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Trasportatore GLUT-1: ruolo biologico e prospettive farmacologiche nel tumore pancreatico.

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Sommario

Introduzione ... 3

1 TUMORE AL PANCREAS ESOCRINO: GENERALITÀ ... 5

1.1 Epidemiologia ... 5 1.2 Fattori di Rischio ... 8 1.3 Anatomia Patologica ... 16 1.4 Predisposizione Genetica ... 17 1.5 Diagnosi ... 29 1.6 Resezione Chirurgica ... 34 1.7 Prognosi ... 35 2 CHEMIOTERAPIA ... 36 2.1 Terapia adiuvante ... 36

2.2 Dalla terapia adiuvante alla neoadiuvante ... 41

2.3 Terapia neoadiuvante nei pazienti con malattia resecabile ... 43

2.4 Terapia della malattia localmente avanzata potenzialmente resecabile ... 45

2.5 Terapia della malattia localmente avanzata ... 46

2.6 Terapia della malattia sistemica ... 50

2.7 Terapia di seconda linea ... 53

3 IL METABOLISMO DEL GLUCOSIO E IL SUO RUOLO NELLA PROGRESSIONE TUMORALE ... 54

3.1 Il metabolismo cellulare fisiologico ... 55

3.2 Il meccanismo di riprogrammazione metabolica nelle cellule tumorali: the warburg effect ... 56

3.3 La famiglia dei trasportatori del glucosio ... 58

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3.5 Target Antitumorali Nel Metabolismo Glicolitico: Inibitori Del Trasportatore

GLUT-1 ... 72

3.6 Prospettive future: un nuovo approccio terapeutico ... 80

Conclusioni ... 90

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Introduzione

Il tumore al pancreas rappresenta la quarta più comune causa di morte dovuta a neoplasia a livello mondiale, in Italia è responsabile del 6% dei decessi.

La prognosi infausta è essenzialmente dipendente dalle dimensioni del tumore e dalla possibilità di intervento chirurgico correlata, a sua volta, allo stadio del tumore.

In generale quindi, per i pazienti colpiti da cancro pancreatico la sopravvivenza a 1, 3, 5 anni è pari al 16, 5 e 4%, rispettivamente.

La chirurgia rappresenta ad oggi l’unico trattamento potenzialmente curativo, nonostante dai dati epidemiologici si evinca che solo il 20% dei pazienti con neoplasia pancreatica siano idonei alla resezione chirurgica radicale, a seguito della valutazione di fattori quali la localizzazione, le dimensioni e la stadiazione della massa tumorale. Attualmente, per migliorare il tasso di sopravvivenza e le chances di cura, nonché le qualità della vita e la palliazione dei sintomi, è dispensata ai pazienti una terapia sistemica adiuvante (chemioterapia e/o chemioradiazione) dopo il trattamento chirurgico. In alcuni casi, chemioterapia e/o chemioradiazione possono essere somministrate prima della chirurgia (terapia neoadiuvante) al fine di migliorare la probabilità di margini tumorali liberi nella resezione e prevenire la formazione di micrometastasi postoperatorie e recidive, in caso di tumore resecabile o borderline, e per tentare di ridurre le dimensioni della massa tumorale, rendendola resecabile, in caso di malattia localmente avanzata, incrementando così il tasso di interventi chirurgici radicali.

Complessivamente, l’intervento chemioradioterapico ha portato ad un incremento della sopravvivenza globale, ma con risultati ancora non del tutto soddisfacenti, tanto da

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stimolare la ricerca per un nuovo approccio terapeutico che potrebbe portare maggiori benefici nel trattamento di una così aggressiva neoplasia.

I recenti sviluppi ottenuti in questo campo vedono protagonista la famiglia dei trasportatori del glucosio GLUTs, con una particolare attenzione rivolta verso il trasportatore GLUT-1 e sono l’argomento su cui verte la presente tesi di laurea.

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1 TUMORE AL PANCREAS ESOCRINO: GENERALITÀ

1.1 Epidemiologia

1.1.1 Incidenza

Il cancro al pancreas è la quarta più comune causa di morte dovuta a neoplasia, nonostante la sua frequenza di incidenza sia al tredicesimo posto a livello mondiale

[Fang et al, 2013].

È stata evidenziata una distribuzione geografica nell’incidenza annuale di questo tumore, con i tassi più alti registrati negli USA, in particolare nella popolazione nera (12 per 100.000) e i più bassi registrati in Africa ed in alcuni Paesi dell’Asia (< 2); sebbene il Giappone, il quale ha visto un sostanziale aumento dei tassi di incidenza nell’ultima decade, oggi abbia risultati simili a quelli registrati negli USA.

Nella popolazione maschile europea il tasso di incidenza annuale varia tra 8.7 (Est) e 6.7 (Nord) per 100.000, mentre nella popolazione femminile tra 5.2 (Nord) e 4.6 (Ovest) [Parkin et al, 1997].

Il tasso di incidenza cresce rapidamente con l’avanzare dell’età: da 2 per 100.000/anno in pazienti di età compresa tra 40-44, a 67 per 100.000/anno in pazienti con più di 75 anni di età [Ferlay et al, 1999].

Nel 2015 in Italia erano attesi circa 12.500 nuovi casi di cancro al pancreas, circa il 3% di tutti i tumori incidenti tra maschi e femmine. Nelle donne oltre i 70 anni il tumore al pancreas è tra i cinque più frequenti (quinto posto, 6% dei casi), mentre negli uomini l’incidenza per tale neoplasia è in crescita.

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Importante è il gradiente Nord-Sud: rispetto all’Italia Settentrionale il Centro mostra livelli di incidenza pari a -14% nei maschi e a -17% nelle femmine, il Sud invece -21% e -24% rispettivamente [Aiom e Airtum, 2015].

1.1.2 Mortalità

In Europa il più alto tasso di mortalità si riscontra in Austria e Svezia (circa 11 per 100.000/anno), mentre nel Sud Europa (Spagna, Portogallo, Grecia) i tassi sono generalmente più bassi [Ferlay et al, 1999].

In Italia nel 2015 il cancro al pancreas, con il 6% dei decessi, entra tra le prime 5 cause di morte per tumore, al quarto posto nel sesso femminile (Tab. 1.1).

Rango Maschi Femmine Popolazione complessiva

1° Polmone (26%) Mammella (17%) Polmone (20%) 2° Colon-retto (10%) Colon-retto (12%) Colon-retto (11%) 3° Prostata (8%) Polmone (11%) Mammella (7%) 4° Fegato (7%) Pancreas (7%) Stomaco (6%) 5° Stomaco (6%) Stomaco (6%) Pancreas (6%)

Nelle popolazione di età compresa tra 50 e 69 anni occupa il quarto posto tra i maschi (6%) e il quinto tra le femmine (7%; in queste ultime anche nelle età più avanzate), anche se in queste è stata notata una significativa tendenza all’incremento negli ultimi anni (+ 0,9%).

Nelle Regioni del Nord sono stati registrati livelli superiori di mortalità (13,8 casi per 100.000 abitanti/anno negli uomini e 10,0 nelle donne) rispetto al Centro Italia (–26% in

Tabella 1.1 Prime cinque cause di morte per tumore più frequenti e proporzione sul totale dei decessi

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entrambi i sessi) e al Meridione (–26% e –28%, rispettivamente) [Aiom e Airtum,

2015].

1.1.3 Sopravvivenza

Il tumore al pancreas è una delle neoplasie a prognosi più sfavorevole: solo il 7% degli uomini e il 9% delle donne risultano vivi a 5 anni, senza sensibili scostamenti di prognosi negli ultimi 20 anni [Aiom e Airtum, 2015].

Dallo studio EUROCARE, basato su 31.312 casi europei [Faivre et al, 1998] la sopravvivenza a 1, 3 e 5 anni è risultata del 16, 5 e 4%, rispettivamente.

La sopravvivenza a 5 anni è migliore per i pazienti di età compresa tra 15-44 anni, con un 15% comparato ad un 6% o meno per pazienti di età da 45 anni in su, senza differenze di sesso.

Vista la rapidità dell’evoluzione della malattia e la difficoltà nella diagnosi, si ha una grande maggioranza di esiti negativi già entro i primi mesi dalla diagnosi, di conseguenza la speranza di vita nei sopravviventi si allunga sensibilmente con l’allontanamento nel tempo dalla data di diagnosi: la probabilità di sopravvivenza ad ulteriori 5 anni, per gli uomini, arriva al 24% per i pazienti vivi ad un anno dalla diagnosi e all’81% a 5 anni dalla diagnosi, mentre, per le donne, arriva ad un 23% e 76%, rispettivamente.

Non sono state osservate significative differenze tra le diverse aree geografiche nazionali [Aiom e Airtum, 2015].

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1.1.4 Prevalenza

La prevalenza, intesa come il numero di individui che vivono con una diagnosi di tumore al pancreas, come riscontrato nei registri dei tumori italiani [Micheli et al,

1999], è molto bassa: circa 10 persone ogni 100.000 [de Braud et al, 2004].

Il numero di persone affette da tale patologia è risultato pari a meno dell’1% di tutti i pazienti oncologici, direttamente collegabile con l’aggressività e la conseguente breve sopravvivenza associate al tumore al pancreas. Il 58% dei pazienti è, infatti, entro i 2 anni dalla diagnosi e solo il 26% oltre i 5 anni.

Sono complessivamente 69/100.000 abitanti le persone, oltre i 75 anni, affette da questa patologia (52 entro i 60-74 anni e 18 tra i 45 e i 59 anni).

Il gradiente Nord-Sud evidenzia la seguente prevalenza: 24 ogni 100.000 le persone al Nord-Ovest e al Nord-Est, 20 al Centro e 14 al Sud [Aiom e Airtum, 2015].

1.2 Fattori di Rischio

Il tumore al pancreas ha un’eziologia multifattoriale (Tab. 1.2).

La sua incidenza varia in funzione delle regioni e della popolazione, di fattori genetici e ambientali e dello stile di vita adottato dall’individuo. È fortemente età-dipendente e, di conseguenza, un aumento della longevità porterà, nella prossima decade, ad un aumento dell’incidenza globale di cancro pancreatico [Maisonneuve e Lowenfels, 2010].

Per molti fattori di rischio l’associazione con il tumore al pancreas è modesta, a differenza di altre neoplasie, rendendo così di difficile identificazione un gruppo ad alto rischio che potrebbe beneficiare dello strumento di screening [Maisonneuve e

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1.2.1 Tabacco

Il tabacco è il principale fattore di rischio per il tumore al pancreas e contribuisce per il 20-35% alla sua insorgenza [Iodice et al, 2008a; Lowenfels e Maisonneuve, 2004;

Lowenfels et al, 2001]; induce infatti una mutazione a livello del protoncogene K-Ras e

del sopressore del tumore p53, nonché un processo infiammatorio a carico del pancreas stesso [Jarosz et al, 2012; Duell, 2012].

Iodice et al. hanno stimato che il rischio relativo è di 1.7 e 1.2, rispettivamente per

fumatori correnti ed ex-fumatori e che dopo 10 anni dalla cessazione dell’uso di tabacco il rischio relativo stimato rimane ancora piuttosto elevato (1.48) [Iodice et al, 2008a]; benefici sostanziali si possono osservare solo dopo 15-20 anni dalla cessazione, dove il rischio diviene simile ai non fumatori [Bosetti et al, 2012a; Lynch et al, 2009; Bonelli et

al, 2003; Boyle et al, 1996; Ji et al, 1995].

1.2.2 Alcool

Inizialmente il consumo di alcool non era considerato un importante fattore di rischio per il tumore al pancreas, ma recenti studi, basati su individui che consumano una larga quantità di alcool, forniscono la prova che bere moderatamente o pesantemente può incrementare il rischio per questo tipo di neoplasia.

Da studi di meta-analisi e analisi combinate è risultato che il consumo giornaliero di ≥ 30g di alcool, o l’equivalente di > 3 bicchieri di qualsiasi alcolico, è associato, con forte evidenza, ad un incremento del 20% del rischio di tumore al pancreas [Genkinger et al,

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1.2.3 Caffè e Tè

In alcuni studi il consumo di caffè e di tè sembrano essere associati ad una minor incidenza di tumore al pancreas [Dong et al, 2011; Yu et al, 2011; Turati et al, 2012;

Genkinger et al, 2012; Chen et al, 2014], sebbene i loro effetti protettivi contro la

neoplasia non siano ancora stati validati [Genkinger et al, 2012].

1.2.4 Esposizione Ambientale

Il tumore al pancreas può essere correlato, con scarsa evidenza, a particolari lavori o esposizioni occupazionali.

Il maggiore fattore di rischio occupazionale è l’esposizione agli idrocarburi clorurati

[Ojajärvi et al, 2000; Ojajärvi et al, 2007], ma un aumento del rischio di sviluppo di

neoplasia, circa 2 volte maggiore, si riscontra anche in coloro che lavorano nella placcatura dei metalli, in particolare a seguito di esposizione di nichel.

1.2.5 Misure Antropometriche e Attività Fisica

Persone alte o obese hanno un rischio più elevato di sviluppare numerose forme di neoplasia; alcuni studi [Genkinger et al, 2011; Aune et al, 2012a; Emerging Risk

Factors Collaboration, 2012] hanno mostrato un incremento del 7-8% del rischio di

sviluppare tumore al pancreas per un aumento di 5 cm in altezza, risultati non confermati dallo studio della regione Asia-Pacifico [Ansary-Moghaddam et al, 2006]. Importante è anche l’associazione tra cancro al pancreas e Indice di Massa Corporea (BMI) [Jiao et al, 2010; Arslan et al, 2010; Aune et al, 2012b; Lin et al, 2013a;

Dobbins et al, 2013]; persone sovrappeso od obese presentano, con forte evidenza, un

incremento del rischio rispettivamente del 10% e del 20%, rispetto a persone normopeso

[Ansary-Moghaddam et al, 2006]; inoltre un aumento di 5 unità del BMI è correlato con

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influenzano l’insorgenza del tumore sono la circonferenza vita e il rapporto circonferenza vita/circonferenza fianchi [Genkinger et al, 2011; Aune et al, 2012b]. Ulteriori studi hanno dimostrato l’effetto protettivo dell’adiponectina sul cancro pancreatico: concentrazioni di adiponectina ≥ 4.4 µg/ml sono associate con una riduzione del rischio di ~40% [Bao et al, 2013].

1.2.6 Dieta e Alimentazione

L’alimentazione è il principale fattore eziologico per numerosi tipi di neoplasia e, per questo motivo, è soggetto di centinaia di studi epidemiologici.

In particolare, è stata analizzata la relazione esistente tra il consumo di frutta e verdura e il rischio di sviluppare tumore al pancreas, mettendo in risalto il ruolo protettivo di frutta (soprattutto del genere citrus) e verdura stesse, con una conseguente riduzione del rischio dal 30% al 40% per basso e alto consumo, rispettivamente [Bae et al, 2009;

Paluszkiewicz et al, 2012; Koushik et al, 2012].

Alcuni studi hanno invece confermato il legame tra il consumo di carne rossa e l’aumento del rischio di neoplasia pancreatica [Paluskiewicz et al, 2012; Larsson e

Wolk, 2012], mentre da altri è emerso che l’assunzione di carne trattata (50g/giorno) è

responsabile di un incremento del 20% del rischio di cancro al pancreas [Larsson e

Wolk, 2012]. Non sono state riscontrate associazioni con il consumo di pesce [Paluskiewicz et al, 2012; Qin et al, 2012], mentre è risultata importante l’associazione

tra una dieta ricca di folati e la riduzione del rischio di neoplasia pancreatica, anche se ad oggi ci sono ancora risultati discordanti [Larsson et al, 2006; Lin et al, 2013b; Tio et

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Ulteriori analisi hanno valutato la correlazione tra il consumo di soft drink e il rischio di neoplasia: l’assunzione di ≥ 250g/giorno di soft drink porta ad un aumento del rischio del 15-20% [Gallus et al, 2011; Genkinger et al, 2012].

Da 5 studi di meta-analisi è stata invalidata l’associazione tra indice glicemico, carico glicemico e rischio di tumore al pancreas [Gnagnarella et al, 2008; Barclay et al, 2008;

Mulholland et al, 2009; Aune et al, 2012c; Choi et al, 2012], mentre appare esserci una

modesta correlazione tra alta assunzione di fruttosio e cancro pancreatico (20% di rischio in più per un aumento nel consumo di fruttosio di 25g/giorno) [Aune et al, 2012

c].

1.2.7 Anamnesi Patologica Remota

Molte condizioni cliniche sono associate con il rischio di sviluppo di tumore al pancreas.

Studi dimostrano, con forte evidenza, che il diabete a lungo termine è correlato con un aumento ≥ 50% di tale rischio [Starup-Linde et al, 2013; Huang et al, 2014; Elena et al,

2013; Sasazuki et al, 2013; Bosetti et al, 2014 ], con risultati analoghi per gli individui

affetti da sindrome metabolica [Rosato et al, 2011; Esposito et al, 2012]. Altri studi

[Raimondi et al, 2010; Duell et al, 2012], invece, mettono in evidenza il legame tra

pancreatite (acuta e cronica) e tumore al pancreas (SRR=2,7), mentre da altri ancora emerge che per pazienti con pancreatite cronica il range di SSR varia tra 5,0 per pancreatite cronica di vecchia data a ≥ 70 per pancreatite ereditaria e tropicale.

Un passato di colecistectomia appare correlato con il 23% del rischio di cancro [Lin et

al, 2012], mentre una gastrectomia con il 50% [Gong et al, 2012; Bosetti et al, 2013];

risultati simili sono stati confermati per le infezioni di Helicobacter pylori

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Con scarsa evidenza è stato visto un legame tra eventi tromboembolici inspiegabili e tumore al pancreas [Iodice et al, 2008b], mentre l’allergia atopica e la febbre da fieno lo riducono del 20-30% con forte evidenza [Olson et al, 2013].

Infine è stata confermata l’associazione con l’infezione da virus dell’epatite B, con un rischio variabile tra 1.2 e 3.8 ed è suggerita anche una correlazione positiva (RR=1.2) con l’infezione da virus dell’epatite C [Wang et al, 2013; Luo et al, 2013; Li et al,

2013; Fiorino et al, 2013; Xu et al, 2013].

1.2.8 Farmaci

Numerosi studi hanno valutato i possibili effetti di farmaci comuni, quali aspirina, FANS, statina o antidiabetici orali come la metformina.

A differenza di aspirina [Rothwell et al, 2011; Bosetti et al, 2012b; Cui et al, 2014] e statina [Bonovas et al, 2008; Cui et al, 2012], per le quali non sono state trovate associazioni o comunque soltanto deboli, l’uso di metformina appare ridurre il rischio di tumore al pancreas tra i pazienti diabetici [Singh et al, 2013; Franciosi et al, 2013]. L’uso di insulina, invece, è correlato con un aumento del rischio di neoplasia [Colmers

et al, 2012].

1.2.9 Fattori Genetici Ed Ereditari

Sono stati individuati numerosi fattori genetici ed ereditari per il tumore al pancreas. Una storia familiare di tumore al pancreas positiva è associata con un aumento dell’80% del rischio di sviluppo di neoplasia [Permuth-Wey et al, 2009; Jacobs et al, 2010]. Il gruppo sanguigno AB0 è un fattore suscettibile allo sviluppo di cancro: con forte evidenza si ha un aumento del rischio variabile dal 30-40% per gli individui non aventi gruppo sanguigno 0 [Iodice et al, 2010; Risch et al, 2013].

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Mutazioni della linea germinale (BRCA1, BRCA2, PALB2, ATM, CDKN2A, APC, MLH1, MSH2, MSH6, PMS2, PRSS1 and STK11) sono associate con un elevato rischio di cancro pancreatico, spesso nell’ambito di una sindrome cancerosa familiare

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Livello di

associazione Fattori di rischio

Forza dell'associazione Grado Associazione

confermata Rischio alto

(RR≥ 2,0)

Storia di epatite cronica ++ Sì

Storia di trombosi idiopatica 0 No

Rischio moderato (RR= 1,5-1,9)

Fumo di tabacco ++ Sì

Diabete mellito ++ Sì

Uso di antidiabetici orali (no metformina) ++ Sì Storia familiare di tumore al pancreas ++ Sì

Sindrome metabolica 0 No

Rischio basso (RR= 1,1-1,4)

Obesità (alto BMI) ++ Sì

Infezione da epatite B ++ Sì

Infezione da epatite C 0 No

Gruppo sanguigno non AB0 ++ Sì

Alto consumo di alcol ++ Sì

Altezza e peso ++ Sì

Alti valori di circonferenza vita 0 No

Alto rapporto circonferanza vita/fianchi ++ Sì

Infezione da Helicobacter Pylori + Sì

Storia di gastrectomia ++ Sì

Storia di colecistectomia + Sì/No

Carne rossa 0 No

Carne trattata 0 No

Elevato consumo di glucosio 0 No

Nessuna associazione

Uso di aspirina ++ Sì

Uso di statine ++ Sì

Consumo di pesce ++ Sì

Consumo di soft drinks ++ Sì

Consumo di caffè ++ Sì

Consumo di tè ++ Sì

Indice e carico glicemico + Sì

Precedente uso di tabacco + Sì

Protezione bassa-moderata (RR= 0,5-0,9)

Allergia atopica ++ Sì

Uso di metformina + Sì

Alti livelli di adiponectina + Sì/No

Dieta ricca di folati + Sì/No

Alto consumo di frutta + Sì/No

Alto consumo di verdura 0 No

Tabella 1.2 Tabella riassuntiva dell'associazione tra fattori di rischio e tumore al pancreas

(Maisonneuve e Lowenfels, 2015).

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1.3 Anatomia Patologica

La classificazione di riferimento per i tumori del pancreas è dell’OMS (Fig. 1.1), ed è basata su:

i. Aspetto macroscopico: solido, cistico, intraduttale.

ii. Linea di differenziazione cellulare: duttale, acinare, endocrina.

iii. Profilo immunofenotipico, nei casi in cui la differenziazione non risulti evidente all’aspetto istologico.

Nella classificazione dell’OMS, le neoplasie sono distinte in tre gruppi a comportamento biologico differente: benigno, ad incerto potenziale di malignità (borderline) ed a comportamento maligno [Stocken et al, 2005].

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1.4 Predisposizione Genetica

1.4.1 Familiarità

Circa il 10% dei tumori al pancreas si manifestano in famiglie con almeno due parenti di primo grado affetti da tale neoplasia, prendendo così il nome di “cancro pancreatico familiare” (FPC) [Hruban e Zamboni, 2009].

Gli individui con una storia familiare di cancro pancreatico hanno una predisposizione da 2,3 a 32 volte maggiore del rischio di sviluppo di questa patologia, in funzione del numero di membri affetti in famiglia [Klein et al, 2004].

In alcuni FPC, l’aggregazione familiare del cancro al pancreas può essere dovuta a fattori ambientali o eventi stocastici, ma in altri casi può essere causata da suscettibilità genetica ereditaria [Yuen et al, 2015] .

In generale, il tumore al pancreas sporadico (non-familiare) e familiare presentano le stesse mutazioni (KRAS, CDK2A, TP53 e SMAD4) [Roberts et al, 2015] , anche se alcuni di questi sono causati da alterazioni genetiche ereditarie dei geni della linea germinale che portano ad un aumento significativo nel rischio di sviluppo di neoplasia. Questi geni includono BRCA1, BRCA2, PALB2 , p16/CDKN2A, ATM, STK11, PRSS1 e geni implicati nei processi di riparazione degli errori del DNA (come MLH1e MSH1).

I recenti progressi nella tecnologia del sequenziamento [Jones et al, 2009] hanno permesso di identificare PALB2 e ATM come geni suscettibili e responsabili del 3-5% dei casi di cancro pancreatico familiare [Jones et al, 2009; Roberts et al, 2012], mentre per un ulteriore 8-15% di pazienti affetti da FPC, l’incremento del rischio può essere attribuito ad altri 10 geni suscettibili tra cui, BRCA1, BRCA2, CDKN2A, MLH1,

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MSH2, MSH6, PMS2, PRSS1, STK11 e TP53 [Al-Sukhni et al, 2008; Mc Williams et

al, 2011; Kastrinos et al, 2009; Ruijs et al 2010]

Nonostante ciò, le basi genetiche che regolano la suscettibilità alla neoplasia per il restante 80-90% dei pazienti affetti da cancro pancreatico familiare rimangono ancora sconosciute.

In conclusione, lo studio delle alterazioni a carico della linea germinale è fondamentale per la valutazione del rischio di sviluppo di neoplasia, per l’iscrizione dei pazienti a rischio nei programmi di screening e per la diagnosi precoce di tumori pancreatici ed extra-pancreatici.

1.4.2 Alterazioni Genetiche e Patologia Molecolare

Dallo studio del genoma del cancro pancreatico sono emerse ben 63 alterazioni geniche, aventi come bersaglio cascate di segnalazione e processi cellulari, geneticamente alterati nel 67-100% dei tumori al pancreas [Jones et al, 2008].

Dopo l’analisi molecolare di numerosi campioni di tessuto neoplasico, è stato osservato che i geni e le tradizionali cascate del segnale conosciute sono coinvolti sia nei processi di tumorigenesi sia nell’efficacia del trattamento.

1.4.2.1 Inibitori della Via di Segnalazione di K-ras e della Cascata di Segnalazione

Mutazioni attivanti su K-ras sono state trovate nel 70-90% dei casi di tumore pancreatico.

K-ras è una proteina GTPasica appartenente alla famiglia delle proteine Ras, con attività oncogenica, attivante la proliferazione e inibente l’apoptosi attraverso le vie di trasduzione del segnale RAF/MEK/ERK e PI3K/Akt [di Magliano e Logsdon, 2013].

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Quando la proteina è attivata dal suo effettore, il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR), K-ras rilascia GDP in cambio di GTP, convertendosi così allo stato “on” e attivando una serie di eventi a cascata a valle, come Raf, MAP2K, MAPK e la cascata PI3K-Akt. Questi eventi sono generalmente di breve vita in virtù dell’intrinseca attività GTPasica della proteina Ras, che passa rapidamente allo stato “off”.

Le mutazioni che coinvolgono la proteina si verificano soprattutto sul codone 12, ma, in alcuni casi, anche sui codoni 13 e 61 e sono le più frequenti nei pazienti colpiti da neoplasia pancreatica [Almoguera et al, 1988].

In presenza di mutazione la proteina K-Ras assume una ridotta funzionalità GTPasica, causando un blocco nel legame con il GTP e uno stato “on” persistente, innescando, come conseguenza, una varietà di processi cellulari, tra cui trascrizione, trasduzione, progressione del ciclo cellulare, aumentata motilità e sopravvivenza cellulare, in aggiunta al suo normale coinvolgimento nell’induzione e nelle fasi precoci di tumorigenesi pancreatica [Wong e Lemoine, 2009].

In uno studio preclinico è stato osservato che il processo di farnesilazione, attraverso il legame con un isoprenoide farnesilico a 15 atomi di carbonio ad opera dell’enzima farnesil-transferasi, è un’indispensabile modificazione post-trasduzionale richiesta per l’attivazione di Ras, che permette alla proteina di essere attaccata alla membrana plasmatica per la trasduzione del segnale [Takashima e Faller, 2013].

La sintesi di un farmaco, il tipifarnib, inibitore della farnesil-trasferasi (FTI), non ha portato alcun miglioramento globale della sopravvivenza, né come singolo agente né in associazione a gemcitabina, in trial clinici di fase III [Van Cutsem et al, 2004]. Ciò può essere in parte spiegato dal fatto che K-ras può venire prenilata anche con un

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isoprenoide a 20 atomi di carbonio dall’enzima geranilgeranil-trasferasi, portando quindi alla sintesi di un nuovo inibitore.

La chemioterapia con i due inibitori somministrati in associazione è stata testata in trial di fase I, in combinazione con radioterapia, per tumori al pancreas localmente avanzati

[Martin et al, 2004]: l’inibizione della farnesilazione e la sensibilità alla radioterapia

sono state dimostrate sulle linee cellulari del paziente, ma ulteriori studi su tali farmaci sono stati interrotti a causa dei conseguenti effetti avversi cardiaci.

La proteina K-ras è un bersaglio difficile e, ad oggi, non ci sono inibitori disponibili da usare nella pratica clinica [di Magliano e Logsdon, 2013].

Un’eventuale nuovo approccio terapeutico vedrebbe la creazione di farmaci i cui bersagli molecolari siano rappresentati dai target a valle della via di trasduzione del segnale di K-Ras. Uno dei primi target soggetti ad inibizione è stato MAP2K: un trial clinico di fase II con l’inibitore CI-1040 non ha dimostrato un’attività antitumorale abbastanza marcata da giustificarne un ulteriore sviluppo [Rinehart et al, 2004], tuttavia, l’inibizione combinata di MAP2K e di un’altra chinasi (ad esempio EGFR) ha mostrato una certa efficacia in studi preclinici, tanto da suggerire che un tale approccio potrebbe ricoprire un ruolo di rilevabile importanza nella terapia del tumore al pancreas

[Jimeno et al, 2007; Takayama et al, 2008].

Un altro target molecolare è la proteina chinasi MEK. Il selumetinib, inibitore di MEK1/2, è una piccola molecola, assunta per via orale come singolo farmaco in pazienti con tumore al pancreas allo stadio avanzato, in studi clinici di fase II.

I risultati del trial hanno mostrato una sopravvivenza globale media di 5,4 mesi di selumetinib vs. 5,0 mesi di capecitabina, anche se complessivamente non sono state riscontrate differenze statisticamente significative [Bodoky et al, 2012].

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Il trametinib, un altro inibitore di MEK 1/2, è stato testato nel cancro al pancreas in combinazione con gemcitabina vs. gemcitabina + placebo in uno studio clinico multicentrico randomizzato di fase II, non mostrando nessun miglioramento significativo in termini di sopravvivenza globale [Infante et al, 2014].

Una nuova importante molecola è il rigosertib, innovativo poiché rappresenta il primo esponente della classe dei farmaci Ras-mimetici, oltre a partecipare all’inibizione di altre molteplici vie di segnalazione, come polo-like chinasi 1 e fosfoinositide-3-chinasi (PI3K). Il rigosertib è stato saggiato in combinazione con gemcitabina in pazienti naïve con adenocarcinoma pancreatico metastatico, in studi randomizzati di fase II/III, non portando a nessun miglioramento in termini di risposta o di sopravvivenza, così come recentemente confermato al Meeting Annuale ASCO 2015 [O’Neil et al, 2015].

1.4.2.2 Inibitori della Via di Segnalazione di EGFR

Il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) è un recettore transmembrana, membro della famiglia ErbB, con un dominio tirosin-chinasico attivato da numerosi ligandi, tra cui il fattore di crescita epidermico (EGF), il fattore di crescita tumorale α (TGF-α), il fattore di crescita EGF-simile legante l’eparina (HB-EGF), l’anfiregulina, l’epiregulina, la betacellulina e la neuregulina [Karanikas et al, 2016].

A seguito del legame con il suo ligando, si verifica un processo di omodimerizzazione o eterodimerizzazione con un altro membro della famiglia ErbB, che porta alla fosforilazione del residuo di tirosina nel dominio intracellulare [Wong e Lemoin, 2009]. EGFR è coinvolto in meccanismi di regolazione del ciclo cellulare, adesione, sopravvivenza e differenziazione, attraverso l’attivazione di vie di trasduzione del segnale quali Ras/MAP chinasi, fosfatidilinositolo-3̍-chinasi (PI3K)/Akt, Janus chinasi/Stat e fosfolipasi C/proteina chinasi C.

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Tra i meccanismi che portano ad un’erronea attivazione di EGFR troviamo mutazioni attivanti, sovraespressione del recettore (in circa il 90% dei campioni studiati), sovraespressione dei ligandi (EGF e TGF-α) e/o perdita delle loro vie di trasduzione del segnale regolatorie negative [Korc et al, 1992; Bloomston et al, 2006].

Erlotinib è un inibitore tirosin-chinasinco (TKI) che compete con l’ATP per il legame con il dominio chinasico, andando così a bloccare la trasduzione del segnale a valle. In un recente trial clinico randomizzato di fase III, 569 pazienti naïve, affetti da adenocarcinoma pancreatico localmente avanzato o metastatico, sono stati trattati con gemcitabina + placebo o gemcitabina + erlotinib.

La sopravvivenza globale mediana (mOS) e la sopravvivenza libera da progressione (PFS) erano modeste ma statisticamente significative (6,24mesi vs. 5,91mesi; p=0,038 e 3,75mesi vs. 3,55mesi; p=0,004, rispettivamente) [Moore et al, 2007], tanto da diventare, nel 2005, la prima terapia target approvata dall’FDA per il tumore al pancreas, nonostante il suo rapporto costo/beneficio sia molto criticato [Grubbs et al,

2006].

Di poco importanza è gefitinib, il quale non ha ottenuto risultati promettenti come erlotinib [Fountzilas et al, 2008], così come cetuximab, un anticorpo monoclonale che agisce legando il dominio extracellulare di EGFR, che nonostante gli incoraggianti risultati in trial di fase I, si è dimostrato fallimentare circa ogni miglioramento di sopravvivenza (studi clinici di fase III su pazienti colpiti da carcinoma pancreatico localmente avanzato o metastatico) [Philip et al, 2010].

Nessun effettivo risultato, inoltre, è stato visto in studi di fase II in combinazione con gemcitabina e radioterapia ad intensità modulata o con cisplatino [Cascinu et al, 2008;

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Munter et al, 2008]. Sono tuttora in corso trial clinici di fase II con docetaxel e

irinotecano [Burtness et al, 2008].

Un altro recettore tirosin-chinasico appartenente alla famiglia ErbB è il recettore Erb-B2 o HER-2, sovraespresso nell’11% dei casi di adenocarcinoma e responsabile della breve sopravvivenza [Kimura et al, 2006].

Il trastuzumab, un anticorpo monoclonale, è stato testato in associazione con gemcitabina su pazienti colpiti da cancro pancreatico metastatico con marcata sovraespressione di HER-2, riportando purtroppo solo responsi parziali, con risultati in solo il 6% dei casi [Safran et al, 2004]. Scoraggianti sono anche i risultati di uno studio multicentrico di fase II che prevedeva la somministrazione di trastuzumab in associazione con capecitabina [Harder et al, 2012], rispetto alla terapia standard

[Karanikas et al, 2016].

Recentemente lapatinib è stato approvato dall’FDA e sono iniziati trial clinici al fine di testare la sua efficacia come inibitore HER-2 in combinazione con chemioterapia nel tumore al pancreas; promettenti sono stati i risultati preliminari di studi di combinazione con capecitabina come trattamento di seconda linea nel trattamento nel tumore al pancreas avanzato, nonostante siano necessari ulteriori sperimentazioni per verificare l’effettiva efficacia e il ruolo di tale molecola nel trattamento di questa neoplasia

[Safran et al, 2008].

Un altro anticorpo monoclonale anti-EGFR , nimotuzumab [Su et al, 2014], ha ottenuto una sopravvivenza libera da progressione ad 1 anno di 10,3% e una sopravvivenza globale mediana di 18,1 settimane con una tossicità tollerabile [Strumberg et al, 2012]. Afatinib, un altro inibitore tirosinchinasico di EGFR, HER-2 e HER-4, è in corso di valutazione in studi clinici di fase II [Ioannou et al, 2011].

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1.4.2.3 Inibitori del Processo di Angiogenesi

Il processo di neoangiogenesi è essenziale per la crescita di tumori solidi e per il meccanismo di metastatizzazione.

Il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), stimolato da condizioni di ipossia, altri fattori di crescita o proteine oncogeniche come TGF-β, Ras, EGF, è il responsabile della stimolazione della proliferazione cellulare e risulta sovraespresso nel 90% dei tumori al pancreas [Seo et al, 2000].

Bevacizumab è un anticorpo umanizzato contro VEGF, approvato come trattamento terapeutico in pazienti colpiti da cancro al colon retto; visti tali risultati positivi la molecola è stata oggetto di uno studio clinico di fase III sul tumore al pancreas avanzato non mostrando purtroppo nessun miglioramento in termini di sopravvivenza in combinazione con gemcitabina [Kindler et al, 2007].

Lo studio AVITA (BO17706) di fase III su pazienti con cancro pancreatico metastatico ha riportato che l’associazione di bevacizumab con gemcitabina ed erlotinib non prolunga significativamente la sopravvivenza globale ma porta ad importanti miglioramenti sulla sopravvivenza libera da progressione [Vervenne et al, 2008].

Successivamente, altri trials hanno testato l’efficacia di bevacizumab in combinazione con altri agenti o altre modalità di trattamento per il tumore al pancreas, ma con risultati non sufficienti a giustificare l’autorizzazione per questo scopo.

Il fallimento di bevacizumab nel trattamento terapeutico per il cancro pancreatico ha evidenziato la possibilità che gli inibitori angiogenici potessero avere altri target oltre la via di trasduzione di VEGF e che potessero, quindi, avere un migliore accesso al tumore rispetto ad un anticorpo.

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Sorafenib è un inibitore chinasico multitarget, attivo su VEGFR (VEGF-R2/VEGF-R3), sul recettore per il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR-β) e su Raf-chinasi, molecole implicate nei processi di angiogenesi e crescita tumorale. Nel 2005 il farmaco è stato approvato per il trattamento del carcinoma renale avanzato, ma uno studio di fase II ha concluso che, sebbene la buona tolleranza, il Sorafenib è inefficace in pazienti con cancro pancreatico avanzato [Wallace et al, 2007].

Axitinib, un inibitore di VEGFR e di altri recettori tirosin-chinasici ad alte concentrazioni, ha mostrato in studi clinici di fase II in pazienti con tumore al pancreas avanzato in combinazione con gemcitabina una sopravvivenza globale mediana di 6,9 mesi vs. 5,6 mesi per la sola gemcitabina, con differenze non statisticamente significative nel complesso [Spano et al, 2008]. Studi di fase III axitinib\gemcitabina sono in corso.

Aflibercept è una nuova proteina di fusione ricombinante con la porzione extracellulare di VEGFR-1 e VEGFR-2, che lega VEGF-A, VEGF-B e il fattore di crescita placentare 1 e 2, inibendo, in tal modo, la cascata dei segnali VEGF ligando-dipendente.

Tale molecola, come osservato su cellule pancreatiche, sembra in grado di inibire la crescita tumorale, tuttavia, in uno studio di fase III, volto all’analisi della sopravvivenza globale in pazienti con tumore al pancreas metastatico, somministrando gemcitabina con aflibercept o placebo non è stato riscontrato nessun miglioramento [Rougier et al,

2013].

È in via di sperimentazione un nuovo studio di fase II di chemioterapia combinata con un nuovo agente molecolare anti-angiogenico, come TL-118, un farmaco antiinfiammatorio non steroideo, o Necuparanib.

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1.4.2.4 Inibitori delle Vie di Segnalazione di mTOR And PI3K/Akt

Dopo l’attivazione mediante fosforilazione da parte di Ras, PI3K attiva Akt, una serina/treonina chinasi, che a sua volta ha molti target a valle, come il mammalian target of rapamycin (mTOR) e il fattore di trascrizione NFκB, i quali svolgono importanti ruoli nei processi di proliferazione cellulare, sopravvivenza, resistenza all’apoptosi, angiogenesi e invasione.

Le vie di trasduzione del segnale PI3K e Akt risultano attivate nel 20% e nel 59% dei tumori pancreatici, rispettivamente [Ruggeri et al, 1998; Schlieman et al, 2003].

Anche la deregolazione di questa via a seguito dell’espressione aberrante di PTEN (phosphatase and tensin homolog, un antagonista naturale di PI3K) è frequentemente osservato nel cancro pancreatico [Asano et al, 2004], così come la sovraespressione del fattore architetturale di trascrizione HMGA1 [Abe et al, 2000], che porta all’attivazione del segnale PI3K/Akt e sembra mediare la resistenza alla Gemcitabina [Liau e Wang,

2008].

Temsirolimus, un inibitore mTOR, è approvato per il trattamento del carcinoma renale, con uso limitato per il tumore al pancreas [Ito et al, 2006], mentre everolimus è stato somministrato come monoterapia a 33 pazienti con cancro pancreatico refrattari a gemcitabina ottenendo risultati di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale di 1,8 e 4,5 mesi, rispettivamente [Wolpin et al,2009].

In uno studio di fase II di everolimus in combinazione con capecitabina la sopravvivenza globale mediana è risultata essere 8,9 mesi e la sopravvivenza libera da progressione 3,6 mesi [Kordes et al, 2015].

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1.4.2.5 Via di segnalazione di TGF-β e SMAD4

TGF-β è una citochina secreta dalle cellule epiteliali, endoteliali, ematopoietiche e mesenchimali. Il legame di TGF-β con i recettori TGF-β di tipo I e di tipo II porta alla formazione di un complesso eteromerico, con conseguente fosforilazione delle SMAD2 e SMAD3 citoplasmatiche, le quali formano un complesso con la SMAD4, che trasloca all’interno del nucleo per attivare la trascrizione genica.

TGF-β media numerosi processi fisiologici come lo sviluppo dell’embrione, la riparazione dei tessuti, l’angiogenesi e l’immunosoppressione, inoltre riveste un ruolo molto importante della tumorigenesi, infatti da un lato può favorire la soppressione del tumore nelle cellule epiteliali, ma dall’altro promuove i processi di invasione e metastatizzazione negli stadi più avanzati di progressione del cancro.

Mutazioni a carico dei geni che codificano per TGFBR1, TGFBR2 e SMAD4 sono state trovate in circa l’1%, il 4% e il 50% dei tumori pancreatici, rispettivamente [Goggins et

al, 1998].

L’inattivazione di SMAD4 porta all’abolizione della funzione tumore-soppressiva di TGF-β, mantenendo, però, alcune risposte tumore-stimolanti, come la transizione epitelio-mesenchima, che rende le cellule migratorie e invasive [Levy e Hill, 2005].

1.4.2.6 p16

Il gene p16 è un inibitore delle cicline D-cdk4 e D-cdk6, il cui compito è la regolazione del ciclo cellulare [Liggett e Sidransky, 1998].

Circa il 95% dei pazienti con tumore al pancreas presenta una mutazione o una delezione del gene p16 [Hu et al, 1997; Wilentz et al, 1998], mostrando come esso sia strettamente implicato nel processo di sviluppo di patologie maligne a carico del pancreas stesso.

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L’inattivazione del gene p16 può essere causata da una mutazione intragenica di un allele accoppiata con la perdita di un altro allele, da una delezione omozigote oppure da una ipermetilazione nel promoter di p16 [Wilentz et al, 1998; Attri et al, 2005]. Secondo Attri et al, la metilazione aberrante del promoter è uno dei più comuni meccanismi di inattivazione del gene p16 (52%), seguito da una mutazione nella sequenza di codificazione (16%) e dalla delezione omozigote (12%). Queste alterazioni genetiche sono ben correlate con la perdita di espressione della proteina p16 [Attri et al,

2005] e partecipano a determinare il grado di aggressività dell’adenocarcinoma

pancreatico.

Dallo studio di Ohtsubo et al è stato visto che il tumore al pancreas è significativamente più diffuso e che la sua sopravvivenza è significativamente più breve in pazienti che presentano la mutazione a carico di p16 piuttosto che in pazienti con gene normale (p< 0,05) [Ohtsubo et al, 2003].

In maniera analoga, Hu et al avevano precedentemente affermato che la perdita nell’espressione di p16 nel cancro al pancreas può essere associata con il suo grado patologico ed è negativamente correlata con la sua sopravvivenza [Hu et al, 1997].

1.4.2.7 p53

La mutazione a carico del gene p53 è la più comune alterazione somatica nei tumori umani; esso infatti partecipa alla modulazione delle risposte cellulari a seguito di stress citotossici, contribuendo all’arresto del ciclo cellulare e alla morte programmata della cellula per apoptosi.

La perdita della funzione di p53 durante il processo di cancerogenesi può portare ad una incontrollata crescita cellulare, ad un aumento della sopravvivenza cellulare e all’instabilità genetica [Kirsch e Kastan, 1998].

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Il gene p53 soppressore dei tumori risulta inattivato nel 50%-75% dei casi di adenocarcinoma pancreatico, ma è raro in pazienti affetti da pancreatite cronica.

Inoltre, è stato visto che la mutazione del gene p53 e la sovraespressione dei suoi prodotti sono eventi frequenti nel processo di carcinogenesi pancreatica, ma non in pazienti con tumore al pancreas [Talar-Wojnarowska et al, 2002 e 2006].

Itoi et al. hanno osservato che l’immunostaining di p53 in associazione con gli esami

istologici di routine di EUS (endoscopic ultrasonography-guided biopsy) può migliorare l’accuratezza della diagnosi di adenocarcinoma pancreatico, con il 90% di sensibilità, 91% di specificità e 92% di accuratezza rispetto a 76%, 91% e 79%, rispettivamente, per la sola istologia [Itoi et al, 2005].

Purtroppo il ruolo prognostico di p53 per il cancro al pancreas è ancora controverso, così come la sua effettiva correlazione con una breve sopravvivenza per i pazienti affetti da tumore pancreatico.

1.5 Diagnosi

1.5.1 I Marcatori Sierici Tumorali

I biomarcatori sierici tumorali provvedono alla diagnosi precoce del cancro al pancreas, pur tuttavia avendo un ruolo limitato nello screening dei pazienti asintomatici.

L’antigene carboidratico CA19-9 è l’unico approvato dall’FDA come marcatore sanguigno per il tumore al pancreas [Fong et al, 2012], poiché è utile per valutare la risposta alla chemioterapia e diagnosticare precocemente eventuali recidive tumorali post-resezione.

Purtroppo, vista la bassa prevalenza di neoplasia pancreatica, rimane un mediocre strumento di screening: uno screening su più di 1000 pazienti ha trovato solo 4 casi di cancro al pancreas, 3 dei quali non più resecabili alla diagnosi [Fong et al, 2012].

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Inoltre, nonostante CA19-9 si possa considerare il marcatore più comunemente usato nella pratica di routine per la diagnosi di tumore al pancreas, alti livelli nel siero si possono trovare anche in caso di tumore gastrointestinale, cancro alle ovaie e in altre patologie non maligne [Zhang et al, 2016].

L’antigene carcino-embrionario CEA è un ulteriore marcatore sierico utilizzato per la prognosi di tumore al pancreas, nonché di cancro al colon, al seno e allo stomaco. I livelli di CEA sono significativamente collegati con la dimensione e la differenziazione del tumore e con metastasi linfatiche ed epatiche; la sensibilità e la specificità dell’antigene carcino-embrionario in caso di tumore al pancreas sono 83,78% e 69,44%, rispettivamente [Zhang et al, 2016].

La combinazione di CA19-9 con CEA porta ad una riduzione della sensibilità al 37%, ma favorisce un aumento della specificità all’84%, rispetto al solo CA19-9 [Gattani et

al, 1996].

I biomarcatori sierici CA19-9 e CA125 hanno la più alta sensibilità per la diagnosi preclinica di cancro al pancreas, perché, ad un 95% di specificità, il CA19-9 ha una sensibilità del 68% ad un anno prima della diagnosi e del 53% a 2 anni. Inoltre, l’associazione di CA19-9 e CA125 migliora la sensibilità perchè le concentrazioni di CA125 crescono in circa il 20% dei casi negativi per CA19-9 [O’Brien et al, 2015].

1.5.2 Biopsia

La biopsia è fondamentale per la diagnosi e deve essere effettuata prima dell’inizio di una terapia sotto guida ecoendoscopica, ecoguidata o TAC-guidata.

1.5.3 Imaging

Nel corso degli anni, le tecniche di imaging hanno rivestito un ruolo molto importante nelle fasi di diagnosi e di stadiazione del tumore al pancreas.

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Gli ultrasuoni transaddominali (US) sono la tecnica per immagini più ampiamente utilizzata grazie al basso costo, alla sicurezza e alla non invasività ed il suo utilizzo è fortemente consigliato come strumento di screening iniziale in caso di cancro pancreatico e per porre una diagnosi differenziale con altre patologie, soprattutto quando la malattia esordisce con la comparsa di ittero.

La metodica ha la forte limitazione di essere operatore-dipendente.

La valutazione del coinvolgimento dei vasi utilizzando il Doppler ha un’accuratezza dell’84% per l’asse porto-mesenterico e dell’87% per l’infiltrazione della parete arteriosa [Angeli et al, 1997].

L’ecoendoscopia è un’ecografia effettuata per via endoscopica; dà una più elevata definizione della parete gastro-duodenale e di tutte le strutture a stretto contatto con stomaco o duodeno, quali pancreas e vie biliari extra-epatiche.

È una metodica costosa ed ad oggi relativamente limitata, complementare alla TAC e alla RMN [Tylen, 1973].

La tomografia assiale computerizzata multislice (TAC) attualmente rappresenta l’indagine di scelta per la diagnosi e la stadiazione, con capacità di diagnosi di masse >2 cm, con una sensibilità dal 78-100%, con possibilità di fare la valutazione di resecabilità, di valutare l’infiltrazione vascolare, di evidenziare focolai peritoneali, epatici e polmonari.

La risonanza magnetica nucleare (RMN) si è dimostrata utile nella valutazione dell’infiltrazione peripancreatica, è in grado di diagnosticare tumori di minor dimensione rispetto alla TAC e può essere di ausilio ad essa nell’individuare la malattia extra-epatica.

La tomografia ad emissione di positroni (PET) trova indicazione nel follow-up [Zhang

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La colangiopancreatografiaretrogada endoscopica (ERCP) ha un ruolo limitato alla palliazione, dal momento che la colangiowirsung RMN offre vantaggi superiori

[Nallamothu et, 2011].

1.5.4 Staging

La prognosi e il trattamento dipendono fortemente dallo stadio del tumore al pancreas al momento della diagnosi.

La stadiazione si basa principalmente sulla “classificazione UICC (Union of International Cancer Control) TNM”.

I tumori al pancreas sono suddivisibili in 3 categorie: “tumori localizzati resecabili chirurgicamente”, “tumori localmente avanzati non resecabili”, “tumori metastatici”. Tra il primo e il secondo gruppo troviamo i “tumori resecabili borderline”, il cui trattamento chirurgico viene valutato attentamente in funzione del coinvolgimento di organi adiacenti e vasi (arteria celiaca, arteria epatica, vena porta, arteria e vena mesenterica superiore), [Vauthey e Dixon, 2009].

In passato tale suddivisione veniva definita al momento dell’esplorazione chirurgica, mentre oggi, grazie allo sviluppo delle moderne tecniche di imaging, sta divenendo sempre più disponibile la stadiazione preoperatoria.

1.5.4.1 Stadio I E Stadio II Di Tumore Al Pancreas Chirurgicamente Resecabile

Nello stadio I il tumore è localizzato al pancreas, senza coinvolgimento di organi adiacenti, vasi o linfonodi regionali; per tale motivo il trattamento di prima scelta è la rimozione chirurgica di tutto il tessuto tumorale riconoscibile.

Purtroppo, recidive tumorali si verificano nel 60-70% dei pazienti di stadio I con micrometastasi formatesi durante o dopo la resezione chirurgica.

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Per migliorare il tasso di sopravvivenza e le chances di cura è dispensata una terapia sistemica, detta “terapia adiuvante” (chemioterapia, chemioradiazione) dopo il trattamento chirurgico.

In alcuni casi, chemioterapia, chemioradiazione o entrambe in combinazione possono essere somministrate prima della chirurgia (si parla in questo caso di “terapia neoadiuvante”) per tentare di ridurre la massa tumorale e prevenire le micrometastasi post-operatorie e le ricadute [Cid-Arregui e Juarez, 2015].

1.5.4.2 Stadio III Di Tumore Al Pancreas Localmente Avanzato, Non Resecabile

Approssimativamente il 30-40% dei nuovi casi di tumore al pancreas diagnosticati sono classificati come stadio III: tumore localmente avanzato, non resecabile, non metastatico, con coinvolgimento di vasi sanguigni maggiori e linfonodi regionali.

Il trattamento chemioterapico per pazienti allo stadio III prevede 2-3 cicli di gemcitabina con successiva ristadiazione e, nei casi più favorevoli, chemioradiazioni

[Cid-Arregui e Juarez, 2015].

1.5.4.3 Stadio IV Di Tumore Al Pancreas Metastatico

Nei tumori al pancreas di stadio IV le metastasi si sono diffuse agli organi adiacenti (stadio IVa) o distanti (stadio IVb), come fegato, stomaco, milza e polmoni.

La rimozione chirurgica non è praticabile, ma la chirurgia palliativa potrebbe essere un’opzione.

Il trattamento chemioterapico standard si basa sulla gemcitabina, anche se ad oggi un miglioramento del tasso di sopravvivenza globale è stato ottenuto grazie a terapie combinate di gemcitabina ed erlotinib, S-1 e nab-paclitaxel, rispettivamente.

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Importanti risultati sul tumore al pancreas metastatico sono stati ottenuti con l’introduzione di un nuovo multifarmaco, il FOLFIRINOX, una combinazione di 5-fluorouracile, oxaliplatino, irinotecano e leucovorin [Cid-Arregui e Juarez, 2015].

1.6 Resezione Chirurgica

I dati epidemiologici indicano che solo il 20% dei pazienti con neoplasia pancreatica allo stadio iniziale sono idonei alla resezione chirurgica radicale [Shaib et al, 2007;

Hidalgo, 2010].

La procedura operativa viene valutata in funzione di fattori quali localizzazione, dimensione e stadiazione del tumore.

La procedura classica è la Whipple (pancreatoduodenectomia), la più comune operazione per tumori pancreatici a livello della testa e/o del collo del pancreas (60-70% dei casi), che prevede la rimozione della testa del pancreas, della curva del duodeno, della cistifellea e del dotto biliare. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni dopo pancreatoduodenectomia è del 25-30% con linfonodi negativi, 10% se positivi [Lim et

al, 2003].

Quando il tumore invade il corpo e la coda, è suggerita una pancreatectomia distale o totale. In circa il 35% dei pazienti con cancro pancreatico del corpo e della coda è stata osservata un’invasione dei tessuti circostanti, che hanno obbligato ad una resezione chirurgica estesa.

Per pazienti, invece, con cancro pancreatico localmente avanzato (LAPC) è fattibile una resezione multiviscerale.

Recenti pubblicazioni non hanno mostrato differenze significative in termini di mortalità (3%) o morbilità (35%) perioperatorie tra due gruppi di pazienti sottoposti a resezione standard o resezione multiviscerale [Hartwig et al, 2009; Sasson et al, 2002].

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L’approccio mini-invasivo con laparoscopia nella chirurgia resettiva pancreatica è di recente acquisizione ed ancora molto controverso; in aggiunta il suo utilizzo è limitato alla patologia benigna o borderline a localizzazione corpo-caudale.

A seguito del trattamento chirurgico è necessario un trattamento adiuvante con 5-Fluorouracile o gemcitabina e/o chemioradioterapia [Rossi et al, 2014], infatti numerosi studi [Kalser e Ellenberg, 1985; Neoptolemos et al, 2004] hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza globale con terapia postoperatoria.

La chemioterapia neoadiuvante è applicabile in numerosi pazienti, al fine di migliorare i margini chirurgici in tumori al limiti della resecabilità [Gillen et al, 2010; Lemmens et

al, 2011; Takahashi et al, 2013; Nanda et al, 2015].

1.7 Prognosi

La prognosi, in caso di tumore al pancreas, dipende essenzialmente dalle dimensioni del tumore e dalla possibilità di intervenire chirurgicamente, quest’ultima dipende, a sua volta, dallo stadio del tumore.

In generale, per i pazienti colpiti da cancro pancreatico la sopravvivenza a 1, 3, 5 anni è pari al 16, 5 e 4%, rispettivamente, e la sopravvivenza a 5 anni è migliore per i pazienti di età compresa tra 15-44 anni, con un 15% comparato ad un 6% o meno per pazienti di età da 45 anni in su e risulta uguale in entrambi i sessi [Faivre et al, 1998].

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2 CHEMIOTERAPIA

La chemioterapia e la radioterapia sono considerati trattamenti standard per l’adenocarcinoma pancreatico resecabile o non resecabile.

Sfortunatamente, la maggior parte dei pazienti continua a soccombere all’evoluzione della patologia ed ad avere prognosi infausta.

Fino a poco tempo fa, la chemioterapia era fortemente inefficace in termini di risposte obiettive, sopravvivenza o qualità di vita [Taylor, 1993; Lionetto et al, 1995], mentre oggi l’opinione circa il suo valore è drasticamente mutata ed è cresciuto l’ottimismo nei confronti di una chemioterapia sistemica grazie all’introduzione di nuovi farmaci e nuovi trattamenti, il cui scopo è il miglioramento della qualità della vita e la palliazione dei sintomi.

Recenti studi clinici hanno difatti confermato il ruolo e l’utilità della chemioterapia come importante strumento per il miglioramento delle condizioni dei pazienti malati

[Ahlgren, 1996; Schnall et al, 1996; Popescu et al, 1997].

2.1 Terapia adiuvante

Numerosi studi hanno dimostrato i benefici, in termini di sopravvivenza, dovuti alla terapia adiuvante a seguito di resezione chirurgica (Tab. 2.1).

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Studio Bracci No. pazienti Sopravvivenza mediana (mesi) P value per la sopravvivenza GITSG RT/5-FU 21 20 0,03 Obs 22 11 EORTC RT/5-FU 104 25 0,208 Obs 103 19 ESPAC-1 5-FU/LV 142 20 0,011 No chemo 147 16 RT/5-FU/LV 145 14 0,05 No RT 144 17 CONKO-001 Gem 186 23 0,01 Obs 182 20 RTOG RT/5-FU + 5-FU 230 17 0,09 RT/5-FU + Gem 221 20 ESPAC-3 5-FU 551 23 0,39 Gem 537 24

Tabella 2.1 Studi sulla terapia adiuvante per tumore al pancreas resecabile (Boyle et al, 2015).

2.1.1 Studio GITSG (Gastrointestinal Tumor Study Group)

Lo studio GITSG [Kalser e Ellenberg, 1985] ha posto le basi per definire accettabile il ruolo della chemioradioterapia nel trattamento del tumore al pancreas resecabile.

Il trial ha randommizato 43 pazienti sottoposti a precedente chirurgia microscopica radicale (R0) a sola osservazione o a chemioradioterapia postoperatoria con 40 Gy, con un’interruzione di 2 settimane dopo l’iniziale dose di 20 Gy, concomitanti a 5-FU in bolo, come radio-sensibilizzante, somministrati settimanalmente durante la radioterapia, per 2 anni.

Lo studio ha dimostrato un miglioramento in termini di sopravvivenza; la sopravvivenza globale mediana è risultata 20 mesi nel braccio sperimentale vs. 11 mesi nel braccio di

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osservazione, mentre il tasso di sopravvivenza a 2 anni è stata 42% nel braccio sperimentale vs. 15% nel braccio di osservazione (p=0,03).

2.1.2 Studio EORTC 40891 (European Organisation for Research and Treatment of Cancer)

Lo studio EORTC 40891 [Smeenk et al, 2007] ha randomizzato 218 pazienti con neoplasia ampollare e adenocarcinoma pancreatico a ricevere una schedula di chemioradioterapia adiuvante simile a quella precedentemente descritta, ma senza il trattamento con 5-FU per i 2 anni successivi, vs. sola osservazione.

Dopo un follow-up di 11,7 mesi non è stata osservata alcuna differenza statisticamente significativa tra i due bracci in termini di sopravvivenza libera da malattia (DFS) e sopravvivenza assoluta con la terapia adiuvante (mediana 17,1 mesi e 37% a 2 anni per il braccio sperimentale vs. 12,6 mesi e 23% per il braccio di sola osservazione, p=0,099).

Con un follow-up a lungo termine, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è risultato 25% vs. 22%, rispettivamente per il braccio sperimentale e per il braccio di sola osservazione. Una critica particolarmente rilevante mossa a carico di questo trial è stato l’arruolamento contemporaneo di 104 pazienti con tumori periampollari, i quali presentano una prognosi notoriamente migliore rispetto agli adenocarcinomi della testa del pancreas (restanti 114 pazienti).

Gli autori dello studio hanno quindi riportato un’analisi statistica sulla sopravvivenza dei due gruppi di patologia separati, rilevando una tendenza al miglioramento nella sopravvivenza a 2 anni con terapia adiuvante, rispetto sola chirurgia.

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2.1.3 Studio ESPAC-1 (Europeans Study Group for Pancreatic Cancer-1)

Lo studio ESPAC-1 [Neoptolemos et al, 2001] ha valutato, con un disegno fattoriale 2x2, l’efficacia della chemioterapia sistemica postoperatoria e della chemioradioterapia, con gli stessi schemi descritti per lo studio GITSG, in 289 pazienti sottoposti a chirurgia microscopica radicale (R0-R1).

Lo studio ha randomizzato i pazienti a sola osservazione, a sola chemioterapia sistemica adiuvante, a sola chemioradioterapia e a chemioradioterapia seguita da chemioterapia di mantenimento.

I risultati, con un follow-up mediano di 47 mesi, hanno evidenziato un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale nei bracci che hanno ricevuto chemioterapia associata o meno a chemioradioterapia, rispetto a quelli che hanno ricevuto solo chemioradioterapia oppure osservazione (20,1 vs. 15,5 mesi, p=0,009).

Al contrario, la sopravvivenza dei pazienti che avevano ricevuto chemioradioterapia da sola o in associazione a chemioterapia è risultata in un peggioramento, rispetto a quella dei pazienti sottoposti a chemioterapia o sola osservazione (15,9 mesi vs. 17,9 mesi, p=0,05) [Neoptolemos et al, 2004].

In questo studio, i tassi di recidive sono alti indipendentemente dal braccio di trattamento, inoltre è l’unico a mostrare un peggioramento nella sopravvivenza a seguito di trattamento con chemioradioterapia.

Questi studi, purtroppo, sono limitati nella loro interpretazione poiché caratterizzati da difetti di progettazione e condotta; il metodo split course (un’interruzione di 2 settimane a metà del trattamento) e la dose di 40 Gy sono attualmente considerati inappropriati e inadeguati, così come le basse dosi di radioterapia, in associazione a tecniche obsolete,

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e 5-FU in bolo, con attività radiosensibilizzante inferiore rispetto la somministrazione in infusione continua.

2.1.4 Studio CONKO-001 (German Charité Onkolgie)

Lo studio CONKO-001 [Oettle et al, 2007] ha analizzato l’efficacia della terapia adiuvante con gemcitabina.

Il trial ha randomizzato 354 pazienti, sottoposti a precedente pancreatoduodenectomia, a sola osservazione o a gemcitabina per 6 mesi.

Dopo un follow-up mediano di 4,5 anni, il gruppo trattato con chemioterapia ha ottenuto un raddoppio sul valore di sopravvivenza libera da recidiva (DFS), con un intervallo mediano di 13,4 mesi per il braccio di sperimentazione vs. 6,9 mesi per il braccio di sola osservazione (p<0,001).

È stato inoltre osservato un beneficio statisticamente significativo in termini di DFS a 1, 2, 3 e 5 anni per il braccio con gemcitabina (58%, 30,5%, 23,5%, 16,5%, rispettivamente) vs. il braccio di sola osservazione (31%, 14,5%, 7,5%, 5,5%, rispettivamente) (p>0,01).

I risultati finali dello studio hanno mostrato anche una sopravvivenza globale superiore nel braccio con gemcitabina (22,1 vs. 20,2 mesi; sopravvivenza a 5 anni 22,5% vs. 11,5%; p=0,06) [Neuhaus et al, 2008].

2.1.5 Studio ESPAC-3

Lo studio ESPAC-3 [Neoptolemos et al, 2010] ha randomizzato 1088, precedentemente sottoposti a resezione chirurgica (R0), a chemioterapia adiuvante con 5-Fluorouracile (in bolo per 6 cicli) o con gemcitabina (per 6 cicli).

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Dopo un follow-up mediano di 34,2 mesi, non sono emerse differenze significative tra le due terapie circa la sopravvivenza, con una sopravvivenza mediana di 23,6 mesi per il braccio con gemcitabina vs. 23 mesi per il braccio con 5-Fluorouracile (p=0,39).

2.1.6 Studio RTOG 9704 (Radiation Therapy Oncology Group)

Lo studio di fase III RTOG 9704 [Regine et al, 2008] ha valutato, dopo resezione chirurgica (R0-R1), la terapia adiuvante con gemcitabina o 5-FU in infusione continua, per tre settimane prima e 12 settimane dopo radioterapia standard di 5-FU con dose di 50,4 Gy.

Dopo un follow-up mediano di 4,7 anni, non si è osservata nessuna differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di trattamento; la sopravvivenza mediana e a 3 anni erano 20,5 mesi e 31% per il braccio con gemcitabina vs.16,9 mesi e 22% per il braccio con 5-FU (p=0,08).

Un aggiornamento dei dati del RTOG 9407 a 5 anni conferma tali risultati, sebbene i pazienti con neoplasia della regione cefalopancreatica mostrino migliore sopravvivenza assoluta nel braccio con gemcitabina, al limite della significatività statistica (p=0,08)

[Regine et al, 2011].

2.2 Dalla terapia adiuvante alla neoadiuvante

Nonostante siano stati ottenuti importanti risultati in termini di sopravvivenza con l’introduzione della terapia adiuvante, lasciando così sperare in un crescente miglioramento, la sopravvivenza globale a 5 anni rimane del 20% per pazienti che si siano sottoposti al trattamento curativo.

Ciò ha gettato le basi per l’introduzione di un nuovo trattamento, definito neoadiuvante, caratterizzato da chemioterapia e/o radioterapia.

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In particolar modo, la terapia neoadiuvante potrebbe portare ad un miglioramento degli esiti del successivo trattamento chirurgico, considerato che prima della sua introduzione la maggior parte dei pazienti sottoposti a resezione chirurgica andava incontro a distruzione dell’anatomia e del sistema vascolare e soccombeva per formazione di metastasi a distanza [Abbott et al, 2010].

Inoltre, il trattamento neoadiuvante può portare ad un importante beneficio in termini di downstaging della massa tumorale, purché uno staging accurato sia fatto prima dell’inizio della terapia, permettendo così una più efficiente resezione microscopica radicale R0 e, conseguentemente, un incremento dei tassi di sopravvivenza [Ferrone et

al, 2008].

Attualmente il trattamento neoadiuvante è il modello in vivo più efficiente per testare nuove terapie, sia per la sua limitata durata nel tempo, sia perché consente di effettuare varie analisi molecolari che permettono di ottenere una più ampia visione circa la biologia tumorale e i meccanismi di resistenza.

Tuttavia, nonostante i diversi vantaggi apportati dalla terapia neoadiuvante, una corrente di opposizione critica l’impiego di un trattamento preoperatorio che potrebbe portare alla mancata possibilità di intervento chirurgico, unico trattamento potenzialmente curativo.

Tale condizione si potrebbe verificare in caso di progressione della neoplasia con sviluppo di metastasi a distanza, di declino del performance status per tossicità del terapia o in caso di cachessia [Desai et al, 2015].

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2.3 Terapia neoadiuvante nei pazienti con malattia resecabile

Alcuni studi hanno valutato la chemioradioterapia neoadiuvante nel paziente con malattia resecabile.

L’alta frequenza di recidive e il basso tasso di sopravvivenza associato al trattamento chirurgico per il tumore al pancreas ha gettato le basi per l’introduzione di una terapia preoperatoria, in combinazione o meno con chemioradioterapia, indirizzata a pazienti con tumore resecabile o borderline, al fine di migliorare la probabilità di margini tumorali liberi da resezione e, nella malattia localmente avanzata, non resecabile, per ridurre le dimensioni della neoplasia, rendendola quindi resecabile, con conseguente incremento del tasso di interventi radicali.

Il principale obiettivo della terapia neoadiuvante è quello di aumentare la sopravvivenza globale rispetto alla sola chirurgia.

Uno studio retrospettivo del 2001 del MD Anderson Cancer Center afferma che l’uso della chemioradioterapia preoperatoria ha un impatto positivo in termini di outcome nei pazienti resecabili, tenuto conto in particolar modo del dato relativo al 25% dei pazienti la cui malattia, al re-staging pre-operatorio, era in progressione e che pertanto non avrebbe beneficiato di una chirurgia d’emblee [Breslin et al, 2001].

In uno studio randomizzato di fase II che valutava il ruolo della terapia neoadiuvante in regimi contenenti gemcitabina su pazienti con tumore al pancreas potenzialmente resecabile, il primo outcome misurato è stato il tasso di resezione, con una maggiore percentuale di resecabilità nei pazienti trattati con gemcitabina + cisplatino vs. la sola gemcitabina [Palmer et al, 2007].

Riferimenti

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