneamente sia per il PICC che per la boccetta.

Finita la disinfezione il PICC è stato imbottigliato, etichettato e sommerso del liquido.

Il passo successivo è stato posizionare le boccette all’interno dell’incubatrice, dove sono rimaste fino alla data fissata del prelievo. Queste sono state raggruppate in piccoli gruppi (per i quali è previsto lo stesso giorno di prelievo) in modo da facilitare l’operazione di recupero e minimizzarne i tempi.

4.5 Asciugatura

Una volta tolti i segmenti di PICC dal liquido nel quale sono stati immersi è stato necessario asciugarli prima di procedere con le prove chimico-meccaniche.

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Per l’asciugatura dell’esterno è stato sufficiente utilizzare della carta assorbente, mentre per l’asciugatura dell’interno del catetere si è usata una siringa senza ago con la quale è stata soffiata aria all’interno del lume, facendo fuoriuscire il liquido intrappolato.

Il campione destinato alla DMTA è stato inoltre sottoposto ad un getto di aria ultrapura in modo da eliminare ogni traccia di liquido all’interno del lume.

4.6 Pesatura e rilievo diametri post-immersione

Queste fasi sono analoghe alla pesatura e al rilievo dei diametri pre-immersione, sono state anche in questo caso applicate solamente ai segmenti più lunghi.

I valori del peso sono serviti unicamente per un confronto che da un’indicazione sull’eventuale assorbimento di liquido da parte del materiale. I valori riguardanti i diametri e quindi le sezioni, hanno avuto invece un duplice compito: confronto dei volumi pre e post-immersione, e sono serviti inoltre per la prova di Trazione e la DMTA come sezione iniziale del campione.

4.7 Prova di Trazione e di Rilassamento

Il campione di lunghezza 49 mm è stato sottoposto a due prove di trazione in temperatura a 37°C, che lo hanno portato ad un allungamento massimo del 30%.

Per prima è stata effettuata la prova ad una velocità , dopo di che è stato misurato il rilassamento nei successivi mantenendo il campione in trazione. Successivamente è stata effettuata una seconda prova di trazione ad una velocità di e di rilassamento per i successivi. Le due prove sono avvenute ad una distanza temporale di , durante i quali il campione è stato riportato ad un allungamento nullo.

Per effettuare la prova di trazione ad una temperatura di 37°C è stato utilizzato un piccolo fornetto formato da 4 resistenze collegate ad un’apparecchiatura che eroga tensione: un aumento di tensione corrisponde

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ad una maggiore corrente che attraversa le resistenze, le quali di conseguenza iniziano a surriscaldarsi aumentando la temperatura all’interno della cavità del fornetto. Questa temperatura viene registrata da un sensore, ed in base a questa l’utente è in grado di decidere se aumentare o diminuire la tensione erogata per ottenere le condizioni di temperatura ideali per la prova.

4.8 Test DMTA

Il test DMTA è stato effettuato unicamente sul campione di lunghezza 5.1 cm sottoponendolo ad uno strain sinusoidale in un range di temperatura a partire da -100°C fino ad un massimo di 80°C (la temperatura incrementa con una velocità 2°C/min).

Sul provino, inizialmente sottoposto ad una deformazione del 0.3%, è stata applicata una deformazione sinusoidale con ampiezza 0.1% ad una frequenza di per tutto il range di temperature previsto.

Dai dati forniti è possibile valutare la temperatura di transizione vetrosa dei vari campioni in esame.

4.9 Analisi SEM

L’analisi SEM è stata effettuata solo sui PICC che hanno mostrato un maggiore aumento di peso percentuale dopo l’immersione. Si è utilizzato a questo scopo uno dei segmenti più corti (19 mm).

Sono state eseguite delle scansioni sia per quanto riguarda la superficie interna che per quella esterna a diversi valori di ingrandimento:

 500x  2000x  4000x

Prima di eseguire le scansioni il provino è stato ricoperto da un sottile strato di oro in modo da permettere il funzionamento del SEM su materiale polimerico.

(46)

4.10 Procedure di elaborazione

I dati ottenuti dalle prove effettuate sui campioni sono stati opportunamente elaborati al fine di ottenere le informazioni necessarie per la caratterizzazione dei PICC “post-impianto”.

4.10.1 Calcolo sezioni

Il calcolo delle sezioni è stato effettuato mediante un programma Matlab appositamente sviluppato che si basa su l’interpolazione dei dati.

In particolare nel programma è possibile scegliere tra un’interpolazione ellittica (elliptic fit) o un’interpolazione di tipo spline (spline fit). Questa è una novità rispetto al programma utilizzato nel precedente studio per il rilievo del diametro interno ed esterno, poiché in esso era prevista solo un’interpolazione circolare (circle fit) che non sempre risultava ottimale.

Queste funzioni di interpolazione presenti in Matlab permettono il calcolo non solo del diametro ma anche quello dell’area. Per risalire allo spessore del PICC è stata quindi fatta una differenza tra l’area esterna e quella interna.

4.10.2 Test di trazione e di rilassamento

I dati forniti dall’ESAT (macchinario utilizzato per la prova di trazione) sono in forma testuale (.txt) e vi sono riportati i valori di forza (cN), deformazione (mm) e tempo. Per risalire alla rigidezza del materiale e del PICC e generare i grafici , è stato necessario elaborare tali dati.

La prima cosa da fare è stata selezionare i dati di interesse, poiché in un solito file erano presenti sia le informazioni riguardanti la prova di trazione sia quella di rilassamento successiva (Figura 4.3). È stato perciò creato un programma Matlab (estai_dati_for_def.m) che scorre tutti i dati registrati ed estrae quelli della trazione (corrispondenti ad una deformazione crescente) e quelli del rilassamento (corrispondenti ad una deformazione costante).

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Figura 4.3. Formato .txt dei dati forniti dall’ESAT.

A questo punto si è andati a calcolare lo sforzo dividendo il valore della forza registrata dall’ESAT con la sezione del provino in esame.

Due ulteriori programmi Matlab sono stati implementati al fine di costruire sia i grafici comparativi tra i cateteri, sia quelli per ogni singolo PICC (grafici_comparativi.m, e grafici_singli_picc_sforzo_def.m) per tutte le durate di immersione.

Una volta ottenute le curve è stato necessario apportarvi alcune modifiche: il tratto iniziale presentava in quasi tutti i test un gomito dovuto al raddrizzamento del provino (leggermente curvo quando scarico) nei primi istanti di deformazione, ed inoltre alcune curve presentavano dei picchi nell’andamento dovuti probabilmente ad un dato errato nella registrazione che hanno reso necessario un filtraggio dei dati (togli_gradino_da_rilassamento.m).

Per la correzione di questi difetti è stato creato un file Matlab (pulisci_dati_trazione.m) mediante il quale è possibile traslare la curva di

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trazione in modo da eliminare il gomito ed eliminare i picchi. Queste modifiche non vengono fatte automaticamente dal programma ma sta all’utente scegliere il punto esatto dove applicarle.

Una volta eliminato il gomito iniziale si è fatto un fitting lineare del primo tratto della curva per calcolare la rigidezza del materiale. La scelta di utilizzare il tratto con è dovuto al fatto che in questa regione tutti i PICC mostravano avere andamento lineare costante, e questo ha permesso di creare un file Matlab (fitting_moduloelastico.m) che elaborasse automaticamente i valori del modulo di Young senza lasciare all’utente il compito di scegliere ogni volta il tratto su cui effettuare il fitting.

Per quanto riguarda il fitting delle curve di rilassamento è stato elaborato un ulteriore codice Matlab (fitting_rilassamento.m) il quale implementa la funzione KWW dell’esponenziale stretchato (Equazione 9).

4.10.3 Test DMTA

Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati ottenuti tramite il test DMTA, è stato necessario solamente trasportarli dal formato .txt a Matlab per la generazione dei grafici corrispondenti.

A differenza delle prove di trazione i dati forniti erano già scalati del valore della sezione del provino e perciò non è stato necessario scalarli per tale valore per il calcolo del modulo di Young.

Anche per la DMTA sono stati elaborati grafici comparativi tra tutti i PICC e grafici che mettessero in evidenza il comportamento di ogni singolo PICC prima e dopo l’ammollo nelle due soluzioni (dmta_grafici.m e dmta10.m).

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