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Inibitori benzotiopiranoindolici della Tirosil-DNA-fosfodiesterasi 1 come innovativi agenti antitumorali

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

INIBITORI BENZOTIOPIRANOINDOLICI DELLA

TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI 1 COME

INNOVATIVI AGENTI ANTITUMORALI

Relatori: Candidata:

Prof.ssa Sabrina Taliani Caterina Di Meglio

Dott.ssa Elisabetta Barresi

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2 Indice Prefazione……... 3 3 1. Cancro 4 1.1. Terapia antitumorale 5 1.2. Farmaci antitumorali 6 2. Topoisomerasi 8 2.1. Topoisomerasi I (Top1) 10 2.2. Topoisomerasi I umana 12 2.3 Topoisomerasi II (Top2) 15 3. Inibitori Topoisomerasi 18 3.1 Inibitori Topoisomerasi I 19 3.2 Inibitori Topoisomerasi II 23 4. Tirosil-DNA fosfodiesterasi 25 4.1. Tirosil-DNA fosfodiesterasi I (TDP1) 27 4.2. Inibitori TDP1 30 4.3. Tirosil-DNA fosfodiesterasi II (TDP2) 36 4.4. Inibitori TDP 2 38

Introduzione alla parte sperimentale 39

Parte sperimentale 47

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4 1. CANCRO

La proliferazione cellulare è un processo fisiologico che avviene, in numerose circostanze, in quasi ogni tessuto. Normalmente l’omeostasi, l’equilibrio tra proliferazione e morte programmata della cellula (solitamente apoptosi), è strettamente controllata dalla regolazione di entrambi i processi, per garantire l’integrità di organi e tessuti [1]. Le mutazioni del DNA, che generano cellule

cancerose, distruggono questi processi ordinati, annientando i programmi regolatori.

Un tumore è caratterizzato da una cellula con una struttura aberrante ed una crescita incontrollata. Le alterazioni che trasformano cellule normali in cellule neoplastiche sono solitamente strutturali (mutazioni) o, più raramente, funzionali [2].

Le mutazioni genetiche che causano il cancro dipendono da tre classi di geni:

◊ Oncogeni → prodotti quando geni normali, conosciuti come protooncogeni, sono alterati da mutazioni. Essi sono direttamente responsabili della trasformazione neoplastica. Una singola copia di un gene mutato conduce ad un oncogene attivo, che è caratterizzato da un fenotipo dominante. ◊ Oncosoppressori → sono normalmente geni che rallentano la divisione cellulare, riparano errori del DNA, o stabiliscono quando una cellula deve morire. Gli oncosoppressori sono geni recessivi, e questo rende necessari, per la mutazione, entrambi gli alleli.

In generale, affinché il cancro riesca a svilupparsi, sono necessarie mutazioni sia degli oncogeni che degli oncosoppressori. Una mutazione limitata ad un solo oncogene verrebbe eliminata dai normali processi di controllo della mitosi e dagli oncosoppressori. Una mutazione limitata ad un solo oncosoppressore è ugualmente insufficiente a causare il cancro, grazie alla presenza di un certo numero di “copie di backup” che ne replicano la funzione. È solo quando un numero sufficiente di protooncogeni e oncosoppressori muta che è possibile la crescita cellulare incontrollata, fino allo sviluppo di un tumore.

◊ Geni mutati → le mutazioni sono il risultato di danni al DNA non riparati, errori nel processo di replicazione, inserzioni o delezioni di frammenti di DNA da parte di elementi genetici mobili. Le mutazioni possono produrre o non produrre cambiamenti riscontrabili in caratteristiche osservabili (fenotipo) di un organismo. Le mutazioni giocano un ruolo sia nei processi biologici fisiologici che patologici, inclusi evoluzione, cancro e lo sviluppo del sistema immunitario, comprese le patologie giunzionali. Perciò l’espressione di geni mutati dipende dal meccanismo e dallo “scopo” della mutazione.

Ci sono poi diversi fattori che possono predisporre un individuo al cancro, come il fumo di sigaretta, l’inquinamento atmosferico, l’eccessivo consumo di alcol, uno stile di vita sedentario, agenti fisici e chimici e virus.

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5 Il cancro può colpire ad ogni età, benché un’età più avanzata ne incrementi la probabilità di sviluppo, a causa dell’accumulo di danni e mutazioni cellulari generati nel tempo. Razza, sesso, squilibri ormonali e predisposizione genetica alle mutazioni sono fattori intrinseci che vengono trasmessi dai genitori ai figli e non possono essere controllati.

Al contrario, i fattori estrinseci sono dovuti all’esposizione esterna a cancerogeni. I principali fattori estrinseci sono le radiazioni ultraviolette e le radiazioni ionizzanti. Le prime, derivanti dall’irraggiamento solare o da fonti artificiali, possono causare mutazioni nel DNA di specifiche cellule bersaglio: inattivazione di enzimi, divisione cellulare incontrollata, necrosi cellulare e cancro. Le seconde incrementano il rischio di tumori solidi, specialmente ai polmoni, e leucemia. Queste radiazioni possono avere due tipi di azione:

◊ Azione tossica diretta → assorbimento delle radiazioni da parte delle cellule, che provoca la rottura di uno o entrambi i filamenti di DNA, portando a mutazione o a morte cellulare.

◊ Azione tossica indiretta →l’energia delle radiazioni viene trasferita all’acqua intracellulare, promuovendo la formazione di radicali liberi, che portano a danno ossidativo.

I tumori vengono classificati in benigni e maligni. I tumori benigni si riconoscono per la crescita lenta e progressiva, senza invasione di tessuti adiacenti o distanti; essi non sono molto aggressivi, sono delimitati da una capsula fibrosa (polipi, cisti, adenomi) e solitamente non mettono a rischio la vita dell’individuo. Dall’altro lato, i tumori maligni sono caratterizzati da una crescita rapida, dalla capacità di invadere i tessuti circostanti e di diffondersi in tessuti e strutture lontani. Questo processo porta alle metastasi, che sono dovute alla migrazione di cellule cancerose attraverso il sangue e/o il sistema linfatico, verso siti anatomici distanti dall’origine, e che portano a tumori secondari. Perciò questo tipo di tumori è molto aggressivo e può causare la morte, se non trattato in stadi precoci (carcinoma, sarcoma).

1.1 TERAPIA ANTITUMORALE

Il cancro è la seconda causa di morte nei paesi sviluppati, dopo le patologie cardiovascolari. I trattamenti terapeutici si distinguono in:

◊ Chirurgia → opzione di prima scelta per la maggior parte dei tumori solidi. Talvolta si utilizzano prima radiazioni e/o chemioterapia, con l’intento di ridurre le dimensioni del tumore e renderlo più facilmente operabile.

◊ Radioterapia → utilizza radiazioni ad alta potenza per uccidere le cellule cancerose. Generalmente la si concentra il più possibile laddove è localizzato il tumore, per evitare di danneggiare le cellule sane.

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6 ◊ Chemioterapia → utilizza farmaci citotossici. Generalmente si usa per bloccare la divisione cellulare delle cellule in rapida proliferazione, senza però riuscire a distinguere tra cellule sane e malate. Per tale ragione, la chemioterapia produce effetti collaterali in tutti i tessuti con cellule a rapida proliferazione, come le mucose, i capelli e il sangue.

Solitamente gli agenti antineoplastici sono somministrati in polichemioterapia. Lo scopo principale della polichemioterapia è prevenire la resistenza al farmaco nelle cellule tumorali.

Inoltre, l’efficacia della terapia multifarmaco è generalmente maggiore della somma degli effetti di farmaci singoli usati in monoterapia, grazie al sinergismo. Questo conduce allo stesso risultato con dosi inferiori e, conseguentemente, provoca meno effetti collaterali sull’organismo. Ciò è particolarmente importante per i farmaci antineoplastici, che hanno un basso indice terapeutico.

1.2 FARMACI ANTITUMORALI

Il comune meccanismo d’azione dei farmaci antitumorali è prevenire la crescita e la divisione delle cellule cancerose o, nel migliore dei casi, eliminare completamente il tumore stesso. La maggior parte dei farmaci antitumorali agisce specificatamente su determinati processi, quali la sintesi del DNA o l’assemblaggio del tubo mitotico. Altri bloccano la sintesi dei precursori del DNA o danneggiano l’integrità del DNA e prevengono la trascrizione.

La crescita e la divisione delle cellule, sia normali che cancerose, segue una sequenza di eventi chiamata ciclo cellulare; questo ciclo è suddiviso in diversi stadi (Figura 1).

I farmaci citotossici sono classificati in agenti intercalanti o antibiotici, in base alla loro capacità di agire solo sulle cellule in replicazione o anche sulle cellule quiescenti, e possono in entrambi i casi essere fase-specifici e fase-non specifici.

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7 I farmaci fase-specifici mostrano selettività per una specifica fase del ciclo cellulare (per esempio: gli antimetaboliti sono selettivi per la fase S e gli alcaloidi della vinca per la fase M). I farmaci fase-non specifici sono attivi in ogni fase del ciclo cellulare e hanno una curva dose/effetto lineare, perciò maggiore è la dose di farmaco, maggiore sarà il numero di cellule uccise.

Le principali classi di farmaci anticancro usati in terapia sono [3]:

◊ Agenti alchilanti → composti ad attività anticancerosa che agiscono inibendo la replicazione del DNA e, secondariamente, inducendo alterazioni nella trascrizione dell’RNA e inibendo la sintesi proteica. Sono definite come molecole in grado di alchilare nucleotidi (solitamente in posizione N7 della guanina). Questo processo di alchilazione porta alla formazione di legami crociati nella doppia elica: gli addotti che vengono generati sono successivamente coinvolti in una complessa serie di cambiamenti (con una variabilità che dipende dal tipo di composto utilizzato), che portano a inibizione o inaccurata replicazione del DNA stesso. Dal momento che interagiscono con DNA, proteine e RNA preformato, gli agenti alchilanti sono fase-non specifici e quindi incapaci di discriminare tra DNA normale e DNA tumorale. Poiché agiscono in modo non specifico, questi agenti hanno basso indice terapeutico ed elevato rischio di tossicità. Un esempio è l’agente alchilante EMS (solfonato di etilmetano), che dona un gruppo etilico al chetone della guanina (Figura 2).

Figura 2. Solfonato di etilmetano (EMS, un gas mostarda)

◊ Antimetaboliti → agiscono specificatamente sui componenti dei nucleotidi del DNA. In particolare interferiscono con le reazioni che portano alla formazione dell’anello di purina o pirimidina. Gli antimetaboliti possono interferire con la formazione di questi componenti, agendo da antagonisti o propriamente da antimetaboliti. In questo caso, a differenza degli agenti alchilanti, è importante la durata dell’esposizione: un’esposizione duratura incrementa il numero di molecole che reagiscono.

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8 ◊ Farmaci antimitotici → agiscono durante la divisione cellulare vera e propria (mitosi), in particolare nel momento in cui il nuovo DNA sintetizzato viene diviso tra le due cellule figlie. La distribuzione del materiale genetico tra le cellule è compiuta attraverso il fuso mitotico, una complessa struttura fatta di speciali proteine chiamate microtubuli. Questi farmaci distruggono o alterano la formazione del fuso, impedendo la replicazione cellulare e portando alla morte della cellula (alcaloidi della vinca).

◊ Agenti intercalanti → si inseriscono tra due nucleotidi contigui, lungo i filamenti della doppia elica, quando la cellula inizia il suo ciclo replicativo, usando la DNA polimerasi per inserire un nucleotide con un agente intercalante. Questo meccanismo interrompe la replicazione cellulare prevenendo la duplicazione dei filamenti identici del DNA.

◊ Groove binders → composti chimici con catene laterali oligopeptidiche che si legano al solco maggiore o al solco minore del DNA.

◊ Strand break → generano specie radicaliche che reagiscono con le porzioni saccaridiche, causando la rottura del filamento polinucleotidico.

◊ Inibitori delle topoisomerasi → si inseriscono all’interfaccia del complesso binario formato dal DNA e dall’enzima, inibendo nello specifico lo stadio di ricostituzione del filamento rotto di DNA. Gli agenti intercalanti e i groove binders creano legami reversibili e non covalenti col DNA. Gli agenti alchilanti e gli strand break creano invece legami irreversibili col DNA.

2. TOPOISOMERASI

Durante i normali processi biologici, come la replicazione, la trascrizione, la riparazione del DNA, l’assemblamento dei nucleosomi e la segregazione dei cromosomi, il DNA tende fisiologicamente a cambiare la sua forma: i cambi topologici possono interessare sia l’avvolgimento dei due filamenti costituenti il DNA, l’uno intorno all’altro, che il superavvolgimento della doppia elica intorno al suo asse.

Il superavvolgimento è regolato da una specifica classe di enzimi, le DNA topoisomerasi, le quali giocano un ruolo cruciale nel controllo dello stato topologico del DNA, mantenendone la funzionalità e l’espressione genica. Ogni modifica della topologia del DNA richiede la rottura di almeno uno dei due filamenti, così che l’altro possa ruotarvi intorno. Inoltre, le DNA-topoisomerasi sono enzimi ubiquitari, essenziali per la risoluzione di problemi topologici complessi del DNA per i suddetti processi fondamentali.

Tutte le DNA topoisomerasi possiedono tre caratteristiche:

1. La capacità di rompere lo scheletro fosfodiestereo del DNA tramite due successive reazioni di transesterificazione. Durante lo stato di transizione di rottura del DNA si forma un intermedio

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9 covalente fra DNA e proteine, fra il gruppo idrossilico della tirosina dell’enzima ed un gruppo fosfato nel punto di rottura del DNA.

2. Dopo che si è formato l’intermedio topoisomerasi-DNA, esse permettono la separazione delle estremità rotte, creando così un’altra apertura per un altro segmento di DNA, sia per un filamento, come nel caso della topoisomerasi I, che per due filamenti, come

nel caso della topoisomerasi II.

3. Le topoisomerasi sono capaci di unire nuovamente covalentemente le due terminazioni dei filamenti precedentemente tagliati.

Esistono due classi di topoisomerasi definite in base al loro meccanismo d’azione ed alle proprietà fisiche: topoisomerasi di tipo I e di tipo II. Inoltre, sulla base delle proprietà enzimatiche comuni e dell’omologia della struttura primaria e della sequenza strutturale, le DNA topoisomerasi I nell’uomo sono ulteriormente raggruppate in due famiglie correlate dal punto di vista evoluzionistico: tipo IA e IB. Mentre il tipo IA si lega covalentemente alla terminazione 5’ del filamento tagliato durante il ciclo catalitico, il tipo IB lega covalentemente la terminazione 3’. Anche la topoisomerasi II è suddivisa in due sottoclassi, IIA e IIB, ma solo il primo tipo è umano (Figura 3) [4]; solo recentemente è stato ritrovato il tipo IIB in particolari ceppi batterici [5].

Figura 3. Classificazione delle topoisomerasi umane (A) e batteriche (di E. coli, B)

La caratteristica che accomuna entrambe è l’utilizzo di un ossidrile catalitico fornito da una tirosina per fare un attacco nucleofilo ad un gruppo fosfato del DNA.

In questo modo si rompe un legame fosfodiestereo e se ne forma uno fosfotirosinico e, mentre per le topoisomerasi di classe I l’energia liberata dalla rottura del legame fosfodiestereo viene usata per compiere il movimento di torsione del filamento legato alla proteina necessario allo srotolamento, per le topoisomerasi II questa energia è fornita dalla scissione di un legame fosfodiestereo di una molecola di ATP, che si lega come un cofattore alla forma inattiva della proteina. In entrambi i casi,

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10 durante la fase di rottura del DNA, si forma un intermedio covalente DNA-proteina a livello del sito di rottura fra il gruppo idrossilico di una tirosina della topoisomerasi e un gruppo fosfato del DNA (Figura 4).

Figura 4. Reazione generale catalizzata dalle topoisomerasi

Ogni reazione di topoisomerizzazione, sia essa dovuta ad enzimi di classe I o classe II, può essere divisa in tre momenti, il primo costituito dalla rottura del filamento o dei filamenti e nella formazione di un legame covalente tra l'enzima e il DNA; il secondo dal rilassamento o superavvolgimento del DNA; nel terzo ed ultimo momento avviene la saldatura covalente dei filamenti precedentemente tagliati [6].

2.1 TOPOISOMERASI 1 (Top1)

Gli enzimi di classe Ι vengono suddivisi in tre famiglie che si differenziano per il meccanismo di rilassamento del DNA e non presentano alcuna omologia di struttura tra loro.

1.Topoisomerasi ΙA: di origine procariotica, richiedono per la loro azione catalitica la presenza di ioni magnesio e di tratti di filamento singolo di DNA. Rilassano solo DNA avvolto negativamente e si legano covalentemente all’estremità 5’ del filamento scisso, lasciando libero l’ossidrile in 3’. Questa famiglia è suddivisa in quattro sottogruppi:

a. Topoisomerasi I batteriche; b. Topoisomerasi III batteriche;

c. Topoisomerasi III eucariotiche: sono importanti nei processi di ricombinazione, di riparazione del DNA e nel mantenere la stabilità del genoma;

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11 d. Girasi inversa: presente solo nei batteri termofili e ipertermofili, enzima non monomerico.

Tutti questi sottogruppi condividono lo stesso meccanismo di rilassamento del DNA conosciuto come “enzyme-bridged strand passage”. Questo modello teorizza la formazione di una sorta di cancello nel complesso covalente DNA-enzima, che si apre conseguentemente a cambiamenti conformazionali. L’enzima, dunque, promuove il rilassamento del DNA, controllando il passaggio del filamento intatto attraverso quello scisso. Come conseguenza e dato sperimentale ricavabile, il lavoro dell’enzima consente la modifica del numero di legame del DNA di una sola unità per ciclo. 2.Topoisomerasi IB: di origine eucariotica e virale, rilassano sia il DNA superavvolto negativamente che positivamente. A differenza delle Topoisomerasi ΙA, non richiedono la presenza di ioni metallici o di tratti di DNA a singolo filamento e legano covalentemente il filamento scisso all’estremità 3’. Gli enzimi di questa famiglia rilassano il DNA secondo il meccanismo di “rotazione controllata”; secondo tale modello la parte di doppia elica non legata covalentemente all’enzima, avente l’ossidrile 5’ libero, ruota attorno al legame fosfodiestereo intatto, che si trova di fronte al sito di taglio; tale rotazione non è libera, bensì controllata da interazioni elettrostatiche fra le basi del DNA e gli amminoacidi della struttura enzimatica; l’energia necessaria alla rotazione deriva da quella immagazzinata nel superavvolgimento. Il rilassamento delle tensioni della doppia elica superavvolta avviene quindi attraverso uno o più cicli di rotazione controllata. Sono molto importanti nei processi di trascrizione e replicazione del DNA poiché rilassano il superavvolgimento positivo che si accumula a monte della forcella replicativa. In questa classe sono incluse topoisomerasi I virali (poxvirus Topoisomerasi I), topoisomerasi I eucariotiche, tra cui anche la variante umana. Nella figura 5 sono mostrati i meccanismi di azione della topoisomerasi IA e IB.

3.Topoisomerasi IC: l’unica componente di questa famiglia è la Topisomerasi V, isolata da archeobatteri metanogeni, inizialmente classificata come Topoisomerasi IB e attualmente considerata come capostipite di una nuova classe da quando si è riconosciuta la sua funzione di riparazione del DNA, in aggiunta all’attività topoisomerasica.

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Figura 5. Confronto tra il meccanismo "enzyme-bridged strand passage" nelle topoisomerasi I e a "rotazione controllata" nelle topoisomerasi IB

2.2 TOPOISOMERASI I UMANA

La topoisomerasi 1 umana è un enzima di circa 90 KDa formato da 765 residui amminoacidici. È un monomero costituito da quattro domini:

1. un dominio N-terminale, che comprende approssimativamente il primo quarto di proteina, è fortemente carico e poco conservato. Questa regione della proteina non è indispensabile per l'attività enzimatica; infatti è stato visto che una forma troncata della proteina, in cui mancano i primi 174 residui amminoacidici, mostra la stessa capacità di rilassare il DNA della proteina a lunghezza intera;

2. un dominio centrale altamente conservato (54 kDa), chiamato anche core (ulteriormente suddiviso in tre sottodomini distinti);

3. un dominio C-terminale (8 kDa) conservato e contenente la tirosina nucleofila in posizione 723;

4. un linker di 5 kDa (due alfa eliche che formano un dominio proteico avvolto a spirale che si protrude dall’anello) poco conservato e carico positivamente, che connette il dominio C-terminale al core.

Essenziali per l’attività catalitica sono il core e il dominio C-terminale, il quale contiene la tirosina catalitica, mentre gli altri due non sono indispensabili. Questi domini sono organizzati in due lobi che avvolgono i duplex di DNA: il lobo superiore consiste nei due sottodomini I e II del core; il lobo inferiore è formato dal sottodominio III del core e dal dominio C-terminale. Il dominio NH2

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13 terminale, consistente in circa 200 residui, molti dei quali non organizzati e idrofobici, ha la funzione di localizzare l’enzima nel nucleo, avendo almeno quattro motivi localizzati nel nucleo. La forma dell’enzima ricorda quella di una pinza, che si può trovare avvolta intorno al DNA in due distinte conformazioni: aperta o chiusa. Nella forma chiusa, o compatta, l’enzima esibisce un poro centrale di circa 15-20Å (Figura 6) all’interno del quale è situato il DNA.

Figura 6. Struttura della Top1 umana

Il poro ha residui con cariche positive sulla superficie, complementari al potenziale elettrostatico negativo sulla superficie della doppia elica del DNA. All’interno del poro c’è il sito catalitico della topoisomerasi I, dominio altamente conservato in tutte le topoisomerasi eucariotiche, che consiste in una tirosina 723. Questo residuo è responsabile dell’attacco nucleofilo al gruppo fosfato del DNA ed è localizzato, come detto prima, nel dominio C-terminale. Nel sito attivo dell’enzima ci sono residui amminoacidici altamente conservati: due arginine (488 e 590), una istidina (His 632) e la tirosina 723. Tutti questi residui sono posizionati intorno al legame fosfodiestereo, che dovrà essere rotto. Come già detto, la rottura di un singolo filamento di DNA si verifica per attacco nucleofilo del gruppo idrossilico della tirosina. Sorprendentemente, non ci sono residui amminoacidici sufficientemente vicini da essere capaci di agire come basi attivanti l’ossigeno della tirosina; probabilmente lo stato di transizione pentavalente è stabilizzato sia dai due residui di arginina, attraverso ponti a idrogeno, che dal residuo di istidina che protona l’ossigeno in posizione 5’ del gruppo uscente.

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14 L’attività della Top1 umana comprende quattro steps:

1. legame al DNA → l’enzima, nella conformazione aperta, riconosce la catena ribonucleotidica e conduce alla successiva formazione di un complesso non covalente DNA-topoisomerasi; questo legame è direzionato dalla complementarietà della struttura e dalle cariche elettrostatiche superficiali dell’enzima nei confronti della catena polinucleotidica. Si ha la formazione di un complesso non covalente tra DNA ed enzima.

2. cleavage del DNA → gli amminoacidi del sito attivo sono localizzati in una posizione tale da permettere l’attacco nucleofilo da parte della 723Tyr a livello del gruppo ossidrilico sul legame fosfodiestereo del DNA, al fine di formare un legame fosfotirosinico e costituire il cleavable complex (“complesso scindibile”) in cui l’enzima è covalentemente legato alla catena tagliata del DNA (conosciuta come Top1 cleavage complex o Top1cc);

3. rilassamento del DNA → l’enzima subisce un cambio conformazionale che permette il passaggio del filamento integro attraverso la momentanea interruzione dell’altro filamento. L’energia contenuta nella torsione interna del DNA presumibilmente guida la rotazione, la cui velocità è regolata dall’enzima stesso.

4. riparazione del DNA → si verifica per transesterificazione. L’ossidrile libero in posizione 5’ del filamento tagliato di DNA attacca il legame Tyr-fosfato, allineato con il gruppo idrofilico stesso, ancora legato alla tirosina dell’enzima all’interno del complesso Top1-Tyr-DNA. Successivamente, l’originale legame fosfodiestereo viene ricostituito e finalmente l’enzima rilascia il DNA [7] (Figura 7).

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Figura 7. Meccanismo d’azione Topoisomerasi I

2.3 TOPOISOMERASI II (Top2)

Le topoisomerasi di tipo II consistono in due o più subunità e catalizzano processi simili a quelli relativi alle topoisomerasi I. Il meccanismo d’azione è diverso da quello degli enzimi del tipo I: le topoisomerasi II causano la rottura di entrambi i filamenti che formano la doppia elica in particolari regioni del DNA e favoriscono il passaggio di un’altra doppia elica attraverso questa rottura. Inoltre, le topoisomerasi II riescono a rilassare i superavvolgimenti sia negativi che positivi.

Tutte le topoisomerasi II necessitano di ioni metallici bivalenti per svolgere la loro funzione catalitica. Questi ioni metallici funzionano in due siti attivi separati e sono essenziali per l’attività ATPasica e per il taglio/riassemblaggio del DNA da parte dell’enzima. L’attività ATPasica è necessaria per il passaggio del duplex intatto attraverso il duplex rotto, e sfrutta il legame metallo-dipendente e l’idrolisi dell’ATP per guidare il riarrangiamento strutturale della proteina (Figura 8)

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Figura 8. Meccanismo di taglio e riassemblaggio del DNA mediato dalla Topoisomerasi II: l'enzima di tipo II segue un meccanismo che utilizza due ioni metallici, simile a quello delle primasi e delle polimerasi. In figura sono indicati gli amminoacidi che si suppone interagiscano con gli ioni metallici nel sito attivo della topoisomerasi IIα e della topoisomerasi IIβ. Uno degli ioni metallici (a sinistra) interagisce con l'atomo di ossigeno in posizione 3’ del fosfato che funge da ponte (legame mostrato in rosso) e che molto probabilmente è necessario per stabilizzare l'ossigeno in 3' del fosfato che si stacca (in rosso). Un secondo ione metallico (a destra) è necessario per il taglio del DNA e può stabilizzare lo stato di transizione del DNA e/o aiutare la deprotonazione del sito attivo tirosinico (Y805 nella topoisomerasi IIα e Y821 nella topoisomerasi IIβ). Il taglio (scissione) inizia quando una base deprotona l’ossidrile del sito attivo tirosinico, consentendo all'ossianione di attaccare il fosfato. La base non è stata identificata ma si ritiene che sia un residuo di istidina. Il legame inizia a formarsi quando un acido strappa l'idrogeno dal gruppo ossidrilico 3'-terminale. L'acido può essere una molecola d'acqua o un amminoacido non identificato nel sito attivo della topoisomerasi.

Gli inibitori delle Topoisomerasi II sono in grado di interferire con il ciclo cellulare in diversi punti

[8] e per comprendere le basi su cui poggia il meccanismo di inibizione operato da questi farmaci è

opportuno conoscere il ciclo catalitico di rottura e rinsaldamento operato dagli enzimi. L’azione delle Topoisomerasi II si esplica in più passaggi (Figura 9):

1. riconoscimento da parte dell’enzima di specifiche zone del DNA;

2. formazione di un legame covalente tra un residuo tirosinico dell’enzima e un 5’-fosfato del DNA, in presenza di ioni Mg2+, che consente la rottura del filamento;

3. passaggio attraverso l’apertura di un secondo filamento del DNA; 4. rinsaldamento del filamento interrotto;

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Figura 9. Ciclo catalitico della Topoisomerasi II

L’energia necessaria a ricostruire la catena polinucleotidica è conservata nel legame tra l’enzima ed il filamento interrotto. L’ATP, inoltre, viene utilizzato dall’enzima per indurre grossi cambi conformazionali. Negli ultimi anni la ricerca sulle Topoisomerasi ha avuto grande sviluppo, grazie a studi di cristallografia che hanno contribuito in maniera essenziale alla verifica dei modelli proposti per il loro meccanismo di azione. Tuttavia, a causa delle elevate dimensioni e della flessibilità degli enzimi di tipo II, è attualmente disponibile la struttura cristallografica solo di un loro frammento, rappresentante il sito attivo della proteina.

Sulla base di considerazioni strutturali, le topoisomerasi di tipo II possono essere divise in due sottofamiglie [5]:

a) Topoisomerasi IIA a cui appartengono i seguenti enzimi:

- Topoisomerasi II eucariotica: è un omodimero presente in tutte le cellule eucariotiche. Rilassa positivamente e negativamente il DNA superavvolto ed è per questo essenziale durante la separazione dei cromosomi. Inoltre, coopera con la topoisomerasi I per il rilassamento dei superavvolgimenti positivi durante i processi di replicazione.

- Topoisomerasi IV o girasi batterica: è un enzima eterotetramerico batterico che sembra essere coinvolto nel processo di separazione cromosomica alla fine del processo di replicazione del DNA. Inoltre sembra essere in grado di introdurre superavvolgimenti negativi tramite una progressiva attività catalitica attraverso il meccanismo di inversione del segno.

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18 b) Topoisomerasi IIB che furono scoperte negli archeobatteri, in cui sono ubiquitarie, e che recentemente sono state identificate in alcuni batteri e alghe. Questa famiglia include la topoisomerasi IV (Archaea) e la topoisomerasi IIB.

Solo recentemente sono state isolate nelle cellule eucariotiche in cui, anche se è stato chiarito il loro ruolo strutturale, non è stata ancora ipotizzata la loro funzione fisiologica.

3. INIBITORI TOPOISOMERASI

I farmaci antitumorali attualmente noti per la loro attività antitopoisomerasica possono essere divisi in due classi in base al meccanismo d’azione [9]:

• farmaci di classe Ι: stabilizzano i complessi covalenti DNA-topoisomerasi, con la formazione di un complesso ternario DNA-enzima-inibitore reversibile, ma cataliticamente inattivo, poiché lo stadio di ricucitura del DNA è inibito [10]. Il vero danno

si verifica quando avviene la collisione tra il complesso e la forcella replicativa: la rottura reversibile di un filamento di DNA diventa la rottura irreversibile di un doppio filamento e viene così attivata l’apoptosi. Spesso questi farmaci vengono definiti veleni delle

topoisomerasi in quanto trasformano l’enzima in una potente tossina cellulare. Il

capostipite di questa classe è l’alcaloide naturale camptotecina 1 (CPT). Alla classe dei

veleni appartengono anche altri farmaci intercalanti, come le bleomicine, che non

agiscono direttamente sulla topoisomerasi, ma interferiscono con essa intercalandosi tra le basi del DNA e provocando azioni letali per la cellula (Figura 10);

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Figura 10. Struttura della camptotecina

• farmaci di classe ΙΙ o soppressori delle topoisomerasi: agiscono sul sito catalitico dell’enzima, senza interferire direttamente col complesso covalente, impedendone il legame con il DNA. La citotossicità si spiega con il fatto che non si può avere rilassamento della doppia elica e, quindi, vengono impediti processi che coinvolgono il DNA, come la replicazione. Ne sono esempio la shikonina 2 e il β-lapachone 3 (Figura

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2 3

Figura 11. Esempi di inibitori delle topoisomerasi

La classificazione degli inibitori delle topoisomerasi più comunemente usata è basata sul target enzimatico e sull’abilità di interferire con l’azione della topoisomerasi I o II. I composti che inibiscono la topoisomerasi I agiscono principalmente durante la fase replicativa del ciclo cellulare (fase S), mentre le lesioni causate dalla topoisomerasi II sono associate alla fase di trascrizione dell’RNA e, quindi, avvengono durante le fasi G2 ed M [11].

3.1 INIBITORI TOPOISOMERASI 1

La camptotecina è il più noto inibitore selettivo di tale enzima, attualmente in uso clinico con i suoi derivati semisintetici topotecan e irinotecan, sintetizzati a seguito di modifiche per aumentare la solubilità, caratteristica di cui la camptotecina è carente.

La ricerca farmaceutica di inibitori selettivi per la topoisomerasi I (Top I) è incentrata principalmente su due filoni:

• da un lato si cerca di ottenere derivati CPT-simili con una migliore solubilità e con una maggiore attività (intesa come una minore reversibilità del legame della CPT nel complesso ternario);

• dall’altro si cercano nuove molecole non CPT-simili, che siano attive e selettive per TopI e che, possibilmente, presentino minori effetti collaterali della CPT.

Riguardo i derivati CPT Top1, in primis, sono state apportate modifiche agli anelli A e B, per risolvere la questione della solubilità, e all’anello E per quanto riguarda la potenza e la reversibilità del legame. Le sostituzioni a livello degli anelli A e B nei derivati CPT-simili portarono a derivati molto promettenti; al momento, sono disponibili due molecole per la pratica clinica, entrambe solubili in acqua: irinotecan (CPT-11, Camptosar®, Figura 12), un profarmaco che viene rapidamente idrolizzato e trasformato nel suo metabolita attivo, mille volte più potente, SN-38 (Figura 12), grazie a una carbossilesterasi, e topotecan (TPT, Figura 12, Hycamtin®).

L’irinotecan cloridrato è utilizzato per via endovenosa nel trattamento in prima linea di cancro del colon-retto metastatico, in associazione al 5-fluorouracile, e di cancro polmonare non a piccole cellule, associato invece a cisplatino.

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20 Il topotecan cloridrato è impiegato nel trattamento del cancro di ovaio e polmone, anche a piccole cellule [12].

Irinotecan Topotecan SN-38

Figura 12. Inibitori topoisomerasi I CPT-simili

Due nuovi derivati della CPT sono stati sottoposti a trials clinici, gimatecan e belotecan. Entrambi hanno mostrato un’attività contro il glioma (Figura 13).

Gimatecan Belotecan

Figura 13. Struttura Gimatecan e Belotecan

La relazione struttura-attività mostra che l’anello lattonico E delle CPT e la configurazione S in posizione 20 sono essenziali per l’attività antitumorale. La stabilità dell’anello E è un fattore chiave per l’attività, in quanto la sua idrolisi a livello del plasma in condizioni fisiologiche produce quantità copiose di derivati carbossilati inattivi, con alta affinità per l’albumina del siero umano; anche se questa reazione è in equilibrio, alla fine il risultato è una minore quantità di prodotto CPT-simile attivo nel sito di azione (Figura 14). Per aumentare la stabilità, sono state sintetizzate nuove camptotecine, le omocamptotecine, che hanno un gruppo metilenico in più fra il gruppo idrossilico e l’acido carbossilico dell’anello lattonico, che diventa quindi un anello a 7 membri. Questi farmaci sono ritenuti avere la capacità di stabilizzare il complesso DNA-topoisomerasi. L’ossiimminometil-gimatecan derivato ha mostrato un’attività antiproliferativa molto buona, che dipende

(21)

21 probabilmente da una maggiore capacità di stabilizzare il complesso topoisomerasi I-DNA rispetto alle altre camptotecine.

Camptotecina lattone Camptotecina carbossilata (forma attiva) (forma inattiva)

Figura 14. Inattivazione camptotecina

Il secondo approccio per stabilizzare l’anello lattonico è stato quello di ridurlo, da anello a 6 termini ad anello a 5 termini, eliminando l’ossigeno dell’eterociclo. La stabilizzazione completa dell’anello E è stata ottenuta con successo con la sintesi degli α-cheto-derivati (come S39625). La rimozione della parte lattonica impedisce l’apertura dell’anello (Figura 15).

O O N N O O HO S39625 Figura 15

Lo sviluppo di inibitori non CPT-simili [13] è praticamente contemporaneo alla scoperta del

bersaglio d’azione della CPT.

Le indenoisochinoline sono una delle tre classi di inibitori della Top1, studiati in clinica, non derivati dalla CPT (Fig. 16). Alcune indenoisochinoline selezionate hanno mostrato diverse caratteristiche favorevoli:

1. sono chimicamente stabili, a differenza delle camptotecine;

2. catturano i Top1cc legandosi su un sito attivo diverso da quello delle camptotecine, e questo è indicativo per individuare altri possibili bersagli;

3. la loro attività antiproliferativa è analoga o superiore a quella delle camptotecine nelle linee cellulari NCI60;

(22)

22 4. colpiscono selettivamente le Top1 cellulari, come dimostrato dall’elevata resistenza nelle cellule mutate P388 mancanti di Top1, e dalla resistenza incrociata delle cellule con down-regulation di Top1 dovuta all’ shRNA (short hairpin RNA, sequenza di RNA che, curvandosi, assume una struttura a forcina);

5. non sono substrati dei trasportatori di membrana ABC, il che suggerisce la possibilità di bypassare la resistenza alle camptotecine;

6. la loro attività antitumorale nei modelli animali è meglio correlata agli effetti sulle cellule ematopoietiche umane, suggerendo che le dosi terapeutiche nei topi potrebbero essere utilizzabili sull’uomo.

Indenoisochinoline Indolocarbazoli: edotecarin

Fenantridine: Topovale (ARC-111)

Figura 16. Indenoisochinoline e loro derivati

Gli indolocarbazoli sono stati i primi inibitori di Top1 non derivati dalla CPT ad essere stati introdotti in clinica. Attualmente non sono molto usati come agenti antitumorali. Sono invece più interessanti i derivati fenantridinici. Questi derivati mostrano molti dei vantaggi delle indenoisichinoline, il che non è sorprendente, considerate le analogie chimiche tra le due famiglie (Figura 16) [14].

(23)

23 3.2 INIBITORI DELLA TOPOISOMERASI II

Antibiotici con attività antitumorale. Tutti gli antibiotici utili clinicamente vengono prodotti da vari

ceppi di muffe di genere Streptomyces, ed includono antracicline, actinomicine e bleomicine. Gli antibiotici della classe delle antracicline furono isolati da Streptomyces peucetius (var. Caesius) e sono fra i più utilizzati farmaci antineoplastici. La categoria include doxorubicina, daunorubicina, epirubicina e idarubicina (Figura 17).

Figura 17

L’antraciclina daunorubicina fu scoperta negli anni Cinquanta come farmaco antitumorale estremamente potente. Anche oggi viene utilizzata, principalmente per il trattamento della leucemia acuta.

La doxorubicina (chiamata anche adriamicina), altra tossina batterica, fu scoperta poco tempo dopo la daunorubicina ed è anch’essa largamente utilizzata, in particolare nel trattamento di prima linea contro il cancro del seno, delle ossa e sarcomi dei tessuti molli, cancro della vescica, cancro anaplastico della tiroide, linfoma Hodgkin e non Hodgkin e mieloma multiplo.

La epirubicina (4’-epi-doxorubicina), isomero attivo della doxorubicina, fu sviluppata più tardi (approvata dall’FDA nel 1999). L’epirubicina viene utilizzata nel trattamento del cancro esofageo, gastrico e del seno [15].

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24 La struttura molecolare di questi composti consiste in un anello tetraciclico legato ad un amminozucchero. La farmacologia molecolare e il meccanismo d’azione delle antracicline sono complessi. In addizione alla loro attività anti-Top2, le antracicline sono potenti intercalanti del DNA, dato che l’anello tetraciclico si inserisce fra coppie di nucleotidi adiacenti, mentre la carica positiva del gruppo amminico dello zucchero stabilizza il legame interagendo con la carica negativa dei gruppi fosfato del DNA (Figura 18).

L’intercalazione nel DNA causa il blocco di varie funzioni DNA-dipendenti. Comunque il meccanismo rilevante relativo all’attività citotossica e antitumorale degli agenti intercalanti è la loro capacità di interferire con le funzioni della DNA topoisomerasi II. Questo risulta in una stabilizzazione dell’intermedio nella reazione catalizzata dalla topoisomerasi, durante la quale l’enzima è covalentemente legato alle estremità del filamento rotto. Lo stress genotossico causato dalla persistenza del complesso ternario enzima-DNA-farmaco, che si manifesta in particolare con rotture a doppio filamento, è riconosciuto come un danno fatale con conseguente attivazione della morte cellulare.

Figura 18. Meccanismo d’azione delle antracicline.

Farmaci di origine sintetica che agiscono sulla topoisomerasi II. Il successo clinico delle

antracicline ha dato il via ad una intensa ricerca nello sviluppo di analoghi più efficaci e meno tossici. Fra questi, il composto più studiato è il mitoxantrone appartenente alla classe chimica chiamata antracenedioni, caratterizzati da struttura planare intercalante priva di amminozucchero. Il mitoxantrone ha uno spettro di attività più limitato rispetto alla doxorubicina e viene utilizzato nel trattamento di cancro del seno e del linfoma. Questo composto, comunque, ha un migliore profilo di tollerabilità e tossicità cardiaca minore e ciò permette il suo utilizzo anche a dosi più alte. Altri farmaci semi-sintetici che agiscono sulla topoisomerasi II sono le epipodofillotossine.

I rappresentanti principali di questo gruppo sono l’etoposide e il teniposide. Anche se legano la tubulina, essi non hanno effetto sulla struttura e funzione dei microtubuli e non hanno azione

(25)

25 intercalante poiché alle concentrazioni terapeutiche l’effetto antiproliferativo è il risultato dell’inibizione della topoisomerasi II.

L’etoposide viene usato principalmente per il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule, del cancro testicolare refrattario e dei linfomi, tramite somministrazione orale o endovenosa. Il teniposide è ampiamente usato nel trattamento di leucemie linfoblastiche infantili acute refrattarie per via endovenosa [16]. Fra i farmaci con azione non intercalante troviamo la genisteina. Esistono anche farmaci anti-topoisomerasi attivi sulla girasi e sulla topoisomerasi IIA batteriche: fra questi, usati nelle terapie antimicrobiche, i meglio conosciuti sono i chinoloni, di cui il precursore è l’acido nalidixico.

Una peculiarità di tutti gli inibitori delle DNA topoisomerasi è la loro azione sequenza-specifica: gli esperimenti in vitro con topoisomerasi purificate mostrano in modo particolarmente chiaro come farmaci appartenenti a differenti classi chimiche stimolino specificamente scissioni all’interno del DNA in siti ben precisi, fornendo dei modelli per le rotture del DNA farmaco-specifiche.

Nella cromatina nucleare la situazione è più complessa, dato che l’accessibilità delle topoisomerasi al DNA è fortemente limitata dalla presenza di altre proteine, specialmente i nucleosomi e l’istone H1 [17].

Quindi, nella cromatina delle cellule in coltura, la localizzazione delle rotture del DNA, prodotte dagli enzimi e stimolate dai farmaci, è determinata da vari fattori, compreso il farmaco stesso e la struttura locale della cromatina. Per tutti i suddetti motivi, gli inibitori delle topoisomerasi, e specialmente la CPT e CTP-simili, sono spesso usati anche per studi di fattori genetici coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare e nella riparazione del DNA, in risposta al danno mediato dalla Top1.

4. TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI

Le Tirosil-DNA-fosfodiesterasi (TDP1 e TDP2) sono tra gli enzimi riparatori del DNA di più recente scoperta. Liberano le estremità del DNA legate covalentemente dalle topoisomerasi, tagliando il legame covalente fosfotirosinico che tiene unita la topoisomerasi al DNA; questo è un processo fortemente regolato da modificazioni proteiche post-traslazionali.

Gli eucarioti possiedono due diverse tipi di TDP, come è emerso dall’ attività enzimatica in vitro: • TDP1, metallo-indipendente, che agisce principalmente sulle rotture del DNA

3’-fosfotirosil-terminali;

• TDP2, metallo-dipendente, che agisce sulle rotture del DNA 5’-fosfotirosil-terminali. Tuttavia, TDP2 possiede anche, in vitro, una debole attività sulle estremità 3’; questo è emerso in uno studio volto alla ricerca di nuovi agenti ad attività TDP1-simile, che potessero

(26)

26 andarsi ad aggiungere alle giovani cellule di lievito, mutanti TDP1, sensibili al danno al DNA indotto da Top1.

Figura 19. Rappresentazione schematica delle due principali vie di riparazione che rimuovono i complessi topoisomerasi-DNA

Entrambi gli enzimi hanno un ampio spettro d’azione. TDP1 non solo taglia le topoisomerasi I (Top1 nel nucleo e Top1mt nel mitocondrio), ma ripara anche i 3’-fosfoglicolati indotti da danno ossidativo e le rotture del DNA indotte dall’alchilazione. La funzione riparatrice di TDP2 si concentra sul taglio degli addotti topoisomerasi II-DNA e potenzialmente topoisomerasi III-DNA. TDP2 è anche essenziale per il ciclo vitale dei picornavirus (importanti patogeni umani e bovini), poiché taglia le VPg (proteine virali legate al genoma) dalle estremità 5’ dell’RNA del genoma virale [18].

(27)

27

Figura 20. Strutture cristalline di TDP1 (a sinistra) e TDP2 (a destra). Vediamo prima la rappresentazione lineare dei polipeptidi TDP1 (A) e TDP2 (B). Nelle strutture cristalline mostrate sotto, i segmenti N-terminali (in bianco in A e B), rappresentati dai residui 1-148 per TDP1 e 1-120 per TDP2, sono assenti; in TDP2 è presente anche il segmento UBA (dominio proteico associato all’ubiquitina). I segmenti catalitici conservati sono evidenziati in giallo. Subito sotto vediamo la rappresentazione superficiale delle strutture cristalline di TDP1 (C, PDB ID INOP) e TDP2 (D, PDB ID 4F1H). Le proteine sono rappresentate in rosa chiaro: i tratti gialli sono i residui catalitici, i tratti blu il DNA, i tratti verdi il peptide; i tratti sono anche colorati in base alla presenza degli elementi (blu per N, rosso per O, arancio per P, grigio per il vanadato). Per TDP2, il magnesio è rappresentato come una sfera verde. Infine, vediamo i contatti dettagliati tra i substrati e i residui TDP nel sito catalitico di TDP1 (E) e TDP2 (F). I residui catalitici sono rappresentati dai tratti gialli; i residui coinvolti nelle interazioni polari dai tratti ciano; i residui coinvolti nelle interazioni idrofobiche dai tratti magenta. Tutti i tratti sono colorati anche dagli elementi (blu per N, rosso per O, grigio per il vanadato). Le linee tratteggiate evidenziano le interazioni polari.

4.1 TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI 1 (TDP1)

La tirosil-DNA-fosfodiesterasi 1 (Tdp1) è stata scoperta da Nash e collaboratori [19] come un

enzima capace di idrolizzare il legame covalente tra Top1 e l’estremità 3’ del DNA. TDP1 fa parte della superfamiglia delle fosfolipasi D, e idrolizza gli addotti del DNA 3’-fosfo-terminali attraverso due residui catalitici conservati di istidina e lisina, situati in due motivi HKD conservati (HKD è

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28 una sequenza catalitica ripetuta, indicata anche come HxxxxxxxKxD, dove H è l’istidina, K la lisina, D l’acido aspartico, mentre le x rappresentano amminoacidi non conservativi); di questi, uno agisce da nucleofilo principale, il secondo agisce come un generico acido/base. Benché TDP1 presenti nei due motivi conservati sia l’istidina che la lisina, non è presente il residuo di asparagina, e questo pone la TDP1 in una nuova sottoclasse (motivo HK) della superfamiglia delle PLD.

Studi sul meccanismo e sulla struttura della TDP1 umana (hTDP1) e della TDP1 del lievito Saccharomyces cereviasiae (yTDP1) hanno rivelato che il residuo conservato di istidina nel primo motivo, detta istidina N-terminale (His263 in hTDP1 e His182 in yTDP1), agisce da nucleofilo principale, tagliando l’addotto in 3’ dal DNA. L’istidina C-terminale del secondo motivo (His493 in hTDP1 e His432 in yTDP1) agisce da generico acido/base, per, innanzitutto, protonare l’addotto uscente, e poi attivare una molecola d’acqua per un secondo attacco nucleofilo, che vada a processare l’intermedio covalente TDP1-DNA (Figura 21). Al momento della dissociazione, TDP1 lascia una rottura a singolo filamento (SSB) e le estremità 5’ e 3’ vengono ulteriormente processate, prima di essere rilegate da una DNA-ligasi [16]. La fosforammide risultante viene stabilizzata da

legami a idrogeno con le lisine catalitiche K265 e K495. L’idrolisi di questo intermedio avverrebbe tramite una reazione di tipo SN2, in cui una molecola di acqua agirebbe da base con un residuo H493. Questo passaggio proposto per la reazione è supportato da studi in vitro che mostrano che la mutazione SCAN1 H493R conduce ad un accumulo dell’intermedio covalente TDP1-DNA. Il prodotto finale di questo processo è una molecola di DNA con una terminazione 3’-fosfato.

Figura 21. Meccanismo catalitico di TDP1. Per semplicità sono mostrati solo i residui catalitici di istidina (quelli del lievito sono numerati) e il legame 3’-fosfotirosilico come substrato. Il primo passaggio può tornare indietro quando il fenossianione uscente della tirosina non viene protonato dal generico acido His432, e riforma quindi l’intermedio originario Top1-DNA. His432 agisce successivamente come generica base, attivando l’acqua nel terzo passaggio, e questo porta alla dissociazione della TDP1 dal DNA, che ancora contiene un taglio a singolo filamento.

TDP1 non necessita di un cofattore nucleotidico o di metalli. Nonostante ciò, il suo meccanismo catalitico è relativamente complesso, dal momento che TDP1 processa i suoi substrati in due passaggi, con un intermedio covalente transitorio. Il primo passaggio consiste in un attacco nucleofilo del legame fosfotirosinico Top1-DNA da parte del residuo H263 del motivo N-terminale

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29 HKN. Il residuo H493 del motivo HKN opposto agisce da generico acido e dona un protone alla tirosina contenuta nel gruppo peptidico uscente. Si forma un legame covalente fosfammidico transitorio tra H263 e l’estremità 3’ del substrato. Il residuo H493 opposto agisce come generica base e idrolizza questo intermedio covalente attivando una molecola d’acqua. Questo genera un prodotto con una terminazione 3’-fosfato, che necessita di essere ulteriormente processato da una polinucleotide-chinasi-fosfatasi (PNKP). La mutazione di uno dei residui catalitici di istidina in un’arginina, alla posizione 493 (H493R), porta all’accumulo di intermedi covalenti TDP1-DNA, che conducono come ultimo risultato ad una rara patologia neurodegenerativa autosomica recessiva chiamata atassia spinocerebellare con neuropatia assonale (SCAN1). Come già detto in precedenza, la TDP1 wild-type è in grado di processare questi intermedi fosfammidici, e questo spiega perché i pazienti con mutazione SCAN1 hanno una mutazione omozigote H493R (Figura 22) [18].

Figura 22. Ciclo catalitico di TDP1: (A) attacco nucleofilo sul P del gruppo fosfodiesterico da parte dell’atomo N2 imidazolico della H263; H493 dona un protone alla porzione tirosinica del gruppo uscente; (B) intermedio covalente fosfoistidinico; (C) secondo attacco nucleofilo da parte di una molecola d’acqua attivata dalla H493; (D) ottenimento del prodotto finale 3’-fosfato e della TDP1 libera; (E) mutazioni SCAN1 (H493R), che portano ad accumulo dell’intermedio TDP1-DNA e a deficit di TDP1 libera.

Inoltre, esistono altri tre gruppi di geni coinvolti nelle vie di riparazione endonucleasiche struttura-specifiche. Rad1/Rad10 (XPF/ERCC1) agisce principalmente nella via di riparazione tramite escissione di un nucleotide, dove taglia all’estremità 5’ della bolla di riparazione formatasi intorno alle lesioni ingombranti del DNA. Mus81/Mms4 (Mus81/Eme1) e Mre11/Rad50/Xrs2 (Mre11/Rad50/Nbs1) tagliano l’estremità 3’ a monte del punto di diramazione, e agiscono

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30 indipendentemente dalle vie di TDP1. Le mutazioni in ciascuno di questi geni rendono le cellule di lievito in cui manca TDP1 altamente sensibili alla CPT. Per ciascuno di questi geni sopra menzionati esistono gli specifici omologhi nell’uomo, ad eccezione che per Rad9 (Figura 23) [20].

Figura 23. Logica degli inibitori di TDP1: (A) nelle cellule normali i complessi covalenti Top1-DNA possono essere riparati da meccanismi ridondanti, che possono essere divisi in due vie principali: (i) è la via di idrolisi di TDP1, (ii) è la via 3’-endonucleasica. (B) Le cellule cancerose possono risultare maggiormente dipendenti dalla via della TDP1, come risultato delle mutazioni che le caratterizzano e dell’inattivazione dei punti di controllo del DNA (BRCA1, Chk2 ecc…). L’effetto previsto dalla combinazione di un inibitore di TDP1 e un inibitore di Top è l’aumento dell’indice terapeutico dell’inibitore di Top1, dal momento che gli inibitori di TDP1 agiscono preferenzialmente sulle cellule cancerose.

4.2 INIBITORI DELLE TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI 1

Gli studi effettuati sulle cellule SCAN1 hanno dimostrato la partecipazione di TDP1 nella riparazione del danno al DNA mediato da Top1, e nell’ipersensibilità alla CPT presente nelle cellule umane con un singolo deficit nell’attività di TDP1. Queste osservazioni suggeriscono la possibilità di sviluppare inibitori di TDP1 in grado di potenziare l’effetto citotossico degli inibitori di Top1 nella terapia farmacologica antitumorale. Ad oggi, sono stati individuati ancora pochi inibitori della TDP1, e le loro potenzialità e specificità lasciano ancora molto spazio per un miglioramento. Per esempio, sia il vanadato che il tungstato sono in grado di mimare il fosfato nello stato di transizione, agendo così da inibitori a concentrazioni millimolari. Tuttavia, a causa della bassa specificità e dell’ipersensibilità verso tutte le reazioni di trasferimento di gruppi fosforici, essi non possono essere utilizzati come inibitori farmacologici [21].

Gli inibitori delle TDP1 meglio conosciuti sono:

1. Antibiotici aminoglicosidici → un recente studio riporta che la neomicina inibisca TDP1 più efficacemente rispetto agli analoghi amminoglicosidici paromomicina e lividomicina A (Figura

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24). L’inibizione di TDP1 da parte della neomicina è stata osservata su substrati sia a singolo che a

doppio filamento, ma è maggiore sui duplex di DNA; l’aclarubicina, invece, inibisce esclusivamente TDP1 con substrati a doppio filamento. L’inibizione da parte della neomicina può essere superata aumentando i livelli di TDP1, ed è maggiore a bassi pH. Da quanto sappiamo, i primi inibitori TDP1 riportati per uso farmacologico sono gli antibiotici amminoglicosidici e gli inibitori ribosomici tiostreptoni, la clindamicina-2-fosfato e la paromomicina [22].

Figura 24

2. Derivati steroidei → utilizzando un nuovo saggio di screening ad alto rendimento, è stato individuato come potenziale inibitore di TDP1 un derivato del progesterone sostituito in C21, chiamato NS88915. Un secondo screening e studi di reattività con enzimi che processano il DNA hanno confermato che NSC88915 (Figura 25) possiede una specifica attività inibitoria nei confronti di TDP1. La destrutturazione di NSC88915 in gruppi funzionali discreti ha rivelato che tutti i componenti sono necessari per l’attività inibitoria verso TDP1. Inoltre, la sintesi di analoghi di NSC88915 ha fornito informazioni sui requisiti strutturali necessari per l’inibizione di TDP1. La risonanza plasmonica di superficie (SPR) mostra che NSC88915 si lega a TDP1, mentre analoghi inattivi non riescono ad interagire con l’enzima. In seguito a studi di docking molecolare e dei meccanismi, questi composti sono stati proposti come inibitori competitivi, che mimano il substrato oligonucleotide-peptide di TDP1. Questi derivati steroidei rappresentano un nuovo chemiotipo e forniscono un nuovo scaffold per lo sviluppo di piccole molecole capaci di inibire TDP1[23].

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Figura 25. Inibizione da parte di NSC88915: (A) struttura chimica di NSC88915; (B) rappresentazione schematica di un saggio biochimico con base gel sulla TDP1; TDP1 idrolizza il legame 3’-fosfotirosinico e converte N14Y in un oligonucleotide contenente un 3’-fosfato (N14P); (C) gel rappresentativo che dimostra l’inibizione dose-dipendente della TDP1 da parte di NSC88915; (D) rappresentazione grafica dell’inibizione, in percentuale, della TDP1 da parte di NSC88915. Ogni punto rappresenta la media ± l’errore standard per tre diversi esperimenti.

3. Furamidina → saggi biochimici in vitro hanno confermato che anche la furamidina inibisce TDP1 a concentrazioni micromolari. La furamidina lega il duplex di DNA nel solco minore, selettivamente sui siti ricchi di adenina e timina, così come si intercala tra le coppie di guanina e citosina. Dal momento che nel saggio non era presente alcun duplex di DNA, il meccanismo d’azione della furamidina è praticamente nuovo. Ulteriori analisi tramite risonanza plasmonica di superficie hanno rivelato che la furamidina si lega non solo ai duplex di DNA, ma anche al DNA a singolo filamento, benché in grado minore. Analisi analoghe hanno poi mostrato che la furamidina interagisce con TDP1. Questi risultati hanno incrementato la possibilità di un meccanismo d’azione inibitorio che combini l’interazione tra il substrato di DNA e TDP1, che ricorda l’inibizione interfacciale dei Top1cc da parte degli inibitori Top1.

Altri due composti diamidinici, il berenile e la pentamidina, sono risultati meno efficaci della furamidina nell’inibizione di TDP1. Entrambi i composti mostrano una struttura complessiva curva,

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33 come la furamidina, ma l’anello furanico della furamidina è sostituito con altri gruppi. Questo suggerisce che l’anello furanico sia importante per l’azione inibitoria verso TDP1, probabilmente a causa dell’interazione diretta col DNA o con TDP1 o con entrambi, o grazie alla stabilizzazione della curvatura complessiva del composto (Figura 26) [24].

Figura 26. sono mostrate le diverse attività sulla TDP1 da parte di furamidina, berenile e pentamidina: (A) struttura chimica dei tre composti. Le linee tratteggiate indicano le porzioni chimiche variabili; (B) reazioni a concentrazioni micromolari note dei tre composti; le reazioni sono portate avanti per 20 minuti, a pH 8.0 e 25°C, in presenza di 25 nM di substrato 14Y e 1 ng di TDP1. I campioni sono stati separati con un gel al 20% di urea-PAGE e poi visualizzati.

4. Agenti che mimano la fosfotirosina → il sistema AlphaScreen (saggio omogeneo di prossimità luminescente amplificato) a base di microsfere è stato utilizzato per valutare l’attività degli inibitori che mimano la fosfotirosina. L’insieme di composti farmacologicamente attivi presenti in letteratura (LOPAC) è stato analizzato per validare ulteriormente il saggio. Dopo l’analisi dei dati, sono stati selezionati quattro composti attivi: acido aurintricarbossilico (ATA), l’inibitore tirosinfosfatasico metil-3,4-defostatina e gli antagonisti delle proteine G Gα-specifici suramina e NF449 (Figura 27)

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[25]. La suramina blocca il legame di diversi fattori di crescita, inclusi il fattore di crescita

insulino-simile I (IGF I), il fattore di crescita epidermico (EGF), il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) e il fattore di crescita tumorale beta (TGF-beta), con i loro recettori, inibendo così la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali. Sia la suramina che il suo analogo NF449 sono stati riconosciuti come antagonisti dei recettori delle proteine G selettivi verso Gsα e dei recettori P2. Dunque essi possono agire da esche, poiché TDP1 può percepire la loro estesa rete di gruppi solfonici come molteplici siti fosfotirosinici. La nitrosoanilina, metil-3,4-defostatina, è un analogo stabile della defostatina ed è il più piccolo dei quattro composti attivi. È da notare che è considerevolmente più potente di vanadato e neomicina. La defostatina e i suoi analoghi sono inibitori tirosinfosfatasici (PTP) noti, che agiscono probabilmente anche come mimetici della fosfotirosina. La metil-3,4-defostatina, a differenza della defostatina, non inibisce le PTP associate a CD-45, dirigendosi esclusivamente sul rispettivo sito di legame. Abbiamo scoperto che la metil-3,4-defostatina inibisce la TDP1 a concentrazioni sub-micromolari, sia nei saggi primari che secondari, e rappresenta quindi il più potente inibitore di TDP1 riportato in letteratura [25].

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Figura 27. (A) Strutture dei quattro hits identificati nel saggio pilota; (B) è stata testata la risposta, in base alla dose, degli hits, sotto tre diverse condizioni di reazione: nella condizione A è stata usata 1 nM di enzima per 5 minuti; nella condizione B è stata usata 1 nM di enzima per 2 minuti; nella condizione C sono state usate 0,2 nM di enzima per 2 minuti. Man mano che la concentrazione di substrato diminuisce, si osserva una progressiva diminuzione dei valori della IC50 di tutti e quattro gli inibitori. (C) curve di risposta dose-dipendente degli hits testati nella condizione C. da sinistra andando verso destra vediamo le risposte di ATA (quadrati), metil-3,4-defostatina (rombi), NF449 (triangoli rovesciati) e suramina (triangoli). (D) Sono mostrati i grafici a dispersione tridimensionale dei dati qHTS, in cui mancano (in nero) o sono presenti (in blu) le relazioni tra risposta e concentrazione, riguardanti i saggi sulla serie LOPAC1280, effettuati sotto le condizioni di elevata conversione (a sinistra, condizione di reazione A) e di ridotta conversione (a destra, condizione di reazione C). L’aumentata sensibilità nel secondo saggio è evidenziata dall’aumento del numero di campioni che mostrano una più forte inibizione (punti blu).

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36 4.3 TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI 2 (TDP2)

Nelle cellule umane, esiste un altro enzima in grado di processare efficacemente le estremità 5’-fosfato delle rotture sul doppio filamento di DNA, in preparazione del legame col DNA. Questo enzima, una proteina associata al recettore di TRAF e TNF (TTRAP), è un membro della famiglia di fosfodiesterasi dipendenti da Mg2+/Mn2+. La deplezione di TTRAP cellulare porta ad un aumento della suscettibilità e della sensibilità delle rotture del doppio filamento indotte dalla DNA-topoisomerasi II. TTRAP è la prima porzione 5’-tirosil-fosfodiesterasica del DNA umano ad essere stata identificata; l’enzima viene perciò chiamato tirosil-DNA-fosfodiesterasi 2 (TDP2).

La TDP2 umana è più piccola di TDP1, con una massa molecolare di 41 kDa (362 residui amminoacidici). Come TDP1, anche TDP2 presenta due domini proteici, di cui il dominio catalitico è rappresentato dalla porzione C-terminale, mentre il dominio N-terminale presenta la porzione UBA, che, probabilmente, gioca un ruolo regolatorio. La TDP2 appartiene alla famiglia di nucleasi con dominio esonucleasico-endonucleasico-fosfatasico (EEP), che taglia DNA e RNA. TDP2 contiene quattro motivi catalitici conservati (TWN, LQE, GDXN, SDH), condivisi con le nucleasi Mg2+/Mn2+ -dipendenti, incluse la DNAasi I e la endonucleasi AP (APE1). La maggior parte dei

residui, in tutti e quattro i motivi, si è rivelata importante per TDP2 (Figura 28) [18].

Figura 28. Struttura cristallina di TDP2

A differenza di TDP1, TDP2 necessita di metalli bivalenti, ma non forma un intermedio covalente catalitico di transizione. Mg2+, Mn2+, Co2+ sono molto più efficienti, per la catalisi, rispetto a Ca2+

o Zn2+. Il primo metallo è coordinato dai residui D262, H351 e N264, e coordina anche una molecola d’acqua deprotonata per l’attacco nucleofilo sul gruppo fosfato. Il secondo metallo è

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37 coordinato dalle funzioni carbossiliche di D122 e E152. Il residuo N120 collega i siti di legame dei metalli, mediante legame ad idrogeno, coi residui E152 e D262. TDP2 genera terminazioni 5’-fosfato nell’acido nucleico; tali terminazioni, a differenza delle 3’-5’-fosfato prodotte dalla TDP1, possono essere facilmente processate dalle ligasi (Figura 29).

Figura 29 Meccanismo di reazione proposto per il taglio del legame fosfodiestereo da parte della TDP2: (A) il peptide derivato dalla Top2 (topoisomerasi intrappolata) si lega in 5’ al DNA tramite legame fosfotirosinico; (B) sul legame del substrato covalente peptide-DNA, nel sito attivo della TDP2, due ioni magnesio vengono coordinati dai residui catalitici della TDP2, per l’attacco nucleofilo sul legame fosfotirosinico (frecce nere); (C) i prodotti del taglio consistono nel polipeptide topoisomerasi (top) e nel DNA con l’estremità 5’-fosfato libera.

TDP2 è stato identificato di recente come l’ospite per la VPg unlinkase, una fosfodiesterasi che idrolizza il legame tra VPg e i picornavirus, una vasta famiglia di virus di cui fanno parte poliovirus, coxackievirus, rhinovirus e il virus della malattia mano-piede-bocca. L'attività della TDP2 è vitale per la replicazione virale, poiché l'estremità 5’ dell'RNA genomico virale del picornavirus è legata covalentemente a una piccola (> 20 residui) capsula virale (VPg), attraverso un legame fosfotirosinico. Dopo l'infezione, VPg viene rimosso dall'estremità 5’ dell'RNA, grazie all'attività 5'-fosfotirosinica di TDP2, consentendo così la conversione delle proteine codificate dal virus. La famiglia Picornavirus comprende molti agenti patogeni responsabili di malattie nell'uomo e negli animali, come la poliomelite, il raffreddore e l'afta epizootica. Di conseguenza, inibitori di TDP2 possono servire per il trattamento di vaste popolazioni esposte a queste malattie [18].

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38 4.4 INIBITORI DELLA TIROSIL-DNA-FOSFODIESTERASI 2

La recente scoperta dell’enzima tirosil-DNA-fosfodiesterasi 2 (TDP2) ha avuto un ruolo importante nella riparazione del danno al DNA mediata da topoisomerasi. Effettuando studi clinici, è stato ipotizzato che TDP2 potesse mediare la farmaco-resistenza verso l’inibizione di Top2 effettuata usando etoposide. Così, l’inibizione farmacologica selettiva di TDP2 è stata proposta come nuovo approccio per superare la resistenza, intrinseca o acquisita, ai farmaci inibitori di Top2.

Portando avanti una campagna di screening ad alto rendimento (HTS), sono stati identificati, come inibitori selettivi dell’enzima a dosaggi sub-micromolari, la toxoflavina e la deazaflavina.

I derivati della toxoflavina presentano una relazione struttura-attività (SAR) che ben chiarisce l’azione inibitoria verso TDP2. Tuttavia, la tendenza di questa serie di derivati a comportarsi da agenti riducenti, accanto ai problemi di metabolismo e farmacocinetica emersi in vitro, ne ha precluso un’ulteriore indagine.

I deazaflavinici sono stati sviluppati da un singolo hit HTS. Questa serie mostra SAR distinte, e non mostra attività redox; tuttavia la bassa permeabilità cellulare si è rivelata un problema [26].

Deazaflavina Toxoflavina

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