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La "stazione fiorita" di Ripafratta. Una nuova vita in verde.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in

Progettazione e Gestione del Verde Urbano e del Paesaggio

La “stazione fiorita” di Ripafratta.

Una nuova vita in verde.

Anno Accademico 2018/2019

UNIVERSITA' DI PISA

Candidato:

Athos Pedrelli

Relatore:

Prof. Francesco Monacci

Correlatore:

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1

INDICE

1. Premessa ... 4

2. Riqualificazione dei tracciati ferroviari:

greenway, ferrociclabili, ferrovie turistiche .. 5

2.1 Le greenway ... 5

2.2 Le ferrociclabili ...10

2.3 La ferrovia turistica ... 11

2.4 Le riqualificazioni ferroviarie in contesto urbano 13

3. Ferrovia e spazi verdi ... 15

3.1 Gli spazi verdi dei complessi ferroviari ... 15

3.2 Percezione del verde ferroviario ieri ed oggi ... 18

4. Obiettivi della tesi ... 21

5. Il concorso “Stazioni fiorite” ... 23

5.1 Il contesto storico-culturale ... 23

5.2 Il treno, le stazioni e il concorso ... 25

5.3 Gli obiettivi del concorso ... 26

5.4 Organizzazione del concorso ... 26

5.5 Il libretto del concorso ... 30

5.6 Breve analisi del gusto paesaggistico di ieri e di oggi ... 32

5.7 Il ruolo del verde nelle stazioni di inizio Novecento ... 35

5.8 I giardini delle stazioni fiorite ... 36

6. Il giardino della stazione di Ripafratta:

ricostruzione storica e analisi dello stato di

fatto ... 40

6.1 Inquadramento territoriale ... 40

6.2 Clima ... 41

6.3 Cenni storici sulla costruzione della linea ferroviaria Lucca-Pisa ... 42

6.4 La stazione di Ripafratta... 42

6.5 Il concorso “Stazioni Fiorite” e la stazione di Ripafratta ... 45

6.6 Il giardino della stazione di Ripafratta nel tempo 48

7. Il rilievo dello stato attuale ... 55

7.1 La stazione di Ripafratta oggi ... 55

7.2 Assetto fondiario ... 55

7.3 Vincoli paesaggistici e legislativi ... 56

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2 7.4.1 Fabbricato viaggiatori (FV) ... 57 7.4.2 Magazzino merci (MM) ... 57 7.4.3 Locale tecnico (LT) ... 58 7.4.4 Toilette (T) ... 58 7.4.5 Vecchia stazione (VS) ... 59

7.4.6 Piazzale antistante la stazione (PS) ... 59

7.4.7 Parcheggio (P) ... 60

7.4.8 Binari dismessi (BD) ... 61

7.4.9 Piattaforma di imbarco (PI) ... 61

8. Il rilievo del giardino della stazione ... 64

8.1 Analisi della componente vegetale e dei processi di rinaturalizzazione ... 66

8.2 Analisi dello stato fitosanitario delle alberature .. 71

9. Il giardino della stazione di Ripafratta:

ipotesi progettuale ... 74

9.1 Criticità del complesso ferroviario ... 74

9.2 Il recupero dell’esperienza delle “Stazioni fiorite” e il nuovo assetto ... 77

9.4 Interventi previsti ... 79

9.4.1 Interventi sul giardino ... 79

9.4.2 Interventi sugli spazi aperti ... 85

9.4.3 Interventi sugli edifici ... 89

9.5 Componente vegetale ... 92

10. Quadro sintetico dell’analisi dei costi per

la messa in opera del giardino ... 99

11. Considerazioni finali ... 106

12. Sinossi ... 110

13. Appendice. Le ferrovie e le stazioni. .... 114

13.1 Breve storia delle ferrovie italiane ... 115

13.2 La stazione ... 117

13.3 Le piccole stazioni ... 119

13.4 La rete ferroviaria in numeri ... 120

13.5 Il piano Industriale 2017-2026 e la riqualificazione ... 121

13.6 Legislazione e recupero delle ferrovie ... 122

13.7 Progetti di recupero delle ferrovie dismesse: le stazioni ... 123

13.7.1 La stazione di Redipuglia ... 123

13.7.2 La stazione di Potenza Superiore ... 125

13.7.3 La stazione d’Este ...126

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14. Tavole grafiche ... 128

15. Allegati ... 132

15.1 Allegato 1 ... 133 15.2 Allegato 2 ... 134 15.3 Allegato 3 ... 137 15.4 Allegato 4 ... 138 15.5 Allegato 5 ... 144 15.6 Allegato 6 ... 145 15.7 Allegato 7 ... 146

16. Bibliografia ... 155

16.1 Bibliografia testi ... 155

16.2 Bibliografia dei siti ... 159

16.3 Bibliografia immagini ... 160

16.3.1 Immagini tesi ... 160

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1. Premessa

Il treno e la ferrovia sono ormai da quasi duecento anni parte integrante della società e del paesaggio. Nel tempo però, ampi tratti di sedime ferroviario e un gran numero di stazione sono state abbandonate per i più disparati motivi ed hanno condotto, e conducono tutt’ora, a sviluppo di situazioni di degrado nei territori. Talvolta, anche stazioni ancora in uso non sono risparmiate da questa situazione.

Uno degli interrogativi sullo sfondo del presente lavoro è se vi sia la possibilità di riqualificare il complesso di queste aree ferroviarie in contesti territoriali lontani da logiche di valorizzazione urbana di aree dismesse o sottoutilizzate. E ancora: il recupero di uno spazio verde, il progetto di un nuovo giardino può innescare un processo di recupero di una intera area ferroviaria in gran parte dismessa?

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2.

Riqualificazione

dei

tracciati

ferroviari: greenway,

ferrociclabili,

ferrovie turistiche

I progetti di riqualificazione delle strutture ferroviarie non si limitano solo alle stazioni (vedesi Appendice), ma hanno interessato anche alcuni tratti dismessi.

Queste operazioni, molto spesso, mettono come principio cardine la tutela e la salvaguardia ambientale, dimostrando come non siano solo legate ad aspetti turistici o economici. Tre sono le modalità attualmente sviluppate per rendere usufruibili tali spazi e garantirne l’utilizzo.

2.1 Le greenway

Le greenway (o strade verdi, rails-trails, railway paths, chemin du rail, via verdes, ecopistas), sono spazi verdi con andamento lineare, spesso collegati tra di loro a formare una rete, che presentano varie funzioni. Possono infatti essere strumenti pubblici per orientare lo sviluppo insediativo, strumenti per il recupero ambientale, strumenti per la creazione di un sistema di collegamenti che favorisca la mobilità alternativa e la socialità (Valentini 2005)

La European Greenway Association così le descrive secondo la Dichiarazione di Lille del 2000 in cui vengono tracciate le direttive per lo sviluppo della cosiddetta “Rete europea delle greenway” e condiviso tra più di 50 organizzazioni compresa l’Unione Europea:

Vie di comunicazione riservate esclusivamente a spostamenti non motorizzati, sviluppate in modo integrato al fine di migliorare l’ambiente e la qualità della vita nei territori attraversati. Devono avere caratteristiche di larghezza, pendenza e pavimentazione tali da garantirne un utilizzo facile

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e sicuro agli utenti di tutte le capacità e abilità. Al riguardo, il riutilizzo delle alzaie dei canali e delle linee ferroviarie abbandonate costituisce lo strumento privilegiato per lo sviluppo delle greenways.

I tracciati ferroviari rappresentano, quindi, uno degli elementi cardine di questi nuovi percorsi sostenibili.

Le prime esperienze sono state portate avanti negli Stati Uniti d’America dove il patrimonio di ferrovie dismesse o abbandonate è stimato in 240.000 km (Ghezzi 2017). Attualmente i progetti realizzati sono circa 2000, mentre 800 sono in fase di realizzazione. Tutto questo è avvento grazie ad un meccanismo di tipo giuridico definito “Rail-banking” che permette ad una compagnia ferroviaria di stipulare un accordo sull’utilizzo di una linea dismessa con un gruppo pubblico o privato per favorirne la conservazione e ridurre le spese di gestione da parte della compagnia. Inoltre, questi tratti possono un giorno essere riattivati per scopi ferroviari in caso di necessità.

In Europa, invece, lo Stato pioniere è stato la Spagna, che, dal 1993, ha avviato un progetto di recupero su ampia scala dei

suoi 7.500 km di ferrovie non più utilizzate. Con un investimento totale che ammonta attualmente a 170 milioni di euro, ben 2.600 km sono stati convertiti, permettendo di rivitalizzare circa 100 stazioni (Ghezzi 2017).

La nazione che vanta invece il maggior numero di greenway da riconversione di linee ferroviarie è la Germania con circa 5000 km (Ghezzi 2017).

Tutte le maggiori nazioni europee sono attualmente dotate di un’ampia rete di greenway e si stima che nell’intero continente vi siano circa 19.000 km di tracciati ottenuti da vecchie ferrovie (Ghezzi 2017).

L’Italia si colloca in ultima posizione tra le maggiori nazioni del continente, con una estensione pari a 800 km su 7.000 km di strade ferrate in disuso (Ghezzi 2017).

Le prime opere in tal senso si sono avute ad inizio anni Novanta del secolo scorso con esperienze limitate però ad enti locali che hanno operato da apripista in questo settore. Con il crescente interesse nei confronti della mobilità dolce, quale alternativa a quella motorizzata, nella seconda metà del primo decennio del ventunesimo secolo, le Ferrovie dello Stato, con

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l’aiuto di diverse associazioni oggi riunite nella Alleanza per la mobilità dolce, ha istituito la Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate che, all’anno 2019, è giunta alla XII edizione (www.mobilitadolce.org).

Lo scopo era, ed è, quello di sensibilizzare la popolazione e gli enti locali sulla possibilità di utilizzo a fine di mobilità sostenibile delle vecchie tratte non più utilizzate.

Grazie anche a questo tipo di iniziative, il numero totale dei progetti realizzati ammonta ad oggi a 60, distribuiti in maggioranza nelle regioni del nord. Al sud, la regione più attiva è stata invece la Sicilia (Ghezzi 2017).

Inoltre, al fine di creare un valore aggiunto e certificare la qualità di questi percorsi, l’Associazione Italiana Greenway ONLUS e Touring Club Italiano hanno dato vita al marchio “Binari verdi” rivolto a tutti gli enti, privati e pubblici, che intendono fare sistema e promuovere gli spazi che gestiscono. L’adesione è subordinata all’accettazione di periodici controlli al fine di verificare il rispetto nel tempo di parametri di qualità relativi a sicurezza, confort, piacevolezza, accessibilità e manutenzione (www.binariverdi.it) (Figura 1).

Il ritardo nella adozione di un piano nazionale italiano, avvenuto solo recentemente con la Legge Numero 232 del 11/12/2016, che coordini investimenti, progetti e interventi di riqualificazione, ha purtroppo reso sino ad ora tutte le iniziative frammentarie e disgiunte (trasparenza.mit.gov.it). Molto spesso, inoltre, si associa alle greenway la semplice conversione a pista ciclabile.

Alcuni casi virtuosi e più rispettosi in termini progettuali delle linee guida della Dichiarazione di Lille si sono comunque avuti. Un esempio è “La

lunga via delle Dolomiti” che ricalca il vecchio tracciato della ferrovia delle Dolomiti dismessa nel 1964 (Figura 2). La greenway si sviluppa lungo 65 km, da Calalzo di Cadore in Provincia

Figura 1- Marchio dell'iniziativa "Binari verdi" organizzata dal Touring Club Italiano e l'Associazione Italiana Greenway ONLUS.

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di Belluno, sino a Dobbiaco in Provincia di Bolzano. Esso è utilizzabile da pedoni, ciclisti e, in inverno, da sportivi per lo sci di fondo.

Si pone in prossimità di siti naturali di elevatissimo valore, come il sito UNESCO “Pelmo-Croda da Lago”, il parco naturale Tre cime e il parco naturale Fanes-Sennes e Braies, inoltre attraversa e mettere in collegamento valli differenti e paesi differenti senza la necessità di entrare in contatto con mezzi motorizzati.

Su tutto il tracciato sono presenti servizi di ristoro e pernottamento di diversa tipologia che rendono il percorso accessibili a tutti.

Il completamento dell’opera, che la rende una delle migliori nel panorama nazionale, è dovuto al successivo collegamento con un altro tracciato ciclabile a partire da Dobbiaco chiamato “Ciclabile del Drava” che segue l’omonimo torrente sino a Lienz, in Austria (www.ciclabiledolomiti.com).

Anche ella splendida cornice della costa ligure invece, tra Levanto e Framura, a nord delle più rinomate Cinque Terre, parte del vecchio tracciato ferroviario è stato riconvertito in

greenway (Figura 3). La particolarità, in questo caso, non è data dalla lunghezza, circa 6 km, quanto dal fatto che splendidi spazi naturali e cittadine, sono connessi tramite gallerie a

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picco sul mare. La bellezza del luogo non solo viene così valorizzata ma spinge le persone a usufruire di questo tratto per gli spostamenti favorendo la mobilità dolce e la tutela ambientale.

Anche in Toscana troviamo esempi di greenway. Di certo quella più riuscita è quella denominata “Sentiero della Bonifica” realizzata tra Arezzo e Chiusi. Lunga 62 km, si snoda attraverso la Val di Chiana e costeggia il Canale Maestro di Chiana, un canale

artificiale di bonifica dalla storia secolare (www.sentierodellabonifica.it) (Figura 4). È adatta sia agli sportivi che alle famiglie dato il suo sviluppo senza dislivelli e rappresenta non solo un viaggio in mezzo alla natura ma anche un viaggio nella storia e nelle tradizioni del luogo. Il percorso, con una deviazione di 12 km, permette di raggiungere persino Cortona, luogo ricco di storia valorizzato a partire dagli anni Duemila dall’istituzione del Parco archeologico del Sodo, un museo diffuso in tutto il territorio comunale. La qualità di

Figura 3- Una delle gallerie della greenway tra Levanto e

Framura. Figura 4- Fotografia dall'alto di uno dei tratti del "Sentiero della Bonifica" tra Arezzo e Chiusi.

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questo progetto è persino stata premiata nel 2011 con la vincita dell’“Euopean Greenway Award” (www.intoscana.it)

2.2 Le ferrociclabili

Un tipo particolare di recupero dei vecchi tracciati ferroviari è quella delle ferrociclabile chiamati all’estero anche con il nome di velorail, draisine, cyclo rail, pedalo rail e/o bike rail.

In questo caso, il sedime non viene privato dell’armamento ferroviario che serve anzi da base di partenza per il movimento dei ferrocicli. Questi veicoli a pedalata, assistita o meno, si muovono semplicemente lungo i binari del tracciato svolgendo la funzione precedentemente svolta dal treno (Figura 5) (Figura 6).

Date le premesse, si possono considerare questi progetti come particolari varianti delle normali greenway.

In Francia, strutture di questo tipo sono operative da 20 anni ed è per questo che qui si estende la rete Europea più ampia con 500 km di tracciato (Damiani 2018).

Tra i principali paesi europei invece che hanno investito in queste riconversioni vi sono Germania, Danimarca, Austria, Belgio per un totale nel continente di circa 1.065 km.

In Italia, è stato fatto un primo passo con l’approvazione della Legge 128/2017 che all’Articolo 10 recita “La circolazione dei veicoli a pedalata naturale o assistita in possesso dei requisiti tecnici definiti dalle norme UNI può essere consentita sulle linee ferroviarie dismesse o sospese, con modalità definite dal proprietario o dal gestore dell'infrastruttura, evitando

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comunque ogni forma di promiscuità con la circolazione dei treni” (www.gazzettaufficiale.it).

L’Ente italiano per la normazione (UNI) con la norma UNI 11685:2017 “Ferrociclo - Requisiti tecnici e costruttivi” ha dato forma alla possibilità di realizzare in concreto queste opere e permettere l’avvio di progetti di questo tipo (uni.com).

Potenzialmente, tenendo conto delle line ferroviarie abbandonate inserite nella legge sopracitata, la conversione potrebbe fruttare sino a 1100 km di tracciati (Damiani 2018).

Un modo quindi originale, economico, ecologico per valorizzare i tratti ferroviari dismessi che può avere un importante ricaduta sul territorio favorendo il recupero delle aree abbandonate e lo sviluppo di luoghi di accoglienza e ristoro per i “ferrociclisti”.

2.3 La ferrovia turistica

Terza e ultima modalità di recupero delle linee e delle stazioni abbandonate è quello della ferrovia turistica associata spesso al revival storico.

Questa pratica consiste nel recupero delle tratte al fine di destinarle alla percorrenza da parte di mezzi storici, sia per quanto riguarda le motrici che per le carrozze.

In alcune occasioni, per rendere ancora più immersiva l’esperienza, il personale ferroviario e chi organizza l’evento, è dotato di costumi storici risalenti al tempo in cui il mezzo veniva utilizzato realmente. Un esempio di questo, benché non si sviluppi su una linea abbandonata, è il treno a vapore che occasionalmente percorre i confini orientali dell’Italia da

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Fogliano-Redipuglia sino a giungere a Nova Gorica in Slovenia, dove figuranti vestiti con abiti militari delle Prima Guerra Mondiale fanno rivivere l’esperienza del viaggio al fronte e della vita nelle trincee.

Le linee effettivamente dismesse e tornate invece a nuova vita a scopi turistici sono attualmente 10 e ad ognuna di esse è stato attribuito un nome iconico associato al territorio che attraversa (www.fondazionefs.it).

La prima ad essere inaugurata nel 2014 è stata la “Ferrovia del Lago” in Lombardia che da Palazzolo sull’Oglio va a Paratico Sarnico mentre l’ultima risale al 2018 in Piemonte con la “Ferrovia del Monferrato” che collega Asti a Nizza Monferrato (www.fondazionefs.it).

Degne di nota per i luoghi che attraversano sono:

• “Ferrovia dei Templi”, tratta che va da Agrigento sino alla stazione di Porto Empedocle Succursale attraversando spazi limitrofi alla Valle dei Templi, al il Giardino di Kolymberta e alla casa natale di Luigi Pirandello (www.fsnews.it).

• “Ferrovia della Val d’Orcia”, sviluppata sulla linea Asciano-Monte Antico ed utilizzato come percorso da una locomotiva a vapore anni ’30. Essa è immersa nel Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d'Orcia patrimonio dell’UNESCO (www.ferrovieturistiche.it) (Figura 7).

Forte spinta allo sviluppo di questo tipo di progetti si è avuto grazie all’approvazione della Legge 128/2017 e al sostegno da parte della Fondazione FS con il progetto “Binari senza tempo” volte a valorizzare in questa chiave i tratti dismessi.

Questo tipo di attività hanno però un inconveniente, ovvero la loro natura sporadica che non permette un riutilizzo continuativo del sedime ferroviario.

In paesi stranieri, il problema è stato risolto unendo queste iniziative all’alternanza con ferrocicli per rendere il tutto economicamente sostenibile tramite l’utilizzo continuativo durante tutto l’anno.

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2.4

Le

riqualificazioni

ferroviarie in contesto urbano

In grandi contesti urbani, che inglobano alle loro interno complessi ferroviari, alcuni tratti o spazi di essi, sono stati soggetti a degrado spesso seguito da abbandono ma, in anni recenti, sono stati progressivamente recuperati con progetti di riqualificazione che vedono nel verde il protagonista principale.

L’opera più rappresentativa è di certo la High Line di New York, linea ferroviaria sopraelevata interna all’areale di Manhattan, in funzione dal 1934 al 1980, utilizzata per decenni per il trasporto di derrate di tipo alimentare. Dal 2006 è stato avviato un progetto di recupero che ha portato ad un risultato unico nel suo genere, ovvero un parco sopraelevato che si snoda tra i palazzi della Grande Mela. La natura sembra uscire dagli elementi in muratura e dai binari rimasti in maniera spontanea, come se non vi fosse la mano dell’uomo. In verità, ad essenze spontanee sviluppatesi nel periodo dell’abbandono, sono stati affiancate specie perenni selezionate in modo tale da garantire la bellezza estetica del luogo in tutte le stagioni e creare una nicchia ecologica ricca di biodiversità (Oudolf et al. 2017) (Figura 8).

Più vicino a noi, è la recente riprogettazione degli spazi verdi ferroviari nella città di Milano. Per quanto riguarda il verde ornamentale, un primo importante intervento si è avuto in Piazza Duca d’Aosta, spazio antistante la stazione di Milano Centrale, ed ha riguardato le aiuole con l’inserimento di 40 nuovi alberi, 30 arbusti e 20.000 piante erbacee. I lavori sono

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terminati nel settembre 2018. (Anonimo 2018b) (Figura 9). Ma a Milano già progetti più complessi sono allo studio. Nel luglio 2019 è stata annunciato da parte del comune l’intenzione di valorizzare gli scali ferroviari dismessi presenti sul territorio urbano con un triplice fine: creare nuovi spazi verdi, generare una continuità tra questi e quelli già presenti e riportare l’agricoltura in città andando oltre il concetto di spazio verde ricreativo o di orto urbano. Si vuole infatti introdurre anche coltivazioni su scala più grande e, a ricoprire un ruolo di interesse essendo associati anche al concetto di

rimboschimento, risultano essere i frutteti (Giannattasio 2019). Un’invasione quindi della campagna in città e non viceversa come da sempre avviene.

Anche in questo caso quindi si è riscontrato nell’utilizzo della vegetazione lo strumento per riqualificare e migliorare a livello funzionale ed estetico un luogo.

Figura 8- Riutilizzo dei binari come percorsi sulla High Line.

Figura 9- Rappresentazione grafica del progetto di riqualifica delle aiuole davanti alla stazione di Milano Centrale.

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3. Ferrovia e spazi

verdi

3.1 Gli spazi verdi dei complessi

ferroviari

Malgrado quando si pensi alle stazioni immediatamente le si associ al cemento e al metallo, esse sono anche dotate di spazi verdi che posso afferire direttamente o indirettamente al complesso ferroviario.

Le esigenze tecniche necessarie al funzionamento della rete, associata alla storia secolare dei centri abitati italiani, hanno spesso decretato una posizione decentrata delle stazioni rispetto ai centri storici e, di conseguenza, si è avuto spesso bisogno di un collegamento, una via o, nei casi più importanti, un viale che le legasse con il centro storico.

Spesso si è ricorso anche ad alberature che quindi si possono considerare, volontariamente o involontariamente, le prime opere a verde dedicate alle stazioni.

Nell’utilizzo di questa componente verde si ravvisano di certo più aspetti. Quelli pratici, dati dalla necessità di segnalare la strada che conduce alla stazione e creare ombreggiatura per rendere più agevole il transito verso il complesso (soprattutto nei mesi estivi); e quelli più astratti, legati al miglioramento estetico del luogo, alla valorizzazione dell’edificio principale

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della stazione per indicarne l’importanza nel contesto cittadino e forse, anche per indicare la nuova strada del progresso di cui il treno in passato era simbolo. Arredi urbani tipici di questi luoghi sono le panchine accompagnate, soprattutto nei viali più lunghi, da fontane pubbliche.

Le alberature utilizzate per questi scopi erano principalmente tigli (Tilia spp.), come nel caso di Sarzana in Liguria (Figura 10) e platani (Platanus spp.), come ad Alessandria in Piemonte e ad Oria in Puglia. In maniera minore si trovano pioppi (Populus spp.), riscontrabili per esempio a Fiorenzuola d’Arda, in Emilia-Romagna; lecci (Quercus ilex) sempre visibili in Emilia-Romagna, stavolta a Forlì e, in aree montane, faggi (Fagus spp.) come nel caso di Levico Terme in Trentino-Alto Adige. Ancora meno diffuso l’utilizzo del pino domestico (Pinus pinea) visibile nel viale della stazione della città marittima di Cervia in Emilia-Romagna e quello di Magnolie (Magnolia grandiflora) utilizzate in parte per il viale della stazione di San Giuliano Terme in Toscana.

Antistante al complesso ferroviario, al termine del viale, si può trovare una piazza, spesso convertita in giardino pubblico,

parco pubblico o, nel caso più minimale, pavimentate ma accompagnate da aiuole decorative. Queste situazioni si possono osservare in molte città tra cui vale la pena ricordare Palermo, Trento e Pisa.

A Palermo il giardino è circondato dagli assi viari e assume forma ellittica. Malgrado questa conformazione, a prevalere sono i caratteri del giardino formale con aiuole bordate, elementi topiati, piante arboree con modesta altezza, decorazioni classicheggianti. L’impianto risale alla fine

Figura 11- Fotografia del giardino posto al centro di Piazza Giulio Cesare, davanti alla stazione di Palermo.

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dell’Ottocento e sino a pochi anni fa era caratterizzato anche dalla presenza di palme (Figura 11).

A Trento la situazione è molto diversa. Il viaggiatore si trova immediatamente all’interno di un vero e proprio parco, che probabilmente trova le sue radici progettuali nel giardino all’inglese. Esso mostra comunque uno stile più moderno dettato ad un primo intervento di rifacimento datato 1953 e un successivo intervento datato 2007. Viene così ricreato in città un alternarsi di molteplici specie vegetali ad alto fusto senza

uno schema preciso, in cui si sviluppano ampi spazi a prato dalle forme dolci. È possibile persino trovarvi un piccolo lago di origine artificiale. Il tutto è accompagnato da molteplici viali ad uso pedonale. La componente verde è così importante che ormai per questo spazio è indicato come “Giardini di Piazza Dante” (Figura 12).

A Pisa la situazione è ancora diversa. Un sistema di aiuole, il cui rinnovamento è avvenuto a inizio 2019, caratterizza il luogo. Tutte sono impostate al fine di valorizzare l’edificio della stazione e lasciare lo sguardo libero di spaziare. Si ritrovano quindi fioriture annuali, basse bordure di sempreverdi e arbustive di basse dimensioni.

Questa organizzazione che soddisfa appieno le esigenze di controllo e gestione dello spazio non è però frutto di un retaggio storico. Essa è stata conferita infatti ad inizio anni Novanta del Novecento ed è andata a sostituire un semplice spazio dedicato a parcheggio (www.regione.toscana.it).

Si possono palesare però anche situazioni composite o differenti rispetto a quelle poc’anzi citate o anche nessuno di

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essi, con la stazione che affaccia direttamente su di una strada, come a Vezzano Ligure in provincia di La Spezia.

Nei centri medio-grandi, vi è spesso uno spazio definito genericamente in tutta Italia con il nome di “Giardini della stazione”. Frequentemente è sovrapponibile con gli spazi pubblici citati precedentemente ed è collocato nei pressi delle stazioni.

La loro origine risale al periodo di costruzione della stazione stessa e, poiché la maggioranza di esse furono edificate nel periodo compreso tra fine Ottocento e inizio Novecento, gli stili rilevabili in questi giardini è quello formale all’italiana o quello romantico all’inglese. Il nome attribuito è in verità fuorviante poiché è la prossimità con la stazione stessa ad avere determinato l’acquisizione del nome ma la proprietà è, nella maggioranza dei casi, delle amministrazioni comunali in cui ricadono.

Le aree verdi direttamente di proprietà delle Ferrovie dello Stato sono invece gli spazi di manovra e di transito dei treni, le aree marginali ai binari, le scarpate e, nelle stazioni, i giardini adiacenti i fabbricati viaggiatori e le fioriere, che si

possono trovare sia fisse che mobili lungo le piattaforme di imbarco.

3.2 Percezione del verde

ferroviario ieri ed oggi

In passato, giardini e arredi vegetali erano vanto delle stazioni per merito delle splendide fioriture e delle attenzioni che gli venivano offerte. La presenza fissa del capostazione faceva si che esso sentisse come proprio dovere curare gli spazi esterni. Il fabbricato viaggiatori veniva quindi considerato più assimilabile ad un villino con giardino che a una stazione come la viviamo noi oggi.

Questo è confermato, nella maggioranza dei casi, studiando la struttura di questi edifici, dove si nota la presenza di due piani. Quello inferiore, aperto al pubblico, contenente tutti i locali e i servizi necessari per i viaggiatori, e il piano superiore, adibito ad abitazione privata del capostazione (Figura 13).

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Se i primi restano tutt’oggi in funzione in molte stazioni, non si può dire lo stesso dei secondi, oggetto spesso di abbandono e nei casi più fortunati di riutilizzo ad altri fini (vedesi Appendice).

Vi è stato quindi un cambiamento nel modo di vivere e percepire negli ultimi cento anni la stazione. A riprova, vi sono le linee guida utilizzate nella progettazione delle nuove piccole stazioni che si limitano a fornire i servizi necessari all’utilizzo

della stazione da parte di avventori occasionali, non considerando la presenza fissa di personale (Rete Ferroviaria Italiana 2007).

Venendo quindi meno il personale, è venuta meno anche l’attenzione verso gli spazi verdi presenti dato che le varie iniziative portate avanti nei decenni erano legate all’intraprendenza e alla passione dei singoli individui e non a piani aziendali precisi.

Si è così acuita la già scarsa cultura sociale del verde relativa alle stazioni. Inoltre, ancora ora nel 2019, la mancanza di linee guida da parte delle Ferrovie dello Stato per quanto riguarda la loro gestione si fa fortemente sentire, dimostrando disinteresse per questo tema.

Le opere di manutenzione basilari per garantire i servizi ferroviari sono quindi richieste a operai ferroviari non specializzati nel verde o a ditte esterne. Genericamente si concretizzano in rapidi cantieri volti alla rimozione degli alberi e/o arbusti e ad operazioni di sfalcio del manto erboso. In base quindi alla diversa sensibilità di chi esegue i lavori e agli

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investimenti economici previsti, si potranno osservare opere svolte con maggiore cura e opere invece mal eseguite.

Nella maggioranza dei casi però, la cura del verde risulta insufficiente provocando, come conseguenza più diretta, abbandono e degrado osservabili soprattutto nelle aree limitrofe ai complessi ferroviari e percepita fortemente dai cittadini che vi transitano.

Esempio concreto nel territorio Pisano è la stazione impresenziata di Ripafratta.

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4. Obiettivi della tesi

L’ipotesi progettuale oggetto del presente lavoro si basa sul recupero dell’identità di un periodo storico particolarmente importante per la stazione di Ripafratta, ovvero gli anni della partecipazione ai concorsi delle Stazioni Fiorite che interessarono il sito nei primi due decenni del Novecento. Il giardino e, più in generale, il recupero della memoria dell’originaria sistemazione a verde dell’area ferroviaria rappresentano, quindi, il fulcro da cui partire per la riqualificazione dell’intero complesso ferroviario di Ripafratta, rievocandone il periodo di maggior splendore. Attualmente, per lo meno a livello italiano, questo rappresenta uno dei pochi casi di recupero incentrato sulla riqualificazione delle aree verdi, dato che gli interventi, nella quasi totalità, si limitano al recupero dell’edificato esistente e/o dei tracciati ferroviari. L’ipotesi progettuale, inoltre, si vuole inserire nel più ampio contesto di rivalutazione e valorizzazione dell’intero centro di Ripafratta, che negli ultimi anni sta conoscendo un fermento

di iniziative molto interessanti come la Festa della Rocca e il concorso internazionale di idee intitolato “Re-use the castle” dedicato alla stesura di progetti di recupero architettonico e paesaggistico della Rocca di San Paolino.

La riqualificazione della stazione è fondamentale per un rilancio turistico legato al territorio data la prossimità con il borgo storico, con la pista ciclopedonale Puccini, con la Rocca di San Paolino già citata, ma anche il vicino paese di Nozzano, ricco di storia e cultura e, soprattutto, data la collocazione strategica su un tratto ferroviario come quello tra Pisa e Lucca frequentato da molti turisti (Figura 14).

Il lavoro si è articolato in quattro fasi.

La prima fase ha visto un’intensa attività di ricerca bibliografica inerente al reperimento di materiali circa la manifestazione delle Stazioni Fiorite;

La seconda fase si è occupata di analizzare la genesi dell’area ferroviaria, studiarne la sua evoluzione storica e di descrivere lo stato attuale dell’area tramite sopralluoghi al complesso della stazione e rilievi in loco di tipo floristico e cartografico.

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Nella terza fase, si è proceduto alla redazione di una prima ipotesi di riqualificazione della stazione ferroviaria e del suo intorno. Tale ipotesi si è potuta giovare delle suggestioni raccolte durante le fasi precedenti.

La quarta e ultima fase è stata incentrata sulla analisi dei costi relativi all’attuazione del progetto per quanto riguarda la sola parte del giardino.

Figura 14- La posizione della stazione rispetto a Ripafratta ed altri luoghi d'interesse.

(25)

23

5.

Il

concorso

“Stazioni fiorite”

5.1 Il contesto storico-culturale

Nel 1911 l’Italia festeggiava i cinquanta anni dell’Unità e per l’occasione fu organizzatrice, oltre alle Esposizioni Nazionali di Firenze e di Roma, di EXPO 1911, ovvero l’Esposizione Universale del 1911 che richiamò persone da tutta Italia e dall’estero (Figura 15).

Le Esposizioni Universali hanno avuto origine a metà Ottocento su intuizione del Principe Alberto, consorte della Regina Vittoria di Inghilterra. La prima si tenne a Londra nel 1851 e riscosse un enorme successo. Si susseguirono altre manifestazioni di questo tipo di cui una delle più note è ancora oggi, quella tenutasi a Parigi nel 1889. All’epoca le nazioni si sfidavano per organizzarle e renderle sempre più interessanti.

Rispetto ad oggi, in cui vi è una tematica principale a cui attenersi nello sviluppo dei padiglioni, tutto lo scibile umano era oggetto di attenzione senza un preciso indirizzo da seguire. Arte, oreficeria, meccanica industriale, trasporti, cibo, musica erano solo alcuni degli aspetti affrontati, ognuno valorizzato con allestimenti in appositi padiglioni. Ad accompagnarli vi erano i padiglioni dedicati alle singole Nazioni partecipanti e i molteplici stand di varie aziende. Attorno a questo mondo si svilupparono inoltre molti

eventi collaterali Figura 15- Logo dell'Esposizione Universale di Torino del 1911.

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quali, per esempio, concerti, congressi, gare sportive, concorsi (Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro 1911).

Rappresentavano quindi per la nazione che li ospitavano, una risorsa con importanti impatti positivi sia in termini economici che d’immagine. Inoltre, erano un passo in più verso il futuro di progresso e modernità figlio di quel pensiero positivista che percorse tutta la Belle Epoque.

Le Ferrovie dello Stato parteciparono con un loro padiglione, noto con il nome di padiglione del Materiale ferroviario (Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro 1911). In esso venivano mostrati tutti i progressi tecnologici e gli strumenti utilizzati nella gestione e nello sviluppo della rete ferroviaria in Italia.

Per l’occasione venne prodotto anche un testo intitolato “Mostra delle Ferrovie dello Stato: Esposizione internazionale, Torino, 1911” che descriveva il padiglione e mostrava in dettaglio le meraviglie, per l’epoca tecnologiche, che vi risiedevano (Figura 16). Interessante è per noi sfogliarlo. Il treno non viene solo mostrato come un mezzo, ma come un potente strumento di progresso per la Nazione, capace di collegare e mostrare i più bei paesaggi che l’Italia possiede e può farlo per tutti, sia per le classi meno abbienti sia per le

Figura 16- Copertina del testo prodotto dalle Ferrovie dello Stato per illustrare i propri progressi tecnico-scientifici in occasione delle Esposizione Universale di Torino del 1911.

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classi agiate. Per queste ultime vi era ovviamente un occhio di riguardo e potevano persino disporre di convogli con cabine molto lontano dalla concezione di treno di lusso di attuali. Salotti privati, moquette sul pavimento, specchiere, mobili, tavoli, ampi letti e intarsi e dorature ovunque. Un lusso più da conti, baronesse, e re che da semplice persona abbiente. D’altronde l’Italia, a quel tempo, era caratterizzata proprio da persone di questo tipo (Ferrovie dello Stato 1911).

5.2 Il treno, le stazioni e il

concorso

Il mezzo più rapido e più moderno all’epoca per giungere nelle diverse città delle Esposizioni era il treno.

Il Touring Club Italiano, associazione senza scopo di lucro e finalizzata alla promozione turistica del territorio italiano e delle sue bellezze fondata nel 1894, notando lo stato di degrado delle stazioni, pensò di promuovere, in associazione con la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari e il supporto delle

Ferrovie dello Stato, un concorso a premi che venne nominato “Stazione Fiorite”.

La prima edizione era estesa alle stazioni sulle tratte battute dai treni dirette alle Esposizioni. Grande importanza si diede a quelle poste sui confini del Nord Italia, porta d’ingresso per i viaggiatori stranieri che entravano nella penisola.

Dato il successo riscontrato, si decise di replicare a tale evento in maniera più organica ed estesa.

L’Italia venne suddivisa idealmente in tre blocchi, Nord, Centro, Sud e Isole, e si decise di eseguire i concorsi per i vari areali in tre anni consecutivi.

Nel 1912 fu la volta del Nord Italia, nel 1913 del Centro Italia mentre nel 1914 del Sud e delle Isole (Brunetti et al. 2005). Per favorire il mantenimento delle aree verdi delle stazioni che parteciparono nell’anno precedente, in contemporanea alla prima edizione del Centro Italia, si tenne anche la seconda edizione del Nord Italia (Anonimo 1914a).

L’inizio delle Prima Guerra Mondiale nel 1914 e l’entrata in guerra dell’Italia il 24 Maggio 1915, fece si che solo i concorsi dei due anni successivi a quello dell’Esposizione Universale

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venissero portati a termine. Si pensò nuovamente a questo modello concorsuale per l’abbellimento delle tratte ferroviarie nel 1925 e nel 1929 legato però a specifiche zone rendendo quindi l’esperienza di inizio Novecento quella più complessa e completa (Brunetti et al. 2005).

5.3 Gli obiettivi del concorso

Il recupero dei complessi ferroviari dalle situazioni sopra descritte era solo l’aspetto più pragmatico. Si voleva anche infatti “…migliorare la fisionomia delle stazioni sulle line d’accesso alle esposizioni…” (L.M. 1913), “Rendere elegante e fiorita, e, prima che elegante, linda e pulita una stazione…” (L.M. 1913); “…circondato di verde e di fiori ed il viaggiatore potesse oltreché godere di una piacevole vista, attendere all’ombra ed al fresco il momento della partenza…” (L.M. 1913).

A questi venivano affiancate aspetti più immateriali quale l’aspetto educativo per il personale ferroviario e per il pubblico (“…il valore principale del Concorso: la sua azione educativa

che lascerà traccio durature nel personale e nel pubblico. E questo bisogna ora farlo sapere apprezzare.” (Bertarelli 1912); l’aspetto legato alla valorizzazione del paesaggio e delle architetture dei territori (Brunetti et al. 2005); infine un aspetto patriottico, sviluppato su una duplice livello, quello della creazione di una identità nazionale basato sulla reciproca conoscenza delle diverse regioni d’Italia (Brunetti et al. 2005) e quello della affermazione del paese agli occhi dei visitatori stranieri.

5.4

Organizzazione

del

concorso

I capistazione partecipavano al concorso su base volontaria tramite l’invio di un apposito modulo (Touring Club Italiano 1912b). Essi, tramite utilizzo di specie vegetali ornamentali, erano invitati ad abbellire gli spazi limitrofi agli edifici della stazione e gli edifici stessi, in modo tale da convertirli in luoghi

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gradevoli e accessibili ai viaggiatori (Touring Club Italiano 1912b)

Vi era un breve regolamento a cui attenersi, con pochi limiti vincolanti ma che orientavano i partecipanti verso la formazione di spazi verdi persistenti nel tempo in modo tale che l’opera di abbellimento non terminasse con il concorso stesso (Touring Club Italiano 1912b).

Il numero di partecipanti risulta essere rimasto costante nei due anni attestandosi sui 151 (Bertarelli 1912) (Anonimo 1914a). Al fine di offrire uguale possibilità a tutti, sia ai più esperti in campo botanico che quelli meno esperti, il Touring Club Italiano pubblico e distribuì insieme alla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari il manualetto “Le piante, i fiori e i concimi – Consigli e suggerimenti ai Concorrenti” (Touring Club Italiano 1912a).

La Federazione mise inoltre a disposizione in maniera gratuita diversi tipi di concimi (Nitrato di soda, Solfato potassico, Concimi fosfatici) che furono recapitati ai partecipanti (Bertarelli 1912). Insieme alle Ferrovie dello Stato, furono prodotti diplomi di partecipazione, medaglie (oro, argento

dorato, argento, medaglia-ricordo), premi in denaro per il capostazione (Lire 100, Lire 50) e gratifiche per i dipendenti operanti nella stazione dalle 10 alle 20 Lire (Figura 17) (Figura 18). Questi tre parametri furono utilizzati per la creazione di diverse classi di premiazione distinte per tipo di medaglia e presenza o meno di denaro (Bertarelli 1912) (Touring Club Italiano 1912a). Vi fu poi l’istituzione di una giuria che valutò la qualità dei giardini, avvalendosi di due strumenti: delegati lungo le tratte, a cui furono assegnati linee guida nello stendere la relazione per le singole stazioni

Figura 17- Medaglia del concorso prodotta presumibilmente dalla Ditta Emilio Sacchini di Milano.

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(Touring Club Italiano 1912b); la fotografia, che grazie agli sviluppi tecnici di inizio secolo era diventata tecnicamente più semplice nell’utilizzo.

La giuria era composta da importanti personalità dell’epoca che mostrano la serietà e l’importanza con cui il concorso fu portato avanti.

Per citarne alcuni: Vittorio Alpe, agronomo, presidente dal 1912 al 1926 delle Confederazione Italiana dei Consorzi Agrari e

professore di agronomia presso la Scuola superiore di agricoltura di Milano; Giberto Borromeo Arese, discendente dalla famosa famiglia milanese, politico e industriale che legò parte della sua attività alle ferrovie; Ugo Brizi, botanico e micologo, docente al Politecnico di Milano dal 1903 al 1911 e successivamente direttore dell’Orto botanico di Brera; Guglielmo Korner, docente di chimica organica presso la Scuola superiore di Agricoltura di Milano; Giuseppe Roda, architetto paesaggista noto in Italia e all’estero per i suoi lavori sia in ambito pubblico che privato; Ludwing Winter, botanico e architetto del paesaggio di origine tedesca ma operante in Italia (Touring Club Italiano 1912b).

Questi ultimi due sono di certo due dei più illustri membri della giuria, che meritano un approfondimento ulteriore.

Giuseppe Roda, paesaggista di origini piemontese, crebbe in una famiglia da sempre dedita alla botanica e ai giardini. Il suo perfezionamento in questo campo fu dovuto, non solo ai numerosi viaggi intrapresi in Europa, ma anche alla frequentazione dell’Ecole des Beaux Arts a Parigi e all’Ecole d’Horticolture di Versailles. Divenne noto per l’attenzione che

Figura 18- Immagine del diploma consegnato ai vincitori del concorso delle Stazioni fiorite nel 1913 ideato da Leopoldo Metlicovitz.

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poneva nel creare armonia cromatica delle fioriture, nell’impostare le visuali prospettiche, nella capacità di scegliere le specie botaniche e nel valorizzare rarità botaniche che talvolta inseriva nei suoi progetti. La sua idea di giardino moderno era molto interessante. Secondo Roda non si doveva creare qualcosa di totalmente slegato dal passato ma non si doveva neanche tornare rigidamente agli antichi modelli. Il giardino doveva quindi adattarsi agli usi e costumi del tempo, cambiando gradualmente e adottando soluzioni schematiche differenti in base alle situazioni che si andavano ad affrontare. Inoltre, doveva essere sviluppato in relazione anche a altri fattori quali l’edificio che lo accompagnava, il tipo di suolo, le dimensioni, il clima. Un concetto non solo interessante ma ancora condivisibile (Ministero per i beni e le attività culturali 2009).

La città in cui operò maggiormente fu Mantova in cui molte delle sue opere sono ancora visibili. Una tra le più note anche per il livello di conservazione è la sistemazione vegetale di Piazza Virgiliana (Ministero per i beni e le attività culturali 2009).

Per quanto riguarda il suo specifico contributo nel concorso delle “Stazioni fiorite”, di certo sappiamo che redasse una relazione critica riassuntiva delle opere che furono realizzate, lodandone i pregi e criticandone i difetti ma esaltando comunque la buona riuscita dell’iniziativa (Bertarelli 1912). Ludwing Winter, invece, fu uomo di ampia cultura e ampi interessi. Fu un innovatore in molti campi: vivaistico, sia nell’ ibridazioni sia nella selezione

principalmente di palme, mimose, rose, piante succulente; nel campo tecnico dei

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rivoluzionarie nei processi di produzione, gestione e trasporto; nei giardini, puntando molto sulle piante di origine esotica. Luigi Viacava, nella biografia a lui dedicata, lo definisce semplicemente come “Giardiniere” con l’accezione elevata di “Maestro” di questa arte (Viacava 1997). Il Giardino Hanbury a Ventimiglia è il suo giardino più famoso, visibile ancora oggi, ma moltissimi altri sono quelli a cui ha lavorato durante la sua carriera (Gastaldo et al. 2010).

L’ abilità di cui era dotato lo fece diventare molto noto sia in Italia che all’estero. Alla fine dell’Ottocento gli venne concessa la cittadinanza italiana onoraria e il Re Umberto I lo nominò Cavaliere dell’Ordine delle Corona d’ Italia. Vinse inoltre moltissimi premi anche all’estero, principalmente in Germania ed ebbe amicizie influenti per l’epoca. Aveva una straordinaria passione per le palme che non solo allevava in vivaio e inseriva nei suoi progetti, ma anche utilizzava per ricavarne materie prime e creare oggettistica che egli stesso vendeva in un apposito negozio. La diffusione della palma come pianta ornamentale di spicco a fine Ottocento e inizio Novecento è di

certo anche merito suo (Ministero per i beni e le attività culturali 2009) (Figura 19).

5.5 Il libretto del concorso

“Le piante, i fiori e i concimi – Consigli e suggerimenti ai Concorrenti” era un piccolo manuale di ventitré pagine distribuito ai partecipanti del concorso al fine di istruire i capistazione sulle piante ornamentali che potevano essere utilizzate, su come si coltivavano e su come potessero essere concimati tramite l’utilizzo di concimi chimici (Bertarelli 1912) (Figura 20). Ad accompagnare il testo vi sono immagini di alcune di queste essenze tratte dal libro “I fiori d’appartamento e di serra” edito dall’Unione Tip. Editrice Torinese (Touring Club Italiano 1912a).

La preferenza ricadeva su essenze arbustive, arboree o rampicanti che favorissero un’installazione permanente degli ornamenti ma non venivano escluse le fioriture annuali. Per fare alcuni esempi, tra le arbustive viene consigliato l’uso di ortensie (Hydrangea spp.), forsizia (Forsythia spp.), cotogno

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del Giappone (Chaenomeles japonica), peonie arboree (Peonia suffrutticosa); per le siepi e le bordure evonimo del Giappone

(Euonymus japonicus), bosso (Buxus sempervirens) e biancospino (Crataegus monogyna); fortemente consigliate per i luoghi con meno spazio le piante rampicanti tra cui glicine (Wisteria sinensis) e gelsomino giallo (Jasminum nudiflorum); tra le erbacee annuali si indicano petunie (Petunia spp.), aster (Aster spp.) e salvie (Salvia spp.) mentre tra le erbacee perenni, degno d’interesse è il geranio edera (Pelargonium peltatum). Non potevano mancare inoltre le palme, che a partire da metà Ottocento sino alla prima parte del Novecento hanno rappresentato un elemento imprescindibile per qualsiasi giardino. Questo insieme di piante molto varie e colorate ci descrive indirettamente il clima positivo di quel tempo. Nella parte finale del libretto, particolare enfasi è data all’utilizzo dei concimi chimici con foto di confronto tra essenze soggette e non soggetto a trattamento fertilizzante.

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5.6 Breve analisi del gusto

paesaggistico di ieri e di oggi

Il testo risulta interessante, oltre che per la testimonianza riguardo al concorso, anche per il fatto che ci permette di avere una finestra sul gusto paesaggistico tipico della Belle Époque. A livello progettuale non vi era una forte spinta innovatrice e neanche uno stile compositivo principale. Per questo ci si ispirava, senza preferenza alcuna, ai due modelli storici del giardino all’italiana o del giardino all’inglese. L’interesse maggiore era infatti riverso alla componente vegetale. La ricerca verteva su specie esotiche e/o inusuali, proveniente dalle aree più lontane del pianeta, accostate a fioriture di ogni forma e colore. Talvolta erano le stesse piante d’importazione ad essere ricche nella fioritura.

Questo modo di intendere il verde ornamentale era il risultato della commistione di tre elementi ovvero, aree stabili con un clima idoneo a specie anche tropicali, una conoscenza approfondita delle essenze comprese le tecniche di messa in

opera delle stesse e una passione per le cose inusuali e simboliche tipiche del Romanticismo ottocentesco. Fu quindi il risultato della somma delle esperienze, della cultura e delle vicende storiche di un secolo, l’Ottocento, che aveva letteralmente cambiato il volto dell’Europa. A livello topografico, i centri nevralgici furono quindi il Mediterraneo, con il sud delle Francia e l’Italia come luoghi privilegiati grazie alle caratteristiche pedoclimatiche; Parigi, per la formazione e gli studi sulla costruzione dei giardini; e infine l’Inghilterra, dovuto alla grande influenza politica e culturale che aveva in Europa (Zoppi 1995). Grazie all’immenso impero esteso su ogni continente, si rese capace, tra le altre cose, di farsi veicolo della scoperta, dell’acclimatazione e della diffusione di molteplici nuove specie botaniche da ogni angolo del pianeta (Tinghi 2017).

Se paragonati con il gusto paesaggistico attuale la situazione risulta fortemente cambiata. Si assiste oggi, in maniera analoga a quello che accade in architettura, ad un eclettismo nelle scelte, con stili e linee di pensiero molto differenti in base anche al singolo paesaggista.

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Possono essere però avanzate delle considerazioni.

Di certo, anche in questo campo ha trovato spazio il pensiero dell’architetto e designer minimalista tedesco Ludwig Mies van der Rohe, ovvero “Less is more” (il meno è il più) inteso come riduzione dell’opulenza e della complessità di un di un’opera per indirizzare i propri sforzi verso una o poche idee compositive.

Nella traslazione dal mondo architettonico al giardino questo stile compositivo si basa molto spesso sull’adozione di forme geometriche, nella ripetizione di moduli, nella separazione funzionale delle varie parti verdi; nell’utilizzo di arredi essenziali e dalle linee pulite e nell’utilizzo di poche specie vegetali con ridotte palette di colori.

Un esempio di applicazione pratica può essere la HUD Plaza Improvements a Washington D.C., progettato dalla paesaggista Marta Schwartz, caratterizzato da un disegno progettuale modulare ripetuto nello spazio (Schwartz et al. 2018).

Altro aspetto attualmente molto sentito è quello della funzione ecologica del giardino, fonte di biodiversità anche in contesti urbani.

Principale sostenitore di questa idea è uno dei più noti e influenti paesaggisti viventi, Gilles Clèment, che ha espresso appieno la sua visione nel libro “Manifesto del Terzo paesaggio” (Clèment et al. 2005).

Ricollegabile alla linea di pensiero precedente, è inoltre la rivalutazione di specie meno vistose, talvolta selvatiche o anche considerate infestanti, che maggiormente si mimetizzano nell’ambiente in cui sono inserite e/o sono dotate di fioriture meno intense.

La già citata High Line di New York è un esempio di area verde in cui questo è avvenuto (Oudolf et al. 2017).

Tra i massimi esponenti di questa linea vi è Piet Oudolf, figura internazionale di spicco del movimento “New Perennial”, sostenitore dell’idea del giardino come praterie di piante perenni.

Infine, altro aspetto principale del pensiero moderno è il recupero delle aree abbandonate derivanti da vecchie attività industriali, tematica molto sentita anche in virtù dei sempre più evidenti effetti dei cambiamenti climatici e del nuovo spirito ecologico che sta animando la società.

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Spiccano in questo caso le opere dello studio cinese Turenscape, fondata dal Dottore e Professore Kongjian Yu nel 1998, che ha operato in aree intensamente intaccate dalle attività umane. I risultati sono stupefacenti, come nel caso del Zhongshan Shipyard Park, sviluppato in uno spazio per cinquant’anni sede di un cantiere navale (Turenscape architets 2015).

Talvolta tutti queste visioni si sovrappongono, vengono declinate in maniere differenti, o ancora si uniscono ad altre linee di pensiero meno note qui non citate.

Difficile quindi identificare una linea prevalente che forse potrà essere compresa solo nei prossimi decenni.

In sostanza, la concezione degli spazi verdi rispetto ad inizio Novecento è ovviamente mutata nel tempo, come sono mutati i costumi e le abitudini. Un giardino ricco di specie diverse, colori, forme e profumi resta comunque un’esperienza unica che suscita sempre profonde emozioni.

Alcuni paesaggisti moderni lo hanno intuito senza però perdere di vista la contemporaneità delle loro opere. Burle Marx ne è un esempio concreto. Nelle sue opere, linee e design moderni

accompagnano infatti moltissime specie vegetali creando una complessità di colori e forme uniche (Rizzo 1992).

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5.7 Il ruolo del verde nelle

stazioni di inizio Novecento

I problemi legati all’ambiente ferroviario, che favorirono l’istituzione del concorso erano di diversa natura.

Primo fra tutti lo scarso livello della qualità dell’aria nell’ambito delle stazioni ferroviarie, dovuto alla fuliggine prodotta dalle locomotive alimentate a carbone che annerivano gli edifici e le banchine (Figura 21).

Nella Rivista mensile del Touring Club si può leggere: “…il pensiero vacilla davanti a tanta temerità ed alla fantasia si affacciano visioni da lunghi treni fuligginosi e sudici, di locomotive ferme sormontate da un maestoso pennacchio nero, nuvola dalla quale cade una pioggia minuta di carbone.” (Bertarelli 1912) o ancora “…gli squallidi marciapiedi affumicati…” (L.M. 1913). Si comprendeva però l’incapacità per l’epoca di eliminare questo problema legato ad un fattore tecnologico: “Il pretendere di eliminare i danni della fuliggine, della polvere di carbone, sarebbe per un gran numero delle

nostre stazioni, pretendere l’impossibile, ma ad altri inconvenienti è lecito invece sperare che si possa porre rimedio…” (Bertarelli 1912).

Altre situazioni di disagio erano invece legate al movimento di merci.

Sempre nella Rivista mensile del Touring Club si può leggere “E vien fatto di pensare a certi binari di sosta, quando, lungo il convoglio di merci fermo, si effettua lo scarico e tutta la

Figura 21- I treni a vapore rilasciavano grandi quantità di fuliggine nelle stazioni che ricadeva poi sulle banchine e sugli edifici.

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piattaforma stradale è sparsa di trucioli, di imballaggi sconquassati, di cartacce.

Chi potrà impedire il lento diffondersi su tutti e su tutto del pulviscolo che si solleva durante lo scarico del carbone, della calce, dei mattoni?” (Bertarelli 1912)

ed anche “…è lecito ad esempio augurarsi prossimo il momento in cui ci sarà dato di veder sparire dai marciapiedi delle stazioni certi inciampi, certi cumuli di ceste, di gabbie di pollame…non sono nemmeno un particolare elemento decorativo!” (Bertarelli 1912).

Vi erano poi problemi meramente estetici come ““…la ghiaia inospitale lungo le staccionate delle piccole stazioni…” (L.M. 1913).

Infine, vi è anche una componente legata alle persone, la quale fa trasparire come all’epoca vi fosse anche una visione elitaria legata alla riqualificazione. Viene infatti riportato “Chi scongiurare il pericolo che all’incolumità estetica della stazione, rappresentano certe folle domenicali? Non pare di sentirle, reduci dalle festività o dal mercato di qualche paesotto vicino, lasciare sul breve tragitto dalle osterie al

vagone come una scia graveolente e antiestetica?...” (Bertarelli 1912).

In conclusione, le problematiche affrontate all’epoca erano in larga parte differenti da quelle che si possono osservare attualmente nelle stazioni, tralasciando il fattore estetico che resta invece una costante. D’altro canto, il mantenimento degli spazi verdi e l’abbellimento tramite utilizzo della vegetazione rimangono, allora come adesso, una soluzione valida per migliorare gli ambienti ferroviari.

5.8 I giardini delle stazioni

fiorite

Data la mancanza di informazioni specifiche sulla conformazione del giardino della stazione di Ripafratta ad inizio Novecento, è stato ritenuto opportuno creare un quadro di riferimento che permetta di comprendere i caratteri generali degli spazi verdi di inizio Novecento presso le stazioni.

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Come già affermato moltissime immagini delle stazioni fiorite sono disponibili presso gli archivi del Touring Club Italiano (Digitouring.it) e delle Ferrovie dello Stato (archiviofondazionefs.it) ed analizzandole è possibile trarne preziosissime informazioni.

Partendo dall’organizzazione spaziale, gli schemi compositivi più in voga erano quelli che si ispiravano al giardino formale (prevalente) e al giardino all’inglese (Figura 22) (Figura 23).

Nel primo caso, la rigidità dell’impianto era spesso spezzata dall’utilizzo della geometria circolare collocata lungo gli assi principali o/e nel punto di incontro tra essi.

Le dimensioni erano molto variabile e si passava da pochi metri quadrati ad ampi spazi in base alla collocazione della stazione a livello orografico. Quando spazi di pertinenza delle stazioni erano insufficienti allo sviluppo di un vero e proprio giardino i fiori venivano posti in strutture sospese alla pensilina o/e in

Figura 22- Giardino della stazione di Fossato di Vico risalente al 1925. Si può osservare il disegno formale del giardino e la fontana circolare con zampillo.

Figura 23- Giardino della stazione di Ozieri risalente al 1925. Si possono notare le numerose aiuole e le linee sinuose che si rifanno al giardino in stile romantico.

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aiuole costruite sopra la piattaforma d’imbarco davanti al fabbricato viaggiatori.

Tutti, però, erano sviluppavano in lunghezza, ponendosi quindi parallelamente ai binari (Figura 24).

La caratteristica appena citata era in parte dettata dalla conformazione delle stazioni in sé e in parte invece era dovuta ad una precisa volontà dei capistazione che finalizzava la

visione e l’utilizzo dei giardini verso i viaggiatori (Brunetti et al. 2005).

L’accesso al giardino poteva essere privo di elementi di separazione, o semilibero, contornato in questo caso da basse recinzioni il cui scopo era più che separare lo spazio, evidenziarlo ed esaltarne la presenza. Spesso, si ricorreva anche ad elementi di arredo quali statue, vasi a terra o su piedistalli, roccaglie, colonnine, panchine, tavolini, gazebo. Un tema frequente era quello delle fontane e delle vasche che quasi sempre contribuivano in maniera determinante alla conformazione dell’intero giardino. Nei giardini più formali di solito era circolare, con uno zampillo centrale e posta al centro dell’intersezione degli assi principali.

In alcuni casi, ispirati ai modelli dei giardini romantici, si possono rintracciare roccaglie immerse in spazi verdi con forme poco geometriche (Figura 25).

Per quanto riguarda le piante ornamentali utilizzate, le più evidenti erano le palme, ma si ricorreva anche a piante rampicanti, piante arbustive da siepe e da fiore, talvolta anche arboree nelle stazioni con più ampi spazi. Le piante annuali

Figura 24- Piante ornamentali nella stazione di Zoagli nel 1925. Dove la stazione era carente di spazi verdi, ad essere ornate era direttamente la piattaforma d'imbarco. Da notare il cospicuo uso di arredamenti da esterno.

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39

erano molto utilizzate per arricchire le aiuole, esaltarne la forma e creare composizione colorate.

A trionfare di certo erano le fioriture in generale, la cui ampiezza e presenza era, come abbiamo già detto, molto più apprezzata ed amata di ora.

Figura 25- Utilizzo di roccaglie associate all'acqua realizzato nella stazione di San Vito a Tagliamento. La foto risale al 1925.

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6. Il giardino della

stazione di

Ripafratta:

ricostruzione storica

e analisi dello stato

di fatto

6.1 Inquadramento territoriale

La stazione di Ripafratta si sviluppa lungo una lunga e stretta striscia di terreno parallela al Canale Ozzeri, a ridosso della linea ferroviaria Pisa-Lucca, nell’estremità nord del territorio di San Giuliano Terme (43°49′18.12″N; 10°24′57.6″E). La sua conformazione non è casuale ma è dovuta, in parte alla natura delle ferrovie, che si sviluppano sempre con andamento lineare

e in parte all’orografia del territorio. È infatti all’interno delle Valle del Serchio, in una strettoia naturale data dalla presenza dei Monti Pisani a sud e dalle Alpi Apuane a nord. Nel mezzo scorre il Fiume Serchio (Figura 26). Lo spazio pianeggiante è

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quindi molto ridotto, ancora di più dalla presenza di molti altri canali minori necessari alla regimentazione delle acque come il già citato Canale Ozzeri. (Allegato 1).

La collocazione di Ripafratta, di conseguenza della sua stazione, è a metà strada tra la città di Pisa e la città di Lucca. Per tale motivo è stato per secoli luogo di confine sino all'Unità d’Italia. Questa divisione fu fortemente sentita soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento quando venne costruito un sistema di fortificazioni caratterizzato da molteplici torri di avvistamento e, soprattutto, dalla fortificazione più importante, la Rocca di San Paolino.

6.2 Clima

L’area in cui sorge la stazione è caratterizzata da un clima caldo temprato classificato secondo la Classificazione di Köppen e Geiger con la sigla Csa ovvero:

• Cs: climi temperati con estate secca o clima etesio; almeno un mese invernale (dicembre, gennaio e febbraio nell'emisfero boreale; giugno, luglio o agosto

nell'emisfero australe) ha come minimo il triplo delle precipitazioni del mese estivo (giugno, luglio o agosto nell'emisfero boreale; dicembre, gennaio e febbraio nell'emisfero australe) più secco, che devono essere inferiore a 30 mm.

• a: temperatura media del mese più caldo superiore a 22 °C.

La temperatura media minima si attesta sui 2,7 °C ed è associata al mese di gennaio mentre la temperatura media massima si attesta sui 28,8 °C ed è associata al mese di luglio. Le escursioni termiche durante l’anno delle

temperature medie e quindi di 16, 5 °C (it.climate-data.org). Le precipitazioni media minima rilevata è di 27 mm associabile al mese di luglio mentre, la precipitazione media massima rilevata è di 118 mm, associabile al mese di novembre. In questo caso, la differenza tra il mese più piovoso e il più secco si attesta sui 91 mm e le precipitazioni medie annuali si attestano sui 901 mm (it.climate-data.org).

Unico mese in cui l’apporto idrico è minore rispetto all’evapotraspirazione risulta essere quindi il mese di luglio.

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42

6.3

Cenni

storici

sulla

costruzione

della

linea

ferroviaria Lucca-Pisa

Prima dell’arrivo della ferrovia, la zona della stazione era caratterizzata da una serie di terreni ad uso agricolo e da una fitta rete di canali di scolo. La storia della stazione di Ripafratta inizia il 29 settembre 1846 con l’inaugurazione della tratta ferroviaria

Lucca-Bagni di S. Giuliano, la cui costruzione fu fortemente sostenuta dal patriota risorgimentale sarzanese Pasquale Berghini (Carboncini 1990) (Figura 27). Essa rappresentava all’epoca una ferrovia internazionale essendo posta tra il Ducato di Lucca e il Granducato di Toscana, nei pressi della allora dogana di Cerasomma (Figura 28).

6.4 La stazione di Ripafratta

La prima stazione fu progettata dall’Ing. Tedesco Enrico Pohlymaier, autore tra l’altro di tutto il progetto della linea ferroviaria per la Società Anonima Della Strada Ferrata Da Lucca a Pisa (Carboncini 1990).

Era un edificio dall’architettura imponente, senza decorazioni, il cui elemento distintivo era la presenza di un doppio ordine di 16 archi che sorreggevano un’ampia pensilina a capanna con capriate in legno e copertura in cotto. La pensilina era profonda 8 metri e sul lato a est presentava uno spazio dedicato sia ai viaggiatori che alle merci (Torti et al. 2006) (Figura 29).

Figura 27- Statua dedicata al patriota risorgimentale sarzanese Pasquale Berghini sita nel teatro degli Impavidi a Sarzana.

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I lavori presso Ripafratta furono uno dei motivi principali che fecero salire le spese di costruzione della ferrovia poiché si dovette operare con opere di regimazione delle acque e con muraglioni difensivi dalla presenza del limitrofo Fiume Serchio (Carboncini 1990).

Rimase in uso sino al 1909, anno in cui venne costruita una nuova stazione più a nord che divenne un vero e proprio scalo

merci (Ordine di Servizio n. 335 del 29 novembre 1909). Fu dotata, oltre che del fabbricato viaggiatori, del magazzino merci, di servizi igienici, di piazzali e binari aggiuntivi per la sosta dei materiali e dei convogli.

Il progetto ricalcava completamento quello standard per gli impianti di media e piccola dimensione che si basavano su linee guida progettuali indicate dalle allora neonate Ferrovie dello Stato (Gerlini 2018). Lo stile tipico degli edifici è quello del “Cinquecentismo utilitario” diffusosi a partire dall’Unità

Figura 28- Cartografia ottocentesca di Ripafratta. La linea gialla indica il confine geografico tra gli stati preunitari. Ben visibile la posizione della Rocca di San Paolino.

Figura 29- Fotografia della prima stazione di Ripafratta progettata dall'Ing. Enrico Polhymayer.

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d’Italia, che prende a modello gli edifici del Rinascimento semplificandone i tratti. Per agevolarne la diffusione e la realizzazione, vennero pubblicati molti dettagliati manuali che trattavano i singoli edifici, suddividendoli in classi in base alle dimensioni dell’impianto, e persino le decorazioni utilizzabili. Negli anni Trenta, venne costruito il viadotto autostradale in cemento armato facente parte dell’Autostrada A11 che passava, e passa tutt’oggi sopra i binari.

Per molti decenni non vennero apportate modifiche al complesso sino a che, negli anni Sessanta, la linea venne elettrificata con corrente continua di 3.000 V, aggiornando quindi la rete a standard più moderni.

Ulteriore motivo di vanto fu a partire dagli anni Settanta la presenza della più giovane capostazione donna della storia delle ferrovie, la Signora Antonietta, che qui lavorò dal 1971 sino al 1992 (Bandieri 2007) (Figura 30).

L’ultimo decennio del Novecento ha visto, con la progressione nel sistema di gestione del traffico ferroviario sia dal punto di vista organizzativo che tecnico, la conversione della stazione

in stazione impresenziata, ovvero senza presenza fissa di personale.

Questo ha inciso fortemente sull’impianto. Il primo binario è stato soppresso, mentre resta attivo solo il binario due, ormai diventato quello principale. L’utilizzo a fini commerciali è venuto meno, determinando abbandono degli edifici e dei piazzali utilizzati in passato a questo scopo.

Figura 30- Fotografia del capostazione Antonietta durante lo svolgimento delle sue mansioni presso la stazione di Ripafratta.

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