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Il ritorno alla terra alta

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in:

Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Tesi di laurea:

IL RITORNO ALLA TERRA ALTA

Relatore:

Prof.ssa Adanella Rossi

Candidato:

Giacomo Movalli

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Sommario

1 Introduzione alla ricerca ... 1

2 Quadro di riferimento ... 3

2.1 Le dinamiche di abbandono e ritorno alla terra nel contesto alpino italiano ... 3

2.2 Un contesto ambientale in evoluzione e la minaccia climatica sulle Alpi ... 4

3 La metodologia di analisi ... 6

3.1 La scelta della metodologia di analisi ... 6

3.2 Gli areali scelti per lo studio ... 6

3.3 Criteri per la scelta delle aziende oggetto di studio ... 7

3.4 Gli strumenti dell’analisi: la traccia di intervista ... 8

3.4.1 Le caratteristiche dell’azienda insediata ... 8

3.4.2 Il background e la scelta del posto ... 8

3.4.3 Le motivazioni e gli ideali ... 8

3.4.4 Le risorse, le facilitazioni e gli strumenti disponibili per favorire l’insediamento ... 8

3.4.5 I principali ostacoli e le difficoltà riscontrate durante l’insediamento ... 9

3.5 Le modalità di analisi dei dati raccolti con le interviste ... 9

4 L’analisi dei casi studio ... 11

4.1 Le dinamiche dell’evoluzione storica dell’agricoltura nei diversi areali di studio ... 11

4.1.1 La provincia del Verbano Cusio Ossola ... 11

4.1.2 La regione autonoma della Valle d’Aosta ... 15

4.1.3 Provincia autonoma di Trento ... 19

4.2 I risultati emersi dall’indagine sull’esperienza delle aziende agricole ... 23

4.2.1 Le caratteristiche strutturali delle aziende agricole ... 23

4.2.2 I background e la scelta del posto ... 26

4.2.3 Le motivazioni e gli ideali ... 27

4.2.4 Le risorse, le facilitazioni e gli strumenti disponibili per favorire l’insediamento ... 27

4.2.5 I principali ostacoli e le difficoltà riscontrate durante l’insediamento ... 29

4.2.6 L’ostacolo più grande ... 31

4.2.7 Il consiglio dei giovani agricoltori ... 33

4.3 Analisi dei risultati emersi per aree tematiche ... 35

4.3.1 I fattori chiave per lo sviluppo delle capacità imprenditoriali dei giovani agricoltori ... 35

4.3.2 I fattori chiave per lo sviluppo della strategia aziendale ... 37

4.3.3 Il ruolo del rapporto con il mercato ... 42

4.3.4 Il ruolo del contesto istituzionale e delle politiche ... 44

5 Conclusioni ... 47

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Indice delle figure e delle tabelle

FIGURA 1-MAPPA DEGLI AREALI DI STUDIO ... 7

FIGURA 2– MAPPA DELLA PROVINCIA DEL VERBANO CUSIO OSSOLA... 11

FIGURA 3–ANDAMENTO STORICO DELLA SAU PER TIPOLOGIA DI COLTIVAZIONE ESCLUSI PRATI E PASCOLI ... 13

FIGURA 4–ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE TOTALI IN RELAZIONE ALLA SAU COLTIVATA ... 14

FIGURA 5–ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE CON ALLEVAMENTI BOVINI IN RELAZIONE AL NUMERO DI CAPI PRESENTI SUL TERRITORIO ... 14

FIGURA 6-MAPPA DELLA VALLE D’AOSTA ... 15

FIGURA 7-ANDAMENTO STORICO DELLA SAU PER TIPOLOGIA DI COLTIVAZIONE ESCLUSI PRATI E PASCOLI ... 18

FIGURA 8-ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE TOTALI IN RELAZIONE ALLA SAU COLTIVATA ... 18

FIGURA 9-ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE CON ALLEVAMENTI BOVINI IN RELAZIONE AL NUMERO DI CAPI PRESENTI SUL TERRITORIO ... 19

FIGURA 10-MAPPA DELLA PROVINCIA DI TRENTO ... 19

FIGURA 11-ANDAMENTO STORICO DELLA SAU PER TIPOLOGIA DI COLTIVAZIONE ESCLUSI PRATI E PASCOLI ... 22

FIGURA 12-ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE TOTALI IN RELAZIONE ALLA SAU COLTIVATA ... 23

FIGURA 13-ANDAMENTO STORICO DEL NUMERO DELLE AZIENDE CON ALLEVAMENTI BOVINI IN RELAZIONE AL NUMERO DI CAPI PRESENTI SUL TERRITORIO ... 23

FIGURA 14- INDIRIZZO PREVALENTE DELLE AZIENDE INTERVISTATE ... 24

FIGURA 15–CANALI DI VENDITA UTILIZZATI DALLE AZIENDE ... 26

FIGURA 16-LE PRINCIPALI MOTIVAZIONI CHE SPINGONO I GIOVANI A INSEDIARSI IN AGRICOLTURA SULLE ALPI ... 27

FIGURA 17-LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE RISCONTRATE DAI GIOVANI AGRICOLTORI NEL RAPPORTO CON IL PSR ... 28

FIGURA 18-LE PRINCIPALI DIFFICOLTÀ RISCONTRATE DAI GIOVANI AGRICOLTORI NEL PROCESSO DI INSEDIAMENTO E NEI PRIMI ANNI DELL'ATTIVITÀ ... 32

FIGURA 19–WORD CLOUD, RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEI TEMI PIÙ SENTITI ED EVOCATI ALL'INTERNO DEI CONSIGLI DEI GIOVANI AGRICOLTORI ... 35

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iv “La montagna di oggi? Nella mia frazione vivevano duecento

persone. Ne vivono ancora quattordici, tutti vecchi. Ai Verra ci sono ancora due anime, e tante ortiche, tanti muri

screpolati. […] Oggi in montagna non c’è più il modo di vivere. Lo sviluppo economico della pianura è stato troppo rapido, ha attirato tutte le forze valide della montagna, tutti i giovami. Eppure alla lunga la montagna ritornerà buona, ritornerà abitata. Ci vuole qualcosa di grosso, di grave, che faccia di nuovo apprezzare la gente contadina, la nostra montagna.”

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1 Introduzione alla ricerca

Le Alpi italiane erano un tempo un formicaio di popoli e genti dalle molte lingue, abitanti una geografia complessa le cui uniche frontiere erano quelle naturali. Erano luoghi abitati da comunità industriose che lottavano, dall’alba al tramonto, con un territorio ostile per ottenere di che sfamare le famiglie numerose. La lotta per la sopravvivenza di quelle donne e quegli uomini ci ha lasciato un’eredità inestimabile: un paesaggio irripetibile e un ecosistema ricco. Per quasi mezzo secolo i successori non sono stati in grado di raccogliere e conservare quell’eredità e la montagna si è trasformata nel mondo dei vinti (Revelli, 1977). L’abbandono ha reso irriconoscibili le vallate, sgretolato i paesi, violato gli argini e ora, che quel mondo ci sta crollando addosso, non possiamo più non preoccuparcene. Le valli abbandonate sono diventati musei dove imparare, stupiti, la semplicità della vita dei nostri antenati e barattare le potenzialità enormi di un territorio per lo stupore di un panorama. Boschi, praterie, terrazze giacciono inutilizzati e si logorano fino al crollo, la frana, l’incendio. I monti hanno perso il loro compito di produrre cibo e la ricchezza di un territorio è stata imprigionata in una cartolina per cinquant’anni.

La crisi tuttavia non ha seguito la stessa traiettoria dovunque, sono due fondamentalmente le direzioni estreme del declino della montagna (Corrado, 2016), da un lato si è sviluppata la monocultura del turismo, dall’altra, quella “periferica”, ai margini e fuori dai circuiti turistici si sono visti nel tempo espellere servizi e forme di economia primaria con indebolimento e perdita delle identità e delle reti sociali. Così, mentre una parte della montagna si spopolava, un’altra è diventata il “parco giochi sportivo” invernale della città, di cui sono esempio i desolanti comprensori delle aree sciabili, le stazioni total ski, sempre più in crisi per i cambiamenti del clima, con i loro condomini, e le residenze secondarie, vuoti per gran parte dell’anno. Il rotolare a valle dei montanari per conseguenza ha prodotto la cementificazione dei fondovalle tramite una “pianificazione permissiva” che lascerà a chi verrà un’eredità pesantissima, fatta di villettopoli, capannoni e case su lotto prive di un legame con la struttura insediativa storica del territorio. La coltivazione edilizia delle aree agricole del fondovalle ha prodotto un grave consumo e una mineralizzazione indiscriminata del suolo, la presenza di insediamenti in aree esondabili e a rischio, una scarsissima funzionalità nell’uso del territorio e un forte decremento della qualità ambientale e paesaggistica in molte valli dell’arco Alpino. (De Rossi 2011; Mercalli e Sasso 2004)

Da qualche tempo però, in quei territori lasciati vuoti, dimora degli anziani, qualcosa si è opposto all’inerzia del disastro e ha riportato i suoni della vita nelle vallate. Le genti sono tornate. Sono i disinnamorati della città, “desiderosi di fuggire dalla vita urbana stressante e usurante” determinati a cercare un universo vergine dove coltivare l’amore per il territorio e riscattare finalmente l’eredità dei propri antenati (Dematteis, 2011). Sono tornati i giovani, le famiglie, i bambini. Si sono chieste le strade, gli ambulatori, le scuole. E ora l’enorme patrimonio naturale sta tornando lentamente a produrre cibo e sostegno per le comunità. La montagna è il luogo dove la produzione di cibo può essere sostenibile grazie ad un legame indissoluto con il territorio, e questo, anche la città lo ha finalmente capito (Mazzocchi e Sali, 2016). La richiesta crescente di alimenti sani e di ambienti naturali belli e sicuri ha creato la

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2 domanda di cibo di montagna e ha spinto nuove aziende agricole a nascere in quei territori, dove anche l’economia è lentamente ripartita. Ma la strada non è semplice per questi nuovi pionieri, gli anni di declino e degrado hanno riempito il percorso di ostacoli e insidie. Le mulattiere sono crollate, il bosco ha invaso i pascoli, l’abbandono ha lasciato i paesi nel medioevo e la povertà ha minato la terra con il flagello della proprietà. I morti si sono portati nella tomba la miseria e brandelli di campi e terreni ora giacciono divisi e frammentati nell’attesa che, al costo di enormi fatiche, qualcuno li riassembli. A questo si aggiungono le nuove minacce che il cambiamento climatico sta portando anche in questi territori; altre forze della natura (complice l’umanità stessa) lanciano nuove sfide alla gente di montagna e al futuro dell’agricoltura in questi luoghi.

In questo scenario, anche chi dovrebbe aiutare spesso non aiuta: mentre la montagna rimaneva indietro il mondo andava avanti e produceva leggi e normative pensate per la città e la pianura, per la grande impresa competitiva e produttiva.Le vecchie baite, le stalle, le casere non sono conformi a standard pensati per strutture di pianura; mancano luci, impianti, altezze, accessi. Essere pionieri è una sfida e le conquiste da compiere sono tante, a volte troppe e molti rinunciano. Ma quando è la passione e l’amore per un territorio a guidare la fatica, resistere è più facile anche se vivere è difficile. I giovani di oggi stanno aprendo la strada a chi li seguirà e anche se guadagneranno la via metro dopo metro, sarà compito delle politiche evitare fatiche inutili e sprechi di risorse preziose nonché limitate (Corrado et al., 2014).

L’interesse dei giovani a produrre cibo in montagna è lo spirito di questa tesi. Fare luce su questo fenomeno, su quello che lo anima e su quello che lo sfida è l’obiettivo. Comprendere i “perché” e i “come” è un compito fondamentale per facilitare il ritorno degli agricoltori alla montagna. Chi sono i pionieri, cosa cercano, cosa li spaventa, chi è disposto ad aiutarli e chi cerca di fermarli, a cosa andranno incontro e come potranno affrontarlo. Capire questi aspetti è essenziale se vogliamo che le nostre valli tornino a vivere e a produrre cibo in armonia con l’ambiente e con le comunità. Se anche la politica vorrà ascoltare e cercare risposta a queste domande potrà forse capire la necessità di spianare la strada dagli ostacoli e dall’ottusità di percorsi normativi inadeguati e pensare, con più realismo, a come sfruttare questo potenziale, nel presente e nel futuro. Il ritorno alla terra alta è cominciato. Starà ai molti attori coinvolti creare le condizioni virtuose per trasformare questa rivoluzione in un’esperienza nuova che ridisegnerà i modi e le forme del produrre cibo, cultura e relazioni nel secolo della crisi dell’urbanesimo occidentale Salsa, 2007).

L’articolazione della tesi è la seguente: inizialmente, nel secondi capitolo, viene illustrato un quadro di riferimento, relativo alle dinamiche che interessano il contesto alpino italiano e che lo hanno interessato in passato; nel terzo capitolo viene esposta la metodologia adottata per lo svolgimento dell’indagine; nel quarto vengono riportati i risultati dell’indagine svolta che sono successivamente analizzati per aree tematiche; Nel quinto sono riportate le riflessioni finali e le conclusioni.

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2 Quadro di riferimento

2.1 Le dinamiche di abbandono e ritorno alla terra nel contesto alpino italiano

Le dinamiche demografiche che riguardano i territori dell’arco alpino italiano mostrano un sostanziale esodo dalla montagna a partire dagli anni ’60. In generale in tutta Italia, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si registra un abbandono delle aree rurali in favore delle aree urbane e di pianura. Tra gli anni 1961 -1971 la popolazione rurale italiana ha perduto attorno alle 5 milioni di unità, e proprio nei territori montuosi si è assistiti al calo più vistoso della popolazione residente. (Dematteis, 2011) Come nel quadro di decadenza e desolazione, descritto da Nuto Revelli (1977) nel suo “Mondo dei vinti”, le vallate alpine sono una sequenza di paesi abbandonati dove le vecchie baite dai tetti sfondati appaiono come relitti tra ortiche e sambuchi. I sentieri e le mulattiere crollano e le strade, che tardi sono giunte ai paesi, sono servite solo a svuotarli. Dalla seconda metà del ventunesimo secolo la montagna è dipinta nell’immaginario collettivo come un luogo di arretratezza, di attaccamento a valori tradizionali antichi e superati e come un sistema dipendente dalla città nella progressiva disastrosa perdita di servizi territoriali necessari (Dematteis, 2011). Si fa largo così l’immagine del montanaro perdente e il suo mondo con la sua cultura sono ritenuti superati e sconfitti rispetto al modello della pianura che ha improvvisamente cambiato velocità (Varotto, 2000).

Rispetto a tale quadro, sulla base di recenti studi svolti in paesi dell’arco alpino (Corrado, 2013; Dematteis 2011, Merlo 2009), è possibile affermare che sia in atto un’inversione di tendenza che, seppure lieve, porta una svolta demografica ad interessare le montagne In tutta Europa. Come dice Merlo (2009) “nell’Occidente più sviluppato si intravedono chiari segnali di disurbanizzazione e si assiste al fenomeno della rinascita rurale”. In particolare, si documenta una vera e propria risalita verso le montagne, in cui centri urbani rurali e montani di piccole dimensioni diventano attrattori di nuovi abitanti. Comuni quasi del tutto disabitati, villaggi, nuclei rurali e borghi montani recuperano nuova popolazione (Corrado, 2010; 2013). I dati del CIPRA (2007, p 266) spiegano che questo aumento demografico è dovuto principalmente a flussi di migrazione interna. Questo movimento è legato a una sorta di desiderio di ruralità da parte di soggetti che decidono consapevolmente di trasferirsi sulle Alpi per diversi motivi: dalla migliore qualità della vita, alla possibilità di trovare o di inventarsi un’occupazione, alla possibilità di praticare attività outdoor e godere di un paesaggio di pregio. Sono soggetti che con il loro stile di vita e le loro attività producono dinamiche territoriali che mettono in gioco in modo innovativo risorse territoriali precedentemente utilizzate in modo tradizionale. Sono dunque portatori di idee che possono spaziare dall’agricoltura biologica, alla cyberimpresa, al rifugio tecnologico, alla bioedilizia, etc. (Battaglini e Corrado, 2014).

Questo influsso di nuove energie e idee sta rianimando le montagne europee ponendole in una luce più attrattiva anche da un punto di vista degli sbocchi occupazionali. Parallelamente alla crescita demografica i dati sul censimento dell’agricoltura di ISTAT mostrano una lieve crescita, a partire dagli anni 2000, del numero delle aziende agricole in molti territori alpini rispetto ai decenni precedenti. Appare chiaro come una rinascita della montagna dal punto di vista demografico e sociale rappresenti uno stimolo per molti giovani nativi a scegliere di rimanere, anziché cercare occasioni lavorative altrove. La crescita dell’imprenditoria giovanile

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4 agricola, sempre mostrata da ISTAT, per le zone montane italiane conferma un trend positivo e invita a trovare la correlazione tra i due eventi.

Emergono quindi i contorni sfumati di un lento ma crescente ritorno alla terra da parte di giovani, forestieri e non, interessati a riabitare e coltivare i territori rurali e montani. L’attività agricola porta con sé l’attenzione verso le risorse di cui quei luoghi sono espressione, traducendosi in benefici importanti anche per le città. I processi di gestione di queste aree come la cura di pascoli, terrazzamenti, boschi rappresentano un plusvalore anche per il contrasto al dissesto idrogeologico offrendo importanti servizi ecosistemici di cui beneficiano anche le aree urbane. Il “recupero della terra” alta si sta verificando in diverse forme in diversi luoghi: la ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare rurale, la ripresa di antiche coltivazioni e razze che altrimenti sarebbero andate perdute nel tempo, la sottrazione di vaste porzioni di terra ad un processo di rinaturalizzazione giustificato come scelta di una wilderness estrema, che lentamente cancella le tracce del un sapiente lavoro di antropizzazione portato avanti nei secoli (Varotto 2012).

L’alba del nuovo montanaro è in corso, molti giovani si svegliano al mattino e si dirigono al lavoro in quei pascoli e terrazzi fino a ieri abbandonati. Questa ricerca si è posta l’obbiettivo di comprendere chi sono questi giovani e quali sono i loro obbiettivi, nonché quale ruolo, in nome di una montagna viva, le istituzioni possano giocare per aiutarli a crescere.

2.2 Un contesto ambientale in evoluzione e la minaccia climatica sulle Alpi

Il rapporto “Mountains and Climate Change, From Understanding to Action” realizzato dagli studiosi Kholer e Maselli (2009) dell’Università di Berna. Descrive le prospettive di cambiamento che potrebbero riguardare le Alpi nei prossimi decenni in seguito al verificarsi del cambiamento climatico. La scommessa dei giovani sull’agricoltura montana è una partita che si gioca nel presente ma guardando al futuro. Ignorare le previsioni, che il mondo scientifico presenta per il clima alpino in vista del global warming, sarebbe sconsiderato e priverebbe l’analisi della considerazione di un fattore determinante per la produzione agricola, il rapporto con il meteo. Sono già noti i nefasti impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura: la scarsità di precipitazioni e gli eventi siccitosi, i ritorni di freddo e l’instabilità stagionale, il diffondersi di nuove patologie e insetti fitofagi, gli eventi metereologici estremi e il dissesto idrogeologico. Il rapporto scientifico citato descrive il potenziale dannoso specifico, che i cambiamenti climatici potrebbero avere sulle Alpi. Consideriamo che la pianificazione di una strategia aziendale per le aziende di montagna non possa non tenerne conto.

L’approvvigionamento idrico

La montagna rappresenta la scorta d’acqua del mondo. Fornisce acqua dolce a metà della popolazione mondiale per irrigazione, industria, uso domestico ed energia idroelettrica. Gran parte del supporto delle montagne al ciclo dell’acqua è garantito dalla copertura nevosa, Il manto nevoso è particolarmente sensibile e delicato, in quanto reagisce rapidamente a variazioni di temperatura. In un mondo più caldo, una frazione minore di precipitazioni invernali cadrà come neve, e lo scioglimento della neve invernale avverrà all'inizio della primavera e nel periodo invernale con una riduzione netta nel periodo estivo Le conseguenze di questi cambiamenti avranno un impatto sugli approvvigionamenti di acqua dolce nelle zone

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5 montane e per la disponibilità di acqua nelle pianure. I cambiamenti nella disponibilità di acqua dovuti ai cambiamenti climatici avverranno in un periodo storico e in un contesto di aumento demografico in cui la pressione sulle risorse idriche per l'irrigazione, la produzione alimentare, l'industrializzazione e l'urbanizzazione potrebbero essere in aumento.

La scomparsa dei ghiacciai

Si stima che un miliardo di persone tra Asia, Nord e Sud America e Europa centrale e meridionale dipendono attualmente dalla neve e dall’acqua di disgelo di ghiacciai durante la stagione secca (UNEP 2007). La mancanza di acqua e la siccità dovuta alla perdita dei ghiacciai alpini ha il potenziale per Influenzare negativamente le economie e i mezzi di sussistenza delle popolazioni montane. La riduzione dell’offerta idrica durante la stagione secca con periodi di basso flusso nei fiumi e calo dei livelli di laghi e acque di falda, così come l'aumento del fabbisogno di acqua per una popolazione in crescita produrrà l'effetto combinato di forniture più basse e crescenti richieste con prospettive di probabili conflitti. Con l'aumento delle temperature dell'aria, l'aumento dell'evaporazione e il cambiando le condizioni della neve, la scomparsa dei ghiacciai di montagna rappresenta un rischio per l’approvvigionamento idrico e potrebbe Innescare dinamiche di competizione legate al dilemma: chi possiede l'acqua e chi decide le priorità per il suo utilizzo?

Il dissesto del territorio

Temperature più elevate porteranno ad un’alterazione del ciclo idrogeologico sconvolgendo i ritmi delle precipitazioni nei quantitativi e nell'intensità. Sulle Alpi questo fenomeno comporterà una maggiore gravità e frequenza di tempeste, che potranno minacciare la produzione agricola, la sicurezza e i mezzi di sussistenza di migliaia di persone, e danneggiare infrastrutture vitali. L'erosione accelerata dai fiumi può destabilizzare i pendii, con effetti drammatici In seguito a piogge intense e prolungate. Lo sviluppo della vegetazione su tali siti è un processo lento, ne consegue che essi possono rimanere non protetti contro l'erosione per decenni o addirittura secoli. Di conseguenza, su versanti in pendenza, caduta di massi, frane e il flusso di detriti rappresenteranno crescenti minacce per l'insediamento e le infrastrutture in molti luoghi (Beniston 2005). Inoltre, periodi prolungati di temperature elevate trasformeranno aree già sensibili al fuoco, in regioni ad alto rischio di incendi. Infine, il riscaldamento globale potrebbe aumentare l'incidenza di infestazioni di insetti fitofagi e patogeni vegetali.

La sicurezza alimentare

Le popolazioni di montagna sono abituate alla variabilità climatica dei diversi ambienti che essi stessi popolano, così l’agricoltura si è sviluppata nei passati secoli per sfruttare al meglio la vocazionalità di ogni ambiente per la produzione di specifici output. Tuttavia, in uno scenario di cambiamento climatico, non è certo che le esperienze passate possano trovare un futuro nella montagna del domani che presenterà condizioni climatiche forse anche molto diverse e variabili. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico potrebbe portare alcuni benefici alle aree alpine. La dilatazione delle finestre produttive e l’allungamento delle stagioni unite a temperature più elevate potrebbero significare rese più elevate con una crescita dei terreni sottoposti a coltura, inoltre, una decomposizione accelerata del suolo a causa di temperature più alte potrebbe produrre una migliore assunzione di nutrienti da parte di alberi e altre piante.

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6 Questi elementi positivi tuttavia sono resi aleatori, in un contesto di grande imprevedibilità in cui le conseguenze di eventi negativi molto più rilevanti e incombenti potrebbero pregiudicare fortemente la resilienza dell’agricoltura nelle aree di montagna.

3 La metodologia di analisi

3.1 La scelta della metodologia di analisi

Lo studio si è composto di due percorsi d’indagine. Il primo è stato rivolto ad inquadrare il contesto attraverso un’analisi storica dell’evoluzione del settore agricolo nei territori indagati nel corso degli ultimi quarant’anni. Il secondo percorso invece ha approfondito il punto di vista dei giovani agricoltori, protagonisti del ritorno alla terra, i quali compongono una fotografia di gruppo che ci permette di comprendere e descrivere il fenomeno in corso.

Per quello che concerne lo studio dell’evoluzione dell’agricoltura negli areali dell’arco alpino si è fatto ricorso al datawarehouse di ISTAT relativo al censimento sull’agricoltura. I dati, disponibili in rete sono stati consultati nelle voci relative ai settori delle coltivazioni e degli allevamenti a partire dal 1982 fino al 2010, ultimo anno per il quale sono disponibili informazioni. Il database molto completo di ISTAT ha permesso così di tracciare un’analisi quantitativa approfondita e precisa rivelando informazioni relative alla consistenza numerica di aziende attive, capi di bestiame ed ettari di superficie coltivata nei i decenni trascorsi dal primo censimento pubblicato e messo a disposizione sul datawarehouse. I dati ottenuti sono poi stati processati tramite foglio di calcolo per produrre grafici e tabelle. L’analisi dei dati censuari è stata poi supportata da materiale bibliografico al fine di tracciare un quadro conoscitivo sufficientemente completo, delle varie aree, anche relativamente a dinamiche di tipo, storico ed evolutivo e di contesto sfuggenti alla univocità del dato statistico.

Rispetto alla seconda parte dello studio, dedicata ai giovani agricoltori, si è ritenuto opportuno utilizzare una metodologia di analisi di tipo qualitativo, consistente nello svolgimento di interviste dirette ai soggetti interessati, con il supporto di un questionario a risposte sia multiple che aperte. Sono stati intrattenuti colloqui frontali per ognuna delle trentatré aziende coinvolte che hanno permesso all’intervistatore di affrontare i vari quesiti e addentrarsi nei dettagli delle diverse situazioni aziendali nonché nelle caratteristiche socioeconomiche e culturali legate ai differenti contesti geografici. La traccia di intervista è stata messa a punto attraverso lo studio di materiali bibliografici; è stata poi collaudata nel corso dei primi colloqui e quindi perfezionata. Le interviste sono state registrate e successivamente riascoltate al fine di riportare le varie informazioni raccolte nei quesiti specifici del questionario, per essere poi oggetto di analisi. La traccia dell’intervista e le modalità di analisi verranno esposte più avanti.

3.2 Gli areali scelti per lo studio

La ricerca ha avuto luogo in areali dell’arco alpino italiano situati in tre diversi ambiti regionali: Piemonte, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Sebbene non siano stati individuati confini precisi dell’ambiente di indagine è possibile raggruppare per prossimità geografica gli ambiti di studio in tre unità amministrative: quella della provincia del Verbano Cusio Ossola, quella della provincia autonoma di Trento e quella della Regione Autonoma della Valle di Aosta.

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7 La diversificazione degli areali di studio è stata effettuata al fine di evitare un’analisi limitata e subordinata alle dinamiche regionali che mediante l’attuazione delle politiche europee influenzano molto il contesto agricolo locale. Tutte e tre le aree analizzate possiedono un territorio con le peculiarità morfologiche e culturali dell’arco Alpino, con territorio a montuosità prevalente.

In ogni ambito sono state individuate aziende agricole che svolgono la propria attività produttiva unicamente all’interno del territorio alpino.

3.3 Criteri per la scelta delle aziende oggetto di studio

Le aziende invitate a partecipare alla ricerca dovevano rispondere al requisito di essere gestite da giovani. Per la definizione di questo parametro si è fatto riferimento alla definizione adottata dalla PAC 2014-2020 che definisce giovani agricoltori soggetti con età non superiore ai 40 anni. Si è poi cercato di comporre un campione numericamente simile per ogni regione e che comprendesse una diversità di indirizzi produttivi approssimativamente conforme alle specificità della produzione agricola locale.

Per individuare e avvicinare le aziende in ciascun territorio ci si è affidati alle indicazioni fornite da testimoni privilegiati in contatto con gli operatori agricoli. Tra essi figurano: le organizzazioni professionali CIA e Coldiretti, enti parco, assemblee di Gruppi di Acquisto Solidale (Gas) ed esperti studiosi attivi sul tema sul territorio. A partire dalle prime indicazioni ottenute il numero dei soggetti da intervistare è ulteriormente cresciuto, secondo una metodologia nota come “snowball”. Rilevante è stato sicuramente il ricorso alle stesse aziende intervistate che hanno avuto spesso il piacere di indicare colleghi contattabili.

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3.4 Gli strumenti dell’analisi: la traccia di intervista

Il fine dell’indagine sul campo è di comprendere il fenomeno del ritorno alla terra dei giovani sull’arco alpino. L’indagine si è fondata su sessantasei punti specifici, rispetto ai quali le interviste hanno fornito informazioni attraverso una trentina di domande aperte. La traccia dell’intervista si articola in cinque temi principali:

1. Le caratteristiche dell’azienda insediata 2. Il background e la scelta del posto 3. Le motivazioni e gli ideali

4. Le risorse, le facilitazioni e gli strumenti disponibili per favorire l’insediamento 5. I principali ostacoli e le difficoltà riscontrate durante l’insediamento

3.4.1 Le caratteristiche dell’azienda insediata

Il primo tema descrive l’azienda in modo schematico tramite la raccolta di dati anagrafici e specifiche tecniche come: la forma giuridica, le superfici sfruttate o il numero di capi, l’ordinamento produttivo e le produzioni effettuate, i canali di commercializzazione, il numero di soci e il livello di occupazione di essi nelle attività aziendali, il grado di meccanizzazione e i canali di commercializzazione utilizzati. Infine, è richiesto un parere per quanto riguarda la situazione economica attuale dell’attività agricola.

3.4.2 Il background e la scelta del posto

Questa sezione si cerca individuare le ragioni che hanno condotto alla scelta del luogo di insediamento. Tra queste: l’eventuale presenza di legami familiari legata all’importante distinzione tra nativi e forestieri. Si analizza inoltre la formazione posseduta dall’imprenditore principiante e l’eventuale ruolo della famiglia come ambiente formativo rispetto alle pratiche agricole. Oltre alle conoscenze teoriche si approfondisce il tema di eventuali esperienze pratiche pregresse, lavorative, legate al mondo dell’agricoltura o a contesti correlati.

3.4.3 Le motivazioni e gli ideali

Si approfondisce in questa sezione il tema importante della motivazione che ha condotto alla scelta di vivere e lavorare nel contesto montano. Emergono le scelte individuali, le ambizioni iniziali e la storia dei soggetti intervistati precedente all’inizio dell’attività. Le scelte possono essere dettate da ideali politici o dal desiderio di indipendenza lavorativa o più spesso dal legame con il proprio territorio.

3.4.4 Le risorse, le facilitazioni e gli strumenti disponibili per favorire l’insediamento

In questa sezione si cerca di capire quali sono le facilitazioni di cui l’imprenditore di montagna possa godere nel suo percorso di insediamento, ovvero, se la scelta del territorio montano possa in qualche modo agevolare il percorso di insediamento. L’analisi porta alla comprensione delle dinamiche attive sul territorio rispetto alla presenza di: marchi collettivi di identità territoriale

(

DOP, IGP, presidi Slow Food, etc.); enti di ricerca, formazione e sperimentazione di vario livello impegnati per la valorizzazione delle produzioni alpine; consorzi di conferimento per i prodotti o di valorizzazione e coordinamento dell’attività agricola; esperienze di agricoltura sociale; un ruolo significativo del turismo per l’economia aziendale. Infine, in questa sezione è affrontato il tema dei finanziamenti per l’insediamento del Piano di Sviluppo Rurale, compreso quello dei bandi GAL per le aree LEADER. È richiesto

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9 all’intervistato se ha avuto esperienze con queste misure di sostegno ed è domandato un feedback rispetto all’esperienza avuta.

3.4.5 I principali ostacoli e le difficoltà riscontrate durante l’insediamento

L’ultima sezione è divisa in quattro macro-tematiche che rappresentano i principali punti critici dell’agricoltura montana e che sono approfonditi in modo dettagliato

Accesso alla terra

Le domande proposte all’intervistato cercano risposte sul tema dell’accesso al fattore terra, spesso limitante nei territori montani. Si indaga il grado di frammentazione fondiaria nelle diverse aree, la facilità di reperire terreni, i contratti più vantaggiosi e quelli più utilizzati. Si esamina inoltre la disposizione della popolazione locale a trasferire il fattore terra alle nuove generazioni.

Ambiente sociale e rapporti con la popolazione locale

È indagato il livello di interesse e supporto da parte della popolazione locale nei confronti dell’operato dei giovani agricoltori. Quanto i prodotti aziendali sono richiesti sul luogo e quanto i locali sono disposti a collaborare e a sostenere l’attività dei giovani agricoltori? E quanto gli operatori agricoli più anziani sono favorevoli alla cooperazione?

Ambiente amministrativo istituzionale

Sono esaminati i rapporti con le istituzioni e il livello di collaborazione offerto dagli enti amministrativi locali. In particolare, è affrontato il tema del carico burocratico da gestire da parte dell’azienda in relazione anche alle capacità gestionali dell’imprenditore.

La carenza di infrastrutture e servizi per la produzione

Si indaga sull’eventuale carenza sul territorio di infrastrutture funzionali alla produzione. Si vuole comprendere il grado di dispersione degli elementi della filiera sul territorio; ma anche se sono attivi contoterzisti e se la meccanizzazione risulta possibile alla luce della morfologia degli appezzamenti.

Domande conclusive

Ogni intervista si conclude con due domande tese a individuare i punti salienti dell’esperienza di ciascun imprenditore. La prima vuole sapere quale sia stato l’ostacolo più grosso e difficile da superare nel percorso dall’insediamento ad oggi. La seconda domanda chiede un consiglio a piacere ipotizzando di dover indirizzare un giovane aspirante imprenditore agricolo alpino verso l’insediamento in un settore simile al proprio.

3.5 Le modalità di analisi dei dati raccolti con le interviste

L’analisi dei dati raccolti attraverso le interviste si è differenziata a seconda del tipo di domanda, essendo queste a risposta multipla e a risposta aperta. Le risposte del primo tipo sono state oggetto di conta semplice, producendo un risultato numerico convertito poi in percentuale. Per quelle del secondo tipo si è proceduto ad un’analisi rivolta ad individuare degli insiemi tematici, poi analizzati in modo numerico come per i quesiti a risposta multipla. Questa scelta si è resa necessaria a fronte del fatto che le interviste agli agricoltori si sono svolte sotto forma di una conversazione, con domande aperte con libertà di articolare la risposta. In particolare, la risposta aperta è stata analizzata con il metodo descritto per quanto riguarda le domande relative

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10 alle problematiche affrontate nell’attività imprenditoriale agricola. La vastità del tema ha suscitato una grande variabilità di risposte che al fine dell’analisi quantitativa sono state radunate, a discrezione dell’analista, in aree tematiche, per essere oggetto di conta. I risultati della conta delle risposte, sono stati utilizzati, qualora ritenuto utile, per la realizzazione di grafici e tabelle. Fa eccezione il caso della sezione dedicata ai consigli dei giovani agricoltori, nel qual caso non si è proceduto ad un’analisi quantitativa ma si è scelto di riportare le risposte in maniera integrale facendole oggetto della successiva analisi qualitativa e della rappresentazione attraverso lo strumento della “word cloud”.

Per motivi di relativa scarsa consistenza del campione non si è ritenuto significativo, nell’analisi quantitativa, la ricerca di correlazioni tra le diverse risposte. Tuttavia, la presenza di correlazioni tra le risposte è stata presa in considerazione, qualora evidente, durante l’analisi qualitativa tenendo presente che tali correlazioni riguardano comunque e sempre il campione analizzato che, come già premesso, non intende avere ambizione di rappresentatività rispetto alle aree di studio.

I risultati delle analisi sono stati presentati in modo indifferenziato nei diversi areali con il fine di mitigare le differenze tra le diverse aree e non di evidenziarle. Tuttavia, sempre nell’analisi quantitativa si è proceduto a commentare eventuali elementi caratteristici e peculiari delle specifiche aree di analisi.

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11

4 L’analisi dei casi studio

4.1 Le dinamiche dell’evoluzione storica dell’agricoltura nei diversi areali di

studio

4.1.1 La provincia del Verbano Cusio Ossola

Figura 2 – mappa della provincia del Verbano Cusio Ossola

Collocata nella porzione più settentrionale e periferica della Regione, La provincia del Verbano Cusio Ossola ha una superficie di 2.261 km2, pari all'8,65% del territorio regionale. La popolazione residente è di 158.349 ab. Dal punto di vista geografico va evidenziato il carattere esclusivamente montano del territorio di riferimento. Tale caratteristica rappresenta anche uno dei principali fattori di omogeneità territoriale e contraddistingue il Verbano-Cusio-Ossola come una delle tre Province italiane, insieme a Sondrio e Belluno, ad essere totalmente montane e ad integrarsi completamente nella macroregione apina.

La zona è connotata da una rilevante industria turistica principalmente legata al turismo lacustre estivo e al turismo montano invernale.

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12 La SAU totale della provincia è di 44.483,98 ha per un totale di 1336 aziende con una superficie media di 33 ha ad azienda. Il 50,3% delle aziende ha una estensione inferiore ai 2 ettari, il 25,7% ha una superficie compresa tra 2 e 10 ettari, il 12,2% tra 10 e 30 ettari e il 12% oltre i 30 ettari (ISTAT 2010).

Il territorio provinciale si connota per una struttura dimensionale agricola che, dai dati degli ultimi tre censimenti generali ISTAT, evidenzia una marcata tendenza alla riduzione di numero di aziende; riduzione che è evidente in modo esclusivo nelle classi dim. <20 ha, a fronte di un incremento significativo nelle classi dim. medio grandi (>20 ha) a causa probabilmente di un abbandono da parte degli operatori hobbisti rispetto ad aziende agricole più grandi e sviluppate (fig. 4).

L’area dimostra una classe di lavoratori in agricoltura prossima all’invecchiamento in cui le classi di età più rappresentate sono quelle che vanno dai 50 ai 60 anni. Le aziende guidate da giovani imprenditori tra i 25 e i 35 anni sono, al 2010, 178.

L’utilizzo dei terreni di proprietà di aziende agricole è per il 57% dedicato a SAU, mentre il 40% è bosco (Anagrafe Agricola Unica - Regione Piemonte, anno 2014). Gran parte del patrimonio boschivo è sottoutilizzato a causa delle scarse infrastrutture forestali e della elevata frammentazione della proprietà fondiaria boschiva. La frammentazione fondiaria costituisce un enorme limite anche per la pratica dell’agricoltura di tipo estensivo che pertanto risulta decisamente marginale per l’economia locale.

Dal punto di vista dell’utilizzazione dei terreni il 98,60% della SAU è occupato da prati permanenti e pascoli, lo 0,5% da colture permanenti e lo 0,9% da seminativi.

I dati mostrano i segni di una crisi importante di tutti i settori agricoli non legati alla zootecnia che rimane l’unico settore rilevante dal punto di vista dell’utilizzazione della SAU (fig. 3).

La viticoltura, che per secoli ha caratterizzato le coltivazioni di parte delle valli ossolane, costituendo importanti fonti di reddito, ad oggi è ancora praticata nella fascia pedemontana sotto i 500 m s.l.m.. Sono impiegati nella viticoltura una totale di 28,8 ha per un totale di 144 aziende con una media di superficie ciascuna di 2000 metri. Nonostante la piccola dimensione della viticoltura è presente una DOC, Del vino delle Valli Ossolane che vede impegnati 27 produttori all’ultimo censimento generale. Le aziende vitivinicole, salvo rare eccezioni, sono realtà a conduzione familiare in cui la viticoltura rappresenta uno di diversi ingressi economici nell’ottica della diversificazione produttiva. Sono 48 le aziende che dedicano alla vite fino a 50 giornate di lavoro e 41 quelle che arrivano ai 100, 33 quelle che arrivano ai 200 ma solo 9 quelle che arrivano ai 300.

L’allevamento, praticato prevalentemente nelle valli è la principale attività del settore agricolo, con una maggioranza di piccole aziende a conduzione familiare. La pratica del pascolo estivo sembra essere diminuita causando un impoverimento del paesaggio e una perdita di diversità biologica (Bocco, 2011). L’allevamento, anche di altre specie ha visto dal dopoguerra una forte crisi parallelamente ad altre regioni dell’arco alpino. Sebbene il numero dei bovini sia sempre stato maggiore nel corso dell’intera serie storica dei censimenti generali ISTAT è

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13 importante notare come l’allevamento caprino sia sempre stato una caratteristica molto spiccata di questa provincia che ancora conserva un’importante posizione sia nel settore caseario che nel settore delle carni. Se l censimento del 1982 contava la presenza di 13.826 capi caprini, al 2010 ne risultano 7.810 con una media per azienda di 25 animali, aumentati rispetto ai 16 del 1982. Superiore all’allevamento ovino è l’allevamento bovino con 406 aziende coinvolte per 4857 capi bovini (ISTAT 2010). Anche in settore dell’allevamento bovino dimostra nella serie storica una forte calo delle aziende e dei capi con una consistenza media ad allevamento che è passata da 6 bovini per azienda nel 1982 a 12 nel 2010. 8 aziende biologiche certificate con bovini con 2 dai 50 ai 100 capi (fig. 5).

Il territorio provinciale comprende molte produzioni tipiche, aventi un marchio di qualità, per lo più formaggi e preparazioni derivate da carni, sono presenti eccellenze e tipicità casearie come il Bettelmat, lo Spress e l’Ossolano DOP. Vi sono inoltre molte produzioni tipiche il cui territorio di riferimento è più ampio. Sono presenti nel territorio quattro marchi tra DOP, DOC e IGP legati a prodotti caseari, viticoli e carnei. Esistono varie realtà associative di produttori nel settore agroalimentare.

Anche nel settore delle coltivazioni l’andamento mostra una curva decrescente per tutte le voci. Fa eccezione la voce delle legnose agrarie che vede un aumento significativo negli anni 2000. Questo dato è influenzato dalla crescita di due colture, in particolare legate al vivaismo e la melicoltura. Tuttavia, i dati del censimento successivo mostrano la cattiva sorta di questi settori e un proseguirsi di trend negativi (ISTAT 2010).

Le aziende agricole biologiche ammontano, nel 2015, a 26 e lo stock è rimasto invariato nel corso degli ultimi 5 anni. È interessante evidenziare la marcata presenza di allevamenti biologici che ammontano a 17 (Anagrafe Agricola Unica - Regione Piemonte).

È presente nel comune di Crodo un istituto agrario superiore, l’I.P.S.A.S.R. Fobelli, che conduce ricerche e sperimentazioni sull’agricoltura di montagna e rappresenta un bacino di diplomati in materie agrarie potenzialmente impiegabili nei settori agricoli locali.

Figura 3 – Andamento storico della SAU per tipologia di coltivazione esclusi prati e pascoli

0,0 100,0 200,0 300,0 400,0 500,0 600,0 700,0 1980 1990 2000 2010

Ettari per coltivazione VCO

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14

Figura 4 – Andamento storico del numero delle aziende totali in relazione alla SAU coltivata

Figura 5 – Andamento storico del numero delle aziende con allevamenti bovini in relazione al numero di capi presenti sul territorio 0,00 500,00 1.000,00 1.500,00 2.000,00 2.500,00 3.000,00 3.500,00 4.000,00 4.500,00 5.000,00 1982 1990 2000 2010 0,00 20.000,00 40.000,00 60.000,00 80.000,00 100.000,00 120.000,00 140.000,00 160.000,00

Rapporto SAU-Numero di aziende VCO

SAU N° aziende 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1982 1990 2000 2010 Cap i A zi en d e

Rapporto Aziende - N° capi bovini VCO

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15

4.1.2 La regione autonoma della Valle d’Aosta

Figura 6 - Mappa della Valle d’Aosta

La Valle d'Aosta ha una popolazione di 128 000 abitanti circa per una superfice di 3.260,9 km2. Vista la natura montuosa del territorio, risulta essere non solo la regione meno popolata d'Italia, ma anche quella con minore densità di popolazione. Infatti, ci sono solo 38 abitanti per km². La distribuzione degli abitanti è assai irregolare: più di un terzo si concentra nella la piana di Aosta, e nei comuni limitrofi. Buona parte della popolazione abita nei maggiori centri della media e bassa valle, mentre le valli minori si sono notevolmente spopolate, eccetto i centri turistici principali.

In Valle d’Aosta l’agricoltura è fortemente condizionata dal particolare sviluppo orografico del territorio delle Alpi Nord-occidentali: l’altitudine media supera i 2100 m s.l.m., i versanti sono scoscesi, circa la metà della SAU presenta pendenze superiori al 30%, e variamente orientati, diminuendo l’insolazione quotidiana e stagionale, con scarsità di zone pianeggianti. Il clima è caratterizzato da inverni rigidi, che comportano una ripresa vegetativa lenta, e da estati relativamente fresche e da precipitazioni annue scarse ed escursione termica piuttosto forte. Perciò l’esercizio delle pratiche agricole è praticamente limitato alle colture permanenti secondo sistemi e metodi caratteristici ed endemici, in special modo nella foraggicoltura e nella viticoltura e frutticoltura. Al Censimento dell’agricoltura 2010 prati permanenti e pascoli rappresentano il 97,7% della SAU (Dal punto di vista strutturale, in Valle d’Aosta, secondo la rilevazione censuaria del 2010, sono presenti 3.554 aziende per una SAU di 55.595,65 ettari (ISTAT 2010). Il confronto con il censimento del 2000 evidenzia una forte contrazione del numero di aziende operanti (fig. 7) (-40,8%), con una perdita di superficie investita (-20,8%), particolarmente rilevante nei prati permanenti e pascoli. Al Censimento dell’agricoltura 2010 prati permanenti e pascoli rappresentano il 97,7% della SAU (ISTAT 2010) di moderata

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16 concentrazione delle superfici e dei capi allevati nelle imprese agricole di più rilevanti dimensioni fisiche ed economiche, con scomparsa delle aziende familiari detenute da agricoltori d’età più avanzata operanti per lo più su superfici marginali (fig. 9). Emerge quindi con chiarezza come il tessuto imprenditoriale agricolo sia costituito in gran parte da aziende di piccole e piccolissime dimensioni, a carattere familiare e conduzione diretta (sono 3540 su un totale di 3554 i conduttori che lavorano in azienda (ISTAT 2010) infatti solo l’8% delle aziende impiega manodopera extra-familiare (ISTAT 2010).

Sotto il profilo dell’età, il 56,9% (ISTAT 2010) dei conduttori d’azienda in Valle d’Aosta ha più di 55 anni; similmente a quanto registrato a livello nazionale, la fascia d’età più avanzata è, numericamente, la più consistente. Tuttavia, i giovani sotto i 35 anni rappresentano il 7,8% del totale dei conduttori (dato più alto della media nazionale 5,1%, ISTAT 2010) e costituiscono una realtà significativa nelle aziende di classe economica medio-alta: essi rappresentano il 19% delle aziende tra i 25.000 e i 99.999 euro di produzione standard e 13% di quelle superiori a 100.000 euro (ISTAT 2010). I giovani presentano, inoltre, un grado di istruzione decisamente superiore rispetto alle fasce di età successive: a livello regionale solo il 5,4% dei conduttori d’azienda presenta una formazione agricola specifica, ma la percentuale sale al 21,4 se si considerano solo i conduttori di età inferiore a 35 anni, dato quest’ultimo ben superiore alla media nazionale, 13,8%, ed europea 14% (ISTAT 2010).

Rispetto alle dimensioni, le piccole aziende, con una superficie aziendale inferiore ai 5 ettari, sono una realtà importante numericamente - esse rappresentano in totale il 74 % delle aziende (ISTAT 2010) - coprono però solo il 7% della SAU complessiva, contribuendo al 22% della produzione standard. Si tratta perlopiù di aziende specializzate in colture permanenti, vite e melo, aziende con coltivazioni di specie aromatiche e officinali, alle quali si aggiungono le aziende produttrici di foraggio (si tratta di ex aziende zootecniche che continuano a coltivare i prati con estensione media di 2,12 ha. La superficie media aziendale, di poco inferiore ai 16 ettari (ISTAT 2010), è di gran lunga superiore a quella registrata a livello italiano (7,9 ettari) e deriva proprio dalla citata compresenza sul territorio di un numero molto rilevante di aziende di piccolissime dimensioni e di poche aziende zootecniche di grandissime dimensioni, con ampie superfici di prato permanente e pascolo (fig. 8). A questo aspetto si aggiunge la forte frammentazione e polverizzazione della proprietà fondiaria che caratterizza l’agricoltura valdostana: sono oltre 242.000 le particelle di SAU dichiarata (di cui 101.381 con dimensione inferiore ai 500 mq) con una dimensione media di circa 2.200 mq, dimensione media che scende a 760 mq. Con specifico riferimento alla zootecnia bovina, il quantitativo di latte vaccino prodotto e commercializzato in Valle d’Aosta nel periodo 2007-11 è stabile e pari a circa 45.000 tonnellate annue, di cui circa il 73% consegnato ai caseifici per la trasformazione e il 27% rientrante tra le “vendite dirette”, ovvero la parte che i produttori immettono direttamente sul mercato. L’industria di trasformazione del latte è particolarmente sviluppata: si contano, infatti, 17 caseifici cooperativi e circa 60 trasformatori privati di cui 11 sono caseifici che acquistano e trasformano latte anche di altri produttori, mentre la restante parte è rappresentato da aziende che trasformano esclusivamente il latte prodotto in proprio. Il latte bovino prodotto in Valle d’Aosta è principalmente destinato alla trasformazione nel prodotto faro dell'agricoltura valdostana, la Fontina, formaggio DOP. la monticazione costituisce un caposaldo dell’organizzazione zootecnica valdostana. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una

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17 progressiva diminuzione dei capi monticati (dal 2005 al 2013 -13% vacche da latte), con un corrispondente aumento di aziende che mantengono il bestiame in fondovalle per l’intero anno. L’allevamento ovi-caprino ha saputo ritagliarsi un suo spazio in un settore dove l’importanza predominante è occupata dalla zootecnia bovina.

Nel settore vitivinicolo si contano 1.373 aziende con vite (ISTAT 2010) con una limitata estensione della superficie vitata, pari a 463 ha, meno dell’1% della SAU totale regionale (ISTAT 2010), di questi più del 60% si trovano ad una quota altimetrica superiore ai 500 m s.l.m., circa il 36% sono in forte pendenza e circa il 25% sono coltivati su terrazzi sostenuti da muretti a secco o su ciglioni (dati CERVIM 2006). Dal 1985 una sola DOC "Valle d'Aosta - Vallée d'Aoste", comprende 7 sotto denominazioni di Zona e 15 sotto denominazioni di Vitigno e raggruppa tutti i vini valdostani DOC.

Nell'ambito delle produzioni frutticole, si registra la produzione di 41.800 q di frutta fresca (ISTAT 2010) di cui 40.000 q di mele, le più diffuse sono la Golden Delicious e la Renetta del Canada, e 1.200 q di pere, la restante parte è costituita da albicocche, lamponi e altri piccoli frutti. Si segnala sul territorio la presenza di una società cooperativa, attiva fin dal 1964, che si occupa della conservazione, trasformazione e distribuzione dei prodotti ortofrutticoli per conto dei propri 140 soci.

Relativamente alla coltivazione di piccoli frutti, la superficie interessata corrisponde a 9 ettari, suddivisi in 72 aziende di varia grandezza. Mentre, per le piante officinali, attualmente sono 55 i piccoli produttori che coltivano circa 15 ettari dislocati su gran parte del territorio valdostano.

Con riferimento alle produzioni di qualità, il 42% delle aziende ha coltivazioni e/o allevamenti DOP, con una SAU interessata che si eleva al 76% della SAU complessiva (ISTAT 2010).

Oltre ai consolidati sistemi di produzione di Fontina DOP e vini DOC, si segnalano altre rilevanti attività di tipo agroindustriali che riguardano la produzione di prosciutti e salumi: Vallée d’Aoste Lard d’Arnad DOP e Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP.

Al 2010 erano 70 le aziende con superfici sotto certificazione biologica (ISTAT 2010) con circa 650 ha complessivi. Dalle informazioni fornite attraverso il SINAB si rileva la presenza a fine 2017 di 3.178 ettari di SAU biologica. Si tratta solamente del 6% della SAU regionale. Giova sottolineare, tuttavia, che le statistiche sull’agricoltura biologica informano della presenza in Valle d’Aosta di una trentina di ettari investiti a seminativi (cereali, piante da radice e altre colture da seminativo), ai quali si aggiungono 5 ettari a ortaggi. Inoltre, anche tra le coltivazioni è dato riscontrare una sempre maggior diffusione delle agrotecniche biologiche: nel 2017 si tratta di 7 ettari di melo altri fruttiferi più 2 ettari di frutta in guscio e, soprattutto, di ben 28 ettari di vigneto.

In un contesto montano, caratterizzato da importanti sovraccosti e limitate possibilità colturali, la sostenibilità delle imprese agricole si lega spesso ad una diversificazione produttiva e delle attività aziendali che integrano il reddito dell’impresa. Il 10,8% delle aziende agricole svolge anche un’attività extra-agricola; dato che dimostra una discreta propensione alla diversificazione se paragonato al dato nazionale (4,7%). Il 56% delle aziende che diversificano

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18 si concentrano nella trasformazione dei prodotti animali. Importanti e ben sviluppate le attività di diversificazione legate al turismo. In Valle d’Aosta le aziende agrituristiche attive nel 2017 sono una sessantina (fonte ISTAT): un numero limitato, ma sufficiente a completare l’offerta turistica regionale.

A sostegno della diversificazione, nella creazione di valore aggiunto in agricoltura, innovazione e trasferimento di conoscenze possono giocare un ruolo importante. In Valle d’Aosta le attività di formazione, ricerca e sperimentazione in ambito agricolo sono svolte dall’Institut Agricole Régional.

Figura 7 - Andamento storico della SAU per tipologia di coltivazione esclusi prati e pascoli

Figura 8 - Andamento storico del numero delle aziende totali in relazione alla SAU coltivata 0,0 200,0 400,0 600,0 800,0 1.000,0 1.200,0 1.400,0 1.600,0 1.800,0 1980 1990 2000 2010

Ettari per coltivazione VDA

ortive cereali seminativi legnose agrarie

0,00 20.000,00 40.000,00 60.000,00 80.000,00 100.000,00 120.000,00 140.000,00 160.000,00 180.000,00 200.000,00 0,00 1.000,00 2.000,00 3.000,00 4.000,00 5.000,00 6.000,00 7.000,00 8.000,00 9.000,00 10.000,00 1982 1990 2000 2010

Rapporto SAU-Numero di aziende VDA

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19

Figura 9 - Andamento storico del numero delle aziende con allevamenti bovini in relazione al numero di capi presenti sul territorio

4.1.3 Provincia autonoma di Trento

Figura 10 - Mappa della provincia di Trento

La Provincia Autonoma di Trento si estende su una superficie di 6.207 kmq, su un territorio prevalentemente montano, con limitate superfici pianeggianti dove si concentrano i centri

0 5000 10000 15000 20000 25000 30000 35000 40000 45000 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 1982 1990 2000 2010 Cap i A zi en d e

Rapporto Aziende - N° capi bovini VDA

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20 abitati di maggiori dimensioni. La variabilità orografica, climatica e paesaggistica ha condizionato sia gli insediamenti che le attività economiche sul territorio. In particolare, gli insediamenti delle aree altitudinali più elevate si sono sviluppati attorno ad attività zootecniche di montagna mentre l’area del fondovalle, verso la quale nel corso del tempo si è spostata la popolazione, è caratterizzata da un’agricoltura ricca e strutturata, dalla presenza di attività industriali e del settore terziario e da maggiori collegamenti.

Secondo i dati dell’ultimo Censimento ISTAT del 2010 la SAU provinciale si estende per 137.220 ettari per un totale di 16.446 aziende la cui superficie media è pari a 8,3 ettari. Il 63,5% delle aziende ha una estensione inferiore ai 2 ettari, il 29,6% ha una superficie compresa tra 2 e 10 ettari, il 4,4% tra 10 e 30 ettari e il 2,5% oltre i 30 ettari (fig. 12). I dati mettono in evidenza una situazione di elevata polverizzazione fondiaria che, insieme ad una frammentazione piuttosto spinta, comporta notevoli problemi di ordine organizzativo ed economico nella gestione delle aziende, mitigati in parte grazie al consolidato sistema di cooperative che agisce sia a monte della fase produttiva che nelle fasi di condizionamento, lavorazione, trasformazione e commercializzazione. Il successo del sistema cooperativo è legato all’ammodernamento delle strutture, alla razionalizzazione dei processi produttivi e alla capacità di adeguarsi a un mercato in continua evoluzione. La competitività del sistema agricolo poggia sull’efficienza del settore cooperativo.

Dal punto di vista dell’utilizzazione dei terreni, il punto di forza è nelle coltivazioni permanenti (22.267 ettari, il 16,6% della SAU) di vite e melo che si estendono nel fondovalle ed in collina. Segue il settore zootecnico, sviluppato principalmente nelle aree a più elevata altitudine, con notevoli estensioni di prati e pascoli (109.111 ettari, l’81,1% della SAU). I seminativi hanno una relativa importanza nel contesto provinciale (3.568 ettari, il 2,3% della SAU) (fig. 11).

La maggior parte delle aziende agricole si localizza nella Val di Non (23% delle aziende e 11% della SAU) e nella Vallagarina (19% delle aziende e 9% della SAU). Fa seguito l’Alta Valsugana e Valle dei Mocheni (in cui si localizzano l’8% delle aziende e il 5% della SAU). In questi territori, tuttavia, la dimensione media delle aziende è molto piccola (mediamente 4 ettari). Maggiori dimensioni aziendali sono quelle delle aziende della Comunità General de Fascia (53 ettari), della Val di Fiemme (43 ettari mediamente) e delle Giudicarie (40 ettari), in cui sono più diffusi gli allevamenti. La diversa dimensione media aziendale, quindi, riflette quel dualismo che caratterizza l’agricoltura trentina e che vede la presenza da un lato di una agricoltura intensiva, specializzata ma estremamente frammentata, legata al settore frutticolo e viticolo, e dall’altro una agricoltura estensiva, legata principalmente alla zootecnia.

L’agricoltura trentina è caratterizzata dalla forte presenza di una agricoltura part-time, dove si concentrano le fasce di età più anziane (over 50): dal 2001 al 2011 il numero di agricoltori part-time ha superato quello degli agricoltori a titolo principale (dati SSP).

La produzione agricola più importante del Trentino è quella delle mele che contribuiscono per l’82% alla definizione della PLV della frutticoltura. Anche i piccoli frutti (11%) che nel corso del tempo si son ritagliati uno spazio molto importante (dati SSP, 2010). I meleti si estendono su 10.798 ettari e interessano 5.864 aziende; la superficie media è inferiore a 2 ettari.

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21 La zona più importante per la frutticoltura e, nello specifico, per la produzione di mele è la Val di Non, la cui mela ha ottenuto il marchio DOP. L’altro importante comparto agricolo è la viticoltura che rappresenta il 15% della PLV agricola provinciale (2010). Le aziende viticole sono poco meno di 8.000, per una superficie investita di circa 10.389 ettari. La superficie media è pari a 1,3 ettari. L’80% della produzione viticola viene conferita alle Cantine sociali (15 cantine) che curano sia la trasformazione che la commercializzazione del prodotto. Accanto alla Cantine sociali esistono anche aziende private e piccoli produttori, gran parte dei quali riuniti all’interno dell’Associazione vignaioli. È presente il marchio DOC sul 92% e IGT sul 4% della superficie vitata.

Come evidenziato, la maggior parte della superficie agricola è interessata da prati e pascoli (110.000 ettari) e dal punto di vista economico il settore zootecnico contribuisce per il 17% alla definizione della PLV del comparto agricolo della provincia. Poco meno del 52% della PLV del comparto zootecnico è derivata dalla produzione di latte bovino mentre il 12% è da ricollegare al comparto delle carni bovine. La zootecnia è un settore estremamente importante, non solo dal punto di vista socioeconomico ma anche per il ruolo che le aziende zootecniche ricoprono nella gestione del territorio e nella manutenzione del paesaggio alpino. In questo contesto, i prati permanenti e i pascoli collegati alle malghe rivestono un ruolo determinante. Il ruolo e la gestione della praticoltura cambiano a seconda della giacitura e della distribuzione altimetrica del territorio. Con il crescere della pendenza, si verifica ormai spesso l’abbandono dei prati e dello sfalcio che, inesorabilmente, avvia un processo di rimboschimento che porta alla progressiva chiusura di ampie superfici prative con perdita di diversità sia paesaggistica che naturalistica. L’ultimo dato censuario riporta 54.420 UBA sul territorio provinciale mentre il confronto intercensuario 2000-2010 mette in evidenza un aumento nel numero dei capi (+12%) e una diminuzione del numero degli allevamenti (- 54%) (fig. 13). Durante il decennio, quindi, si è avuto un aumento della dimensione degli allevamenti che mediamente sono rimaste contenute. La maggior parte delle aziende zootecniche, infatti, sono fortemente integrate nel territorio e nel modello produttivo della montagna che prevede allevamenti di dimensioni medio-piccole (la media è di 33 capi per allevamento) e una alimentazione degli animali legata alla produzione locale di fieno e all’utilizzo dei pascoli in quota nel periodo estivo. Accanto a queste, nel fondovalle, operano aziende con un elevato numero di capi, che nel tempo hanno assunto un modello di sviluppo produttivo più intensivo. In controtendenza rispetto agli altri settori agricoli, nel settore zootecnico si registra un aumento degli imprenditori giovani; importante aspetto del processo di ammodernamento del settore, volto al rafforzamento della competitività del sistema a livello locale. Nel 21% delle aziende zootecniche bovine il conduttore ha meno di 40 anni (a livello provinciale, nel comparto agricolo globalmente considerato, il numero di imprenditori agricoli con meno di 35 anni è pari a poco meno del 7%) e nel 60% ha una età compresa tra i 41 e i 65 anni. Il resto supera i 65 anni.

Negli ultimi 10 anni il numero di malghe utilizzate in Trentino è aumentato grazie all’attento recupero di antichissime strutture (300 malghe attive su circa 38.000 ettari) e al ritorno di interesse dovuto alle nuove opportunità di sviluppo agrituristico e di vendita diretta in malga dei prodotti dell’alpeggio.

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22 Secondo i dati della provincia di Trento per l’agricoltura biologica, al 2017 la superficie coltivata con pratiche biologiche in provincia di Trento è di 8.767 ettari, il 5,8 della SAU Provinciale. La bassa incidenza sulla superficie agricola complessiva è da leggere considerando l’elevata specializzazione dell’agricoltura ma anche tenendo presente l’elevata estensione dei prati e pascoli. Il dato diventa interessante se si considerano le variazioni temporali che mettono in evidenza un settore in espansione. Secondo i dati dell’Ufficio produzioni biologiche, le aziende biologiche sono in continuo incremento. Secondo i dati provinciali, l’80% di tale superficie è costituita da pascoli e colture foraggere. Il 15,4% delle aziende biologiche ha operato invece nella frutticoltura, le cui superficie biologiche sono aumentate molto negli ultimi anni (510 ha) così come quelle viticole (824 ha). In espansione anche le superfici biologiche coltivate a orticole (340 ha) importanti a livello locale perché concentrate prevalentemente in Val di Gresta dove si trova la principale struttura cooperativa orticola del territorio. Riguardo la zootecnia, sono 5.047,14 gli ettari di superfici certificate secondo il metodo biologico coltivate a prato stabile o utilizzate a pascolo aziende producono latte biologico.

Sul territorio provinciale è presente una consolidata tradizione in termini di formazione e informazione, svolta storicamente dal Centro Istruzione e Formazione dalla Fondazione Edmund Mach (FEM). La Provincia, quindi, realizza importanti investimenti nell’istruzione e nella formazione e nell’apprendimento permanente.

Figura 11 - Andamento storico della SAU per tipologia di coltivazione esclusi prati e pascoli 0,0 5.000,0 10.000,0 15.000,0 20.000,0 25.000,0 1980 1990 2000 2010

Ettari per coltivazione Trento

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23

Figura 12 - Andamento storico del numero delle aziende totali in relazione alla SAU coltivata

Figura 13 - Andamento storico del numero delle aziende con allevamenti bovini in relazione al numero di capi presenti sul territorio

4.2 I risultati emersi dall’indagine sull’esperienza delle aziende agricole

La descrizione dei risultati emersi delle trentatré interviste svolte ai giovani gestori delle aziende agricole sarà affrontata nei prossimi paragrafi valutando uno ad uno i quesiti posti agli intervistati e discutendo quantitativamente e qualitativamente le risposte fornite.

4.2.1 Le caratteristiche strutturali delle aziende agricole

Il campione di aziende sottoposte all’intervista è formato da 33 imprese gestite da giovani al di sotto dei 41 anni, la maggior parte (48%) hanno cominciato l’attività tra i 20 e i 25 anni, una minima parte (10%) al di sotto dei 20 anni, il 21% tra i 25 e i 30 anni e il 21% oltre i

380.000,00 390.000,00 400.000,00 410.000,00 420.000,00 430.000,00 440.000,00 450.000,00 460.000,00 1982 1990 2000 2010 0,00 5.000,00 10.000,00 15.000,00 20.000,00 25.000,00 30.000,00 35.000,00 40.000,00

Rapporto SAU-Numero di aziende

Trento

SAU N° aziende 0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 1982 1990 2000 2010 Cap i A zi en d e

Rapporto Aziende - N° capi bovini

Trento

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24 trent’anni. Le aziende intervistate formano una campione disetaneo anche rispetto alla data

della fondazione: il 55% sono le aziende sotto i sei anni di età, il 27% sono tra i sei e i dieci e

il 18% sono maggiori di 10. Il 36% degli intervistati è donna mentre il 64% è uomo.

Una netta maggioranza sono le aziende di neo-fondazione (76%) rispetto alle aziende dove il giovane imprenditore è subentrato al vecchio gestore (24%).

Rispetto al numero di soci per azienda, la maggior parte (48%) ha optato per condividere la fondazione dell’attività con un socio o con il partner mentre sono comunque ben rappresentate le situazioni in cui l’imprenditore gestisce in solitaria l’azienda (27%). Più rari sono i casi in cui l’azienda è stata fondata da tre soci (12%) e sono quasi eccezionali realtà cooperative fondate da più di 4 soci (6%). Nella metà dei casi c’è un secondo lavoro tra i soci, a conferma di come il ricorso ad altre attività per diversificare il reddito sia una scelta spesso necessaria.

Rispetto alle modalità di produzione la maggioranza delle aziende è gestita in maniera convenzionale (55%), mentre comunque una buona parte (45%) ha scelto metodi di produzione alternativi anche se non sempre ricorrendo alla certificazione biologica (24%). Questa scelta viene spesso giustificata con la volontà di sottrarsi ai controlli e alle pressioni burocratiche legati al sistema di certificazione. Inoltre, chi sceglie di non certificarsi ritiene che la fama delle produzioni di montagna sia superiore a quella dei prodotti biologici.

Il livello di diversificazione produttiva è decisamente elevato infatti, capita soltanto raramente, e tipicamente nel caso di aziende zootecniche, di trovare produzioni molto specializzate. Per questo motivo non risulta sempre facile definire l’indirizzo produttivo delle aziende. Tuttavia, si ritiene importante cercare di fare una sintesi delle colture e degli allevamenti più rappresentati per definire quali sono le produzioni agricole tipiche dell’arco alpino attuale. Il raggruppamento è stato svolto sulla base della produzione che offre una maggior soddisfazione e che richiede un maggior investimento in termini di tempo. Il risultato è espresso nel grafico sottostante (fig. 14).

Figura 14 - indirizzo prevalente delle aziende intervistate orticolo viticolo cerealicolo medicinalifrutticolo apicolo vacche ovaiole ovicaprini suini zootecnico

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