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A3 Thinking: uno strumento per la diagnosi organizzativa per la lotta agli sprechi in sanita'

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Academic year: 2021

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1 A Carlo

“I sistemi sanitari stanno cambiando, da sempre se vogliamo cercare di capire le cause profonde di questi cambiamenti dobbiamo riconoscere che la loro natura è politica”. Victor Fuchs

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INDICE

PREMESSA 4

CAPITOLO 1 – L’EVOLUZIONE DEI SERVIZI SANITARI 6

1.1 LA SANITA’ PRIMA DELL COSTITUZIONE 6

1.2 LA SANITA’ DOPO LA COSTITUZIONE 9

1.3 ISTITUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E CREAZIONE DELLE UNITA’ SANITARIE LOCALI

10 1.4 PRINCIPI ED OBIETTIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

10

1.5 LA NASCITA DELLE USL 13

1.6 IL PROCESSO DI REGIONALIZZAZIONE E

AZIENDALIZZAZIONE

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1.7 LE ASL 16

1.8 IL RUOLO DELLE REGIONI NELL’ASSISTENZA SANITARIA E OSPEDALIERA

18 CAPITOLO 2 – L’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI DELLE AZIENDE SANITARIE OSPEDALIERE

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2.1 L’ANALISI DI PROCESSO 20

2.2 I PROCESSI INTERFUNZIONALI 23

2.3 IL METODO PDCA 29

2.4 I PERCORSI CLINICO - ASSISTENZIALI 31

CAPITOLO 3 – LEAN THINKING 32

3.1 LEAN PRODUCTION 32

3.2 GLI STRUMENTI DELLA LEAN PRODUCTION 37

CAPITOLO 4 – IL LEAN E GLI SPRECHI IN SANITA’ 44

4.1 I MUDA IN SANITA’ 46

4.2 L’ESPERIENZA DELL’AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA PISANA DELLA FILOSOFIA LEAN

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CAPITOLO 5 - A3 THINKING NELLA U.O. DI PNEUMOLOGIA UNA STRATEGIA CONTRO I MUDA DI TRASPORTO

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5.1 BACKGROUND 51

5.2 MATERIALI E METODI 51

5.3 ANALISI DEI DATI 52

5.4 RISULTATI 55

CONCLUSIONI 64

BIBLIOGRAFIA 66

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PREMESSA

E’ piuttosto recente l’interesse dei media riguardo agli “sprechi” nel mondo della Pubblica Amministrazione, in particolare a quelli che impattano sulla spesa ospedaliera, che in Italia è una delle voci più consistenti della sanità pubblica, rappresentando il 41% della spesa sanitaria pubblica totale. Se poi si considera che da un’indagine della Fondazione Gimbe del 2015 sono stati sprecati in sanità ben 25 miliardi di euro, circa il 23% del totale della spesa, si capisce come quest’attenzione sia giustificata, poiché appare ovvio che basterebbe agire su questi sprechi per recuperare risorse da investire nel Sistema Sanitario Nazionale. Tuttavia agire riducendo gli sprechi in sanità è meno semplice che farlo in altri settori produttivi, poiché è necessario avere certezza assoluta delle attività “inutili da tagliare”, senza che i tagli comportino un decadimento del valore della prestazione sanitaria e generi un rischio per la salute del paziente. Il modus operandi da intraprendere non è quello di andare a caccia degli sprechi come in una moderna inquisizione, ma quello di rendere il sistema capace di migliorare la propria efficienza, partendo proprio dal concetto che minori sprechi significano maggiore qualità, dove la qualità è assunta nella sua dimensione primaria, ovvero il guadagno di salute per il cittadino/utente.

Lean significa “snello” e in particolare il termine “produzione snella” è stato coniato dagli studiosi Wokman e Jones nel libro La macchina che ha cambiato il mondo, nel quale i due studiosi hanno per primi analizzato in dettaglio e confrontato le prestazioni del sistema di produzione dei principali produttori mondiali di automobili con la giapponese Toyota, rilevando le ragioni della netta superiorità di quest’ultima rispetto a tutti i concorrenti. La produzione snella è dunque la generalizzazione e divulgazione in occidente del sistema di produzione Toyota, che ha superato i limiti della produzione di massa applicata allora alla quasi totalità delle aziende occidentali.

In sanità si parte dall’approccio Lean proprio perché, così come nell’industria questo pone al centro innanzitutto il cliente e la sua soddisfazione, allo stesso modo nel mondo della sanità e degli ospedali esso pone al centro il paziente e la sua salute. Inoltre l’approccio Lean pone al centro l’eliminazione degli sprechi (“muda” in giapponese), focalizzandosi su quelle ”attività non a valore “all’interno dei processi aziendali.

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In sanità si può dire che tutte le attività che consentano al paziente che il paziente venga curato efficacemente rappresentano attività a valore, mentre tutte le attese sono considerate” attività non a valore”: dietro queste attese si celano probabilmente difetti che a loro volta generano sprechi ed eliminando questi difetti , ovvero migliorando i processi si ottiene il duplice risultato di ridurre gli sprechi e di aumentare la soddisfazione del paziente/utente.

Lean significa molto semplicemente usare di meno per ottenere si più. Vuol dire essere capaci di fare di più, migliorare l’assistenza dei pazienti con le risorse esistenti. Il Lean Thinking tuttavia non va confuso con una mera tecnica di ottimizzazione produttiva o un programma di riduzione sistematica dei costi, essendo invece una vera e propria filosofia di gestione aziendale ed in quanto tale adottabile da qualsiasi tipo di organizzazione, volta al miglioramento continuo delle prestazioni.

L’esperienza Toyota nel Lean ha lasciato in eredità non solo strumenti, tecniche e processi dedicati, ma anche una filosofia per il problem solving, che prende il nome di metodo A3, che in 7 fasi consente di passare dalla ricerca delle informazioni necessarie, alla soluzione del problema.

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CAPITOLO 1

L'EVOLUZIONE DEI SERVIZI SANITARI

La storia della sanità italiana è lunga e travagliata. Prima di giungere alla creazione di un sistema sanitario nazionale e al rispetto dei diritti umani come cittadini e non solo come semplici lavoratori sono trascorsi molti anni in cui si sono succeduti molteplici processi di innovazione evoluzione, crescita, caduta e rinascita. Per avere una visione lucida dell’organizzazione sanitaria odierna conviene prendere in considerazione gli eventi che hanno preceduto la realta’ attuale fornendo tutti gli elementi utili per comprenderne l’evoluzione istituzionale ed organizzativa,al fine di riflettere sui temi che potranno influire in modo tangibile sulla futura legislazione concernente la tutela della salute equindisui relativi sistemi organizzativi. Due, anzitutto le date significative da ricordare: il 1861, anno dell’unità italia, e il 1948, anno in cui entro in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.

1.1 LA SANITA’ PRIMA DELLA COSTITUZIONE

Dopo l’unificazione nazionale (1861) la competenza organizzativa dell’assistenza sanitaria venne affidata al Ministero dell’interno a livello centrale, e a prefetti e sindaci, a livello locale. Fu proprio presso il suddetto dicastero che nel 1888 venne istituita la Direzione generale per la sanità, primo segno eloquente dell’importanza e della specificità che assumevano i problemi sanitari nel nuovo Regno d’Italia. Ad essa furono attribuite apposite competenze e responsabilità poi conservate fino al 1945, ultimo anno in cui fu attiva e funzionante.

L’unità d’Italia determinò l’esigenza di uniformare sull’intero territorio nazionale anche la legislazione in materia di assistenza sanitaria e ospedalierala qual cosa risultò ancora più importante in tempi nei quali l’assistenza medica conservava ancora le caratteristiche di un’attività caritatevoleper lo più sostenuta,sotto il profilo finanziario, da lasciti e opere di beneficienza.

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Particolarmente rilevanti furono la L. 22 dicembre 1888, n. 5849 concernente i settori dell’igiene e della polizia sanitaria,e,soprattutto, la L. 17 luglio 1890, n. 6972 (meglio nota come “Legge Crispi”), che assunse una portata storica per il mondo della sanità e dell’assistenza: infatti, con quel provvedimento gli ospedali, le case di riposo e le opere pie furono trasformati da enti privati in Istituti pubblici di assistenza e beneficienza (IPAB). Alla “Legge Crispi” fecero seguito altre norme funzionali al superamento della crisi finanziaria che colpi l’Italia nel periodo fascista, inducendo il regime ad intraprendere, nel quadro della politica cosiddetta “corporativa”, la creazione di un sistema assicurativo-previdenziale che fosse in grado di assicurare tra l’altro, l’assistenza sanitaria ai lavoratori. Fino al 1946 furono quindi istituiti diversi enti mutualistici con compiti previdenziali e sanitari (l’INAIL, Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; l’ENPAS, Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali,etc.), nonché varie altre mutue.

Con decreto del 12 luglio 1945, n. 417 venne infine istutuito l’Alto commissariato per l’igiene e la sanità (ACIS), il quale, subentrando alla Direzione generale per sanità, fu deputato alla svolgimento di funzioni comprendenti “la tutela della sanità pubblica,il coordinamento e la vigilanza tecnica sulle organizzazioni sanitarie e sugli enti che hanno lo scopo di prevenire e combattere le malattie sociali”.

Questo scenario prima dell’entrata in vigore della Costituzione e dei nuovi principi in materia sanitaria in essa contenuti, quali si evincono dagli articoli riportati nello schema che segue:

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ARTICOLO 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. ARTICOLO 3: “Tutti i cittadini hanno hanno pari dignità sociale e sono eguali

davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza,di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’euguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica politica, economica e sociale del Paese”.

ARTICOLO 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

ARTICOLO 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano previsti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione volontaria. Gli inabili ed i minorati hanno il diritto all’educazione e all’avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi predisposti o integrati dallo Stato.

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1.2 LA SANITA’ DOPO LA COSTITUZIONE:

I cambiamenti in materia sanitaria non furono immediati né subito efficienti, ma occorsero diversi anni prima che l’organizzazione dell’intero comparto evolvesse in maniera adeguata. Mentre in Gran Bretagna il Governo dava sistemazione organica al diritto e alla tutela della salute, istituendo nel 1947 il NHS (National Health Service), “Servizio sanitario nazionale”, in Italia proseguiva la politica di sviluppo della protezione assicurativo - previdenziale contro le malattie e gli infortuni. Nel 1948 la Commissione D’Aragona dal nome del suo presidente il deputato socialista, propose la fusione delle varie gestioni in un unico ente con l’estensione della previdenza contro le malattie a tutti i lavoratori, autonomi una direzione unica ed articolata della politica sanitaria e indipendenti, confermando dunque l’esclusione di disoccupati e sottoccupati. Tuttavia, a causa di forti divergenze d’interessi, la proposta non ebbe seguito, così da ribadire la disuguaglianza sociale, a dispetto di quanto stabiliva la Costituzione.

Con la L. 13 marzo 1958, n. 296 venne istituito il Ministero della sanità, il quale, subentrando all’ACIS, smorzò le pressioni provenienti da più parti che da tempo chiedevano una direzione unica ed articolata della politica sanitaria. A livello centrale il nuovo dicastero era coadiuvato nelle proprie funzioni dal Consiglio superiore di sanità (organo a carattere consultivo) e dall’Istituto superiore della sanità (organo a carattere tecnico-scientifico), mentre a livello periferico operavano gli uffici dei medici e veterinari provinciali, gli uffici sanitari dei Comuni e dei consorzi dei Comuni, nonché uffici sanitari specifici (ad esempio, quelli per le zone di confine).

Una data determinante per il riconoscimento dei diritti umani e sociali dei cittadini fu poi il 19698 anno della riforma ospedaliera, quando vennero promulgate due leggi di estrema rilevanza: la n. 132 del 12 febbraio, concernente Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera

(nota anche come “legge Mariotti”, dal nome del ministro Luigi Mariotti, e la n. 108 del

17 febbraio, recante “Norme per l’elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto

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La riforma ospedaliera trasformò i nosocomi in enti autonomi, tutti con la stessa organizzazione e tutti indirizzati allo svolgimento di attività di ricovero e cura, senza dimenticare che essa prevedeva anche un’attività di programmazione ospedaliera e un piano assistenziale ospedaliero da raccordare con i piani regionali.

Ciò forni ulteriore impulso all’istituzione delle Regioni, accelerando l’attuazione di quanto previsto dall’articolo 117 della Costituzione nella sua forma allora vigente.

Successivamente, con la L. 17 agosto 1974, n. 386, corrispondente alla Conversione in

legge, con modificazioni, del decreto legge 8 luglio 1974, n. 264, recante norme per l’estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento della spesa ospedaliera e l’avvio della riforma sanitaria, l’assistenza

ospedaliera diventò gratuita per coloro che si fossero iscritti ad una mutua, mentre la L.13 maggio 1978, n. 180, riguardante Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e

obbligatori, sancì che la salute mentale si dovesse realizzare privilegiando il momento

preventivo. In tale contesto maturarono le condizioni per avvicinarsi alla nascita di un vero e proprio sistema sanitario nazionale.

1.3 ISTITUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE (SSN) E CREAZIONE DELLE UNITA’SANITARIE LOCALI (USL):

La L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (SSN), riformò l’intera disciplina della sanità italiana, riordinando l’organizzazione ospedaliera del Paese. Essa è anche conosciuta come la prima riforma sanitaria, realmente significativa per tutto il sistema sia sotto il profilo istituzionale, con la creazione delle USL (Unità sanitarie locali), sia sul versante strutturale e funzionale, inaugurando un sistema basato sui principi di unitarietà e universalità. Nei suoi aspetti peculiari tale legge consentì il superamento degli enti mutualistici, un maggiore coordinamento fra ospedali e territorio, nonché l’introduzione di attività preventive e riabilitative.

1.4 PRINCIPI ED OBIETTIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE:

Ai sensi dell’art. 1 della legge 833/1978, “il Servizio Sanitario Nazionale è costituito dal

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al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del Servizio sanitario nazionale compete alla Stato , alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini”.

I principi fondamentali su cui si basa il SSN, ispirati all’art.32 della Costituzione, sono i seguenti:

Principio di universalità, secondo cui vengono garantire prestazioni sanitarie a tutti, senza distinzione di condizioni individuali, sociali e di reddito.

Principio di uguaglianza, in virtù del quale tutti, a parità di bisogno, hanno diritto alle medesime prestazioni.

Principio di globalità, secondo il quale non viene presa in considerazione la malattia, bensì la persona in generale, la qual cosa implicava inevitabilmente il collegamento di tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione. Gli obiettivi del SSN, elencati dettagliatamente all’art. 2 della legge 833/1978, riguardano:

la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;

la prevenzione delle malattie e degli infortuni in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro;

la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata;

la riabilitazione degli stati di invalidità e di invalidità e di inabilità somatica e psichica;

la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro;

l’igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e degli avanzi di origine animale per le implicazioni che attengono alla salute dell’uomo, nonché la prevenzione e la difesa sanitaria degli allevamenti animali e il controllo della loro alimentazione integrata e medicata;

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una disciplina della sperimentazione, produzione, immissione in commercio e distribuzione dei farmaci (e dell’informazione scientifica sugli stessi) volta a garantire l’efficacia terapeutica, la non nocività e l’economicità del prodotto; la formazione professionale e permanente, nonché l’aggiornamento

scientifico-culturale del personale del Servizio sanitario nazionale; Inoltre il SSN, nell’ambito delle proprie competenze, persegue:

il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese;

la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti e i servizi necessari;

le scelte responsabili e consapevoli di procreazione e la tutela della maternità e dell’infanzia, per assicurare la riduzione dei fattori di rischio connessi con la gravidanza e con il parto, le migliori condizioni di salute per la madre e la riduzione dei fattori di rischio connessi con la gravidanza e con il parto, le migliori condizioni di salute per la madre e la riduzione del tasso di patologia e di mortalità perinatale e infantile;

la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico- scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati;

la tutela sanitaria delle attività sportive;

la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione;

la tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi generali, in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, pur nella specificità delle misure terapeutiche, e da favorire il recupero e il reinserimento sociale dei disturbati psichici.

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1.5 LA NASCITA DELLE USL:

Le innovazioni apportate dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale possono essere individuate sotto un profilo sia tecnico, sia politico, sia economico.

Sul versante tecnico le novità più importanti furono da un lato l’unificazione dei numerosi enti e la priorità accordata alla prevenzione, poiché gli enti mutualistici assicuravano solo l’assistenza ai soggetti già affetti da malattia e non provvedevano ad interventi di tutela della salute; dall’altro il potenziamento dei servizi sanitari assistenziali di primo livello con la creazione del Distretto sanitario di base.

In ambito politico le innovazioni più significative riguardano invece il rispetto del principio di uguaglianza e il decentramento dei poteri decisionali dal livello centrale a livello regionale e locale con l’istituzione delle USL (Unità sanitarie locali), a cui venne concretamente affidata la gestione dell’assistenza sanitaria. La gestione delle USL fu attribuita ad organi elettivi, cioè a funzionari politici, ritenuti più idonei a tutelare i diritti dei cittadini perché eletti dai cittadini stessi.

L’USL si configurò come struttura operativa dei Comuni, singoli associati, e delle Comunità montane, competente in materia di:

educazione sanitaria;

prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche; protezione sanitaria materno - infantile, assistenza pediatrica e tutela del

diritto alla procreazione cosciente e responsabile; igiene e medicina scolastica e del lavoro;

assistenza medica generica, specialistica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale;

riabilitazione

Furono individuati quali organi della USL:

a) l’Assemblea generale, costituita dal Consiglio comunale, se l’ambito territoriale dell’USL coincideva con quello del Comune o di parte di esso, e dall’Assemblea generale dell’Associazione dei Comuni, se l’ambito territoriale dell’USL corrispondeva a quello complessivo dei Comuni associati. A tale organo fu affidato il compito di fissare il programma delle attività dell’USL.

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b) il Comitato di gestione, che, eletto dall’Assemblea generale, fu deputato a compiere tutti gli atti amministrativi dell’Unità sanitaria locale, con la possibilità di eleggere al suo interno un presidente, depositario del potere di rappresentanza dell’USL.

c) Il Collegio dei revisori, formato da tre membri (dei quali uno designato dal Ministero del tesoro e uno dalla Regione), con il compito di verificare la conformità degli atti delle USL alle leggi.

Infine, sotto il profilo economico si tentò, pur senza riuscirvi in pieno, di razionalizzare la spesa sanitaria mediante l’introduzione della programmazione come strumento di controllo dell’impiego delle risorse; recuperare l’efficienza nei servizi con misure tese ad aumentare la produttività complessiva; estendere una rete di controlli economico-finanziari a vari livelli del SSN.

L’impianto della riforma entrò ben presto in collisione con il sistema economico-finanziario soprattutto a causa dei crescenti costi del SSN, divenuti incontrollabili anche per la separazione dei poteri tra chi effettuava la spesa e chi la finanziava, ossia tra Regioni e Stato. Inoltre, in mancanza di indici e standard minimi di assistenza, alcune Regioni “largheggiarono” nella creazione dei presìdi e dei servizi sanitari, provocando un ulteriore aumento del disavanzo. Un altro limite della riforma ha riguardato l’insoddisfazione dei cittadini per la qualità delle prestazioni, rivelatesi spesso scadenti in virtù dell’incremento della domanda e della difficoltà delle Regioni a fornire risposte adeguate alle esigenze dei cittadini. Pertanto la crisi della riforma del 1978 determinò la necessità, all’inizio degli anni Novanta, di procedere a una seconda riforma sanitaria.

1.6 IL PROCESSO DI REGIONALIZZAZIONE E AZIENDALIZZAZIONE

In seguito alla forte crisi finanziaria manifestatasi negli anni, già agli inizi del decennio successivo fu messa in atto una seconda riforma sanitaria, con lo scopo di riorganizzare il sistema sanitario modificandone la natura giuridico - organizzativa e rafforzando i poteri delle Regioni e l’autonomia delle USL. In tal senso agì innanzitutto il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della

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Le modifiche apportate furono le seguenti:

attribuzione allo Stato di compiti di pianificazione in materia sanitaria, da attuarsi mediante l’approvazione del Piano sanitario nazionale triennale; individuazione, da parte dello Stato, dei “livelli uniformi di assistenza”

sanitaria ce dovevano essere obbligatoriamente garantiti dal SSN ai cittadini aventi diritto, con con definizione annuale, nel contesto delle leggi finanziarie, dell’ammontare complessivo delle risorse attribuibili al finanziamento delle attività sanitarie; altre prestazioni sanitarie non previste dai livelli uniformi di assistenza, e comunque costi esorbitanti i finanziamenti previsti, potevano essere annualmente finanziati con risorse delle Regioni;

attribuzione alle Regioni di rilevanti funzioni in materia di programmazione sanitaria, finanziamento e controllo delle attività sanitarie gestite dalle USL, governo delle attività di igiene pubblica, anche in raccordo con la neo costituita ARPA (Azienda regionale per la protezione dell’ambiente); trasformazione delle USL da semplici strumenti operativi dei Comuni

(singoli o associati) in aziende regionali con propria personalità giuridica e dotate di autonomia organizzativa, amministrativa e patrimoniale;

creazione di un nuovo sistema di finanziamento dell’assistenza sanitaria basata sulla remunerazione delle prestazioni effettuate, con tariffe predeterminate dalle Regioni;

previsione della separazione, ai fini contabili e finanziari, degli interventi sanitari da quelli socio-assistenziali: i primi a carico delle aziende sanitarie, i secondi di competenza degli enti locali.

La seconda riforma sanitaria innescò un vero e proprio processo di aziendalizzazione sia in virtù dei modelli di gestione che vennero introdotti, tipici delle aziende private, sia per l’inserimento dei fattori di mercato nel rapporto domanda/offerta, sia per l’attribuzione di autonomia organizzativa, amministrativa e patrimoniale alle aziende sanitarie.

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Il percorso innovativo dell’intero comparto fu poi completato con una terza riforma sanitaria sancita dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 ( recante Norme per la

razionalizzazione del servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), meglio conosciuto come “decreto Bindi” ( dal nome dell’allora

ministro della sanità, Rosy Bindi), col quale si provvedeva a : rafforzare la natura aziendale delle aziende sanitarie;

introdurre il concetto di autonomia imprenditoriale delle unità sanitarie locali e degli ospedali, che ebbero modo di costruirsi in aziende con personalità giuridica pubblica, attraverso un atto aziendale di diritto privato che ne disciplinava l’organizzazione e il funzionamento;

rafforzare l’introduzione di sistemi di responsabilizzazione sui risultati. 1.7 LE ASL:

In virtù dell’evoluzione storico-giuridica descritta nel paragrafo precedente, ad ogni USL è stata attribuita la denominazione di azienda. Distinte in ASL (Azienda sanitaria locale) e ASO (Azienda sanitaria ospedaliera), esse continuano ad essere strutture pubbliche, ma risultano organizzate secondo un modello aziendale, con meccanismi di flessibilità, autonomia imprenditoriale e responsabilità diretta della dirigenza.

Della dirigenza si è occupato l’art. 4 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (cd. Decreto

Balduzzi), convertito in L.189/2012, secondo il quale la nomina dei Direttori generali

avviene ad opera della Regione che attinge obbligatoriamente dall’elenco regionale degli idonei. Gli elenchi sono aggiornati almeno ogni 2 anni. Il decreto Balduzzi ha inoltre introdotto nuove misure volte ad implementare la trasparenza nelle nomine e nella valutazione dei direttori generali.

Il direttore generale sottoscrive un contratto privatistico quinquennale con l’amministrazione regionale, per mezzo del quale si impegna a perseguire gli obiettivi specificatamente attribuiti alle singole aziende sanitarie quali vengono indicati nel Piano sanitario regionale. Egli stesso nomina poi i responsabili delle strutture operative, ossia il direttore sanitario (un medico incaricato di dirigere e coordinare l’organizzazione e l’aspetto igienico-sanitario dei servizi sanitari) e il direttore amministrativo (un giurista o un economista, il cui compito consiste nell’occuparsi della parte amministrativa dell’azienda). In tal modo si viene a creare il Collegio di direzione al quale prendono parte

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tutte le figure professionali dell’azienda di cui il Direttore generale si avvale per il governo delle attività cliniche (art.4, D.L.158/2012).

Altri organi sono :

il Consiglio dei sanitari, organismo elettivo dell’unità sanitaria locale con funzioni di consulenza tecnico- sanitaria. Presieduto dal Direttore sanitario, ne fanno parte soprattutto medici ed altri operatori sanitari laureati, nonché una rappresentanza del personale infermieristico e del personale tecnico sanitario; il Collegio sindacale,il quale, sostitutivo del Collegio dei revisori, verifica

l’amministrazione dell’azienda sotto il profilo economico e vigila sull’osservanza delle leggi.

Sarà compito delle ASL: assicurare i livelli di assistenza specialistica compresi quelli riabilitativi, di diagnostica strumentale e di laboratorio; programmare le attività in base ai bisogni sanitari della zona; verificare e promuovere la qualità dei servizi erogati. A livello territoriale le ASL si diramano inoltre ulteriormente in distretti sanitari, dipartimenti di

prevenzione di cura e presidi ospedalieri.

I distretti sanitari costituiscono strutture spesso coincidenti con i territori delle precedenti USL. I campi di assistenza e di competenza di un distretto alla guida del quale viene posto un direttore, riguardano: l’assistenza specialistica ambulatoriale; le attività o servizi di prevenzione e la cura delle tossicodipendenze, per le patologie da HIV, per quelle in fase terminale e per la tutela della salute dell’infanzia, della donna e della famiglia; le attività o servizi rivolti a disabili e anziani; le attività o servizi di assistenza domiciliare integrata. Inoltre nell’ambito del distretto vengono coordinati i dipartimenti di salute mentale e di

prevenzione.

I dipartimenti di prevenzione sono strutture operative dell’ASL con funzioni di prevenzione collettiva e sanità pubblica, al fine di ridurre l’insorgenza di eventi morbosi ed eliminare i fattori di rischio.

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I presidi ospedalieri non costituiti in azienda autonoma godono appunto di scarsa autonomia e dipendono dalle ASL di appartenenza, a differenza di quanto avviene per le aziende ospedaliere, che invece dotate di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale.

1.8 IL RUOLO DELLE REGIONI NELL’ASSISTENZA SANITARIA E OSPEDALIERA

Ogni regione è tenuta, subito dopo lo Stato, ad attuare i servizi in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, svolgendo compiti legislativi e amministrativi che sono di natura programmatoria, organizzativa di vigilanza nonché di finanziamento delle Usl, tramite la divisione del fondo sanitario regionale. Le regioni possono anche auto-finanziarsi, nel caso in cui intendano erogare livelli di assistenza sanitaria superiori.

L’art 2 del D.Lgs. 502/1992, dopo aver stabilito al comma 1 che “Spettano alle Regioni e

alle Province autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera”,precisa al

comma 2 che “Spettano in particolare alle Regioni la determinazione dei principi

sull’organizzazione dei servizi e sull’attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette Unità sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie”

In altre parole il ruolo delle Regioni consiste nel determinare per le ASL e per le aziende ospedaliere:

i principi di organizzazione sanitaria; i criteri di finanziamento;

le attività di supporto e promozione;

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Alle Regioni compete, altresì, stabilire rapporti con le Università mediante la stipula di protocolli d’intesa e la modificazione del finanziamento e del riparto del Servizio sanitario nazionale; in particolare, le Regioni devono attuare in sede locale il riordino del SSN adottando un apposito Piano sanitario regionale (PSR) e disponendo di leggi proprie conformi alla necessità di:

a) coordinare l’intervento sanitario con gli interventi negli altri settori economici, sociali e di organizzazione del territorio;

b) unificare l’organizzazione sanitaria su base territoriale e funzionale adeguando la normativa alle esigenze delle singole situazioni regionali;

c) assicurare la corrispondenza tra i costi dei servizi e relativi benefici.

Il PSR deve essere predisposto tenendo conto degli obiettivi del PSN, il Piano sanitario nazionale. A tal fine le Regioni inviano un apposito progetto (che è di competenza della Giunta Regionale) al Ministero della salute, per acquisirne il parere. La finalità del PSR è quella di stabilire le linee di azione del PSN in ordine al raggiungimento degli obiettivi fissati nell’arco di tre anni, corrispondenti alla durata del PSN.

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CAPITOLO 2

L’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI DELLE AZIENDE

SANITARIE OSPEDALIERE

Per organizzazione di lavoro si intende comunemente un complesso di persone e di beni orientato al raggiungimento di persone e di beni orientato al raggiungimento di specifiche finalità. In un’organizzazione di lavoro si possono distinguere due aspetti, in quanto essa:

è fatta di strutture, tecnologie, norme procedure. La sua direzione, se vuole puntare al miglioramento dell’efficacia, dell’efficienza e della qualità del prodotto o servizio , richiede “strumenti hard” come analisi statistiche, progetti, interventi strutturali e tecnici e metodologia;

È costituita da persone con le loro percezioni, vissuti interazioni, persone che devono costantemente apprendere e mettersi in discussione per modificare il loro modo di operare quando i mutamenti ambientali o culturali lo impongano. In questo caso occorre utilizzare “strumenti soft” quali una comunicazione basata sull’ascolto e la reciprocità, il lavoro per gruppi, le riunioni, la formazione permanente e tutto ciò che serve a stimolare la motivazione dei dipendenti.

2.1 L’ANALISI DI PROCESSO

L’identificazione dei processi in qualsiasi azienda, sia di prodotto che di servizio, è una fase estremamente importante per la codifica delle attività da svolgere. La norma ISO (International Organisation for Standardisation) definisce un processo come insieme di

attività correlate o interagenti che trasformano elementi in entrata in elementi in uscita.

Gli elementi in entrata che in gergo vengono chiamati input, sono i bisogni e le aspettative del cittadino. Mentre gli elementi in uscita, gli output sono il soddisfacimento delle aspettative e la corretta esecuzione delle attività.

Un processo ha un punto di inizio e di fine, e comprende azioni che sono: definite;

ripetibili; prevedibili; misurabili.

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Risulta evidente che l’identificazione e l’analisi dei processi può migliorare i servizi offerti. E’ fondamentale , una volta che sono stati identificati e mappati i processi, verificarne l’efficacia e l’efficienza in modo tale da essere sicuri che quanto viene erogato sia effettivamente sotto controllo e nel rispetto di quanto richiesto. Una corretta ed esaustiva mappatura dei processi identifica le responsabilità nelle varie attività e gli indicatori più appropriati.

Fra i tanti metodi di analisi che possono essere utilizzati per la definizione dei processi, i più utilizzati sono:

Ø l’esperienza del cliente o dell’utente: è una metodologia tipica di un’azienda che eroga servizi, che consente di ricostruire, durante l’analisi di processo le azioni che il cittadino compie, che vengono successivamente valutate in relazione alle 6 dimensioni del servizio:

ü T TECNICA ü O ORGANIZZATIVA ü R RELAZIONALE ü A AMBIENTALE ü E ECONOMICA ü I IMMAGINE

Le sei dimensioni del servizio, rispondono a delle domande e a degli argomenti di indagine ben precisi:

ü T “cosa” quale soluzione al problema principale ü O “come” rispetto dei tempi, delle consegne, etc. ü R “come” atteggiamenti, cortesia del personale ü A “dove” comfort del servizio e senso ecologico ü E “quando” corrispondenza tra il prezzo ed il valore ü I “come” rispetto dei messaggi, slogan, marchi

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L’incrocio delle azioni con le varie dimensioni dà la sequenza e il grado di importanza delle esperienze del cliente rispetto al processo in esame.

Ø il diagramma di flusso: è una rappresentazione grafica che utilizza simboli convenzionali e che permette di elencare le varie attività in ordine cronologico. Le fasi attuative di un diagramma di flusso sono:

ü definire chiaramente il processo che si vuole rappresentare; ü evidenziare l’inizio e la fine;

ü riportare in forma descrittiva il processo sotto analisi; ü distinguere i vari attori che in pervengono nel processo;

ü rappresentare il flusso riportando gli attori e le attività nella sequenza cronologica con cui intervengono o accadono;

ü usare un linguaggio semplice ed omogeneo;

ü leggere il flusso per “colonne”, per verificare se le attività elencate sono attribuite agli attori corretti;

ü aggiungere al flusso informazioni, note, documenti, tempi moduli, ecc… ATTIVITA’

DECISIONE

LINEA DI FLUSSO

Per capire se l’analisi di processo e la rappresentazione grafica sono state eseguite correttamente, l’operatore deve porsi e vedere se riesce a rispondere in modo corretto alle seguenti domande:

ü Il flusso ha una sua logica? ü E’ completo?

ü Ci sono punti di decisione? ü Ci sono attività senza valore? ü E’ documentato?

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ü Ci sono registrazioni? ü E’ facile da comprendere?

Nel caso in cui non si riesca a rispondere ad una di queste domande, bisogna rivedere il lavoro fatto, focalizzandolo sugli aspetti carenti. Nella descrizione del processo avvengono tre fasi importanti che condizionano le varie figure professionali coinvolte:

FASE IPOTETICA: è quella in cui si pensa a come avvengono le attività nella propria azienda. Questo momento normalmente è condizionato da precedenti studi di letteratura specifica, di organizzazione delle attività e consultazione di best practices già realizzate in altre realtà.

FASE REALE: è quella vera e propria di come avvengono all’interno della propria azienda le attività che si stanno studiando per poterle migliorare. In questo specifico momento ci si accorge di quanto ci si discosta dalla letteratura e di quanto le attività primarie vengono realizzate con percorsi “poco lineari” che portano ad un allungamento dei tempi e conseguente accumulo di sprechi (muda).

FASE FINALE: è quella in cui si interviene sul proprio processo in essere per poter correggere le attività che non danno valore aggiunto e che quindi potrebbero essere eliminate, reindirizzate verso un unico responsabile, ecc..

Le tre fasi sono una concatenata all’altra e mettono a confronto i singoli professionisti che intervengono in quel determinato processo.

2.2 I PROCESSI INTERFUNZIONALI

L’organizzazione e la gestione degli ospedali non possono più basarsi sulla tradizionale ottica burocratica e verticistica, di tipo prevalentemente meccanicistico e tayloriano, bensì su una struttura che coordini le varie unità nelle quali viene diviso il lavoro affinchè possano cooperare per l’ottenimento di quel valore essenziale che è rappresentato dalla soddisfazione degli utenti: assume quindi un’importanza decisiva il governo per processi interfunzionali.

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Se in passato, in contesti sostanzialmente stabili e strutture verticali rigidamente organizzate per funzioni, i miglioramenti organizzativi e gestionali sono stati perseguiti all’interno delle singole funzioni, oggi è chiaro che un’azienda complessa non può più ottenere risultati attraverso il miglioramento delle attività delle singole funzioni ma solo attraverso attività di revisione integrale dei processi intendendo per processo una sequenza

di attività fra loro correlate secondo la logica del cliente interno e finalizzate a uno specifico risultato finale.

FIGURA 1: Rappresentazione schematica di un processo produttivo. Ogni unità organizzativa è fornitore dell’unità a valle, che è suo cliente interno. Tutte le unità lavorano per la soddisfazione del cliente finale. Input e output sono misurabili.

Nelle strutture flessibili a cui si tende attualmente i processi predominano sulle funzioni perché l’unica dimensione rilevante è quella orizzontale: non è molto importante per esempio, che la farmacia di un ospedale abbia un funzionamento interno perfetto se non è ben collegata con i suoi fornitori e i suoi clienti interni e se non si adegua in tempo al mutare dei bisogni di questi ultimi.

I principi dell’organizzazione e della gestione per processi si fondano da un lato sulla teoria sistemica dall’altro sui concetti espressi dalla metafora dell’organizzazione come ologramma-cervello, quali:

FORNITORI

INPUT MISURABILI

UNITA' 1 UNITA' 2 UNITA' 3 CLIENTI

OUTPUT MISURABILI

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orientamento al cliente/utente: le aspettative del cliente riguardo alle caratteristiche del servizio (accoglienza, comfort ambientale, relazioni operatore-utente, informazione,ecc..) sono al tempo stesso uno stimolo all’azione e un parametro fondamentale per giudicare l’operato delle unità organizzative coinvolte nell’erogazione delle prestazioni. Tali aspettative si devono analizzare e comprendere più a fondo possibile

Ottica fornitore – cliente interno: l’unità operativa che in un processo orizzontale è a monte di un’altra funge nei suoi confronti da fornitore, mentre l’altra è suo cliente interno (interno all’organizzazione); il cliente finale di tutte le attività è il cittadino che si rivolge all’organizzazione che fornisce il servizio.

L’ottica fornitore – cliente si può applicare alle singole categorie professionali, come gli infermieri. I loro clienti esterni sono i beneficiari delle prestazioni (il più delle volte definibili come pazienti), i loro familiari, i visitatori in ospedale, la società nel suo complesso. I loro clienti interni, ai quali forniscono input di vario tipo, sono gli altri operatori, il più delle volte i medici ma anche i fisioterapisti, i tecnici di radiologia e di laboratorio e così via. Dal canto loro, gli infermieri sono clienti interni di molti servizi, dalla gestione del personale all’economato, dal servizio che organizza la formazione alla lavanderia ecc. Anche i dirigenti a tutti i livelli, hanno clienti interni di cui occuparsi: si tratta dei loro collaboratori, di cui devono favorire il miglioramento professionale e la capacità di integrazione, sempre nell’ottica di ottimizzazione del servizio al cliente finale;

Ricerca del miglioramento continuo: il miglioramento continuo si realizza mediante un monitoraggio sistematico della struttura e delle prestazioni del processo: esso procura conoscenze che permettono di ristrutturare i processi quando è necessario eliminare le attività ridondanti e inutili nell’ottica di un impiego ottimale delle risorse.

Questo tipo di gestione rende più visibili i fattori produttivi che determinano realmente il consumo delle risorse e agevola l’eliminazione di duplicazioni inutili, tempi lunghi ed errori.

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Coinvolgimento totale del personale: coinvolto grazie a specifiche iniziative di informazione e formazione, tutto il personale può conoscere il concatenarsi degli eventi durante il processo, con la conseguenza di una maggiore garanzia che gli interventi di miglioramento abbiano successo. Anche i fornitori esterni, formalmente estranei alla compagine aziendale, possono e dovrebbero collaborare alla gestione dei processi interfunzionali ai quali partecipano direttamente. Possiamo affermare che i processi che un ospedale avvia per conseguire i risultati attesi sono i seguenti: un processo primario, quello diagnostico – terapeutico – assistenziale. Esso comprende le attività clinico – assistenziali svolte congiuntamente da medici, infermieri e altri professionisti dall’ingresso alla dimissione del paziente. E’ un processo che richiede lo sviluppo ed il mantenimento di competenze elevate, capaci di generare un vantaggio competitivo; vari processi di supporto, suddivisi a loro volta in: processi di supporto sanitari, come la gestione delle indagini radiologiche e delle analisi di laboratorio (dalla presentazione della richiesta fino alla conferma del referto);processi di supporto tecnici e amministrativi, quali per esempio, la gestione della biancheria (dal ritiro della biancheria sporca fino alla consegna di quella lavata all’unità operativa che la deve utilizzare) e la gestione dei presidi medico - chirurgici (dall’acquisto alla consegna all’unità operativa utilizzatrice); processi di supporto gestionali, per esempio la gestione economico – finanziaria e la gestione del personale.

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FIGURA 2: rappresentazione schematica dei processi di un ospedale. I processi si possono scomporre in sottoprocessi, per esempio il processo diagnostico – terapeutico -assistenziale nei sottoprocessi di degenza day hospital e ambulatorio.

L’impianto, il mantenimento ed il miglioramento di una struttura organizzativa rispondente ai principi sopra illustrati richiedono un’opera di programmazione, analisi e monitoraggio dei processi e delle attività che li compongono, la quale comprende le fasi seguenti:

ü identificazione e mappatura delle attività dei processi per comprenderne la struttura, a prescindere dai settori e dalle funzioni aziendali in essi coinvolti.

ü per ogni processo identificato, definizione di parametri quantitativi e qualitativi che consentano di misurarne le prestazioni. Occorre rivolgere una particolare attenzione al costo del processo, cioè al consumo delle risorse che comporta, alla sua efficacia attuale, alla sua presumibile capacità di soddisfare anche nel prossimo futuro le aspettative degli utenti. Per quanto riguarda il consumo di risorse, si dovrà impostare un sistema di rilevazione dei costi per attività – processo tramite l’individuazione delle principali determinanti di costo: si potranno così evidenziare le connessioni fra ogni attività e le risorse in essa impiegate, ottenendo un monitoraggio laddove il consumo dei fattori produttivi ha realmente origini.

• PIANIFICAZIONE

• GESTIONE DEL PERSONALE • MANUTENZIONE E APPARECCHI • GESTIONE RISTORAZIONE

PROCESSI GESTIONALI AMMINISTRATIVI E

TECNICI

• PROCESSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

ASSISTENZIALE

PROCESSO PRIMARIO UTENTI

• RADIOLOGIA

• LABORATORIO ANALISI • GESTIONE FARMACI

• GESTIONE PRESIDI SANITARI

PROCESSI SANITARI DI SUPPORTO

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ü La contabilità analitica introdotta nel sistema sanitario italiano va in questa direzione; ü ridisegno dei processi per semplificarli e migliorarli. Lo scopo delle continue

modifiche, più o meno rilevanti, è quello di rendere i processi maggiormente rispondenti alle già menzionate esigenze di efficacia , efficienza, flessibilità riguardanti l’azienda nel suo complesso. Una volta individuate le opportunità di miglioramento, si devono predisporre piani d’azione per realizzarle, precisando i passi da compiere e i loro responsabili, le risorse da utilizzare e i tempi da rispettare in tale scopo;

ü creazione di un sistema di reporting, orientato al monitoraggio del cambiamento e del miglioramento continuo dei processi. Esso contribuisce a rendere costante e sistematica la gestione per attività – processi.

ü istituzione di responsabili di processo e strutturazione di sistemi di controllo direzionale. Al responsabile di processo è affidato l’importante compito di perseguire la realizzazione degli obiettivi di processo mediante un approccio manageriale, che porti tutte le funzioni coinvolte a collaborare in vista degli obiettivi comuni;

ü creazione di una nuova cultura aziendale. Fondamentale per il conseguimento degli obiettivi è una radicale modifica della cultura delle persone che partecipano al processo. Esse devono acquisire l’ottica della condivisione di una missione e di obiettivi ampi e interdisciplinati, nonché della necessità di una flessibilità che permetta di focalizzare l’attenzione su ciò che contribuisce maggiormente alla soddisfazione degli utenti. Più che attenersi rigidamente alle regole e alle procedure (che mantengono comunque la loro importanza), i professionisti coinvolti dovranno rispettare linee di indirizzo sul modo di raggiungere gli obiettivi e, soprattutto, apprendere continuamente per rinnovare le loro competenze. Il cambiamento culturale riguarda tutti i professionisti sanitari e chi li dirige: considerarsi compartecipi dei processi che forniscono valore all’utente li induce a comportarsi non principalmente come membri di una funzione distinta, bensì di un gruppo interfunzionale. Una componente essenziale della nuova cultura richiesta dall’organizzazione per processi è rappresentata dalla centralità della risorsa umana. I gruppi di processo sono lo strumento per coinvolgere le persone e mirare allo sviluppo delle loro competenze e della loro motivazione a fini di efficacia e di efficienza.

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ü Ridefinizione della natura dei compiti: in un’azienda organizzata e gestita per processi, i compiti dei dipendenti sono una conseguenza degli obiettivi del processo. Vi è dunque meno spazio per strumenti statici di descrizione dei ruoli e dei compiti loro attribuiti come mansionari.

Molti sono i punti di contatto tra l’organizzazione manifatturiera e l’organizzazione delle strutture sanitarie sebbene questo possa apparire inverosimile:

1. La Sanità è costituita da molteplici processi produttivi, come l’organizzazione manifatturiera;

2. I prodotti manifatturieri, come i servizi sanitari si basano su concetti di qualità, sicurezza, soddisfazione dell’utente e dello staff, utilizzo efficiente delle risorse. 3. Gli output di entrambe le attività sono prodotti costituiti da migliaia di processi,

molti dei quali assai complessi

4. In entrambi gli ambiti molti processi possono risultare letali in caso di difetti o errori

5. L’obiettivo qualitativo per entrambi è il raggiungimento dello “zero difetti”che significa procurare al cliente/paziente ciò che egli desidera veramente, distinguere gli errori dai difetti, eliminare i difetti operando ispezioni, verificare ciascun livello operativo, verificare alla fonte, fermare il processo alla fonte e porre subito rimedio ai difetti.

2.3 IL METODO PDCA

In un’ottica di miglioramento qualitativo continuo, sia per quanto riguarda la soddisfazione del paziente che quella dello staff, è stato introdotto il metodo PDCA (plan – do- check-act).. Questo metodo è stato ideato da William Edvward Deming, docente, saggista e consulente statunitense che ottenne risultati eccezionali negli Stati Uniti lavorando al miglioramento della produzione industriale. Dal 1947, trasferitosi in Giappone, insegnò ai vertici societari delle più importanti realtà economiche nazionali , come migliorare il progetto, la qualità di prodotto, fornendo in ultima analisi un contributo significativo al paese nel renderlo famoso per prodotti innovativi e di alta qualità.

Uno dei punti cardini degli insegnamenti di Deming, sta nel concetto di miglioramento continuo attraverso un approccio interattivo delle fasi di pianificazione, esecuzione, ispezione dei risultati e ottimizzazione, cui ha dato il nome di ciclo di Deming o PDCA.

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FIGURA 3: IL CICLO DI DEMING O PDCA

La fase di pianificazione, PLAN, dovrebbe prevedere lo studio e l’analisi delle attività da realizzare al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato .

Nella fase di esecuzione, DO, vengono operativamente attuate quelle attività.

La fase di monitoraggio e di controllo, CHECK, è centrale rispetto a tutto il processo; è il momento in cui si raccolgono i feedback e dei dati inerenti le attività svolte . il suo fine ultimo è di analizzarne i risultati, verificarne eventuali varianze o scostamenti rispetto ad una baseline ed identificarne possibili azioni correttive o di miglioramento.

Azioni poi svolte nell’ultima fase ACT e che potrebbero portare ad una eventuale ri – pianificazione la quale lancerebbe una nuova iterazione del ciclo PDCA. La fase CHECK del ciclo è il momento in cui eventuali problemi emergeranno. Toyota ha sviluppato nel corso degli anni un approccio al problem solving che, anch’esso prende spunto dagli insegnamenti di Deming e che prende il nome di A3 PROCESS.

2.4 I PERCORSI CLINICO – ASSISTENZIALI

Il metodo Lean punta perseguire la perfezione attraverso una standardizzazione dei processi che non è imposta dall’alto ma è realizzata con la partecipazione del team di lavoro. In ambito sanitario. Lo strumento principale per raggiungere tale scopo è rappresentato dai percorsi clinico - assistenziali (clinical pathway), che devono messere creati e condivisi dal gruppo di operatori coinvolti nel processo e, quando possibile, dai pazienti ai quali si rivolgono. Per fare questo, le competenze di infermieri e medici vanno allargate, in modo che le un piccolo team di persone dalle competenze ampie possa riuscire

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a risolvere la maggior parte dei problemi dei pazienti, in un contesto di procedure chiare standardizzate e di programmi di miglioramento costante.

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CAPITOLO 3

LEAN THINKING

“Lo stile Toyota non consiste nel creare risultati col duro lavoro. Il nostro è un sistema che afferma che non ci sono limiti alla creatività delle persone. Le persone non vanno in

Toyota per lavorare, vanno in Toyota per pensare” Taiichi Ohno”

Il concetto di “Lean thinking” richiama nell’immaginario comune soprattutto l’eccellenza dell’industria giapponese, in particolare quella di Toyota. Infatti questa moderna visione della gestione operativa si è andata sviluppando e consolidando sul patrimonio di oltre mezzo secolo di progresso e della cultura della qualità, cui l’industria giapponese ha dato un contributo unico ed indiscusso.

Il Toyota Production System (TPS), detto anche Toyotismo, è un metodo di organizzazione della produzione derivato da una filosofia diversa e per alcuni aspetti alternativa alla produzione di massa, ovvero alla produzione in serie e spesso su larga scala basata sulla catena di montaggio di Henry Ford. Il nome deriva dal fatto che essa è stata inventata negli anni 1949 - 1950 presso la Toyota, da Sakichi Toyoda, Kiichiro Toyoda, ed in particolare dal giovane ingegnere Taiichi Ohno. La Toyota, nell’immediato dopo – guerra, si trovava in condizioni gravissime e in mancanza di risorse, come peraltro gran parte dell’industria del Giappone, uscito sconfitto e stremato da una guerra devastante. Il TPS si basa su 5 principi puntando su un concetto apparentemente molto semplice: l’eliminazione di ogni tipo di spreco (Muda) che inevitabilmente accompagna ogni processo produttivo.

3.1 LEAN PRODUCTION

Il termine produzione snella (lean production) che identifica una filosofia industriale ispirata al Toyota Production System, è stato sviluppato nel 1990 dai ricercatori del MIT (Massachusset Institute of technology), James P. Wokmack e Daniel t. Jones.

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Nel loro best seller “La macchina che ha cambiato il mondo”, hanno illustrato il sistema di produzione che ha permesso all’azienda giapponese Toyota di ottenere risultati nettamente superiori a tutti i concorrenti del mondo. Quella ricerca, ponendo a confronto il modo di funzionare delle imprese occidentali con quelle giapponesi mise in luce come i principi e i criteri della produzione di massa di stampo fordista e taylorista erano, nonostante i continui affinamenti, oramai ampiamente superati da altri principi e da altri criteri, capaci di corrispondere con più efficacia alle richieste di maggiore qualità provenienti dal mercato e di tempi e di costi più ridotti nei processi d’impresa. Da allora migliaia di organizzazioni eccellenti nel mondo hanno adottato il modello lean, nell’industria come nei servizi, in quanto applicabile a tutti i processi operativi, quindi non solo strettamente produttivi , ma anche logicisti, amministrativi, o di progettazione e sviluppo prodotto. Negli anni il modello della lean production è stato affinato assumendo anche altre denominazioni, qual in quali lean organisation, lean manufacturing, lean

service, lean office, lean enterprise e persino lean thinking (pensiero snello), a indicarne la

natura di “filosofia” industriale che ispira sostanzialmente tutti i metodi e le tecniche. La produzione snella (lean production) è un insieme di principi, metodi e tecniche per la gestione dei processi operativi , che mira ad aumentare il valore percepito dal cliente finale e a ridurre sistematicamente gli sprechi . Questo è possibile solo con il coinvolgimento delle persone motivate al miglioramento continuo. L’obiettivo della Produzione Snella è “fare sempre più con sempre meno: meno tempo, meno spazio, meno sforzo, meno macchine, meno materiali”.

3.2 I PRINCIPI DELLA LEAN PRODUCTION I principi della lean production sono i seguenti

1. Il valore

2. Il flusso di valore 3. Il flusso

4. Il pull

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Esaminiamoli adesso nel dettaglio:

VALUE (VALORE): capacità fornita al cliente nel momento giusto e a un prezzo adeguato. Il concetto di valore può essere definito solo dal cliente finale ed assume significato solo nel momento in cui lo si esprime in termini di uno specifico prodotto (bene o servizio, spesso, entrambi) in grado di soddisfarne le esigenze del cliente. Dal punto di vista dei clienti questo è il motivo per cui esistono i produttori. VALUE STREAM (FLUSSO DI VALORE): è costituito dall’insieme delle azioni richieste per produrre un determinato prodotto (sia un bene che un servizio) attraverso i tre compiti critici del management di qualsiasi business: la risoluzione

di problemi dall’ideazione al lancio in produzione attraverso una programmazione

di dettaglio; la gestione di informazioni dal ricevimento dell’ordine alla consegna attraverso una programmazione di dettaglio; e la trasformazione fisica della materia prima in un prodotto finito in mano al cliente.

FLOW (FLUSSO COSTANTE): far si che le attività creatrici di valore fluiscano in modo continuo. L’esecuzione progressiva di compiti lungo il flusso di valore in modo che il prodotto proceda dalla progettazione al lancio, dall’ordine alla consegna dalle materie prime alle mani del cliente, senza fermate, scarti o passi all’indietro.

PULL (TIRARE): è un sistema di istruzione a cascata e di istruzione di spedizione delle attività a valle a quelle a monte in cui nulla viene prodotto dal fornitore posto a monte se il cliente a valle non ne fa richiesta. Significa far si che siano i clienti a “tirare” il prodotto dall’impresa anziché spingere verso i clienti prodotti spesso indesiderati. In parole povere il termine pull significa che nessuno a monte dovrebbe produrre beni o servizi fino al momento in cui il cliente a valle li richiede. Questo sistema è l’opposto del “push” (spingere), sistema tipico della produzione

di massa in cui invece è l’azienda che spinge il prodotto sul mercato attraverso

pubblicità, sconti e promozioni.

PERFECTION (PERFEZIONE): in realtà non esiste una rappresentazione perfetta della perfezione. La perfezione è come l’infinito. Cercare di immaginarsela è praticamente impossibile, ma la volontà di provarci dà l’ispirazione e le linee guida essenziali per compiere progressi lungo il cammino.

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La perfezione comporta l’eliminazione del muda (spreco) così che tutte le attività poste lungo un flusso di possano creare valore

Il pensiero snello deve andare quindi oltre l’azienda, cioè l’unità standard di rilevazione di tutto il mondo, per guardare al complesso: l’intero insieme di attività implicato nella creazione e produzione di uno specifico prodotto , dalla sua ideazione all’effettiva disponibilità attraverso la progettazione di dettaglio, dal momento della vendita alla consegna. Il meccanismo organizzativo per fare questo viene chiamato impresa snella, un incontro continuativo di tutte le parti coinvolte per creare un canale all’interno del quale far scorrere l’intero flusso di valore e dal quale dragare tutto il muda.

I MUDA: Il cuore del pensiero della produzione snella può essere sintetizzato nella lotta

agli sprechi. “Muda” significa spreco ed in particolare qualsiasi attività umana che assorbe

risorse ma che non crea valore. Taiichi Ohno (1912 – 1990), un famoso dirigente Toyota, è stato il più feroce nemico degli sprechi che la storia abbia mai prodotto. Egli ha identificato i muda, che normalmente si trovano in produzione, nel modo seguente:

ü Difetti nei prodotti.

ü Sovrapproduzione non necessaria di beni, prima del manifestarsi della domanda. ü Scorte superiori al minimo assoluto. Magazzini di beni in attesa di ulteriori lavorazioni

o di utilizzazione.

ü Rilavorazione non necessarie delle parti causata carenze di progetto o nelle attrezzature.

ü Spostamenti non necessari di persone. ü Trasporti di beni non necessari

ü Attese per le fasi di lavorazioni successive. Tempi di attesa tra un processo e l’altro che creano spazi temporali improduttivi.

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3.3 GLI STRUMENTI DELLA LEAN PRODUCTION Gli strumenti della filosofia lean sono:

VALUE STREAM MAPPING: la mappatura del flusso di valore è sicuramente il più importante strumento Lean. Consiste nell’identificazione di tutte le attività che vengono eseguite lungo il flusso di valore relativo a un prodotto o a una famiglia di prodotti. Esso ci consente di :

1. visualizzare il flusso in cui si collocano le singole attività 2. Evidenziare gli sia gli sprechi che la fonte degli sprechi 3. Progettare processi Lean

4. Descrivere in dettaglio ciò che si fa e cosa si dovrebbe fare Lean Thinking SPAGHETTI CHART o DIAGRAMMA A SPAGHETTI: è la mappa degli

spostamenti effettuati da uno specifico prodotto per muoversi lungo il flusso di valore in un’organizzazione di produzione di massa, chiamato cosi perché il percorso assomiglia a un piatto di spaghetti.

I CINQUE PERCHE’ O I CINQUE WAYS: è un metodo che consente di esplorare le relazioni causa effetto per un problema ponendosi semplici domande. Il fine di applicare le cinque domande è quello di determinare le cause radici o profonde (root cause) del difetto. Un esempio di applicazione dei cinque perché:

L’auto non parte (problema)

1. Perché – la batteria è scarica (primo perché);

2. Perché – l’alternatore non sta funzionando (secondo perché); 3. Perché – la cinghia dell’alternatore si è rotta;

4. Perché – la cinghia dell’alternatore non è mai stata sostituita, sebbene l’auto avesse soccorso molti chilometri (quarto perché);

5. Perché – non è stata effettuata la manutenzione programmata.

Si potrebbe continuare a chiedere altri perché, dato che il metodo non pone limiti al numero di domande da porsi. Si suppone che cinque iterazioni siano sufficienti ad identificare la causa del problema.

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Taiichi Ohno descrive il metodo dei cinque perché come la base dell’approccio scientifico Toyota: ripetendo cinque volte perché la natura del problema così come la sua soluzione diventa lampante da gli strumenti del lean e digitize . come migliorare e automatizzare i processi.

Il DIAGRAMMA DI ISHIKAWA: noto anche come diagramma causa- effetto è un metodo di “problem solving” che fu ideato Kaoru Ishikawa all’inizio degli anni 40 del secolo scorso. Si tratta di un metodo per rappresentare graficamente tutte le possibile cause di un problema.

FIGURA 5.: DIAGRAMMA DI ISHIKAWA

ONE PIECE FLOW: letteralmente tradotto come “un pezzo alla volta“. In ambito industriale, significa riuscire a produrre un pezzo alla volta, in opposizione al concetto di produzione a lotti .

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Produrre one piece flow è un obiettivo di tendenza che si raggiunge riducendo al massimo il tempo di cambi utensili, massimizzando così la flessibilità e minimizzando le code. In sanità essendo uno solo il cliente da soddisfare nelle sue esigenze di valore aggiunto, significa mettere in atto tutte le possibili soluzioni per rendere il flusso del paziente lineare, continuo e senza intoppi. Lean thinking in sanità

IL KAIZEN: è un concetto antichissimo che è parte integrante della cultura giapponese e significa approssimativamente miglioramento continuo. L’applicazione del principio del kaizen al mondo economico risale al secondo dopoguerra e al modello organizzativo adottato da Taiichi Ohno per i sistema produttivo Toyota improntato al miglioramento continuo e permanente dei processi aziendali e basato sul lavoro di squadra, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel processo produttivo. Il modello Kaizen offre due vantaggi particolari:

§ Semplificazione dei processi

§ Eliminazione delle discontinuità e delle sovrapposizioni di gestione.

L’adozione del modello Kaizen ha imposto quindi un ripensamento della sua struttura organizzativa e del suo funzionamento in una logica per processi e di integrazione di tutti gli elementi aziendali in modo da motivare le risorse al miglioramento continuo. Il cambiamento indotto dall’adozione del metodo Kaizen non è traumatico. La riorganizzazione avviene, infatti, non attraverso lo stravolgimento delle procedure aziendali, ma attraverso il controllo e l’analisi costanti che permettono l’introduzione di modifiche impercettibili, micro – cambiamenti costanti, che non interrompano il flusso di lavoro, ma che tuttavia, concentrandosi sulla riduzione dei tempi morti, si traducano in ottimizzazione delle procedure e miglioramento dei rapporti e della comunicazione tra colleghi.

IL VISUAL MANAGEMENT: significa “gestione a vista” applicata ai processi. Tale metodologia consente di visualizzare gli stati di avanzamento dei processi aziendali, rendendoli visivi agli attori stessi di processo. Obiettivo fondamentale è quello di rendere istantaneamente fruibili tutte le informazioni legate allo stato di avanzamento del processo, mettendo in particolare in luce le possibili criticità che si generano, potendole dunque attaccare in tempo reale.

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