UNIVERSITA’ DI PISA
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea
Esofago di Barrett e lesioni precancerose: trattamento con radiofrequenza
Relatori
Chiar.mo Prof. Santino Marchi
Candidato
Dr. Biagio SolitoAi miei nonni e a Federico
Indice
1. Riassunto 5
2. Introduzione 7
3. Esofago di Barrett 8
a. Definizione 8
b. Epidemiologia, etiologia e fattori di rischio 8
c. Istologia 11 d. Dispalsia 13 e. Storia naturale 17 f. Diagnosi 19 g. Screening 20 4. Tecniche endoscopiche 20 a. Sorveglianza endoscopica 25 b. Stadiazione pre-intervento 26 5. Terapia 29
6. Aspettativa e qualità di vita 34
7. Ablazione con radiofrequenza 36
a. Background tecnico 36 b. Procedura terapeutica 38 c. Controindicazioni 43 d. Post trattamento 44 e. Regime di follow-up 45 8. “Burried Barrett” 45
a. Comparazione tra RFA e altre tecniche ablative endoscopiche 55 b. Ruolo del RFA nell’eradicazione dell’esofago di Barrett 57
c. Resoconto 59 10. Scopo studio 60 a. Materiali e metodi 60 11. Risultati 62 12. Conclusioni 65 13. Bibliografia 67 14. Ringraziamenti 90
Riassunto
L’esofago di Barrett è caratterizzato da un’alterazione metaplastica dell’epitelio squamoso esofageo con una prevalenza pari all’1,6% della popolazione mondiale adulta. La presenza della metaplasia intestinale comporta un aumentato rischio di progressione neoplastica verso l’adenocarcinoma, la cui incidenza nel mondo occidentale è drammaticamente aumentata nel corso degli ultimi decenni. La malattia progredisce attraverso gli stadi della metaplasia intestinale senza displasia (NDBE), la displasia di basso grado (LGD) e la displasia di alto grado (HGD): quest’ultima considerata a tutti gli effetti un tumore in situ dalla classificazione TNM.
La sorveglianza endoscopica può essere gravata da errori di campionamento, variabilità inter-osservatore, scarsa compliance del paziente, e risulta pertanto ancora scarsamente efficace nella prevenzione dello sviluppo della neoplasia, anche con il protocollo di Seattle (biopsie ai quattro quadranti ogni 1-2 cm per tutta l’estensione della mucosa di Barrett). La resezione esofagea chirurgica rimane il gold-standard terapeutico anche per la diagnosi di HGD, anche se è ancora gravata da un alto tasso di mortalità e morbilità peri e post-operatoria.
Negli ultimi anni, il miglioramento delle tecniche diagnostiche e l’introduzione di tecniche ablative endoscopiche, hanno comportato un netto miglioramento nella gestione terapeutica dell’esofago di Barrett e delle lesioni precancerose.
Tra le varie tecniche ablative endoscopiche, una delle più promettenti sembra essere l’ablazione con radiofrequenza (radiofrequency ablation; RFA), adottata e messa a punto presso la S.D. di Chirurgia dell’Esofago, in collaborazione con la U.O. Gastroenterologia Universitaria, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
avanzate (colorazione vitale con magnificazione endoscopica) e trattati mediante RFA. In particolare 2 pazienti con HGD, 4 pazienti con LGD e 6 pazienti con NDBE.
Dopo il primo trattamento con RFA, 6 casi su 6 (100%) hanno ottenuto la completa eradicazione della displasia e 9 casi su 12 (75%) hanno ottenuto la completa eradicazione della metaplasia. Nei 3 pazienti che non avevano risposto completamente al primo trattamento, è stato effettuato un secondo trattamento con RFA che ha avuto successo in 2 casi su 3. Globalmente, dopo una media di 1.25 trattamenti per paziente, l’eradicazione della metaplasia è stata ottenuta in 11 casi su 12 (92%). Il paziente con risposta ancora incompleta potrà ricevere un ulteriore trattamento.
Durante il trattamento e nel successivo follow-up, la cui media è di 19.25 mesi (r. 4-35), non sono intercorse complicanze maggiori come perforazioni, sanguinamenti, stenosi post-intervento o morti.
Questa tecnica è risultata molto efficace e sicura per il trattamento di tutti i gradi dell’esofago di Barrett, candidandosi ad essere la tecnica elettiva per la cura di quest’ultimo e per la prevenzione della progressione neoplastica dei suoi gradi di displasia.
Introduzione
L’esofago di Barrett (Barrett’s esophagus, BE) è un’anomalia metaplasica acquisita nella quale il normale epitelio squamoso stratificato che riveste l’organo è sostituito da un epitelio colonnare simil-intestinale. Sebbene di per sé sia un disordine asintomatico e benigno, l’importanza clinica di questa condizione relativamente comune è affidata al ruolo che essa ricopre come lesione pre-neoplastica verso lo sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo, la cui incidenza è drammaticamente cresciuta nelle popolazioni occidentali negli ultimi anni.
Visto il costante rischio di progressione neoplastica della mucosa metaplastica, l’inefficacia della sorveglianza endoscopica nell’individuare le lesioni neoplastiche precoci, nonchè la mortalità e morbilità correlate al trattamento chirurgico mediante esofagectomia, si sono sviluppate tecniche ablative endoscopiche che cercano di ovviare queste difficoltà.
Fra tutte le tecniche ablative, una delle più promettenti è l’ablazione endoscopica con radiofrequenza (RFA). Secondo la letteratura e il nostro studio questa tecnica è molto efficace nell’eradicare sia la displasia sia la metaplasia di Barrett, ed inoltre è una metodica non gravata dalle complicanze che le altre tecniche ablative endoscopiche comportano.
Esofago di Barrett
Definizione
L’esofago di Barrett deve il suo nome al chirurgo toracico Norman Barrett che, nel 1950, descrisse per primo questa condizione [1]. Nel corso degli anni sono state date diverse definizioni del BE fino a che, nel 2011 dopo l’ultima revisione tecnica, la American Gastroenterological Association (AGA) ha deciso di definirla nel seguente modo [2]:
“condizione in cui qualunque estensione di epitelio metaplastico colonnare, che predispone allo sviluppo di un cancro, sostituisce l’epitelio squamoso stratificato che normalmente riveste l’esofago distale[…] suggeriamo che il termine esofago di Barrett debba essere utilizzato solo per i pazienti che presentano metaplasia intestinale […], unico epitelio che chiaramente predispone alla malignità”
Epidemiologia, etiologia e fattori di rischio
Il BE è correlato clinicamente alla presenza della malattia da reflusso gastro-esofageo cronico (GERD) [3]. I pazienti che presentano reflusso gastrico acido in associazione con quello duodeno-biliare, costituito da enzimi pancreatici e sali biliari, sviluppano più facilmente il BE rispetto a quelli con solo reflusso acido [4]. Ciò nonostante solo circa il
10% dei pazienti con GERD sviluppa il BE [5-6], che, negli ultimi studi di popolazione, arriva ad avere una prevalenza dell’ 1.6% [7].
Vista la bassa percentuale di pazienti con GERD che sviluppa il BE, si devono ricercare altri fattori concomitanti implicati nell’insorgenza della metaplasia:
Fattori correlati ad un aumentato rischio
Età: tipicamente il BE viene diagnosticato dopo la sesta decade di vita [5;8], e la probabilità
di riscontro della metaplasia è direttamente proporzionale all’età [5]. Probabilmente questo è correlato alla durata dell’esposizione all’insulto del reflusso gastro-esofageo subito dalla mucosa esofagea.
Sesso: nei casi diagnosticati di BE vi è una predominanza nel sesso maschile con un
rapporto maschi/femmine di 1.5-3:1 [8]. Questa differenza potrebbe essere imputabile alla differente azione ormonale sulla parete esofagea, alla diversa distribuzione del tessuto adiposo o ad altri fattori ignoti.
Razza: la razza caucasica sembra più soggetta allo sviluppo del BE [5].
Reflusso gastro-esofageo: nei pazienti affetti da GERD si ha un rischio relativo maggiore di
10 in confronto alla popolazione di controllo [9;10]. la comunità scientifica ritiene che il reflusso gastro-esofageo sia la principale causa del BE.
Ernia jatale: lo studio pubblicato da Avidan mette in luce una certa correlazione tra BE e
Ernia jatale: il 76% dei pazienti con BE ha anche ernia jatale in confronto al 36% della popolazione di controllo [11]. Inoltre sembra che il riscontro del BE sia dipendente anche dalla dimensione dell’ernia, risultando maggiore per ernie maggiori di 4 cm [11;12].
Obesità: è uno dei maggior fattori di rischio per lo sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo,
aumentando il rischio relativo di 2 o 3 volte il normale per valori di body mass index (BMI) superiori a 30. Sono stati condotti diversi studi che cercavano di correlare il BMI con l’aumento d’incidenza del BE. In realtà è stato visto che il fattore che influenza di più l’insorgenza della metaplasia è la distribuzione del grasso corporeo [13;14] di tipo androide. Questo sembra avvenire o per un’aumentata produzione di citochine come il tumor necrosis factor α (TNF-α) e l’Interleuchina 6 (IL-6), o per alterazioni ormonali che favoriscono la replicazione, come l’aumento della leptina o la diminuzione dei valori di adiponectina che ha funzione antiproliferativa. Tutte queste teorie però devono ancora essere studiate più accuratamente per poter effettivamente mettere in correlazione l’aumento della leptina con un maggior rischio di BE.
Altri fattori: anche il fumo sembra essere implicato nell’aumentare il rischio di sviluppare il
BE [9-10-14] anche se alcuni studi sono discordanti [15;16].
Altri studi epidemiologici invece non hanno trovato correlazione tra alcol e BE e addirittura 2 studi hanno trovato una correlazione inversa con il consumo di vino [17;18].
Inoltre è stata riscontrata una componente ereditaria anche se variabile e con espressività complessa [19;20]. Ci sono studi un po’ contrastanti sulla prevalenza familiare, perché alcuni attestano una percentuale del 6% [21], mentre altri del 24% [22].
Fattori correlati ad una diminuzione del rischio
Infezione da Helicobacter Pilori (HP): la positività sierologica per l’infezione da HP è
correlata ad un minor rischio di sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo (esophageal adenocarcinoma, EAC) [23]. Nonostante questa evidenza, il ruolo del HP nel BE non è ancora chiaro, visto che sembra ridurre l’incidenza della metaplasia ma non si può escludere
che questo sia totalmente dipendente dalla riduzione dell’acidità gastrica data dall’infezione del batterio[24;25].
Farmaci: l’uso di aspirina e di infiammatori non steroidei (nonsteroidal
anti-infiammatory drugs, NSAIDs) riducono il rischio di sviluppo del BE [26]. Questo effetto chemio-protettivo è dovuto all’inibizione, da parte di questi farmaci, della ciclo-ossigenasi 2 (cyclo-oxigenase 2, COX2) e ad altre azioni indipendenti [27;28]: durante degli studi in vitro è stato osservato una diminuzione della proliferazione cellulare, l’inibizione della neoangiogenesi e un aumento dell’apoptosi [29-32].
Anche l’uso prolungato d’inibitori della pompa protonica (proton pump inhibitors, PPIs) riducono l’incidenza di displasia e di adenocarcinoma in pazienti con BE [33-36]
Fattori dietetici: un dieta ricca di fibre, frutta, verdura fresca e carne [37], e un maggior
introito di elementi antiossidanti come Vitamina C, E e Beta-carotene [38] riducono il rischio di sviluppo e di progressione del BE.
Chirurgia anti-reflusso: secondo alcune ipotesi, la fundoplicatio dovrebbe prevenire
l’insorgenza del BE evitando che i succhi bilio-pancreatici, insensibili all’uso dei PPIs, possano agire sulla mucosa esofagea. Dopo studi, su un largo numero di pazienti, non è stata trovata tuttavia un significativo effetto protettivo verso il cancro [39-43].
Istologia
Attraverso un processo metaplastico, nel BE, si ha la sostituzione del normale epitelio squamoso dell’esofago distale con un epitelio colonnare, il quale, per ragioni ancora non
conosciute, è predisposto alla trasformazione neoplastica. In questo contesto metaplastico possiamo riscontrare 3 tipologie di epitelio colonnare [44]:
1. epitelio gastrico di tipo fundico, che contiene cellule muco-secernenti, cellule parietali e cellule principali
2. epitelio di tipo cardiale o giunzionale, che contiene quasi esclusivamente cellule muco-secernenti
3. epitelio di tipo intestinale (chiamato anche epitelio colonnare specializzato o metaplasia intestinale specializzata) con cellule caliciformi prominenti.
I tipi 1 e 2 possono essere irriconoscibili dal normale epitelio gastrico; questo comporta problemi diagnostici durante l’esame anatomopatologico dei prelievi bioptici eseguiti su questo tipo di epitelio. Alcuni studi hanno dimostrato che l’epitelio di tipo cardiale possa comunque essere il risultato di una metaplasia dovuta ad una GERD cronica [45]. Con studi istochimici e genetici è stata trovata la presenza di alterazioni molecolari, simili a quelle riscontrate nella metaplasia intestinale, le quali possono predisporre all’insorgenza dell’EAC [46;47]. Quindi, anche se la presenza di epitelio cardiale può essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo dell’EAC, non sappiamo esattamente il grado di questo rischio.
Il riscontro del terzo tipo, invece, è palesemente anormale e sembra essere l’unico che chiaramente predispone alla malignità. Quindi per fare diagnosi di BE è necessario trovare dei campioni bioptici con presenza di metaplasia intestinale [45].
L’origine cellulare del BE non è ancora chiara. Studi condotti su animali hanno sconfessato l’ipotesi secondo la quale le cellule colonnari gastriche della giunzione gastro-esofagea (Gastroesophageal junction, GEJ) migrassero cranialmente dando vita cosi al BE [48].
Adesso è accettata l’idea che le cellule colonnari nascano da cellule staminali multipotenti presenti nell’esofago, ma i siti di origine possono essere diversi:
1. le cellule potrebbero svilupparsi da cellule staminali presenti nello strato basale, nelle regioni intra-papillari, dopo un processo di riprogrammazione [49-51];
2. dalle cellule di rivestimento dei dotti delle ghiandole mucose dell’esofago attraverso un processo di migrazione e differenziazione [52-54];
3. dalle cellule squamose del normale epitelio esofageo mediante un processo di trans-differenziazione, con un effetto epi-genetico sulle cellule post-mitotiche dovuto al reflusso gastro-esofageo cronico [55-57].
4. in seguito a cambiamenti, mutazionali e/o ambientali, nei segnali regolatori e nella produzione di citochine da parte delle cellule del compartimento stromale, come mio-fibroblasti e cellule infiammatorie della sottomucosa [52;58].
Displasia
La displasia viene definita come “epitelio inequivocabilmente neoplastico, confinato alla membrana basale” [59]. L’attivazione di oncogeni e l’inattivazione dei geni onco-soppressori, attraverso il processo di cancerogenesi che avviene nel BE, determinano alterazioni morfologiche del tessuto, configurando cosi il quadro displastico (detta anche neoplasia intraepiteliale) [60].
Classificazione di Vienna
Esistono 2 classificazioni per descrivere la displasia nel tratto gastrointestinale compreso il BE [59;61]. La classificazione di Vienna ha come scopo quello di appianare le divergenze tra patologi occidentali e quelli giapponesi [62]. Prendendo come riferimento la nomenclatura americana, in questa classificazione si individuano 6 gradi di displasia:
1. Negativo per displasia (negative for dysplasia, NEG) 2. Indeterminato per displasia (indefinite for dysplasia, IND) 3. Displasia di basso grado (low-grade dysplasia, LGD) 4. Displasia di alto grado (high-grade dysplasia, HGD)
5. Adenocarcinoma intramucoso (intramucosal adenocarcinoma, IMC) 6. Adenocarcinoma invasivo (invasive adenocarcinoma, IC)
1. Negativo per displasia
Per fare questo tipo di diagnosi istologica l’epitelio deve essere colonnare metaplastico, con modificazioni rigenerative e preservazione dell’architettura delle cripte. Inoltre le cellule devono mantenere la maturazione di superficie caratterizzata da: un normale rapporto nucleo/citoplasma (N/C), un numero di mitosi variabile ma normale, il contenuto di mucina può essere ridotto ma che aumenta nelle cellule delle cripte superficiali circostanti.
Anche se la diagnosi è negativa per la displasia, è possibile che, all’interno della popolazione cellulare colonnare del BE, vi siano già dei cloni cellulari con alterazioni molecolari che, anche se non sono ancora evidenti fenotipicamente, potrebbero in futuro essere l’origine dell’adenocarcinoma; questa affermazione è avvallata da studi che hanno
messo in evidenza, nel 85-90% dei pazienti con BE, la presenza di una o più mutazioni di p16 e p53, direttamente correlate alla lunghezza del BE [63-66]. Questi studi inoltre danno maggior forza all’ipotesi che il BE sia il risultato di una proliferazione clonale neoplastica, piuttosto che una risposta policlonale ad un danno [67;68].
In alcuni casi, le normali risposte rigenerative dell’epitelio possono essere difficilmente differenziate dalla displasia; soprattutto quando queste alterano l’architettura ghiandolare con ramificazione e proliferazione delle cripte, la presenza di atrofia e una certa attività mitotica che si trova maggiormente a ridosso della GEJ [62;69;70].
2. Indeterminato per displasia
Questa definizione è spesso legata all’esperienza del patologo [71] che, sia per l’elevata variabilità delle modificazioni rigenerative nello spettro delle displasie di basso grado, sia per artefatti tecnici o per risposte rigenerative atipiche, non può fare diagnosi certa di displasia.
3. Displasia di basso grado (LGD)
Esistono 2 tipi di LGD; adenomatoso e non adenomatoso. Il primo tipo è il più frequente ed è caratterizzato dalla presenza di cripte con architettura prevalentemente conservata o con piccole atipie, come ad esempio i nuclei a punta di matita presenti nella porzione basale del citoplasma. I nuclei sono tipicamente allungati, ammassati e ipercromici, con contorni irregolari e cromatina addensata con o senza nucleoli multipli. Le cellule displastiche sono
povere di mucina, e si nota una riduzione nel numero di cellule caliciformi. Altre caratteristiche includono un aumento nel numero delle mitosi, tipiche e non, conservazione o meno della polarità cellulare, un aumentato rapporto N/C, in particolar modo alla base delle cripte, e assenza della maturazione superficiale, quest’ultimo segno tipico di displasia.
4. Displasia di alto grado (HGD)
Con la progressione ad HGD, il grado di complessità citologica e architetturale diventa estremamente avanzato. La diagnosi si pone se una di queste caratteristiche è presente in maniera cospicua nel tessuto in esame, in assenza dell’altra [66;69].
Le alterazioni architetturali caratteristiche sono: un’aumentata proliferazione e ramificazione, un marcato affollamento evidenziabile come un marcato decremento dello spessore della lamina propria tra le cripte displastiche e una configurazione irregolare con ponti e papille intraluminali.
Citologicamente troviamo cellule con nucleo marcatamente pleomorfo, contorni irregolari, rapporto N/C aumentato, perdita della polarità cellulare ed elevato numero di mitosi atipiche, in particolar modo nelle zone più alte delle cripte e sulla superficie epiteliale, stratificazione nucleare a tutto spessore. I nucleoli, quando presenti, sono ingranditi e con contorni irregolari. Similmente al LGD, la deplezione di mucina è notevole e le cellule caliciformi sono drasticamente diminuite o totalmente assenti.
5. Adenocarcinoma intramucoso
La progressione neoplastica genera piccoli gruppi di cellule che oltrepassano la membrana basale ed invadono la lamina propria e la muscolaris mucosae, aumentando così il rischio di metastasi linfonodali, la cui percentuale di riscontro si aggira intorno al 5-8% [72-74]. La presenza di necrosi o di reazione desmoplastica, anche se di difficile riscontro, è patognomonica per la presenza di adenocarcinoma [72].
6. Adenocarcinoma invasivo
Il carcinoma invasivo è un tumore che invade la sottomucosa. In questi casi, il rischio di metastasi linfonodali è alto (20%) ed aumenta con la profondità di invasione [75-80].
Storia naturale
Sebbene di per sé sia un disordine asintomatico e benigno, l’importanza clinica del BE è affidata al ruolo che essa ricopre come lesione preneoplastica verso lo sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo, la cui incidenza è drammaticamente cresciuta nelle popolazioni occidentali negli ultimi anni, con un aumento pari a circa il 500% dagli anni 70 ad oggi [81]. Inoltre questo tipo di tumore rimane molto letale, con una sopravvivenza a 5 anni di meno del 15% [82].Come abbiamo visto, vi sono 3 grandi categorie: LGD, HGD e adenocarcinoma.
Per quanto riguarda LGD vi sono dati contrastanti riguardo alla sua progressione verso l’adenocarcinoma. In alcuni studi hanno trovato un rischio di progressione ad adenocarcinoma sovrapponibile a quello della popolazione dei pazienti con BE [83-85], in altri invece è stato riscontrato un tasso d’incidenza nettamente più alto [86;87]. Il motivo di questa divergenza di risultati può essere dovuto alla scarsa convergenza nei criteri di diagnosi di LGD tra i patologi. Una diagnosi concordata da 2 patologi e la valutazione dell’estensione della LGD sembra migliorare la capacità di individuare pazienti a rischio di progressione neoplastica [86-88].
Un altro elemento da considerare è che una grande parte dei pazienti con LGD sembra andare incontro a regressione spontanea, definita come l’assenza di displasia ai controlli successivi alla diagnosi [41-85]. In uno dei più larghi studi longitudinali è stato riscontrato che nel 42% di pazienti con LGD non è stato riscontrato niente nei controlli endoscopici successivi, nel 32% il riscontro di displasia lieve è stato intermittente durante la sorveglianza e che l’incidenza di adenocarcinoma esofageo è risultata del 0.6%, sovrapponibile a quella della popolazione dei pazienti con BE [75;89-93].
L’HGD ha una storia diversa e più conosciuta. In una recente meta-analisi è stata riscontrata un’incidenza di progressione ad adenocarcinoma pari al 5.6-6.6% per anno [94].
Il rischio di adenocarcinoma su BE rimane poco chiaro. Nelle revisioni sistematiche più recenti si suggerisce un tasso approssimativo dello 0,5% per l’intera popolazione di pazienti con BE. Si è visto come esso correli col sesso, con l’estensione della metaplasia intestinale e la presenza di displasia. I pazienti con BE a segmenti lunghi hanno un’incidenza più alta di adenocarcinoma rispetto ai pazienti che hanno un BE a segmenti corti [95]. In uno studio condotto in Spagna, il rischio annuale era dello 0,57% per i pazienti con BE a lunghi
segmenti rispetto allo 0,26% dei pazienti con BE a corti segmenti [96]. Il rischio è inoltre più basso nelle donne rispetto agli uomini (0,45 vs 1,02 %) [97].
Diagnosi
Nel 1998 l’American College of Gastroenterology pubblicò le linee-guida per la diagnosi e il trattamento del BE. La diagnosi di BE richiede biopsie sistematiche della mucosa anormale dell’esofago, atte a individuare aree di metaplasia intestinale specializzata, con cellule caliciformi, ed, eventualmente, zone di displasia [98].
Il sospetto diagnostico si ha quando, durante un esame endoscopico dell’esofago distale, si osserva il caratteristico epitelio colonnare, vellutato e di color salmone, al di sopra del GEJ. Visto che la presenza di metaplasia e il rischio di progressione sono correlati direttamente all’estensione del rivestimento anomalo, è stato necessario classificare il BE in tal senso:
Classicamente il BE è stato suddiviso in 3 categorie: a segmento lungo (quando l’epitelio metaplastico si estende per 3 cm o più sopra la GEJ), a segmento corto (se l’estensione è minore di 3 cm) o a segmento ultracorto (se l’estensione è minore a 1 cm) [99].
Più recentemente è stato proposto un altro sistema, raccomandato dall’AGA, la classificazione di Praga, i cui criteri si basano sull’estensione longitudinale massima dell’area circonferenziale (C) e dell’intero rivestimento colonnare (M) [100].
Screening
Anche se non esistono studi clinici che dimostrino benefici clinici nell’effettuare lo screening endoscopico per il BE, la pratica rimane diffusa tra i clinici. Lo screening viene eseguito soprattutto se il paziente presenta una sintomatologia cronica legata al GERD e se sono presenti altri fattori di rischio, come il sesso maschile [101-105], l’età maggiore di 50 anni, la presenza di ernia iatale, la razza caucasica, il BMI e la distribuzione di tessuto adiposo intra-addominale.
Alcuni esperti raccomandano di eseguire almeno un’endoscopia in tutti i pazienti con GERD [98; 106], ma non è stato ancora definito il timing specifico in base all’età del paziente e alla durata dei sintomi.
Tecniche endoscopiche
Al giorno d’oggi, esistono diverse tecniche diagnostiche che mirano ad individuare, con elevata sensibilità e specificità, le zone displastiche e neoplastiche che possono insorgere nel contesto del BE; alcune di queste, come la Magnificazione endoscopica associata alla Cromografia o la Narrow Band Imagining, sono ampiamente utilizzate e validate, altre invece necessitano di ulteriori studi che ne garantiscano l’efficacia diagnostica.
Endoscopia a luce bianca
È la tecnica che fa porre il dubbio diagnostico di BE, in quanto permette una immediata visualizzazione della mucosa anomala, color salmone, dell’esofago distale. Inoltre, anche se non ci sono studi che dimostrino la sua effettiva utilità, è utilizzato nella sorveglianza dei pazienti con BE, insieme ai prelievi bioptici eseguiti secondo il protocollo di Seattle [107]. Tale protocollo raccomanda di effettuare biopsie ai quattro quadranti partendo dalla GEJ [108;109] ogni 1-2 cm per tutta l’estensione della mucosa di Barrett.
In rapporto alla diversa estensione della mucosa metaplastica endoscopicamente sospetta per la presenza di metaplasia intestinale (ESEM, Endoscopic Suspicious of Esophageal Metaplasia) esistono diversi protocolli da utilizzare [110-112]:
mucosa a "fiamma": biopsia ogni 1-2 cm di fiamma (su ogni fiamma); + biopsia su mucosa normale;
"isole" di mucosa metaplastica: campionamento bioptico di ciascuna isola + biopsia aggiuntiva di mucosa normale;
mucosa metaplastica circumferenziale: quattro biopsie ogni 2 cm di mucosa (una per quadrante) + biopsia aggiuntiva di mucosa normale.
Esistono inoltre gli endoscopi ad alta risoluzione (High-Resolution Endoscopes, HRE), che permettono di eseguire la magnificazione endoscopica, aumentando la risoluzione spaziale per individuare anormalità microscopiche nelle strutture ghiandolari e vascolari della mucosa. Con l’aggiunta di una lente mobile per la magnificazione, la distanza focale può essere notevolmente ridotta, permettendo una più vicina valutazione della superficie mucosa (<3 mm).
Cromoendoscopia
Vista la laboriosità e la scarsa praticità nell’usare HRE con magnificazione per esaminare un’estesa superficie mucosa, questa tecnica è stata combinata con la Cromoendosopia per aumentare la possibilità di trovare zone mucose anormali.
La Cromoendoscopia è una tecnica che prevede la colorazione con coloranti specifici per la mucosa esofagea, così da permettere una migliore individuazione delle zone da sottoporre a biopsia. I coloranti usati si possono classificare in:
1. coloranti vitali: vengono assorbiti dalle cellule (blu di metilene, soluzione di Lugol, blu di toluidina);
2. coloranti di contrasto: colorano la superficie mucosa (indaco di carminio 0,2-0,4%, acido acetico);
3. coloranti reattivi: agiscono secondo il pH della mucosa (rosso Congo, rosso fenolo); 4. coloranti per tatuaggio: colorano la sede di iniezione permanentemente (inchiostro di
china) o temporaneamente (blu di metilene)
Nell'esofago i coloranti più utilizzati sono:
1.
Acido acetico: ad una concentrazione di 1-5% ml, utilizzato con gli endoscopi a
magnificazione aumenta il contrasto della giunzione squamo-colonnare nella mucosa esofagea.2. Lugol: utilizzato al 1-2% in un volume di 20-50ml. Si lega ai granuli di glicogeno contenuti nelle cellule e, dopo l’assorbimento, la superficie assume una colorazione marrone verdastra detta “a crespo di seta”; mentre in presenza di aree di flogosi, di epitelio colonnare, di displasia o di carcinoma assume una debole o nulla colorazione
3. Blu di toluidina: colorante basico che assorbito dalle cellule si lega agli acidi nucleici. Il suo utilizzo in soluzione acquosa al 1% è utile per identificare le aree neoplastiche e le displasie severe.
Con lo sviluppo degli endoscopi ad alta risoluzione e di quelli a magnificazione d’immagine, soprattutto in combinazione alla colorazione con acido acetico [113] e all’utilizzo di monitor ad alta definizione è possibile ottenere una precisione diagnostica di esofago di Barrett pari al 92,2% rispetto al 55% dell'endoscopia convenzionale [114;115].
Lo sviluppo della tecnica di magnificazione endoscopica con acido acetico consente, infatti, la valutazione del pattern morfologico e vascolare attraverso un forte ingrandimento (150X) della mucosa esofagea, individua le più fini modificazioni della mucosa consentendo biopsie mirate. La possibilità di visualizzare la mucosa con forte ingrandimento ha permesso la creazione di una classificazione della superficie mucosa:
Classe 1: pattern circolare (normalità)
Classe 3: pattern ovalare allungato
Classe 4: pattern tubulare
Classe 5: pattern villoso
Questa classificazione è molto importante perché vi è una forte associazione tra alcuni pattern e la presenza di displasia o neoplasia intramucosa. I pattern di classe 3 (ovale allungato), di classe 4 (tubulare) e di classe 5 (villoso) sono associati a percentuali variabili di riscontro di metaplasia intestinale (esofago di Barrett) rispettivamente nel 40%, 100% e 100% [113]. I pattern di classe 4 e 5, inoltre, possono risultare sospetti per la presenza di displasia di alto grado nell’ 87,5% dei casi [113].
Narrow Band Imaging (NBI)
Questa tecnica endoscopica enfatizza, attraverso dei filtri per la luce, la neoangiogenesi e il pattern vascolare delle lesioni sospette nel contesto del BE. L’associazione di NBI con HRE sembra essere in grado di migliorare l’efficienza nel individuare le zone displastiche e nel ridurre il numero di biopsie necessarie per l’inquadramento diagnostico corretto. Tuttavia sono necessari ulteriori studi per verificare questa potenzialità.
Sorveglianza endoscopica
L’endoscopia a luce bianca è il gold standard per il controllo dei pazienti con BE, anche se non ci sono dati che assicurino un’effettiva utilità clinica e diagnostica.
L’intervallo delle indagini diagnostiche di sorveglianza è in relazione al grado di displasia presente: 3-5 anni nei pazienti con BE senza displasia, 6-12 mesi nei casi di LGD e 3 mesi se è presente HGD [110].
Il razionale di questo controllo è l’aumentato rischio di progressione del BE in adenocarcinoma e, quindi, il precoce riconoscimento di neoplasie allo stato iniziale. Anche se non ci sono studi che dimostrino l’utilità di questa procedura, soprattutto dopo il miglioramento delle terapie ablative endoscopiche, la sorveglianza è consigliabile farla in pazienti che hanno una lunga aspettativa di vita data dalla terapia possibile per la neoplasia iniziale.
Durante l’ispezione endoscopica, si pone attenzione all’intera area di metaplasia, usando una luce bianca, cercando di identificare neoplasie esofagee ad uno stadio iniziale, di solito sotto
forma di displasia. Per cercare di non saltare porzioni di mucosa, vengono prelevati campioni bioptici specifici nelle zone di mucosa irregolare, in tutti e 4 i quadranti ad intervalli di 1-2 cm l’una dall’altra, con l’intento di massimizzare le possibilità di identificare lesioni insospettabili, che possono essere distribuite a caso nell’epitelio come spesso accade. Le parti che contengono noduli, masse od ulcerazioni vengono campionate separatamente secondo il protocollo di Seattle [116].
Tuttavia, tale sorveglianza non viene eseguita in modo rigoroso e sembra esservi una correlazione inversa tra estensione della metaplasia di Barrett e aderenza al protocollo [117;118]. Inoltre, va tenuta in considerazione la presenza lead-length time bias negli studi osservazionali attualmente disponibili, che potrebbero quindi determinare una sovrastima dei vantaggi della sorveglianza endoscopica [119;120].
Stadiazione pre-intervento
Per poter effettuare una corretta resezione endoscopica è necessario accertare e delineare le caratteristiche istologiche e macroscopiche delle lesioni ed escludere il coinvolgimento linfonodale [121;122]. Devono quindi essere accertate le condizioni che identificano l’Early Gastrointestinal Cancer (EGiC). Per poter correttamente stadiare e individuare il trattamento più indicato per l’EGiC, sono state create e universalmente riconosciute due classificazioni:
Classificazione di Vienna [123];
Classificazione di Vienna
La Classificazione di Vienna è stata creata per dare indicazione di trattamento alle lesioni neoplastiche e displastiche della mucosa esofagea in base a
caratteristiche esclusivamente istologiche e citologiche. In tale classificazione le neoplasie vengono suddivise in invasive e non invasive in base al coinvolgimento o meno della membrana basale. Le neoplasie non invasive includono la displasia di basso (LGD) ed alto grado (HGD); mentre le neoplasie invasive comprendono i carcinomi intramucosi e quelli infiltranti la sottomucosa [125].
Classificazione di Parigi
La classificazione di Parigi è una classificazione macroscopica dei tumori precoci del tratto gastrointestinale
Il rischio di metastasi ai linfonodi aumenta con la penetrazione del tumore in parete e cambia a seconda della sede considerata [126-129]. Per quantificare il rischio di metastasi linfonodali, le tonache mucosa (m) e quella sottomucosa (sm) sono state suddivise in tre parti: m1 (epitelio), m2 (lamina propria), e m3 (muscularis mucosae); sm1, sm2, e sm3. Lo stadio sm1 è ulteriormente sotto-classificato in a, b e c in base al grado di estensione orizzontale della neoplasia [80]. La maggior parte delle neoplasie precoci che arrivano allo strato sm1, con l'eccezione dei tumori squamo cellulari dell’esofago e dei tumori scarsamente differenziati, sono considerate curabili con l'asportazione endoscopica in relazione alla bassa probabilità di diffusione metastatica per via linfatica e linfonodale. La probabilità di invasone linfonodale può essere così riportata:
STADIO RISCHIO DIFFUSIONE LINFONODALE T1 m 1.30% T1 m1 m2 0% T1 m3 3.80% T1 sm 12% T1 sm1 11%
Terapia
L’obiettivo della terapia per il BE è lo stesso di quello per la GERD: il controllo dei sintomi dovuti al reflusso gastro-esofageo e il mantenimento di una mucosa esofagea integra [110]. Un sottogruppo di pazienti può avere una sintomatologia di rigurgiti, nonostante il controllo dell’esposizione all’acidità dell’esofago [130]. Questi pazienti, come per quelli con manifestazioni extra-esofagee, sono candidati alla chirurgia anti-reflusso. I pazienti con BE hanno una più severa esposizione al reflusso acido che i pazienti con GERD [131;132], e il controllo dei sintomi può richiedere dosi maggiori di PPIs [133;134]; se una sola somministrazione al giorno non garantisce un controllo ottimale della sintomatologia, allora si può scegliere di somministrare il PPI due volte al giorno.
Per i pazienti candidati alla chirurgia anti-reflusso, la fundoplicatio riesce a controllare la sintomatologia in molti di questi [135;136], ma raramente comporta l’eliminazione dell’epitelio pre-maligno [137].
Alcuni pazienti con il BE non hanno nessun tipo di sintomatologia; questo può essere dovuto sia ad una scarsa collaborazione del soggetto alle indagini diagnostiche, sia ad un elevata soglia del dolore che non permette il manifestarsi dei sintomi tipici [138-140]. Anche in questo tipo di pazienti è consigliato il trattamento con i PPIs.
È controverso il fatto che l’obiettivo della terapia per il BE siano il controllo dei sintomi e la normalizzazione dell’esposizione acida dell’esofago: l’evidenza suggerisce che, anche se con un’elevata dose di PPIs si riesce ad eliminare l’esposizione della mucosa esofagea all’acido, tuttavia, di solito, non si ha la regressione del BE [130;141;142].
In alcuni studi, aspirina e altri FANS sembrano ridurre il rischio di progressione verso il carcinoma [143], soprattutto verso l’adenocarcinoma [144]. Questi dati potrebbero suggerire la possibilità di usare questi farmaci in studi per la prevenzione.
Visto che la terapia medica e quella chirurgica anti-reflusso gastro-esofageo non riescono ad eliminare di solito la metaplasia intestinale, vengono usati alcuni tipi di terapie endoscopiche ablative per avere più possibilità di raggiungere questo scopo.
In combinazione con la terapia medica con PPIs e la chirurgia anti-reflusso [145-148], queste tecniche endoscopiche sembra che riescano ad eliminare la metaplasia, ri-epitelizzando la mucosa esofagea con epitelio squamoso.
Rimane però il problema della completezza e della durata di questa regressione verso il normale epitelio esofageo; l’impatto della terapia medica, chirurgica e dell’ablazione endoscopica sulla progressione neoplastica del BE non è stato ancora ben definito.
Le principali tecniche terapeutiche endoscopiche sono le seguenti:
1. Resezione mucosa endoscopica 2. Elettrocoagulazione multipolare 3. Coagulazione con Argon Plasma 4. Terapia Fotodinamica
5. Crioterapia
6. Ablazione con radiofrequenze
1. Resezione mucosa endoscopica
Nella resezione mucosa endoscopica (Endoscopic mucosal resection, EMR) viene utilizzato un laccio diatermico o un bisturi endoscopico per rimuovere la metaplasia intestinale a livello di mucosa e sottomucosa, generalmente dopo la messa in evidenza dell’area di interesse per mezzo di una iniezione sottomucosa di liquido [149;150], prelevando campioni con grandi quantità di tessuto che vengono usati per valutare la profondità di un possibile coinvolgimento neoplastico e l’adeguatezza della resezione.
La EMR ha quindi un importante ruolo diagnostico-terapeutico per stadiare e rimuovere il BE con e senza displasia.
2. Elettrocoagulazione multipolare
Nell’elettrocoagulazione multipolare (Multi-polar electrocoagulation, MPEC) viene applicata energia termica alla mucosa utilizzando un catetere con diametro di 7-10F, dotata di elettrodo sulla punta, che viene fatto avanzare attraverso il canale di lavoro dell’endoscopio.
3. Coagulazione con Argon Plasma
E’ una tecnica ablativa (Argon Plasma Coagulation, APC) usata per eseguire una termocoagulazione del tessuto. E’ un elettrocoagulazione con la sonda che non viene a contatto con la mucosa, ma che utilizza una corrente monopolare ad elevata frequenza, condotta al tessuto mediante l’argon ionizzato. Viene riservata ai casi con lesioni superficiali.
4. Terapia Fotodinamica
Questo tipo di terapia ablativa (Photodynamic therapy, PDT) utilizza una sostanza orale sensibilizzante, come ad esempio l’acido 5-aminolevolinico o il porfimer sodico, seguita dall’esposizione alla luce nell’esofago che promuove il danno nelle cellule foto-esposte.
5. Crioterapia
E’ una terapia ablativa emergente per quanto riguarda il BE e consiste nell’applicazione sotto guida endoscopica di nitrogeno liquido, o diossido di carbonio liquido sotto forma di spray. I primi risultati come terapia curativa sono promettenti, ma sono necessari dati a lungo termine di conferma.
6. Ablazione con radiofrequenze
La terapia con ablazione a radio-frequenza (Radiofrequency ablation, RFA) si avvale di una serie di elettrodi ravvicinati, disposti circonferenzialmente su un palloncino, per esporre la mucosa esofagea a energia a radiofrequenza. Questo sistema è stato progettato con l’intento di creare una lesione termica circonferenziale ad una profondità controllata da un generatore, in grado di variare potenza, densità e durata dell’energia applicata. Questa tecnica verrà spiegata meglio in seguito.
Le complicanze maggiori della terapia di eradicazione endoscopica per BE includono la formazione di stenosi esofagee, sanguinamento e perforazione. Le complicanze minori sono dolore transitorio al petto, febbre e odinofagia.
Esofagectomia
Per decenni l’esofagectomia è stata il trattamento tradizionale raccomandato per i pazienti con HGD in BE [60]. In questi pazienti l’esofagectomia elimina definitivamente l’esofago rivestito da BE (displastico e non) e, a differenza delle moderne tecniche endoscopiche, permette la rimozione dei linfonodi associati che potrebbero essere metastatici. Sfortunatamente l’esofagectomia può essere associata ad importanti tassi di mortalità e morbilità a lungo termine che superano il 20% . Questa percentuale sembra essere inversamente correlata alla frequenza con cui viene eseguita l’operazione in un determinato centro [151]. Pertanto, il tasso di mortalità dell’esofagectomia è legato all’esperienza del chirurgo che la esegue.
Inoltre l’esofagectomia può causare sintomi dolorosi quali disfagia, sazietà precoce, perdita di appetito e stanchezza, che possono seriamente compromettere la qualità di vita. Pressoché tutti gli studi che hanno valutato la qualità di vita nel periodo immediatamente post-operatorio hanno riscontrato una qualità di vita ridotta [152]. C’è da ricordare però che i soggetti presi in esame sono per lo più affetti da carcinoma esofageo, quindi anziani debilitati dalla disfagia e dall’anoressia. Quando eseguita per curare la displasia e il carcinoma precoce in pazienti più giovani e sani con BE, il tasso di mortalità per l’operazione è sostanzialmente inferiore al 5%, e la qualità di vita a lungo termine
post-intervento è buona nella maggior parte dei casi.Sono proprio questi aspetti che hanno in gran parte alimentato il crescente interesse per l’eradicazione endoscopica della displasia.
Sebbene l’esofagectomia venga generalmente considerata la migliore e definitiva opzione terapeutica per i pazienti con displasia in BE, il nuovo riscontro di metaplasia colonnare (cardiale o intestinale) è frequente, presumibilmente come conseguenza dell’esofagite da reflusso che spesso accompagna questa procedura [153-157].
In sintesi, l’esofagectomia per HGD in BE rimuove definitivamente tutto l’esofago ad aumentato rischio di malignità (a differenza della EMR limitata e dell’ablazione endoscopica), fornisce un campione che può essere esaminato per valutare l’invasione (a differenza dell’ablazione endoscopica) ed evita il dubbio della presenza di metastasi ai linfonodi locali (a differenza della EMR dell’ablazione). Dunque, l’opzione terapeutica dell’esofagectomia merita ancora seria considerazione soprattutto per i pazienti più giovani o comunque idonei che presentano HGD in BE.
Aspettativa e qualità di vita nell’Esofago di Barrett
Nonostante vi siano risultati alquanto disparati degli studi sulla sopravvivenza per i pazienti, il BE non sembra determinare una riduzione dell’aspettativa di vita. Anche se le morti per adenocarcinoma esofageo sono più comuni negli individui con BE rispetto a quelli senza questa condizione, cionondimeno questo tipo di cancro rimane una causa rara di morte anche negli affetti [158;159]. Inoltre, visto che questo cancro si manifesta in età avanzata [160], l’impatto delle morti sulla sopravvivenza media delle coorti è abbassato, poiché dovute a malattie extra-esofagee, specie quelle cardiovascolari, che sono molto più comuni e
determinano tassi di mortalità più elevati giustificabili con l’associazione fra il BE e l’obesità, importante fattore di rischio per queste patologie [161;162].
C’è invece un sostanziale impatto negativo sulla qualità di vita. Attualmente, non esista una misura patologia-specifica, convalidata e largamente condivisa per testarla. Infatti, sebbene soggetti affetti abbiano costantemente una qualità di vita peggiore rispetto alla popolazione generale, non è chiaro quanto sia attribuibile all’ansia riguardo al rischio di cancro, al disagio rispetto ai sintomi della GERD, o ad altri fattori.
Una diagnosi di BE provoca uno stress psicologico, che sembra essere correlato ad un aumento nel consumo di farmaci [163] ed anche al grado di displasia nel BE . Sono stati creati dei sistemi per quantificare l’impatto psicologico: il 36-Item Short Form Health Survey (SF-36) [164], il Quality of Life in Reflux and Dyspepsia (QOLRAD) [165], il Gastrointestinal Quality of Life Index (GQLI) [166]. Indipendentemente dallo strumento utilizzato i pazienti con BE hanno ottenuto punteggi notevolmente più bassi rispetto alla popolazione generale.
Ablazione con radiofrequenza
Background tecnico
Negli Stati uniti, il sistema ablativo HALO® è commercializzato e distribuito da BÂRRX Medical Inc., Sunnyvle, CA. Il sistema HALO® comprende: HALO360 per un’ablazione
circonferenziale primaria e HALO90 per un’ablazione secondaria dei foci residui di BE.
HALO360 include un generatore di energia, un catetere ablativo e un palloncino insufflabile. Il generatore manda radiofrequenze agli elettrodi ed ha integrato un sistema pressione/volume per l’insufflazione del pallone usato per misurare il diametro interno esofageo.
Il catetere usato per misurare il diametro dell’esofago consiste in un corpo lungo 165cm con segni ogni centimetro e, alla sua parte distale, un palloncino trasparente anelastico lungo 4 cm, con un lume centrale per il passaggio del filo-guida.
Dopo l’attivazione tramite un pedale, il pallone viene gonfiato dal generatore HALO360+ con una pressione di 0.28 atmosfere; in questo modo viene calcolato il diametro medio dell’esofago per l’intera lunghezza del pallone, cioè per 4 cm.
Il dispositivo ablativo HALO360 è composto da un corpo lungo 165 cm con un pallone lungo 3 cm alla sua estremità distale, pallone che possiede 60 elettrodi bi-polari a forma di anello sulla sua superficie esterna. Questo dispositivo ablativo viene introdotto tramite un filo guida.
Il pallone ablativo è disponibile in diverse misure: 22, 25, 28, 31 e 34 mm.
Attraverso un pedale, il pallone viene gonfiato con una pressione di 0.48 atm e, subito dopo l’attivazione, negli elettrodi si genera radiofrequenza. Dopo studi dosimetrici effettuati sia sull’esofago suino che su quello umano, è stato dimostrato che per l’ablazione circonferenziale due applicazioni di energia a 10 J/cm2 o 12 J/cm2 e 40 W/cm2 sono i due regimi più efficaci per l’ablazione dell’intero epitelio, senza danni alla sottomucosa [13-15libro]. Nella pratica viene usata una potenza di 300 W.
L’ablazione focale può essere eseguita con HALO90, che consiste di un dispositivo ablativo
montato sull’endoscopio ed un generatore simile a quello dell’HALO360, ma senza il dispositivo pressione/volume. La struttura dell’elettrodo dell’HALO90, che è identica a quella dell’HALO360, è montata su una piattaforma articolata che consente all’elettrodo di muoversi sul piano sagittale e trasversale, permettendo così un contatto ottimale con la parete esofagea. Con un nastro elastico l’elettrodo può essere fissato ad ogni tipo di endoscopio con un range di diametro da 8.6 a 12.8 mm, senza che questo alteri la visione e la funzionalità dell’endoscopio stesso. L’elettrodo è lungo 20.62 mm e largo 13.21 mm, con una superficie attiva di 20 x 13 mm2, la quale permette un ablazione focale selettiva. Nella pratica viene usata una potenza di 104 W.
Attualmente è stato dimostrato che il regime ablativo di 15 J/cm2 e 40 W/cm2 o 3 x 12 J/cm2 riesce effettivamente ad eradicare IM. In base alla presenza o meno di displasia la densità di energia erogata è diversa: 10 J/cm2 se non vi è displasia o 12 J/cm2 se invece è presente.
Per le ablazioni focali esistono altri tipi di cateteri oltre all’HALO90 e sono:
HALO ULTRA LONG 40 mm x 13mm;
HALO60 15 mm x 10 mm;
HALO CHANNEL 15.7 mm x 7.5 mm.
HALO360 HALO ULTRA
HALO90 HALO60
Procedura terapeutica
La procedura della terapia ablativa circonferenziale e focale inizia con un’ablazione circonferenziale con HALO360, la quale comprende i seguenti passaggi:
1) Individuazione dei punti di riferimento esofagei: Dopo aver irrigato le pareti esofagee con acetilcisteina 1%, e lavato queste con acqua per rimuovere il muco in eccesso, si individuano, come punti di repere per la misurazione del diametro medio esofageo e la procedura di ablazione, lo sfintere esofageo inferiore e la massima estensione prossimale del BE (incluse le isole). Poi viene introdotto o un filo-guida rigido (Amplatz extra rigido 0.0035”, Cook, Danimarca, Europa) o una guida metallica, e viene rimosso l’endoscopio.
2) Misurazione del diametro esofageo interno: Il catetere per la misurazione viene connesso con il generatore HALO360, calibrato e introdotto seguendo il filo guida. La fase di misurazione è una procedura “cieca” che usa la scala di 1 cm sul corpo del catetere per collocarsi nei punti di repere corretti. Per la prima misurazione il catetere si colloca 5 cm sopra la parte più prossimale del BE. La parte distale del palloncino quindi viene poi collocata 1 cm sopra la parte più prossima di ogni mucosa di Barrett. La procedura di misurazione si avvia attraverso la pressione del pedale: il pallone viene gonfiato e il diametro esofageo interno viene calcolato automaticamente. Questa procedura viene ripetuta per ogni centimetro della parte esofagea interessata all’ablazione, facendo avanzare centimetro dopo centimetro il pallone fino a che un aumento della misurazione del diametro rivela la transizione del palloncino o in stomaco o in ernia iatale.
3) Scelta del catetere HALO360 appropriato: Basandosi sul diametro interno riscontrato prima, viene selezionato il catetere ablativo. Il diametro esterno del palloncino ablativo dovrebbe essere minore del diametro più piccolo riscontrato precedentemente. Nei pazienti che hanno già subito una resezione endoscopica il
catetere ablativo dovrebbe essere scelto conservativamente, ricordando che il palloncino per la misurazione del diametro interno calcola il diametro medio sulla lunghezza di 4 cm, il quale potrebbe risultare sovrastimato a livello della cicatrice dove è stata eseguita la ER [167].
4) Prima ablazione circonferenziale: Il catetere HALO360 viene introdotto seguendo il
filo-guida seguito da un endoscopio che viene inserito accanto al catetere ablativo. Sfruttando la visualizzazione endoscopica, il margine prossimale dell’elettrodo viene collocato 1 cm sopra il margine più prossimale dell’estensione del BE. Il pallone viene gonfiato, l’aria nell’esofago viene aspirata per permettere una maggiore adesione della mucosa al palloncino, e attraverso il pedale l’elettrodo viene attivato. Viene applicata energia per meno di 1.5 secondi, dopo di che il palloncino si sgonfia automaticamente. Il palloncino viene fatto avanzare e viene posizionato con una sovrapposizione con la zona precedentemente ablata di 5-10 mm. L’ablazione viene ripetuta su tutta la mucosa metaplasica.
5) Pulizia fra un ciclo e l’altro: Dopo la prima sessione ablativa, il filo-guida, il catetere ablativo e l’endoscopio vengono rimossi. All’esterno del paziente il catetere viene gonfiato e viene pulita dai coaguli la superficie dell’elettrodo con una garza bagnata. Viene messo un cappuccio morbido (Model MB-046, Olympus, Tokyo, Giappone) sulla punta dell’endoscopio: il soffice margine distale del cappuccio permette la rimozione del coagulo dalla zona ablata. Dopo che la maggior parte della zona ablata è stata pulita, viene spruzzata acqua attraverso un catetere con una pistola ad alta pressione (AllianceTM, Boston Scientific. Limerick, Irlanda, UK) che
rimuove i coaguli residui. Sebbene la minuziosa procedura di pulizia comporti un aumento del tempo di ablazione, è stato dimostrato che questa tecnica incrementa l’efficacia della prima sessione ablativa portando la percentuale di regressione dal 90% al 95% [168-170].
6) Seconda ablazione: Dopo la procedura di pulizia, l’intero BE viene sottoposto ad un’altra ablazione con le stesse impostazioni di energia.
Il trattamento per l’ablazione circonferenziale con HALO360 richiede circa 40-60 minuti e dipende dalla lunghezza del BE. Dopo 6-8 settimane dalla prima sessione i pazienti vengono rivalutati. Se è presente un residuo circonferenziale di BE > 2 cm e/o multiple isole o lingue, i pazienti vengono indirizzati verso una seconda ablazione circonferenziale. In caso di irregolarità della linea Z, piccole lingule, estensione circonferenziale < di 2 cm o isole diffuse, i pazienti invece vengono trattati con una seconda ablazione usando HALO90 seguendo il seguente procedimento:
1) Inserimento di HALO90: HALO90 viene montato sull’endoscopio e posizionato ad ore
12 in base alle immagini video; viene introdotto sotto controllo visivo. Quando viene individuata la cavità laringea, la punta dell’endoscopio viene abbassata per permettere il passaggio del catetere tra le aritenoidi. Si richiede al paziente di deglutire e l’endoscopio viene gentilmente fatto avanzare. In circa l’8% dei casi l’introduzione del catetere può risultare difficoltosa. In questi casi deve essere esclusa la presenza del diverticolo di Zenker e l’introduzione del dispositivo non deve mai essere forzata. Se la manovra risulta eccessivamente complicata, si può
ricorrere all’utilizzo di un palloncino CRE che permette di aprire lo sfintere esofageo superiore e di far avanzare l’endoscopio più facilmente.
2) Prima ablazione: Il residuo di BE viene posizionato ad ore 12 nelle immagini video endoscopiche; il catetere viene messo a stretto contatto con la mucosa e attivato tramite pedale. Mantenendo l’elettrodo in posizione viene immediatamente attivato di nuovo, consentendo così una doppia applicazione di energia. Viene raccomandata comunque l’ablazione dell’intera linea Z, anche se non si rilevano isole o lingule all’immagine video; questo per aumentare le possibilità di successo nell’eradicare la IM della giunzione gastroesofagea
3) Procedura di pulizia: Dopo che tutti i residui di BE sono stati ablati, il coagulo viene prudentemente rimosso sfruttando il catetere stesso, dopo di che lo stesso dispositivo viene pulito e, come spiegato prima, viene detersa la parete esofagea con un catetere con una pistola ad acqua a pressione.
4) Seconda ablazione: Tutte le zone trattate precedentemente vengono trattate con una doppia applicazione.
L’ablazione può essere ripetuta ogni 6-8 settimane, fino a che tutto il BE è stato eradicato visibilmente e poi confermato istologicamente. Molti pazienti necessitano di una ablazione circonferenziale e di 1 o 2 ablazioni focali per eradicare tutta la displasia o la metaplasia. Di solito 2 ablazioni circonferenziali e 3 focali dovrebbero essere sufficienti nella maggior parte dei pazienti.
1. endoscopia pre-intervento 2. inserimento del catetere HALO360
3. risultato dopo primo trattamento 4. risultato dopo la pulizia con cappuccio
Controindicazioni
Le controindicazioni all’utilizzo della terapia ablativa per il BE sono:
. Gravidanza
. Precedenti irradiazioni dell’esofago
. Precedente miotomia di Heller
. Esofagite eosinofila
Post-trattamento
Dopo RFA è molto importante seguire la terapia anti-acido, non soltanto per minimizzare i fastidi del paziente, ma anche per permettere all’esofago di guarire ottimamente e rigenerare quindi l’epitelio squamoso. Oltre che la terapia di mantenimento ad alte dosi con PPIs, si può ricorrere all’utilizzo di altri anti-acidi dopo ogni trattamento se ritenuto necessario. Si consiglia la prescrizione a tutti i pazienti di Esomeprazolo 40 mg due volte al dì, con l’aggiunta di Ranitidina 300 mg la sera e una sospensione di Sucralfato (200 mg/ml) 5 ml quattro volte al giorno per 2 settimane dopo ogni trattamento [168;169]. Dopo RFA i pazienti devono seguire una dieta liquida per 24 ore la quale poi può essere convertita in dieta morbida e poi normale a propria discrezione. I pazienti possono riferire dolore toracico, mal di gola, difficoltà o dolore alla deglutizione con nausea, che di solito migliorano giorno dopo giorno. Per migliorare questi sintomi si possono utilizzare analgesici come Acetaminofene 400 mg massimo 4 volte al giorno e se necessario aggiungere Voltaren 50 mg massimo due volte al giorno. Altri propongono uno sciroppo con Lidocaina, Acetaminofene con o senza Codeina e terapia anti-emetica. Alcuni pazienti possono avere dolore toracico severo e febbre; l’osservazione con una terapia anti-secretiva ottimale e l’uso di analgesici è sufficiente per la risoluzione della sintomatologia.
Regime di follow-up
Due mesi dopo l’ultimo trattamento viene verificata l’assenza di metaplasia tramite HRE con Lugol (2%). Viene applicato uno stretto controllo bioptico seguendo il protocollo che prevede l’effettuazione di biopsie ogni 1-2 cm ai 4 quadranti partendo dalla linea Z per tutta l’estensione del neo-epitelio squamoso. Non ci sono studi che specifichino quale debba essere il regime del follow-up ma comunque si tende ad effettuare endoscopie di controllo a 2, 4 e 6 mesi dall’ultimo trattamento e poi ogni anno.
PRE RFA POST RFA
“Buried Barrett”
Dopo il trattamento con la terapia ablativa, non si può escludere la possibilità di crescita del neo epitelio squamoso sopra residui di metaplasia, chiamata Barrett “sepolto” (buried Barret’s glands). La rilevanza clinica del “buried Barrett” non è nota, ma si può pensare alla
possibilità che le ghiandole “sepolte” possano progredire verso la malignità, come è stato suggerito dal rilievo occasionale di adenocarcinoma sviluppatosi dalle ghiandole situate sotto il neo strato squamoso dopo terapia ablativa [171;172]. Altri credono che il potenziale neoplastico delle ghiandole “sepolte” sia trascurabile, visto che la loro posizione impedisce al reflusso gastroesofageo di venire a contatto con queste [173;174].
Nei pazienti trattati con RFA non è stata riscontrata, se non in sporadici casi, la presenza di “buried Barrett”; risultato nettamente migliore che quello ottenuto con altre tecniche ablative in cui la presenza di metaplasia sepolta è stata riscontrata nel 0-53% dei casi trattati [175-177]. Vi era il dubbio che la bassa percentuale d’incidenza di riscontro della metaplasia fosse da ascrivere alla impossibilità di effettuare delle biopsie sufficientemente profonde dopo il trattamento con RFA, ma questa convinzione è stata sfatata da due studi che confermano la correttezza degli esami bioptici effettuati nel follow-up dei pazienti trattati [178;179].
Inoltre si deve considerare pure un eventuale errore nel scegliere la zona dove effettuare la biopsia; se la biopsia è a ridosso della neo giunzione squamocolonnare, la presenza di epitelio colonnare può essere dovuta alla nomale presenza di mucosa gastrica, oppure la biopsia può essere stata fatta in un focus di BE che è sfuggito all’individuazione endoscopica.
Supervisione dei trials clinici
Dopo gli studi dosimetrici iniziali sull’esofago suino e umano prima dell’esofagectomia [180-182], una serie di studi prospettici sono iniziati per verificare la sicurezza e l’efficacia del RFA in tutto lo spettro del BE: BE non displastico (NDBE) [183;184], Displasia lieve (LGD) [168,169], Displasia grave (HGD) [167;169;185] e tumore intramucoso (IMC) [167,185].
Nello studio AIM eseguito da Sharma et al., 102 pazienti con NDBE sono stati inclusi nel trattamento con RFA. La prima fase dello studio (AIM-I) riguardava la fase dosimetrica (n = 32) per valutare la sicurezza per l’ablazione circonferenziale variando la dose di energia, partendo da 6 J/cm2 fino a 12 J/cm2. Non furono riscontrati effetti avversi e, per la seconda
fase (AIM-II), la fase effettiva (n = 70), furono eseguite 2 sessione di ablazione circonferenziale con un’energia di 10 J/cm2 [183]. Nello studio AIM-II, è stata raggiunta la completa eradicazione a 12 mesi del IM in 48/70 pazienti (70%), usando soltanto HALO360 [183].
Fleischer et al. hanno descritto l’utilizzo di HALO90 per un’ablazione supplementare nei
pazienti che dopo AIM-II avevano dei residui di BE. Dopo 30 mesi di follow-up, questo studio ha dimostrato la completa eradicazione di IM nel 97% dei pazienti sottoposti al trattamento aggiuntivo [184]. Nessuno dei pazienti del AIM trial ha riportato stenosi esofagea e non è stata riscontrata la presenza di “buried Barrett’s gland” in nessuna delle oltre 4000 biopsie del neo epitelio squamoso [183;184].
In uno studio prospettico, Sharma et al., hanno reclutato 10 pazienti con LGD e i risultati dopo RFA sono stati: 100% eradicazione della displasia e 90% eradicazione della metaplasia dopo 2 anni di follow-up senza effetti collaterali avversi come la stenosi e la presenza di “buried glands” [168].
Shaheen et al. hanno condotto uno studio in 19 centri americani che mirava ad evidenziare l’utilità del RFA nel ridurre il rischio di progressione maligna del BE in pazienti con LGD e HGD. È stato reclutato e randomizzato un totale di 127 pazienti con HGD (n = 63) e LGD (n = 64) da sottoporre in rapporto 2:1 al trattamento con RFA o ad un trattamento placebo e rivalutati dopo 12 mesi dall’ultimo intervento: nei pazienti con LGD, trattati con RFA, la completa eradicazione della displasia si è verificata nel 90.5% dei casi contro il 22.7% dei pazienti del gruppo di controllo (p < 0,001). Nei pazienti con HGD trattati la completa eradicazione della neoplasia è stata riscontrata nel 81% dei pazienti contro 19% di quelli del gruppo di controllo (p < 0.001). Complessivamente, il 77.4% dei pazienti trattati con RFA ha ottenuto la completa eradicazione della neoplasia contro il 2.7% dei pazienti del gruppo di controllo (p < 0.001). L’eradicazione della metaplasia intestinale, dopo RFA, è stata riscontrata nel 73.8% dei pazienti con HGD e nel 81% in quelli con LGD.
I pazienti assegnati al gruppo di controllo hanno riportato una progressione della malattia nel 16.3% dei casi, mentre quelli trattati con RFA nel 3.6% (p = 0.03). Nei pazienti con HGD non trattati è stata riscontrata la progressione ad adenocarcinoma nel 19% dei casi, contro il 2.4% nei pazienti trattati (p =0.04). Nei pazienti non trattati l’adenocarcinoma esofageo si è sviluppato nel 9.3% dei casi contro l 1.2% di quelli sottoposti a RFA (p = 0.045).
Nel gruppo dei pazienti trattati con RFA sono stati riscontrati tre casi di complicazioni: un paziente, sotto terapia con antiaggreganti, ha avuto un’emorragia gastrointestinale superiore,
risolta endoscopicamente; un altro paziente ha riferito dolore retrosternale dopo 8 giorni dal trattamento; e l’altro paziente ha riportato dolore retrosternale e nausea immediatamente dopo il trattamento con RFA. Nei pazienti trattati vi è una maggior incidenza di dolore toracico subito dopo l’intervento ma che si risolve nella prima settimana successiva all’ablazione. 5 pazienti (6%) hanno riportato stenosi esofagea risolta con una media di due interventi dilatativi. Non ci sono state morti o perforazioni correlate [186].
Due anni dopo, Shaheen, et al. hanno riesaminato i pazienti trattati con RFA e hanno riportato che il 95% dei pazienti trattati hanno eradicato completamente la displasia e che il 93% hanno eradicato la metaplasia intestinale. Dopo 3 anni di follow up, sempre nello stesso studio, la percentuale dei pazienti liberi da displasia è del 98% e quelli senza metaplasia sono il 91%. In questo studio è stato messo in evidenza che il trattamento con RFA è sicuro, duraturo ed è associato ad una bassa probabilità di progressione neoplastica durante i primi 3 anni dopo trattamento con radiofrequenze [187].
Questo studio ha inoltre evidenziato che non vi è differenza di risultati fra le istituzioni accademiche e la pratica comune. Anche uno studio di Lyday, et al. afferma che la sua esperienza di pratica comune riporta gli stessi risultati dello studio condotto da Shaheen [188].
Phoa, et al. hanno seguito, con un follow-up endoscopico per 5 anni, 54 pazienti che avevano subito una RFA seguita o meno da una EMR, e sono arrivati alla conclusione che il 90% dei pazienti rimanevano liberi da neoplasia dopo la completa eradicazione ottenuta dopo il trattamento 5 anni prima. Inoltre hanno affermato che la progressione a adenocarcinoma, è molto meno frequente che nei pazienti che hanno effettuato soltanto la sorveglianza endoscopica (0.7% Vs 10% rispettivamente). Un altro dato importante è che