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I background e la scelta del posto

Nel documento Il ritorno alla terra alta (pagine 30-35)

4 L’analisi dei casi studio

4.2 I risultati emersi dall’indagine sull’esperienza delle aziende agricole

4.2.2 I background e la scelta del posto

Relativamente alla provenienza, degli agricoltori intervistati l’88% sono nativi mentre il 9% sono forestieri. Questo dato è forse uno dei più significativi all’interno di questa ricerca e in seguito sarà approfondito nei suoi risvolti pratici. Anche i caratteri della famiglia assumono un notevole significato, seppur non appaiano determinanti per tutti gli agricoltori. Nel nostro campione il 53% viene da famiglie in cui da due generazioni si pratica o si praticava lavoro agricolo; il restante 47% mostra però che il requisito non sia indispensabile. Relativamente alla

formazione necessaria per svolgere la professione agricola la prevalenza degli intervistati

(42%) non ha mai studiato materie agrarie mentre chi di essi ha studiato ha svolto percorsi di scuola superiore per il 33% dei casi o universitari per il 24% dei casi. È da sottolinearsi il fatto che tutti coloro che hanno un’istruzione superiore in materie agrarie la hanno conseguita

punto vendita mercati piccoli negozi gas ristoranti supermercati conferimento prodotto commercianti export agriturismo

27 all’interno dell’areale da noi analizzato, grazie alla presenza di istituti agrari di formazione superiore molto rinomati e attivi sul territorio.

Rispetto all’esperienza pregressa in settori legati all’agricoltura un 45% mostra di aver praticato prima questi lavori mentre il 55% non aveva mai avuto un’esperienza nel settore.

4.2.3 Le motivazioni e gli ideali

Agli intervistati è stato posto un quesito in cui si chiedeva di spiegare quali fossero le

motivazioni che li avevano spinti a scegliere di svolgere la professione agricola in un contesto

montano. Le risposte sono state riassunte in diverse aree motivazionali descritte nel grafico sottostante (fig. 16). La motivazione più comunemente emersa (41%) è quella del legame con il proprio territorio mentre in seconda posizione troviamo motivazioni familiari e affettive (33%) che hanno spinto a insediarsi in un territorio montano. Queste due le motivazioni dominanti che animano il ritorno alla terra, nel secondo gruppo si collocano spesso i forestieri insediati in montagna per avvicinarsi alle origini del coniuge o più semplicemente coloro che sono subentrati ai genitori nella gestione di un’azienda già avviata. Si denota nel caso della prima motivazione l’affetto dei giovani montanari per il proprio territorio di nascita e il desiderio di investire e presidiare immaginando che la montagna possa esser luogo dello sviluppo di un lavoro di una residenza e magari di una famiglia. Tra le altre aree motivazionali spiccano anche motivazioni legate l desiderio di indipendenza lavorativa (17%) in particolare tra soggetti più anziani che hanno lasciato il precedente lavoro per dedicarsi alla terra.

Figura 16 - Le principali motivazioni che spingono i giovani a insediarsi in agricoltura sulle Alpi

4.2.4 Le risorse, le facilitazioni e gli strumenti disponibili per favorire l’insediamento

Nell’immaginario collettivo la montagna è spesso sinonimo di ambiente naturale e incontaminato. Questo porta nelle montagne potenziali consumatori alla ricerca di paesaggi naturali e di prodotti agroalimentari di qualità. Il turismo è spesso un fattore di grande rilievo per le aziende agricole di montagna. Non è un caso che quelle con un’economia più sviluppata si collochino in vallate di prestigio caratterizzate da un grande flusso annuale di visitatori. Nella presente indagine è emesso come il 42% degli agricoltori ritenga il turismo un fattore indispensabile all’economia aziendale mentre il 33% lo ritiene mediamente importante.

legame con il proprio territorio familiare/affettiva desiderio di indipendenza politica economica fuga dalla città

28 Soltanto un 24% dei produttori lo considera un fattore di scarsa importanza. Quest’ultimo dato è proprio di aziende site in località isolate dai flussi turistici o che scelgono canali di commercializzazione non legati alla vendita diretta, come nel caso dei produttori che conferiscono a grossisti o a cantine e latterie. Il dato a ogni modo si slega dal tema dell’agriturismo in quanto soltanto una minima parte delle aziende, il 9% svolge attività agrituristiche contro un 91% che non le svolge. La scelta di fare agriturismo è spesso adottata dalle aziende più anziane e strutturate a causa dei consistenti investimenti in tempo e denaro che essa necessita.

Tornando ai prodotti di qualità, nell’analisi, emerge un dato in contrasto con le aspettative: soltanto il 22% realizza produzioni che ricadono sotto marchi collettivi di DOC, DOP e IGP contro il 78% che non fa ricorso a questi marchi.

Rispetto all’opportunità di diversificare le attività connesse alla produzione si è domandato alle aziende se svolgessero attività di agricoltura sociale. È emerso che questa pratica non è molto diffusa e solamente il 18% svolge attività di ricezione rientranti in questa categoria. Si tratta per lo più di attività svolte con scuole di vario livello per l’introduzione al mondo dell’agricoltura. Un tema centrale per quello che riguarda l’insediamento dei giovani agricoltori è sicuramente il tema dei contributi offerti dalle politiche di sviluppo rurale (PSR). Questo rappresenta il tema caldo di cui in molti vogliono parlare e su cui si sviluppano le critiche nel rapporto con le istituzioni. La partecipazione ai bandi per i contributi è stata una pratica adottata dal 79% delle aziende intervistate, mentre il 21% ha volente o nolente rinunciato. Di coloro che hanno usufruito dei contributi dal PSR 44% hanno partecipato alla misura di Insediamento Giovani, il 9% a misure di miglioramento aziendale e il 25% a pacchetti combinati delle due misure. Tra coloro che hanno partecipato il 50% definisce positiva l’esperienza mentre il 47% sostiene di aver avuto un’esperienza negativa e faticosa. Si è voluto analizzare le motivazioni che hanno spinto a delle criticità dei confronti delle politiche e per farlo le ragioni di disappunto sono state raggruppate nelle categorie tematiche descritte nel grafico sottostante (fig. 17). Un’analisi più dettagliata su questo punto verrà svolta nel capitolo successivo, dedicato all’analisi dei risultati emersi.

Figura 17 - Le principali problematiche riscontrate dai giovani agricoltori nel rapporto con il PSR debito iniziale eccessivo

assenza di superfici minime investimenti spropoezionati causa normative difficile rispettare le scadenze preziario sottostimato impossibile sfruttare competenze personali difficile preventivare le azioni future nel dettaglio probleematiche con le banche burocrazia conflittualità tra le misure in corso di esecuzione

29 Durante le interviste è spesso emersa la distinzione tra i bandi del PSR e i bandi del Progetto LEADER. Sebbene la misura per le aree LEADER sia parte integrante del PSR, nell’immaginazione degli agricoltori le due iniziative appaiono separate. Questo è da attribuirsi ai caratteri distintivi del progetto LEADER, in particolare all’approccio bottom up con cui, tramite l’azione dei Gruppi di Azione Locale, vengono portate avanti le attività di progettazione e di intervento sul territorio rurale. Sebbene il progetto LEADER abbia visto la partecipazione di un minor numero di realtà (in particolare nel VCO e in VdA) (33%), si registra un dato di insoddisfazione molto minore (9%) contro una maggioranza che considera positiva o mediamente positiva l’esperienza avuta.

4.2.5 I principali ostacoli e le difficoltà riscontrate durante l’insediamento

L’accesso alla terra

Rispetto al fattore terra la maggior parte delle aziende possiede contratti di affitto e proprietà sui terreni aziendali (31%), il 19% possiede esclusivamente contratti di affitto, così come pure per il comodato d’uso gratuito. Solo il 13% possiede unicamente terreni di proprietà. Il comodato d’uso è spesso diffuso in condizioni in cui le particelle di terreno presentano piccole dimensioni (<5000 metri quadri); in questo caso contratti di comodato d’uso o contratti verbali gratuiti sono ammessi, in diverse regioni, come forma d’uso che dà diritto ai contributi. Il 44% degli intervistati sostiene che sia facile trovare terreni agricoli da coltivare, anche se il 6% sostiene che sia più facile trovare terreni svantaggiati e con importanti tare produttive. Questo fattore è legato per il 13% dei casi a contesti in cui vi è una spiccata competizione per le superfici coltivabili tra diversi settori. In particolare, nelle valli più strette, con minori superfici pianeggianti, è molto avvertita la competizione tra aziende zootecniche, affamate di prati per la fienagione, e aziende che producono coltivazioni orticole o seminativi in generale. Sono queste le ragioni per cui spesso alcune aziende affermano che sia difficile trovare terreni nel circondario (30%).

Normalmente però, laddove la zootecnia non è molto sviluppata, i terreni si trovano spesso in abbandono, più o meno recente, e, a detta del 66% degli agricoltori intervistati, la popolazione locale è risultata favorevole al passaggio generazionale di questo fattore produttivo. Rispetto alle modalità di trasferimento, la scelta più vantaggiosa è rappresentata dal contratto di affitto o di comodato d’uso. I prezzi degli affitti sono per il 66% dei casi giudicati equi e proporzionati ai guadagni ottenibili, e solo un 19% degli intervistati sostiene il contrario. È opinione comune in quasi la totalità delle interviste che quasi mai e solo nel caso sia indispensabile, sia conveniente comprare i terreni. La ridotta dimensione e i legami affettivi con la terra degli avi porta spesso i proprietari a richieste di prezzi sproporzionati rispetto al potenziale reddito ritraibile; legati più ad un valore emotivo che al potenziale produttivo. La maggior parte degli intervistati afferma che i prezzi di affitto dei terreni siano insignificanti per il bilancio aziendale e che spesso siano saldati in natura. Chiaramente i prezzi aumentano per produzioni in odore di guadagno, come gli impianti viticoli in areali di pregio e per i terreni dedicati all’orticoltura.

Uno dei fattori determinanti e limitanti per la gestione del fattore terra nelle aree montane è la frammentazione fondiaria. Tutte le aziende intervistate, ad eccezione delle aziende apistiche e di un’azienda dell’Alto Adige, hanno confermato alti tassi di polverizzazione fondiaria,

30 condizione che rende incredibilmente difficoltoso l’accesso alla terra per dimensioni significative. Per accumulare le superfici minime per accedere ai finanziamenti è spesso necessario unire una moltitudine di particelle e trovare accordi con un elevato numero di proprietari. Problematica che si accentua al momento di rispettare gli oneri burocratici previsti da enti certificatori in particolare per le aziende biologiche.

Ambiente sociale e rapporti con la popolazione locale

Come già citato, elementi importanti per il successo delle giovani aziende agricole di montagne sono il consenso e il supporto da parte della popolazione locale. Dal punto di vista degli intervistati la popolazione locale agevola per un 55% dei casi l’insediamento di giovani agricoltori. Tuttavia, nel 36% dei casi capita che i paesani siano poco o per niente interessati alle produzioni delle aziende locali. Questo fenomeno, che sarà approfondito in fase di analisi, mostra come le popolazioni di montagna siano forse meno sensibilizzate al consumo di prodotti locali. Il costo maggiore dei prodotti locali spesso non appare giustificato e la preferenza ricade sui prodotti economici della grande distribuzione. Tuttavia, non è sempre così. Infatti, nel 52% dei casi il paese ricerca i prodotti dei giovani agricoltori valorizzandone lo sforzo.

Sempre rispetto al contesto sociale è da considerarsi l’importanza delle relazioni tra

produttori all’interno del settore produttivo. Un’attitudine alla cooperazione tra gli attori dello

stesso settore è fondamentale per raggiungere obiettivi di rilancio delle produzioni ed evitare sforzi inutili. Tuttavia, molti settori sono rappresentati da aziende anziane meno propense alla cooperazione e alla condivisione dei traguardi rispetto a quelle giovani. Solo per un 33% dei casi la cooperazione all’interno del settore è facile da raggiungere. In particolare, le difficoltà emergono nei settori storici, ben radicati, mentre nei settori nuovi, come la viticoltura e l’orticoltura, c’è normalmente più apertura a fare rete e a creare legami di cooperazione. In molti casi perché condotti da giovani che hanno a cuore il rilancio del territorio prima che della propria economia.

Ambiente amministrativo istituzionale

Il rapporto con le istituzioni, che siano esse organismi pagatori, enti pubblici, strutture sanitarie, enti certificatori, rappresenta spesso un campo critico per gli operatori del settore agricolo. Sebbene sia difficile trarre delle conclusioni generali su un tema, di per sé molto vasto e variabile di contesto in contesto, è importante capire come il mondo istituzionale si relazioni nei confronti dei nuovi agricoltori e quali aiuti o ostacoli provengano da esso. Si è voluto semplificare il tema racchiudendolo nel macro insieme della burocrazia. Questo termine spesso usato nelle rivendicazioni del settore agricolo racchiude molti fattori e dinamiche diversi che “pesano” sulla gestione delle aziende, a volte in modo difficile da sopportare. In merito alla questione è stato chiesto agli intervistati se essi riscontrassero particolari difficoltà nella gestione burocratica dell’azienda e se il carico del tempo speso per questi oneri fosse eccessivo. La risposta è stata negativa per il 36% dei casi e positiva per il 30% con un 9% che sosteneva che gli oneri burocratici fossero abbastanza difficili da gestire. La domanda successiva era se gli interlocutori dell’ambiente amministrativo facilitassero il rapporto con le norme. Le risposte sono state varie e non particolarmente orientate. Il 21% ha risposto poco, il 12% abbastanza mentre il 24% che gli interlocutori non agevolano per niente il rapporto con le norme. Questo dato sembra mostrare che fondamentalmente non sia possibile individuare una costante su

31 questo argomento. È capitato più volte di sentire di amministratori “ottusi” o “affaristi” o di enti certificatori o funzionari ASL puntigliosi e non comprensivi, ma è capitato anche di sentire buone opinioni su questi soggetti ed è un dato positivo che molti validi progetti agricoli siano nati in collaborazione con enti locali lungimiranti e virtuosi. Come spesso accade quando si ha a che fare con variabili umane la risposta più probabile è un semplice “dipende dai casi”. La carenza di infrastrutture e servizi per la produzione

La collocazione delle aziende agricoli in territori marginali e spesso difficili da raggiungere produce in molti casi isolamento rispetto ai servizi alle filiere agricole disponibili sul territorio. La carenza di mezzi e la difficoltà nel trovare contoterzisti, la distanza di centri di conferimento, laboratori e interlocutori commerciali spesso è un problema difficilmente superabile, che influenza i processi aziendali. Come primo ostacolo si riscontra la difficoltà nel trovare contoterzisti nei periodi di maggior necessità. Il 27% degli intervistati sostiene che sia poco o per niente disponibile un servizio di contoterzismo, mentre un 24% sostiene che sia molto o abbastanza presente. È da considerare che nel settore zootecnico, molto più meccanizzato e diffuso di altri, è più facile trovare un aiuto da parte di vicini disposti a svolgere lavorazioni conto terzi. Per le altre colture, come le cerealicole e le orticole, la situazione è più complicata. In particolare, per quello che riguarda le operazioni di raccolta delle patate o mietitura dei cereali molte aziende sono in difficoltà nel trovare macchinari e terzisti e sono dunque costrette a compiere grandi sacrifici per l’acquisto di macchinari che spesso risultano sottoutilizzati. Questa tendenza a bastare a sé stessi, mettendosi in grado di svolgere quante più operazioni internamente all’azienda, è frutto di un ambiente territoriale e culturale che, spesso, aliena le possibilità di cooperare tra le aziende tramite acquisti collettivi e contratti d’impresa. Per questo motivo, molte aziende non sentono la lontananza dagli elementi della filiera (53%), mentre il 9% si sente abbastanza isolato e il 18% molto isolato. Sebbene vi siano territori con una grande cultura del cooperativismo, come il Trentino, in cui le infrastrutture di filiera sono fiorenti in tutti i territori montani, basta uscire dalle valli più battute per riscontrare grandi difficoltà a raggiungere macelli, laboratori di trasformazione, vivai, mulini, latterie e centri analisi.

Nel documento Il ritorno alla terra alta (pagine 30-35)