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ESIStudio del potenziale prebiotico degli alimenti con un modello intestinale in vitro
e analisi multi-omiche
Tesi in
Microbiologia delle fermentazioni
Relatore:
Prof. Andrea Gianotti
Correlatore:
Dott. Lorenzo Nissen
Candidata:
Alice Canora
Matricola N° 886022
Anno Accademico 2019/2020
Sommario
1. Introduzione ... 1
1.1 Il microbiota intestinale umano ... 1
1.2 Relazione tra dieta e microbiota intestinale umano... 6
1.3 I probiotici ... 7
1.3.1 Modulazione delle funzioni immunitarie ... 10
1.3.2 Produzione di acidi organici ... 11
1.3.3 Interazione con il microbiota intestinale ... 12
1.3.4 Interazioni probiotico-ospite ... 13
1.3.5 Miglioramento della funzione barriera ... 13
1.3.6 Produzione di molecole con effetti locali ... 14
1.3.7 Produzione di enzimi ... 14
1.4 I prebiotici... 15
1.4.1 Difesa contro gli agenti patogeni ... 19
1.4.2 Modulazione immunitaria ... 19
1.4.3 Maggiore assorbimento di minerali ... 20
1.4.4 Miglioramento della funzione intestinale ... 20
1.4.5 Effetti metabolici ... 21
1.4.6 Effetto sulla sazietà ... 21
1.5 Interazione tra i componenti degli alimenti ed il microbiota intestinale ... 22
1.5.1 I carboidrati ed il microbiota intestinale ... 22
1.5.2 Le proteine ed il microbiota intestinale ... 23
1.5.3 I grassi ed il microbiota intestinale ... 24
1.5.4 Il sale ed il microbiota intestinale ... 25
1.5.5 Gli additivi alimentari ed il microbiota intestinale ... 25
1.5.7 I polifenoli ed il microbiota intestinale ... 27
1.6 Effetto delle diete sul microbiota intestinale ... 28
1.6.1 Effetto di diete vegane e vegetariane sul microbiota ... 28
1.6.2 Effetto della dieta senza glutine sul microbiota ... 30
1.6.3 Effetto della dieta chetogenica sul microbiota ... 31
1.6.4 Effetto di diete ad alto contenuto di glucosio o fruttosio sul microbiota ... 33
1.6.5 Effetto della dieta a basso contenuto di FODMAP sul microbiota ... 33
1.6.6 Effetto della dieta occidentale sul microbiota intestinale ... 34
1.6.7 Effetto della dieta mediterranea sul microbiota ... 35
1.7 I modelli di fermentazione intestinale in vitro per lo studio del microbiota ... 37
1.7.1 I modelli di fermentazione in batch ... 38
1.7.2 I modelli di fermentazione dinamica ... 39
1.7.3 Il modello in vitro del colon TNO (TIM-2) ... 41
1.7.4 Il simulatore SHIME® ... 42
1.7.5 Il simulatore gastro-intestinale: SIMGI ... 45
1.7.6 Il modello intestinale polifermentatore (PolyFermS) ... 46
1.7.7 Modelli componibili... 48
1.7.8 Il modello in vitro dell’intestino tenue (TSI) ... 49
1.7.9 Modelli con microbiota rappresentativo non fecale ... 49
2. Studio di ricerca sperimentale ... 51
3. Obiettivo e scopo... 51
4. Materiali e Metodi ... 53
4.1 Donatori campioni biologici ... 53
4.2 Reagenti e prodotti chimici ... 53
4.3 Prodotti EcoProlive e controlli ... 53
4.5 Fermentazione fecale in coltura Batch e raccolta dei campioni ... 54
4.6 Estrazione, amplificazione e sequenziamento del DNA ... 56
4.7 Analisi dei dati di sequenza ... 57
4.8 Enumerazione dei Gruppi Batterici tramite qPCR ... 57
4.9 Analisi del Volatiloma con SPME GC-MS. ... 59
4.10 Analisi statistica ... 60
5. Risultati e discussione ... 61
5.1 Controlli di qualità per la convalida di MICODE ... 61
5.2 Cambiamenti delle diversità alfa e beta nei batteri fecali ... 61
5.3 Abbondanza batterica fecale relativa a livello di Phylum ... 63
5.4 Popolazioni del microbiota discriminate a livello di specie ... 65
5.5 Cambiamenti nelle popolazioni batteriche fecali selezionate con qPCR ... 70
5.6 Analisi del volatiloma attraverso SPME GC/MS ... 73
5.7 Cambiamenti nei principali metaboliti microbici legati al potenziale prebiotico ... 77
5.8 Correlazioni multi-omiche relative al potenziale prebiotico ... 81
6. Conclusioni... 83
7. Bibliografia... 85
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1. Introduzione
1.1 Il microbiota intestinale umano
Il tratto gastrointestinale umano ospita una popolazione complessa e dinamica di specie batteriche commensali, che si sono co-evolute con l’ospite, generando un rapporto simbiotico. Si stima che il numero di microrganismi che popolano il tratto gastrointestinale superi centomila miliardi di cellule microbiche per grammo, di quasi duemila differenti specie (Chong et al. 2019). Come risultato del vasto numero di cellule batteriche nel corpo, l'ospite e i microrganismi che lo abitano sono spesso indicati come "superorganismo" (Thursby & Juge, 2017).
Ogni individuo ha una sua impronta digitale batterica, cioè un profilo di specie proprio, diverso da quello di altri individui. La variabilità interindividuale è dovuta alle transizioni infantili, all'uso di antibiotici, nonché alle abitudini di vita, dietetiche e culturali (Rinninella et al., 2019). Esiste però un “core” di almeno 57 specie comuni a tutti gli individui. I phyla microbici intestinali dominanti sono Firmicutes, Bacteroidetes, Actinobacteria, Proteobacteria, Fusobacteria e Verrucomicrobia, con i due phyla Firmicutes e Bacteroidetes che rappresentano il 90% del microbiota intestinale (Capurso, 2016).
Il phylum più ricco è quello dei Firmicutes (gram-positivi), che comprende il 46-58% del totale dei batteri. È composto da più di 200 generi diversi, come Lactobacillus, Bacillus, Clostridium, Enterococcus e Ruminococcus. Il phylum dei Bacteroidetes (gram-negativi) comprende circa il 30-40% dei batteri presenti nel microbiota intestinale ed è rappresentato in particolare dai generi Bacteroides e Prevotella. Il phylum degli Actinobacteria è proporzionalmente meno abbondante (3-7%) ed è rappresentato principalmente dal genere Bifidobacterium. (Lay et al., 2005). Seppur sotto l’1% sono presenti anche gli Archaea metanogenici Methanobrevibacter smithii e Methanosphaera stadtmanae (Capurso, 2016).
Una ricca e diversificata comunità microbica porta a una composizione del microbiota intestinale ben bilanciata e sana; al contrario una composizione batterica intestinale alterata può derivare da diversi fattori come farmaci, infezioni, invecchiamento, stile di vita, interventi chirurgici e cattiva alimentazione. La disbiosi è stata associata alla patogenesi di molte malattie infiammatorie e infezioni. (Rinninella et al., 2019).
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Figura 1. Composizione del microbiota intestinale umano; A) livello phylum, B) livello famiglia
La densità e la composizione delle comunità microbiche differiscono significativamente lungo il tratto gastrointestinale. Lo stomaco e l'intestino tenue ospitano un numero relativamente basso di microrganismi a causa dell'inibizione di crescita derivata principalmente dai sali biliari, dalle secrezioni esocrine del pancreas e dalla peristalsi frequente. Nel colon, invece,
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essendo le nicchie ecologiche ricche di substrati, il pH neutro ed il potenziale redox ottimale, i microrganismi raggiungono livelli di 1011-1012 cellule per grammo di contenuto intestinale; prevalentemente anaerobi come Bacteroides, Parabacteroides, Bifidobacterium, Lactobacillus e Clostridium (Gibson e Roberfroid, 1995).
Figura 2. Distribuzione del microbiota lungo il tratto gastrointestinale.
La normale interazione fra microbi intestinali e il loro ospite umano è un rapporto simbiotico, benefico per entrambi: l’ospite mette a disposizione un habitat ricco di nutrienti e il microbiota conferisce elementi utili alla sua salute (Capurso, 2016).
Come riassunto nella figura 3, il microbiota intestinale è coinvolto in funzioni essenziali per il mantenimento della salute, come lo sviluppo del sistema immune, la corretta funzionalità intestinale nella digestione, il mantenimento dell’integrità della barriera intestinale, l'omeostasi metabolica, la produzione di vitamine, la sintesi di aminoacidi e neurotrasmettitori, il metabolismo degli acidi biliari, le funzioni protettive (Sanders et al., 2019).
Come descritto da Capurso (2016), ci sono numerose evidenze dell’attività strutturale del microbiota a favore del tratto gastrointestinale, ad esempio: Bacteroides thetaiotaomicron
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induce l’espressione della small proline-rich protein 2A (sprr2A), necessaria per il mantenimento dei desmosomi dei villi epiteliali; Lactobacillus rhamnosus produce due proteine solubili (p40 e p75) che possono prevenire l’apoptosi delle cellule epiteliali; Akkermansia muciniphilia può incrementare i livelli di endocannabinoidi che controllano la funzione di barriera diminuendo l’endotossemia.
Per quanto riguarda le funzioni protettive, una peculiare attività del microbiota è quella di competere con i batteri potenzialmente pericolosi e patogeni, attraverso la produzione di sostanze in grado di inattivarli (Cario et al., 2007); l’alterazione del pH intestinale (Yan et al., 2011); la sottrazione dei nutrienti (Cani et al., 2009) ed infine mantenendo l’integrità della barriera mucosa, formata da batteri, muco e cellule epiteliali (Stappenbeck et al., 2002). Le funzioni metaboliche del microbiota intestinale si esplicano attraverso la produzione di un grande numero di metaboliti, la maggior parte dei quali prodotti della fermentazione batterica. Il nostro colon riceve dall’ileo materiale digerito (che verrà poi trasportato nel colon sinistro ed emesso con le feci), e materiale non digerito come amido resistente, fibre dietetiche, zuccheri semplici, alcoli, proteine e substrati endogeni, cioè cellule epiteliali sfaldate, muco ed enzimi intestinali. Questi substrati vengono fermentati dal microbiota, in particolare da Bacteroides, Roseburia, Bifidobacterium, Fecalibacterium ed Enterobacteria, portando alla formazione di acidi organici, idrogeno, etanolo, succinato, formato metano, CO2; nonché composti potenzialmente bioattivi utili per l'ospite, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA) (Capurso, 2016). Avendo a disposizione un enorme patrimonio enzimatico, il microbiota intestinale può essere visto come una comunità di cellule in grado di cooperare in molte reazioni metaboliche necessarie per la biotrasformazione di molecole estranee che non possiamo metabolizzare facilmente, come farmaci, xenobiotici, polifenoli, antibiotici (Riccio e Rossano, 2020).
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Figura 3. Funzioni del microbiota intestinale (Capurso, 2016).
Considerando la capacità di influenzare la funzione degli organi e dei sistemi distali, per molti aspetti il microbiota intestinale assomiglia a un organo endocrino (Forsythe et al., 2010; Evans et al., 2013). Come descritto in uno studio di Clarke e collaboratori (2014), il microbiota ha la capacità di produrre una vasta gamma di composti simili agli ormoni che svolgono un ruolo importante nella regolazione dell'attività degli organi distali, compreso il cervello. È stata riconosciuta l'influenza del microbiota nella regolazione dell'attività metabolica: prove crescenti suggeriscono il suo coinvolgimento nella regolazione del glucosio e del peso. Si pensa che il microbiota abbia un ruolo anche nella regolazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, tramite la produzione o il rilascio di neurotrasmettitori come la serotonina e la modulazione della disponibilità di triptofano. A differenza di altri organi endocrini, il microbiota ha un'intensa plasticità e può alterarsi drasticamente e rapidamente in risposta alla dieta.
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Secondo Lyte (2010), il microbiota soddisfa condizioni più importanti di qualsiasi definizione concettuale di organo poiché, nonostante l'evidente dissomiglianza fisica, è in grado non solo di influenzare, ma anche di rispondere alle secrezioni di altri organi.
1.2 Relazione tra dieta e microbiota intestinale umano
Alcuni composti presenti negli alimenti, come i polioli, le fibre prebiotiche o i composti fenolici, sono scarsamente metabolizzati e assorbiti dall’ospite prima della trasformazione guidata dal microbiota del colon (Possemiers et al. 2011). Infatti, delle migliaia di specie che abitano l’intestino crasso, i microorganismi benefici sono deputati a questa azione (Hooper, Littman e Macpherson 2012). Per il mantenimento di un buon stato di salute risulta di fondamentale importanza l’equilibrio nel rapporto tra le specie di microrganismi benefici, commensali ed anche opportunistici. L’alterazione di questo equilibrio alimenta patologie dannose, come le sindromi metaboliche (Quin et al. 2012), le problematiche di malassorbimento (Kau et al. 2011), o le malattie infiammatorie intestinali (IBD) (Frank et al. 2007).
Influenzando l’eubiosi del microbiota intestinale, la dieta gioca un ruolo fondamentale nella comprensione degli effetti benefici del microbiota intestinale nei confronti dell’ospite, compreso il suo metabolismo a lungo termine (Wu et al. 2011; David et al. 2014).
È stato riconosciuto che il tipo di dieta e le abitudini alimentari sono i fattori che più incidono sull’equilibrio del microbiota intestinale (Rinninella et al. 2019).
D’altra parte, in diversi studi l'efficacia di diete sulle variazioni dei phyla fondamentali del microbiota intestinale (Bacteroidetes e Firmicutes) è stato dibattuto, infatti, sembra che questa sia in grado di influenzare maggiormente il microbiota intestinale a livelli filogenetici inferiori (Nissen, Casciano e Gianotti, 2020). Ad esempio, un alterato regime di assunzione di carboidrati potrebbe avere un impatto su specifici gruppi batterici: è stato osservato che adottando diete a basso contenuto di carboidrati si è verificata una riduzione dei Bifidobacterium spp., Roseburia spp. ed Eubacterium rectale; la riduzione si è verificata anche nel contenuto di acidi grassi a corta catena (SCFA), principalmente a causa di una drastica perdita di acido butirrico (Duncan et al. 2007). Un contributo importante al cambiamento delle
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popolazioni del microbiota intestinale deriva anche dalla natura dei carboidrati, così come dalla resistenza alla digestione. Uno studio di Walker et al. (2011) ha evidenziato che il consumo di amido resistente (RS) può aumentare la quantità di Ruminococcus bromii, Roseburia ed E. rectale, mentre amido resistente combinato in una dieta con un basso contenuto di carboidrati ad alto contenuto proteico (WL) può aumentare Oscillibacter valericigenes, ma può diminuire l'abbondanza di Roseburia ed E. rectale. Allo stesso modo, una dieta ricca di fibre può favorire la crescita di Bifidobacterium, dei gruppi Ruminococcus e Lactobacillus-Enterococcus (Shen, Zhao e Tuohy 2011; Schroeder et al. 2018).
Per ottenere tali risultati sui microbi, le principali tecniche utilizzate finora variavano dalla microbiologia dipendente dalla coltura al FISH (ibridazione fluorescente in situ) e dalla qPCR (PCR quantitativa) fino alle tecnologie NGS (Next Generation Sequencing). Inoltre, per condurre indagini sui metaboliti la maggior parte degli studi hanno raggiunto risultati robusti grazie all'ausilio di tecniche cromatografiche e più recentemente grazie ad analisi in NMR (Risonanza Magnetica Nucleare) (Nissen, Casciano e Gianotti, 2020).
1.3 I probiotici
La prima definizione ufficiale di “probiotico” è stata redatta nel 2001 da una commissione incaricata dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite, dopo che il governo argentino fece richiesta nel 2000 affinché la FAO formasse un gruppo di esperti per valutare le proprietà salutari e nutrizionali dei probiotici negli alimenti. In questo modo si voleva ottenere un riconoscimento internazionale ed univoco di quello che possiamo definire un concetto che fa parte della storia umana. La definizione data fu piuttosto ampia per comprendere una grande varietà di microrganismi, ospiti, vantaggi, siti target e tipi di prodotto, mantenendo così l’essenza delle definizioni storiche offerte nei decenni precedenti e stabilendo un’importante base di consenso. Nel 2014 questo concetto è stato ribadito e corretto grammaticalmente in un documento redatto dall’ International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics (ISAAP) sull’ambito e sull’utilizzo appropriato del termine probiotico, portando alla definizione consensuale di probiotici come “microrganismi vivi che, somministrati in quantità adeguate, conferiscono un beneficio per la salute dell’ospite”.
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A differenza di quanto riportato in alcune definizioni iniziali, secondo le quali i probiotici funzionano “contribuendo all’equilibrio microbico intestinale dell’ospite” (Parker, 1974) o “migliorando le proprietà della microflora indigena” (Havenaar e Huis In’t Veld, 1992), nell’attuale definizione condivisa di probiotici i loro effetti non sono considerati solamente quelli mediati dal microbiota intestinale, infatti, altri tipi di meccanismi sono noti. L’idea che i probiotici possano agire non solo influenzando il microbiota colonizzatore apre le porte ad una più ampia gamma di possibilità probiotiche, incoraggiando l’innovazione nel campo (Sanders et al. 2019).
Ceppi di Lactobacillus, Bifidobacterium e Saccharomyces, presentano una lunga storia di utilizzo sicuro ed efficace come probiotici, mentre Roseburia spp., Akkermansia spp., Propionibacterium spp. e Faecalibacterium spp. mostrano promesse per il futuro (Sanders et al. 2019). Gran parte della nostra conoscenza sui meccanismi probiotici si basa sulla ricerca che utilizza modelli umani ex vivo, in vitro, animali o colture cellulari. La figura 4 mostra meccanismi noti distribuiti tra vari ceppi probiotici. Non tutti i meccanismi sono stati confermati nell’uomo e non esistono in ogni ceppo probiotico, infatti, sebbene più meccanismi siano probabilmente co-espressi in un singolo probiotico, l’importanza di un dato meccanismo dipenderà da molti fattori (Sanders et al. 2019). Ad esempio, come riportato in studi condotti da Ng et al. (2010) e Mujagic et al. (2017), in un intestino infiammato la capacità di sotto-regolare i mediatori infiammatori ed aumentare la funzione di barriera epiteliale potrebbe essere più importante, mentre uno studio condotta da Del Piano et al. (2010) dimostra come la capacità di aumentare gli acidi grassi a corta catena (SCFA) e l’idratazione nel colon potrebbero essere fondamentali per normalizzare la motilità intestinale.
La massima espressione degli effetti benefici di un probiotico può essere influenzata da molti fattori, come le proprietà del microbiota di base dell’ospite (Sanders et al. 2019).
Nonostante esistano pochi dati, uno studio condotto da Maldonado-Gomez et al. (2016), ha dimostrato che la persistenza dei probiotici nell'intestino è collegata alle proprietà del microbiota di base. La persistenza di Bifidobacterium longum subsp. longum AH1206 nell'intestino umano è stata prevista dalla bassa abbondanza nell'ospite di B. longum e da bassi livelli di geni di utilizzo dei carboidrati microbici. In questo studio non è stato monitorato nessun endpoint clinico, ma la persistenza a lungo termine potrebbe essere una proprietà che contribuisce all’ottenimento dei benefici fisiologici (Sanders et al. 2019). Tuttavia, i risultati
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di diversi studi clinici che non prevedevano la suddivisione dei partecipanti in base al microbiota di base, suggeriscono che la funzione probiotica non è necessariamente dipendente dalla presenza di uno specifico microbiota basale (Murphy et al. 2019; Korpela et al. 2018). I microrganismi probiotici agiscono attraverso una varietà di mezzi, tra cui la modulazione della funzione immunitaria, la produzione di acidi organici e composti antimicrobici, l'interazione con il microbiota residente, l'interfacciamento con l'ospite, il miglioramento dell'integrità della barriera intestinale e la formazione degli enzimi. Certamente le prove della relazione causa-effetto dei meccanismi di azione dei microrganismi probiotici negli ospiti umani devono ancora essere raccolte, ma i progressi tecnologici nel sequenziamento del genoma e nelle analisi del microbiota, ed i progressi chirurgici che consentono il campionamento in vivo in tempo reale, dovrebbero aiutare ad acquisire nuovi dati nei prossimi anni (Sanders et al. 2019).
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Figura 4. Meccanismo d’azione dei probiotici. È probabile che diversi meccanismi determinino i benefici clinici forniti dai probiotici per la salute dell'ospite. In alcuni casi questi meccanismi sono guidati direttamente dalle interazioni che avvengono tra i probiotici ed il microbiota intestinale, come la produzione
di prodotti antimicrobici e l'alimentazione incrociata di altri microrganismi residenti. In altri casi, come avviene con le cellule immunitarie, i loro effetti potrebbero essere dovuti all'interazione con le cellule ospiti.
GABA, acido gamma-amminobutirrico.(Sanders et al. 2019).
1.3.1 Modulazione delle funzioni immunitarie
È stato dimostrato che alcuni probiotici aumentano la fagocitosi o l'attività delle cellule natural-killer ed interagiscono direttamente con le cellule dendritiche (Klaenhammer et al. 2012). Studi condotti da Przemska-Kosicka et al. (2016), Vitetta et al. (2017), e Childs et al. (2014), dimostrano anche la capacità di alcuni probiotici di sovra-regolare la secrezione di anticorpi, ottenendo migliori difese contro i patogeni e aumentando le risposte ai vaccini. I ceppi probiotici, inoltre, possono aumentare i livelli di citochine antinfiammatorie con implicazioni per la riduzione del cancro del colon e della colite (Klaenhammer et al. 2012). Le fimbrie, le
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capsule e le strutture superficiali espresse da alcuni probiotici, sono un driver meccanicistico per molte di queste attività (Sanders et al. 2019).
1.3.2 Produzione di acidi organici
Le specie probiotiche appartenenti ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium producono acido lattico ed acetico come prodotti finali primari del metabolismo dei carboidrati. Come mostrato in vari sistemi modello (Flint et al. 2015; Aoudia et al. 2016; Rios- Covian et al. 2016), questi acidi organici, quando prodotti in situ, possono abbassare il pH luminale, scoraggiando la crescita di agenti patogeni. Gli SCFA, principalmente acido acetico, butirrico e propionico, derivano dalla fermentazione colonica di fibre alimentari non digerite, carboidrati non digeribili o amido resistente. Partecipando ai meccanismi anti-infiammatori ed inviando segnali a numerosi organi (figura 5), la loro presenza nel corpo umano in quantità sufficienti è essenziale per la salute e il benessere dell’ospite (Le Blanc et al., 2017).
Come riportato da Markowia-Kopec e Slizewska (2020), la produzione di SCFA è stata verificata per numerosi probiotici, ad esempio: Bifidobacterium longum SP 07/3 e Bifidobacterium bifidum MF 20/5 sono in grado di produrre acido acetico, propionico e lattico; mentre Lactobacillus salivarius spp salcinius JCM 1230 e Lactobacillus agilis JCM 1048 acido propionico, butirrico e lattico.
In uno studio condotto da Wang et al. (2014), invece, è stato testato l'effetto del consumo orale di Lactobacillus plantarum P-8 sulla microflora intestinale umana. Dopo una somministrazione di 4 settimane, è stato riscontrato l'aumento del Bifidobacterium e di altri batteri benefici, mentre il Desulfovibrio e altri patogeni opportunisti sono diminuiti. È stato riscontrato un aumento statisticamente significativo dei livelli di acetato e propionato in tutti i gruppi di età testati.
Altri scienziati hanno anche testato il potenziale antietà di un probiotico contenente in combinazione Lactobacillus paracasei ssp. paracasei BCRC 12188, Lactobacillus plantarum BCRC 12251 e Streptococcus thermophilus BCRC 13869. Lo studio è stato condotto su topi per 12 settimane ed ha dimostrato che la somministrazione a lungo termine della miscela probiotica ha aumentando la produzione di SCFA (che potrebbero regolare gli enzimi antiossidanti), inibendo l'apoptosi cellulare e il danno cerebrale, con conseguente
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miglioramento della memoria e delle capacità di apprendimento in topi anziani trattati con galattosio (Ho et al., 2019).
Figura 5. Ruolo degli SCFAs nell’organismo umano.
1.3.3 Interazione con il microbiota intestinale
I ceppi probiotici possono interagire con il microbiota intestinale attraverso la competizione per i nutrienti, l’antagonismo, l’alimentazione incrociata ed il supporto della stabilità del microbiota (Van Baarlen, Wells e Kleerebezem 2013). Producendo acetato, i Bifidobatteri possono nutrire altri membri del microbiota intestinale. A causa del metabolismo saccarolitico, che porta alla produzione di acidi organici, e della produzione di batteriocine, molti ceppi probiotici sono antagonisti verso altri microrganismi (Hegarty et al. 2016). Le batteriocine possono essere attive contro i patogeni in molti siti, tra cui il tratto urinario umano e l’intestino di esseri umani ed animali (Mokoena 2017; Bali et al. 2016). Come dimostrato da Maldonado- Gomez et al. (2016) e Abdulkadir et al. (2016), ceppi di B. longum AH1206 e B. bifidum ATCC15696 persistono nell’intestino del neonato, sebbene in questo caso la diminuzione dei
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patogeni presenti non sia stata messa in relazione alla produzione di batteriocine. La capacità di alcuni ceppi probiotici di migliorare l’eradicazione dell’Helicobacter pylori potrebbe comportare una certa inibizione dell’agente patogeno, tuttavia, esistono forti evidenze che i probiotici in questo contesto riducano gli effetti avversi degli antibiotici utilizzati nel trattamento (Fang et al. 2019).
1.3.4 Interazioni probiotico-ospite
Come evidenziato da Sanders et al. (2018), le interazioni dei ceppi probiotici con i tessuti dell’ospite sono mediate dalle macromolecole che si trovano sulla superficie cellulare, comprese sia le componenti proteiche (come le proteine associate allo strato superficiale, quelle leganti la mucina, i pili e le proteine leganti LPxTG) che le componenti non proteiche, (come l’acido lipoteicoico, il peptidoglicano e gli esopolisaccaridi). È stato dimostrato che queste strutture influenzano il legame alle cellule intestinali e vaginali, alla mucina ed alle cellule immunitarie o dendritiche, con conseguente aumento dei tempi di transito e miglioramento dell’integrità della barriera. Confrontando il genoma di Lactobacillus rhamnosus GG, con quello di Lactobacillus rhamnosus GR-1 è possibile avere un esempio delle diverse strutture superficiali: il primo microrganismo utilizza i pili per interagire con l’intestino, mentre il secondo possiede un gruppo unico di esopolisaccaridi che aiutano l’attività vaginale (Petrova et al. 2018).
1.3.5 Miglioramento della funzione barriera
La barriera intestinale rappresenta un’unità funzionale responsabile di due principali compiti cruciali per la sopravvivenza dell’individuo: permettere l’assorbimento dei nutrienti e difendere l’organismo dall’ingresso di macromolecole non desiderate, spesso dannose (Rinninella et al. 2019). Come dimostrato da La Fata, Weber e Mohajeri (2018), diversi ceppi probiotici di Lactobacillus e Bifidobacterium sono in grado di aumentare l’espressione delle proteine “tight juction”, che saldano un enterocita all’altro. Inoltre, in modelli 3D di cellule primarie di intestino tenue combinate con cellule immunitarie di maialino, è stata verificata la capacità di aumentare la resistenza trans-epiteliale di membrana, anche in co-culture con patogeni o dopo stress da patogeni (Nissen et al., 2011).
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1.3.6 Produzione di molecole con effetti locali
In un lavoro di Yan et al. (2013) sono state descritte piccole molecole prodotte da alcuni ceppi probiotici con diversi effetti sull’ospite e sul suo microbiota. Tra le scoperte più interessanti troviamo sicuramente la produzione di sostanze neurochimiche in grado di influenzare la funzione cerebrale, come ossitocina, acido gamma-aminobutirrico, serotonina, triptamina, noradrenalina, dopamina ed acetilcolina (Kim et al. 2018; Janik et al. 2016; Reid 2019). Uno studio condotto da Liang et al. (2015), ha evidenziato che, aggiungendo all’alimentazione del ratto stressato utilizzato nel sistema modello, Lactobacillus helveticus NS8 i livelli plasmatici di corticosterone ed ormone adrenocorticotropo sono risultati più bassi, mentre i normali livelli di serotonina e noradrenalina nell’ippocampo sono stati ripristinati.
1.3.7 Produzione di enzimi
Come dimostrato da studi condotti da Kotz et al. (1994) e Costabile et al. (2017) enzimi microbici coma la β-galattosidasi e l’idrolasi dei sali biliari, prodotti e rilasciati da alcuni ceppi probiotici, sono in grado di migliorare rispettivamente la digestione del lattosio e i profili lipidici nel sangue dell’uomo. Ad esempio, nello yogurt, la presenza dello Streptococcus thermophilus facilita la digestione del lattosio. La sua predisposizione ad essere permeabilizzato dalla bile quando entra nell’intestino tenue, promuove il rilascio della β-galattosidasi microbica, che scinde il lattosio nei suoi costituenti più facilmente digeribili, cioè glucosio e galattosio; questo si traduce in un beneficio clinico per le persone intolleranti al lattosio. L’EFSA ha ritenuto che le prove di questo effetto fossero sufficienti per autorizzare un claim salutistico riguardante Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus come componenti dello yogurt in grado di alleviare i sintomi della cattiva digestione del lattosio.
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1.4 I prebiotici
I prebiotici sono stati definiti per la prima volta in un lavoro condotto da Gibson & Roberfroid nel 1995; poi nel 2017 un aggiornamento alla definizione è stato fornito tramite un documento di consenso degli esperti redatto da Gibson et al. poiché, di fronte ai progressi scientifici, era diventato necessario chiarire cosa costituisse e cosa non costituisse una sostanza prebiotica. Dunque, una sostanza prebiotica è stata definita come “un substrato che viene utilizzato selettivamente da microrganismi ospiti che conferiscono un beneficio per la salute”.
Figura 6. Fonti naturali di prebiotici.
Il desiderio di ottimizzare il mondo microbico associato all’uomo per ottenere un miglioramento della salute ha condotto allo sviluppo di composti indirizzati ad un gruppo di microrganismi in continua espansione. I prebiotici non sono più visti semplicemente come stimolatori della crescita di bifidobatteri e lattobacilli, ma sono ormai riconosciuti per i loro effetti a livello del sistema metabolico e fisiologico (Gibson et al. 2017). Come sottolineato da Collins et al. (2018), sebbene l’intestino rimanga la porta di accesso alla maggior parte di questi effetti, non è l’unica; infatti, si stanno conducendo numerosi studi al fine di ottenere ulteriori informazioni riguardanti l’influenza dei prebiotici sulle comunità microbiche del tratto urogenitale, delle aree orali-nasali e della pelle.
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Per capire come funzionano, e soprattutto come sfruttare i prebiotici per “indirizzare” il microbiota ed ottenere un beneficio sulla salute, bisogna tenere presente che i microrganismi vivono in ecosistemi funzionali complessi (Sanders et al. 2019). All’interno di questi, i batteri hanno una moltitudine di ruoli, inclusa la conversione di carboidrati alimentari, proteine ed alcuni grassi in entrata in metaboliti che possono avere effetti positivi o negativi sulla salute dell’ospite (Li et al. 2016; Kasubuchi et al. 2015; Verbeke et al. 2015; David et al. 2014). Come riportato da Gibson et al. (2017) gli attuali prebiotici sono prevalentemente a base di carboidrati, ma altre sostanze come i polifenoli e gli acidi grassi polinsaturi potrebbero esercitare effetti prebiotici.
Figura 7. Digestione delle fibre vegetali alimentari.
Microrganismi come i bifidobatteri sono in grado di metabolizzare in modo molto efficiente i carboidrati a basso peso molecolare, possedendo una gamma di glicosidasi cellulari ed extra-cellulari e sistemi di trasporto specifici (Falony et al. 2009; Riviere et al. 2018). Invece, altri microrganismi, come quelli appartenenti al genere Bacteroides, riescono ad utilizzare i polisaccaridi ad alto peso molecolare (Flint et al. 2012; Hamaker e Tuncil 2014). A questo proposito, come descritto da Ze et al. (2012), alcuni batteri potrebbero essere di notevole importanza in quanto possiedono la capacità di avviare la scomposizione di particolari substrati. Ad esempio, Ruminococcus spp può facilitare la degradazione dell’amido resistente,
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portando alla liberazione di destrine a basso peso molecolare che a questo punto possono essere metabolizzate dalla comunità microbica. Il percorso da un polisaccaride ad un acido grasso a corta catena, dunque, è una rete metabolica complessa ed indiretta. Come riportato in studi di Hosseini et al. (2011) e Louis e Flint (2009) acetato e lattato, che sono i principali prodotti metabolici finali dei bifidobatteri e dei batteri lattici, vengono utilizzati da altri microrganismi per produrre, ad esempio, propionato e butirrato.
Un’ulteriore complicazione in questi studi è rappresentata dal fatto che la risposta dell’ecosistema ai carboidrati è fortemente influenzata dai microrganismi già presenti; come evidenziato da Flint, Duncan e Louis (2017), i microbiomi individuali dominati da Prevotella sono in grado di fermentare i carboidrati più rapidamente rispetto a quelli a dominanza Bacteroides. Inoltre, uno studio condotto da Chen et al. (2017) mostra che quando questi distinti inoculi fecali, dominati da Prevotella o Bacteroides vengono incubati con frutto-oligosaccaridi (FOS) oppure con due differenti arabinoxilani, il profilo degli acidi grassi a corta catena prodotti risulta nettamente diverso e correlato al microbioma. Anche uno studio condotto da Wu et al. (2017), utilizzando un modello di fermentazione in batch in vitro contenente microbiota umano ed oligosaccaridi di isomalto come fonte di carbonio, mostra un’influenza simile del microbioma di partenza sulla fermentazione dei carboidrati.
Grazie agli studi sul microbioma basati sul sequenziamento del DNA ribosomiale 16S è stata acquisita maggiore consapevolezza della ricchezza dell’ecosistema microbico intestinale (Qin et al. 2010), tuttavia, questi non forniscono una comprensione delle interazioni funzionali tra i membri del microbiota intestinale. Come sottolineato da Ha, Lam e Holmes (2014) e Moya e Ferrer (2016) sta diventando chiaro che, sebbene i microbiomi intestinali individuali possano essere piuttosto diversi, vi è un elevato livello di ridondanza funzionale ed alcune funzioni ecologiche specifiche sono svolte da una serie di batteri in individui diversi.
Poiché la comprensione dell’ecologia funzionale del microbiota intestinale è imperfetta, la scoperta dei meccanismi d’azione dei prebiotici rappresenta una sfida. Nonostante questo, i meccanismi attraverso i quali un prebiotico può portare a benefici per la salute sono stati descritti grazie a ricerche condotte utilizzando modelli in vitro o animali; in molti casi, tuttavia, è difficile stabilire che si verifichino effettivamente nel microbiota intestinale umano (Sanders et al. 2019). Nei prossimi paragrafi verranno descritti gli effetti prebiotici, che includono la
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difesa contro i patogeni, la modulazione immunitaria, l’assorbimento dei minerali, la funzione intestinale, gli effetti metabolici e la sazietà.
Figura 8. Meccanismi d’azione identificati dei prebiotici. La premessa è che i prebiotici entrano nell'intestino e vengono utilizzati selettivamente. Questo passaggio aumenta la crescita batterica e la funzionalità di generi
o specie specifici, derivandone benefici per la salute. La massa fecale e il miglioramento delle abitudini intestinali si verificano a causa della crescita microbica. La regolazione immunitaria può essere influenzata
dall'aumento della biomassa e dei componenti della parete cellulare dei batteri. I prodotti metabolici includono acidi organici, che oltre all’abbassamento del pH intestinale possono anche influenzare l'integrità epiteliale e la regolazione ormonale. I batteri che rispondono all'assunzione di prebiotici possono influenzare la composizione del microbiota attraverso l'elaborazione di agenti antimicrobici e le interazioni competitive.
GLP1, peptide1 simile al glucagone; Cellula M, cellula micro-piegata; Cellula NK, cellula natural-killer; PYY, peptide YY; TGFβ, trasformante fattore di crescita-β; Cellula TH1, cellula T-helper di tipo 1; Cellula TH2, cellula T-helper di tipo 2; Cellula T reg, cellula T regolatrice; ZO1, zonula occludens 1 (Sanders et al.
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1.4.1 Difesa contro gli agenti patogeni
L’attività di difesa nei confronti dei patogeni può essere studiata in vitro grazie all’utilizzo di sistemi modello, come riportato in studi condotti da Fooks e Gibson (2002) e Tzortzis et al. (2004). Attraverso la somministrazione di prebiotici e la propagazione di batteri benefici si otterrà un abbassamento del pH luminale, inibendo la crescita dei patogeni. L’instaurarsi di una popolazione stabile di microrganismi commensali ridurrà la disponibilità di nutrienti per i microrganismi invasori, rendendo difficile la colonizzazione. Vulevic et al. (2008) e Vulevic et al. (2015) evidenziano che, in studi condotti su individui anziani, dieci settimane di consumo giornaliero di galatto-oligosaccaridi (GOS) hanno indotto aumenti della funzione immunitaria, in particolare aumentando l’attività fagocitaria e delle cellule natural-killer.
In un recente studio di Bragança Ribeiro e Maria Costa (2021) è stato verificato il potenziale antimicrobico dei polifenoli della fibra di oliva. LOPP (polvere ottenuta dalla sansa di oliva arricchita di liquido) e POPP (polvere ottenuta dalla sansa di oliva arricchita di polpa) sono stati sottoposti a una digestione gastrointestinale simulata in vitro seguita da una fermentazione fecale in vitro. Le polveri di sansa di oliva hanno mostrato un'attività anti adesione variabile tra l'1,4 e il 22% verso Bacillus cereus, Listeria monocytogenes, Escherichia coli e Yersinia enterocolitica. L'effetto più pronunciato è stato rilevato per POPP contro batteri Gram-positivi: le aderenze di Bacillus cereus e Listeria monocytogenes sono state inibite almeno del 20%. POPP è composto principalmente da fibre insolubili, ma contiene anche una notevole quantità di composti fenolici liberi e legati (in particolare oleuropeina aglicone e idrossitirosolo), che possono agire come agenti anti-adesione alla mucina intestinale. La luteolina, ad esempio, è stata trattenuta in quantità maggiori nella frazione non digerita di POPP ed è stata descritta per possedere attività antimicrobica contro diverse specie batteriche (Aziz et al., 2018; Sousa et al., 2006)
1.4.2 Modulazione immunitaria
Nonostante i meccanismi esatti non siano ancora chiari, ci sono prove che l’intervento prebiotico possa essere in grado di ridurre le risposte delle cellule T-helper di tipo 2, influenzando il processo allergico. I dati più favorevoli sono stati raccolti da studi condotti su neonati. Durante uno studio in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo su 259
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neonati, la somministrazione di latte artificiale arricchito con GOS e FOS a catena lunga è stata associata ad una riduzione dell’incidenza inferiore al 50% di dermatite atopica, respiro sibilante ed orticaria rispetto ai neonati non alimentati con il latte prebiotico (Moro et al. 2006; Ivakhnenko e Nyankovskyy 2013). In uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, condotto da Arslanoglu et al. (2012), si evidenzia che in neonati sani a rischio di atopia, alimentati per sei mesi con una formula ipoallergenica arricchita di prebiotici, si è verificata una riduzione superiore a cinque volte dell’insorgenza di allergie cinque anni dopo l’alimentazione.
1.4.3 Maggiore assorbimento di minerali
La maggior parte dell’assorbimento dei minerali avviene tramite meccanismi di trasporto attivo nell’intestino tenue. La fermentazione dei prebiotici, portando alla produzione di acidi grassi a corta catena, determina un abbassamento del pH luminale. Questo calo del pH può aumentare la solubilità del calcio, fornendo una maggiore forza motrice per l’assorbimento passivo (Goss et al. 2007). Studi condotti da Abrams et al. (2007); Abrams, Griffin e Hawthorne (2007) e Whisner et al. (2013), hanno dimostrato che il consumo da parte di giovani adolescenti di una miscela di FOS ed inulina oppure GOS, può provocare un marcato aumento dell’assorbimento e del calcio mineralizzato nell’osso. Questo intervento precoce potrebbe ridurre l’incidenza di osteoporosi più avanti nella vita, tuttavia, questa ipotesi è supportata da dati provenienti da modelli animali e mancano studi a lungo termine sugli esseri umani.
1.4.4 Miglioramento della funzione intestinale
Spesso i miglioramenti nella funzione intestinale sono stati attribuiti al semplice accumulo fecale dovuto al consumo di fibre alimentari. Tuttavia, come dimostrato da Kanauchi, Andoh e Mitsuyama (2013) e Hurst et al. (2014), studi sugli animali hanno dimostrato che gli acidi grassi a corta catena prodotti dalla fermentazione dei prebiotici possono regolare gli ormoni intestinali che a loro volta sono in grado di modulare le risposte motorie locali dell’intestino. Inoltre, la capacità di legare l’acqua dei carboidrati prebiotici ha l’effetto di ammorbidire le feci, facilitando il passaggio (Lamsal 2012; Hager et al. 2011).
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1.4.5 Effetti metabolici
Numerose meta-analisi, come quelle condotte da Kellow, Coughlan, e Reid (2014), Beserra et al. (2015), Liu et al. (2017) e Guo et al. 2012, hanno indagato gli effetti metabolici dei prebiotici; sebbene i risultati tra gli studi varino, in generale è possibile concludere che l’intervento prebiotico ha un effetto positivo sull’omeostasi del glucosio, l’infiammazione ed il profilo lipidico nel sangue negli essere umani.
Alla base di molte ricerche sui prebiotici, sulla funzione di barriera e sull’infiammazione c’è l’ipotesi che i prodotti di fermentazione, come gli acidi grassi a corta catena, siano probabili mediatori degli effetti benefici. Tuttavia, come dimostrato da Bhatia et al. (2015) e Akbari et al. (2017), almeno in vitro, i GOS possono stimolare direttamente l’espressione di proteine a giunzione stretta nelle linee cellulari epiteliali intestinali e diminuire il flusso transepiteliale. Invece, per quanto riguarda la capacità dell’inulina di migliorare la risposta glicemica, come evidenziato da Neyrinck et al. (2016), questa potrebbe essere dovuta all’inibizione diretta del complesso enzimatico isomaltasi-saccarasi intestinale, ma finora questi risultati provengono da studi sui topi.
1.4.6 Effetto sulla sazietà
Gli acidi grassi a corta catena prodotti dalla fermentazione nell’intestino possono interagire con specifici recettori degli acidi grassi (FFAR2 e FFAR3) e regolare la lipolisi ed il rilascio del peptide-1 simil glucagone (Stoddart, Smith, e Milligan 2008; Bolognini et al. 2019). Poiché questi recettori si trovano su molti tessuti, potrebbero essere un collegamento chiave per comprendere la relazione tra fermentazione dei prebiotici e benefici per la salute sistemica. Come descritto da Chambers, Morrison, e Frost (2015) e Mithieux (2014) gli SCFA possono regolare l’appetito tramite diversi meccanismi. L’interazione con le cellule L del colon, ad esempio, si traduce nella produzione di ormoni anoressigeni come PYY e GLP-1; il propionato che arriva al fegato attraverso la vena porta epatica, invece, stimola la gluconeogenesi che agisce come un segnale di sazietà. Secondo uno studio sui topi, condotto da Frost et al. (2014), l’acetato, il principale acido grasso a corta catena formato dalla fermentazione prebiotica, può attraversare la barriera ematoencefalica ed entrare nell’ipotalamo, promuovendo segnali anoressici.
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1.5 Interazione tra i componenti degli alimenti ed il microbiota intestinale
Influenzandone la composizione in termini di ricchezza e diversità, i componenti alimentari hanno un impatto chiave sul microbiota intestinale. Se da un lato l’elevato apporto di proteine animali, grassi saturi, zuccheri e sale potrebbe stimolare la crescita di batteri patogeni a scapito di quelli benefici, dall’altro il consumo di polisaccaridi complessi e proteine vegetali potrebbe essere associato ad un aumento della quantità di batteri benefici. Inoltre, omega-3, polifenoli e micronutrienti sembrano essere in grado di conferire benefici per la salute attraverso la modulazione del microbiota intestinale (Rinninella et al. 2019).
Nei prossimi paragrafi verranno analizzate nello specifico le interazioni tra i diversi componenti alimentari ed il microbiota intestinale.
1.5.1 I carboidrati ed il microbiota intestinale
I carboidrati possono essere classificati in substrati digeribili e non digeribili. Quelli digeribili (come glucosio, fruttosio e galattosio) vengono degradati enzimaticamente nell’intestino tenue e rapidamente rilasciati nel sangue sottoforma di glucosio; quelli non digeribili, macroscopicamente chiamati “fibre alimentari”, raggiungono l’intestino crasso poiché resistenti alla digestione nell’intestino tenue.
Le fibre alimentari possono essere classificate in base alla loro solubilità in acqua ed alla possibilità di essere facilmente fermentate dai batteri del colon. Inulina, pectine, beta-glucani, FOS e GOS sono considerate fibre solubili in acqua e fermentescibili; mentre cellulosa, emicellulosa, lignina ed amido resistente sono considerate insolubili e non fermentabili. Le fibre alimentari fermentabili subiscono una fermentazione saccarolitica ad opera dei batteri intestinali che porta essenzialmente alla produzione di monosaccaridi, acidi grassi a corta catena (in particolare acetato, propionato e butirrato) e gas (cioè metano ed anidride carbonica). Dunque, i carboidrati accessibili al microbiota, indicati come “MAC”, diventano disponibili come prebiotici da metabolizzare in acidi grassi a corta catena (Rinninella et al. 2019). Come dimostrato da Tsukahara et al. (2003) e Klampfer (2003), gli SCFA sono coinvolti nell’omeostati del colon poiché stimolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule epiteliali, l’assorbimento di sali ed acqua, il mantenimento dell’integrità della mucosa e la diminuzione dell’infiammazione. I tipi e le quantità di acidi grassi a corta catena prodotti sono
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determinati principalmente dalla composizione del microbiota intestinale e dalla quantità di carboidrati consumati. Di conseguenza, le popolazioni batteriche rilevate nelle feci sono influenzate dal tipo e dalla quantità di carboidrati non digeribili assunti nella dieta umana (Maukonen e Saarela 2015).
1.5.2 Le proteine ed il microbiota intestinale
La fermentazione degli amminoacidi avviene nel colon distale ad opera dei principali phyla microbici tra cui Firmicutes, Bacteroidetes e Proteobacteria. Rispetto a quella saccarolitica la fermentazione proteolitica produce meno acidi grassi a corta catena, determina invece il rilascio di acidi grassi a catena ramificata (come isobutirrato, 2-metilbutirrato e isovalerato) e substrati potenzialmente tossici come l’ammoniaca, le cui ammine includono nitrosammine e trimetilammina N-ossido (Rinninella et al. 2019).
A seconda del tipo di proteina introdotta dall’ospite, gli effetti sulla composizione del microbiota intestinale variano. Come dimostrato da David et al. (2014) e Reddy, Weisburger e Wynder (1975), il consumo di proteine di origine animale provenienti in particolare da carne rossa e latticini, può portare ad un aumento dell’abbondanza di batteri anaerobici tolleranti alla bile come Bacteroidetes, Alistipes e Bilophila, inducendo un aumento nella produzione di trimetilammina N-ossido, composto noto per il suo potenziale pro-aterogenico. Inoltre, uno studio condotto da Jantchou et al. (2010) ha evidenziato che un elevato consumo di proteine di origine animale potrebbe aumentare il rischio di malattie infiammatorie intestinali (IBD) attraverso una produzione accumulata di idrogeno solforato (H2S) da parte di batteri (ad esempio Desulfovibrio spp.) che riducono il solfato dai solfati inorganici alimentari e dagli amminoacidi solforati. Per quanto riguarda le proteine vegetali, invece, uno studio condotto da Swiatecka et al. (2011) ha dimostrato come il consumo di proteine del pisello abbia determinato l’aumento di Bifidobacterium e Lactobacillus, e la riduzione di Bacteroides fragilis e Clostridium perfrigens patogeni.
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1.5.3 I grassi ed il microbiota intestinale
Come dimostrato da Cândido et al. (2018), la quantità e la tipologia dei grassi alimentari influenzano la composizione del microbiota intestinale.
Diversi studi condotti sugli animali hanno evidenziato che un elevato apporto di grassi alimentari, in particolare di quelli saturi (SFA), determinando una diminuzione dei Bacteroidetes ed un aumento dei Firmicutes e dei Proteobacteria, potrebbe portare a disbiosi intestinale. Inoltre, si potrebbero verificare alterazioni della barriera intestinale a causa dell’abbondanza di batteri che riducono i solfati, che essendo in grado di ridurre i legami disolfuro nel muco, ne causano difetti ed aumentano l’infiammazione intestinale (Rinninella et al. 2019). Per quanto riguarda gli acidi grassi monoinsaturi (MUFA), una revisione condotta da Wolters et al. (2018) ha evidenziato che questi non hanno alcun effetto sugli indici di ricchezza/diversità, sulla distribuzione dei phylum, e sul rapporto tra Bacteroidetes e Firmicutes. A livello di famiglia e genere, invece, le diete ricche di acidi grassi monoinsaturi (come la “dieta mediterranea”) potrebbero essere correlate positivamente al genere Parabacteroides, Prevotella, Turicibacter ed alla famiglia delle Enterobacteriaceae, mentre potrebbero essere correlate negativamente al genere Bifidobacterium.
Passando agli acidi grassi polinsaturi (PUFA), questi sono suddivisi in omega-3 ed omega-6. I PUFA omega-3, presenti soprattutto nei pesci grassi, possono esercitare un’azione positiva sul microbiota, ripristinandone una sana composizione ed aumentando la produzione di composti antinfiammatori. Invece, l’elevato rapporto PUFA omega-6/omega-3, predominante nella dieta occidentale, è stato correlato ad una maggiore permeabilità della barriera intestinale e ad endotossiemia metabolica attraverso un meccanismo guidato dal microbiota intestinale (Rinninella et al. 2019).
Una famiglia distinta di PUFA sono gli isomeri coniugati dell’acido linoleico, i così detti “CLA”. Questi, derivando dalla bio-idrogenazione dell’acido linoleico ad opera di batteri presenti nel rumine, si trovano in alimenti di origine animale come manzo, agnello, burro e latticini. Come dimostrato da Den Hartigh (2019), l’integrazione alimentare con CLA in topi può promuovere notevoli cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale: a livello di phylum si è riscontrato una diminuzione di Firmicutes ed un aumento di Bacteroidetes, mentre a livello di specie un arricchimento di Butyrivibrio, Roseburia e Lactobacillus, con conseguente aumento di butirrato nelle feci ed acetato nel plasma. Questi effetti sulla
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composizione del microbiota intestinale potrebbero parzialmente spiegare le proprietà benefiche attribuite ai CLA.
Figura 9. I grassi ed il microbiota intestinale umano.
1.5.4 Il sale ed il microbiota intestinale
Come evidenziato da diversi studi sui topi, una dieta ricca di sale può provocare alterazioni della composizione del microbiota intestinale, con un possibile aumento del rapporto Firmicutes/Bacteroidetes. Questo si traduce in una produzione alterata di acidi grassi a corta catena, che può essere associata a modifiche della permeabilità intestinale e dell’omeostasi immunitaria (Rinninella et al. 2019).
1.5.5 Gli additivi alimentari ed il microbiota intestinale
Gli additivi alimentari come i dolcificanti artificiali e gli emulsionanti sono incorporati in quasi tutti gli alimenti trasformati, spesso per favorirne la stabilità nel tempo e migliorarne la consistenza ed il gusto. La maggior parte dei dolcificanti artificiali non calorici passa attraverso il tratto gastrointestinale umano senza essere digerita dall’ospite, e quindi incontra direttamente il microbiota intestinale. Diversi rapporti hanno dimostrato che il consumo di queste sostanze
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potrebbe alterare il microbiota intestinale ed indurre nell’ospite effetti avversi mediati dal microbiota, come ad esempio l’intolleranza al glucosio (Rinninella et al. 2019).
Suez e collaboratori (2014) hanno condotto uno studio nel quale per una settimana volontari sani, che normalmente non consumavano dolcificanti artificiali non calorici, hanno ricevuto una dose di 5 mg/Kg di saccarina. Questi soggetti hanno sviluppato una tolleranza al glucosio inferiore e nella loro feci sono stati rilevati un aumento di Bacteroides spp e Lactobacillus spp ed una diminuzione di Clostridiales spp.
In uno studio condotto da Palmnäs et al. (2014) è stato riportato che somministrando acqua con basse dosi (5-7 mg/die) di aspartame per otto settimane, il microbiota intestinale dei ratti utilizzati nel modello subiva cambiamenti significativi: sono stati rilevati una maggiore abbondanza di Enterobacteriaceae e Clostridium leptum, insieme ad elevati livelli di glucosio a digiuno e risposte insuliniche alterate. Secondo uno studio in vitro condotto da Chassaing et al. (2015), gli emulsionanti alimentari come le lecitine ed i mono e digliceridi degli acidi grassi, potrebbero aumentare la traslocazione batterica attraverso gli epiteli, promuovendo l’infiammazione sistemica ed alterando la localizzazione e la composizione del microbiota.
1.5.6 I micronutrienti ed il microbiota intestinale
Le vitamine e i minerali sono fondamentali per la regolazione del metabolismo energetico, la crescita e differenziazione cellulare e per le funzioni immunitarie. Numerose vitamine possono essere sintetizzate dal microbiota intestinale, come la tiamina, la riboflavina, la niacina, la biotina, l’acido pantotenico, il folato e la vitamina k. Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che la vitamina D potrebbe avere un impatto sulla composizione del microbiota, modulandolo ed aumentando l’abbondanza di ceppi batterici potenzialmente benefici (Rinninella et al. 2019). Anche sostanze antiossidanti come i carotenoidi, potrebbero influenzare il microbiota intestinale. Recenti studi hanno evidenziato che, da una parte, la luteina estratta dal ribes nero ha promosso la crescita di bifidobatteri e lattobacilli e la riduzione di Bacteroidetes spp e Clostridium spp; e dall’altra che gli effetti antiinfiammatori del beta-carotene sono mediati dal microbiota intestinale (Rinninella et al. 2019).
Per quanto riguarda i metalli, anch’essi sono coinvolti in numerosi processi fisiologici batterici che influiscono sul microbiota intestinale. Uno studio condotto da Zackular et al. (2016) ha
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evidenziato l’aumento dell’attività della tossina prodotta dal Clostridium difficile in topi colonizzati dal patogeno e alimentati con una dieta contenente un eccesso di zinco. Come dimostrato da Constante et al. (2017), la disponibilità di ferro influenza la composizione del microbiota: nei topi una dieta ricca di eme ha determinato la riduzione della diversità microbica, aumentando l’abbondanza di Proteobacteria e riducendo la presenza di Firmicutes.
1.5.7 I polifenoli ed il microbiota intestinale
Come è ormai noto, i polifenoli sono implicati nella prevenzione di numerose malattie come il diabete e l’obesità, e dunque rappresentano un argomento di crescente interesse per la comunità scientifica. Tuttavia, il loro assorbimento e la loro biodisponibilità nell’uomo rimangono poco chiari e controversi. In generale, i ricercatori sono concordi nell’affermare che le interazioni reciproche del microbiota intestinale e dei composti fenolici hanno un impatto rilevante sulla biodisponibilità di questi composti (Rinninella et al. 2019).
Diversi studi hanno dimostrato che i composti fenolici possono determinare un aumento dei microorganismi benefici. Come dimostrato da Ozdal e collaboratori (2016), tramite l’integrazione di antociani è stato rilevato un aumento di Bifidobacterium spp, Lactobacillus ed Enterococcus spp. Allo stesso tempo, modulando la trasformazione dei composti fenolici in metaboliti più piccoli, il microbiota gioca un ruolo chiave per quanto riguarda la biodisponibilità e le proprietà delle pro-antocianidine.
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1.6 Effetto delle diete sul microbiota intestinale
Come già discusso nel paragrafo 1.2, le abitudini alimentari possono influenzare fortemente la composizione del microbiota intestinale.
L’occidentalizzazione della dieta può ridurre la diversità microbica intestinale in termini di phyla e genere portando a disbiosi, alterazione della funzione barriera, della permeabilità e del normale funzionamento delle cellule immunitarie, aumentando il rischio di insorgenza di malattie croniche. Per quando riguarda, invece, le diete di eliminazione come quella a basso contenuto di FODMAP o quella senza glutine, sebbene in pazienti selezionati possano migliorare i sintomi di alcune malattie come IBS e celiachia, gli effetti a lungo termine sul microbiota intestinale richiedono delucidazioni. La dieta mediterranea, ad oggi, rimane la soluzione migliore per ottenere un microbiota diversificato e stabile, che assicuri la regolare attività delle funzioni immunitarie dell’ospite. Dunque, aumentando la conoscenza delle interazioni tra composti alimentari e batteri intestinali specifici, potrebbe essere adottato un nuovo approccio nutrizionale, basato sulla costruzione di una dieta personalizzata finalizzata alla modulazione ed al ripristino di un microbiota intestinale sano (Rinninella et al. 2019). Al fine di illustrarne meglio vantaggi e criticità, nei prossimi paragrafi verranno presi in considerazione gli effetti di specifiche diete sul microbiota intestinale.
1.6.1 Effetto di diete vegane e vegetariane sul microbiota
A differenza degli onnivori, i vegetariani non consumano nessun tipo di carne e pesce. I vegani rappresentano un sottogruppo di vegetariani che escludono dalla loro dieta anche i prodotti di origine animale come le uova, il latte ed i latticini.
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Figura 10 . Effetto di diete vegane e vegetariane sul microbiota
Sono stati condotti diversi studi al fine di confrontare il microbiota intestinale di individui onnivori, vegetariani e vegani. Un lavoro di Matijašic et al. (2014), mostra che nei vegani e nei vegetariani rispetto agli onnivori, sono stati riscontrati rapporti più elevati di Bacteroides/Prevotella, Bacteroides thetaiotaomicron, Clostridium clostridioforme, Klebsiella pneumoniae e Faecalibacterium prausnitzii; e rapporti inferiori di Clostridium cluster XIVa e Bilophila wadsworthia. Un lavoro di Zimmer et al. (2012), invece, ha evidenziato che in vegani e vegetariani la conta di specie Bifidobacterium e Bacteroides risulta più bassa, mentre non è stata rilevata alcuna differenza tra vegani ed onnivori dalla quantificazione dei livelli fecali di acidi grassi a corta catena e dalla produzione di metano attraverso il respiro.
Questi studi suggeriscono che le diete vegane e vegetariane influenzano il microbiota ma non è possibile trarre conclusioni sulla sua composizione a causa delle diverse metodologie utilizzate per la sua identificazione, e dell’eterogeneità del campione in termini di dimensioni, influenze dell’origine geografica, dell’età, del sesso e della massa corporea. Dovrebbero,
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inoltre, essere considerati gli effetti sulla modulazione del microbiota intestinale dei polifenoli, molto presenti nelle diete vegane e vegetariane (Rinninella et al. 2019).
1.6.2 Effetto della dieta senza glutine sul microbiota
La celiachia è una malattia autoimmune in cui il glutine provoca una forte infiammazione intestinale. Poiché in grado di ripristinare la normale mucosa intestinale nei pazienti celiaci, negli anni ’60 la dieta priva di glutine è stata riconosciuta come una potenziale cura ed al momento rimane l’unica terapia possibile per chi soffre di questa malattia.
Figura 11. Effetto della dieta senza glutine sul microbiota.
De Palma e collaboratori (2009) hanno studiato gli effetti di una dieta senza glutine somministrata a soggetti sani per un mese, riscontrando una diminuzione di Bifidobacterium, Clostridium lituseburense e Faecalibacterium prausnitzii ed un aumento dei conteggi di Enterobacteriaceae ed Escherichia coli. Bonder et al. (2016) hanno evidenziato che le variazioni maggiori si verificano nella famiglia delle Veillonellaceae, diminuendone significativamente l’abbondanza nell’intestino di chi adotta una dieta senza glutine.
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Nonostante la maggior parte dei lavori condotti al fine di valutare le variazioni del microbiota in seguito all’adozione di una dieta senza glutine presentino limitazioni importanti, tra cui campioni di piccole dimensioni e l’uso di tecniche a basso rendimento (come le tecniche di coltura e quelle molecolari non basate sul sequenziamento), è stata dimostrata una diminuzione di batteri benefici come Bifidobacterium e Lactobacillus. Questo determina una diminuzione della produzione degli acidi grassi a corta catena, con conseguente riduzione dei loro effetti positivi sul metabolismo e sull’immunità dell’ospite (Rinninella et al. 2019). Inoltre, come dimostrato da diversi studi (De Palma et al. 2009; Bonder et al. 2016; Sanz 2010; Di Cagno et al. 2011) l’aumento di specie dannose quali Staphylococcus, Salmonella, Shigella e Klebsiella, potrebbe influenzare i profili microbici e l’omeostasi a lungo termine della mucosa intestinale di soggetti sani.
1.6.3 Effetto della dieta chetogenica sul microbiota
La dieta chetogenica è una dieta normo calorica a contenuto elevato di grassi e bassissimo di carboidrati, utilizzata in soggetti affetti da epilessia resistente ai farmaci e la sindrome da carenza di GLUT1. Nonostante sembri una terapia dietetica efficiente per la riduzione del peso in pazienti obesi, il mantenimento del peso corporeo raggiunto solitamente è problematico (Rinninella et al. 2019).
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Figura 12. Effetto della dieta chetogenica sul microbiota.
Uno studio di Tagliabue e collaboratori (2017), si è focalizzato sul confronto della composizione del microbiota di pazienti trattati con la dieta chetogenica prima e dopo tre mesi di dieta, dimostrando un arricchimento in Desulfovibrio spp., coinvolto nell’esacerbazione dell’infiammazione intestinale. Lindefeldt et al. (2019) studiando il microbiota di bambini affetti da epilessia prima e dopo tre mesi di dieta chetogenica, hanno riscontrato una diminuzione di bifidobatteri, Eubacterium rectale e Dialister ed un aumento di E.coli durante l’intervento. Poiché questa dieta comporta una riduzione dell’assunzione dei carboidrati, la diminuzione dei batteri benefici del microbiota intestinale, come i bifidobatteri, è associata all’introduzione limitata da parte dell’ospite di polisaccaridi. Dunque, sebbene la dieta chetogenica abbia un impatto positivo su un’ampia gamma di malattie, rimangono da chiarire gli effetti a lungo termine di questo trattamento dietetico sulla composizione del microbiota intestinale e conseguentemente sull’omeostasi dello strato di muco e sulle funzioni immunitarie, più nello specifico nei soggetti sani che adottano la dieta chetogenica per la perdita di peso (Rinninella et al. 2019).
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1.6.4 Effetto di diete ad alto contenuto di glucosio o fruttosio sul microbiota
L’eccesso di zucchero nelle abitudini alimentari moderne è stato collegato all’obesità, a diverse malattie metaboliche come il diabete mellito di tipo II ed alle malattie cardiovascolari. In un lavoro condotto da Do et al. (2018), somministrando regimi dietetici distinti (dieta normale, dieta ad elevato contenuto di glucosio e dieta ad alto contenuto di fruttosio) a topi per 12 settimane, è stato studiato l’impatto della dieta ad alto contenuto di zucchero sul microbiota intestinale. Nei topi alimentati con la dieta ad elevato contenuto di glucosio e la dieta ad elevato contenuto di fruttosio è stata evidenziata una minore diversità microbica rispetto ai topi nutriti con la dieta normale; in particolare è stata riscontrata una diminuzione di Bacteroidetes ed un aumento di Proteobacteria oltre che un significativo aumento della permeabilità intestinale. Dunque, diete ad alto contenuto di glucosio o fruttosio possono modellare il microbiota intestinale, aumentando il rapporto Firmicutes/Bacteroidetes e la proporzione di Proteobacteria, causando anche l’alterazione della permeabilità intestinale e la maggiore espressione delle citochine infiammatorie nel colon.
1.6.5 Effetto della dieta a basso contenuto di FODMAP sul microbiota
I FODMAP (acronimo di "Fermentable, Oligo-, Di-, Mono-saccharides And Polyols", creato nel 2004 dalla Monash University) sono un gruppo di carboidrati e polioli altamente fermentescibili ma scarsamente assorbiti. Negli ultimi anni la dieta a basso contenuto di FODMAP è stata utilizzata da diversi medici soprattutto per il trattamento di malattie come l’IBS e l’IBD (Rinninella et al. 2019). Uno studio condotto da Halmos e colleghi (2014) mostra che in pazienti con IBS trattati con una dieta a basso contenuto di FODMAP, si evidenziano concentrazioni simili di acidi grassi a corta catena ed una riduzione dell’abbondanza batterica del 47% rispetto ad una dieta abituale. Una dieta a basso contenuto di FODMAP, infatti, potrebbe ridurre l’introduzione di prebiotici, portando così ad una scarsa presenza di batteri benefici all’interno del microbiota intestinale. Per contrastare questi squilibri ed in particolare ripristinare i livelli di Bifidobacterium l’integrazione con i probiotici sembrerebbe una buona soluzione; tuttavia, sono necessari studi più ampi per comprendere sia gli effetti a lungo termine delle diete a basso FODMAP sulla composizione del microbiota che i potenziali benefici dell’integrazione con probiotici (Rinninella et al. 2019).
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1.6.6 Effetto della dieta occidentale sul microbiota intestinale
La dieta occidentale è un’abitudine alimentare ampiamente adottata nei paesi economicamente sviluppati e sempre più anche nei paesi in via di sviluppo, caratterizzata da un elevato apporto di grassi totali, proteine animali e zuccheri raffinati.
Figura 13. Effetto della dieta occidentale sul microbiota.
Come dimostrato da David et al. (2014), l’elevato consumo di proteine animali aumenta l’abbondanza di microrganismi bile-tolleranti, come Alistipes, Bilophila e Bacteroides e diminuisce i livelli di Firmicutes che metabolizzano i polisaccaridi vegetali dietetici come Roseburia, Eubacterium rectale e Ruminococcus bromii. Diversi studi hanno evidenziato che questo tipo di dieta ha effetti dannosi sul microbiota intestinale, inducendo scarsa diversità microbica e disbiosi, effetti negativi sulla mucosa intestinale ed infiammazione (Rinninella et al. 2019).