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Processo di "Browning" attivato da succo di mandarino in ratti trattati con dieta High Fat: ruolo dell'irisina

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI

FARMACIA

Corso di laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

Processo di “Browning” attivato da succo di

mandarino in ratti trattati con dieta High Fat: ruolo

dell’Irisina

Relatori:

Prof. Vincenzo Calderone Prof. ssa Lara Testai

Candidata:

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1. INTRODUZIONE 1

1.1 IRISINA E IL SUO PATHWAY METABOLICO 1

1.2 IRISINA E IPERTROFIA MUSCOLARE 3

1.3 IRISINA E “BROWNING” 5

1.3.1 TESSUTO ADIPOSO BRUNO 5

1.3.2 TESSUTO ADIPOSO “BEIGE” 7

1.3.3 ATTIVAZIONE DEL PROCESSO DI BROWNING 9

1.4 IRISINA E SINDROME METABOLICA 18

1.4.1IRISINA E INSULINO-RESISTENZA 20

1.4.2IRISINA E SISTEMA CARDIOVASCOLARE 21

1.5IRISINA E DIETA 26

2. SCOPO DELLA RICERCA 31

3. MATERIALI E METODI 32

3.1ANIMALI 32

3.2TRATTAMENTO 33

3.3MATERIALE VEGETALE 36

3.3.1.ANALISI HPLC-PDA/UV-ESI-MS/MS 36

3.5POTENZIALE MITOCONDRIALE SU TESSUTO CARDIACO 38 3.5.1VALUTAZIONE DELLA VARIAZIONE DEL POTENZIALE DI MEMBRANA MITOCONDRIALE 40

3.6TEST ENZIMATICI 41

3.6.1SAGGIO DELLA CITRATO SINTASI SU TESSUTO ADIPOSO 41

3.7VALUTAZIONE DI CITOCHINE E MARKER INFIAMMATORI ATTRAVERSO L’UTILIZZO DI KIT ELISA 43

3.8SOLUZIONI 44 3.9ANALISI STATISTICA 45 4. RISULTATI E DISCUSSIONE 45 5. CONCLUSIONI 60 6. BIBLIOGRAFIA 61

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1. Introduzione

1.1 Irisina e il suo pathway metabolico

Irisina è un ormone rilasciato in abbondanza dalle fibre muscolari scheletriche in seguito all’esercizio fisico. È presente in vari distretti ed in particolare a livello di tessuto adiposo bianco, tessuto adiposo bruno, ossa, cervello, ed in generale viene riconosciuta una sua implicazione nella regolazione del metabolismo energetico (Montanari T. et al, 2017). Irisina è stata riportata per la prima volta in un articolo pubblicato nel 2012 da Bostrom et al. all’Università di Harvard e descritta in particolare come una miochina polipeptidica formata da 112 aminoacidi e indotta dall’esercizio fisico. È il prodotto della scissione di una proteina codificata dalla fibronectina di tipo III contenente 5 geni (FNDC5). In particolare, FNDC5 stessa esegue la lisi attraverso un peptide di segnalazione, prima di essere secreta in circolazione come Irisina: quindi è ritenuta il suo precursore (Figura 1; Martinez Munoz IY. et al., 2018).

Irisina è una miochina PGC-1α dipendente. A tal proposito, PGC-1α (Peroxisome proliferator-activated receptor gamma coactivator 1-alpha) è una proteina, meglio definita come

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energetico, infatti si nota che la presenza di questo co-attivatore a livello muscolare, stimola la manifestazione di fattori intracellulari con funzioni specifiche a livello mitocondriale come la proteina disaccoppiante 1 (UCP-1) situata a livello della membrana mitocondriale interna e nota come “termogenina” (Chen J.Q. et al., 2015).

I livelli di Irisina circolante vengono spesso correlati con i livelli di interleuchina 6 (IL-6). IL-6 è da sempre identificata come citochina pro-infiammatoria. Tuttavia, recenti scoperte suggeriscono un ruolo omeostatico di IL-6, talvolta persino antiinfiammatorio, a seconda del tessuto e del momento in cui viene liberata (Maurer J. et al., 2015).

In seguito a queste ricerche quindi, IL-6 viene definita come “miochina”, perché rilasciata dai miociti del muscolo scheletrico va a regolare l’omeostasi di diversi tessuti incluso il tessuto adiposo: acquisisce quindi, attraverso questa via metabolica, un comportamento molto simile a quello di Irisina (Kristóf E. et al., 2019).

IL-6 e numerosi altri fattori endogeni portano alla stimolazione di UCP-1, effettore finale in grado di innescare il fenomeno del “Browning”, e quindi la conversione del tessuto adiposo bianco (WAT) in tessuto adiposo bruno (BAT) (Montanari T. et al, 2017).

Una ricerca pubblicata recentemente su Cell dimostra per la prima volta che i recettori per Irisina, fino al momento sconosciuti, si trovano a livello degli osteociti e vengono identificati nelle integrine αV, mentre i recettori a livello degli altri tessuti rimangono ancora ignoti. Sono stati condotti quindi degli studi che vedono Irisina coinvolta nel rimodellamento e nell’apoptosi degli osteociti (Greenhill C., 2019).

Gli studi hanno dimostrato, come potenziale meccanismo della miochina sul tessuto osseo, una capacità di riduzione della sclerostina, che ha effetti anti-anabolizzanti sulla formazione ossea, ed un aumento dell’osteoprotegerina la quale inibisce l’osteoclastogenesi. È stato dimostrato che questa miochina è un fattore determinante dello stato minerale osseo più forte rispetto alla fosfatasi alcalina ossea. Come detto, infatti, nell'uomo, Irisina viene correlata inversamente con i livelli sierici di sclerostina e nelle donne in post-menopausa è associata ad una riduzione delle fratture causate da fragilità vertebrale. È stato scoperto che gli effetti dell'Irisina circolante sulla massa ossea sono sistemici, piuttosto che specifici per i siti ossei in cui si applica il carico da parte del muscolo; quindi l’effetto di rimodellamento osseo da parte di Irisina è generalizzato e non specifico per l’osso legato al muscolo dal quale viene rilasciato l’ormone (Colaianni G. et al., 2019).

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1.2 Irisina e ipertrofia muscolare

Irisina viene prodotta in abbondanza dal muscolo scheletrico in seguito all’esercizio fisico. Tuttavia, nelle forme di distrofia muscolare, come la distrofia muscolare di Duchenne (DMD), l’esercizio aggrava i sintomi della malattia portando a danno muscolare associato ad uno sforzo fisico eccessivo (Brussee V. et al., 1997).

Irisina quindi può essere un buon bersaglio terapeutico per intervenire nelle patologie legate a disfunzione muscolare e condizioni legate a denervazione che portano ad atrofia muscolare.

In uno studio pubblicato su Oncotarget nel 2017 da Reza M.M. et al. è stato dimostrato che iniezioni esogene del peptide Irisina su topi mdx (modello per lo studio della DMD) provocano ipertrofia muscolare (Figura 2, Figura 3) e maggiore forza di presa, riduzione della fibrosi e della necrosi delle fibre muscolari: infatti in pazienti con distrofia muscolare la funzionalità muscolare si riduce nel tempo a causa di cicli ripetuti di degenerazione e rigenerazione del tessuto muscolare scheletrico portando inevitabilmente a debolezza muscolare (Menezes M.P., North K.N., 2012).

In aggiunta, in questo tipo di malattie, il collagene aumenta e sostituisce progressivamente le miofibre, favorendo la fibrosi (Barton E.R. et al., 2002).

Questi dati quindi dimostrano il beneficio terapeutico dell’Irisina nel miglioramento della massa muscolare e in generale della guarigione e funzione muscolare in un modello di topo distrofico.

Figura 2 Peso medio dei tessuti muscolari scheletrici quadricipite (Quad) e gastrocnemio (Gas), normalizzato alla lunghezza della tibia, in topi a cui è stata somministrata Irisina (Reza M.M. et al., 2017).

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Nell’uomo i livelli di Irisina sono correlati con la circonferenza del bicipite e con l’espressione di IGF-1, un ormone importante nei processi di crescita del bambino e negli effetti anabolizzanti che mantiene in età adulta (Huh J.Y. et al., 2012). Recentemente infatti è stato dimostrato che l’Irisina è in grado di stimolare alcuni geni correlati alla crescita muscolare anche nell’uomo (Huh J.Y. et al., 2014).

Nello stesso articolo di Huh J.Y. et al. del 2014 è stato esaminato come Irisina abbia effetto sull’ipertrofia delle cellule muscolari scheletriche umane (HSMC).

Le HSMC sono state trattate per diversi periodi di tempo alternando dosi basse ed elevate di Irisina (0 nM, 10 nM, 50 nM): l’analisi ha mostrato che dopo il trattamento i livelli di IGF-1 sono aumentati in maniera dose-dipendente, mentre quelli di miostatina, fattore che limita la crescita muscolare, risultano diminuiti. Dall’analisi si vede un aumento anche di PGC-1α4, isoforma di PGC-1α recentemente scoperta e specificatamente correlata all’ipertrofia muscolare: ciò conferma l’effetto positivo del trattamento di Irisina sulla crescita muscolare (Figura 4).

Figura 3Sezioni trasversali del muscolo tibiale anteriore trattate con ematossilina ed eosina, ottenute da topi a cui è stata somministrata Irisina (Reza M.M. et al., 2017).

Figura 4 Valori medi di 4 esperimenti individuali dell’espressione genica di fattori implicati nell’accrescimento cellulare del muscolo scheletrico in cellule umane (Huh J.Y. et al., 2014).

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1.3 Irisina e “Browning”

Come accennato in precedenza, Irisina è in grado di innescare il fenomeno del Browning: la ricerca si dedica allo studio di questo fenomeno in quanto sembra essere il bersaglio per il miglioramento di alcuni disordini metabolici.

1.3.1 Tessuto Adiposo Bruno

L’“organo adiposo” è formato sia da WAT che BAT, dove il WAT costituisce il sito primario di accumulo di energia e di rilascio di ormoni e citochine che modulano il metabolismo di tutto il corpo. Al contrario, il BAT è un tessuto concepito per mantenere la temperatura corporea più elevata della temperatura ambientale, attraverso la produzione di calore e in particolare attraverso la termogenesi senza brividi (per distinguerla dal classico brivido con contrazione muscolare involontaria indirizzata alla produzione di calore).

Nel 1908 il BAT di un soggetto umano è stato descritto come: "di colore rosa e lobulato, presenta molto l'aspetto di un pancreas fresco" (Aherne W. e Hull D., 1966); è risultato infatti all’analisi istologica molto ricco di mitocondri, a loro volta ricchi di citocromi contenenti ferro, che insieme ad un’importante vascolarizzazione, gli conferiscono un colore bruno. L’aspetto lobulato è dato dal fatto che, come il WAT, anch’esso è formato da adipociti, più piccoli però rispetto ai classici bianchi di grandezza proporzionale alla quantità di lipidi immagazzinati. Nel BAT tali lipidi sono contenuti in multiple goccioline. Questa organizzazione gli conferisce un aspetto multiloculare.

Dall’ immagine sottostante (Figura 5) si può osservare come nell'adipocita bianco la goccia lipidica rappresenti la grande quantità di energia immagazzinata attraverso un unico lipide uniloculare che toglie spazio agli organelli della cellula, come nucleo e mitocondri; mentre come nell' adipocita bruno siano presenti molteplici gocce lipidiche e molti mitocondri, protagonisti del processo di termogenesi.

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Il processo di termogenesi avviene all’interno dei mitocondri grazie alla presenza della proteina UCP1, situata nella membrana mitocondriale interna.

La funzione del mitocondrio è di convertire l'energia di carboidrati, grassi e proteine in adenosina trifosfato (ATP), molecola energetica utilizzata dalle cellule per compiere tutti i processi metabolici che richiedono energia.

L’ATP si forma grazie all’enzima ATP sintentasi che utilizza il gradiente protonico creato dalla catena di trasporto di elettroni nella membrana interna mitocondriale generando l’energia necessaria per legare un gruppo fosfato all’ADP e quindi formare ATP.

La proteina UCP1 (termogenina), è in grado di disaccoppiare questo processo, facilitando il ritorno del flusso di protoni nella matrice mitocondriale ed impedendo così la produzione di ATP (Bartness T.J. e Vaughan C.H., 2010). Gli adipociti marroni sono quindi in grado di ossidare rapidamente le proprie riserve di acidi grassi producendo calore e aumentando così il tasso metabolico (Heaton G.M et al., 1978).

I siti di deposito del tessuto bruno nell’uomo variano a seconda dell’età (Tabella 1): fin dalla nascita è presente a livello interscapolare, ed inizia a scomparire gradualmente verso i 30 anni di età. Si comporta nello stesso modo a livello del mesocolon, del grande omento, del pancreas, della regione splenica, a livello inguinale e della parete addominale anteriore. Di particolare interesse però sono i depositi renali e soprarenali, i depositi para-aortici, quelli nel collo e nel mediastino i quali permangono in tutte le fasce di età. Si intuisce quindi che le aree periferiche, come quella interscapolare e la parete addominale anteriore, sono le prime a perdere il BAT, mentre quelle più profonde tendono a mantenerlo per l’intera vita. Questo potrebbe derivare dall’immaturità del meccanismo di regolazione del calore nei

Figura 5 Differenza tra tessuti: nell'adipocita bianco la goccia lipidica rappresenta la grande quantità di energia immagazzinata attraverso un unico lipide uniloculare che toglie spazio agli organelli della cellula

come nucleo e mitocondri, nell'adipocita bruno invece sono presenti multiple gocce lipidiche e molti mitocondri, protagonisti del processo di termogenesi.

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primi anni di vita, e, d’altra parte, dalla necessità di mantenere un ruolo di “protezione” verso gli organi più profondi del corpo, definita nel 1963 da Smith “giacca termogenica”. L’attività di questa giacca diminuisce dopo il primo decennio, ma sembra essere temporaneamente riattivata nel sesto decennio per poi diminuire nuovamente nell’ottavo. Questa variazione può essere correlata all’abbassamento del tasso metabolico basale che produce l’età. L’aumento di attività nel sesto decennio può rappresentare un meccanismo compensatorio della produzione di calore, mentre la successiva diminuzione può essere un fattore relativo all’alto rischio di ipotermia durante l’età avanzata (Wu J. et al., 2012).

La disposizione del tessuto adiposo bruno è molto simile tra roditori ed esseri umani, la differenza è che, come detto in precedenza, i mammiferi più grandi spesso perdono importanti depositi di questo tessuto subito dopo l’infanzia (Wu J. et al., 2012).

1.3.2 Tessuto adiposo “beige”

È stato dimostrato che esistono due tipologie di BAT: uno, il tessuto adiposo bruno propriamente detto, derivante dal regolatore miogenico Myf-5, proteina coinvolta nella differenziazione muscolare, e in particolare nello sviluppo del muscolo scheletrico; l’altro si identifica come un tessuto adiposo termogenico inducibile, che è generato dal WAT, con caratteristiche immunoistochimiche simili al BAT, ma non è derivante da Myf-5. Infatti,

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bianchi avendo un'espressione basale estremamente bassa di UCP1, ma come il grasso bruno classico, rispondono alla stimolazione ciclica dell'AMP con alti tassi di espressione e funzionamento dell'UCP1. Si ritiene quindi che il tessuto adiposo beige abbia un modello di espressione genica unico, e abbia caratteristiche in parte del WAT e in parte del BAT, ovvero le cellule a riposo hanno un livello basale molto basso di UCP1, paragonabile a quello degli adipociti bianchi, ma hanno la capacità di stimolare l’espressione del gene che codifica per UCP1 e attivare un robusto programma di respirazione e dispendio energetico equivalente a quello degli adipociti bruni classici (Figura 6; Wu J. et al., 2012).

Gli adipociti beige sono rilevabili facilmente a livello dei depositi adiposi sottocutanei piuttosto che da quelli viscerali, e in particolare a livello inguinale (Cousin et al., 1992).

Di fatto, l’analisi dell'espressione genica di questo tessuto adiposo “beige” sottocutaneo ha mostrato livelli di mRNA, che codificano per proteine come CIDEA e PGC1α, intermedi tra quelle del WAT viscerale e il classico BAT (interscapolare), che sarebbero invece elevati negli adipociti bruni.

Per determinare se queste differenze nell'espressione genica fossero rilevanti e potessero essere mantenute dopo differenziazione in coltura, le cellule prelevate da questi tre depositi sono state sottoposte a differenziazione in vitro. L'espressione di questi geni selettivi per gli adipociti bruni ha mantenuto le loro differenze dopo la procedura. Questi dati suggeriscono fortemente che almeno una parte della natura "marrone" di questo deposito adiposo sottocutaneo è indipendente da fattori estrinseci, come innervazione, flusso sanguigno, livello di ossigenazione e sostanze nutritive (Wu J. et al., 2012).

Figura 6L’immagine mostra le 3 tipologie di tessuto adiposo in maniera schematica, evidenziando per il tessuto adiposo beige le caratteristiche intermedie tra WAT e BAT.

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Gli adipociti beige sembrano svilupparsi durante l’età adulta, e non essere presenti in età infantile (Wu J. et al., 2013).

Questa osservazione è stata confermata da due recenti lavori (Sharp et al., 2012; Lidell et al., 2013). Le analisi dell'espressione genica di campioni di autopsia di più depositi di grasso umano suggeriscono che la maggior parte delle cellule di grasso UCP-1 attive nell'uomo mostrano caratteristiche di grasso beige anziché marrone (Sharp et al., 2012). Gli studi sui tessuti adiposi della regione interscapolare dei neonati umani post mortem hanno

confermato che questo deposito nei neonati umani è composto da adipociti marroni classici come i mammiferi più piccoli (Lidell et al., 2013).

Le caratteristiche di tessuto adiposo bruno e tessuto adiposo beige sono riportate in Tabella 2.

1.3.3 Attivazione del processo di Browning

Il processo di conversione degli adipociti bianchi in adipociti bruni, può essere guidata da diversi fattori, sia endogeni che esogeni.

Molti fattori quindi, li troviamo direttamente all’interno del nostro organismo e necessitano solamente di essere stimolati:

• Uno dei principali elementi che gestisce questo fenomeno è la stimolazione

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AR) presenti sulla membrana plasmatica degli adipociti bianchi avvia una cascata di trasduzione del segnale che

termina nella sovraespressione di UCP-1 e altre proteine termogeniche (Montanari T. et al, 2017).

L'esposizione cronica al freddo è l'attivatore simpatico più efficace, poiché induce una massiccia risposta termogenica nel tessuto adiposo bianco (Figura 7). Spesso però l'esposizione al freddo è inadatta per alcune categorie di pazienti (per esempio i soggetti obesi); pertanto, negli ultimi anni sono stati studiati altri cosiddetti "agenti di crescita" del tessuto adiposo bruno.

D’altra parte, il rilascio di NE è regolato centralmente da un numero di proteine prodotte dal sistema nervoso centrale stesso o da altri tessuti periferici. Una di queste proteine è la leptina, una citochina il cui rilascio è proporzionale alla massa di tessuto adiposo; una volta in circolo attiva una serie di recettori che portano all’attivazione finale del rilascio periferico di NE (Smith S.M., Vale W.W., 2006). Un altro elemento che porta all’attivazione di NE ma anche direttamente all’aumento del BAT è il NFG (nerve growth factor), ovvero quella proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso che è stato identificato infatti come regolatore dell’omeostasi energetica. La sua scissione proteolitica dà origine a numerosi neuropeptidi bioattivi tra cui il TLQP-21. In particolare, TLPQ-21 ha dimostrato di attivare centralmente il rilascio di NE, e, di conseguenza, i suoi effetti includono la sovra-espressione di UCP1 in WAT e la riduzione della massa grassa a seguito di una dieta ricca di grassi (HFD) nei ratti (Bartolomucci A. et al., 2006). Parallelamente, lo stesso fattore modula l'attività simpatica che porta al browning del WAT in risposta a segnali ambientali, come l'esposizione al freddo (Cao L. et al., 2011).

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Altre adipochine simili alla leptina partecipano al processo di browning, inclusa l’adiponectina, che aumenta fortemente con l’esposizione al freddo, reclutando gli adipociti beige, come dimostrato in uno studio sui topi, riportato da Hui X. et al. nel 2015.

Altra adipochina coinvolta nel processo è l’ apelina che aumenta con obesità e iperinsulinemia (Boucher J. et al., 2005). Porta all’aumento dell’espressione del gene che codifica per UCP-1, favorendo così il processo di termogenesi (Than A. et al., 2015).

• Accanto alla NE, un altro regolatore dell’attivazione di UCP-1 e quindi del browning è la ghiandola tiroidea. Ciò è reso possibile attraverso la produzione degli ormoni tiroidei e in particolare T3 (triiodotironina). Infatti, a livello degli adipociti bianchi esistono dei recettori per T3 che, una volta attivati, stimolano l’espressione di UCP-1, pertanto tale processo è proporzionale alla concentrazione di T3 nel tessuto adiposo (Bargut T.C. et al., 2016).

• L’espressione di UCP-1 viene stimolata anche dal fattore di crescita dei fibroblasti (FGF21), fattore endocrino prodotto principalmente dal fegato, e coinvolto nella regolazione del metabolismo lipidico epatico e della glicemia attraverso la regolazione delle cellule beta del pancreas (Cereijo R., et al., 2015).

È stato dimostrato che a livello degli adipociti è presente un recettore specifico (FGF), il quale una volta attivato innesca un meccanismo che porta all’espressione di UCP-1, inducendo in questo modo il browning nel WAT e il processo di termogenesi nel BAT (Fisher F.M. et al., 2012).

A dimostrazione del suo ruolo nel processo di browning e termogenesi, è stato osservato che nei pazienti obesi il pathway di FGF21 è compromesso dall’ambiente infiammatorio presente a livello del WAT; poiché un aumento del TNF (fattore di necrosi tumorale) che sostiene una situazione infiammatoria, sviluppa un fenotipo resistente al fattore interferendo così con l’espressione di UCP-1 e in generale con i

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• BMP7 (proteina morfogenetica ossea), proteina coinvolta nell'embriogenesi e specializzata nella formazione e nella crescita ossea e cartilaginea, è implicata nel processo di browning del WAT, come del resto anche le altre proteine appartenenti a questa famiglia. La BMP7, in particolare, stimola l’espressione dei primi regolatori coinvolti nei processi di termogenesi e browning, in particolare è in grado di

attivare PGC-1 α, e quindi di stimolare la sintesi finale di UCP-1 (Seale P., 2015).

Un altro membro della famiglia di proteine morfogenetiche ossee, BMP8B, è fondamentale per mantenere il processo termogenico nel BAT. È in grado di migliorare la risposta di NE negli adipociti marroni migliorando così l'espressione di UCP1 (Whittle A.J. et al., 2012). A livello centrale, l'effetto termogenico di BMP8B sia in BAT che in WAT è sessualmente dimorfico: è stato osservato solo nelle femmine, in quanto dipende dai livelli di estradiolo ovarico (Martínez de Morentin P.B. et al., 2014). Inoltre BMP8P aumenta il rilascio del neuropeptide orexina (OX) nell’area ipotalamica laterale, la quale interagendo con il suo recettore OX-1, ricopre un ruolo fondamentale nella differenziazione degli adipociti marroni maturi, e nel promuovere il processo di termogenesi (Sellayah D., Sikder D., 2012).

Numerosi studi recenti suggeriscono un possibile ruolo nel processo di browning di un’altra proteina appartenente alla stessa classe: BMP4; anche se tale ruolo è ancora controverso. Xue et al. in uno studio del 2014 suggeriscono che BMP4 induca l'espressione di PGC-1α nei preadipociti bianchi, portando allo sviluppo di adipociti bruni e ad un aumento della biogenesi mitocondriale (Gustafson B. et al., 2015). Uno studio più recente dimostra un ruolo opposto per BMP4 come induttore del passaggio da un fenotipo marrone a uno bianco (Modica S. et al., 2016); quindi la proteina è ancora in fase di studio.

• I peptidi cardiaci natriuretici sono stati riconosciuti recentemente come ormoni metabolici con un ruolo nella regolazione della mobilizzazione dei grassi durante l'esercizio fisico, nell'ossidazione dei grassi da parte del muscolo scheletrico e nel browning degli adipociti bianchi. Esistono tre peptidi appartenenti a questa famiglia: peptide natriuretico atriale, peptide natriuretico cerebrale e peptide natriuretico di

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tipo C (Coué M. et al., 2016). Sono prodotti dal cuore ed hanno diversi organi come bersaglio, tra cui WAT e BAT. Il loro legame attiva specifici recettori con attività guanilato ciclasica intrinseca e quindi una cascata intracellulare di eventi che porta in ultima analisi all’aumento della sintesi di UCP-1 (Montanari T. et al., 2017).

La conversione del WAT in BAT e il processo di termogenesi sono sostenuti anche da sostanze che lo stesso WAT è in grado di produrre, ovvero i mediatori lipidici. Il precursore di questi elementi è l’acido arachidonico, che attraverso le isoforme dell’enzima cicloossigenasi (COX), contribuisce alla produzione di prostaglandine e trombossani, e attraverso le lipoossigenasi (LOX) sintetizza i leucotrieni. In particolare la produzione di PGE2 (prostaglandina E2) stimola la differenziazione dei preadipociti bianchi verso un fenotipo bruno (Vegiopoulos A. et al., 2010).

Ciò nonostante, una ricerca più recente mostra che un marcato aumento di acido arachidonico derivante dalla dieta, con conseguente innalzamento di PG2, inibisce il percorso di conversione del tessuto adiposo da bianco a marrone poiché diminuisce l’espressione di UCP-1 (Pisani D.F. et al., 2014). Pertanto la molecola necessita di uno studio più approfondito sotto questo punto di vista.

La prostaciclina, altro metabolita attivo dell’acido arachidonico mostra un potenziale ruolo nel fenomeno del browning. Recenti studi dimostrano che il trattamento in vitro di colture cellulari derivanti dal tessuto adiposo umano con carbaprostaciclina, analogo della prostaciclina, induce lo sviluppo di adipociti funzionali bruni, attraverso la sintesi di UCP-1 (Ghandour R.A. et al., 2016).

• Tra i siti implicati nella regolazione dell’attività del BAT è fondamentale l’ipotalamo, (Madden C.J., Morrison S.F, 2009) e in particolare l’ipotalamo dorsomediale (DMH) che sembra essere una struttura chiave per la termogenesi del tessuto adiposo bruno (Enriori P.J. et al., 2011). Questo è reso possibile grazie al fatto che i neuroni DMH proiettano direttamente sui neuroni simpatici del Raphe Pallidus (Rpa), i quali innervano i neuroni simpatici del BAT. È stato osservato infatti che la stimolazione ottica o farmacogenetica dei neuroni DMH induce la termogenesi nel BAT (Kataoka

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L’attivazione simpatica del nucleo del Raphe pallidus è modulata da un circuito serotoninergico, quindi anche la serotonina (5-HT) è ritenuta direttamente coinvolta in questo processo (Oh C.M. et al., 2015).

• Tra i fattori endogeni che stimolano il browning troviamo l'adenosina, purina presente nel nostro organismo, la quale svolge un duplice ruolo nel tessuto adiposo: in WAT, inibisce la lipolisi, mentre in BAT, la aumenta. È probabile che i diversi recettori dell'adenosina presenti nei due tipi di cellule, A1 negli adipociti bianchi e A2 in quelli marroni, scatenino effetti diversi. Una corretta stimolazione farmacologica del recettore A2 dell'adenosina con gli agonisti selettivi potrebbe indurre il browning del WAT (Montanari T. et al., 2017).

• Tra gli ormoni, uno direttamente coinvolto nel processo è la melatonina, è secreta da vari tessuti e organi, ma la principale fonte di secrezione è la ghiandola pineale, ed è innescata dal rilascio di NE in gangli specifici. Oltre al suo ruolo specifico, che è quello di regolare il ciclo circadiano, la melatonina è coinvolta anche nella regolazione della sintesi dell’insulina e del metabolismo energetico del tessuto adiposo (Saarela S., Reiter R.J., 1994). Recenti scoperte dimostrano che ratti pinealectomizzati a lungo termine sono sovrappeso, diabetici e con fisiologia del tessuto adiposo compromessa, e le condizioni normali vengono ripristinate con l’integrazione giornaliera di melatonina (Cipolla-Neto J. et al., 2014).

Negli animali normali invece, la somministrazione cronica di melatonina mostra la riduzione del peso corporeo e della massa grassa dell’addome attraverso l’attivazione del BAT e il processo di browning che si attiva nel WAT (Tan D.X. et al., 2011).

• Importanti mediatori coinvolti nel fenomeno del browning sono le miochine: rilasciate dal muscolo scheletrico durante l’esercizio fisico e in particolare durante la contrazione delle fibre muscolari, collegano l’esercizio fisico alla perdita di massa grassa (Boström P. et al., 2012).

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L’acido β-aminoisobutirrico (BAIBA) ad esempio, metabolita di valina e timina, è un attivatore di PGC-1α. Nei modelli animali, è stato dimostrato che BAIBA è un forte stimolante dell'attività mitocondriale e rafforza l'espressione di geni correlati al BAT negli adipociti bianchi (Kammoun H.L. e Febbraio M.A., 2014).

Tornando a Irisina, è una miochina coinvolta nel processo del browning, in particolare attiva una cascata intracellulare che porta all’attivazione finale di UCP-1. Il risultato è un effetto anti-obesità mediato dall’espressione di geni legati al catabolismo lipidico e al processo di disaccoppiamento di molecole (incluso UCP-1) selettivamente nei depositi di tessuto adiposo bianco, principalmente sottocutanei (Boström P. et al., 2012).

Irisina è riconosciuta come una potente miochina che induce il browning del WAT in molti modelli animali. Un recente studio sugli adipociti umani ha mostrato che Irisina agisce attraverso la stimolazione della via MAPK p38 e autoregola positivamente l'espressione FNDC5 degli adipociti (Zhang Y. Et al., 2016).

Il primo studio sistematico svolto nel tentativo di definire il pathway intracellulare attivato da Irisina sul tessuto adiposo umano è stato riportato da Zhang Y. et al. nel 2016 su “American Journal of Phisiology. Endocrinology and metabolism”. Gli autori dei lavori dimostrano che su colture cellulari di adipociti umani maturi trattati con Irisina (50 nmol/l) per 4 giorni, si verifica una sovraregolazione dei geni correlati al browning (UCP1, PGC1A e PRDM16) (Figura 8).

Figura 8L’immagine mostra come aumenta l’espressione di proteine coinvolte nel fenomeno del browning (UCP-1, PGC1- α, PRDM16) su colture cellulari trattate con Irisina (Zhang Y. Et al., 2016).

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Successivamente, è stata analizzata l'espressione della proteina UCP-1 dopo il trattamento con Irisina mediante saggi immunochimici (Figura 9A) e saggi di immunofluorescenza (Figura 9B).

L'espressione di 1 appare stimolata e la percentuale di cellule positive per UCP-1 è aumentata, suggerendo fortemente che Irisina ha indotto il browning degli adipociti maturi (Zhang Y. et al., 2016).

Un altro parametro preso in considerazione al fine di comprendere il ruolo di Irisina sulla termogenesi negli adipociti maturi è la respirazione mitocondriale. La Figura 10 mostra che Irisina ha aumentato l'OCR (respirazione mitocondriale) in modo concentrazione dipendente.

L’OCR degli adipociti trattati con Irisina risulta aumentata rispetto ai controlli non trattati o rispetto alle cellule trattate con basse concentrazioni di Irisina (Figura 10).

Figura 9 Adipociti maturi trattati con Irisina osservati con tecniche di immunochimica (A), e immunofluorescenza (B) (Zhang Y. et al., 2016).

Figura 10 Rappresentazione della variazione della respirazione mitocondriale alle diverse concentrazioni di Irisina, su colture cellulari di adipociti (Zhang Y. et al., 2016).

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Come accennato in precedenza, IL-6 non solo agisce come mediatore dei processi infiammatori, ma partecipa alla regolazione del metabolismo dell’intero organismo (Mauer J. et al., 2015). Può essere classificata anche come miochina, poichè rilasciata durante la contrazione muscolare dalle fibre del muscolo scheletrico, da dove prende di mira diversi tessuti tra cui anche WAT e BAT, pertanto può mediare alcuni degli effetti benefici della termogenesi senza brividi (Steensberg A. et al., 2000). A questo riguardo, una ricerca mostra che iniezioni giornaliere di IL-6 nei topi causano l’innalzamento dei livelli di espressione di UCP-1 in WAT (Knudsen J.G. et al., 2014).

I fattori endogeni e pathway che promuovono il fenomeno di attivazione del processo di browning sono riportati in Figura 11:

Figura 11 Rappresentazione schematica dei fattori endogeni implicati nel processo di browning, e dei loro bersagli cellulari, che portano all’attivazione finale di UCP-1 (Montanari et al., 2017).

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1.4 Irisina e Sindrome Metabolica

La sindrome metabolica (MetS) è considerata una condizione pre-patologica in cui coesistono vari fattori di rischio, come sovrappeso/obesità, dislipidemia, ipertensione e insulino-resistenza, che aumentano la possibilità di sviluppare patologie sistemiche, soprattutto a livello cerebrale, cardiovascolare e del metabolismo.

Primo fattore è l’obesità, che innesca poi una serie di disfunzioni d’organo che portano alla conclamazione della malattia.

L’obesità è il risultato di un’equazione dove l’assunzione di energia supera cronicamente il dispendio energetico (Montanari et al., 2017), e che genera inevitabilmente un aumento del tessuto adiposo e in particolare della massa grassa. Nella maggior parte dei casi non è efficace combattere l’eccessivo aumento di peso con l’approccio tradizionale, che comporta la modifica delle abitudini alimentari; perché in questo modo la perdita della massa grassa è solo transitoria (Astrup A., Lundsgaard C., 1998).

Dopo la scoperta del ruolo funzionale svolto dal BAT negli adulti umani, nuovi approcci terapeutici per la prevenzione e la terapia di MetS sono indirizzati all’induzione del “browning”, quindi alla conversione del tessuto adiposo verso un tessuto che dissipa energia.

Irisina, essendo uno degli agenti che promuovono il fenomeno di imbrunimento, è considerata un target interessante per migliorare le varie patologie concomitanti ad un disordine metabolico più vasto, che è la sindrome metabolica.

Recentemente è stato scoperto che in topi obesi, l’Irisina ricombinante (r-Irisina) stimola l’imbrunimento degli adipociti bianchi causando perdita di peso e miglioramento dell’insulino-resistenza. L’ormone può essere pertanto considerato un bersaglio attraente per combattere obesità e diabete (Zhang Y. et al., 2014).

Park et al. hanno osservato che in pazienti affetti da sindrome metabolica i livelli di Irisina erano più alti (Park K.H. et al., 2013).

Queste ricerche suggeriscono che Irisina può contribuire alla regolazione dell’omeostasi energetica, e può diventare un potenziale bersaglio per la terapia della disfunzione metabolica associata all’obesità. Ulteriori osservazioni cliniche dimostrano infatti che i livelli

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di Irisina circolante sono ridotti nell’uomo obeso (Yan B. et al., 2014; Moreno-Navarrete J.M. et al., 2013), nei roditori (Bilski J. et al., 2015) e nei pazienti con diabete (Espes D. et al., 2015) o malattia renale cronica (Wen M.S. et al., 2013).

Nonostante ciò alcune ricerche hanno riportato risultati discordanti: Park et al. hanno condotto uno studio su persone con e senza MetS, riscontrando livelli elevati di Irisina nei pazienti rappresentanti la patologia, associando quindi un aumento di Irisina ad una maggiore quantità di grasso durante l’obesità.

Questi dati ci dimostrano la complessità del pathway metabolico di Irisina, e come la sua concentrazione sia associata a svariati fattori. Pertanto, devono essere condotti ulteriori approfondimenti che indaghino meglio sull’implicazione di tale ormone.

In Figura 12 Sono riportati i maggiori sistemi in cui è implicata Irisina.

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1.4.1 Irisina e insulino-resistenza

Le ricerche mostrano una correlazione negativa tra Irisina e livelli di glucosio ematici, infatti in uno studio su pazienti adulti cinesi riportato da Martinez Munoz I.Y. et al., nel 2018, è stato riscontrato che la diminuzione di Irisina è associata ad un aumentato rischio di manifestare iperglicemia, poiché l’ormone viene considerato protettivo contro l’insulino-resistenza mostrando associazioni negative con livelli elevati di insulina a digiuno e emoglobina glicosilata (Yan B. et al., 2014).

Le stesse correlazioni con glucosio a digiuno ed emoglobina glicosilata sono state confermate in altre popolazioni e fasce di età, come riportato da Al-Daghri N.M. et al. nel 2014.

Facendo riferimento a questi dati, si intuisce che Irisina potrebbe essere un efficace strumento terapeutico per il trattamento del Diabete Mellito di tipo 2, o diabete dell'adulto, malattia metabolica caratterizzata da glicemia alta in un contesto di insulino-resistenza e insulino-deficienza relativa.

Infatti, uno studio del dott. Giorgino F. et al. pubblicato su Diabetes nel 2017, dimostra che Irisina ha un chiaro effetto di stimolazione della produzione di insulina, e svolge inoltre un’azione protettiva sulle cellule beta pancreatiche. In particolare, animali da esperimento esposti all’acido palmitico (il quale aggredisce le cellule beta del pancreas e induce perciò diabete), ritornano a produrre insulina in modo perfettamente fisiologico dopo il trattamento con Irisina. A questo proposito, l’acido palmitico somministrato in vivo aumenta le cellule produttrici di insulina e di conseguenza cresce la produzione di quest’ultima, normalizzando la glicemia. Lo stesso accade con una dieta ricca di grassi saturi, condizione che predispone allo sviluppo di insulino-resistenza.

Giorgino e colleghi osservano che in questi casi Irisina interviene come strumento di compenso, con un meccanismo più importante e anche più naturale rispetto agli antidiabetici orali agendo a monte della causa della patologia (Giorgino F. et al, 2017). Questa scoperta spiega quindi in modo lampante l’importante ruolo protettivo svolto dall’attività fisica nelle persone affette da diabete, essendo la contrazione muscolare il principale fenomeno che innesca la liberazione di Irisina.

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1.4.2 Irisina e sistema cardiovascolare

La condizione di sindrome metabolica raddoppia il rischio di malattie cardiovascolari (CVD), incluse coronaropatia e ictus.

Alcuni studi correlano CVD con Irisina (Aronis K.N. et al.,2015).

In particolare, è stato dimostrato che Irisina agisce come protettore dell’endotelio vascolare umano: Song et al. hanno somministrato nelle cellule endoteliali del cordone ombelicale umano (HUVEC) diverse concentrazioni di Irisina, osservando che la somministrazione di 20 nM dell’ormone aumenta in modo significativo la proliferazione delle cellule endoteliali attraverso la via delle MAP-chinasi ERK, fattori di trascrizione che regolano l’espressione di specifiche proteine.

Nello stesso studio è stato individuato che alla somministrazione della stessa dose di Irisina corrisponde una diminuzione dell’apoptosi indotta da alte concentrazioni di glucosio ematico circolante (Song H. et al., 2014).

Un altro studio (Wu F. et al., 2015) dimostra gli effetti proangiogenici di Irisina. Infatti, l’angiogenesi, o germinazione della vascolarizzazione preesistente per la formazione di nuovi vasi, richiede molte attività coordinate delle cellule endoteliali, come proliferazione, migrazione e allineamento per formare nuove strutture tubulari (Carmeliet P, 2005). Questo processo, è un passaggio fondamentale per la riparazione dei tessuti e si verifica a seguito di lesioni vascolari causate da malattie cardiovascolari e malattie metaboliche croniche come il diabete (Ebrahimian T.G. et al., 2005).

Questo fenomeno si verifica, oltre che attraverso l’attivazione della via di segnalazione ERK, anche attraverso l’aumento di espressione delle metallo-proteinasi (MMP), enzimi della famiglia delle proteasi in grado di generare nuove strutture e tessuti. La somministrazione di Irisina a cellule endoteliali delle vene ombelicali umane (HUVEC) isolate da cordoni ombelicali umani dimostra che la miochina è capace di attivare la proliferazione delle HUVEC (Figura 13).

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Per studiare nello specifico l’effetto di Irisina sulla formazione di tubuli angiogenici, le cellule HUVEC sono state impiantate su un substrato di Matrigel, alle quali è stata somministrata mitomicina C, o mitomicina C integrata con Irisina in concentrazioni di 10 nM e 20 nM. I risultati hanno mostrato che la presenza di Irisina ha indotto un aumento di formazioni simili a capillari rispetto al controllo, dopo appena 6 ore (Figura 14).

Per quanto riguarda l’opinione secondo cui Irisina influenza le MMP, le quali sono in grado di mediare il processo di rimodellamento della matrice cellulare, ritenuto un prerequisito per l’angiogenesi (Kessenbrock K. et al., 2010), è stata esaminata attraverso esperimenti l’espressione di mRNA di MMP attraverso PCR e Western Blot.

I risultati quantitativi della PCR hanno mostrato che Irisina stimola l’espressione di MMP-2 e MMP-9 in modo significativo, e TIMP-1 in modo ridotto (Figura 15). I TIMP sono implicati nella regolazione dell’attivazione di MMP in diversi tessuti (Nagase H., Woessner J.F. Jr., 1999).

Figura 13 Rappresentazione della vitalità cellulare di cellule HUVEC dopo essere state incubate per diversi periodi di tempo con Irisina (20 nM), Irisina (20 nm) + MMC, MMC (Wu F. et al., 2015).

Figura 14 Rappresentazione dell’effetto di Irisina a diverse concentrazioni, sull’angiogenesi delle cellule HUVEC, attraverso test di formazioni dei tubuli angiogenici in vitro (Wu F. et al., 2015).

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Anche Western blot mostra che i livelli di proteine MMP-2 e MMP-9 sono cresciuti dopo il trattamento di Irisina (Figura 16).

Una delle principali cause di malattie cardiovascolari è la formazione della placca aterosclerotica, dovuta principalmente all’accumulo di lipoproteine nella parete arteriosa, che portano inevitabilmente ad una degenerazione della stessa.

Il maggior costituente delle lipoproteine è il colesterolo, molecola importante ed essenziale per l’organismo in quanto entra a far parte della struttura delle membrane cellulari e inoltre i suoi metaboliti come ossisteroli, acidi biliari, vitamine e ormoni steroidei sono essenziali per la funzionalità della cellula (Grebe A., Latz E.,). Il suo accumulo in eccesso però, può essere dannoso, portando appunto a varie forme di malattie come l’aterosclerosi (Spady D.K., 1999).

Per evitare quindi di andare incontro a questo tipo di patologie una strategia efficace potrebbe essere l’inibizione e quindi diminuzione della sintesi endogena di colesterolo; Irisina sembra essere efficace in questo campo.

Nel 2015 sono stati intrapresi studi da Xiong et al., dove dimostrava che infusioni

Figura 15 Effetto di Irisina sull’espressione delle MMP e TIMP-1, analizzato attraverso PCR (Wu F. et al., 2015).

Figura 16 Analisi al Western blot dell’influenza di Irisina a varie concentrazione sull’espressione di MMP (Wu F. et al., 2015).

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Il dato è stato ulteriormente confermato nel 2016 da Thang et al., il quale somministrava Irisina a topi trattati con una dieta ad alto contenuto di grassi (HFD). I dati mostrano una netta riduzione di VLDL, LDL e colesterolo totale, come si vede dalla Figura 17, mentre non ha dimostrato alcun effetto sui trigliceridi epatici (Thang et al., 2017).

Inoltre, analisi istologiche dimostrano attraverso l’utilizzo di Oil Red O Staining, che si ha una ridotta deposizione di grasso negli epatociti dei topi trattati con Irisina rispetto ai controlli (Figura 18).

Dai risultati si evince quindi che secondo questo esperimento, Irisina ha ridotto il contenuto di colesterolo plasmatico e di colesterolo nel fegato dei topi, organo dal quale ne parte la sintesi; infatti si nota una significativa riduzione dei livelli di mRNA dei fattori coinvolti nella sintesi del colesterolo (Srebf2, Hmgcr, Hmgcs, LXRα, Nr1h3), e allo stesso tempo la

Figura 17 Effetti dell’infusione di Irisina su topi trattati con dieta standard (NCD) e dieta HF (HFD), sui livelli plasmatici di colesterolo totale (Thang et al., 2016).

Figura 18 Colorazione con Oil Red O Staining di sezioni di fegato di animali trattati con dieta standard (NCD) e dieta HF (HFD), con successiva somministrazione di Irisina (Thang et al., 2016).

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soppressione dei livelli di mRNA del recettore delle proteine a bassa densità (Ldlr), il quale riconosce e assorbe il colesterolo LDL. Aumentano anche i livelli di mRNA di Abcg5 e Abcgc8, geni implicati nella formazione di un eterodimero che aiuta l’escrezione di colesterolo. In conclusione, Irisina ha ridotto l’espressione di mRNA dei geni correlati alla sintesi di colesterolo, limitandone quindi la velocità di sintesi, mentre ha aumentato i geni correlati all’eliminazione. Dallo studio emergono invece dati trascurabili da parte di Irisina sulla produzione di trigliceridi (Thang et al., 2016).

Di fatto, queste scoperte possono far luce sul trattamento di malattie legate all'ipercolesterolemia, come l'aterosclerosi.

Sempre in ambito di CVD, Irisina sembra giocare un ruolo anche sull’infarto del miocardio. Kulogu T. et al., in uno studio del 2014, dimostra che i livelli plasmatici di Irisina diminuiscono gradualmente, nell’arco di 24 ore, dopo avere indotto sperimentalmente un infarto del miocardio nei ratti; come confermato nello stesso anno da Emanuele E. et al., i quali hanno condotto uno studio, dove misuravano i livelli di Irisina plasmatica in 3 differenti gruppi di persone: anziani liberi da malattia, giovani controlli sani, giovani pazienti con infarto del miocardio acuto. I risultati mostrano aumento dei livelli sierici di Irisina nei pazienti anziani, e una significativa discesa dei valori nei giovani pazienti con infarto del miocardio.

Ciò induce a pensare che Irisina sia coinvolta non solo nei disturbi vascolari, ma anche nella modulazione della durata della vita, ipotesi che dovrà essere confermata da ulteriori ricerche; infatti poiché l’invecchiamento è caratterizzato da un declino della forma fisica, le molecole associate alla conservazione della massa muscolare possono essere implicate nella probabilità di raggiungere estrema longevità, e nell’ottica dei potenziali effetti di Irisina sia sulla funzione vascolare che sulla massa muscolare scheletrica, si pensa possa contribuire al successo dell’invecchiamento, oltre che essere considerata come potenziale marker di rischio vascolare e agire in particolare come fattore protettivo per lo sviluppo di malattie cardiovascolari legate all’età.

Non è da escludere però, che i risultati dei livelli elevati di Irisina nei centenari possa essere una casualità, mancando nello studio l’inclusione di un gruppo di soggetti anziani malati. Per questo tali scoperte non sono sufficienti ma sicuramente stimolano ulteriori ricerche sul

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ruolo svolto da Irisina non solo nei disturbi vascolari ma anche nel controllo dell’invecchiamento e nella modulazione della durata della vita (Emanuele E. et al., 2014).

1.5 Irisina e dieta

Vista l’importanza di Irisina nella regolazione di varie patologie, metaboliche e non, negli ultimi anni la ricerca ha investito sulla possibilità di assumere sostanze che stimolino la produzione di tale ormone, attraverso la dieta o l’integrazione di sostanze naturali.

De Macêdo S.M. et al. nel 2017, hanno testato su topi femmine gli effetti delle macromolecole introdotte con la dieta per valutare una possibile induzione di Irisina. Gli animali sono stati suddivisi in gruppi e trattati: con dieta standard (STD), con dieta ad alto contenuto di grassi (HFD), con dieta ad alto contenuto di carboidrati (HCD) e con dieta ad alto contenuto di proteine (HPD). Sono state eseguite le analisi per verificare i livelli di FNDC5 e Irisina attraverso Western Blot, e i risultati emersi hanno mostrato che gli animali HFD e gli HCD presentavano una ridotta espressione di FNDC5/Irisina rispetto a HPD e STD. La conferma è stata data dall’analisi del mRNA dell’ormone nel muscolo soleo degli animali, dove si osserva una downregulation in HCD e HFD rispetto al gruppo HPD, in grado di mantenere livelli normali rispetto a STD.

Non essendo aumentati i livelli di Irisina in nessuno di questi gruppi rispetto allo STD, da questo studio emerge che l’espressione del gene FND5 sia correlata ad una disponibilità di proteine nel corpo, e che quindi una dieta ricca di proteine sembra essere efficace nel mantenimento dei normali livelli di Irisina, ma non in grado di promuoverne un aumento.

Sono state testate anche sostanze specifiche per valutare se avessero correlazione con Irisina:

Icariina

Icariina è un flavonoide contenuto in grande quantità nelle piante del genere Epimedium, diffuse nel territorio Asiatico. Tali piante vengono sfruttate da tempo nella medicina cinese come tonico, fortificante delle funzioni sessuali e per i suoi effetti anti-aterosclerosi (Zhang Y. et al., 2019).

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Recenti studi suggeriscono che parte degli effetti di icariina possano derivare da una stretta correlazione con Irisina: Chen S.Q. et al. nel 2019 hanno trattato con icariina una linea cellulare di muscolo scheletrico di topo, differenziato in miotubi. La ricerca deriva da precedenti studi, dove era già stato dimostrato che icariina aumentava la produzione di adiponectina negli stessi miotubi (Han Y. et al., 2015).

L’analisi dei risultati è stata effettuata attraverso Western Blot, kit ELISA, PCR, test di immunofluorescenza, e tutti hanno mostrato che icariina ha sovraregolato l’espressione di mRNA per FNDC5 e PGC-1α, e che ha provocato la fosforilazione di AMPK il quale sovraregola l'espressione delle proteine mitocondriali di PGC-1α nel tessuto adiposo. Questi risulati sono stati confermati in vivo, dove accanto all’aumentata espressione di Irisina ed FNDC5 ed alla fosforilazione di AMPK è stato osservato un imbrunimento del tessuto adiposo inguinale ed una sovra-espressione di UCP-1, suggerendo un interessante ruolo nella gestione della sindrome metabolica (Chen S.Q. et al., 2019).

Acido retinoico

L’acido retinoico fa parte della famiglia dei retinoidi, composti derivanti dalla vitamina A, molecola ampiamente utilizzata in cosmetica e nella regolazione dell’omeostasi dell’organismo. Questa sostanza deriva soltanto dagli alimenti poiché non può essere sintetizzata dall’organismo di alcun animale, dunque, è da sempre consigliata una dieta ricca di questo componente (Thomas R.M. et al., 2017).

Amengual J. et al. nel 2018, mostrano che il trattamento con acido all-trans retinoico (ATRA), un derivato della molecola in esame, induce l’espressione di FNDC5 e Irisina in colture cellulari di miociti, attraverso meccanismi che coinvolgono l’attivazione di AMPK (Amengual J. et al., 2018).

I dati sono stati confermati in vivo da un notevole aumento dei livelli di Irisina in topi trattati con ATRA, oltre che un aumento della trascrizione del gene FNDC5 nel fegato e nei tessuti adiposi.

I risultati, inoltre, suggeriscono un rilascio di Irisina dal muscolo scheletrico e fegato e conseguente accumulo in siero, BAT e WAT inguinale, come del resto ci si aspetta da una

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Irisina si lega alla superficie degli adipociti, il che ha confermato l’esistenza di recettori specifici per Irisina sulla membrana cellulare degli adipociti, ancora da identificare (Zhang Y. et al., 2014).

Un altro interessante dato emerso da questo studio, è la correlazione tra produzione di IL-6 e trattamento con ATRA, infatti si osserva in vitro un aumento dei livelli di mRNA di IL-6. Tale risultato non è stato confermato in vivo suggerendo che probabilmente, in vivo, i fattori sistemici correlati al tessuto possono compensare alcuni effetti di ATRA sulle cellule muscolari.

Lampone nero

Il lampone nero, o Rubus occidentalis, è un frutto nativo del Nord America e appartiene alla specie Rubus. Già conosciuto per i suoi effetti su cataratta, alopecia, sbiancamento della pelle e anti-invecchiamento, sembra essere implicato anche nella perdita di peso e in particolare nell’induzione della produzione di Irisina.

Evidenze scientifiche dimostrano che colture cellulari umane trattate con questo prodotto aumentano l’espressione di Irisina; in particolare, cellule muscolari scheletriche ed adipociti sono stati incubati per un’ora con estratti di diverse bacche: BRE (estratto di lampone nero), BBE (estratto di mirtillo), RBE (estratto di lampone) osservando che tutti gli estratti stimolano significativamente la secrezione di Irisina da parte della cellula. Tra i vari estratti, BRE, contenente una grande quantità di delfinidina e attivatore di proteine anti-invecchiamento (sirtuine), ha dimostrato un effetto maggiore (Katsuaki D. et al., 2018).

L’aumento dei livelli di Irisina, con integrazione di lampone è sostenuta anche da uno studio effettuato da Xing T. et al., sempre nello stesso anno (Xing T. et al., 2018).

Resveratrolo

Il resveratrolo è un composto polifenolico prodotto naturalmente dalla buccia degli acini di uva. Evidenze scientifiche mostrano la capacità della sostanza di interagire con l’espressione di alcuni geni, come FNDC5 e UCP-2 (proteina di disaccoppiamento mitocondriale 2). In particolare, UCP-2 è stata riportata interagire con il tessuto adiposo bruno ma anche con le specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotte dai vari tessuti.

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Di conseguenza bevande contenenti tale fenolo, come vino rosso e succo d’uva, potrebbero essere in grado di aumentare l’espressione di UCP-2 e FNDC5, e quindi di Irisina, aumentando il dispendio energetico, anche se somministrate in una dieta ricca di grassi (González-Castejón M., Rodriguez-Casado A., 2011).

La molecola è stata testata in uno studio pubblicato da Andrade J.M.O. et al. nel 2019 sia su tessuto animale che umano. Topi maschi sono stati suddivisi in 4 gruppi e alimentati con: dieta standard, dieta standard + resveratrolo 99% (400 mg/kg), HFD, HFD + resveratrolo (HFD+RSV); per 8 settimane.

Allo stesso tempo venti volontari di sesso maschile e femminile sono stati suddivisi in due gruppi e trattati per 4 settimane con trans-resveratrolo o placebo, e successivamente sono state prelevate biopsie di tessuto adiposo.

I risultati mostrano in entrambe le specie un aumento di livelli di UCP-1, PGC1-α, FNDC5, SIRT-1 (proteina che interagisce soprattutto con PGC1-α), quindi un accrescimento dei valori di tutte quelle proteine implicate nell’attivazione di Irisina.

Resveratrolo è un noto attivatore della famiglia delle sirtuine e in particolare di SIRT-1. In precedenti studi, è stato indicato che il resveratrolo ha un importante implicazione sulla termogenesi e il processo di imbrunimento degli adipociti (Andrade J.M. et al., 2014), che riduce l’accumulo di grasso e aumenta l’espressione di marcatori della termogenesi come UCP-1 e BMP7.

Il presente studio mostra che FNDC5 è stata ridotta dalla dieta HFD rispetto a ST e HFD + RSV, indicando un ruolo importante del resveratrolo sulla modulazione dell'espressione di FNDC5.

In conclusione, da questo studio si evince che il resveratrolo potrebbe essere associato all’attivazione di FNDC5 e quindi di Irisina, e dei geni associati al processo di termogenesi, contribuendo ad aumentare il dispendio energetico di tutto il corpo, per ridurre l'efficienza energetica.

I risultati sono stati confermati anche da Heredia-Lugo V et al. nel 2017. In questo studio infatti è stato confermato che il resveratrolo è in grado di aumentare l’espressione di FNDC5 nei muscoli scheletrici di topi secondo un meccanismo che è ancora da individuare, ma che

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Sono stati effettuati dei test non solo su resveratrolo puro, ma anche su prodotti che lo contengono; in particolare uno studio di De Souza Rochaa G. et al. del 2016, dimostra un aumento dell’espressione di mRNA di FNDC5 sia nei muscoli di ratti Wistar trattati con resveratrolo che in quelli trattati con succo d’uva; suggerendo che oltre al resveratrolo anche il succo di uva sia efficace per modulare il sistema FNDC5/UCP-2 aumentando l’espressione di tali geni. Questo studio suggerisce pertanto che anche il succo d’uva può rappresentare un ausilio per trattare l’obesità e altre disfunzioni correlate alla sindrome metabolica.

Genisteina

La genisteina è un isoflavone presente in abbondanza nei semi, e nei derivati fermentati della soia. Ha una struttura chimica simile all’estradiolo, estrogeno prodotto dall’ovaio nella fase fertile della vita della donna, difatti possiede un’azione simile agli estrogeni, e si trova nella composizione di molti prodotti anti-invecchiamento.

Negli ultimi anni è stato scoperto che questa sua proprietà potrebbe essere dovuta anche ad un altro fattore, ovvero alla capacità di indurre il processo di browning.

Un recente studio (Palacios-González B. et al., 2019) ha analizzato il legame tra genisteina e Irisina sia in vitro che in vivo su specie murina.

La somministrazione di genisteina a topi stimola il processo di imbrunimento, come evidenziato dall’incremento di PGC-1α a livelli raddoppiati nel muscolo scheletrico. In linea con la letteratura, che riporta PGC-1α induttore di FNDC5, in questo lavoro si osserva anche un incremento dell’espressione di FNDC5 e dei livelli sierici di Irisina. Allo stesso tempo si è visto nei preadipociti un accrescimento di altri biomarcatori implicati nel processo di browning: UCP-1 e Tmem26.

Il trattamento dei preadipociti con genisteina ha incrementato anche significativamente la fosforilazione dell'AMPK e questa evidenza conferma che il processo di browning di WAT è in parte mediato dall'attivazione di questa chinasi.

Una conseguenza del browning del WAT è un aumento del dispendio energetico, ed è stato infatti dimostrato che il consumo di genisteina ha portato ad un incremento nel consumo di ossigeno del 35,7 %, e inoltre nei topi alimentati con tale sostanza si è visto un aumento

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significativo del dispendio energetico espresso in calore. Infatti, esponendo i topi ad un ambiente freddo si attiva maggiormente il processo di termogenesi, e l’alimentazione con genisteina ha significativamente impedito la diminuzione della temperatura corporea rispetto ai controlli, confermando un aumento della termogenesi (Palacios-González B. et al., 2019).

2. Scopo della ricerca

La sindrome metabolica è un insieme di disfunzioni e fattori di rischio concomitanti che contribuiscono ad aumentare la possibilità di sviluppare patologie rilevanti.

Un meccanismo coinvolto nel miglioramento di tale condizione è la possibilità di conversione del WAT in BAT attraverso il fenomeno del browning. Tra i vari fattori endogeni particolarmente implicati nel processo e di attuale rilevanza scientifica si individua Irisina, ormone endogeno e miochina prodotta dal muscolo scheletrico durante la contrazione muscolare e che ha come bersaglio molti tessuti tra cui il WAT, dove induce il processo di imbrunimento.

In virtù degli studi già effettuati in passato sui frutti del genere Citrus, e della conseguente identificazione di una spiccata attività nei confronti della condizione di sindrome metabolica, lo scopo di questa Tesi di Laurea è stato quello di valutare gli effetti di un succo di mandarino su ratti alimentati con una dieta High Fat, che riproduce molte condizioni tipiche della sindrome metabolica dell’uomo. In particolare, è stata data enfasi al ruolo di Irisina e dei mediatori ad essa correlati per comprendere gli effetti benefici promossi dal succo di mandarino.

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3. Materiali e metodi

3.1 Animali

Gli esperimenti sono stati condotti su 16 ratti maschi albini del ceppo Wistar (Figura 19), con un peso corporeo compreso tra 300 g e 390 g (Tabella 3).

Prima di iniziare la sperimentazione gli animali sono stati pesati quotidianamente e monitorati fino a raggiungimento di età e peso corporeo ideali per l’inizio del trattamento. Successivamente sono stati stabulati singolarmente in gabbie trasparenti di plexiglass, al fine di permettere diverse tipologie di trattamento.

La sperimentazione è stata condotta in conformità alla normativa comunitaria (direttiva CEE 750/2013) e alla normativa italiana (DL n° 26/2014), autorizzazione n° 12/2019-PR rilasciata in data 10/01/2019: gli animali sono stati monitorati quotidianamente per quanto riguarda le condizioni igieniche e fornendo acqua e cibo ad libitum durante il periodo di osservazione ed assicurando un intake preciso di acqua durante il periodo di trattamento.

Lo stabulario ha inoltre garantito condizioni controllate con cicli di luce/buio di 12 ore, ad una temperatura stabile di 22 ± 1°C, e tasso di umidità del 50 %.

Figura 19 Ratto maschio albino, ceppo Wistar.

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3.2 Trattamento

Gli animali sono stati divisi in tre gruppi e trattati per 21 giorni:

• Un gruppo è stato trattato con dieta standard (STD, per la composizione vedere Figura 20).

• Un gruppo è stato trattato con dieta ad alto contenuto di grassi + colesterolo aggiunto (HFD, per la composizione vedere Figura 21).

• Un gruppo è stato trattato con HFD + succo di mandarino 24% v/v (HFD+MJ, la composizione fitochimica è riportata nella Figura 23; Tabella 4).

Il cibo è stato somministrato sotto forma di pellet.

Il succo, aliquotato nelle apposite eppendorff e congelato a -20°C, è stato quotidianamente scongelato, ed aggiunto all’acqua.

Giornalmente è stato valutato l’intake di acqua, e 3 volte alla settimana il peso dei singoli animali e l’intake di cibo.

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3.3 Materiale Vegetale

I frutti di Citrus reticulata sono stati raccolti all'interno del giardino della Certosa Monumentale di Calci (Pisa) nel Marzo 2018. Il succo è stato ottenuto per spremitura a mano dei frutti e conservato a −20 °C fino all'esecuzione dei saggi di attività in vivo e dell'analisi chimica dei suoi componenti.

3.3.1. Analisi HPLC-PDA/UV-ESI-MS/MS

L’analisi chimica del succo è stata eseguita mediante cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) accoppiata a un rivelatore Surveyor a fotodiodi (PDA/UVvis) e a uno spettrometro di massa LCQ Advantage a trappola ionica e con sorgente elettrospray (ESI-MS). Il succo di C. reticulata (1.5 mL) è stato mescolato con un'uguale quantità di dimetilformammide (DMF) e la miscela è stata centrifugata per tre volte per 5 min a 3200 rpm. Il surnatante è stato filtrato attraverso una membrana in PTFE (politetrafluoroetilene) di 3 mm di diametro e pori di 0.45 µm di diametro, quindi iniettato nel sistema LC-MS, utilizzando aliquote di 20 µL per ogni iniezione.

Le analisi cromatografiche sono state effettuate utilizzando una pompa Surveyor LC, un autocampionatore Surveyor e una colonna Synergi Fusion-RP di dimensioni 4.6 x 150 mm, 4 µm. Per l'eluizione è stata utilizzata una miscela costituita da acetonitrile (solvente A) e acqua (solvente B), secondo il seguente gradiente: 0-15 min 5-20% A, 15-40 min 20-70% A, 40-45 min 70-100% A. Alla fine di ogni corsa cromatografica, la colonna è stata lavata con acetonitrile per 15 min ed equilibrata con la fase eluente iniziale (5% A) per 10 min. L’eluizione è stata eseguita a un flusso di 0.8 mL/min utilizzando un sistema di split di 2:8, rispettivamente per il rivelatore MS (160 µL/min) e il rivelatore PDA (640 µL/min). L’analisi è stata effettuata utilizzando un’interfaccia ESI in modalità sia negativa sia positiva. Le condizioni di ionizzazione sono state ottimizzate e sono stati utilizzati i seguenti parametri:

- temperatura del capillare: 210°C; - voltaggio del capillare: -10.0V; - gas: 60.00 unità arbitrarie;

- flusso del gas ausiliario: 20.00 unità arbitrarie; - voltaggio dello spray: 4.50 kV;

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- intervallo di scansione: m/z 150-1200.

L’azoto molecolare è stato utilizzato sia come sheath gas sia come gas ausiliario. I dati del PDA sono stati registrati in un intervallo di lunghezza d’onda compreso tra 200 e 600 nm, utilizzando due canali preferenziali alla lunghezza d’onda di 280 e 325 nm. I dati sono stati elaborati mediante l'utilizzo del software Xcalibur 3.1.

L'analisi quantitativa è stata eseguita utilizzando la naringina e la vitexina 2”-O-glucoside come standard esterni, rispettivamente per i flavonoidi O-glicosidi e i flavonoidi C-glicosidi. Gli standard sono stati disciolti in DMF per preparare una soluzione madre di 1.0 mg/mL, da cui sono state preparate per diluizione soluzioni a cinque concentrazioni differenti, comprese nell'intervallo 8.0-250.0 μg/mL. Sono state quindi costruite due curve di calibrazione, utilizzando le integrazioni delle aree picchi della naringina a 325 nm e della vitexina 2”-O-glucoside a 280 nm. Il contenuto dei flavonoidi è stato espresso in mg/L di succo fresco.

I composti sono stati identificati mediante il confronto dell’ordine di eluizione e dei dati UV e ESI-MS con quelli riportati in letteratura (Russo et al., 2011; Zhang et al., 2014; Wang et al., 2017)

3.4 Protocollo sperimentale

Alla fine del trattamento ciascun animale è stato privato del cibo e dopo 24 ore è stato anestetizzato con tiopentale sodico (70 mg/kg, MSD animal health) per eseguire il test della glicemia (Glucocard G meter, Menarini Diagnostics), attraverso il prelievo caudale di sangue. Successivamente gli animali sono stati sacrificati con overdose di tiopentale sodico, quindi è seguita l’esportazione degli organi; in particolare dopo aver esposto la cavità addominale è stato eseguito il prelievo di sangue intracardiaco e trasferito subito in provette con EDTA come anticoagulante (BD Vacutaine). Il sangue intero è stato utilizzato subito per la valutazione di panel lipidico (colesterolo, HDL, LDL, trigliceridi) e i livelli di emoglobina glicata con lo strumento Cobas b101 (Roche Diagnostics), e il rimanente è stato centrifugato a 3200 RPM per 10 minuti ottenendo il plasma, che è stato congelato a -20°C per analisi successive.

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Il fegato, una volta rimosso e lavato in soluzione PBS 1X a pH 7,4 e a 4 °C, è stato asciugato con carta assorbente e fotografato per l’acquisizione macroscopica. È stato poi pesato e un lobo tagliato in 3 parti, due delle quali sono state congelate a -80 °C per svolgere successivamente una valutazione dei livelli di citochine pro-infiammatorie mentre la terza è stata fissata in paraformaldeide al 4 % permettendone la valutazione istologica.

Il tessuto adiposo rimosso è stato lavato in una soluzione di STE a pH 7,4 e a 4 °C, asciugato con carta assorbente e pesato. Sono state effettuate poi delle aliquote da 500 mg e congelate a -80 °C per la successiva valutazione dell’attività enzimatica della Citrato Sintasi.

Il cuore è stato lavato in una soluzione di STE a pH 7,4 e a 4 °C per rimuovere l’eventuale sangue rimasto e annessi; successivamente è stato pesato e preparato per la valutazione del potenziale mitocondriale.

3.5 Potenziale Mitocondriale su tessuto cardiaco

Il cuore è stato tagliato in piccoli pezzi di 2/3 mm3, in STE e costantemente in ghiaccio (4°C), per mantenere una temperatura ottimale per la sopravvivenza degli organelli. I pezzetti vengono trasferiti in un tubo da centrifuga in 20 mL di STE (4°C) e il tutto viene omogenizzato con Ultra-Turrax (modello: IKA, T-18 Basic), in modo tale da frantumare il tessuto e rompere le cellule. È importante che il tampone sia iperosmotico in modo tale da aiutare la fuoriuscita dei costituenti intracellulari.

Dopo 3 cicli di omogeneizzazione da circa 20 secondi, si procede con la prima centrifugazione: 1090 g, 3 minuti, 4°C.

Al termine della centrifuga si trasferisce il surnatante in un nuovo tubo che si conserva in ghiaccio, e si risospende il pellet in 20 mL di STE con l’aiuto prima della bacchetta di vetro e poi del potter. La sospensione ottenuta si centrifuga nuovamente alle stesse condizioni precedenti. Al termine della centrifuga si conserva soltanto il surnatante, che si centrifuga nuovamente insieme al surnatante ottenuto dalla prima centrifuga, ma a diverse condizioni: 11970 g, 10 minuti, 4 °C. Si ottengono due pellet, e si scartano i surnatanti. Si risospende ognuno con 10 mL di STE con l’aiuto di bacchetta di vetro e potter e si trasferiscono entrambi in un nuovo tubo da centrifuga ottenendo un Volume finale di 20 mL: si procede con una

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centrifuga da 11970 g, 10 minuti, 4 °C, ottenendo un pellet e un surnatante. Anche questa volta si conserva il pellet che si risospende, con l’aiuto di bacchetta di vetro e potter, in 20 mL di un altro buffer chiamato ST. Si procede utilizzando le precedenti condizioni: 11970 g, 10 minuti, 4 °C (Figura 20).

A questo punto si ottiene un pellet corrispondente alla frazione mitocondriale, che si risospende in 400 µl di ST sempre attraverso la bacchetta e un potter più piccolo, e si trasferisce in una eppendorff tenuta in ghiaccio durante tutto il protocollo.

Si procede con il dosaggio proteico attraverso la reazione di Bradford; in particolare il saggio prevede l’utilizzo del colorante Comassie Brilliant Blue che è in grado di legarsi ai gruppi sulfidrilici delle proteine. Quindi la loro quantizzazione si effettua attraverso una lettura spettrofotometrica utilizzando lo spettrofotometro Enspire, Perkin Elmer, con una misurazione del picco massimo di assorbanza a 595 nm.

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