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Fattori di successo e caratteri distintivi dell'azienda La Patrie all'interno del distretto conciario santacrocese

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Strategia Management e Controllo

Tesi di laurea

Fattori di successo e caratteri distintivi dell’azienda La Patrie all’interno

del distretto conciario santacrocese

Relatore: Candidato:

Chiar.mo Prof Vincenzo Zarone

Benedetta Giorgi

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“Non temete i momenti difficili.

Il meglio scaturisce da lì.”

Rita Levi Montalcini

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SOMMARIO……….. 4

INTRODUZIONE………...7

CAPITOLO I- L’AZIENDA, LA SUA ORGANIZZAZIONE E LA

STRATEGIA

1.1 L’azienda e il contesto in cui opera……….. 9

1.1.1 La localizzazione………....11

1.1.2 I sistemi produttivi locali………13

1.1.3 L’analisi dell’ambiente esterno e interno………...14

1.2 L’analisi strategica………...16

1.2.1 I diversi approcci alla strategia………..20

1.2.2 Dalla business idea alla formula imprenditoriale………..22

1.2.3 La gestione strategica………23

1.2.4 L’orientamento strategico di fondo………...24

CAPITOLO II – IL SETTORE CONCIARIO

2.1 Il settore conciario italiano………..….25

2.1.1 Poli conciari italiani………...33

2.2 Distretto conciario di Santa Croce sull’Arno………...34

2.2.1 I fattori di successo del distretto………....41

2.2.2 Le tendenze evolutive e la tutela dell’ambiente………...……….42

2.2.3 Il sistema associativo nel comprensorio del cuoio………....43

2.3 Intervista a Michele Matteoli- presidente del consorzio conciatori di Ponte a Egola………...……….…44

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CAPITOLO III – CASO DI STUDIO: L’AZIENDA LA PATRIE

3.1 La localizzazione……….53

3.2 Come nasce l’idea………53

3.3 Le strategie adottate……….55

3.4 Il processo produttivo………..63

3.5 Mission aziendale………66

3.6 Analisi delle performance………67

3.7 Struttura organizzativa……….72

3.8 Sfide future………..76

3.9 I principali competitors………83

3.10 I principali clienti………...86

CAPITOLO IV – IL BUSINESS MODEL CANVAS

4.1 Origini e definizioni del Business Model………88

4.2 Il Business Model Canvas………...92

4.2.1 Segmenti di clientela……….94

4.2.2 Valore offerto………96

4.2.3 I canali………...99

4.2.4 Relazioni con i clienti……….….100

4.2.5 Flussi di ricavi……….…102

4.2.6 Risorse chiave……….104

4.2.7 Attività chiave……….…105

4.2.8 Partnership chiave……….………..106

4.2.9 La struttura dei costi………107

4.3 Perché è importante creare il Business Model Canvas………..109

(6)

CONLUSIONI……….122

BIBLIOGRAFIA……….……126

SITOGRAFIA………...130

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INTRODUZIONE

In questo elaborato mi sono voluta soffermare su una nuova azienda “La Patrie”, nata in un sistema produttivo locale, il distretto santacrocese. L’azienda fornisce alle grandi firme della pelletteria, calzatura e abbigliamento pellami pregiati, dove qualità ed eco-sostenibilità vanno di pari passo.

L’azienda è specializzata nella trasformazione e nella rifinizione di pellame pregiato, in particolare l’alligatore, il coccodrillo del Nilo e lo struzzo.

L’attività nasce dal connubio di esperienze settoriali diverse assieme ad una spiccata attitudine nello sviluppo delle modalità di allevamento e approvvigionamento di pellame grezzo direttamente dalla Louisiana, rispettando l’ecosistema.

Si è voluta differenziare dalle altre concerie andando a produrre un articolo differente da quello prodotto delle normali concerie del distretto conciario, ed ha investito in un processo di trasformazione innovativo attraverso l’industrializzazione di metodologie di conciatura Metal Free, quindi un processo senza l’utilizzo di metalli.

Per fare ciò l’azienda ha dovuto porre l’attenzione non solo al processo in se, ma anche a tutti i vari macchinari e alle varie tubature, in modo da non rilasciare metalli nel prodotto.

La ricerca è articolata in quattro capitoli; nel primo capitolo ho approfondito il tema da un punto di vista teorico, tramite testi e siti web, mi sono soffermata sul concetto di azienda e il contesto in cui opera, sull’importanza della localizzazione, sull’ambiente interno ed esterno, sull’impostazione strategica.

Nel secondo capitolo ho esaminato per l’industria conciaria l’importanza del luogo scelto e il settore di appartenenza, quindi ho approfondito i vari distretti conciari italiani, soprattutto quello toscano, dove nasce l’azienda.

Nel terzo capitolo ho esaminato i caratteri generali dell’azienda La Patrie, oggetto di studio nella mia tesi, andando a descrivere le varie caratteristiche principali, soffermandomi su come nasce l’idea di questa nuova attività, sul mercato di

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approvvigionamento, sull’intero processo produttivo e su quelle che saranno le sfide future.

Data l’esclusività dell’impresa ho esaminato le scelte strategiche effettuate e nell’ultimo capitolo ho elaborato un Business Model Canvas, ideato da Osterwalder e Pigneur nel 2010, uno strumento strategico che utilizza il linguaggio visuale per sviluppare modelli di business innovativi.

Questo modello permette di analizzare nove elementi: • Proposta di valore;

• Le risorse chiave; • Attività chiave; • Segmenti di clientela;

• Canali di comunicazione, distribuzione e vendita; • Relazioni con i clienti;

• Flussi di ricavi; • Partnership chiave; • Struttura dei costi.

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CAPITOLO I

L’AZIENDA, LA SUA ORGANIZZAZIONE E LA STRATEGIA

1.1 L’AZIENDA E IL CONTESTO IN CUI OPERA

Un’impresa può essere considerata un “sistema di forze economiche che sviluppa nell’ambiente di cui è parte complementare un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo insieme, a favore del soggetto economico, e altresì degli individui che vi cooperano” (Aldo Amaduzzi, 1904-1991).

L’impresa può essere considerata un sistema:

1. Socio tecnico: poiché è caratterizzato da decisioni umane e da operazioni tecniche;

2. Funzionale: in quanto è costituito da elementi con differenti compiti al loro interno;

3. Aperto: perché influenza e viene influenzato dall’ambiente circostante. Ogni impresa è influenzata dal Paese in cui opera. Diversi fattori, quali la stabilità politica, le relazioni sindacali, il livello dell’istruzione, i vincoli ambientali ed ecologici, lo sviluppo tecnologico determinano la capacità di creare valore e quindi di durare nel tempo.

Per fare ciò l’impresa dovrà organizzare le operazioni che consentono di svolgere il processo produttivo, compiendo precise scelte che riguardano:

• WHO: chi sono i clienti, la fascia di clientela da soddisfare, per cui individuare quali sono i gruppo di clienti da servire;

• WHAT: La tipologia di bene/servizio che si vuole immettere sul mercato, e come distinguerlo dal prodotto offerto dalla concorrenza;

• HOW: Le modalità con cui si ritiene opportuno svolgere il processo produttivo, individuando i fattori produttivi e le tecnologie da utilizzare.

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Figura 1:1

Tali scelte dipendono le une dalle altre, infatti la scelta dei clienti a cui rivolgere la produzione determina il tipo di bene/servizio da produrre; una volta individuato l’oggetto della produzione sarà necessario individuare i fattori produttivi e come coordinare l’intero processo produttivo.

Nelle imprese industriali il processo produttivo si concretizza nell’acquisizione delle materie prime che, dopo aver subito un processo di trasformazione fisico-tecnica divengono prodotti finiti da immettere nel mercato.

Tali imprese, a meno che non operino con propri punti vendita, hanno generalmente come clienti le imprese commerciali, tuttavia per ottenere un vantaggio competitivo devono comunque produrre beni in grado di catturare le performance del consumatore finale.

È importante per l’impresa cercare di essere più competitiva andando ad analizzare i bisogni dei consumatori ed osservare se i prodotti proposti riescono a soddisfarli. Per operare con efficacia, l’impresa deve saper individuare “ciò che il consumatore desidera”, “dove, come e quando” egli intende effettuare l’acquisto e “quanto è disposto a pagare” per ottenerlo.

Quindi è necessario per l’impresa riuscire ad ottenere un prodotto orientato verso le necessità dei consumatori (a volte questi stimolati all’acquisto), riuscire a portare il

                                                                                                               

1  Figura  1:  elaborazione  dell’autore.  

 

Per  chi   Produrre?   Come  

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prodotto a contatto con i consumatori e fornire un piano con strategie e responsabilità per conseguire gli obiettivi prefissati.

È necessario inoltre individuare un mercato giusto in cui operare, quindi individuare il segmento di mercato adeguato. Per segmento di mercato facciamo riferimento ad un gruppo di potenziali consumatori, aventi comportamenti omogenei ed esigenze specifiche, con i quali comunicare. Si ha la necessità di segmentare il mercato, ovvero di individuare i vari gruppi di potenziali consumatori con le medesime esigenze, per poterle soddisfare al meglio.

La segmentazione del mercato offre importanti vantaggi in quanto consente di comprendere “se, quando e perché” la domanda cambia, consentendo di adeguare i prodotti già commercializzati e di crearne di nuovi e facilitare la comunicazione con i potenziali compratori.

Il prodotto offerto deve soddisfare i consumatori, deve creare vantaggi, benefici e attese capaci di soddisfare anche considerazioni di tipo emotivo, legate alla qualità, allo stile, all’immagine e alla garanzia.

1.1.1 LA LOCALIZZAZIONE

Le decisioni sul luogo in cui far sorgere l’impresa e svolgere le attività produttive non sono casuali, ma tengono conto di un insieme di fattori che rendono opportuna la scelta di un certo territorio piuttosto che un altro in modo da individuare la localizzazione ottimale.

La scelta del luogo nel quale l’azienda sorge e sviluppa la propria attività rappresenta un problema di fondamentale importanza, infatti la corretta impostazione dell’attività produttiva crea i presupposti essenziali per una futura gestione ordinata, al fine del raggiungimento e del mantenimento di un soddisfacente equilibrio economico durevole.

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“La localizzazione riguarda proprio la scelta ottimale del luogo dove insediare l’attività produttiva affinché l’impresa consegua vantaggi economici, generalmente derivanti dalla riduzione dei costi di fabbricazione e di distribuzione”2.

In alcuni casi la localizzazione è una scelta obbligata in quanto il processo produttivo presenta vincoli tecnici tali da rendere impossibile collocarsi in altri territori, altre volte invece siamo condizionati da ragioni personali o familiari dell’imprenditore.

In generale è comunque importante prendere in considerazione i seguenti fattori: • La vicinanza dei mercati dove vengono acquisite le materie prime e dei

mercati di sbocco dei prodotti;

• Il livello del costo del lavoro e la presenza di manodopera specializzata; • La possibilità di reperire le informazioni ai fini della diffusione delle

innovazioni tecnologiche e organizzative;

• La disponibilità e facilità di accesso ai servizi offerti alle imprese; • L’esistenza di infrastrutture, come strade, ferrovie, interporti, aeroporti; • Le caratteristiche geografiche del territorio e la sua stabilità politica.

Sappiamo che l’azienda nasce e svolge la propria attività in un contesto ambientale avente determinate caratteristiche, che trasmette particolari stimoli a carico delle aziende ivi operanti.

Tra l’azienda e l’ambiente circostante si instaura una vita di relazione, da indirizzare secondo ben definiti caratteri di funzionalità. L’azienda, alla ricerca costante di gratificazione economica desiderata, deve essere in grado di offrire un determinato flusso di utilitià, di benefici, in favore della collettività nel cui ambito essa agisce; l’ambiente invece, sollecitato in termini positivi, deve assicurarle nel tempo soddisfacenti condizioni di vita, adeguate possibilità di affermazione sul mercato.

La parte dell’ambiente dove si svolgono le tipiche operazioni di gestione, come l’approvvigionamento, dei fattori produttivi e dei capitali finanziari, e la collocazione delle produzioni viene chiamata “mercato”.

                                                                                                               

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Le condizioni di mercato e di ambiente determinano molteplici influssi sul sistema aziendale, e tale connessione tende a concretizzarsi in un insieme di punti di forza e di debolezza che l’azienda dovrà affrontare; la sfida con la componente ambientale porta ad una serie di minacce da contrastare con tempestività ed efficacia, ma anche a molteplici opportunità da cogliere e sfruttare.

A seconda della convenienza economica l’impresa può decidere anche di delocalizzare le produzioni in Paesi che offrono condizioni più favorevoli; tali scelte possono cambiare a seconda delle circostanze economiche e delle modalità di produzione. L’introduzione di nuove tecniche, quali l’automazione delle operazioni più ripetitive, fatte eseguire da robot al posto degli esseri umani, può portare a riconsiderare quelle decisioni di delocalizzazione prese soprattutto per risparmiare sul costo del lavoro. Mentre nel passato molte aziende avevano ritenuto conveniente trasferire la produzione in altri paesi, oggi stanno facendo rientrare la produzione nei territori nazionali.

Un’altra variabile che incide molto sul fenomeno del rimpatrio della produzione originariamente delocalizzata, è costituita dall’esigenza dalle aziende che operano nel settore della pelletteria, di offrire prodotti artigianali, destinati ad una clientela di fascia alta, che gradisce prodotti accurati quali quelli che incorporano la garanzia di essere interamente “made in Italy3”.

1.1.2 I SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI

I sistemi produttivi locali sono aree produttive omogenee caratterizzate da un’elevata concentrazione di imprese, normalmente di piccole e medie dimensioni, nel medesimo territorio.

In Italia assumono molto spesso la configurazione del distretto industriale, ovvero più imprese che agiscono insieme utilizzando infrastrutture organizzative comuni per la produzione di uno stesso bene.

                                                                                                               

3  Made  in  Italy:  espressione  utilizzata  per  indicare  un  prodotto  progettato,  fabbricato  

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“Quando si parla di distretto industriale si fa riferimento ad un’entità socioeconomica costituita da un insieme d’imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza” (Alfred Marshall).

Nel distretto, a differenza di altri ambienti, la comunità di persone e le imprese condividono la stessa cultura, gli stessi saperi, e gli stessi valori, facilitando la rapida circolazione delle conoscenze e rafforzando i rapporti fra le imprese e la collettività locale, circostanze favorevoli allo sviluppo e al benessere economico, ma allo stesso tempo aumenta la concorrenza.

1.1.3 L’ANALISI DELL’AMBIENTE ESTERNO E INTERNO

È necessario per l’azienda analizzare l’ambiente in cui l’impresa agisce, per prevedere l’evoluzione di fenomeni che possono modificare lo scenario ed influire sulla gestione.

Tale analisi riguarda sia l’ambiente nei suoi aspetti generali, sia il mercato o lo specifico settore di mercato in cui l’azienda agisce.

Analizzare l’ambiente generale significa considerare l’ambiente politico, economico, sociale, culturale, tecnologico e naturale dei Paesi in cui l’azienda opera, con lo scopo di effettuare un’analisi che permetta di individuare sia le opportunità, quindi le occasioni favorevoli all’impresa per costituire o rafforzare un vantaggio competitivo, sia le minacce, quindi i pericoli che possono incidere negativamente sulla redditività dell’impresa, anticipando per quanto possibile l’evoluzione dell’ambiente considerato.

È necessario analizzare tutti quei fattori che possono essere utili per capire “che cosa produrre” e il “quanto produrre”, che sono dati dai quali l’impresa non può prescindere per formulare una strategia.

L’analisi del mercato e del settore nel quale l’impresa opera ha lo scopo di individuare sia le opportunità presenti, o che si potrebbero presentare, sia le minacce esistenti.

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• La definizione del settoreà per settore si intende l’ambiente specifico in cui l’azienda opera.

• L’analisi della domanda à la quale permette di capire per quale motivo i consumatori già conquistati dall’azienda comprano quel prodotto, a quale stadio del ciclo di vita è giunto il prodotto, se è un prodotto acquistato per la prima volta o meno dai miei consumatori.

• L’analisi dei fattori produttivi à ad esempio, per imprese che attuano una produzione continua o per quelle a basso valore aggiunto sono importanti la continuità nell’approvvigionamento e la stabilità dei prezzi nelle materie prime, mentre per quelle che operano in settori labour-intensive è fondamentale la disponibilità di mano d’opera, il relativo costo, ecc.

• L’analisi della concorrenzaà è un’analisi che mi permette di analizzare e conoscere le imprese concorrenti e le loro strategie. Per formulare una strategia vincente è necessario individuare i fattori sui quali in genere punta la concorrenza per mantenere o aumentare la quota di mercato; occorre cioè individuare quali sono i fattori critici di successo. La competizione può essere basata sui prezzi, sulla differenziazione del prodotto rispetto a quello dei concorrenti, sulla tempestività delle consegne, sui servizi post-vendita. Un’altra fase importante è la verifica delle risorse umane e materiali a disposizione dell’impresa, l’analisi dei risultati ottenuti, l’individuazione dei punti di forza e di debolezza. Quindi si tratta di esaminare lo stato di salute dell’impresa e rispondere alla domanda “chi siamo?”. Quindi è utile effettuare una diagnosi interna attraverso le seguenti fasi:

• Analisi della redditività del capitale: si sviluppa attraverso il calcolo e l’interpretazione degli indici di redditività e ha lo scopo di valutare se l’utile conseguito è adeguato alle risorse finanziarie impiegate nell’impresa.

• Analisi della struttura dei costi: la possibilità di realizzare una determinata strategia dipende dal rapporto tra i costi fissi e i costi variabili, e dal comportamento dei costi in relazione all’andamento dei volumi di produzione.

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• Analisi della struttura finanziaria: è fatta mediante il calcolo di indicatori e indici finanziari e ha lo scopo di conoscere il grado di liquidità e il livello di indebitamento dell’impresa.

• Analisi del portafoglio prodotti: è volta ad individuare i prodotti venduti ed osservare la posizione di ciascun prodotto nel proprio ciclo di vita. Le vendite hanno un andamento diverso nelle varie fasi del ciclo di vita del prodotto.

• Analisi della struttura organizzativa: con lo scopo di verificare se la struttura esistente è adeguata a sostenere le strategie che l’impresa intende sviluppare. • Analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza: è volta ad individuare i settori e gli aspetti nei quali l’impresa eccelle e quelli nei quali non ottiene buoni risultati. L’esame riguarda aree diverse all’interno dell’azienda, le principali sono la capacità del management, la situazione finanziaria, il personale, le tecnologie disponibili, ecc. Per stabilire se i risultati delle analisi evidenziano punti di forza oppure punti di debolezza, occorre scegliere un criterio, un termine di paragone, che può riguardare la storia dell’impresa, può essere uno standard elaborato in base a ricerche scientifiche o all’esperienza del settore, oppure può far riferimento al comportamento della concorrenza o ai fattori critici di successo4 in un dato settore o in un certo mercato.

Un criterio per stabilite se l’impresa ha punti di forza e punti di debolezza consiste allora nel verificare se in essa sono presenti i fattori di successo che si modificano nel tempo per condizioni oggettive e per scelte deliberate.

                                                                                                               

4  Fattori  critici  di  successo:  “le  variabili  sulle  quali  il  management  può  agire  con  le  sue  

decisioni  e  che  possono  incidere  in  modo  consistente  sulla  posizione  competitiva   delle  varie  imprese  all’interno  del  settore”  C.  Hofer  e  D.  Schenel  “La  formazione  della  

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1.2 L’ANALISI STRATEGICA

I successi di ogni impresa non possono essere sempre attribuiti alla fortuna, ma alla base ogni volta è presente una strategia, una linea si condotta, chiara e precisa per raggiungere una posizione di vantaggio.

Per strategia si intende l’insieme dei fini fondamentali perseguiti dall’impresa e delle scelte relative alle risorse da impiegare e alle azioni da intraprendere. Questo termine è utilizzato per indicare la capacità di prendere decisioni che esercitano il loro effetto su un lungo periodo.

In economia si è cominciato a parlare di strategia come piano d’azione a lungo termine, con cui impostare e coordinare le attività rivolte a perseguire determinati obiettivi dopo la seconda guerra mondiale, ed oggi è considerata uno strumento indispensabile.

Infatti, la concorrenza sempre più agguerrita e la globalizzazione dei mercati, spingono l’impresa a ricercare in modo consapevole un piano d’azione che possa sviluppare e rafforzare il vantaggio competitivo5 che le distingua dalle sua concorrenti.

La strategia:

• Definisce gli obiettivi e indica la strada per raggiungerli;

• Presuppone determinate azioni e l’impiego di determinate risorse;

• È interpretabile come il collegamento tra l’impresa e l’ambiente esterno. La strategia è per sua natura dinamica, a fronte dei continui mutamenti dell’ambiente esterno, deve essere continuamente aggiornata e modificata per rispondere alle nuove minacce e per fruttare le nuove opportunità.

L’aggiornamento e l’elaborazione continua della strategia, consente di adeguarsi tempestivamente al cambiamento e cogliere le occasioni per rafforzare la propria posizione competitiva.

                                                                                                               

5  Vantaggio  competitivo:  è  la  capacità  dell’impresa  di  raggiungere  una  redditività  

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Il meccanismo che supporta il management nelle scelte strategiche che per loro natura sono destinate a modificare la struttura e il posizionamento dell’impresa nel tempo e nello spazio è il sistema di pianificazione strategica.

Per pianificazione strategica intendiamo il processo con il quale si definiscono gli obiettivi di lungo termine dell’impresa, e si elaborano operazioni e comportamenti in modo da conseguire gli obiettivi stessi.

I fattori comuni delle strategie di successo sono: 1. Obiettivi semplici, coerenti e di lungo termine; 2. Profonda comprensione dell’ambiente competitivo6; 3. Valutazione obiettiva delle risorse;

4. Implementazione efficace della strategia.

Per elaborare una strategia di successo è necessario individuare tali elementi a livello aziendali e metterli in relazione con l’ambiente esterno.

Così Grant elabora uno schema di base per l’analisi strategica costituito da due gruppi: l’impresa e l’ambiente settoriale, ed è compito della strategia di andare a creare un collegamento tra questi due. L’impresa è costituita da tre insiemi: obiettivi e valori, risorse e competenze, e struttura e sistemi organizzativi. L’ambiente settoriale invece è definito dalle relazioni tra i clienti, i concorrenti e i fornitori.

Figura 2:7

                                                                                                               

6  L’ambiente  competitivo:  è  formato  dai  soggetti  con  cui  l’impresa  compete  nel  

collocamento  dei  prodotti.      

7  Figura  2:  elaborazione  dell’autore.  

IMPRESA    

Obiettivi  e  valori     Risorse  e   competenze     Struttura  e   sistemi   organizzativi     AMBIENTE   SETTORIALE       Concorrenti     Clienti     Fornitori   STRATEGIA GUA  

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L’azienda nello sviluppare la sua strategia, deve riuscire a creare valore per tutti gli stakeholders8, sfruttando le proprie competenze e deve tener conto dell’ambiente in cui opera.

È fondamentale quindi la coerenza strategica, ovvero per avere successo la strategia deve essere coerente sia con l’ambiente esterno dell’impresa e con l’ambiente interno.

In generale, la strategia è lo strumento utilizzato all’interno dell’organizzazione per raggiungere i propri obiettivi, tramite azioni fondamentali per l’allocazione delle risorse; inoltre la strategia implica coerenza, integrazione e coesione fra le decisioni e le azioni.

Le principali definizioni di “strategia” sono:

“Piano, metodo o serie di azioni volte a conseguire uno specifico obiettivo o effetto” (Wordsmyth Dictionary).

“Determinazione delle finalità e degli obiettivi di lungo periodo di un’impresa e attuazione delle linee di condotta e allocazione delle risorse necessarie alla realizzazione di tali obiettivi” (A. Chandler, Strategy and Structure, Cambridge, Ma, Mit Press, 1962).

Da Mintzberg sono state stilate le cosiddette 4 P:

1. Strategia come piano (Plan): vede la strategia come un pensiero che anticipa l’azione, che mi permette di affrontare una nuova situazione, ad esempio entrare in un nuovo mercato o sviluppare un nuovo prodotto. “Strategia è un piano unificato, comprendente i diversi aspetti della gestione in modo integrato, volto ad assicurare che gli obiettivi di base dell’impresa vengano raggiunti” (Glueck, 1980).

2. Strategia come modello (pattern): vede la strategia come uno schema da seguire, un insieme di comportamenti che si traducono in azioni (business model).

                                                                                                               

8  Stakeholder:  tutti  i  soggetti  che  sono  portatori  di  interesse  nei  confronti  dell’azienda  

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3. Strategia come posizionamento (position): vede la strategia come posizione, che esprime il legame tra ambiente esterno e l’organizzazione dell’azienda. 4. Strategia come prospettiva (perspective): questo significato di strategia

agisce all’interno dell’impresa, definisce l’orientamento strategico di fondo, quindi la sua identità, le sue idee guida, i suoi valori, percepibili solo attraverso comportamenti concreti.

Tanto più l’ambiente è turbolento, tanto più la strategia deve essere flessibile e reattiva. È proprio in questi casi, quando l’impresa deve fronteggiare minacce impreviste e nuove opportunità, che diventa sempre più importante la strategia; diventa infatti uno strumento indispensabile.

In un contesto caratterizzato da incertezza e grandi mutamenti, avere una chiara direzione da seguire è un requisito sostanziale per raggiungere gli obiettivi.

Uno degli obiettivi comuni a tutte le organizzazioni è proprio quello di perdurare nel lungo periodo e per far ciò è opportuno che l’imprenditore individui un settore di riferimento caratterizzato da un buon tasso di remunerazione e riuscire ad avere una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti che operano già all’interno di questo settore.

È indispensabile, quindi per l’impresa, definire:

• La strategia a livello di corporate: definisce i campi di azione, il portafoglio di affari o di business, quindi la scelta del settore e dei mercati nei quali competere.

• La strategia a livello di business: definita come strategia competitiva, cioè di ricerca sul singolo business del vantaggio competitivo.

1.2.1 I DIVERSI APPROCCI ALLA STRATEGIA

La gestione strategica dell’impresa consiste nell’uso consapevole di processi, metodologie e strumenti che consentono di individuare i contenuti della strategia e della sua realizzazione da un lato, e dall’altro di controllare l’avanzamento dell’impresa lungo il vettore di rinnovamento strategico.

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Dati i mutamenti ambientali dell’impresa ogni posizionamento è destinato a dare origine a un divario strutturale tra attese e risultati.

Negli anni sessanta si afferma nelle grandi imprese la necessità di qualche forma strategica, e in quegli anni il modello più completo di gestione strategica è quello sviluppato dall’Harvard Business School e sintetizzato da Andrews, e si fonda sull’assunto che “la decisione in merito alla strategia da adottare è, o almeno dovrebbe essere, un’attività di tipo razionale”.

Andrews definisce una netta distinzione tra il processo di formulazione e il processo di attuazione della strategia. Il primo è un processo conoscitivo-decisionale che comporta la generazione di alternative strategiche sulla base dell’analisi Swot, ed infine la scelta dell’alternativa da realizzare.

La strategia prescelta è così esplicitata, formulata, prima di passare alla realizzazione.

I vertici delle imprese, oltre che scegliere la strategia da realizzare, oltre che valutare l’avanzamento di questa strategia, si impegnano nella stesura di piani a medio termine nei quali viene dettagliata la strategia da realizzare. Il contributo della scuola harvardiana viene così a confondersi con la pianificazione strategica, dove l’enfasi di quest’ultima porta a interpretare la gestione strategica come un’attività che si svolge a certe scadenze e a sottovalutare i contributi che possono venire alla gestione strategica da una sistematica riflessione sui risultati prodotti dalle attività, e questo ha portato in crisi la concezione harvariana di gestione strategica.

Normann (1977) invece afferma che una volta definito il nuovo posizionamento strategico, può essere necessario un primo adeguamento delle attività correnti, prima di passare alla fase di messa in opera del nuovo posizionamento. Successivamente, l’apprendimento può sfociare in azioni di aggiustamento del vettore di rinnovamento strategico, oppure in una vera e propria messa in discussione dello stesso posizionamento originariamente ipotizzato. La gestione strategica diventa così un processo in cui formulazione e realizzazione non si susseguono sequenzialmente ma si intrecciano tra di loro, in cui la formulazione viene migliorata grazie alle conoscenze maturate nell’attività di realizzazione.

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L’enfasi che poniamo sull’analisi strategica induce a ritenere che la strategia sia il prodotto del confronto tra manager impegnati in un’attività di analisi deliberata. Delle volte però la strategia può anche essere un semplice adattamento alle circostanze. Henry Mintzberg è uno dei principali critici degli approcci razionali all’individuazione della strategia. Egli distingue tra strategia:

• Deliberata à la strategia che viene concepita dal gruppo dei dirigenti di vertice, per cui è il risultato di un processo di contrattazione e negoziazione fra i molti individui e i gruppi coinvolti nel processo decisionale.

• Realizzata à la strategia che viene realmente attivata, e secondo Mintzbergh rappresenta solo il 10-30% della strategia deliberata.

E le determinanti della strategia realizzata sono quelle che lui definisce strategia emergente, ovvero tutte quelle decisioni che emergono nel momento in cui i manager interpretano la strategia deliberata, la quale però deve essere adattata ai cambiamenti delle circostanze esterne.

Quindi, una volta formulata, la strategia dovrà essere adattata in base agli approcci emergenti che si riscontrano, e viene costantemente modificata effettuando una continua integrazione tra la formulazione della strategia e la sua implementazione. 1.2.2 DALLA BUSINESS IDEA ALLA FORMULA IMPRENDITORIALE

Uno dei ruoli del top management dovrebbe essere quello di supportare la gestione tramite strumenti di analisi strategica.

La formulazione della strategia può essere sviluppata attraverso sei momenti fondamentali:

• Analisi dello scenario esterno e consapevolezza della necessità di intervenire strategicamente;

• Formulazione di una business idea da verificare;

• Messa a punto della strategia dopo aver effettuato le verifiche; • Sviluppo di risorse strutturali per l’attuazione della strategia; • Attuazione operativa della strategia;

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• Monitoraggio della strategia con conseguente consolidamento se si è rivelata di successo, oppure revisione nel caso in cui non sia stata soddisfacente. La business idea o l’idea di impresa è di fondamentale importanza, non tanto la sua originalità, ma quanto la sua realizzabilità. Infatti prima di pensare di vendere qualcosa occorre sapere cosa desidera il cliente, bisogna capire quali sono i suoi bisogni, quindi produrre in base alle esigenze del consumatore.

È chiaro che non esiste un’idea imprenditoriale che possa superare la prova del tempo, per cui è necessario che l’attività del governo sia orientata, oltre che a valutare la qualità dell’impostazione strategica attuale, anche a favorire e attivare percorsi di cambiamento. Questo perché l’azienda opera in un contesto dinamico, e nel lungo termine il cambiamento costituisce una condizione di esistenza dell’azienda.

Questa idea pensata oggi per il domani è definita “idea di sviluppo”, oppure formula imprenditoriale del domani, così come la business idea esprime il fondamento dell’impostazione strategica attuale, l’idea sviluppo esprime il fondamento dell’intento strategico. In un medesimo istante devono potersi individuare due idee imprenditoriali, una per l’oggi e una per il domani, ed è evidente che la seconda è una normale evoluzione della prima.

Con intento strategico facciamo riferimento al progetto imprenditoriale che il top management intende realizzare per il conseguimento dell’equilibrio economico futuro, cioè dell’equilibrio economico a valere nel tempo, si ispira all’idea di sviluppo dell’azienda e tratteggia la direzione di marcia ipotizzata per il cambiamento.

L’intento strategico non si identifica né in un piano né in un programma, ma in un progetto che tratteggia in modo consapevole lo stato futuro desiderato, ed è quindi frutto di un processo di concettualizzazione strategica da parte del soggetto economico, anche se le idee su cui si fonda, in molti casi, si alimentano nella operatività e sono frutto di percezioni di uomini collocati ai diversi livelli gerarchici.

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1.2.3 LA GESTIONE STRATEGICA

La gestione strategica è collegata al pensiero strategico e all’attuazione dell’idea imprenditoriale. Durante il processo della formulazione strategica, la gestione strategica, svolge ruoli importanti ed essenziali per il raggiungimento degli obiettivi manageriali.

1. La gestione strategica supporta le decisioni à la strategia viene vista come una linea guida che migliora la qualità e la coerenza delle decisioni strategiche. Il pensiero strategico una volta esplicitato, non solo aiuta nell’assunzione delle decisioni, ma accompagna verso decisioni migliori poiché consente di mettere in comune conoscenze di diverse persone, e perché facilità l’applicazione di alcuni strumenti analitici.

2. La gestione strategica come strumento di coordinamentoà la strategia è uno strumento di comunicazione, grazie al quale l’amministratore delegato può comunicare gli obiettivi e la posizione competitiva dell’azienda. Quindi la strategia promuove il coordinamento, ma per far sì che questo sia efficace è necessario coinvolgere le varie funzioni e i vari gruppi di interesse presenti in azienda.

3. La gestione strategica come obiettivoà con la strategia non ci preoccupiamo solo di come l’azienda può competere oggi, ma anche di come diventerà nel futuro. Per cui è necessario per l’azienda esplicitare la propria visione futura in modo anche da motivare i membri dell’organizzazione.

1.2.4 L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO

Elemento fondamentale che guida tutti i processi di formulazione e realizzazione della strategia è l’orientamento strategico di fondo, parte nascosta del disegno strategico. Esso viene esplicitato attraverso la definizione, da parte degli organi di governo e di direzione, della visione e della missione aziendale.

La visione aziendale rappresenta la proiezione di uno scenario futuro, che rispecchia gli ideali e i valori chiave dell’impresa, mentre la missione aziendale è focalizzata

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sul presente e descrive le attività e gli strumenti da utilizzare per realizzare gli obiettivi perseguiti.

La “vision” incorpora i valori dell’azienda e deve essere formulata in modo chiaro e accurato, esplicitata e condivisa a tutti i livelli dell’organizzazione per far muovere l’azienda nella direzione desiderata.

Se da una parte la vision esprime il sogno, il futuro, dall’altra la mission definisce la strada che si vuole percorrere per realizzare la vision.

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CAPITOLO II

IL SETTORE CONCIARIO

2.1 SETTORE CONCIARIO ITALIANO

L’industria italiana è caratterizzata da piccole e medie imprese, per lo più di tipo manifatturiero impegnate nella lavorazione e nella produzione di manufatti principalmente in aziende di proprietà familiare.

Una importante peculiarità del nostro sistema industriale è rappresentata dal modello dei “distretti industriali” radicati all’interno di un sistema-territorio ben definito e costituiti dal fitto tessuto di aziende di piccole-medie dimensioni specializzate in specifiche fasi della filiera produttiva. In questo contesto si inserisce l’industria conciaria italiana che produce pelli e cuoio utilizzando la pelle animale grezza proveniente dalla macellazione.

Lo scopo della concia è far sì che, per mezzo di processi fisici, la pelle mantenga le peculiarità tipiche originarie quali la resistenza, l’elasticità e l’impermeabilità, nonché conferire alla stessa caratteristiche aggiuntive, stabilite dall’azienda o dal mercato, in relazione alla sua destinazione in termini di prodotto.

La lavorazione della pelle è uno dei settori produttivi più antichi del mondo. Già durante la preistoria l’uomo cacciava gli animali per alimentarsi, ed utilizzava la pelle per proteggersi dagli agenti atmosferici. Dunque l’essere umano ha un rapporto molto intenso con il cuoio e la pelle, utilizzati come materia prima in diversi ambiti, dall’arredamento alla moda.

L’Unione Nazionale Industria Conciaria (UNIC) è la più importante associazione mondiale degli industriali conciari, opera dal 1946 a tutela di un settore strategico, componente fondamentale del tessuto economico e manifatturiero italiano.

L’industria conciaria italiana è storicamente considerata leader mondiale per l’elevato sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spiccato impegno ambientale e la capacità innovativa in termini di contenuti stilistici.

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Il settore è costituito soprattutto da piccole e media imprese, concentrate prevalentemente all’interno di comprensori produttivi regionali, specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione merceologica.

Le limitate dimensioni consentono alle industrie conciarie di essere maggiormente flessibili, in modo da adattarsi ai cambiamenti di mercato e alle esigenze dei clienti. Il modello distrettuale, tipico dell’industria italiana, consente la creazione di sinergie, efficienze, collaborazioni, confronti continui di forte stimolo per lo sviluppo dell’impresa e del territorio in cui è localizzata.

La produzione dei conciatori italiani rappresenta circa il 19% della produzione mondiale e il 65% della produzione europea; è uno dei settori italiani maggiormente internazionalizzati, ponendo l’industria conciaria italiana in una serie di rapporti commerciali e di collaborazioni con fornitori, clienti e partners in tutto il mondo. Sul fronte commerciale le imprese vendono e comprano pelli in oltre 121 Paesi rappresentando un esempio virtuoso di globalizzazione.

I mercati esteri hanno sempre rappresentato un fattore fondamentale per lo sviluppo della conceria italiana, la loro incidenza sul fatturato complessivo è cresciuta enormemente e rappresentano più di due terzi del fatturato complessivo. In termini di macro aree di destinazione appare opportuno sottolineare che l’Unione Europea rimane il primo cliente estero delle concerie italiane con il 51% del totale, a seguire l’Estremo Oriente si assesta al 27%, l’area russo-balcanica (7%), il Nord America (6%) e altri (9%).

In termini di singolo paese di destinazione, la Cina, inclusa Hong Kong, è ormai da venti anni la principale destinazione estera delle pelli italiane.

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Grafico 1: Le esportazioni del settore conciario.9

Un ruolo essenziale per il settore è giocato anche dall’import di materia prima, dato che l’approvvigionamento esterno copre oltre il 90% del fabbisogno industriale. Gli allevamenti italiani di bovini ed ovicaprini coprono infatti strutturalmente il 10% del fabbisogno.

La concia recupera, ricicla e nobilita le pelli grezze prodotte a seguito delle macellazioni effettuate dall’industria alimentare. La citata natura di “scarto alimentare” presenta un elemento negativo, una completa rigidità dell’offerta, infatti la produzione di pelli grezze dipende dal consumo di carne.

La principale materia prima del settore sono le pelli grezze e semilavorate le cui dinamiche d’acquisto sono importanti per la gestione aziendale e nella competizione commerciale.

Un’analisi UNIC dimostra come l’aumento del costo delle pelli grezze e semifinite abbia impattato sui bilanci annuali delle concerie italiane, diminuendo i profitti e i margini operativi dei conciatori.

Il valore di queste materie prime oscilla mediamente tra il 40% ed il 65% del valore delle pelli finite prodotte al termine del processo. Al momento, il 62% della                                                                                                                

9  Grafico  1:  I  dati  sono  stati  forniti  dal  rapporto  di  sostenibilità  UNIC  aggiornato  al  

2016.  

Esportazioni  

Unione  Europea  51%   Estremo  Oriente27%   Area  russo  balcanica  7%   Nord  America  6%   Altri  9%  

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produzione nazionale di finito deriva dall’utilizzo di wet blue10 all’inizio del processo, 35% per il grezzo11 e il 3% crust12.

A livello di area di origine l’Europa continua a rappresentare il più importate bacino di approvvigionamento ed incide per il 53% dell’import totale, a seguire Sud America (22%), Africa/Medio Oriente e Nord America/Nafta (7% ciascuno) ed Oceania (6%).

L’Unic da sempre accompagna l’industria italiana verso l’internazionalizzazione, sviluppando fattivi contatti con le rappresentanze imprenditoriali dei settori di filiera in moltissimi Paesi, con cui vengono portati avanti progetti di cooperazione in ambito tecnico e commerciale.

Inoltre l’Unic promuove in tutta la filiera attività di controllo, monitoraggio, valutazione, consulenza strategica, assistenza tecnica e scientifica, nonché di formazione, informazione e divulgazione in ambito ambientale, tecnologico e di processo.

L’industria conciaria italiana impiega oltre 1200 aziende, e ha un fatturato annuo di 5 miliardi di euro, di cui circa il 70% derivante da vendite all’estero.

La manifattura delle pelli si caratterizza da sempre per una forte ciclicità congiunturale ma da diversi anni le nostre imprese hanno sviluppato una stabilità nei fondamentali aziendali che permette loro di reagire sostanzialmente meglio dei concorrenti ai momenti di debolezza della domanda globale grazie alla loro qualità, all’innovazione, alla sostenibilità e al dinamismo commerciale.

Circa il 78,7% dell’industria conciaria italiana impiega prevalentemente come materia prima pelli bovine, il 20,8% pelli ovi-caprine, ed il restante 0,5% pelli esotiche. L’Italia è un’importante mercato di consumo di pelli esotiche, in particolare rettili. Si tratta di una nicchia nel vasto panorama conciario nazionale che raggruppa una decina di concerie, leader globali per qualità, valore dei pellami ed impegno verso la sostenibilità.

                                                                                                               

10  Pelli  conciate  al  cromo  e  vendute  in  tali  condizioni,  si  presentano  di  colore  blu  ed  

umide.  

11  Pelli  che  hanno  subito  vari  trattamenti  conservativi  dopo  la  macellazione  allo  scopo  

di  evitarne  la  putrefazione.  

12  Pelli  conciate,  ingrassate  e  a  volte  già  intinte  in  botte  nei  paesi  di  origine,  pronte  per  

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Grafico 2: le materie prime del settore conciario.13

La pelle italiana è un’eccellenza tradizionalmente riconosciuta a livello globale. Si tratta di una leadership costituita sulla qualità, sulla tecnologia, sull’innovazione stilistica e sulla sostenibilità della produzione.

È un materiale di pregio, apprezzato dai consumatori e valorizzato dai manifatturieri che la impiegano nelle loro produzioni. Per questo numerose sono le sue imitazioni e altrettanti i tentativi di screditarne l’unicità delle caratteristiche e valorizzare l’impiego di materiale alternativo a basso costo. Ma solo il materiale autentico è caratterizzato da un particolare intreccio di fibre, che la rendono flessibile, morbida, resistente, adattabile e traspirabile.

La legge italiana n. 1112/66 e la Dir 94/11 CE stabiliscono che solo un materiale con queste caratteristiche può essere definito pelle.

Il principale cliente delle concerie italiane è la filiera della moda. Nel dettaglio, la calzatura è storicamente la prima destinazione d’uso delle pelli, a cui viene venduta quasi la metà delle pelli prodotte a livello nazionale. Segue la pelletteria, l’industria dell’arredamento, gli interni auto e l’abbigliamento.

                                                                                                               

13  Grafico  2:  I  dati  sono  stati  forniti  dal  rapporto  di  sostenibilità  UNIC  aggiornato  al  

2016.  

Materie  prime  

78,8%  pelli  bovine   20,8%  pelli  ovi-­‐caprine   0,5%  pelli  esotiche  

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Le realtà manifatturiere hanno raggiunto una elevata complessità, se in passato alcune produzioni avevano una dimensione più locale, ora l’apertura dei mercati ha portato a considerevoli fenomeni di delocalizzazione industriale. Stabilire quali siano e dove avvengono le fasi produttive di un bene di consumo è decisamente difficile ma strategico per valutare la qualità di un prodotto, non solo pensando alle sue caratteristiche, ma anche prestando attenzione alla sostenibilità, divenuta fattore competitivo. Perciò il settore sostiene con convinzione l’importanza di una vera trasparenza dei manufatti di consumo, che fornisca ai consumatori informazioni qualificate anche sulle pelli impiegate nella manifattura che sono una componente fondamentale nella determinazione del loro valore.

Nella filiera della pelle, la ricerca dell’efficienza diventa essenziale per valorizzare il prodotto e per ottimizzare la produttività dell’azienda. L’industria 4.014 si pone come obiettivo di rielaborare i processi, introducendo capacità di adattamento, configurabilità e alta flessibilità, integrando le soluzioni tecnologiche con cui le macchine comunicano e interagiscono fra loro.

I produttori di macchine ed impianti, in linea con questi obiettivi, stanno sviluppando da tempo metodologie di processo con l’applicazione di sistemi innovativi e tecnologie per ottimizzare le prestazioni nei diversi ambienti produttivi, con vantaggi in termini di riduzione dei consumi, risparmio energetico e riduzione di scarti inquinanti.

Inoltre sempre in termini di sostenibilità, la Camera della Moda Italiana ha redatto le linee guida sulla sostenibilità della filiera del tessile e della pelle, in collaborazione con il settore chimico, tessile e conciario.

Tale documento si basa sul limitato uso di sostanze chimiche pericolose nei manufatti, di cui fornisce liste, e definisce i limiti applicabili di tali sostanze sulla pelle.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, la conceria italiana, da tempo ha saputo percorrere efficienti processi, investendo in ricerca ed innovazione,                                                                                                                

14  Con  il  termine  industria  4.0  si  indica  una  tendenza  all’automazione  industriale  che  

integra  alcune  nuove  tecnologie  produttive  per  migliorare  le  condizioni  di  lavoro  e   aumentare  la  produttività  e  la  qualità  produttiva  degli  impianti.      

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cooperando con tutta la filiera. Sono stati effettuati importanti investimenti per perfezionare i processi e realizzare pellami il cui ciclo di vita abbia impatti minimi sull’ambiente, e per ridurre i consumi energetici.

L’industria conciaria può anche considerarsi da sempre tra i precursori dell’economia circolare, poiché recupera uno scarto dell’industria alimentare per trasformarla in materia prima pregiata, per una manifattura ad alto valore aggiunto, e negli anni si impegna a valorizzare gli scarti della propria produzione, quali materie prime secondarie (es. carniccio) o ad indirizzarli al riciclo o al recupero/riutilizzo con strutture specifiche sorte nei distretti produttivi.

Ad oggi tutti gli scarti prodotti durante la lavorazione del pellame vengono conferiti per il recupero. Questo avviene in aziende specializzate le quali si occupano di trasformare il materiale di scarto proveniente dalle lavorazioni di pellame in concimi per agricoltura.

La trasformazione da pelle grezza a pellame finito può essere condotta nello stesso sito produttivo o in siti produttivi che svolgono una parte delle lavorazioni, in base alle dinamiche di approvvigionamento e della disponibilità delle stesse.

La tipologia del processo svolto influisce significativamente sulle performance ambientali delle aziende, in quanto le concerie che svolgono l’intero processo produttivo hanno dei valori che impattano in maniera più elevata nell’ambiente, sia in termini di consumo di risorse idriche, energetiche, prodotti chimici, sia per gli aspetti ambientali come gli scarichi idrici e la produzione di scarti e rifiuti.

Sono stati inseriti dei sistemi di monitoraggio all’interno delle concerie per i consumi e per le emissioni in atmosfera per il miglioramento delle performance ambientali, ed i risultati di tali sistemi di monitoraggio spesso vengono comunicati, in ottica di trasparenza e stimolo al personale e ai visitatori delle concerie attraverso display posti all’interno delle aziende.

I processi di lavorazione e trasformazione generano impatti specifici ambientali, sia in termini di emissioni in atmosfera, sia di scarichi reflui che sul suolo con la produzione di rifiuti.

Gli scarichi idrici sono quelli che impattano più significamento sull’ambiente, poiché il processo conciario si svolge per la maggior parte nei bagni acquosi, che

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generano un elevato volume di reflui da depurare. La quasi totalità dell’aziende localizzate nei vari distretti convoglia le proprie acque di carico a depuratori consortili.

Inoltre la produzione conciaria genera emissioni in atmosfera e tali emissioni dipendono dai parametri di processo, dalle tecnologie e dagli ausiliari chimici impiegati, dalla tipologia di articolo, dalla destinazione d’uso. Per cui ogni conceria dovrà investire in sistemi per abbattere e minimizzare le emissioni inquinanti e rispettare i parametri autorizzativi.

Vi è poi un problema legato al generale peggioramento della qualità della materia prima, motivo di grande attrito tra concerie e commercianti fornitori. Le cause sono l’aumento della mescolanza di pelli di origine diversa, principalmente causata dai crescenti spostamenti dei bestiami dovuti alla concentrazione delle attività di allevamento e macello; le peggiori condizioni di allevamento e macellazione; le miscelazioni volontarie del commerciante.

Infine con i progressivi mutamenti del mercato, introdotti dalla crescente attenzione da parte di aziende e consumatori verso il tema della sostenibilità, è stato affermato un nuovo concetto di qualità, che ha a che fare non solo con le caratteristiche del prodotto intese in senso tradizionale, ma si fa riferimento alla trasparenza, ovvero si richiedono un numero di requisiti ambientali, sociali e di sicurezza connessi con tutto il processo produttivo, svolto in un determinato paese.

Infatti una buona maggioranza dei consumatori acquista manufatti in base al paese di origine e per alcuni di essi la provenienza da una determinata area vale un prezzo di acquisto superiore.

Oggi però risulta difficile stabilire dove avvengono le fasi produttive del bene, ed è necessario per l’industria conciaria sostenere il concetto di trasparenza nel mercato in modo da informare i vari consumatori sia dove ha avuto luogo l’ultima trasformazione del prodotto, sia su quali sono stati i materiali utilizzati e soprattutto l’impegno che si nasconde dietro un determinato prodotto.

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2.1.1 POLI CONCIARI ITALIANI

La concia italiana è da sempre un tipico esempio di successo del modello distrettuale che tradizionalmente caratterizza una parte rilevante dell’economia manifatturiera nazionale. Il settore è formato soprattutto da piccole e medie imprese, sviluppatesi principalmente all’interno di distretti specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione merceologica. La produzione si concentra infatti all’interno di comprensori produttivi territoriali, che nel corso degli anni hanno adattato le loro caratteristiche per adeguarsi al mercato.

Il principale comprensorio conciario in termini di produzione e addetti si trova in Veneto, nella provincia di Vicenza. Con i suoi 130 kmq di territorio e con le sue 489 imprese è sede di uno dei maggiori distretti conciari al mondo. Comprende Arzignano e l’area del Chiampo da Crespadoro a Montebello, da Montorso a Zermeghedo fino a Montecchio Maggiore. Il polo ne è motore di sviluppo e occupazione.

Si caratterizza per la contemporanea presenza di imprese medio-piccole e grandi gruppi industriali all’avanguardia nell’automazione e standardizzazione delle fasi di processo. Il distretto è specializzato nella lavorazione di pelli bovine.

Divide la propria produzione in 5 settori: principalmente il settore dell’arredamento, segue il settore della calzatura, degli interni d’auto e dalla carrozzeria in generale, della pelletteria e dell’abbigliamento.

La produzione distrettuale è prevalentemente di elevata qualità e destinata per oltre metà ai mercati esteri, mentre è in crescita la tendenza ad importare prodotti semilavorati.

Il secondo polo conciario per importanza è quello toscano, concentrato nella zona di Santa Croce sull’Arno e Ponte a Egola, denominato anche Distretto del cuoio. È il distretto con il maggior numero di imprese, circa 567.

È rinomato per l’elevata artigianalità e flessibilità nelle produzioni e per lo stretto rapporto con l’alta moda. Si lavorano prevalentemente pelli bovine di medie e piccole dimensioni, alcune delle quali vengono utilizzate per il cuoio da suola, che

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in Italia viene quasi interamente prodotto nel Comune di San Miniato a Ponte a Egola.

Attualmente il fatturato complessivo del Comprensorio di Santa Croce e Ponte a Egola è del 28% del totale nazionale del settore.

Questo distretto verrà approfondito in seguito, poiché La Patrie SRL, azienda nella quale è stata completata questa tesi, risiede nel Distretto del cuoio.

Il distretto campano, terzo nella graduatoria dimensionale, rappresenta una delle realtà industriali più interessanti del mezzogiorno d’Italia. È localizzato principalmente nella zona di Solofra, Montoro Inferiore, Montoro Superiore e Serino. Il comune di Solofra viene anche definito “Città della pelle” per la sua storia recente ed antica.

In tale distretto operano circa 526 imprese di piccola dimensione specializzate nella concia di pelli piccole, ovine e caprine, per abbigliamento, calzatura e pelletteria. Il valore della produzione campana di pelli è pari all’8% del totale nazionale.

Il distretto di Solofra punta su una consolidata tradizione artigiana, ma storico punto debole del distretto è quello dell’integrazione tra i vari attori e quindi la scarsa propensione ad agire in modo coordinato.

Per ultimo, e se di minore importanza, dobbiamo ricordare il distretto conciario lombardo, situato nell’area del magentino e anch’esso specializzato soprattutto nella produzione di pelli ovicaprine, con un’incidenza sulla produzione conciaria nazionale pari al 5%. Il distretto impiega circa 50 imprese.

2.2 DISTRETTO CONCIARIO DI SANTA CROCE SULL’ARNO

Il Distretto industriale del cuoio e della pelle di Santa Croce è situato nella Toscana centrale. Si estende in un raggio di 10 km e comprende i comuni di: Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno e Santa Maria a Monte.

L’area è geograficamente definita come Valdarno Inferiore, per questo di parla indifferentemente di Comprensorio del Cuoio, del Valdarno Inferiore e di Distretto

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Industriale di Santa Croce, e rappresenta una delle principali realtà nel campo della lavorazione conciaria a livello italiano ed internazionale.

Figura 3:15

Le prime attività conciarie risalgono al 1800. I primi dati relativi all’attività conciaria in Toscana sono contenuti in una relazione di Filippo Neri del 1768, dalla quale emerge che la produzione di pellame nel Gran Ducato di Toscana era attiva in più di 20 centri abitati, come Firenze, Pisa e Arezzo. In questo contesto, l’industria si inizia a sviluppare anche nei piccoli centri abitati come Santa Croce sull’Arno. L’origine di tale distretto è artigianale, con le piccole concerie che svolgevano le loro attività nelle abitazioni del paese. Con il passare del tempo la produzione si è ingrandita, sfruttando le nuove tecnologie e acquisendo sempre più rilevanza sui mercati di riferimento.

Con la crisi monetaria internazionale, fra il 1907 e il 1914, si iniziarono a registrare le prime cessazioni di attività, ma con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, grazie alla domanda di calzature militari, si ebbero segni di ripresa. In questo periodo inoltre, si svilupparono nuove tecnologie, come il bottale, un macchinario utilizzato                                                                                                                

(37)

nelle varie fasi della concia, che permise la riduzione dei tempi di lavorazione e un maggior controllo diretto sulla produzione.

Intorno agli anni ’30, a causa della crisi dovuta al crollo del prezzo delle pelli, dei dazi introdotti dal Regime Fascista, e della Seconda Guerra Mondiale, molte concerie chiusero mentre quelle di maggiori dimensioni furono militarizzate e usate per soddisfare le esigenze del Regime Fascista.

Durante il periodo della ricostruzione, un importante ruolo fu svolto dagli istituti di credito locali, e intorno agli anni ’50 si contavano circa 150 concerie a Santa Croce. All’inizio del decennio successivo molte concerie si riconvertirono alla lavorazione con il cromo, e questa lavorazione permise una crescita di numero e di dimensione dell’attività conciaria.

L’abilità dei santacrocesi nello sfruttare la vicinanza del fiume Arno dette un importante contributo allo sviluppo dell’industria conciaria, proprio perché l’acqua è uno degli elementi fondamentali nel processo di conciatura, ed altrettanto importante fu la presenza intorno al paese di una vasta area boschiva, essenziale per l’approvvigionamento di sostanze necessarie, quale il tannino per la trasformazione della pelle a cuoio.

Iniziano a crearsi delle vere e proprie aree industriali: l’area intorno a San Miniato e Ponte a Egola che si caratterizzava per la presenza di concerie al vegetale e la produzione del cuoio da suola, l’area di Santa Croce che si distingueva per la presenza di concerie al cromo, e l’area tra Santa Maria a Monte e Castelfranco che era popolata da vari calzaturifici.

Gli anni ’70 si caratterizzarono per una rapida e importante espansione dell’attività conciaria, crebbero sia le dimensioni delle varie concerie, ma anche il numero degli addetti. Fino ad arrivare agli anni ’80 caratterizzati dalle tematiche ambientali, che ebbero un forte impatto nel Distretto sia a livello del settore conciario che occupazionale.

Da un punto di vista giuridico, il distretto nasce nel 1995, con la delibera del Consiglio Regionale Toscano n.36 del 3 febbraio, che ha definito le aree territoriali regionali configurabili come distretti industriali, ai sensi dell’art. 36 della legge 317/91 “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”. Il

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legislatore regionale, definisce i distretti aree territoriali in cui possono essere realizzati “specifici piani-programmi di sviluppo aventi l’obiettivo di creare le condizioni che consentono un uso ottimale e integrato delle risorse produttive esistenti o potenzialmente reperibili all’interno dell’area e la rimozione di eventuali vincoli che non ne permettono la loro piena valorizzazione.”16

Ad oggi il distretto industriale è rappresentato da un’agglomerazione territoriale di piccole e medie imprese operanti nello stesso settore, con una notevole specializzazione. Le imprese risultano fortemente radicate nel territorio, ed hanno una spessa rete di rapporti con gli attori sociali ed istituzionali che cercano di soddisfare le esigenze del sistema produttivo locale. Tutto ciò avvolto da una “atmosfera industriale”, che facilita lo scambio dell’informazione, aiuta la formazione professionale, semplifica la diffusione dell’innovazione e agevola al contempo, importanti flussi di economie esterne all’impresa, ma interne al sistema produttivo locale. (Beccattini G. 1979; Bellandi M., 1982; Becattini G., 1987). Il Distretto di Santa Croce si caratterizza per un mix di tradizione, artigianalità, qualità, flessibilità, e differenziazione produttiva, ed ha consolidato un forte legame con la moda che le ha permesso di assumere una posizione elitaria a livello nazionale ed internazionale.

L’interesse che le grandi marche della moda manifestano sulla lavorazione del distretto fa comprendere le potenzialità di questa area.

L’attività economica è caratterizzata da una manodopera versatile che permette al processo alti livelli di flessibilità, ovvero di essere in grado di reagire ai mutamenti della domanda variabile nel tempo e frammentata per specie di prodotti e mercati. La ricerca di una qualificazione sempre maggiore del personale all’interno nel settore è sinonimo di volontà nel mantenere elevato il livello delle produzioni. Il modello produttivo si caratterizza per una struttura estremamente frammentata di piccole e medie imprese con attività conto terzi specializzate in alcune fasi di lavorazione.

                                                                                                               

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Sono presenti nel distretto circa 600 aziende, tra concerie e lavorazioni conto terzi17. A completamento del distretto negli anni si sono affiancate attività direttamente o indirettamente collegate, come prodotti chimici, macchine per concerie, servizi, manifatture dell’abbigliamento, della pelletteria e delle calzature.

Per quanto riguarda la struttura economico-produttiva, il Comprensorio del cuoio appare come una delle aree a maggior tasso di industrializzazione della Toscana. I principali prodotti del distretto sono:

• Pelle e cuoio da suola per calzature (70% della produzione); • Pelletteria (15% della produzione);

• Abbigliamento (10% della produzione);

• Arredamento e altre produzioni (5% della produzione).

Grafico 3: I principali prodotti del distretto.18

                                                                                                               

17I  dati  sono  stati  forniti  dall’Associazione  Conciatori  aggiornati  al  2016  

18  Grafico  3:  I  dati  sono  stati  forniti  dall’Associazione  Conciatori-­‐  Consorzio  Conciatori  

Ponte  a  Egola  aggiornato  al  2016.  

I  principali  prodotti  

70%  Pelli  e  cuoio  da  suola   15%  Pelletteria  

10%  Abbigliamento   5%  Arredamento  e  altre   produzioni  

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