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Il controllo di gestione in banca: il Sistema dei Tassi Interni di Trasferimento. Il caso Cassa di Risparmio di San Miniato

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Il controllo di gestione in banca: il Sistema dei Tassi Interni di

Trasferimento.

Il caso Cassa di Risparmio di San Miniato

Relatore: Alessandro Capodaglio

Candidata: Ilaria Ioppolo

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Indice

INTRODUZIONE 6

1. IL CONTROLLO DI GESTIONE IN BANCA 9

1.1 L’implementazione dei Sistemi di Pianificazione e Controllo nelle banche:

un quadro di riferimento 9

1.2 L’evoluzione degli approcci al controllo di gestione in banca 11 1.3 Le nuove metriche di misurazione e valutazione delle performance 13 1.4 Gli elementi del sistema di controllo di gestione 17

1.4.1 Struttura organizzativa 18

1.4.2 Struttura tecnico-informativa 24

Sistema di contabilità gestionale 25

Sistema dei budget 30

Sistema informativo 38

1.4.3 Processo di controllo 44

2. IL SISTEMA DEI TASSI INTERNI DI TRASFERIMENTO 47

2.1 Considerazioni introduttive 47

2.2 Il pool di tesoreria e i prezzi interni di trasferimento 49

2.3 Il Tasso Interno di Trasferimento tradizionale 52

2.3.1 Metodo della contribuzione a flussi lordi 54

2.3.2 Numero dei TIT applicati 56

2.3.3 Struttura dei pool e tipologia di tasso fisso o variabile 65

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2.3.5 Considerazioni di sintesi 70

2.4 Dal TIT tradizionale al Liquidity TIT 72

2.5 Il Liquidity TIT 75

2.5.1 Riferimenti normativi e metodologici 75

2.5.2 Curva di mercato di riferimento per la determinazione dei

Liquidity TIT 78

2.5.3 Liquidity spread: la componente dei costi indiretti 79 2.5.4 Funzioni aziendali coinvolte nella definizione del modello dei TIT 80

2.5.5 Criterio di proporzionalità 81

2.6 Le nuove soluzioni di calcolo del TIT 83

3. IL CASO CASSA DI RISPARMIO DI SAN MINIATO 88

3.1 Il profilo storico della Cassa di Risparmio di San Miniato 88 3.2 Il profilo del Gruppo della Cassa di Risparmio di San Miniato 90 3.3 La presenza territoriale e il modello distributivo di rete 92 3.5 Presupposti del modello di governance: il Sistema dei Controlli Interni 94 3.4 Il modello di amministrazione e controllo e le scelte di governance 95

3.6 L’assetto organizzativo 97

3.7 Il Servizio Pianificazione e Controllo di gestione 98

3.8 Il Sistema dei Tassi Interni di Trasferimento 99

3.8.1 Sistema Informativo e Sistema di Data Warehouse 99

3.8.2 Applicativo Controllo di Gestione 104

3.8.3 Policy per la determinazione del Tasso Interno di Trasferimento 108

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Riferimenti metodologici: il modulo di calcolo del TIT proposto

dall’outsourcer 109

Sistema dei Tassi Interni di Trasferimento per l’anno 2017 116

3.8.4 TIT a budget e riflessi sul margine finanziario 120 3.8.5 Caricamento mensile dei tassi nell’applicativo Controllo di

Gestione 128

CONCLUSIONE 135

RINGRAZIAMENTI 138

BIBLIOGRAFIA 139

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro è frutto di un interesse personale maturato nel corso dei miei studi nei confronti della funzione di pianificazione e controllo gestionale nel settore finanziario, considerato che, seppure l’introduzione negli anni’80 dei primi meccanismi di programmazione e controllo nelle aziende di credito possa essere ricondotta ad una logica sostanzialmente imitativa rispetto all’ambiente industriale e che la loro applicazione sia realizzata prevalentemente a livello amministrativo piuttosto che nel processo decisionale, nel corso dei decenni successivi, diversi fattori quali la crescita e l’instabilità dei mercati finanziari, l’ incremento della volatilità dei prezzi determinata dalla crescente integrazione tra i sistemi finanziari nazionali, l’aumento della concorrenza nelle attività di tipo tradizionale e lo sviluppo di nuove aree di attività, hanno evidenziato il ruolo sempre più determinante del controllo di gestione in qualità di «controllo guida»: è importante che le banche adottino appropriati strumenti di pianificazione e controllo in grado di assicurare oltre ad un buon governo della struttura aziendale, un’adeguata analisi e gestione delle molteplici forme di rischio che gli intermediari finanziari si assumono per la natura dell’attività svolta.

Ho avuto la possibilità di approfondire questo mio interesse attraverso l’esperienza di stage presso il Servizio Pianificazione e Controllo di Gestione di Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., la quale, oltre a consentirmi in primis di confrontare a livello empirico quanto appreso a livello accademico circa il funzionamento di un sistema di pianificazione e controllo in un’azienda di credito, mi ha permesso, in particolare, di analizzare il ruolo cruciale di uno specifico strumento a supporto del sistema stesso, ossia i Tassi Interni di Trasferimento. Nonostante nel periodo di stage si siano verificate alcune serie di problematiche, note a tutti per i numerosi interventi giornalistici dedicativi, le quali hanno condotto ogni Servizio ad accantonare in parte l’operatività ordinaria per risolvere le questioni straordinarie, sono riuscita ad inquadrare e applicare lo strumento in questione nella realtà bancaria e a realizzare la presente tesi, anche grazie al tutoraggio della Prof.ssa Giuseppina Iacoviello e alla collaborazione per la stesura del Prof. Alessandro Capodaglio.

Il Sistema dei Tassi Interni di Trasferimento è parte integrante della gestione bancaria da circa quattro decenni: nel corso degli anni il suo impiego ha avuto una progressiva

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evoluzione legata sia allo sviluppo stesso della funzione di pianificazione e controllo di gestione sia, soprattutto, ai cambiamenti dei mercati finanziari e degli scenari economici. Se negli anni Settanta l’obiettivo prevalente dell’impiego del TIT consisteva nella misurazione della redditività dei centri di profitto, a partire dagli anni Novanta è divenuto quello di ispirare alla periferia un modello decisionale sulle politiche di raccolta e impiego in grado di massimizzare la performance complessiva della banca. Così, il TIT si è rivelato come un asse portante del Sistema di Controllo di Gestione in quanto dotato della capacità di influire sulla distribuzione dei risultati parziali e, quindi, sui calcoli di convenienza economica senza, tuttavia, alterare i risultati economici globali.

Successivamente, la crisi finanziaria del 2007 ha evidenziato la necessità di porre maggiore attenzione alla gestione e al governo della liquidità e questo ha impattato sui Tassi Interni di Trasferimento a livello delle modalità di determinazione segnando un punto di svolta cruciale: se fino a quel momento tali modalità tenevano conto soltanto del rischio di interesse, d’ora in poi avrebbero dovuto considerare anche il rischio di liquidità. Per tale ragione, ad oggi, riferendoci al TIT si parla di Liquidity TIT.

L’obiettivo della presente tesi consiste nell’analizzare lo sviluppo e la funzione dei Tassi Interni di Trasferimento quali strumento gestionale a supporto dei Sistemi di Pianificazione e Controllo di Gestione delle aziende di credito, in particolar modo prendendo in esame la definizione e l’implementazione del Sistema dei TIT realizzate presso Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. per l’anno 2017.

Nella prima parte dell’elaborato, si va ad inquadrare l’evoluzione degli approcci al Controllo di Gestione nel contesto bancario soffermandosi sulle sue caratteristiche di base e i suoi principali supporti metodologici, considerato che esso costituisce l’ambito di sviluppo dello strumento dei Tassi Interni di Trasferimento.

Si procede, poi, nella seconda parte, affrontando il ruolo e il funzionamento del Sistema dei TIT, a partire dal TIT tradizionale fino al Liquidity TIT. Si comincia offrendo un’analisi dettagliata delle metodologie classiche di determinazione dei TIT per giungere a quelle più recenti inclusive dei costi, dei benefici e dei rischi della liquidità previste dalla normativa e dalla dottrina.

Infine, sulla base dell’attività di stage svolta presso Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., nella terza ed ultima parte dell’elaborato si riporta un esempio concreto di

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applicazione dei Tassi Interni di Trasferimento, evidenziandone la policy annuale e la stretta correlazione con il sistema informativo.

In particolare, prima di entrare nel dettaglio della metodologia di determinazione del TIT della banca in questione, si vanno ad introdurre talune informazioni principali circa il sistema informativo in outsourcing adottato dalla stessa in quanto la definizione del TIT e gli aspetti a questo connessi sono legati all’impiego dell’applicativo Controllo di Gestione, che è la procedura del sistema informativo deputata alla realizzazione delle misure che consentono di valutare la redditività di cliente, segmento di clientela, portafoglio e filiale. Si prosegue, poi, illustrando come si giunge alla definizione della policy dei TIT per l’anno 2017 sottolineandone, infine, il duplice utilizzo: l’esplicitazione del Sistema dei TIT a budget per l’anno in questione e il caricamento mensile dei parametri nell’applicativo Controllo di Gestione.

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1. IL CONTROLLO DI GESTIONE IN BANCA

1.1 L’implementazione dei Sistemi di Pianificazione e Controllo nelle banche: un quadro di riferimento

Sostanzialmente il governo di una banca implica la risoluzione di due problemi fondamentali: la definizione degli obiettivi in funzione del tempo, che si risolve nella pianificazione e programmazione, e lo sviluppo della gestione verso gli obiettivi, che si risolve nel controllo, il quale, dunque, può essere visto come l’attività di governo e di guida per il conseguimento degli obiettivi economici prestabiliti con la pianificazione e la programmazione.

Mario Masini constata che le attività strumentali tipiche di programmazione e controllo, nel lungo periodo, sono plasmate, almeno in parte, in relazione alle scelte di assetto strategico interno e di rapporto con i mercati alle quali devono dare supporto e che sono, quindi, le particolari opportunità e gli stimoli ambientali a determinare le modalità secondo le quali le banche ricercano il proprio successo istituzionale in condizioni di economicità.1

I primi tentativi di realizzazione di strumenti di pianificazione e controllo in ambito bancario nel nostro Paese possono essere collocati negli anni ‘802, periodo noto per aver segnato modificazioni epocali nelle strategie di mercato e nelle politiche organizzative delle banche italiane, ma derivano da una logica sostanzialmente imitativa: si fa, difatti, riferimento alle prime trasposizioni degli schemi della contabilità industriale dei costi; tuttavia, l’imperfetta conoscenza dei costi bancari e della loro formazione non permetteva di definire linee d’azione concrete e politiche aziendali coerenti con i servizi resi alla clientela3. Sono state, poi, le consistenti redistribuzioni delle quote di mercato tra istituti

1 Si veda al riguardo: Masini M., Comana M., Previati D., Prospettive di programmazione e controllo nelle

banche, Giuffrè, Milano, 1988.

2 Prima degli anni ‘80, sulla base di un’indagine del 1973 condotta nell’ambito dell’insegnamento di

Organizzazione Aziendale della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Padova, veniva formulata da Saita la seguente conclusione sullo stato di avanzamento dei sistemi di pianificazione e controllo nelle banche italiane: “Si ha, in sostanza, la sensazione che tenda a prevalere nella fase di applicazione del controllo di gestione l’aspetto amministrativo, mentre sembra si sia lontani da un utilizzo del controllo di gestione nel processo decisionale, sia da parte dell’alta direzione, sia da parte di coloro che, a livello di dirigente o funzionario, svolgono mansioni di responsabilità. Questa carenza nel processo decisionale fa venir meno il ruolo del controllo di gestione come strumento volto a motivare dirigenti e funzionari ad un’efficiente e responsabile direzione”. Saita M., Il controllo di gestione dall’esperienza

industriale alla proposta di un modello per le aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1980, pag. 7.

3 Negli anni ‘80, nonostante il sorgere dei primi tentativi di introduzione di tecniche di pianificazione e

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bancari e il fenomeno della disintermediazione, a generare una forte pressione esterna che si è posta alla base di una rimodellizzazione dell’attività bancaria con un’enfasi sulla distinzione tra gestione finanziaria e gestione dei servizi e del conseguente sviluppo di una strumentazione di programmazione e controllo che consentiva un miglior governo del margine di entrambe le gestioni.

A partire dagli anni ‘90 e proseguendo nei 2000, la crescita e l’instabilità dei mercati finanziari e i mutati scenari economici, hanno invece contribuito ad una maggiore attenzione all’analisi del rischio; si è assistito, infatti, ad un incremento della volatilità dei prezzi determinata dalla crescente integrazione tra i sistemi finanziari nazionali, ad una trasformazione dell’ambiente competitivo, contraddistinto da un aumento della concorrenza nelle attività di tipo tradizionale e dello sviluppo di nuove aree di attività. Questo ha provocato un cambiamento nell’atteggiamento delle Autorità di Vigilanza (Consob e Banca d’Italia) che, sulla base del nuovo contesto in cui gli intermediari finanziari si trovano ad operare, si sono orientate all’efficienza del sistema finanziario piuttosto che al tradizionale obiettivo di stabilità degli intermediari, introducendo regole di tipo prudenziale volte a misurare l’entità dei rischi assunti, a valutare le capacità organizzative e di capitale necessarie a coprire le eventuali perdite.4 L’obiettivo dei controlli prudenziali è limitare il grado di rischio dell’attività commisurandone l’esposizione complessiva alle disponibilità di capitale.5 Pertanto, diviene fondamentale per le banche impiegare appropriati strumenti di controllo in grado di assicurare oltre al buon governo della struttura aziendale, l’adeguata gestione dei diversi rischi, considerando, appunto, che l’attività svolta dagli intermediari finanziari comporta, per natura, l’assunzione del rischio nelle sue molteplici forme (di credito, di mercato, di interesse ecc.). È in questo contesto, quindi, che il Controllo di Gestione dovrebbe impegnarsi a fornire al management analisi e valutazioni riguardo l’effettiva capacità di creare valore dei processi produttivi, distributivi e di coordinamento. Certamente, non può farlo attraverso l’approccio classico al controllo di gestione ponendosi quasi esclusivamente obiettivi in termini di volumi, di redditività, di quote di mercato o

loro contributo alla formazione dei risultati, imputabile soprattutto alla debolezza della loro struttura organizzativa e di controllo. Al riguardo Mottura constata che: “la maggioranza delle banche del sistema non ha un’idea abbastanza precisa di dove si guadagna e dove si perde dato che non dispone di un sistema di contabilità analitica e di controllo di gestione che consenta di governare l’allocazione delle risorse”. Mottura P., Il sentiero incerto e rischioso dell’efficienza bancaria, Economia & management, vol. 3, 1988, pag. 10.

4 Si veda al riguardo: Dell’Atti A., Lineamenti di gestione bancaria, Cacucci Editore, Bari, 2002. 5 Cfr. Ruozi R., Economia e gestione della banca, EGEA, Milano, 2006.

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scostamenti senza mai andare oltre l’analisi del presente e, difatti, nel corso degli anni, si è avuta una evoluzione negli approcci.

1.2 L’evoluzione degli approcci al controllo di gestione in banca

L’approccio tradizionale al controllo di gestione in banca è volto alla determinazione della redditività di unità organizzative territoriali e, in tal senso, i sistemi tradizionali di pianificazione e controllo nelle banche sono caratterizzati da:

 una definizione della struttura e delle modalità di articolazione delle informazioni secondo una logica di tipo funzionale-territoriale;

 un prevalente sviluppo dei sistemi e dei processi di controllo verso l’analisi della rete filiali (ad esempio il budget, il conto economico di filiale, la rendicontazione consuntiva);

 la centralità dell’area di intermediazione creditizia tradizionale (raccolta e impieghi da clientela) valutata attraverso il margine d’interesse anche rispetto alle altre aree della banca;

 parametri obiettivo tipicamente di natura monetaria (margini, spread, tassi medi, volumi medi…) sintetici ed espressi anche per macro-aggregati (margini, volumi, tassi da raccolta e da impieghi…).

Al riguardo Masini afferma che “la banca tradizionale è trascinata ineluttabilmente a governare il proprio risultato in modo molto aggregato e concentrandosi sulla gestione finanziaria. Nella gestione finanziaria poi assume un ruolo primario il controllo dei volumi. Esso è accompagnato, e in parte guidato, dall’ottimizzazione dello spread ottenuta manovrando la composizione della raccolta e degli impieghi quanto a livello e condizioni relative dei tassi nominali, condizioni di valuta, movimento, rischio”.6

Tuttavia, nel corso degli anni, i profondi cambiamento ambientali, in particolare la trasformazione del contesto socio economico generale, i mutamenti regolamentari, l’affinamento della domanda, il maggior grado di competizione nel business bancario, lo sviluppo della tecnologia e l’innovazione strategica, hanno posto enfasi sul cliente e sulla creazione di valore per l’azionista e questo ha evidenziato la necessità di adottare dei

6 Masini M., Comana M., Previati D., Prospettive di programmazione e controllo nelle banche, Giuffrè,

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meccanismi di programmazione e controllo maggiormente flessibili così da adeguarsi prontamente alla notevole dinamicità ambientale. In particolar modo emerge l’esigenza per i sistemi di pianificazione e controllo di:

 Orientarsi al mercato: esigenza del management di leggere le performance della banca nei diversi mercati dove la stessa opera e la capacità di quest’ultima di ottimizzare le relazioni di scambio con l’ambiente;

 Considerare i portatori d’interesse: l’obiettivo primario della banca è la creazione di valore sia per gli azionisti sia per tutti i soggetti che sono portatori di interessi nella banca;

 Orientarsi al futuro: l’orientamento verso il futuro impone che i sistemi di pianificazione e controllo non si limitino all’osservazione del risultato finale delle performance, ma che guidino la banca verso il conseguimento di tali risultati anticipando le eventuali correzioni di rotta.

Tutto questo ha condotto ad una evoluzione progressiva dei sistemi di controllo di gestione in ambito bancario orientata alla ricerca e alla misurazione del valore creato che può essere sintetizzata in tre fasi.

La prima fase evolutiva si concentra sulle performance di mercato della rete commerciale e i modelli di controllo di gestione adottati sono «market-oriented», così definiti per la centralità assegnata alla redditività del cliente/prodotto, con l’obiettivo di supportare l’attività di marketing strategico ed operativo.

Il secondo stadio evolutivo si caratterizza per un ampliamento del campo di indagine del sistema di controllo di gestione, che va a comprendere l’analisi della rischiosità, e per le interrelazioni con la funzione di Risk Management, che ha introdotto nel controllo di gestione la nozione di «valore a rischio» (VaR), le analisi della redditività corrette per il rischio «RAPM»7 e il concetto di «Capital Allocation»8. L’obiettivo è misurare per gestire i rischi, ossia in altri termini riuscire a misurare correttamente le performance dei vari centri di responsabilità nella nuova ottica della redditività corretta per il rischio. È in tale

7 Il tema è approfondito nel paragrafo successivo dell’elaborato.

8 Il processo di Capital Allocation è composto fondamentalmente di quattro steps quali la determinazione

del capitale disponibile, la fissazione di target di performance, l’allocazione del capitale al livello prescelto fino alla misurazione del ritorno su capitale e aggiustamenti; dunque, allocare il capitale significa fissare i limiti di esposizioni al rischio. Per approfondimenti si vedano: Saita F., Il Risk Management in banca.

Performance corrette per il rischio e allocazione del capitale, EGEA, 2000; Sironi A., Resti A., Rischio e valore nelle banche. Risk management e capital allocation, EGEA, 2008.

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contesto che emergono anche dei sistemi di misurazione dell’esposizione complessiva alle varie fonti di rischio, definiti Asset Liability Management9.

L’ultima fase di evoluzione dei sistemi di controllo di gestione si fonda sul coordinamento interfunzionale tra Controllo di Gestione e Risk Management nell’analisi delle Performance Risk Adjusted; ciò ha l’obiettivo di creare una corporate governance in grado di relazionarsi in modo soddisfacente con i diversi stakeholders, coordinando un sistema di tecniche gestionali che fronteggino efficacemente i processi evolutivi, il tutto in una logica di governo dell’azienda coerente sia con le aspettative reddituali e di controllo dell’azionarato che con le attese di servizio della clientela. In tale contesto assume una crescente importanza il Sistema dei Controlli Interni (SCI), in quanto ha il ruolo di gestire tutti i rischi connessi con l’esercizio dell’attività di intermediazione, consentendo di assumere questi ultimi in maniera consapevole e favorendo un’efficiente allocazione delle risorse10.

1.3 Le nuove metriche di misurazione e valutazione delle performance

A fianco dell’evoluzione degli approcci al controllo di gestione, coerentemente agli stadi evolutivi appena descritti, possiamo anche individuare una evoluzione delle metriche di misurazione e valutazione delle performance nel processo di pianificazione e controllo gestionale che, se fino agli anni ‘80 si limitavano ad esplicarsi nelle quote di mercato degli impieghi e/o della raccolta, nei tassi e nei dipendenti, tra gli anni ‘80 e ‘90 sono andati a configurarsi nell’utile netto, nel ROE, nello spread, nei costi e nella produttività,

9 Per Asset Liability Management (ALM) si intende l’insieme delle tecniche e dei criteri di gestione

introdotti con l’obiettivo di quantificare l’esposizione complessiva ai rischi finanziari per guidare l’intermediario finanziario al conseguimento della posizione desiderata di rendimento e di rischio. In altri termini, l’ALM è un modello che consente di misurare per tutta l’operatività finanziaria delle banche il livello di rischio di tasso e di esplicitare il potenziale di perdita o di profitti derivante da oscillazioni di tassi di mercato. Ciò permette l’individuazione di relazioni funzionali che consentono di proiettare le diverse strategie operative in base alle previsioni di diversi scenari di mercato e di valutarne l’impatto sui principali indicatori di redditività e di rischio. Al riguardo si vedano: Lusignani G., La gestione dei rischi finanziari

nella banca, Il Mulino, 1996; Vallero S., L'asset and liability management nelle banche: fondamenti metodologici e problematiche realizzative, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 1995.

10 A tale proposito Albergo constata che “l’eterogeneità e la complessità che caratterizzano gli elementi da

misurare (redditività e rischi su tutti), fanno nascere la necessità di affidare la gestione di ogni specifico elemento di criticità ad una funzione aziendale quale ad esempio il Risk Management e/o l’Internal Audit; queste a loro volta trovano il loro punto di incontro nel Sistema di Controllo Interno (SCI) che ha il compito di riaggregare le varie fasi e tipologie di analisi con lo scopo di fornire al Top Management un quadro d’insieme della realtà aziendale.” Albergo F., Il Controllo di Gestione negli Intermediari Finanziari, Cacucci Editore Bari, 2006.

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fino ad arrivare, ad oggi, ad una misurazione in termini di etica e di compliance oltre che al metodo dei flussi di cassa scontati «DCF», all’EVA e ai vari indicatori di tipo RAPM. Approfondendo queste ultime metriche citate, per quanto concerne il metodo dei flussi di cassa scontati, noto come metodo DCF (acronimo di «Discounted Cash Flow»), è possibile osservare che rappresenta uno tra i principali metodi finanziari per la valutazione aziendale; tuttavia, è doveroso precisare, che l’ambito entro il quale tale metodologia è stata elaborata riguarda la determinazione del valore aziendale e non la valutazione della performance dell’impresa stessa. Il valore dell’impresa, generalmente, viene determinato come somma del valore attuale dei flussi calcolati su un orizzonte temporale entro il quale si riesce a fare una ragionevole previsione relativamente ai flussi prodotti attraverso la gestione e del c.d. valore residuale che incorpora un’ipotesi di sviluppo dei flussi finanziari su un orizzonte temporale successivo. Si può affermare, quindi, che la valutazione di un’azienda nei termini del suo valore, sulla base di tale metodo, diviene funzione di tre elementi fondamentali: l’entità del flusso di cassa, la distribuzione nel tempo dei flussi e il tasso di attualizzazione11.

Per quanto riguarda l’EVA (Econimic Value Added), si può osservare che si tratta di un metodo basato sulla stima dei flussi finanziari prodotti attraverso l’investimento del capitale e che il valore di un’impresa viene determinato come somma del capitale investito nell’impresa al momento T e del valore attuale degli EVA futuri prodotti dalla stessa, calcolato utilizzando un tasso di attualizzazione pari al costo medio ponderato del capitale investito. Pertanto, è possibile notare come tale approccio richiami esplicitamente l’approccio DCF12; tuttavia, nei fatti, per pervenire alla determinazione del valore dell’impresa, il metodo dell’EVA utilizza un algoritmo di più immediata interpretazione rispetto al metodo DCF e proprio per questa maggiore immediatezza, diversamente dal metodo dei flussi finanziari, si presta ad essere impiegato per la valutazione della performance aziendale, sia in termini consuntivi sia, soprattutto, dal punto di vista della fissazione degli obiettivi di risultato13. In particolare, riguardo l’EVA, Birindelli osserva che “assorbe il tradizionale obiettivo della redditività, arricchendolo nel contenuto e nei

11 Per approfondimenti si veda: Massari M., Zanetti L., Valutazione. Fondamenti teorici e best practice nel

settore industriale e finanziario, McGraw-Hill Education, 2008.

12 È possibile dimostrare matematicamente la sostanziale equivalenza delle due metodologie dal punto di

vista della valutazione dell’impresa e tale dimostrazione la si deve a Esposito, 1998. Precedentemente Stewart, 1991, era giunto a questa dimostrazione avvalendosi di un esempio.

13 Per approfondimenti sul raffronto tra l’approccio EVA e l’approccio DCF si consulti: Locatelli R.,

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profili d’analisi, tra cui spiccano i nessi tra dinamica economica ed esposizione al rischio oltreché i movimenti nelle fonti del valore, nel tentativo di esaltare l’efficienza aziendale tramite la massimizzazione del rapporto tra risultati conseguibili e capitale investito. Alla luce di quanto detto, i vantaggi del modello Eva possono essere riassunti nel modo seguente: innanzitutto viene orientata l’organizzazione di impresa verso sistemi di Value Based Management14, di cui la misura in discorso costituisce la tipica configurazione di reddito residuo […]; in quanto misura di performance interna, il suo impiego nel processo di allocazione del capitale alle diverse business units consente di snellire l’attività aziendale tagliando - qualora non sia conveniente una loro ristrutturazione - quei segmenti operativi che distruggono valore; si favorisce poi un uso efficiente da parte dei managers del capitale conferito nell’impresa, facendole acquisire una solida posizione di vantaggio competitivo” 15.

Le misure di performance di tipo RAPM, acronimo di «Risk Adjusted Performance Measures», costituiscono lo stadio evolutivo di un sistema di Risk Management basato sul Capitale a Rischio, definito come l’ammontare di capitale necessario a prevenire l’evento dell’insolvenza dell’intermediario finanziario. Il calcolo degli indicatori RAPM presuppone l’impiego di tecniche di allocazione del capitale e, concettualmente, possono essere interpretati come una variante del ROE che viene «normalizzato» attraverso un meccanismo di ponderazione in base al rischio del numeratore e/o del denominatore dell’indice. In altre parole, una misura RAP esprime un indicatore di redditività costruito a partire dalla misura di risultato economico generato da una o un insieme coordinato di operazioni o da una business unit, e da una misura del capitale a rischio ad essa associato. Più che a fornire una misura alternativa al ROE, dunque, gli indicatori di tipo RAPM sono funzionali a valutare la redditività e la rischiosità delle singole aree di business e sono soprattutto strumentali a formulare strategie di sviluppo delle aree di business più

14 Copeland definisce il Value Based Management come “un approccio al management in base al quale gli

obiettivi dell'impresa, le tecniche e i processi di gestione sono coordinati allo scopo di massimizzare il valore dell'impresa stessa. Gli obiettivi sono raggiunti concentrando le decisioni del management sui drivers del valore”. Locatelli, con particolare riferimento al suo impiego nelle banche, constata che l’obiettivo finale del VBM è quello di massimizzare il valore aggiunto dal mercato per la banca e che nella realtà operativa il VBM influenza l’intero processo di pianificazione strategica e operativa, fino all’attività di budgeting e di controllo, coinvolgendo a tutti i livelli l’organizzazione della banca. Per approfondimenti si consultino: Copeland T., Koller T., Murrin J., Valuation. Measuring and Managing the Value of

Companies, New york, John Wiley & Sons, 2000; Locatelli R., Redditività e creazione di valore nella

gestione delle banche, Il Mulino, Bologna, 2001.

15 Birindelli G., Del Prete S., La creazione di valore nelle banche italiane: profili teorici ed evidenze

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redditizie e a supportare scelte di ricomposizione del mix produttivo16. Precisamente, quando si parla di indicatori di tipo RAPM, si fa riferimento al RAROC, al RORAC e al RARORAC. Il RAROC (Risk Adjusted Return On Capital) viene calcolato rapportando al patrimonio della banca la somma degli utili delle business unit ponderati per una stima del rischio; quindi, misura la redditività corretta per il rischio in una logica «earning at risk»; nel RORAC (Return On Risk Adjusted Capital), invece, l’aggiustamento per il rischio riguarda il capitale allocato e non il reddito, coerentemente ad un approccio «capital at risk». Il primo indicatore misura la profittabilità comparando i rendimenti finanziari corretti per il rischio all’interno di una rosa di alternative di investimento, mentre il secondo viene generalmente utilizzato per valutare progetti o investimenti che comportano un elevato rischio in termini di capitale impiegato. Dalla combinazione tra i due si individua il RARORAC che permette di considerare la dimensione del rischio sia nella valutazione dei rendimenti di una linea di business o di progetti di investimento che nella valutazione del capitale economico allocato17.

A questo punto, volendo proporre uno schema esemplificativo sulle nuove metriche di valutazione e misurazione, si può prendere in considerazione il seguente (Fig. 1.1):

16 Per ulteriori approfondimenti si vedano: Locatelli R., Redditività e creazione di valore nella gestione

delle banche, Il Mulino, Bologna, 2001; Sironi A., Saita F., Gestione del capitale e creazione di valore nelle banche: modelli, strumenti ed esperienze delle grandi banche italiane, Edibank, Roma, 2002.

17 Per approfondimenti si veda: Belmont D. P., Value added risk management in financial institutions:

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17 Figura 1.1 Nuove metriche di misurazione

Fonte: Elaborazione personale

1.4 Gli elementi del sistema di controllo di gestione

La realizzazione in banca di un sistema di pianificazione e controllo necessita di un approccio sistemico e graduale, frutto non solo della predisposizione degli strumenti, ma anche del coinvolgimento degli aspetti organizzativi, informativi e procedurali della

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banca, il tutto secondo una logica coerente ed integrata; in altri termini, affinché il sistema di pianificazione e controllo sia correttamente introdotto e ne sia garantito un efficace funzionamento è fondamentale che tutti gli elementi che lo costituiscono siano in forte coerenza tra loro e, per la precisione, tali elementi possono essere distinti in18:

 struttura organizzativa;

 struttura tecnico-informativa (o informativo-contabile);  processo di controllo.

Dunque, il corretto approccio alla progettazione del sistema di pianificazione e controllo deve essere contingente: ogni realtà bancaria necessita di un sistema che abbia una struttura organizzativa, una struttura informativo-contabile e un processo coerenti con la situazione ambientale fronteggiata, la strategia competitiva perseguita e l’assetto del sistema organizzativo.19

1.4.1 Struttura organizzativa

La struttura organizzativa può essere presentata come l’insieme del sistema dei ruoli, dei compiti attribuiti alle persone e degli organi definiti per far fronte alle attività aziendali; delle linee di autorità e delle altre relazioni formalizzate e dei centri di responsabilità. In altri termini, si può affermare che la struttura organizzativa va ad esplicitare la responsabilità economica all’interno dell’organizzazione individuando i relativi centri di responsabilità; ossia, sulla base del criterio della responsabilità economica, frequentemente utilizzato nella realizzazione di una struttura utile per il controllo di gestione, si assume: in primis, di poter scomporre i macro-obiettivi economici di tutta l’azienda (sintetizzabili nella redditività) in una serie di sotto-obiettivi da assegnare ai manager, ai quali viene delegata la responsabilità delle scelte nei vari centri decisionali,

18 Si riprende l’articolazione del sistema di pianificazione e controllo delineata da Marchi che, facendo

riferimento al controllo di gestione come “controllo guida”, ossia come un processo attraverso il quale il management si assicura che le risorse siano prima acquisite e poi utilizzate in maniera efficace e efficiente con l’intento di perseguire gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, individua due dimensioni strutturali, ossia quella organizzativa e quella tecnico-informativa, tra loro strettamente interconnesse e interfaccianti, e una dimensione dinamica che va a realizzarsi su di esse, che è il processo di controllo. Si veda in proposito: Marasca S., Marchi L., Riccaboni A., Controllo di gestione: metodologie e strumenti, Knowità, Arezzo, 2013.

19 Si vedano al riguardo: KPMG Peat Marwick, Pianificazione e controllo direzionale negli istituti di

credito, Edibank, Milano, 1990; Masini M., Comana M., Previati D., Prospettive di programmazione e controllo nelle banche, Giuffrè, Milano, 1988.

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19

e, poi, anche che tali sotto-obiettivi possano essere espressi in un linguaggio quantitativo. Ciò conduce alla caratterizzazione in senso economico delle unità organizzative che assumono, in questo modo, la veste di centri di responsabilità economica.20

Il Centro di Responsabilità (C.d.R.) può essere definito come un’unità organizzativa minima caratterizzata da risorse umane, tecnologiche, immobiliari e finanziarie che svolge attività definite nella mappa delle responsabilità21, di cui è possibile la rilevazione di costi e ricavi o di soli costi o di soli ricavi e l’individuazione di un responsabile. Ciascuna unità organizzativa viene progettata al fine di indirizzare i comportamenti dei responsabili e delle altre persone coinvolte in quella stessa unità verso gli obiettivi aziendali specificamente attribuiti; si comprende, pertanto, quanto divenga fondamentale garantire in via preliminare la coerenza tra gli obiettivi globali e quelli individuali. I centri di responsabilità possono essere classificati per attività in:

 centri operativi (sportelli, titoli, estero, cambi, fidi, portafoglio, responsabili di prodotto o di famiglia di prodotti, gestori di clientela, promotori, ecc.): svolgono le attività operative dell’azienda di credito utilizzando sia i propri fattori produttivi, sia i beni e i servizi forniti da centri di servizi generali, sia attività svolte dai centri di servizi produttivi;

 centri di servizi produttivi (ced, servizio estero merci, servizio portafogli, ecc.): svolgono un’attività specifica per i singoli centri operativi aziendali; questa attività viene remunerata con un accredito interno ai centri di sevizi produttivi ed un addebito ai centri operativi che hanno utilizzato il servizio;

 centri di servizi generali (economato, servizio del personale, ispettorato, automezzi, servizio tecnico, ecc.): svolgono sia un’attività rivolta all’azienda di credito nel suo complesso non addebitabile specificatamente ad alcun centro aziendale, sia un’attività di acquisizione dei beni o servizi dall’esterno per conto di altri centri aziendali; in quest’ultima ipotesi i costi sostenuti per l’acquisizione di beni o sevizi vengono addebitati ai centri aziendali interessati;

20 Ferraris Franceschi R., Sistemi di pianificazione e controllo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010. 21 “L’insieme dei centri di responsabilità costituisce la mappa delle responsabilità. La definizione della

mappa delle responsabilità consente, mediante la distribuzione delle responsabilità in azienda e del loro coordinamento, la diffusione di una mentalità manageriale all’interno della struttura organizzativa e allo stesso tempo incentiva, attraverso la definizione di un appropriato processo di controllo, comportamenti in linea con le finalità aziendali.” Marasca S., Marchi L., Riccaboni A., Controllo di gestione: metodologie e

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20

 centri di struttura (direzione generale, ragioneria, ufficio studi, ecc.): svolgono attività e funzioni di carattere generale, fornendo alla banca servizi indivisibili, cioè non attribuibili a nessun centro sulla base di specifici parametri; sotto il profilo economico originano spese generali.

Un’altra classificazione, invece, li distingue in base all’obiettivo economico rispetto al quale sono valutati e responsabilizzati in:

 centri di profitto: hanno come obiettivo il raggiungimento di un dato risultato economico, ottenuto come differenza tra dati ricavi e dati costi. Il risultato economico, nel quale trova definizione l’obiettivo, può presentarsi configurato in modi differenti; il controllo di questi centri, poiché si incentra su una grandezza economica e quindi sulla relazione fra input e output, attiene tanto all’aspetto dell’efficienza che a quello dell’efficacia;

 centri di costo: svolgono funzioni che sono direttamente strumentali a quelle di altri centri di responsabilità ed operano nell’ambito di un doppio vincolo, di volume di attività e di costo complessivo; compito dei responsabili è mantenere l’efficienza interna ai livelli fissati implicitamente dai piani e dai programmi dell’azienda. La quantificazione di risultati dipende dai costi esterni sostenuti e dai corrispettivi ricevuti per servizi resi all’interno.

A questo punto, sulla base delle due classificazioni descritte, è possibile definire una tabella di sintesi rappresentativa dei centri di responsabilità di una banca (Tab. 1.1):

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21 Tabella 1.1 I centri di responsabilità di una banca

Fonte: Elaborazione personale

Il modello dei centri di responsabilità ha subito nel tempo una serie di evoluzioni fino a giungere ai «nuovi» centri di responsabilità rappresentati dalle «Business Unit» (B.U.): con tale termine ci si riferisce ad un complesso organizzativo caratterizzato da risorse che utilizzano stessi processi, perseguono i medesimi obiettivi di redditività e assumono rischi omogenei. Tale entità, che a seconda del contesto organizzativo di riferimento potrà coincidere con una funzione, con una divisione (per prodotto, mercato, segmento di clientela, ecc.), o con una società, sarà dotata dell’autonomia necessaria al raggiungimento degli obiettivi pianificati. Le business units, quindi, possono essere interpretate come unità astrattamente separabili dal resto della banca e potrebbero essere vendute ad altre società o funzionare come società autonome22. Generalmente, viene fatta una classificazione che vede contrapporsi due tipologie:

 B.U. strutturali, o anche dette «infrastrutturali», che comprendono funzioni di governo oltre a quelle che svolgono attività di supporto e erogazione di servizi per

22 Per approfondimenti: Copeland T., Koller T., Murrin J., Valuation. Measuring and Managing the Value

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22

altre aree della banca (ad es. pianificazione e controllo, marketing, sistemi informativi, organizzazione, amministrazione e contabilità ecc.);

 B.U. operative, o anche dette «di mercato», che rappresentano le entità alle quali vengono assegnati compiti di produzione e vendita dei servizi e dei prodotti della banca (ad es. asset management, commercial banking, private banking, corporate finance, leasing, ecc.).

Spesso si usa contrapporre alle singole aree di produzione e vendita di servizi e prodotti una macro area denominata «corporate centre» che accorpa tutte le unità infrastrutturali e che può comprendere le sole attività di governo o di servizio (Fig. 1.2); ad ogni modo, la numerosità delle unità di business è funzione della complessità aziendale della banca, del suo grado di diversificazione produttiva oltre che di specifiche scelte nella separazione dei business. È da specificare, inoltre, che l’individuazione delle unità operative conduce alla distinzione tra unità reali, che corrispondono a strutture effettivamente esistenti nella banca, e unità figurative, che invece sono create appositamente per regolare le transazioni tra i centri reali e, generalmente, per concentrare l’insieme dei rischi, che sono difficilmente imputabili alle singole unità23. In ogni caso, nel processo di definizione delle B.U. l’attenzione deve focalizzarsi su tre aspetti principali:

1) Responsabilità: si deve assegnare a ciascuna B.U. un livello di responsabilizzazione tale per cui tutto il personale coinvolto sia motivato al raggiungimento del maggior risultato;

2) Rischiosità: si deve assegnare ad ogni B.U. uno specifico livello di rischiosità in maniera tale che ognuna di esse possa verificare il proprio grado di rischiosità in riferimento al capitale allocato/utilizzato e al trade off rischio-rendimento; 3) Valore: si deve assegnare a ciascuna B.U. un sistema per la rilevazione del valore

in modo tale che ognuna verifichi in modo puntuale la creazione di valore attraverso la determinazione delle componenti di reddito.

23 Un esempio fondamentale di unità figurativa è costituito dal «pool di tesoreria», il cui ruolo e

funzionamento saranno accuratamente approfonditi nel successivo capitolo dell’elaborato in riferimento al Sistema dei Tassi Interni di Trasferimento.

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23 Figura 1.2 Esempio Business Units in banca

Fonte: Elaborazione personale

In conclusione, sulla base di questo approccio, una banca può essere interpretata come un portafoglio di unità operative, ciascuna delle quali risulta dotata di autonomia nelle scelte di gestione ordinaria e di un proprio bilancio; ciascuna unità effettua transazioni sia nei confronti del mercato sia con le altre business units, scambiando flussi di depositi ed impieghi, e dispone di un proprio stato patrimoniale e di un proprio conto economico: nello stato patrimoniale sono rappresentate le attività e passività nei confronti del mercato e delle altre unità operative, insieme all’evidenza del capitale allocato, mentre il conto economico individua la redditività della banca, ossia il differenziale fra il margine di intermediazione ed i costi della business unit. L’aggregazione dei risultati economici delle business units forma il risultato economico della banca24.

(24)

24 1.4.2 Struttura tecnico-informativa

La struttura tecnico-informativa (o informativo-contabile) del controllo di gestione è strettamente legata alla struttura organizzativa: in fase di progettazione del sistema di controllo vi deve essere una continua e graduale ricerca di congruenza reciproca a sostegno dell’efficacia dell’intero sistema; la non chiara definizione delle unità organizzative e delle relative responsabilità potrebbe disorientare la direzione nella progettazione della struttura tecnico-informativa, poiché questa si configura sull’articolazione della struttura organizzativa sia in termini di destinazione della reportistica, sia in termini di contenuti della stessa, i quali devono rispondere ai fabbisogni informativi che provengono dai singoli responsabili dei centri per monitorare la loro gestione e il progressivo conseguimento degli obiettivi locali che vanno poi a ricomporsi negli obiettivi aziendali. Tra le due strutture ci deve essere una continua coerenza cosicché la struttura informativa sia in grado di offrire dati consuntivi e preventivi con un livello di articolazione configurato sulle unità organizzative al fine di determinare gli indicatori che rappresentano i parametri di controllo per monitorare gli obiettivi da conseguire, ma anche al fine di evidenziare in un report di sintesi gestionale il contributo che ogni unità dà al risultato globale25.

Potremmo definire la struttura tecnico-informativa come un sistema composto dalla struttura tecnico-contabile, ossia l’insieme degli strumenti di misurazione economica degli obiettivi e delle prestazioni che consentono lo svolgimento del controllo di gestione attraverso la raccolta, l’elaborazione e la presentazione dei dati quantitativo-monetari (contabilità generale, contabilità analitica, sistema di budget e di standard, sistema degli indicatori e delle variazioni)26 e dal sistema informativo aziendale; in particolare Marchi, ce la presenta come un insieme di cinque elementi legati a sistema27:

1) il sistema dei budget e degli standard, per la misurazione economica degli obiettivi;

2) il sistema delle rilevazioni di contabilità generale e analitica integrati nell’ottica gestionale, per la misurazione dei costi;

25 Marasca S., Marchi L., Riccaboni A., Controllo di gestione: metodologie e strumenti, Knowità, Arezzo,

2013.

26 Per approfondimenti si veda: Brunetti G.O., Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate,

Franco Angeli, Milano, 1979.

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25

3) il sistema di misurazione e analisi degli scostamenti tra risultati e obiettivi, integrati nel sistema di reporting gestionale, al fine di rappresentare gli scostamenti complessivi e quelli elementari, interpretare le cause e attuare le azioni correttive;

4) il sistema di analisi, preventivazione e simulazione delle prospettive, con particolare riferimento alle condizioni organizzative interne, agli scenari ambientali e alle necessarie sintesi economico-finanziarie;

5) il sistema di elaborazione automatica dei dati, nelle componenti tecnologicamente integrate hardware, software, sistemi di gestione delle basi di dati e sistemi di comunicazione, anche detti sistemi di Information & Communication Technology (ICT).

Ai fini della nostra analisi approfondiamo il sistema di contabilità gestionale, il sistema dei budget e il sistema informativo.

Sistema di contabilità gestionale

Tra gli elementi della struttura tecnico-informativa, la contabilità gestionale svolge la funzione informativa nell’ottica gestionale, mediante la determinazione, qualitativa e quantitativa, e il trattamento e la comunicazione delle informazioni derivanti dall’osservazione della dinamica aziendale, su base fisico-tecnica e su base economico-finanziaria. Al suo interno possiamo distinguere tra rilevazioni di contabilità generale e rilevazioni di contabilità analitica.

La contabilità generale ha per oggetto, da un lato, il sistema delle operazioni di gestione, e dall’altro, il reddito di esercizio e il collegato capitale di funzionamento. È costituita da rilevazioni sistematiche, sintesi di bilancio e analisi di bilancio; difatti, i suoi obiettivi sono il controllo continuo dei movimenti finanziari ed economici a livello complessivo aziendale e la determinazione periodica del capitale e del reddito di esercizio, sia in un’ottica interna gestionale che in un’ottica esterna civilistico-fiscale. Di norma, tuttavia, tali rilevazioni risultano più condizionate dalle disposizioni legislative relative alla forma e al contenuto della comunicazione finanziaria obbligatoria che dalle esigenze di controllo interno gestionale (ossia, ha destinazione prevalentemente esterna). La suddetta definizione di obiettivi è coerente con la scelta di una duplice osservazione della realtà

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aziendale negli aspetti finanziario ed economico (ma anche reddituale e patrimoniale), in stretta aderenza al sistema dei conti e al metodo della partita doppia utilizzati per la rilevazione, secondo la prassi attuale delle imprese28.

La contabilità analitica, invece, ha per oggetto essenzialmente operazioni di gestione interna, nel solo aspetto economico, e ha destinazione prevalentemente interna. Al suo interno possiamo distinguere rilevazioni di contabilità dei costi, di contabilità dei ricavi e risultati particolari e di contabilità analitica finanziaria; difatti, i suoi obiettivi fondamentali sono quelli di determinare costi, ricavi e risultati analitici di periodo, misurare l’efficienza produttiva e, più in generale, fornire supporto alle decisioni operative e ai sistemi di programmazione e controllo, nella loro articolazione operativa29. In sintesi, si può fare questo raffronto tra contabilità generale e contabilità analitica (Tab. 1.2):

Tabella 1.2 Raffronto tra contabilità generale e contabilità analitica

Fonte: Elaborazione personale

In ambito bancario possiamo osservare come l’individuazione di una struttura organizzativa articolata per centri di responsabilità necessiti di una struttura tecnico

28 Per approfondimenti sulla contabilità generale si rimanda tra gli altri a Onida, 1971; Bruni, 1990 e

Marchi, 2013.

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contabile sempre più complessa: si passa, così, dalla contabilità generale, che riguarda la banca nel suo insieme, ad una contabilità che cerca di isolare dati economici e finanziari afferenti a segmenti particolari della banca e che per tale motivo viene definita contabilità analitica. Questa, al contrario della contabilità generale, guarda la banca nel suo interno, valutando l’andamento dei singoli centri, o dei singoli prodotti, mettendo a disposizione dei relativi responsabili gli elementi necessari alle scelte di gestione, valutandone l’efficienza e dando la possibilità di misurare gli scostamenti rispetto agli obiettivi prefissati nel budget. La contabilità analitica presuppone, per l’appunto, una più analitica misurazione di costi e ricavi e prevede la quantificazione degli effetti delle transazioni interne tra centri di responsabilità attraverso la loro «prezzatura» che avverrà:

 con Tassi Interni di Trasferimento (TIT)30 per i prodotti finanziari;  con Internal Transfer Price (ITP) per i prodotti di servizio;

 con sistema di calcolo e ribaltamento costi.

Si osservi che la determinazione dei prezzi di trasferimento interni integra i meccanismi tradizionali della CO.AN., quali, ad esempio, la tecnica del ribaltamento e trasferimento dei costi, che non consente, invece, di avere una corretta misurazione dell’efficienza con cui vengono svolti i processi aziendali. Tra l’altro, tale misura, è tanto più fuorviante e non corretta quanto più il ribaltamento dei costi avviene attraverso l’adozione di costi effettivi, anziché di costi standard che limiterebbero, invece, il ribaltamento di inefficienze sui centri a valle.

L’utilizzazione dello strumento di CO.AN. richiede che siano preliminarmente effettuate delle scelte concernenti le sue modalità di funzionamento, le quali riguardano principalmente:

 le configurazioni di costo adottate nell’ambito della CO.AN.;

 l’utilizzazione di costi standard o di costi consuntivi nello svolgimento della CO.AN;

 le modalità di collegamento tra CO.GE. e CO.AN.;

Graficamente, è possibile rappresentarle nel modo seguente (Fig. 1.3):

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28

Figura 1.3 Modalità di funzionamento della contabilità analitica

Fonte: Elaborazione personale

Di particolare importanza sono le decisioni in merito alle configurazioni di costo e all’impiego dei costi standard o effettivi poiché una problematica complessa nella definizione di un’efficace ed efficiente sistema di pianificazione e controllo è proprio quella relativa alla determinazione dei costi delle singole business units, considerato che, oltre ai costi diretti, a ciascuna di esse deve essere imputata una quota dei costi generali dell’impresa31.

A proposito delle configurazioni di costo, definibili come stratificazioni successive di costi elementari atte a fornire evidenza della composizione del costo di un dato oggetto a un prefissato stadio del processo produttivo, possiamo distinguere configurazioni «a costi primi variabili» e configurazioni «a costi pieni», a partire dalle quali, si sviluppano due

31 La classificazione tra costi diretti e indiretti attiene alle modalità di imputazione (o attribuzione) dei costi

agli oggetti di costo: i costi diretti sono quei costi che sono imputabili direttamente all’oggetto secondo criteri di specialità, ossia attribuiti in modo esclusivo; i costi indiretti, invece, vengono imputati all’oggetto di costo secondo criteri di comunanza, ossia mediante un procedimento di ripartizione o allocazione del costo. Per approfondimenti si veda: Cinquini L., Strumenti per l’analisi dei costi, vol. I, Fondamenti di

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diversi sistemi di calcolo dei costi: il direct costing, in cui si distingue tra costi fissi e variabili, rilevando solo questi ultimi, e il full costing, che si fonda, invece, sull’assorbimento integrale dei costi. Tuttavia, ad oggi, come metodologie principali per l’imputazione dei costi generali alle unità operative possiamo indicare il full costing e l’Activity Based Costing. Con il metodo del full costing, a ciascuna business unit viene assegnata una quota di costi generali direttamente proporzionale ai volumi negoziati dalla stessa; per la precisione, viene determinata a livello aziendale un’aliquota di ribaltamento, come rapporto tra spese generali e totale volumi, e, a livello di business unit, la quota dei costi generali da imputare viene calcolata moltiplicando tale aliquota per i volumi relativi all’unità operativa stessa. Questa metodologia, però, presenta alcune problematiche tra cui la principale consiste nel fatto che privilegia quelle business units che, a parità di volumi, si contraddistinguono per un’operatività ad alta intensità di lavoro e, viceversa, penalizza quelle che negoziano elevati volumi svolgendo un’operatività semplice e quindi a basso assorbimento di fattori produttivi. L’Activity Based Costing (ABC), invece, rappresenta una tecnica di più recente adozione rispetto al full costing e permette di superare i problemi evidenziati in quest’ultimo, consentendo di imputare ad ognuna delle unità operative una percentuale dei costi generali proporzionale all’intensità del suo processo produttivo. Questa metodologia si fonda su procedimenti di stima di tale intensità, ad esempio basati sulla valutazione del tempo assorbito per effettuare una determinata transazione; pertanto, l’impiego di tecniche di ABC presuppone la ricerca di adeguate misure dell’intensità di assorbimento di risorse delle diverse attività e l’implementazione di adeguati sistemi di misurazione, che condizionano il grado di precisione dell’imputazione dei costi32.

Riguardo i costi standard, è possibile osservare come rappresentino il punto di riferimento e la pietra di paragone per il confronto rispetto a quello che risulta il comportamento effettivo dei costi e, difatti, trovano impiego nella programmazione aziendale e nella redazione del budget. I costi consuntivi o effettivi misurano il valore delle risorse utilizzate ex-post, cioè dopo lo svolgimento dei processi, mentre i costi standard appartengono alla categoria dei costi preventivi, ossia valutazioni probabilistiche o stime che mirano a riprodurre il costo che si sosterrà svolgendo una certa produzione nella realtà di impresa così come è attualmente configurata al fine di effettuare giudizi di convenienza, con la particolarità di riferirsi a condizioni operative non attuali, ma bensì

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30

ipotetiche. A seconda delle ipotesi alla base della determinazione di tali costi, è possibile distinguere tra33:

 costi standard di base, che hanno la caratteristica di essere mantenuti fissi per lunghi periodi, consentendo, così, di confrontare il comportamento dei costi effettivi nel lungo periodo e monitorare i trend di efficienza, se essi si mantengono stabili;

 costi standard ideali, determinati sulla base di ipotesi di rendimento ottimale dei fattori produttivi;

 costi standard correntemente ottenibili, più strettamente connessi all’incentivazione dei comportamenti del personale nello svolgimento delle operazioni di gestione e sono raggiungibili da una gestione efficiente.

Infine, in relazione alle modalità di collegamento tra contabilità generale e contabilità analitica, è possibile osservare che le rilevazioni di CO.GE. e di CO.AN., possono essere inserite in uno stesso sistema contabile (sistema unico) oppure collegate funzionalmente tramite conti di ripresa (sistema duplice contabile) o extra-contabilmente quando la contabilità analitica è tenuta in forma libera (sistema duplice misto). Quest’ultimo, pur presentando il grosso vantaggio della flessibilità, contestualmente ha lo svantaggio dell’incompletezza e della scarsa gestibilità delle rilevazioni. Il sistema duplice contabile e, ancor più, il sistema unico, invece, hanno il grosso limite di far dipendere le rilevazioni analitiche in gran parte da quelle generali; difatti, si caratterizzano entrambi per l’esistenza di un sistema primario (la CO.GE.) e di un sistema secondario (la CO.AN.) connessi mediante conti di ripresa o di collegamento. Come risposta al problema, tuttavia, emerge un sistema con un piano dei conti unico integrato che fa coesistere in un sistema di rilevazione unico la CO.GE. e la CO.AN34.

Sistema dei budget

Il budget è lo strumento alla base della struttura tecnico-informativa del controllo, che svolge, prima, un ruolo essenziale di pianificazione, motivazione e integrazione degli

33 Cinquini L., Strumenti per l’analisi dei costi, vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torino,

2008.

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31

obiettivi, e, poi, di verifica sul raggiungimento degli stessi35. Amigoni definisce il budget come “il processo formale con cui periodicamente i diversi organi d’impresa raggiungono un accordo sull’impiego e sull’allocazione delle risorse disponibili, definiscono gli obiettivi che ciascuno di essi deve perseguire e analizzano le differenze tra obiettivi e risultati, al fine sia di valutare le prestazioni di ogni organo, sia di migliorare il processo decisionale. Il documento in cui tali obiettivi sono esplicitati, o budget, così come i rapporti periodici in cui vengono analizzati gli scostamenti fra obiettivi e risultati, sono quindi strumenti di comunicazione formale in alcune fasi del processo, ma è quest’ultimo, in tutti i suoi aspetti, che costituisce lo strumento, o metodologia, di controllo”36. Risulta chiaro, quindi, come il budget non debba essere considerato una previsione, piuttosto questa si pone come base per l’elaborazione del budget stesso, che, invece, rappresenta una precisa manifestazione di volontà relativamente agli scopi da conseguire e le attività da realizzare, tenendo conto ovviamente anche di ciò che è avvenuto in passato e dei possibili andamenti futuri di certe variabili.

In generale, il sistema dei budget si caratterizza tipicamente per i seguenti elementi37:  la globalità, in quanto il sistema di budget abbraccia tutta l’azienda;

 l’articolazione per centri di responsabilità, cioè la scomposizione del budget globale in budget settoriali con i quali indirizzare e responsabilizzare le varie unità organizzative;

 il riferimento all’esercizio annuale futuro del quale il budget fornisce i dati preventivi;

 l’articolazione per intervalli di tempo infra annuali, cioè la scomposizione degli obiettivi annuali in obiettivi a più breve termine (mesi e/o trimestri) per tenere conto degli andamenti ciclo-produttivi e ciclo-stagionali e intervenire più tempestivamente in caso di disfunzioni;

35 “Il processo di formazione del budget rappresenta la fase di controllo ex ante del controllo di gestione e

di verifica ex post del controllo strategico; infatti, il budget si configura come una cerniera tra: strategia e politiche aziendali intese come espressione del management aziendale; macro obiettivi e micro obiettivi; obiettivi non quantificati e obiettivi economici, finanziari, patrimoniali; obiettivi annuali e obiettivi mensili; obiettivi annuali/mensili e risultati conseguiti.” Saita M., Il budget economico, finanziario e patrimoniale, McGraw-Hill, Milano, 1990, pag. 18.

36 Amigoni F., I sistemi di controllo direzionale. Criteri di progettazione e di impiego, Giuffrè, Milano,

1979, pag. 188.

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32

 la traduzione degli obiettivi, laddove possibile, in termini economico-finanziari, cioè in unità monetarie.

Volendo, dunque, delineare le funzioni del budget38, oltre a quella di analisi e pianificazione degli obiettivi, che si estrinseca nell’analisi, nella previsione e nella simulazione delle prospettive future dell’azienda (a partire dall’analisi storica) e nella pianificazione e formulazione degli obiettivi da raggiungere, delle risorse da utilizzare e dei vincoli da rispettare, possiamo anche indicare quella di guida all’azione dei manager, per far sì che operino nel senso voluto dall’organizzazione in coerenza con gli obiettivi di lungo periodo, alla quale è strettamente collegata la funzione di responsabilizzazione e valutazione dei suddetti manager, in quanto ad essi sono attribuiti obiettivi da raggiungere e risorse da gestire allo scopo. Inoltre, il budget svolge anche una funzione di coordinamento organizzativo, orizzontale e verticale, che assume una notevole rilevanza perché permette la realizzazione di un’adeguata integrazione così da garantire che il processo gestionale, che spesso taglia trasversalmente l’organizzazione, possa svolgersi in modo fluido e senza interruzioni39. Infine, il budget rappresenta anche un importante strumento per la diffusione della conoscenza e lo sviluppo della motivazione degli operatori. In relazione alla funzione formativa, si può osservare che il budget si esprime in varie direzioni che si sostanziano prevalentemente nella crescita della cultura manageriale funzionale all’ottenimento dei risultati aziendali; in relazione alla funzione di motivazione, invece, è opportuno osservare che l’esistenza di obiettivi rappresenta un fattore necessario, ma non sufficiente per stimolare la motivazione, dal momento che assumono rilievo anche le modalità con cui tali obiettivi vengono stabiliti e, in particolare, si fa riferimento alla relazione positiva esistente tra partecipazione e motivazione, che consente di interiorizzare ulteriormente la condotta desiderata40.

38 Sul tema delle funzioni del budget si fa riferimento in particolare a: Marasca S., Marchi L., Riccaboni

A., Controllo di gestione: metodologie e strumenti, Knowità, Arezzo, 2013, capp. 10 e 13. Per ulteriori approfondimenti: Agliati, 1995, pagg. 465-468; Bastia, 1989, pagg. 28-29; Brusa, 2000, pag. 86; Merchant, Riccaboni, 2001, pagg. 150-151; Teodori, 1995, pagg. 11-14.

39 In merito all’attività di coordinamento Brusa constata che si tratta di “un’operazione complessa, perché

consiste nel ‘mettere insieme’ le diverse parti, nell’armonizzare e sincronizzare gli sforzi di organi che spesso lavorano in modo ‘settoriale’, senza una chiara consapevolezza delle esigenze del sistema in cui sono inseriti […]. La fissazione degli obiettivi da raggiungere adempie ad una pluralità di funzioni, tra cui anche quella di permettere il coordinamento tra le diverse unità. Ciò è possibile in quanto si finalizza il comportamento di più unità organizzative verso un risultato atteso comune”. Brusa L., Strutture

organizzative d’impresa, Giuffrè, Milano, 1986, pagg. 67-69.

40 “In effetti, una delle scelte di maggiore momento nell’impostazione del sistema di budget è proprio quella

relativa a chi deve partecipare al processo di costruzione del budget e, soprattutto, secondo quali regole. Se lo stile di controllo seguito è di tipo partecipativo o negoziale, tutti i manager e i capi-centro che sono

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33

Pertanto, in sintesi, è possibile affermare che il processo di budgeting consente di41:

 esplicitare chiaramente gli obiettivi: necessità che si pone per creare punti di riferimento utili ad orientare l’attività di ogni individuo verso un fine comune. La mancata conoscenza degli obiettivi consente solo una guida a vista, per cui i problemi vengono affrontati solamente quando si sono già manifestati, anziché anticiparli. Fronteggiare i problemi solamente quando essi si presentano è un atteggiamento di rinuncia nei confronti di una, seppure approssimativa, ricerca della conoscenza;

 responsabilizzare e motivare gli operatori: se gli obiettivi di budget derivano da una compartecipazione alla loro determinazione, essi saranno condivisi, e ognuno si sentirà «moralmente obbligato» nei confronti del resto dell’organizzazione e si se stesso a fare il possibile per raggiungerli;

 coordinare le attività: in questa ottica l’obiettivo finale deriva dalla necessaria integrazione degli obiettivi di attività intermedie. Seppure è vero che in situazioni complesse, minori dovrebbero essere le norme che regolano il funzionamento dell’organizzazione per non creare rigidità, è altresì opportuna l’impostazione di meccanismi e strumenti che facilitino il coordinamento, e il budget, almeno in una prima fase, si rivela utile allo scopo.

Un ulteriore aspetto al quale prestare attenzione, è dato dalla flessibilità del budget, da intendersi come ricerca di un equilibrio tra le esigenze di cambiamento dovute alle mutate condizioni interne ed esterne all’azienda e l’esigenza che il budget rappresenti una linea d’azione per il comportamento manageriale. Le possibili soluzioni che possono essere adottate per il raggiungimento di tale scopo sono diverse: alcuni sono orientati a revisionare il budget, conferendogli, dunque, una predominante connotazione di strumento di programmazione e di stimolo alla motivazione; altri, invece, considerando il budget prevalentemente come uno strumento di controllo, preferiscono non

destinatari del budget sono coinvolti nel processo di budgeting. La maggiore efficacia motivazionale dello strumento viene, di solito, messa in relazione proprio alla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti, all’apertura e al rafforzamento dei canali di comunicazione, al comportamento disponibile, aperto, ricettivo dei massimi dirigenti […]. Al contrario, il budget se viene imposto dall’alto, come avviene nei cosiddetti stili di controllo autoritari o consultivi, può alimentare una forte competizione in senso orizzontale e verticale. Tale competizione può avere effetti positivi se aumenta la motivazione e l’impegno, ma anche effetti negativi sia sulla salute individuale e collettiva, fisica e organizzativa, sia sulle modalità di conduzione del budgeting.” Ferraris Franceschi R., Sistemi di pianificazione e controllo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, pag. 403.

41 Marasca S., Marchi L., Riccaboni A., Controllo di gestione: metodologie e strumenti, Knowità, Arezzo,

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