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Young Frankenstein: dinamiche e strategie parodiche nell'opera di Mel Brooks

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Academic year: 2021

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CAPITOLO I

IL REPERTORIO DEL LETTORE

Tra gli strumenti metodologici che nel corso dei miei studi e delle mie ricerche ho avuto modo di conoscere e applicare, mi sembra che ai fini della presente analisi possano risultare costruttivi ed interessanti diversi concetti teorici avanzati dallo studioso tedesco Wolfgang Iser ne L’atto della lettura: una teoria della risposta estetica (Der Akt des Lesens. Theorie ästhetischer Wirkung, 1976), il quale costruisce il suo saggio partendo dalla convinzione che non solo il testo offre una guida per un’elaborazione attiva da parte del lettore ma che il processo di lettura di un testo consiste in un’interazione dinamica tra testo e lettore. Il ricorso alla terminologia nonché alla teoria della risposta estetica formulata da Iser, come accennato nell’introduzione, verrà svolto nella piena consapevolezza della differenza sostanziale tra la lettura di un testo scritto e la “lettura” di un testo cinematografico per le strutturali diversità che i due prodotti culturali presentano in partenza. Tuttavia, trovo che le formulazioni teoriche di Iser siano particolarmente utili all’interno di un’analisi che voglia tener conto del ruolo del lettore/fruitore/spettatore ed in particolare della presente analisi incentrata sulla parodia, pratica in cui, come vedremo in modo più approfondito nel prossimo capitolo, il lettore è di fondamentale importanza.

Con quali conoscenze pregresse lo spettatore si avvicina ad un film come Young Frankenstein? Con quali convenzioni costruisce la sua esperienza personale del testo? A questa domanda Iser risponde con la nozione di “repertorio” come una delle condizioni necessarie per il successo del processo della lettura.

Il repertorio consiste di tutto il territorio familiare all’interno del testo. Esso può avere riferimenti alle opere precedenti o a norme storiche e sociali, o a tutta la cultura dalla quale il testo è emerso. Il modo in cui le convenzioni, le norme, le tradizioni […] diventano capaci di muovere nuove connessioni, ma al tempo stesso le vecchie connessioni sono ancora presenti almeno in un certo grado (e possono esse syesse apparire in una luce nuova); infatti il loro contesto originale deve restare sufficientemente implicito per agire come retroterra per controbilanciare la loro nuova significanza. Così il repertorio incorpora sia l’origine che la trasformazione dei suoi elementi, e l’individualità del testo dipenderà largamente da quanto la loro identità è cambiata1.

Se riconosciamo il valore estetico della parodia di genere nella deformazione della nostra percezione stessa dei generi, al parodista così come a noi sarà implicitamente noto il funzionamento, appunto, dei generi e più in particolare del genere in questione che diviene oggetto della parodia. In questo senso, ritengo necessario avanzare una riflessione in questa prima parte sul funzionamento dei generi cinematografici e del gothic horror in particolare, per poi passare a delle !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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considerazioni sulla pratica della parodia, in quanto essa stessa parte del repertorio del testo e del lettore.

I.1 Il genere come incrocio di forze ed interessi diversi

La classificazione per generi e l’identificazione di generi sono di per sé un’abitudine culturale cui la tradizione letteraria occidentale (e non solo) si è abituata fin dai tempi della Repubblica (Πολιτεία) di Platone e della Poetica (Περὶ ποιητικῆς) di Aristotele2. È interessante osservare che la creazione e l’uso di categorie di genere si trovano nel mezzo di forze e tendenze contrapposte e che in esse si trovano a convergere.

In primo luogo si deve ricordare che in quanto prodotti culturali derivati da un’industria (nel nostro caso quella cinematografica), i generi cinematografici rispondono agli interessi dei produttori e distributori ma al contempo a quelli degli spettatori stessi3. Questi due poli d’interesse estetico finiscono inevitabilmente per influenzarsi a vicenda, poiché se è vero che da un lato la produzione culturale cerca di imporre e di investire su determinati gusti estetici per una determinata società in un determinato contesto storico4 è anche vero che il giudice ultimo è l’opinione del largo pubblico, anch’esso, inconsapevolmente, attivo nella creazione e nello sviluppo dei generi cinematografici. Si !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

2 Platone nel libro III della Πολιτεία si riferisce con tono critico al ricorso dell’imitazione da parte dei poeti nell’educazione dei cittadini e condanna nuovamente nel libro X (Repubblica, X, 598 b6-8, BUR Rizzoli, Milano 2013, p. 1105) la la tecnica dell’imitazione, a suo parere deleteria, nella misura in cui “la tecnica dell’imitazione [è] lontana dal vero e [...] riesce a produrre tutte le cose per questo: coglie una piccola parte di ognuna e si tratta di un simulacro”. Infatti secondo Platone “la pittura e in generale la tecnica dell’imitazione producono una propria opera che è lontana dalla verità, e inoltre sono legate a quella nostra parte che è lontana dall’intelligenza, sue compagne e amiche per scopi che nulla hanno di sano e di vero”. Aristotele nella sua Περὶ ποιητικῆς non ha gli stessi intenti politico-pedagogici di Platone e si rivolge al lettore con una classificazione sistematica, presente fin nell’incipit. Per tale motivo il suo lavoro è considerato il capostipite della teoria dei generi letterari: “trattiamo dunque della poetica in sé e delle sue forme, quale potenzialità ciascuna possegga e come debbano comporsi i racconti perché la poesia riesca ben fatta e inoltre di quante e quali parti consista, e anche, in modo simile, di tutti gli altri argomenti che pertengono alla medesima disciplina, incominciando secondo natura dapprincipio dai principi” (Poetica, 47 a8-14, BUR Rizzoli, Milano 2006, p 117). Egli azzarda persino una classificazione delle forme poetiche attuabile con il ricorso ad alcune categorie: mezzi (parola, musica, danza), oggetti (il tipo di persone divenute oggetto di imitazione, serie o non) e modi (cioè “come si può compiere l’imitazione di ciascuna di queste cose”) (Ivi, 48 a18-19, p. 123).

!

3 R. ALTMAN, Film/Genere, Vita e pensiero, Milano 2004, p. 28: “Se non vi è la definizione da parte dell’industria e il riconoscimento da parte del pubblico di massa, non può trattarsi di un genere, poiché per definizione i generi cinematografici non sono categorie derivate scientificamente o costruite in modo teorico, ma sono sempre convalidate dall’industria e condivise dal pubblico”.

4 Si pensi all’altalenante successo dei generi cinematografici stessi, influenzato in modo significativo dalla disponibilità degli studios e/o delle case di produzione ad investire in determinati film piuttosto che altri. Per quanto non si tratti di un genere, ma di un aspetto prettamente tecnico, basti prendere in considerazione il caso stesso di Young

Frankenstein, i cui produttori della metà degli anni ’70 – periodo in cui tutti i film erano realizzati a colori – erano

fortemente reticenti a produrre un film in bianco e nero. Si pensi altrimenti al genere del melodramma, il genere più in voga assieme al western nella Hollywood classica: come ha osservato il prof. Pierre Berthomieu (docente presso l’Université de Paris 7 – Paris Diderot) nelle sue lezioni sulla Hollywood classica, ogni decennio a partire dagli anni ‘30 ha avuto il suo grande melodramma (si pensi a film come Gone With the Wind, Casablanca, Dottor Zivago, Out of

Africa, Titanic) fino agli anni ’90, quando il termine « melodramma » ha assunto gradualmente una connotazione

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tratta dell’aspetto pragmatico dei generi, per ricorrere alla terminologia proposta da Rick Altman nella revisione del suo approccio semantico-sintattico, di cui parlerò a breve:

Anziché proporre una configurazione unidirezionale orientata dal testo verso il lettore, la pragmatica segue, pertanto, un costante (benché talvolta estremamente lento) processo di fertilizzazione reciproca in cui gli interessi di un gruppo possono apparire nelle azioni dell’altro. Così la produzione dei film e la formazione dei generi non possono essere sistematicamente e semplicisticamente considerate controcorrente rispetto alla visione del film, come farebbe la maggior parte degli studi di consumo5.

In secondo luogo, se definiamo un genere come “une catégorie empirique, servant à nommer, distinguer et classer des œuvres, et censée rendre compte d’un ensemble de ressemblances”6, l’operazione di classificazione prevede due operazioni complementari e opposte, il raggruppamento e l’esclusione: classificare un film sotto l’etichetta di un genere equivale ad escluderlo dagli altri generi così come escludere altri film dall’appartenenza a quel genere in questione.

Inoltre, si tratta di una categoria sia qualitativa sia quantitativa, aspetti che permettono un’immediata identificazione e un corretto funzionamento del genere stesso a prescindere da un controllo comparativo7. Non c’è bisogno di ricorrere ad una comparazione accurata, ad esempio, per riconoscere un film western se l’azione che vediamo sul grande schermo si svolge nell’America occidentale e nel contesto storico della metà dell’’800, se le scenografie sono costituite prevalentemente da vecchi edifici in legno o se vediamo il tipico saloon gremito di personaggi al limite del minaccioso, se vediamo in scena dei banditi a cavallo con dei grossi cappelli e armati fino ai denti o uno sceriffo che si aggira per le vie di un’accaldata cittadina in mezzo al deserto. Come è possibile? La creazione di un genere si fonda anche e soprattutto nella ripetitività dei suoi tratti caratteristici che devono essere comuni a tutti i film (qualità) che devono essere riscontrati in un corpus sufficientemente ampio di film (quantità). Come osserva Rick Altman

sia per gli aspetti intratestuali che per quelli intertestuali, i film di un certo genere utilizzano ripetutamente lo stesso materiale. Una frequente lamentela ‘visto uno, li hai visti tutti’ ben ne descrive la natura ripetitiva8.

Infine, aspetto che in questa analisi occupa un posto piuttosto rilevante, bisogna sottolineare che si tratta di una categoria astratta per quanto i criteri che determinano l’insieme dei film di riferimento anche differenziale dei generi si basano sulla presenza di elementi concreti interni al film o con i quali i film sono costruiti. Non dimentichiamo tuttavia la dimensione “contrattuale” dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

5 R. ALTMAN, Film/Genere, cit., p. 318.

6 R. MOINE, Les genres du cinéma, 2° ed., Armand Colin, Parigi 2015 p. 7.

7 Ivi, p. 8: “L’ensemble des traits communs qui constituent le genre découle de fait du repérage de ces traits dans nombreux films, dont la qualité seule permet de reconnaître la ressemblance”.

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generi formulata da Francesco Casetti: “Il genere è quell’insieme di regole condivise, che consentono all’uno (l’autore) di utilizzare delle formule comunicative stabilizzate e all’altro (destinatario) di organizzare un sistema di attese. Si tratta di una sorta di patto tra emittente e destinatario del messaggio”9. Di che patto stiamo parlando? Cosa succede nello spettatore di un film di genere? Cosa fa il genere? Il genere gestisce in modo organizzato e programmatico quell’interazione dinamica costituita – nei termini di Iser – da una dialettica di aspettative e ritensioni e gestisce la fruizione di un film in modo che l’orizzonte di attesa dello spettatore preveda certe combinazioni di aspettative e ritensioni. In un film di cappa e spada lo spettatore si aspetterà di vedere degli scontri tra personaggi all’arma bianca e vorrà sapere chi sarà il vincitore dello scontro, ma non si aspetterà certo di vedere delle astronavi planare sulla testa dei duellanti per risolvere la situazione10.

È interessante notare come questo sistema organizzato di aspettative e ritensioni imposto dal canone del genere, nonostante sia – per la natura necessariamente ripetitiva di quest’ultimo – talmente esperito da diventare (si passi l’ossimoro) un’inconscia consapevolezza o sia ormai nota al pubblico, funzioni ad ogni sua manifestazione secondo il “patto” con lo spettatore. Chi va al cinema a vedere un film horror di certo non si aspetta quella spassosa esperienza che potrebbe avere davanti ad una commedia francese, va consapevolmente al cinema per provare paura, angoscia e agitazione. Eppure, quando – per esperienza – sa che da quell’inquadratura in piano medio sul personaggio è tagliato fuori il pericolo (il mostro, l’assassino che sia…) che potrebbe comparire da un momento all’altro, lo spettatore prova un senso di ansia e agitazione e trasalisce nel momento in cui quel !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

9 F. CASETTI, Teorie del cinema. 1945-1990, Bompiani, Milano 1993, p. 292.

10 A tal proposito ritengo opportuno ricordare il fenomeno della mescolanza e dell’ibridazione dei generi. Per esigenze del sistema culturale di cui fa parte anche il cinema, vige la tendenza ad utilizzare categorie descrittive quali i generi cinematografici per una migliore gestione del corpus di opere prodotte dall’industria cinematografica, da cui deriva la tendenza a concepire i generi come entità astratte impermeabili e identiche a se stesse. Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti. Oltre al fatto di essere categorie variabili diacronicamente come osserva Tzvetan Todorov (I generi del discorso, La Nuova Italia, Firenze, 1993, p. 47) “un nuovo genere è sempre la trasformazione di uno o diversi vecchi generi”, fin dalle origini, il cinema è stato caratterizzato dall’incrocio e dalla permeabilità dei generi, che si riscontrano in modo particolarmente accentuato e diffuso nel cinea post-moderno. Raphaëlle Moine identifica quattro possibili ragioni all’origine dell’ibridazione dei generi (Raphaëlle Moine, Les genres du cinéma, 2° ed., Armand Colin, Parigi, 2015 pp.108-112): il fatto che siano categorie create a posteriori, per raggruppare una serie di film che condividono dei tratti comuni, ma che inevitabilmente presentano delle diversità; l’esistenza di categorie intrinsecamente eterogenee, che è alla base di qualsiasi operazione classificatoria; la permeabilià che caratterizza qualsiasi genere, un fattore che determina l’interazione tra generi molto diversi; e infine una ragione economica secondo la quale un film appartenente ad un genere unico possa potenzialmente restringere il pubblico potenziale. Quest’ultima ragione è secondo la Moine il fattore principale che ha influenzato la produzione della Nuova Hollywood a partire dagli anni ’60. Pensiamo in effetti al successo di film come Taxi Driver (Martin Scorsese 1976) che costruisce un’opera originale traendo spunto dal genere noir, dal western, dall’horror splatter, dal thriller, dal giallo; pensiamo a

Alien, capolavoro di Ridley Scott del 1979 che coniuga alla perfezione fantascienza e film dell’orrore con una final girl

che ritroviamo negli episodi successivi; pensiamo alla pietra miliare del cinema contemporaneo, Blade Runner (1982), che in un’ambientazione fantascientifica ambienta un thriller poliziesco dai toni particolarmente noir. Un ultimo eclatante esempio tra i numerosi del cinema post-moderno potrebbe essere infine la saga di Star Wars (dal 1977 ad oggi), nella quale si possono individuare una gran quantità di elementi attinti da generi diversi da quello di fantascienza: diverse scene, temi e motivi melodrammatici; i duelli acrobatici con le spade laser ripresi dai film di cappa e spada; i battibecchi tra Ian Solo e la principessa Leia dalle screwball comedy; alcune gag da slapstick comedy e così via.

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pericolo si palesa, di solito in modo improvviso. La natura ripetitiva e accumulativa dei film di genere li rende inevitabilmente prevedibili nel loro sviluppo, ma il “patto” va ben oltre questa realtà.

Per lo spettatore il piacere del film deriva più dalle riconferme che dalle novità. Le persone guardano i film di genere per partecipare a eventi che sembrano in qualche modo familiari: sono in cerca di emozioni forti, scene eccitanti, situazioni inediti e nuovi dialoghi, ma, come chi si reca in cerca d’avventura a un parco di divertimenti, preferiscono vivere emozioni in un ambiente controllato e riconoscibile. La suspense in questi film è quasi sempre apparente: per vivere le forti emozioni del film dobbiamo per un attimo fingere di non sapere che l’eroina sarà salvata, l’eroe liberato e la coppia riunita11.

Riconfermare il familiare: come vedremo entrando più nel dettaglio nella materia della parodia, sarà un aspetto decisamente ambiguo e oggetto di accese discussioni della critica che fin dai tempi dei formalisti russi si chiede se la parodia è una pratica anarchica e sovversiva o di riconferma dell’ordine costituito.

I.2 Un approccio semantico/sintattico/pragmatico

Ma è possibile operare una distinzione netta e precisa tra un genere e l’altro? Così come in letteratura, i generi cinematografici sono categorie ben più permeabili di quanto siamo portati a pensare. A tal proposito è sicuramente interessante la proposta avanzata dal teorico della letteratura Jean-Marie Schaeffer di distinguere dei livelli di differenziazione per la costruzione e l’identificazione dei generi nella sua opera Qu’est-ce que un genre littéraire?12. Egli distingue: il livello dell’enunciazione (che risponde alla domanda “chi parla?”, per esempio “un documentarista o un regista di film narrativi?”); il livello della destinazione (che rende conto del pubblico distinto dalla domanda “a chi si parla?, a cui si può rispondere per esempio con “un pubblico di giovani/bambini”); il livello della funzione (che risponde alla domanda “per quale effetto?”, cioè per esempio far ridere o commuovere); ai livelli precedenti si uniscono il livello semantico (che fa riferimento ai temi, ai motivi ricorrenti, ai soggetti presenti nel film, come per esempio le scenografie, i personaggi o situazioni specifiche come il duello con arma da fuoco nel western) e il livello sintattico (che si riferisce alla forma, alle tecniche di montaggio e ripresa, all’uso delle luci, dei colori, delle inquadrature, come per esempio una ripresa in soggettiva in un thriller o in un horror).

Una proposta teorica di definizione dei generi che tiene conto di questi ultimi due livelli è quella della loro natura semantico-sintattica, formulata da Rick Altman nel suo studio sul musical !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

11 R. ALTMAN, Film/Genere, cit., p. 43.

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hollywoodiano e successivamente riformulato e migliorato. Ciò che emerge da questa teoria è che i generi sono costruiti sia da elementi semantici (personaggi, scenografie, ecc.) sia da elementi sintattici che organizzano la relazione tra gli elementi semantici 13 , i quali operano

contemporaneamente alla costruzione del canone del genere:

I mantain that these two categories of generic analysis are complementary, that they can be combined, and in fact that some of the most important questions of genre study can be asked only when they are combined.

Un approccio di questo tipo, come spiega Raphaëlle Moine, è funzionale ad uno studio diacronico dei generi letterari:

il semble […] que le modèle sémantico-syntaxique, précisément à cause de sa dualité, permette de rendre aussi compte des genres dans leur continuité historique: par exemple, des éléments sémantiques nouveaux peuvent se combiner avec les anciens et s’insérer dans la syntaxe du genre14.

E, similmente, come spiega lo stesso Altman,

a dual approach permits a far more accurate description of the numerous inter-generic connections typically suppressed by single-minded approaches. It is simply not possible to describe Hollywood cinema accurately without the ability to account for the numerous films that innovate by combining the syntax of one genre with the semantics of another. In fact, it is only when we begin to take up problems of genre history that the full value of the semantic/syntactic approach becomes obvious15.

A questo approccio gestito su due livelli Altman ha integrato in seguito un aspetto di non poca rilevanza, quello della pragmatica, trovandosi di fronte al relativismo della percezione dei generi, cioè il fatto che questi possano apparire in modo diverso a pubblici diversi e che ogni spettatore possa avere una percezione diversa degli elementi semantici e sintattici presenti in uno stesso film. “Assumendo l’esistenza di svariate tipologie di utenti – non solo gruppi di spettatori, ma di produttori, distributori, esercenti, agenzie culturali e molti altri ancora – la pragmatica riconosce che alcuni modelli familiari, come i generi, devono la propria esistenza a questa molteplicità”16.

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13 Vedi R. ALTMAN, “A Semantic/Syntactic Approach to Film Genre”, in Cinema Journal, Vol. 23, No. 3 (Spring, 1984), p. 10: “While there is anything but general agreement on the exact frontier separating semantic from syntactic views, we can as a whole distinguish between generic definitions which depend on a list of common traits, attitudes, characters, shots, locations, sets, and the like – thus stressing the semantic elements which male up the genre – and definitions which play up instead certain constitutive relationships between undesignated and variable placeholders – relationships which might be called the genre fundamental syntax. The semantic approach thus stresses the genre’s building blocks, while the syntactic view privileges the structures into which they are arranged”.

14 R. MOINE, op. cit., p. 59.

15 R. ALTMAN, “A Semantic/Syntactic Approach”, cit., p. 12. 16 R. ALTMAN, Film/Genere, cit., p. 317.

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In questa analisi della parodia del genere gothic horror in Young Frankenstein l’aspetto pragmatico dell’approccio proposto tra le conclusioni del libro di Altman (Film/Genere) sarà particolarmente utile nella misura in cui esso può coincidere con l’analisi della risposta estetica del lettore proposta da Iser. In particolare sarà molto utile analizzare quali elementi semantici e sintattici siano funzionali allo spettatore per procedere nel suo riconoscimento del genere e come la parodia utilizzi questi ultimi nella sua decostruzione del funzionamento del genere. Inoltre, la distanza temporale che separa i film su Frankenstein degli anni ’30 e Young Frankenstein permette già di problematizzare la questione della diversa fruizione in senso diacronico di uno genere, l’horror. Come mai in un film degli anni ’70 venivano percepiti come comici molti aspetti e tratti che film degli anni ’30 si proponevano come particolarmente spaventosi? Per entrare nel merito della questione è necessario avanzare alcune considerazioni sul genere dell’orrore, cui il romanzo di Mary Shelley prima e i film su Frankenstein poi appartengono.

I.3 Il repertorio del gothic horror

Chiunque abbia un minimo d’infarinatura di storia letteraria e abbia avuto esperienza di letture del terrore o di visioni di film dell’orrore non avrà troppa difficoltà a riconoscere l’appartenenza di un testo al genere gotico. Ricorriamo senza mezzi termini alle parole di David Punter:

Quando si pensa al romanzo gotico vengono subito in mente un insieme di caratteristiche: una certa enfasi nel descrivere il terrificante, una frequente insistenza sulle ambientazioni arcaiche, un uso cospicuo del soprannaturale, la presenza di personaggi estremamente stereotipati e il tentativo di dispiegare e perfezionare le tecniche di suspense letteraria sono le più significative. Usata in questo senso la narrativa gotica è la narrativa del castello infestato dagli spettri, delle eroine in preda a terribili terrori, del cattivo cupamente minaccioso, dei fantasmi, dei vampiri, dei mostri e dei licantropi. […] Un particolare atteggiamento verso il recupero della storia; un tipo peculiare di stile letterario; una versione di ‘irrealismo’ autocosciente; una maniera di rivelare l’inconscio; legami con il primitivo, il barbarico, il proibito: tutti questi significati si sono attaccati in modo o nell’altro all’idea della narrativa gotica, e il nostro attuale modo d’intendere il termine è di solito una difficile concatenazione di essi, in cui è presente un complicato influsso reciproco fra nessi storici diretti e una metafora in continuo mutamento17.

Come dargli torto? Non siamo forse stati abituati dagli scritti di Horace Walpole, Ann Radcliffe, Mathhew Lewis, C.R. Maturin e Mary Shelley a concepire proprio così la narrativa gotica? Eppure lo steso Punter puntualizza che il termine “gotico” è ben più complesso di quanto sembri, a partire dalla sua etimologia.

Letteralmente indica qualcosa che ha “a che fare con i goti”, con le popolazioni germaniche del Nord, cui per abitudine culturale viene attribuito il contributo più significativo al crollo dell’impero romano. Non c’è da stupirsi però che in epoca umanistica e rinascimentale gli scrittori non avessero !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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ben chiaro l’identità di queste pericolose popolazioni nordiche, descritte in modi molto diversi a seconda dei contesti sociali e soprattutto a seconda degli scopi culturali. Nel Rinascimento il termine “gotico” viene usato in ambito architettonico per indicare le caratteristiche chiese in stile nordico con arco a sesto acuto e questo particolare uso ebbe grossa influenza sulla stratificazione del significato di “gotico”. Infatti, già a partire dal XVIII secolo il termine “gotico” cominciò ad essere usato per indicare tutto ciò che apparteneva all’epoca medievale o a designare in modo generico tutto ciò che era antecedente alla metà del XVII secolo, cui era inevitabilmente legata la connotazione culturale della barbarie distruttiva che aveva messo in ginocchio un impero civilizzato. In seguito, a partire dall’Ottocento, “gotico” cominciò ad essere usato in collegamento con quella particolare arte così diversa dalle chiese in stile romanico, ma questa volta per descrivere i romanzi prodotti in quel periodo. Di conseguenza “gotico” poteva designare senza compromessi tutto ciò che era opposto all’ordine classico, alla misura, alla compostezza. A contribuire al successo del gotico in letteratura, architettura e nelle arti figurative fu un cambiamento radicale dei valori attribuiti a ciò che era appunto percepito come “gotico”. Per quanto questo cambio di direzione non sia individuabile con precisione sul piano cronologico, a partire dal XVIII secolo tutto ciò che era gotico divenne positivo, interessante, degno di essere approfondito, narrativizzato, raccontato, diffuso. Nel contesto inglese che conobbe alla fine del ’700 il movimento romantico, gli scrittori e gli artisti percepivano e sostenevano che

‘gotico’ equivaleva ad arcaico, a pagano, a quanto precedeva, o si contrapponeva, o resisteva alla costituzione di valori civilizzati e di una società ben ordinata […] [,che] i frutti del primitivo e del barbarico possedevano un fuoco, un vigore, un senso della magnificenza di cui la cultura inglese aveva tremendamente bisogno18.

Oltre alla narrativa gotica, che trovò il modo d’inserirsi facilmente nei gusti, nella poesia e nella prosa romantici, degna di nota è anche l’influenza sull’architettura: fiorì nel XVIII secolo un diffusissimo gusto per gli edifici medievali tra i quali va ricordata la costruzione della residenza gotica di Strawberry Hill di Horace Walpole, attualmente visitabile dopo il restauro, e di Fonthill di William Beckford, sfortunatamente non pervenuta a noi.

Come spiega lo stesso Punter, al gotico vanno riconosciuti due aspetti essenziali presenti nel corpus eterogeneo delle opere appartenenti a questo genere: in primo luogo la tendenza – contrapposta all’atteggiamento proposto da Wordsworth nella prefazione alle Lyrical Ballads19 – di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

18 Ivi, p. 15.

19 S. T. COLERIDGE, W. WPRDSWORTH, Wordsworth and Coleridge. Lyrical Ballads 1798, H. LITTLEDALE, H. FROWDE (ed. by), Londra 1911, pp. 232, 241-242: “I have proposed to myself to imitate, and, as far as is possible, to adopt the very language of men; and assuredly such personifications do not make any natural or regular part of that language. They are, indeed, a figure of speech occasionally prompted by passion, and I have made use of them as such; but I have endeavoured utterly to reject them as a mechanical device of style, or as a family language which Writers in

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sfuggire al linguaggio ordinario attraverso il gusto per l’esagerazione, la ricercatezza, l’artificio e la ricerca di uno stile impressionante che avvalorasse i contenuti (spesso e volentieri) violenti; in secondo luogo la presenza del soprannaturale, spiegato razionalmente o meno, di spettri, fantasmi, fenomeni fuori dal comune. La maggior parte degli scrittori più importanti a cavallo tra il XVIII e il XIX furono inevitabilmente influenzati da questi tratti caratteristici del gotico, dal fascino per questo genere vistosamente artificiale e artificioso. È interessante ai fini della nostra analisi riflettere sul successo e sul seguito che esso ha avuto: quanta narrativa del terrore può essere considerata erede del gotico? Quanti film dell’orrore? Secondo J.M.S Tompkins, studiosa importantissima per la rivalutazione del genere gotico, è al gotico che dobbiamo “l’intero apparato della suspense romanzesca; la complessità della trama era necessaria soltanto agli scrittori gotici, giacché solo per loro il procedimento di tensione e sollievo era un meccanismo narrativo essenziale”20. Cosa sarebbe effettivamente una storia del terrore, un film horror senza la suspense?

Le radici della narrativa gotica si possono individuare quindi in un generalizzato interesse per l’antichità, la rovina, il decadente; nella nascita di una poetica volutamente provocatoria in cui i nuovi protagonisti sono le oscurità dell’animo, la paura della morte così come l’impulso verso di essa, il desiderio perverso di raccontare realtà violente e perturbanti, il gusto del macabro e la predilezione di elementi simbolici del terrore e degli spettri dell’animo umano, l’inclusione di tematiche religiose e dell’attrazione verso conoscenze ed esperienze proibite; e infine nello sviluppo della teoria del sublime. Dopo i contributi di pseudo-Longino che nel suo Del Sublime (Περὶ Ὕψους) decantava i valori dell’imperfezione, dell’illimitato, del grandioso e dell’eccessivo, il contributo più importante è venuto dal saggio A Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful di Edmund Burke (1757), che per primo propose un collegamento tra il sublime e il terrore, elevando ufficialmente il terrore a dignità letteraria nonché allo status di oggetto di interesse e fascino per gli artisti romantici e per i loro successori.

Whatever is fitted in any sort to excite the ideas of pain and danger, that is to say, whatever is in any sort terrible, or is conversant about terrible objects, or operates in a manner analogous to terror, is a source of the

sublime; that is, it is productive of the strongest emotion which the mind is capable of feeling. I say the

strongest emotion, because I am satisfied the ideas of pain are much more powerful than those which enter on the part of pleasure. Without all doubt, the torments which we may be made to suffer are much greater in their effect on the body and mind, than any pleasures which the most learned voluptuary could suggest, or than the liveliest imagination, and the most sound and exquisitely sensible body, could enjoy. […] No

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! metre seem to lay claim to by prescription. […]But Poets do not write for Poets alone, but for men. Unless therefore we are advocates for that admiration which depends upon ignorance, and that pleasure which arises from hearing what we do not understand, the Poet must descend from this supposed height, and, in order to excite rational sympathy, he must express himself as other men express themselves. To this it may be added, that while he is only selecting from the real language of men, or, which amounts to the same thing, composing accurately in the spirit of such selection, he is treading upon safe ground, and we know what we are to expect from him.”

20 D. PUNTER, op. cit., p. 23, che a sua volta rimanda a Tompkins, The Popular Novel in England 1770-1800 pp. 249-250, 346.

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passion so effectually robs the mind of all its powers of acting and reasoning as fear. For fear being an apprehension of pain or death, it operates in a manner that resembles actual pain. Whatever therefore is terrible, with regard to sight, is sublime too, whether this cause of terror be endued with greatness of dimensions or not; for it is impossible to look on anything as trifling, or contemptible, that may be dangerous21.

Sebbene come osserva Mario Praz nel suo saggio introduttivo a Il monaco di Lewis il fascino del terrore e del mistero esistesse prima della seconda metà del Settecento, come dimostrano i romanzi ellenistici e i drammi elisabettiani22, è nella seconda metà del secolo che si verifica un radicale rovesciamento categoriale.

La scoperta dell’orrore come fonte di diletto e di bellezza finì per reagire sul concetto stesso della bellezza: l’orrido, da categoria del bello finì per diventare uno degli elementi propri del bello, dal bellamente orrido si passò per gradi insensibili all’orribilmente bello23.

Le riflessioni proposte da Burke nel suo libro furono un punto di riferimento fondamentale per gli scrittori e gli artisti successivi, nelle cui opere possiamo riconoscere innumerevoli elementi avanzati come esempi di fonti del sublime. Terrore, stupore, suoni inquietanti, odori fastidiosi, ma soprattutto elementi legati alla vista, oscurità, animali pericolosi, paesaggi maestosi, vecchi edifici in rovina, luoghi abbandonati, cimiteri e tanto altro ancora, tutti elementi che ricorrono nelle opere letterarie successive alla Philosophical Inquiry di Burke.

Ritornando dunque al nostro repertorio e al nostro fruitore del genere gotico, le premesse da cui lo stesso Punter comincia la sua rassegna enciclopedica e diacronica delle origini e della diffusione della narrativa gotica hanno comunque una propria ragione d’essere. Come fa un fruitore di un testo gotico a capire che si tratti di quel genere? Da cosa lo deduce? Come collega la presenza di un fantasma o delle rovine di un castello a quel particolare genere, senza esitazioni? In primo luogo credo che sia fondamentale la natura marcatamente visiva del genere: lo stesso Burke parla di un sentimento di “astonishment”24 provato dinnanzi a qualcosa, alla vista di qualcosa che suscita

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21 E. BURKE, “Of the Sublime”, “Terror”, in A Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime

and Beautiful, eBooks@Adelaide, The University of Adelaide Library, University of Adelaide.

22 M. PRAZ, “Il ‘romanzo gotico’ di Matthew Gregory Lewis”, in Il monaco, trad. di B. Fonzi, Einaudi, Torino 1970, p. XIII. Come esempio particolarmente calzante, Praz riporta la traduzione delle parole di Giulietta di Romeo and

Juliet (IV, I, 77 ss.): “Oh! Piuttosto che sposare il conte Paride…dimmi ch’io m’appiatti dove han nido le serpi;

incatenami insieme con orsi che ruggiscano, o chiudimi di notte in un rosario pieno zeppo di scricchiolanti ossa di morti, di putridi stinchi e di gialli crani scarniti, dimmi di entrare in una fossa recente, e di nascondermi insieme col mortoo nel ssuo stesso lenzuolo”. Molti altri esempi potrebbero essere attinti dal corpus shakespeariano, come per esempio diverse, truculente scene tratte da Titus Andronicus o altre dai tratti particolarmente goticheggianti da Macbeth.

23 Ivi, p. XV.

24 Vedi E. BURKE, ivi, “Of the Passion Caused by the Sublime”: “The passion caused by the great and sublime in

nature, when those causes operate most powerfully, is astonishment: and astonishment is that state of the soul in which

all its motions are suspended, with some degree of horror. In this case the mind is so entirely filled with its object, that it cannot entertain any other, nor by consequence reason on that object which employs it. Hence arises the great power of the sublime, that, far from being produced by them, it anticipates our reasonings, and hurries us on by an irresistible

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questo tipo di reazione. Si tratta di un genere che ritrova la sua forza nella descrizione di oggetti, luoghi e situazioni inquietanti, che spinge la fantasia dei personaggi (o anche dell’autore stesso) a formulare riflessioni angoscianti ed immagini mentali perturbanti vivide tanto quanto quelle reali: l’onnipresenza dell’oscurità, la ricorrenza di un imponente castello fatiscente, i corridoi ombrosi e impolverati, i sotterranei e le cantine lasciati a se stessi testimoni di atti violenti e efferati, la concretizzazione di sogni e angosce mentali, la comparsa di spettri, la presenza del soprannaturale, la presenza di elementi macabri, di cadaveri insanguinati. In questo senso ci spieghiamo il commento di Punter a proposito di The Monk di Matthew Lewis,

non è che ci venga chiesto, da parte di Lewis di credere al soprannaturale, questo è accettato: ci si chiede invece di vederlo davanti a noi, livido e imbrattato di sangue come un fantasma sulla scena. […] Lewis, portando un passo avanti il procedimento antirealistico, avvia la costruzione essenzialmente gotica di un mondo di narrazioni che si convalidano a vicenda e sono strutturalmente più ‘reali’ della stessa realtà25.

Inoltre, tanto essenziale per la riconoscibilità del genere gotico da parte del lettore/fruitore quanto paradossalmente compromettente per il genere in sé è la questione della ripetitività degli elementi costitutivi di quello che noi a posteriori chiamiamo genere. Dico di proposito a posteriori per render conto del fatto che, come dice Punter stesso, non è propriamente corretto parlare effettivamente di nascita del genere gotico, ma piuttosto di

una forma in cui confluirono un’immensa varietà di influenze culturali, da Shakespeare e Ossian, dal medievalismo al nazionalismo celtico. E a ciò concomitante è il fatto che la maggior parte degli scrittori più importanti del periodo che va dal 1770 al 1820 […] furono in una forma o nell’altra fortemente influenzati dal ‘gotico’. E non si trattò solo di un’accettazione passiva di quell’influenza: Blake, Coleridge, Shelley, Byron e Keats ebbero tutti un ruolo nella configurazione del ‘gotico’, nell’articolare un insieme di immagini del terrore che avrebbero esercitato una forte influenza nella storia letteraria successiva26.

Se da un lato, come visto nelle considerazioni avanzate sul genere nella prima parte di questo capitolo, una caratteristica essenziale è la presenza di un numero consistente di opere con tratti distintivi comuni, la natura ripetitiva del genere gotico rischia di esercitare un’azione opposta ai suoi contenuti. Gli elementi semantici (per ricorrere di nuovo ad Altman) ma anche gli elementi sintattici, le situazioni narrative, l’organizzazione della storia e l’abbondanza di descrizioni virtuosistiche fanno sì che le opere definibili come gotiche a lungo andare finiscano per sembrare la parodia di se stesse. Come possiamo spiegarcelo? Pensiamo per ora a quattro romanzi che hanno contribuito in modo significativo alla creazione del canone gotico: The Castle of Otranto di Horace !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! force. Astonishment, as I have said, is the effect of the sublime in its highest degree; the inferior effects are admiration, reverence, and respect”.

25 D. PUNTER, op. cit., p. 68. 26 Ivi, p. 91.

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Walpole (1764), The Mysteries of Udolpho e The Italian di Ann Radcliffe (1794 e 1797), The Monk di Matthew Lewis (1796). Solo in questi quattro esempi ritroviamo una serie di situazioni molto simili. In vista dell’analisi più cinematografica e dell’adattamento del genere gotico letterario al gothic horror cinematografico, si pensi quanto successo abbia avuto l’immagine dell’eroina (“final girl”), della protagonista vittima di costrizioni e violenze nelle relazioni e negli affetti per colpa di un antagonista brutale, violento, ambiguo e crudele. Isabella in Otranto è perseguitata dalla figura ambigua e minacciosa di Manfredi, che vuole a tutti i costi costringerla a sposarlo e lei, rimasta vedova all’inizio del romanzo, tenta di scappare; Emily in Udoplho non può seguire subito il suo cuore e sposare Valancourt per colpa della figura minacciosa di Montoni, che sposa sua zia e che costringe le due donne a stare nel castello di Udolpho; la relazione tra Ellena e Vivaldi non può realizzarsi per quasi tutto il corso di The Italian per opera del monaco Schedoni, capo dell’Inquisizione, che si frappone tra loro e tiene in prigionia la ragazza con cattive intenzioni, svanite dopo che scopre che è sua figlia; in The Monk il personaggio del monaco Ambrosio è il “trait d’union” delle due storie proposte nel romanzo, carnefice sia della sfortunata Antonia, vittima assoluta dei suoi repressi impulsi, sia indirettamente di Agnes, la cui relazione con l’amato Raymond viene ostacolata dalla prigionia a cui la costringe la Badessa per conto di Ambrosio.

Altro elemento ricorrente è la condizione di prigionia della protagonista, chiaramente in posti inquietanti, castelli, conventi, fortezze decadenti, cripte anguste: Emily è prigioniera nel castello di Udolpho; Ellena viene inizialmente tenuta in una casa abbandonata in riva al mare per essere in teoria successivamente uccisa e poi viene nascosta in un convento sempre da Schedoni; il corpo esanime di Antonia viene nascosto nella cripta del convento dove Ambrosio approfitta selvaggiamente di lei, proprio in quei sotterranei in cui Agnes viene rinchiusa e costretta a subire pesanti violenze. In questi luoghi di prigionia si verificano una serie di manifestazioni di forze soprannaturali che in alcuni casi vengono spiegate come in Udolpho, in cui la presenza nel castello di fantasmi, banditi e diavoli è dovuta al turbamento psicologico della protagonista che non sa distinguere la realtà dai suoi incubi. Troviamo dunque porte che si aprono e si chiudono senza un’evidente spiegazione, rumori, voci, urla la cui origine non è ben identificata, spettri, demoni, quadri e oggetti che si muovono da soli, influenza di forze demoniache. Le situazioni esasperatamente drammatiche e violente vengono rese ancor più inquietanti e straordinarie proprio dagli elementi soprannaturali, dalla perenne oscurità in cui si muovono i personaggi, dagli edifici diroccati e isolati27 (bastioni, torri, mura ricoperte di edera, grossi cancelli e pesanti portoni) e da dettagli macabri di cui si è nutrito ampiamente anche l’immaginario dei poeti romantici.

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27 Ivi, p. 73: “nella narrativa gotica, la distorsione della percezione causata dall’eccessiva sensibilità è posta in rapporto dialettico con l’ulteriore distorsione cagionata dall’isolamento sociale.. Personaggi già portati ad un giudizio erroneo si trovano tagliati fuori – in castelli, conventi, segrete – da quanto potrebbe aiutarli a correggere i loro errori”.

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Precursore autorevole del romanticismo è l’autore di Elegy Written in a Country Churchyard, Thomas Grey, cui dobbiamo la descrizione di un luogo isolato, silenzioso e misterioso come il cimitero di campagna:

The curfew tolls the knell of parting day, The lowing herd wind slowly o'er the lea, The ploughman homeward plods his weary way, And leaves the world to darkness and to me. Now fades the glimmering landscape on the sight, And all the air a solemn stillness holds,

Save where the beetle wheels his droning flight, And drowsy tinklings lull the distant folds; Save that from yonder ivy-mantled tower The moping owl does to the moon complain Of such, as wandering near her secret bower, Molest her ancient solitary reign.

Beneath those rugged elms, that yew-tree's shade, Where heaves the turf in many a mouldering heap, Each in his narrow cell for ever laid,

The rude forefathers of the hamlet sleep28.

Un’immagine che sta molto a cuore alla poetica gotica è l’ululare del vento che, assieme ai lampi che squarciano la notte, è diventato uno degli elementi letterari più vistosamente gotici. Lo ritroviamo The Destiny of Nations di Samuel Taylor Coleridge (1796), accostato all’immagine degli spiriti.

As through the dark vaults of some mouldered Tower (Which fearful to approach, the evening hind

Circles at distance in his homeward way)

The winds brathe hollow, deemed the plaining groan Of prisoned spirits…29

Anche in Queen Mab di Percy Bysshe Shelley (1813) il suono agghiacciante del vento fa risuonare di inquietudine e contribuisce alla connotazione e alla suggestione gotica di luoghi altrimenti innocui, cui però si accosta un dettaglio particolarmente macabro, quello dei vermi, divoratori delle rovine, del tempo e che ritroviamo anche in un suo altro componimento, The Triumph of Life:

Low through the lone cathedral’s roofless aisles

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28 T. GREY, Elegy and other poems, H. M. Caldwell (ed. by), New York 1901, pp. 1-2.

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The melancholy winds a death-dirge sung […] Today, the breathing marble grows above To decorate its memory, and tongues Are busy of its life: to-morrow, worms In silence and in darkness seize their poetry30

The Triumph of Life (1822), poema incompiuto da Shelley, concentra in esso una serie di elementi che rientrano in modo molto efficace in quello che sarebbe diventato l’immaginario gotico, popolato da fantasmi, mostri, vampiri e scheletri, simboli complessi e affascinanti di una morte tanto temuta quanto intrigante:

The earth was grey with phantoms, and the air Was peopled with dim forms, as when there hovers A flock of vampire-bats before the glare

Of the tropic sun, bringing, ere evening. Strange night upon the Indian isle: - thus were Phantoms diffused around; […]

[…] The old anatomies

Sate hatching their bare broods under the shade Of demon wings, and laughed from their dead eyes To re-assume the delegated power,

Arrayed in which those worms did monarchise Who made this earth their charnel… 31

Anche John Keats arrichì le sue poesie di immagini e dettagli particolarmente gotiche. Ricordiamo per esempio alcuni elementi particolarmente gotici del suo adattamento poetico della storia di Isabella da Messina (Isabella, or The Pot of Basil, 1818), tratta dalla novella del Decameron di Boccaccio32, come l’incontro con il fantasma di Lorenzo:

XXXV

It was a vision. – In the drowsy gloom, The dull of midnight, at her couch's foot Lorenzo stood, and wept: the forest tomb

Had marr'd his glossy hair which once could shoot Lustre into the sun, and put cold doom

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30 P. B. SHELLEY, The Poetical Works of Percy Bysshe Shelley, Mrs. Shelley (ed. by), Edward Moxon, Londra, 1840, p. 18.

31 Ivi, pp. 317-318.

32 La novella presenta già in sé una trama con elementi macabri e struggenti che verranno ripresi dagli scrittori romantici: l’apparizione del fantasma di Lorenzo, amante di Isabella ma ucciso dai fratelli di lei; il dissotterramento del cadavere di Lorenzo – un motivo che è presente anche nel Frankenstein di Mary Shelley –; la decapitazione del cadavere da parte di Isabella e le cure che ella offre ad un vaso di basilico in cui nasconde la testa dell’amato; la morte di Isabella per un amore mancato e per la brutalità dei suoi parenti.

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Upon his lips, and taken the soft lute

From his lorn voice, and past his loamed ears Had made a miry channel for his tears. XXXVI

Strange sound it was, when the pale shadow spake; For there was striving, in its piteous tongue, To speak as when on earth it was awake, And Isabella on its music hung:

Languor there was in it, and tremulous shake, As in a palsied Druid's harp unstrung;

And through it moan'd a ghostly under-song, Like hoarse night-gusts sepulchral briars among. XXXVII

Its eyes, though wild, were still all dewy bright With love, and kept all phantom fear aloof From the poor girl by magic of their light, The while it did unthread the horrid woof Of the late darken'd time,—the murderous spite Of pride and avarice,—the dark pine roof In the forest,—and the sodden turfed dell, Where, without any word, from stabs he fell33.

Un’immagine orrorifica si può trovare anche nell’incubo del cavaliere della poesia La Belle Dame Sans Merci (1819):

X

I saw pale kings, and princes too, Pale Warriors, death-pale were they all; Who cry’d – “La Belle Dame sans merci Hath thee in thrall!”

XI

I saw their starv’d lips in the gloom With horrid warning graped wide And I awoke, and found me here On the cold hill side34.

David Punter inoltre osserva la presenza ricorrente di figure simboliche nelle opere dei romantici inglese, quali il vagabondo, il vampiro e il ricercatore di una conoscenza proibita – figura nella quale peraltro rientra lo scienziato protagonista del romanzo di Mary Shelley – accomunati da “desideri che sono socialmente insaziabili, vale a dire che il loro appagamento porterebbe al

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33 J. KEATS, Isabella and The Eve of St. Agnes, Barlett, Boston 1908, pp. 25-26.

34 J. KEATS, Roses of romance from the poems of John Keats, Edmund H. Garrett (selected and illustrated by), Robert Brothers, Boston 1891, p. 18.

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disastro sociale, al pari della trasgressione dei confini tra il naturale, l’umano e il divino”35. Come Punter giustamente osserva:

Blake, Coleridge, Shelley, Byron e Keats trovarono tutti nel ‘gotico’ degli elementi da usare per i loro scopi particolari e, nel far così essi allargarono simultaneamente la sfera del ‘gotico’, rendendo esplicite certe connessioni che in precedenza erano state soltanto implicite. Ciò che inoltre fecero, in varie opere, fu di esprimere i principali simboli del terrore di un’epoca e, in gran parte proprio grazie a queste espressioni immaginative, quei simboli avrebbero avuto risonanza per tutto il XIX secolo36.

Ebbene, se quelle che vengono proposte e raccontate in poesia o in prosa sono situazioni fuori dall’ordinario, così folgoranti da suscitare un sentimento di “astonishment” in chi assiste, la loro eccezionalità è fortemente compromessa dal fatto di essere presenti e spesso ripetute tali e quali in un numero elevato di opere. Il diverso trattamento delle situazioni narrative e degli elementi semantici non è sufficiente a cancellare quel senso di artificiosità strutturale del gotico: l’esagerazione e l’enfasi con cui vengono raccontati i numerosi episodi, ad esempio, dell’esperienza di un fenomeno soprannaturale contrastano fortemente con l’eccezionalità che li dovrebbe caratterizzare. In altri termini, evidentemente, per esempio, l’incontro con mostri e fantasmi non è un avvenimento così fuori dal comune se lo riscontriamo in un gran numero di testi, anche se con riflessioni ed esiti differenti. Pertanto, la costruzione dell’evento straordinario, dell’immagine incredibilmente inquietante, dell’episodio terribilmente insolito e pertanto spaventoso e perturbante, così come la loro sublimazione da parte degli autori, si mostrano in tutta la loro artificialità: a lungo andare, a forza di ripetere situazioni analoghe e di descrivere uno spettro emozionale fatto principalmente di angoscia e paura, questo procedimento scivola nel ridicolo perché risulta particolarmente forzato rispetto ad un contesto che non è tanto unico quanto dovrebbe sembrare.

Il fatto che i testi ascrivibili al genere gotico, per la natura necessariamente ripetitiva dei generi, rischiano di diventare parodie di se stessi proprio perché si ritrovano a ripetere situazioni ed elementi che da unici ed eccezionali finiscono per essere semplicemente seriali è ben visibile in diversi testi contemporanei o successivi al periodo pre-romantico e romantico inglese37. In letteratura troviamo degli esempi utili in Northanger Abbey di Jane Austen (un romanzo minore dell’autrice, finito nel 1803 ma pubblicato solo nel 1818), in cui viene ridicolizzata l’ossessione per l’intrigo e per il pericolo che la protagonista Catherine trae dalla lettura di romanzi gotici e che applica senza filtri alla realtà da lei vissuta38, e in The Canterville Ghost di Oscar Wilde (pubblicato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

35 D. PUNTER, op. cit., p. 111. 36 Ivi, pp. 105-106.

37 Ringrazio il prof. Alessandro Grilli per le riflessioni a proposito di questo argomento.

38 Vedi E. AUERBACH, Searching for Jane Austen, The University of Wisconsin Press, Madison 2004, p. 89: “One turning point in the novel comes when Henry catches here there, realizes she has suspected his father of murdering his mother, and scolds her for being irrational: ‘If I understand you rightly, you had formed a surmise of such horror as I have hardly words to – Dear Miss Morland, consider the dreadful nature of the suspicious you have entertained. What

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in due parti in The Court and Society Review il 23 Febbraio e il 2 Marzo 1887), in cui il fantasma non riesce a spaventare in alcun modo i nuovi abitanti della casa, né con il suono stridente delle catene né con la sua apparizione nei corridoi né con la macchia di sangue in salotto, che viene prontamente lavata via. Nel cinema, oltre alla serie di film comici in cui Abbott e Costello (in italiano Gianni e Pinotto) incontrano diversi personaggi famosi della letteratura gotica (Hold That Ghost 1941, Abbott and Costello Meet Frankenstein 1948, Abbott and Costello Meet the Killer, Boris Karloff 1949, Abbott and Costello Meet the Invisible Man 1951, Abbott and Costello Meet Dr. Jeckyll and Mr. Hyde 1953, Abbott and Costello Meet the Mummy 1955), oltre a Young Frankenstein di Mel Brooks che è oggetto primario della nostra attenzione, l’altro esempio più famoso di parodia del genere gotico è la serie televisiva The Addams Family, andata in onda tra il 1962 e il 1964, tratta dalle vignette di Charles Addams e spesso paragonata ad un’altra serie televisiva andata in onda negli stessi anni e con lo stesso approccio comico-satirico, The Munsters. La natura forzata ed esasperata dei tratti caratteristici del genere gotico è la premessa imprescindibile di ciascun episodio della serie (nonché dei film realizzati dalla Paramount del 1991 e il sequel del 1993 con Raúl Juliá, Angelica Huston, Christopher Llyod e Christina Ricci), in cui mostri, forze soprannaturali, morti viventi, pratiche di tortura, dettagli macabri e disgustosi, magia nera, eccentricità dell’abitazione e della famiglia Addams, rigore tenebroso e lugubre di ciascuno dei suoi membri non solo vengono normalizzati all’interno del contesto familiare, ma diventano per i protagonisti uno stile di vita altamente desiderabile. Quel senso di ambigua repulsione e terrore nei confronti di tutto ciò che dovrebbe provocare (secondo il paradigma del genere gotico) e che provoca l’“astonishment” nei personaggi esterni al microcosmo familiare è completamente assente. Il dialogo presente nel primo episodio tra Gomez e Morticia può aiutarci a capire meglio l’approccio parodico della serie televisiva (09:57-10:28):

MORTICIA: Mi sbaglio o era un tuono? GOMEZ: Proprio così Morticia…

MORTICIA: Ahh che suono gradevole… è così rilassante! Ricordi la nostra luna di miele? GOMEZ: Quella prima notte nella Valle della morte?

MORTICIA: Era una sera come questa… GOMEZ: Oh Tisci…

MORTICIA: La luna era piena e i pipistrelli svolazzavano silenziosamente nel cielo… e quella grotta divina

GOMEZ: Come sei romantica Tisci…!

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! have you been judging from?’. Of course, Catherine has been judging from the gothic novels she has pored over rather than from common sense of her own observations of the abbey, with its contemporary funrnishings and renovated rooms. So far, we are ‘with’ Henry as he chastises Catherine. He has helped remove her blinders: ‘The visions of romance were over. Catherine was completely awakened’”.

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Così, in un semplice scambio di battute viene capovolto completamente il canone gotico: il tipico paesaggio che in un’opera letteraria di fine Settecento avrebbe rappresentato la scenografia inquietante e paurosa per un episodio soprannaturale o per una serie di elucubrazioni sulla natura effimera della vita umana destinata ad estinguersi in una macabra morte (vedi The Triumph of Life di Shelley citato poco sopra) diventa un contesto carico di sensualità, tanto da essere identificato come il luogo ideale per una luna di miele. Allo stesso modo la cantina diventa un luogo adatto alle “grandi occasioni” (Episodio II, 04:44), i cancelli si chiudono autonomamente, le piante carnivore sono curate amorevolmente, i giochi per bambini sono gli oggetti presenti nella sala delle torture, il maggiordomo di casa ricorda particolarmente da vicino la spaventosa creatura di Frankenstein.

Così come osserva Gérard Genette a proposito dell’epica che “per questa sua stereotipia formulare, non solo costituisce il bersaglio privilegiato dell’imitazione comica e dello sviamento parodistico, ma si trova costantemente al limite dell’autopastiche e dell’autoparodia involontari, quando addirittura non coincide con essi”39, lo stesso vale per il genere gotico. La ripetitività di elementi costitutivi determina una stereotipia che non corrisponde all’eccezionalità desiderata dei contenuti proposti e questo contrasto genera una involontaria autoparodia, prontamente ripresa da quei testi che invece si propongono in maniera programmatica di parodiare gli stilemi del genere. I.4 Dal testo gotico al film gothic horror

Il carattere marcatamente visivo dei tratti caratteristici del gotico lo rende particolarmente indicato per una trasposizione cinematografica. Ed è così che dagli albori della settima arte, il cinema ha ripreso la poetica, l’estetica nonché le singole opere della narrativa gotica per adattarle al grande schermo e per dare voce ai sentimenti negativi della psicologia umana e sociale.

Le angosce, i mostri dell’animo umano, le oscurità psicologiche furono l’oggetto privilegiato di un movimento artistico che prese forma dai primi anni del ’900 e che si sviluppò durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, prima nelle arti visive e successivamente anche nel cinema: l’Espressionismo tedesco. Il contesto storico-politico agli albori e durante la Repubblica di Weimar, con tutte le sue problematiche controverse e il marcato disagio sociale di una nazione uscita stremata e sconfitta dal conflitto mondiale, influenzò moltissimo la produzione cinematografica tedesca. In questo periodo infatti si formarono e si affermarono talenti riconosciuti a livello internazionale quali Paul Wegener (1874-1948), Robert Wiene (1873-1938), Friedrich Wilhelm Murnau (1888-1931) e Fritz Lang (1890-1970). Con film come Lo studente di Praga (Der Student

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von Prag)40, Il Golem (Der Golem, wie er in die Welt kam)41, Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari)42, Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens)43 ma anche con i film non propriamente horror di Fritz Lang come Il dottor Mabuse (Dr. Mabuse, der Spieler, 1922), Metropolis (1927) e M – Il mostro di Düsseldorf (M - Eine Stadt sucht einen Mörder, 1931), l’Espressionismo tedesco costruì le basi estetiche che influenzarono notevolmente la produzione hollywoodiana dell’orrore degli anni ’30. I forti contrasti di luci e ombre, le ambientazioni notturne, le immagini deformate, le riprese da angolazioni marcatamente asimmetriche, le scenografie geometriche, aspre e claustrofobiche non facevano che esasperare i contenuti dei singoli film: il tema faustiano dell’influenza del demoniaco sull’agire umano (Lo studente), la presenza di mostri pericolosi ripresi dalla mitologia continentale o filtrati attraverso di essa (Il Golem e Nosferatu), la manipolazione psicologica a scopi sinistri o violenti (Caligari e Mabuse), fino alla minaccia sociale rappresentata da perversi individui (sempre Caligari e M). I contenuti della letteratura gotica nonché l’insistenza sul senso di angoscia e paura corrispondevano simbolicamente al senso di oppressione socio-culturale e politica della Germania di quegli anni. Per quanto la tesi sostenuta da Siegfried Kracauer nella sua opera From Caligari to Hitler. A Psychological History of the German Film (1947), secondo cui molti dei film dell’Espressionismo tedesco avevano preannunciato l’avvento del nazismo, suoni piuttosto approssimativa e avventata, è vero che da essi traspare un profondo senso di disagio psicologico e sociale ed è interessante vedere che persino il cinema muto era in grado di veicolare con grande efficacia simili sentimenti socialmente diffusi.

L’influenza di questa estetica è particolarmente evidente nel contesto hollywoodiano degli anni ’30, dove artisti come Fritz Lang, Eric von Stroheim ma anche lo stesso Kracauer si spostarono per sfuggire al regime nazista. Come Michael V. Tueth osserva:

German expressionistic art and cinema, with its whiff of decadence and danger, greatly influenced Hollywood filmmakers in the 1930s, especially in the Hollywood renderings of the Frankenstein story and other horror films. Whale and others exploited the techniques of Fritz Lang and Erich von Stroheim in the extreme chiaroscuro, distorted camera angles, and technomodernism of the art direction of their films44.

Anche nel contesto americano successivo alla crisi del ’29, la letteratura gotica era capace di rendere conto della frustrazione e delle difficoltà sociali, anche ricorrendo ai mostri della narrativa !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

40 Diretto da Stellan Rye e prodotto da Paul Wegener, 1913.

41 Diretto da Carl Boese e Paul Wehener. De Il Golem furono realizzate tre versioni cinematografiche tra il 1914 e il 1920, ma a noi è giunta solo l’ultima del 1920.

42 Diretto da Robert Wiene, 1919.

43 Diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, 1922.

44 M. V. TUETH, Reeling with Laughter. American Film Comedies from Anarchy to Mockumentary, The Scarecrow Press, Plymouth UK 2012, p. 123.

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gotica, che vennero riproposti nei film dell’orrore di quegli anni. Fu la Universal a concentrarsi nel recupero di storie già esistenti e note, nonché ad avvalersi del talento di registi come Tod Browning e James Whale che nei loro rispettivi film Dracula e Frankenstein (1931) contarono sulla presenza scenica incisiva di Bela Lugosi (nei panni del Conte Dracula) e di Boris Karloff (nel ruolo della creatura di Frankenstein). Tra il 1931 e il 1933 vennero realizzati anche la raffinatissima versione di Dr Jekyll and Mr Hyde di Ruben Mamoulian, The Most Dangerous Game di Schœdsack e Pichel, Island of Lost Souls di Erle C. Kenton, White Zombie di Victor Halperin, The Mummy di Karl Freund e King Kong di Schœdsack e Pichel.

I.5 Il repertorio della parodia

“Satire is a lesson, parody is a game” (Vladimir Nabokov, Strong Opinions, McGraw-Hill, New York 1973, p. 75) Uno spettatore di Young Frankenstein più informato di un’ingenua e suggestionabile bambina, per conoscenza del regista o per esperienza pregressa di film parodici, si renderà presto conto di trovarsi davanti ad una parodia, una pratica sulla quale siamo chiamati a fornire qualche osservazione.

Gérard Genette s’interroga sull’origine della parodia riferendosi alle ipotesi di Octave Delepierre, dell’abate Sallier, di Giulio Cesare Scaligero, ma per quanto possa essere identificata come una pratica antica tanto quanto l’Iliade e l’Odissea, come un’ipotetica figlia della rapsodia, la risposta rimane non definitiva e la questione tutt’ora irrisolta. La prima menzione del termine “parodia” la troviamo nella Poetica di Aristotele, nel secondo capitolo: “Omero [rappresentò] per esempio [personaggi] migliori [di noi], Cleofonte simili [a noi], Egemone di Taso, che per primo compose parodie, e Nicocare, l’autore della Viliade, peggiori [di noi]”45. Aristotele nella sua opera procede con una classificazione dei generi letterari in relazione (pur sempre mimetica) al loro oggetto (nobiltà o bassezza dei personaggi e delle azioni) e al modo di enunciazione (drammatico o narrativo) e include dunque la tragedia (che parla di azioni e personaggi nobili in modo drammatico), l’epica (che parla di azioni e personaggi nobili in modo narrativo) e la commedia (che propone azioni e personaggi bassi in modo drammatico), lasciando incompleto lo schema. Non abbiamo ulteriori informazioni poiché non ci è giunto purtroppo il volume dedicato alla commedia, che presumibilmente avrebbe dovuto contenere informazioni sulla parodia. Dal passo citato del secondo capitolo possiamo inferire che la parodia non è definita da Aristotele come una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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ramificazione di un genere, ma piuttosto come un genere a sé per quanto minore rispetto agli altri. Fred Householder sembra essere dello stesso parere di Genette nel momento in cui definisce la parodia come una tecnica di citazione particolare, come un “narrative poem of moderate length, in epic metre, using epic vocabulary, and treating a light, satirical or mock-heroic subject”46. È infatti nel contesto epico che presumibilmente si sviluppa la parodia, tanto che il più antico esempio di parodia epica a noi noto e giuntoci completo è la Βατραχοµυοµαχία, "La guerra dei topi e delle rane ”, un poemetto di poco più di 300 versi.

Tuttavia, nonostante i pochi dati a nostra disposizione sull’archeologia della parodia, è quanto meno doveroso ricordare la figura che ha consacrato quasi tutta la sua produzione artistica alla parodia: Aristofane, il più famoso parodista (per quanto ci è dato di sapere) delle tragedie di Euripide. Quello che emerge dalle parodie aristofanee è la precisione e la sistematicità con cui egli parodiò i testi del tragediografo, con un metodo che non ha eguali nella storia letteraria antica (almeno rispetto a quella che ci è pervenuta) e che pertanto fornisce dati preziosi per lo studio della società e della cultura ateniese del V secolo. Quali fossero i suoi intenti e il suo atteggiamento nei confronti di Euripide e delle sue tragedie non lo potremo mai sapere con certezza e rimane tuttavia una domanda che non presenta una grande rilevanza scientifica. Tuttavia, dato il contesto in cui veniva proposta la commedia aristofanea, cioè davanti ad un pubblico dopo lo svolgimento di un ἀγών tragico, possiamo parlare quanto meno di regime ludico e non programmaticamente satirico, che nei termini di Genette “mira a essere una sorta di puro divertimento, un esercizio di distrazione privo di intenzioni aggressive o canzonatorie”47, in cui possono rientrare sia la parodia sia il pastiche.

Si tratta di una pratica che, dunque, è presente sin dall’antichità, sin dalle rappresentazioni teatrali della Grecia antica e che continua ad essere amata anche nella settima arte tutt’ora. Come Linda Hutcheon giustamente osserva nella sua analisi non si tratta di un fenomeno esclusivamente letterario48. Eppure, sia con l’individuazione dell’origine sia con la scelta di una definizione valida sussistono non pochi problemi.

Come osserva Margaret Rose, una delle principali voci negli studi sulla parodia, una definizione univoca di parodia potrebbe risultare limitante rispetto alla flessibilità di una pratica che presenta diverse accezioni:

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46 F. HOUSEHOLDER JR., “Parodia”, in Journal of Classical Philology, No. 39 (Gennaio 1994), p. 3-4. 47 G. GENETTE, op. cit., p. 32.

48 Cfr: “The fact that I have been using examples from different art forms should make clear my belief that parody in non-literary works is not just a transfer from the practice of literature, as Bakhtin, however, claimed it was (1978, 229-33). Its frequency, prominence, and sophistication in the visual arts, for example, are striking”, L. HUTCHEON, A

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