• Non ci sono risultati.

Inbound Marketing: incentivare e automatizzare la creazione di relazioni con i clienti in ambito B2B

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Inbound Marketing: incentivare e automatizzare la creazione di relazioni con i clienti in ambito B2B"

Copied!
80
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di

Mercato

TESI DI LAUREA

Inbound Marketing: incentivare e

automatizzare la creazione di relazioni con i

clienti in ambito B2B

RELATORE

Prof. Daniele DALLI

Candidato

Rosario PASSARETTA

(2)

RINGRAZIAMENTI

In questo percorso piacevole, ma intenso, molte persone mi hanno sostenuto e hanno contribuito al raggiungimento dell’obiettivo.

Il primo e più grande ringraziamento va alla mia fidanzata Rosanna, che è stata il mio più importante punto di riferimento in questi anni, riuscendo sempre a supportarmi e a contrastare le mie ansie e le mie difficoltà, con amore, delicatezza e comprensione.

Un altro sentito ringraziamento va sicuramente alla mia famiglia, che ha dovuto affrontare considerevoli sacrifici per supportare e incoraggiare le mie scelte. Infine, ci tenevo a ringraziare il gruppo Extra per l’opportunità di tirocinio, che mi ha fatto crescere professionalmente e mi ha permesso di conoscere e confrontarmi con persone eccezionali.

(3)

Indice

INTRODUZIONE ... 4

1. PERMISSION MARKETING ... 6

1.1. Il marketing relazionale fondato sulla comunicazione ... 6

1.2. Come si instaura una relazione con i consumatori... 8

1.3. Le criticità del Permission Marketing ... 10

1.4. Fattori che influenzano la partecipazione dei consumatori ... 16

1.5. Aspetti da considerare nelle fasi di opt-in e opt-out... 18

2. DIGITAL CONTENT MARKETING ... 21

2.1. Understanding digital content marketing ... 21

2.1.1. Comunicazione di marketing e branding per i contenuti digitali... 25

2.2. Social media in ambito B2B ... 26

2.3. Corporate Blogging ... 29

3. INBUOND MARKETING ... 33

3.1. Definizioni e caratteristiche ... 33

3.2. Marketing automation, le buyer persona ed il buyer journey ... 35

3.3. Marketing e sales funnel ... 39

4. MERCATO IT ... 44

4.1. Digital Transformation: i driver e i nuovi sviluppi nel mondo... 44

4.2. Il mercato digitale Italiano: i principali driver e i principali settori 49 4.3. Dati e previsioni sul mercato digitale in Italia ... 53

5. Extra Group ... 57

5.1. L’evoluzione del gruppo Extra ... 57

5.2. Struttura organizzativa delle società ... 62

5.3. L’ Open Source come scelta strategica ... 63

5.4. Il caso Extra Magnet ... 65

5.4.1. I motori di ricerca stanno cambiando ... 65

5.4.2. Gli utenti stanno cambiando ... 67

5.4.3. La nuova content strategy di Extra Magnet ... 68

INDICE DELLE FIGURE ... 75

(4)

INTRODUZIONE

La comunicazione indifferenziata su cui si basava il marketing tradizionale venne messa in dubbio già nel 1999, quando Godin sottolineò che l’emergere di Internet avrebbe portato alla sua obsolescenza. Infatti, in questa strategia il messaggio inoltrato non era personalizzato per il consumatore, e veniva confezionato senza tener conto delle sue caratteristiche.

La critica di Godin si concretizzò in una strategia alternativa che, questa volta, mettesse al centro il consumatore. In particolare, Godin insisteva sul fatto che nei loro processi di marketing, le aziende dovessero prima di tutto cercare di guadagnare il consenso del consumatore, coinvolgendolo così in una comunicazione interattiva.

In alternativa al Permission Marketing, si sviluppò poi una strategia che sottolineava l’importanza della creazione di un contenuto estremamente interessante e personalizzato, che prese il nome di Content Marketing. La forza di questa nuova strategia consisteva nel fatto che, al contrario del Permission Marketing, essa insistesse maggiormente sull’importanza del contenuto, riducendo quella del contesto, infatti il consumatore veniva attratto grazie a contenuti estremamente personalizzati e di elevata qualità.

Grazie alla crescente digitalizzazione, le nuove conoscenze in campo informatico vennero applicate nella creazione di strumenti che potessero finalmente combinare la prima e la seconda tipologia di marketing. Hubspot per la prima volta incrocia contesto e contenuto, dando vita all’ Inbound Marketing. La nuova strategia mette le aziende di fronte a una sfida. Infatti, non soltanto devono proporre un contenuto interessante al consumatore, ma devono essere anche in grado di implementare le recenti tecnologie in ambito ICT, per sfruttare al massimo le informazioni generate dal consumatore nei touchpoint con l’azienda. Tali informazioni, inoltre, devono poi essere sfruttate dall’azienda per creare contenuti altamente personalizzati, in modo tale da distinguersi rispetto alla concorrenza.

Per delineare l’evoluzione e sottolineare il carattere di novità peculiare dell’Inbound Marketing, e mostrare come le aziende cambino prospettiva, in questo elaborato verranno messe in relazione, attraverso un capitolo dedicato ad ognuna,

(5)

a confronto i punti di distacco e di integrazione di ogni strategia. Infatti, attraverso l’analisi offerta nei primi tre capitoli, constateremo nel concreto come una strategia di Inbound Marketing sia preferibile per incentivare e automatizzare la creazione di relazioni in ambito B2B, analizzando il caso esemplare di Extra Magnet. Offrendo un’indagine che terrà conto anche delle informazioni personali raccolte durante il tirocinio svolto presso l’azienda, mostreremo come essa abbia reagito alla sfida dell’Inbound Marketing, in particolare concentrandosi sull’implementazione di una strategia basata sui topic cluster.

(6)

1. PERMISSION MARKETING

1.1. Il marketing relazionale fondato sulla comunicazione

La comunicazione, invece della persuasione, diviene il fondamento di un nuovo approccio di marketing che pone al centro i consumatori. Il primo modello per descrivere la comunicazione di marketing, risalente al 1964, prevendeva dodici elementi: prodotto, prezzo, branding, distribuzione, vendita personale, pubblicità, promozioni, packaging, esposizione, servizi, evidenze fisiche e dati e analisi (Bonden, 1964). Successivamente gli elementi vennero ridotti significativamente, fino ad arrivare al modello delle 4 P che prevede esclusivamente quattro elementi: prodotto, prezzo, distribuzione e promozione (McCarthy, 1964).

Le organizzazioni che pongono al centro i bisogni dei consumatori sono interessate, infatti, ad instaurare una relazione basata sulla comunicazione e non solo sulla persuasione, proprio perché, in qualsiasi genere di rapporto, la comunicazione rappresenta una solida base sui cui costruire una relazione. Tuttavia, utilizzare esclusivamente gli strumenti derivanti dal marketing mix è limitante poiché non include tutti gli aspetti connessi al brand message. Numerosi psicologi hanno sottolineato, del resto, come le organizzazioni dovrebbero gestire meglio l’intero spettro della comunicazione che riguarda il brand o l’organizzazione, ovvero quella comunicazione non pianificata (passaparola, notizie dei media, etc.) e i messaggi trasmessi attraverso

i prodotti o i servizi.

Il processo di

comunicazione di marketing può essere associato al tradizionale modello di comunicazione che oltre al messaggio include i) la fonte del messaggio, ii) il canale attraverso il quale il messaggio è

(7)

comunicazione, iv) il ricevente che decodifica il messaggio e il feedback che raggiunge la fonte (Fig. 1).

Infatti, analizzando parallelamente le caratteristiche del modello di comunicazione tradizionale e il processo di comunicazione di marketing notiamo come il ricevente corrisponde naturalmente al consumatore; che l’organizzazione rappresenta la fonte; il messaggio equivale al prodotto nella sua più ampia accezione, inteso come portatore di significati tangibili e intangibili; il canale, invece, trova il suo analogo nel sistema distributivo, inteso come processo che indirizza il prodotto verso il consumatore (ad esempio, scelte distributive e promozionali); le interferenze equivalgono ai prodotti dei competitor; ed infine, il feedback deriva dalle informazioni acquisite tramite attività di vendita, assistenza e di ricerche di mercato.

Come vediamo, ci sono importanti punti di intersezione tra i processi di comunicazione e quelli di marketing che supportano un modello relazionale basato sulla comunicazione invece che sulla persuasione.

Sia dalla prospettiva degli studi sul marketing che da quella sulla comunicazione, si sottolinea parallelamente l’eccessiva attenzione al funzionalismo e alla produzione, a scapito del focus sulle relazioni e i significati. In altre parole, secondo entrambe le scolarship, sostengono che per comprendere la comunicazione tra gli individui è necessario capire come gli individui si relazionano gli uni con gli altri (Schramm, 1973). Nonostante ciò gli studi che trattano il marketing relazionale spesso falliscono nell’includere la comunicazione come elemento critico, focalizzandosi su elementi

come ad esempio la fiducia che, di fatto, è una conseguenza della comunicazione in quanto elemento che si costituisce tramite un processo di comunicazione a lungo termine. Nella figura 2

(8)

intersezioni tra le teorie di marketing e le teorie di comunicazione sottolineando i fattori critici derivanti da tali intersezioni.

1.2. Come si instaura una relazione con i consumatori

Una delle peculiarità dei consumatori odierni è la costante connessione, il mobile, infatti, rappresenta parte integrante del consumatore moderno. I dispositivi mobili hanno tre caratteristiche principali, sono: personali, portatili e contestuali.

Personali perché ogni individuo ha la possibilità di personalizzare il proprio dispositivo, il quale rappresenta un’estensione della propria identità. Portatili perché sono indossati dal consumatore in ogni momento, ed infine sono contestuali perché il consumatore li utilizza in tempo reale, in base al contesto in cui si trova costituendo quindi, parte integrante della propria vita.

Grazie agli ultimi progressi nella mobile search, nella personalizzazione e nell’intelligenza artificiale, le persone iniziano a percepire i dispositivi mobili come assistenti personali, perché i software ora comprendono il linguaggio naturale e non solo le keyword. Recenti ricerche di mercato hanno sottolineato che i dispositivi mobili influenzano i consumatori in tutte le fasi del buyer journey: ricerca dei prodotti, pagamenti, ricerca di opinioni e consigli e, infine, condivisione dell’acquisto sui social network, entro il 2020 i dispositivi mobili potrebbero avere un impatto sul 50% delle decisioni d’acquisto (Deloitte, 2013).

L’individuo è una specie programmata per comunicare, collaborare, creare relazioni ed infine socializzare. Come si è evidenziato, tuttavia, la connessione e la conseguente comunicazione deve essere a due vie, di tipo interattivo, ma anche accorta ad evitare che al consumatore giungano messaggi irrilevanti e non personalizzati. L’accezione sociale dell’individuo ha importanti implicazioni per le organizzazioni che vogliono connettersi con i consumatori attraverso i dispositivi mobili (Moore, 2011).

Nel 1999 Seth Godin scriveva che l’emergere di internet e delle email, e la conseguente interattività derivante dall’utilizzo di tali mezzi, avrebbe cambiato tutte le “regole del gioco” e di conseguenza le strategie di marketing poste in essere

(9)

messaggio promozionale per tutti i consumatori. La classica relazione tra consumatore e azienda doveva cambiare e cedere il passo ad un “dialogo interattivo” che coinvolgerà entrambe le parti che, di fatto, entreranno a far parte di una “relazione interattiva”. Nei loro processi di marketing le aziende, invece di irrompere nella vita quotidiana dei consumatori, dovranno prima cercare di guadagnare il loro consenso (Godin, 2007).

Il permission marketing si configura come alternativa al marketing tradizionale. Ha l’obiettivo di attrarre l’attenzione dei consumatori e guadagnare il loro consenso, incoraggiandoli a partecipare in una campagna di marketing interattiva nella quale essi siano “ricompensati” per la loro attenzione con messaggi sempre più rilevanti. In tale contesto, svolge una fondamentale importanza il dialogo: infatti più il consumatore si sente coinvolto nel processo di creazione di valore più avrà difficoltà a sostituire tale relazione con quella di un competitor (Godin, 2007).

Il permission marketing si differenzia dal marketing tradizionale perché risulta essere:

1. atteso: il consumatore, avendo dato il consenso, si aspetta di ricevere messaggi promozionali dall’organizzazione;

2. personalizzato: il messaggio è pensato in base alle caratteristiche del consumatore;

3. rilevante: il messaggio contiene argomenti che interessano al consumatore (Godin, 2007).

Altra dimensione estremamente rilevante del permission marketing è la frequenza dei messaggi; le aziende devono focalizzarsi sia sul coinvolgimento del consumatore rendendo il messaggio personalizzato e rilevante, sia sulla frequenza della comunicazione perché, come si è già sottolineato, il consumatore si aspetta di ricevere il messaggio. La frequenza è essenziale per creare un rapporto di fiducia tra il consumatore e l’organizzazione.

Inoltre, l’obiettivo principale del permission marketing è quello di motivare il consumatore ad aumentare il livello di consenso nei confronti dell’organizzazione, fornendo un numero crescente di informazioni. Incoraggiando il consumatore a

(10)

concedere un quantitativo maggiore di informazioni, l’organizzazione può offrire in cambio una comunicazione sempre più rilevante e personalizzata (Godin, 2007).

I principi esposti da Godin sono perfettamente allineati con i consumatori moderni. La dimensione sociale dei nuovi consumatori e la costante relazione emozionale che si crea con l’utilizzo dei dispositivi mobili, creano le condizioni ideali per perseguire strategie di Permission Mobile Marketing.

1.3. Le criticità del Permission Marketing

L’implementazione di una strategia di permission mobile marketing (d’ora in poi PM) pone le organizzazioni di fronte a diverse criticità: segmentazione, qualità delle mailing list, spam e privacy.

La segmentazione nel PM si basa su una semplice formula: le caratteristiche del consumatore condizionano profondamente la comunicazione delle organizzazioni. Le caratteristiche derivano dai database aziendali nei quali sono raccolte le informazioni fornite dal consumatore all’azienda nella fase di opt-in, momento in cui il consumatore accetta di ricevere messaggi promozionali, dando il consenso all’organizzazione. Inoltre, vengono associate alle caratteristiche del consumatore, le sue preferenze derivanti da comportamenti registrati precedentemente on-line. A prescindere dalle preferenze manifestate e dalle caratteristiche, i consumatori in diverse occasioni manifestano comportamenti diversi, scegliendo cosa soddisfa il bisogno nel miglior modo possibile in base allo stato d’animo di quel preciso momento. Ciò ci suggerisce che le basi per un’efficace segmentazione sono i bisogni e non gli aspetti demografici o le preferenze manifestate.

Una criticità strettamente collegata con la segmentazione riguarda la qualità delle mailing list. Ad esempio, per motivi di privacy molti consumatori nella fase di opt-in forniscono email o informazioni false. Ricerche dimostrano che online i consumatori nel 60% dei casi forniscono intenzionalmente informazioni non corrette (Verve, 2015). Di conseguenza, i database tendono ad essere poco accurati, con contatti falsi o inesistenti, compromettendo l’efficacia della segmentazione derivante da tali database.

(11)

Lo spam, al contrario, riguarda la ricezione di email, non precedute da una fase di opt-in da parte del consumatore. La differenza principale sta nel fatto che per le email-spam il consumatore non ha dato il proprio consenso.

E’ importante sottolineare che il consumatore in alcuni casi potrebbe percepire i due tipi di email (opt-in email e spam) in modo contrario. In altre parole, il consumatore potrebbe percepire una opt-in email come spam e invece un’email

spam come utile e rilevante. Ciò accade perché i consumatori potrebbero dare il

permesso di ricevere comunicazioni di marketing ad un numero elevato di organizzazioni in diverse categorie merceologiche, portando al cosiddetto

overmarketing.

La difficoltà principale in questo scenario, sta nel fatto, che nel momento in cui le comunicazioni di marketing diventano numerose il consumatore non riesce più a distinguere le opt-in email dalle email spam. La mancata percezione della differenza tra i due tipi di email può far scendere il livello di engagement delle

opt-in email portandolo allo stesso livello delle email spam.

Il PM è considerato il modo più semplice per far fronte alle problematiche legate alla privacy. Le organizzazioni possono trarre vantaggio dalle inattenzioni cognitive e dalla pigrizia psicologica dei consumatori che tendono a considerare l’opzione standard come quella giusta da scegliere (Bellman, Johnson e Lohse, 2001). Va sottolineato che con la recente introduzione del “Regolamento generale sulla protezione dei dati” (GDPR), che ha sostituito la “Direttiva per la protezione dei dati” 95/46/EC, tale fenomeno è stato in parte arginato. La nuova direttiva, infatti, impone delle condizioni per il consenso più stringenti: le organizzazioni, infatti, dovranno comunicare i termini e le condizioni per il trattamento dei dati con un linguaggio semplice e comprensibile, usando una terminologia alla portata del consumatore. La richiesta di consenso inoltre deve essere chiara e distinguibile da altri intenti.

(12)

In tale contesto, alcune ricerche mostrano le potenzialità dei dispositivi mobili: la figura 3 evidenzia il tempo trascorso tra la ricezione di una notifica e la visualizzazione della stessa, suddividendo le varie tipologie di notifica e separando le notifiche ricevute nel corso della settimana da quelle ricevute nel fine settimana. Il tempo mediano per visualizzare una notifica nel fine settimana oscilla tra i 3,5 minuti per i messaggi e 27,7 minuti per le email. Le notifiche che vengono visualizzate con maggiore rapidità sono quelle relative ai messaggi (6,6 minuti durante la settimana e 3,5 minuti nel fine settimana) e ai social network (3,8 minuti durante la settimana 7,0 minuti nel fine settimana). Inoltre, osservando i box plot in figura si nota che la metà delle notifiche viene visualizzata nell’arco di pochi minuti, e la maggior parte entro un’ora (eccezion fatta per le email nel fine settimana). Quando la notifica è stata ricevuta, nel 69,2 % dei casi il dispositivo mobile era in stand-by. Ciò sottolinea la velocità con cui le notifiche vengono visualizzate e la capacità dei dispositivi mobile di generare interazione (ACM, 2014).

Per sfruttare le potenzialità dei dispositivi mobili è fondamentale che le organizzazioni si adattino alle caratteristiche di tali dispositivi. Come si è sottolineato, essendo personali, il linguaggio delle aziende dovrebbe essere molto informale, aperto e coinvolgente. I messaggi di marketing dovrebbero essere molto brevi e le organizzazioni dovrebbero essere in grado di utilizzare la giusta terminologia. Per massimizzare i risultati, in tale contesto, le organizzazioni dovrebbero considerare nella propria strategia di marketing cinque aspetti principali: trasparenza, ricompensa, linguaggio, gradualità e imprevedibilità.

Figura 3 Tempo mediano tra la ricezione e la visualizzazione di una notifica (ACM.ORG, 2014)

(13)

1. Trasparenza

Una strategia di PM ha l’obiettivo di creare una relazione che ha inizio dal momento in cui il consumatore da il consenso all’organizzazione di ricevere messaggi di marketing sul proprio dispositivo mobile. In questa fase la trasparenza risulta fondamentale, è importante far comprendere ai consumatori le conseguenze della decisione di opt-in. È necessario, inoltre, essere chiari e trasparenti anche nelle modalità, grazie alle quali il consumatore ha la possibilità di interrompere la relazione in ogni momento. È importante, infine, assicurarsi che i consumatori sappiano come saranno trattati i dati concessi evitando problematiche legate alla privacy. Essere trasparenti con i consumatori da alle organizzazioni la possibilità, nel lungo periodo, di creare rapporti basati sulla fiducia e sulla fedeltà.

2. Ricompensa

Come abbiamo già sottolineato il PM ha l’obiettivo di attirare l’attenzione dei consumatori ed il loro premesso incoraggiandoli a partecipare in una relazione interattiva nella quale i consumatori sono “ricompensati” per la loro attenzione con messaggi sempre più rilevanti e personalizzati. Bisogna però, essere creativi con le ricompense concesse al consumatore che ha effettuato la scelta di opt-in. È fondamentale che i consumatori siano realmente interessati al prodotto/servizio e non esclusivamente alla ricompensa. Eccedere nelle ricompense porta alla creazione di relazioni di breve termine, in cui il consumatore effettua la decisione di opt-in solo perché interessato alla ricompensa e subito dopo interrompe la relazione.

3. Linguaggio

I dispositivi mobili, essendo utilizzati spesso in situazioni dinamiche e avendo dimensioni ridotte, impongo alle organizzazioni di riprogettare i messaggi di marketing con un linguaggio semplice, breve e chiaro. Tenendo conto delle diverse abitudini e dalla diversa user experince offerte dai dispositivi mobili.

(14)

4. Gradualità

Richiedere informazioni e ricevere il permesso da parte dei consumatori è un processo graduale. È importante considerare in che stadio del buyer journey il consumatore si trova e il livello di fiducia instaurato con l’organizzazione. E’ importante creare una relazione e “nutrire” il consumatore, accrescendo la fiducia dello stesso nel tempo con una serie di contenuti utili, prima di chiedere ulteriori informazioni al consumatore (Fig. 4).

Figura 4 Processo di creazione di fiducia nel tempo (Optism, Alcatel-Lucent; 2011)

Quando si tratta di concedere informazioni, inoltre, va considerato che dalla terza domanda in poi ci si scontra con un limite psicologico dei consumatori nel rispondere. Dopo la decisione di opt-in, la propensione nel rispondere da parte del consumatore decresce fino a crollare dalla quarta domanda in poi (Fig. 5)

(15)

Figura 5 Propensione nel rispondere da parte dei consumatori per domande relative a processi di segmentazione (Optism, Alcatel-Lucent; 2011)

Chiedere il giusto numero di informazioni è solo il primo passo, perché i consumatori devono anche completare la sessione per far si che le informazioni raggiungano i database dell’organizzazione. Ecco perché è importante, per le organizzazioni implementare algoritmi che permettano ai consumatori di riprendere la compilazione delle domande dove avevano interrotto la sessione precedente, aumentando drasticamente la percentuale di completamento della sessione passando dal 34% all’85% (Fig. 6)

Figura 6 Completamento delle sessioni, prima e dopo l'implementazione dell'algoritmo che memorizza le risposte precedenti (Optism, Alcatel-Lucent; 2011)

(16)

5. Imprevedibilità

Non sempre in consumatori agiscono in modo razionale o come le organizzazioni si aspettano, quindi è lecito prevedere comportamenti diversi e inusuali da parte dei consumatori. Per questo motivo è importante per le organizzazioni avere una struttura agile che sia in grado di affrontare e gestire situazioni nuove o impreviste.

1.4. Fattori che influenzano la partecipazione dei consumatori

È chiaro, quindi, che senza il premesso da parte del consumatore non è possibile perseguire una strategia di PM. Ecco perché comprendere quali sono i fattori che influenzano il consumatore e quindi la loro propensione a partecipare risulta di fondamentale importanza.

I quattro fattori principali che influenzano il consumatore sono: fiducia personale, fiducia istituzionale e controllo percepito (Fig. 7)

Figura 7 Fattori che influenzano la partecipazione dei consumatori (Elaborazione personale sulla base di: Jayawardhena, Kuckertz, Karjaluoto e Kautonen; 2009)

La fiducia personale emerge principalmente in due situazioni: 1) con la diretta iterazione tra il consumatore e l’organizzazione 2) oppure attraverso delle informazioni sull’organizzazione che il consumatore acquisisce tramite altre fonti

(17)

che conosce direttamente. La fiducia personale è costituita da due dimensioni. Una dimensione diretta che si sviluppa con il contatto tra il consumatore e l’organizzazione; tale dimensione si concretizza con la serie di esperienze che il consumatore svolge quando entra in contatto con l’organizzazione, con i suoi prodotti o servizi e con il personale dell’organizzazione.

L’altra dimensione è quella indiretta che si basa sull’influenza sociale in capo al consumatore. In altre parole, tutte le esperienze che amici, familiari, colleghi e conoscenti hanno avuto entrando in contatto con l’organizzazione, le quali, vengono condivise con il consumatore sotto forma di opinioni o critiche. È possibile sostenere che un consumatore con un livello positivo di fiducia personale probabilmente sarà più propenso a concedere il permesso all’organizzazione (Kumar, Zhang e Luo, 2014).

La fiducia istituzionale, invece, si riferisce alla più ampia concezione di fiducia che il consumatore percepisce all’interno delle istituzioni politiche, legali, culturali, associazioni civili, nei media e più in generale all’interno della società. In un’ottica di marketing la fiducia istituzionale è un riflesso della comunicazione derivante dai media. Gli individui, attraverso relazioni interpersonali e social network, hanno accesso a un limitato spettro di informazioni, ecco perché contano anche sulle notizie e sulle pubblicità presentate dai media (Shapiro, 1987). È chiaro che l’immagine dell’organizzazione descritta dalle istituzioni e dai media influenza la percezione di fiducia che il consumatore ha sull’azienda in generale e, in particolare, la percezione di fiducia relativa alla mobile communication della stessa. Va sottolineato che un consumatore con un livello positivo di fiducia istituzionale probabilmente avrà un atteggiamento positivo nei confronti delle comunicazioni di marketing dell’azienda (Kumar, Zhang e Luo, 2014).

Infine, va considerato il perceived behavioural control (PBC) che si riferisce al controllo percepito, ovvero la possibilità di effettuare da parte di un individuo l’azione desiderata, in un determinato contesto. Ci sono opinioni controverse sull’incidenza del PBC in una strategia di PM. Alcuni studiosi sostengono che l’associazione tra il PBC e la propensione del consumatore di concedere il permesso all’azienda sia nulla o del tutto assente (Karjaluoto e Alatalo, 2007; Merisavo et al.,

(18)

2007). Invece, secondo altri studiosi, il PBC gioca un ruolo fondamentale e complementare rispetto alla fiducia, perché percepito come un meccanismo di autodifesa nei confronti dell’organizzazione (Blomqvist et al., 2005; Dyer, 1997; Nooteboom, 2002). In altre parole, il consumatore percepisce un certo grado di rischio prima di una transazione, in questo caso la transazione si concretizza con il concedere le informazioni all’organizzazione.

Fiducia e controllo sono meccanismi che consento di abbassare la percentuale di rischio percepito. Va sottolineato che se uno dei due meccanismi è maggiormente presente allora sarà necessaria una quantità minore dell’altro meccanismo perché la transazione avvenga (Nooteboom, 2002).

In una relazione derivante da una strategia di PM, al crescere del PBC, decresce la quantità di fiducia che l’organizzazione necessita per ricevere il consenso da parte del consumatore.

Ovviamente al crescere del controllo e quindi del PBC, crescerà probabilmente la propensione del consumatore a concedere il permesso all’organizzazione (Kumar, Zhang e Luo, 2014).

A questo punto è importante chiedersi se l’organizzazione è in grado influenzare le decisioni di opt-in e quelle di interruzione della relazione da parte del consumatore.

1.5. Aspetti da considerare nelle fasi di opt-in e opt-out

Le organizzazioni devono gestire due aspetti critici per avere successo nelle strategie di PM: il momento di opt-in e di interruzione della relazione (chiamata anche decisione di opt-out). Sono stati sottolineati i fattori che influenzano i consumatori nella decisione di opt-in, ma è importante mettere in evidenza anche quali sono i fattori che influenzano le decisioni di opt-out.

Krishnamurthy (2001), in particolare, sottolinea come l’interesse del consumatore nel rimanere all’interno della relazione è influenzato dal suo livello di partecipazione. L’autore sottolinea che i consumatori effettuano la decisione di opt-in per ottenere opt-informazioni e promozioni riguardanti il prodotto, riducendo così il costo legato alla ricerca di informazioni e ricevendo eventuali benefici economici tramite gli sconti. Il livello di partecipazione del consumatore all’interno della

(19)

relazione influenza l’attitudine e il comportamento dello stesso e la sua propensione all’acquisto (DuFrene et al., 2005), rendendolo più partecipe alle iniziative di marketing dell’organizzazione (Marinova, Murphy e Massey, 2002). Più a lungo il consumatore sarà coinvolto nella relazione con l’organizzazione, più crescerà la probabilità che effettui degli acquisti (Kumar, Zhang e Luo, 2014). Va sottolineato che l’essere coinvolti in una relazione, quindi in una strategia di PM, ed effettuare la decisione d’acquisto, sono processi indipendenti (Danaher, 2002) che, tuttavia, dovrebbero essere analizzati congiuntamente. Le organizzazioni, infatti, dovrebbero investire le loro risorse non solo nel prolungare la relazione con il consumatore, ma anche nell’indurlo a spendere di più nel corso della stessa.

Gli autori V.Kumar, Xi Zhang e Anita Luo (2014) confermando le teorie precedenti, sostengono che i consumatori coinvolti in una relazione e quindi in un’efficace strategia di PM, acquistano più frequentemente e hanno un numero maggiore di contatti con l’azienda.

Coerentemente con gli studi di Barnes e Scornavacca (2008), gli autori V.Kumar, Xi Zhang e Anita Luo (2014), inoltre, sottolineano che la quantità dei messaggi di marketing a cui il consumatore è esposto, le caratteristiche demografiche e i diversi comportamenti online influenzano le decisioni di opt-in.

E’ importante, infine, considerare che un numero elevato di comunicazioni di marketing ha un impatto negativo sulla relazione tra l’organizzazione e il consumatore, in quanto il coinvolgimento di quest’ultimo decrescente al crescere del numero delle comunicazioni di marketing. Le organizzazioni dovrebbero, infatti, bilanciare l’intensità delle comunicazioni di marketing per evitare il verificarsi del cosiddetto fenomeno dell’overmarketing del consumatore.

Nella tabella sottostante è possibile notare come la quantità dei messaggi di marketing a cui il consumatore è esposto influenza le decisioni di opt-in e opt-out (Tabella 1).

(20)

Tabella 1 L'influenza delle comunicazioni di marketing sulle decisioni di opt-in e opt-out (Kumar, Zhang e Luo, 2014)

Si può notare come un incremento unitario mensile delle comunicazioni di marketing, provenienti da ogni fonte, prolunghi mediamente di 13,6 mesi la decisione di opt-in, fino ad arrivare ad un incremento di 47,6 mesi quando si passa da tre comunicazioni a 4 comunicazioni.

Per quanto riguarda la decisione di opt-out, un incremento unitario mensile delle comunicazioni di marketing ha un effetto positivo sulla decisione di opt-out posticipandola di circa 8 mesi, anche se tale effetto positivo diminuisce gradualmente, diventando negativo quando il consumatore è esposto a più di 4 comunicazioni di marketing mensili. Analizzando invece l’effetto delle email derivanti da una strategia di PM sulla decisione di opt-out si può notare che all’aumentare del numero di email la decisione è posticipata fino ad arrivare al punto di non ritorno (15 email mensili), dopo il quale un aumento del numero di email mensili non ha alcuna influenza sulla decisione di opt-out.

Queste considerazioni mettono in luce un punto molto importante per le organizzazioni, le quali non dovrebbero focalizzarsi esclusivamente sull’intensità delle comunicazioni di marketing, ma anche sula qualità e sulla rilevanza dei contenuti proposti (Kumar, Zhang e Luo, 2014).

(21)

2. DIGITAL CONTENT MARKETING

2.1. Understanding digital content marketing

Per comprendere il valore aggiunto che il digital content marketing (d’ora in poi DCM) apporta rispetto al PM è importante sottolineare che il processo di acquisto in ambito B2B risulta in genere complesso e caratterizzato da diversi stadi, in cui sono coinvolte numerose figure decisionali. Inoltre, in tale contesto, i consumatori, senza entrare in contatto con le organizzazioni percorrono gran parte del loro processo decisionale, ricercando informazioni online e consumando contenuti (Halligan e Shah, 2010; Odden, 2012). Detto ciò risulta semplice comprendere che una strategia di PM, da sola, non può essere efficace in ambito B2B in quanto, per essere perseguita, presuppone un primo contatto tra l’organizzazione e il consumatore. Tale primo contatto senza una strategia di DCM potrebbe non avvenire mai.

Quando parliamo di DCM facciamo riferimento alla definizione dell’American Marketing Association (2013): “Il Digital Content Marketing è una strategia che prevede la creazione, la comunicazione, la distribuzione e lo scambio di contenuti digitali che hanno un valore per i consumatori, i clienti, i partner e l’organizzazione”.

Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse sulle potenzialità delle strategie di DCM attraverso le quali le organizzazioni distribuiscono contenuti coinvolgenti e interessanti in relazione ai bisogni dei consumatori (Halligan e Shah, 2010). I contenuti quindi, risultano essere la componente principale di una strategia di DCM anche se il concento di contenuto in ambito B2B non è cosi scontato. Handley and Chapman (2011) definiscono i contenuti come qualsiasi cosa creata e condivisa su un sito web. Halvorson and Rach (2012) invece suggeriscono che i contenuti sono il motivo per cui i consumatori visitano il sito web di un’organizzazione; infine Wuebben (2012) sostiene che i contenuti siano la componente principale per raccontare i valori dell’organizzazione. In generale possiamo classificare i contenuti in due tipologie: contenuti di tipo statico, ad esempio siti web, e contenuti di tipo dinamico, ad esempio video, podcast e UGC (Smith e Chaffey, 2013). Di recente con l’ascesa dei social media, c’è stato un

(22)

interesse crescente sull’influenza che gli UGC hanno sulla reputazione delle organizzazioni e la conseguente co-creazione di valore che ne deriva (Christodoulides, 2009; Iglesias et al., 2013; Quinton, 2013).

Le organizzazioni che distribuiscono i contenuti attraverso canali digitali, forniscono informazioni o consigli come dimensione complementare rispetto al prodotto o per arricchire le relazioni con i consumatori. Di conseguenza, i contenuti digitali possono essere usati sia come leve di marketing per attrarre i consumatori, che come prodotti rappresentando, quindi, il cuore dello scambio.

La duplice valenza che le informazioni hanno in un contesto digitale, tuttavia, condiziona l’intero processo di marketing. Prima di analizzare tali conseguenze è utile delineare le peculiarità e le caratteristiche dei contenuti digitali:

1. Il valore è contestuale

I contenuti digitali non hanno un valore intrinseco. Il valore dipende dal contesto e dall’uso che un particolare utente ne fa in una specifica occasione, ciò implica che il valore non può essere determinato a priori. La natura contestuale del valore associato ai contenuti digitali, influenza la percezione di valore che i consumatori hanno di tali contenuti. Questa caratteristica, a sua volta, influenza la struttura economica dell’industria connessa ai contenuti digitali.

2. Riproducibilità e moltiplicabilità

Un contenuto digitale nel momento in cui viene scambiato non è perso e non si esaurisce una volta consumato. La sua condivisione o scambio quasi sempre causa un incremento di valore. Dal punto di vista economico, i contenuti digitali hanno una natura auto moltiplicativa perché il loro scambio non implica la redistribuzione, la perdita o il consumo del contenuto. I contenuti digitali, inoltre, possono essere facilmente riprodotti, in alcuni casi anche troppo facilmente, infatti molti autori (Fotopoulos et al., 2004; Kang et al., 2005; Ko et al., 2005; Umeh, 2007) associano i contenuti digitali a tematiche come la sicurezza e la proprietà intellettuale.

3. Interattività

L’informazione è una componente dinamica nei sistemi in cui è presente, e dovrebbe essere concepita all’interno delle organizzazioni come una spinta

(23)

formativa e organizzativa invece che come un accumulo di dati. Le informazioni sono spesso combinate ed integrate con informazioni derivanti da altre fonti e utilizzate per i processi decisionali. Ad un livello individuale, le informazioni sono parte integrante di un processo formativo e sono utilizzate per accrescere le capacità nell’assorbire altre informazioni. 4. Repackaging

I contenuti digitali esistono in diverse forme. Diversi contenuti digitali, infatti, possono essere generati da un unico database, ma distribuiti in forme differenti. Anche se la componente principale del contenuto è sempre l’informazione, può comunque includere funzionalità o benefici diversi. 5. Distribuzione e tecnologia

La tecnologia permette e facilita la distribuzione dei contenuti digitali. Diversi contenuti digitali possono essere distribuiti tramite diversi strumenti capaci di elaborare contenuti digitali complessi come video, immagini e componenti grafiche. Le tecnologie mobili hanno ampliato enormemente la distribuzione dei contenuti digitali, imponendo formati e modalità specifici. 6. Deperibilità

I contenuti digitali non si deteriorano con il passare del tempo, al contrario di quanto avviene per la componente tecnologica con cui vengono distribuiti. Al contrario, il valore può modificarsi con il variare del tempo. L’incertezza associata al valore dei contenuti digitali comporta la creazione di archivi per rendere le informazioni disponibili in periodi successivi, nel caso ci fosse un ritorno o incremento di valore di una data informazione. 7. Omogeneità

I contenuti digitali hanno una componente di omogeneità, in quanto tutte le copie sono identiche tra loro e sono uguali al contenuto originale.

8. Inseparabilità

Dal punto di vista dell’inseparabilità, i contenuti digitali sono più simili ai prodotti che ai servizi, in quanto possono essere prodotti, immagazzinati, trasportati e possono esistere anche senza essere consumati.

(24)

L’unica parte tangibile dei contenuti digitali è il mezzo tecnologico con cui vengono distribuiti, ad esempio un riproduttore digitale per la musica o un dispositivo per leggere un e-book.

Data la loro natura, i contenuti digitali vengono distribuiti attraverso canali digitali (Internet, social media etc.). La distribuzione in un contesto digitale presenta due dimensioni interconnesse: i) la catena distributiva e la customer

experience ad essa correlata e ii) la componente di servizio digitale nei touchpoint

con il cliente. Entrambe le dimensioni meritano un approfondimento.

Umeh (2007) sostiene che la catena distributiva dei contenuti digitali prevede cinque gruppi di stakeholder: stakeholder creativi (autori, artisti, compositori, programmatori, designer, blogger etc.), stakeholder legali o governativi (governi e organi di settore), stakeholder commerciali (distributori, emittenti, social media etc.), stakeholder tecnologici (aziende IT, fornitori di software/hardware, produttori di dispostivi mobili etc.) e infine i consumatori finali. Il focus nel nostro caso è sul rapporto tra stakeholder commerciali e consumatori finali. A differenza di altri contesti il consumatore finale interagisse direttamente con una serie di organizzazioni che ne definiscono di fatto la customer experience.

La componente di servizio digitale nei touchpoint con il cliente porta ad un impoverimento agli occhi dello stesso del concetto di distribuzione, perché in questo contesto la distribuzione equivale ad un servizio digitale, generato in parte dal consumatore stesso (Dabholkar, 2003; Sara, 2000). Un servizio digitale può essere definito come un servizio basato sul web (Reynolds, 2000) o come una serie di servizi interattivi distribuiti tramite internet (Boyer et al., 2002). Rowley (2006) definisce il servizio digitale come segue: “Il servizio digitale è un’attività o una prestazione erogata con l’ausilio di sistemi IT (web e i dispositivi mobili inclusi). Il servizio digitale, inoltre, comprende anche altri servizi correlati come

l’e-commerce e i servizi post vendita e di supporto”.

La parte di servizio erogata dal consumatore si concretizza nel processo di apprendimento che il consumatore affronta autonomamente in determinati contesti per adattarsi a diverse interfacce o modalità di utilizzo. Sia nella fase iniziale di apprendimento che in una fase successiva, l’esperienza del consumatore può essere

(25)

fortemente influenzata dal livello di apprendimento maturato. Questo può avere conseguenze imprevedibili sulle aspettative del consumatore e su come quest’ultimo valuta la qualità del servizio. I consumatori, infatti, tendono a valutare positivamente un servizio digitale se l’interfaccia attribuisce loro un ruolo congruente con le conoscenze maturate, le capacità e l’immagine che i consumatori hanno di sé stessi. L’importanza del processo di apprendimento impone alle organizzazioni di progettare servizi digitali che vadano oltre il concetto di web

design per fornire un’esperienza coinvolgente per i consumatori.

2.1.1. Comunicazione di marketing e branding per i contenuti digitali L’esperienza del consumatore in contesti digitali, come abbiamo detto, è influenzata da molte organizzazioni. In tale scenario, Odden (2012) sottolinea che i consumatori si aspettano che le organizzazioni investano del tempo e delle risorse per creare una relazione, nonostante non sia stata manifestata esplicitamente una propensione all’acquisto. Jefferson e Tanton (2013) suggeriscono che sia necessario un cambio di prospettiva con l’obiettivo di aiutare il consumatore a soddisfare i propri bisogni piuttosto che a vendere un prodotto o un servizio. Numerosi autori suggerisco che l’obiettivo principale del DCM sia quello di raccontare una storia ai consumatori invece di elencare semplicemente le caratteristiche di un prodotto o servizio (Bhargava, 2012; Halligan e Shah, 2010; Pulizzi e Barrett, 2008; Pulizzi, 2012; Signorelli, 2012). Nonostante ciò solo il 39% delle organizzazioni hanno una strategia di DCM definita e il 60% dei contenuti risultano noiosi e irrilevanti, perché focalizzati solo sui prodotti o sui servizi offerti dall’organizzazione (CorporateVisions, 2012). L’obiettivo principale, nell’elaborare una storia che trasmetta i valori dell’organizzazione, è quello di differenziarsi dai competitor, ciò significa raccontare una storia unica e personale (Rose e Pulizzi, 2011). Inoltre, Jefferson e Tanton (2013) sostengono che i contenuti dovrebbero adattarsi alla piattaforma su cui vengono distribuiti.

(26)

2.2. Social media in ambito B2B

Lo sviluppo dei canali digitali ha avuto un forte impatto sulle comunicazioni di marketing a causa dell’interattività, della trasparenza e della condivisione che caratterizzano tali canali (Gurau, 2008). Di conseguenza, le organizzazioni percepiscono una perdita di controllo e temono che gli user generated content (d’ora in poi UGC) possano diffondersi creando una brand image negativa per l’organizzazione. In ambito B2B i social media favoriscono le iterazioni con i clienti, ponendosi come uno strumento per creare e coltivare le relazioni (Michaelidou et al., 2011).

Per quanto riguarda la creazione di UGC, soprattutto in ambito B2B, le aziende devono considerare esternamente gli stakeholder (Bruhn et al., 2013) e internamente i dipendenti della propria azienda (Brennan e Croft, 2012).

Utenti interni

Gli utenti interni possono essere suddivisi in due ulteriori gruppi: utenti aziendali e dipendenti.

Gli utenti aziendali rappresentano la voce dell’organizzazione e corrispondo alle figure professionali che lavorano nel dipartimento di marketing. Un dipendete, invece, utilizza i social media per messaggi di tipo personale, che possono però includere anche argomenti relativi all’organizzazione per cui lavora.

Possono essere indentificate due strategie per gestire i contenuti generati dai dipendenti:

1. Forte controllo su tutti i contenuti che riguardano l’organizzazione per assicurare un’immagine online coerente;

2. Permettere ai dipendenti di comunicare e interagire liberamente sui social media;

Utenti Esterni

Gli utenti esterni corrispondo agli utenti dei social media che non fanno parte dell’organizzazione. Possono essere ulteriormente suddivisi in organizzazioni esterne, clienti, professionisti e utenti generici. Con clienti, in questo caso, si fa

(27)

riferimento alle figure decisionali di un’organizzazione B2B che potrebbe essere cliente o che lo è già. Con professionisti si fa riferimento agli stakeholder attuali o potenziali di cui fanno parte, ad esempio, anche possibili investitori o possibili dipendenti. Con utenti generici si fa, infine, riferimento a utenti che non hanno rapporti commerciali con l’organizzazione, ma hanno un interesse nei confronti di essa (Huotari, Ulkuniemi, Saraniemi e Mäläskä, 2014).

Analizzati i soggetti coinvolti nella creazione dei contenuti, va ora analizzato cosa e in che modo influenza la creazione dei contenuti. Secondo Ryan e Jones (2009) la creazione dei contenuti nei social media ha due obiettivi principali: aumentare la reputazione dell’organizzazione online, dei suoi prodotti o dei suoi servizi, e gestire tale reputazione avendo un ruolo attivo nelle discussioni che hanno una maggiore visibilità. Questo è un modo diretto di influenzare la creazione dei contenuti ed è l’unica attività su cui l’organizzazione ha influenza diretta. L’organizzazione può, inoltre, optare per una creazione dei contenuti di tipo indiretto, supportando gli utenti esterni nella creazione di UGC. Kozinets et al. (2011) evidenziano delle situazioni alternative che possono crearsi quando l’azienda non partecipa direttamente alla creazione dei contenuti:

1. L’inizio della conversazione riguardante l’organizzazione può essere spontanea;

2. L’organizzazione, come già accennato, può influenzare indirettamente altri utenti esterni;

Nel primo caso gli utenti avviano in maniera spontanea le conversazioni online, trattando argomenti o prodotti correlati con l’organizzazione. Nel secondo caso l’organizzazione può invece influenzare i cosiddetti opinion leader, i quali hanno una forte influenza sulla loro community di riferimento. Nella figura 8 vengono riassunte le influenze dirette e indirette sulla creazione di contenuti in ambito B2B.

(28)

Figura 8 Influenze dirette e indirette sulla creazione dei contenuti in ambito B2B (Huotari e Ulkuniemi, Saraniemi, Malaska; 2015)

Nella figura 8, le frecce piene rappresentano le influenze dirette mentre le frecce tratteggiate rappresentano le influenze indirette, ovvero gli UGC. E’ stata precedentemente sottolineata l’importanza dei cosiddetti UGC che, come si può notare dalla figura 8, hanno un impatto maggiore sulla creazione di contenuti, ecco perché è di notevole importanza analizzare anche in che modo le aziende possano influenzare le diverse sfere della creazione dei contenuti.

Partendo dalle attività interne, l’organizzazione può influenzare la creazione dei contenuti in due modi:

1. direttamente partecipando alle conversazioni o eliminando dei contenuti, oppure controllando la creazione dei contenuti da parte dei dipendenti; 2. indirettamente formando i dipendenti, ma lasciando tuttavia l’autonomia

agli stessi su come comunicare e come gestire il loro comportamento sui social media.

L’organizzazione, inoltre, dovrebbe integrare strategie a supporto delle attività interne con l’obiettivo di influenzare le attività esterne che generano contenuti.

(29)

Nella figura 9 viene rappresentato il modello precedente con l’aggiunta delle attività che l’azienda può porre in essere per influenzare le diverse sfere della creazione dei contenuti.

Figura 9 Influenze dirette e indirette sulla creazione dei contenuti in ambito B2B, con le possibili azioni da parte dell’azienda (Huotari e Ulkuniemi, Saraniemi, Malaska; 2015)

Inoltre, l’azienda deve considerare anche la sfera di creazione dei contenuti che non avvengono in ambito B2B, ma riguardano temi connessi all’industria o alle organizzazioni di un dato settore, adattando ed integrando ulteriori attività e strategie di marketing per influenzare la creazione di tali contenuti.

Altra attività emergente e in forte crescita, che abilità le organizzazioni alla creazione di contenuti digitali, è il corporate blogging, il quale si rivela un ottimo strumento di marketing e di Customer Relationship Management (d’ora in poi CRM).

2.3. Corporate Blogging

Un corporate blog è uno spazio virtuale utilizzato per immagazzinare informazioni dove le organizzazioni condividono contenuti d’interesse per i potenziali clienti. Va sottolineato che l’attività di blogging è ormai qualcosa di molto diffuso ed efficace, soprattutto in ambito B2B, in cui le conversazioni hanno

(30)

una natura tecnica e quindi non sempre sono adatte ai social media in cui la dimensione dell’intrattenimento risulta maggiore rispetto alla dimensione tecnica o professionale (Ahuja e Medury, 2010).

La natura dei contenuti può essere diversa in base allo scopo che l’organizzazione si pone, ad esempio, possono essere condivisi contenuti promozionali o contenuti che forniscono una soluzione ad un problema. Risulta fondamentale comprendere quali sono le tipologie di contenuti che favoriscono le relazioni tra le organizzazioni e i consumatori.

Utilizzare e gestire un corporate blog implica una predisposizione da parte dell’organizzazione alla creazione di contenuti digitali e all’intenzione di coinvolgere i potenziali clienti in una conversazione, soprattutto quando il blog permette ai visitatori di postare i propri commenti. La conversazione che si crea tra l’organizzazione e i visitatori è, in genere, di tipo informale, ciò permette all’organizzazione di sviluppare un rapporto di fiducia incrementando il coinvolgimento dei visitatori (Dwyer, 2007).

È importante misurare il coinvolgimento del consumatore nei confronti di un’organizzazione, perché quando il consumatore è costantemente in contatto con un’organizzazione, può iniziare a percepire la stessa come una persona che fa parte della propria quotidianità (Schultz, 2000). Inoltre, quando i consumatori sono coinvolti in una relazione con un’organizzazione iniziano a percepire il valore ad essa correlato (Esch, Langer, Schmitt e Geus, 2006). In un contesto digitale risultano, quindi, fondamentali la qualità e la quantità dei contenuti che portano ad un aumento dei punti di contatto tra il brand e il consumatore. E’ importante, quindi, comprendere quali sono le tipologie di contenuti che aiutano a creare una relazione tra le organizzazioni e i consumatori, generando coinvolgimento e quindi una maggiore partecipazione.

Ahuja e Medury (2010) propongono una classificazione dei contenuti in quattro categorie: contenuti aziendali, contenuti promozionali, contenuti relazionali e contenuti generici.

1. Contenuti aziendali: hanno lo scopo di condividere news o informazioni sull’organizzazione, ad esempio notizie sulla crescita, su iniziative connesse alla responsabilità sociale o eventi aziendali. L’obiettivo di questa tipologia

(31)

di contenuti è quello di migliorare e trasmettere un’immagine aziendale di maggior valore.

2. Contenuti promozionali: hanno lo scopo di promuovere prodotti/servizi, le caratteristiche di un nuovo prodotto/servizio o di promuovere promozioni associate ad un prodotto/servizio. Sono inclusi anche quella tipologia di contenuti che implicitamente promuovono un prodotto, un servizio o le sue caratteristiche e quelle tipologie di contenuti che trattano tematiche correlate ad un settore.

3. Contenuti relazionali: hanno lo scopo di raccogliere i feedback e le opinioni dei clienti; includono anche contenuti che riguardano delle controversie tra il consumatore e l’organizzazione o contenuti che riguardano preoccupazioni o timori dei consumatori.

4. Contenuti generici: tutti gli altri contenuti vengono inclusi in questa categoria, data l’eterogeneità e la mancanza di punti comuni che giustificassero la definizione di un ulteriore categoria.

Gli autori Ahuja e Medury (2010) hanno analizzato 1207 post in 10

corporate blog di quattro organizzazioni facenti parte della classifica “Fortune

500”, operanti sia in ambito B2B che in ambito B2C. In base alle categorie precedentemente illustrate sono stati analizzati: la percentuale dei contenuti pubblicati di una data categoria rispetto al totale dei contenuti pubblicati, la percentuale dei commenti su contenuti di una data categoria rispetto al totale dei commenti e infine il tasso di commenti postati su ogni singolo contenuto per ogni categoria di contenuto. Nella tabella 2 sono riportati i risultati:

(32)

Tabella 2 Analisi dei contenuti, dei commenti e del tasso di commenti su ogni contenuto (Ahuja e Medury ,2010)

Come è possibile notare dalla tabella 2, i contenuti relazionali hanno un più alto livello di coinvolgimento, considerando il tasso di commenti effettuati per ogni categoria.

Ciò suggerisce che le aziende dovrebbero produrre un maggior volume di contenuti relazionali o comunque provare a smuovere la componente emozionale degli utenti. La componente relazionale di tali contenuti sembra toccare la parte emozionale dei consumatori, che è spinto a partecipare alla discussione con l’organizzazione. Il focus sui commenti, infatti, deriva dal fatto che il coinvolgimento e quindi la propensione a partecipare alla discussione è influenzata solo dal numero di commenti esistenti, i quali al principio sono influenzati dalla qualità e dalla tipologia del contenuto. Invece misurazioni relative al numero di visualizzazioni o condivisioni di un contenuto possono essere influenzate da altri fattori o da attività di tipo promozionale.

(33)

3. INBUOND MARKETING

3.1. Definizioni e caratteristiche

Come si è già ampiamente sottolineato nei primi due capitoli, la crescita dei contenuti digitali e dei social media in particolare e i recenti sviluppi nell’IT, che saranno approfonditi in seguito, stanno trasformando il modo in cui gli individui e le organizzazioni cercano informazioni e come interagiscono gli uni con gli altri (Dennis, Merrilees, Jayawardhena e Wright, 2009; Greenberg, 2010; Kietzmann, Hermkens, McCarthy e Silvestre, 2011). Un cambio di prospettiva notevole in ambito B2B è dovuto alla crescente influenza dei canali e dei contenuti digitali nel

buyer journey dei potenziali clienti (Lingqvist, Plotkin e Stanley, 2015; Wiersema,

2013).

Una ricerca condotta da CEB (Corporate Executive Board) su un campione di 1400 clienti B2B sottolinea come i consumatori prendano le loro decisioni basandosi fortemente sulle informazioni e i contenuti presenti online e che completino quasi il 60% del buyer journey prima di mettersi in contatto con il reparto vendite di un’organizzazione. Il ruolo attivo giocato dai clienti in ambito B2B ha dato vita ad un nuovo paradigma chiamato “Inbound Marketing”.

Porre in essere una strategia di Inbound Marketing significa creare una conversazione aperta e interessante con i clienti, i quali rivolgo la loro attenzione all’azienda in quanto attratti da contenuti che rispecchiano i loro bisogni. Possiamo definire l’Inbound Marketing come una tipologia di marketing che richiede una targetizzazione molto precisa e una comunicazione altamente personalizzata ottenuta attraverso la creazione di contenuti digitali di alta qualità. Perciò, “l’Inbound Marketing è una strategia che crea una connessione con i potenziali clienti attraverso contenuti ed esperienze a loro utili. Utilizzando canali digitali come ad esempio social media e blog per intrattenere e informare i visitatori con dei contenuti che loro stessi cercano” (Marketing-Schools.org, 2016). Secondo HubSpot l’azienda che ha creato la metodologia Inbound e di conseguenza l’Inbound Marketing: «Dal 2006, l’Inbound Marketing è stata la metodologia di marketing più efficace in un ambiente digitale […] l’Inbound Marketing si

(34)

focalizza sulla creazione di contenuti di qualità che attraggono spontaneamente i potenziali clienti verso l’organizzazione o i suoi prodotti” (Hubspot, 2016).

L’Inbound Marketing pur essendo strettamente correlato al content

marketing e al permission marketing, fa un passo ulteriore: aumenta, infatti, la sua

efficienza ed efficacia grazie all’introduzione di tecniche di marketing automation. Estremizzando il concetto di target attraverso le buyer persona, l’inbound sottolinea la forte correlazione tra la qualità del contenuto e il contesto e infine introducendo un nuovo approccio per gestire i rapporti tra il dipartimento di marketing e quello delle vendite.

È necessario a questo punto analizzare nel dettaglio i concetti appena esposti. Con marketing automation si fa riferimento a tutte quelle tecniche che prevedono l’utilizzo di una o più piattaforme software che possono essere utilizzate dalle organizzazioni per la distribuzione dei contenuti che, tramite determinati settaggi, portano ad automatizzare e snellire i processi di marketing. L’obiettivo principale è quello di attrarre, costruire e coltivare la fiducia con clienti attuali e potenziali personalizzando i contenuti più rilevanti in base ai loro bisogni specifici (Hubspot, 2015; Kantrowitz, 2014). Il termine personalizzazione in genere fa riferimento all’adattamento su scala individuale di una o più componenti del marketing mix (Montgomery e Smith, 2009). L’obiettivo è trattare ogni persona in modo differente, rispettando i suoi bisogni individuali e creando contenuti che vadano a coincidere con tali bisogni. Coerentemente con l’ELM (elaboration

likelihood model), all’aumentare della personalizzazione e quindi della rilevanza

del messaggio, aumenta la possibilità che il messaggio sia notato e quindi aumenta la sua efficacia (Petty e Cacioppo, 1986). Il marketing automation sfrutta al massimo le tecniche di web analytics (Järvinen e Karjaluoto, 2015; Phippen, Sheppard, e Furnell, 2004; Wilson, 2010) tracciando il comportamento degli utenti

online grazie all’utilizzo di cookies e indirizzi IP. La differenza principale consta

tuttavia nel fatto che il marketing automation è in grado di tracciare tali comportamenti a livello individuale e per un periodo prolungato di tempo. Inoltre, il marketing automation combina approcci attivi con quelli passivi per raccogliere

(35)

da parte dell’organizzazione nei confronti dei potenziali clienti, effettuata appunto esplicitamente attraverso domande di varia natura; al contrario, gli approcci passivi fanno riferimento a informazioni derivanti da transazioni precedenti o dati generati derivati dai comportamenti online dei potenziali clienti. Grazie ai dati derivanti da approcci passivi e attivi, la piattaforma di marketing automation può personalizzare i messaggi e rilevare in che stadio del buyer journey si trova il potenziale cliente (Kantrowitz, 2014).

3.2. Marketing automation, le buyer persona ed il buyer journey

Ogni interazione tra l’organizzazione e un potenziale interessato dovrebbe essere progettata e personalizzata tenendo presente in che stadio del buyer journey si trova la buyer persona. Dato che una strategia di Inbound Marketing pone al centro la relazione con il cliente e la personalizzazione della customer experience, risulta molto importante conoscere in modo profondo il target di riferimento.

Secondo la metodologia inbound, la customer exeperience deve essere progettata esclusivamente per il target di riferimento, importante per creare delle relazioni solo con chi potrebbe diventare cliente e quindi solo con coloro che hanno caratteristiche comuni con le buyer persona di riferimento, ma chi sono le buyer

persona?

Sono rappresentazioni verosimili di un cliente ideale basate su dati reali raccolti tramite approcci attivi o passivi di marketing automation combinati con ricerche di mercato. Le buyer persona estremizzano il concetto di target, perché oltre a caratteristiche demografiche, includono caratteristiche comportamentali e motivazionali. La creazione di una buyer persona è un processo dinamico e basato su continue analisi di dati provenienti sia da transazioni passate che da quelle in corso. È un processo che mira all’identificazione di trend e caratteristiche comuni tra i potenziali interessati. Le buyer persona rappresentano un cambio di prospettiva perché permettono all’organizzazione di mettersi nei panni dei potenziali clienti, riuscendo quindi a progettare contenuti ed esperienze personalizzate. Nella tabella

(36)

3 vengono riassunte degli esempi di informazioni e le relative domande, che vengono utilizzate nella creazione di una buyer persona:

Tabella 3 Domande e informazioni di base per la creazione di una buyer persona (Hubspot, 2017)

Il numero di buyer persona da individuare varia in base alla diversità del settore, ci sono settori in cui la diversificazione è elevata e le buyer persona di riferimento possono arrivare ad un elevato numero (10/20) e settori in cui c’è elevata specializzazione e quindi le buyer persona di riferimento sono limitate a poche unità (1/2). Il miglior punto di partenza sono i clienti attuali, che costituiscono un’ottima base informativa. L’ultimo passo è quello di creare un profilo a cui sono associate, oltre alle informazioni già citate, anche informazioni riguardanti transazioni passate, i bisogni e quindi come l’organizzazione possa soddisfarli, peculiarità legate al carattere importanti da conoscere in fase di vendita e infine una citazione reale che serve a racchiudere la personalità o caratteristiche di quella buyer persona. Nella figura 10 vediamo un esempio di un profilo di una buyer persona:

(37)

Figura 10 Esempio del profilo di una buyer persona (Extra Magnet, 2018)

Si è precedentemente accennato che una delle differenze cruciali tra l’Inbound Marketing e le altre strategie di marketing consiste nella forte correlazione tra la qualità del contenuto e il contesto, il quale rappresenta lo stadio del buyer journey in cui si trova la buyer persona. In altre parole, un approccio inbound punta alla personalizzazione della customer experience e dei contenuti tenendo presente le caratteristiche della buyer persona, ma combinandole con lo stadio del buyer

journey in cui essa si trova. Ciò significa che la qualità di un contenuto o di una customer experience non è assoluta, ma relativa, poiché fortemente influenzata

dallo stadio del buyer journey in cui il potenziale interessato si trova. Il buyer

journey è il processo attivo che intraprende il consumatore quando percepisce un

senso di insoddisfazione, che si conclude con l’acquisto di un determinato bene o servizio. Conoscere il buyer journey specifico della buyer persona di riferimento è fondamentale per creare i contenuti con la maggior qualità possibile e progettare la miglior customer experience.

Il buyer journey è un processo diviso in tre stadi: consapevolezza, valutazione e decisione.

(38)

Figura 11 Il buyer journey (Hubspot, 2018)

1. Consapevolezza: rappresenta la fase inziale del processo, quando il consumatore percepisce un senso di insoddisfazione. Di solito in questa fase il consumatore compie delle ricerche o si informa per definire e capire meglio cosa causa il senso di insoddisfazione. In questa fase, i contenuti oltre ad essere adeguati alle caratteristiche della buyer persona dovrebbero essere semplicemente di natura informativa, focalizzandosi sui bisogni e sui problemi della stessa.

2. Valutazione: è lo stadio in cui il consumatore ha dato un nome e ha definito le caratteristiche del problema ed inizia la ricerca delle diverse modalità per risolvere il problema. I contenuti in questa fase dovrebbero essere utili a risolvere il problema riscontrato. In questa fase si potrebbe avere la tentazione di vendere direttamente il prodotto o il servizio, ma va sottolineato che in questa fase l’organizzazione deve puntare a costruire una relazione.

3. Decisione: in questa fase il consumatore è pronto ad effettuare la sua decisione, scegliendo il prodotto o servizio più adatto alle sue esigenze. I contenuti, in questo stadio, dovrebbero focalizzarsi sui prodotti o servizi offerti dall’organizzazione.

(39)

3.3. Marketing e sales funnel

Comprendere il rapporto tra l’inbound Marketing e le vendite in ambito B2B è molto importante dato il persistente conflitto tra i due dipartimenti. Mentre solitamente le vendite criticano la qualità dei contatti generati dal marketing, il marketing critica la scarsa abilità delle vendite di continuare in maniera proficua il rapporto con i contatti (Biemans, Brenčič e Malshe, 2010; Homburg e Jensen, 2007; Homburg, Jensen e Krohmer, 2008). Gli sviluppi in ambito IT offrono delle notevoli opportunità per integrare i processi di Inbound Marketing e vendite in ambito B2B. Wiersema (2013) sostiene che integrando i sistemi di marketing e vendite, il marketing riesce ad acquisire maggiori informazioni sui clienti integrandole in un sistema di CRM, d’altro canto le vendite hanno una visione d’insieme di tutti i potenziali interessati generati dal marketing. L’Inbound Marketing introduce un nuovo approccio per gestire i rapporti tra il dipartimento di marketing e quello delle vendite, basandosi su un modello di vendite ad imbuto. Il modello di vendite ad imbuto, o sales funnel, è un processo sequenziale che porta ad una classificazione dei consumatori prendendo in considerazione il buyer

journey. In questo caso, però, la classificazione risulta più dettagliata e

maggiormente adatta per gestire i rapporti tra i dipartimenti di marketing e vendite, perché sottolinea come le tecniche di Inbound Marketing e di marketing automation sostengono i processi di vendita in ambito B2B in ogni fase del sales funnel (D’Haen e Van den Poel, 2013). Il sales funnel divide i consumatori in quattro categorie in base alle fase del buyer journey in cui si trovano: sconosciuti, potenziali interessati, potenziali clienti e clienti (figura 12)

(40)

Figura 12 Sales funnel framework (D’Haen e Van den Poel, 2013)

Va sottolineato che il sales funnel di D’Haen e Van den Poel, non considera la fase di attrazione, che precedente ogni contatto tra l’organizzazione e il consumatore. Il sales funnel, non integra in modo chiaro le varie fasi del buyer

journey, inoltre i clienti già acquisiti possono trovarsi in ogni fase, il processo non

è statico ma dinamico, possono ripercorrere il sales funnel, grazie a strategie di

cross-selling o up-selling. In altre parole, non integra la metodologia inbound, come

invece fa il marketing and sales funnel allineando il marketing con le vendite, rendendoli parte di un unico processo (Fig. 13)

Riferimenti

Documenti correlati

I circa 820mila addetti del settore operano soprattutto nella Fabbricazione di prodotti in metal- lo (81%), mentre la Produzione di metalli e leghe, con solo il 19% di addetti,

Il fornitore interno, sulla base della propria organizzazione, svolge autonomamente i servizi e le prestazioni di competenza, collegate alle attività ed ai processi riportati

Per tirare le somme di questo studio, i professionisti italiani intervistati prevedono che, nei prossimi anni le funzioni aziendali di marketing e

3. Quanto ritenente siano importanti le emozioni nella creazione di una relazione stabile e proficua con il cliente? In che modo le stimolate? Alla base del concetto di

Nel 2017 in Alpac è stato implementato il CRM Hubspot, ad oggi utilizzato soprattutto come strumento di marketing, in fase di implementazione per la forza vendita e

Ciò che emerge soprattutto da quest’ultima parte delle interviste è il forte desiderio di una società più giusta in cui al popolo palestinese vengano riconosciuti i propri

• sul totale dei clienti della ditta A all’inizio dell’anno, e’ risultato alla fine dell’anno che l’ 80% era ancora cliente di A, mentre il restante 20% era diventato cliente

In questo corso si apprenderà come stabilire un rapporto con i clienti prestando attenzione alle loro esigenze, creando un legame con loro e mostrando un atteggiamento positivo.