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Academic year: 2021

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Il concetto di Scienze umane oggi:

la prospettiva pedagogica

Abstract

Vi sono buone ragioni per non separare le scienze della natura dalle scienze dell’uomo. La stessa evoluzione delle scienze fisiche nel XX secolo depone a favore di quella che è stata definita una “nuova alleanza”. Anche gli sviluppi recenti del dibattito epistemologico, caratte-rizzato da una “delegittimazione” della razionalità “classica”, considerata poco flessibile e “di-spotica”, inducono a ripensare una formula di separazione che vorrebbe giustificarsi sulla base dei privilegi riconosciuti alle discipline empiriche e “dimostrative” e negati alle discipline argo-mentative e interpretative.

Parole chiave apprendimento, epistemologia, modelli filosofici, razionalità, trasversalità There are many good reasons not to separate human sciences from natural sciences.

Even the development of Physics during the 20th century gives evidence in favour of the so called “new alliance”. Furthemore, the recent developments of the epistemological debate, which has been marked by a certain “delegitimation” of the “classical” rationality, considered somewhat “rigid”, leads us to rethink a form of separation which justifies itself on the ground of the pri-vileges acknowledged to the empirical and “demonstrating” branches of learning which are in-stead denied to “argumentative” and “interpretative” ones.

Key words learning, epistemology, philosophical system, rationality, transversality di Alberto Granese*

© Pensa MultiMedia Editore srl * Professore emerito nell’Università di Cagliari, nella quale è succeduto al suo Maestro,

Aldo Capitini, tenendo la cattedra di Pedagogia generale e sociale e ricoprendo per de-cenni l’incarico di responsabile dell’Istituto di Pedagogia già diretto dal suo Maestro. È succeduto al Prof. Giovanni Maria Bertin nell’insegnamento di Filosofia dell’educazione presso l’Ateneo bolognese. Si è occupato di filosofia analitica, di epistemologia, di storia, di filosofia e di pedagogia.

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1 Alcune di queste discipline sono menzionate e analizzate nel volume Tendences principales

de la richerche dans les sciences sociales et humaines, pubblicato per conto dell’UNESCO nel

1970, con l’introduzione e la “direzione” di J. Piaget.

2 Vi sono discipline scientifiche che hanno titolo per essere considerate a un tempo della natura e dell’uomo: la biologia, la fisiologia, l’anatomia umana, l’etologia ecc.

1. Scienza, scientificità e scienze umane

La riflessione sul tema proposto potrebbe prendere le mosse da una elen-cazione delle discipline che hanno titolo per essere sussunte formalmente sotto il concetto generale di “scienze umane” avendo riguardo non solo a quelle tradizionalmente considerate tali (psicologia, antropologia culturale, sociologia, pedagogia), ma anche alla linguistica, alla semi o -logia/semiotica, all’economia, alla demografia, all’etnologia, al diritto, alla geografia umana, alla paleontologia, alle scienze della terra, alla filologia, alla letteratura, all’arte e alla critica d’arte, alle scienze della costruzione, all’architettura, alla cibernetica, alla genetica, alle scienze mediche, alla neuropsichiatria e in generale alle neuroscienze1, ma questo rischierebbe di essere un banale inventario corrispondente a discutibili criteri di col-locazione e di qualificazione. Vi sono infatti scienze “umane” che dal punto di vista dei contenuti e del metodo sono in parte assimilabili alle scienze della natura, così come vi sono scienze della natura che, da questo stesso punto di vista, sono anch’esse in parte assimilabili alle scienze del-l’uomo, sicché non è possibile tracciare fra questi insiemi una netta di-stinzione che eviti o escluda sconfinamenti e contaminazioni2. Alcune considerazioni preliminari potrebbero riguardare le classi di concorso dell’Accademia, le suddivisioni istituzionali (e tradizionali) in facoltà, di-partimenti, corsi di laurea, e le varie specializzazioni che talvolta riescono a “dialogare” e a interagire costruttivamente, altre volte “si ignorano” e divergono, non appaiono disponibili all’incontro, talaltra entrano addirit-tura in competizione e in collisione, si contrappongono o si sovrappon-gono. Osserviamo, a questo proposito, che la scolarità preuniversitaria ha il pregio e il vantaggio di un approccio interdisciplinare, con la varietà (peraltro non sempre organica) dei suoi programmi, mentre a livello uni-versitario le specializzazioni si configurano spesso come forme di “pseudo-speciazione”, il che non di rado fa da ostacolo all’integrazione, alla coo-perazione sinergica e alla collaborazione fra le varie “specialità” e fa cor-rispondere all’approfondimento specialistico una sorta di “autarchia”

Il concetto di Scienze umane oggi: la prospettiva pedagogica

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(ancor più che di autonomia) con scarso riguardo alle strategie comples-sive dell’“organizzazione istituzionale” dell’apprendimento.

Sarebbe ripetitivo e scontato richiamare il tema delle “due culture” o evidenziare le aporie a cui conduce la distinzione fra discipline “scienti-fiche” e discipline “umanistiche” ponendo l’accento sulle nozioni di

uma-nesimo scientifico e di scienza umanistica o su quella di umauma-nesimo integrale.

Sarebbe altresì lapalissiano far rilevare che tutte le scienze, indistintamente, sono scienze dell’uomo e anche – nel bene e nel male – per l’uomo. Sarebbe anche poco originale e superfluo distinguere fra le discipline che hanno come oggetto l’“umano” e le discipline che hanno invece come oggetto la realtà “naturale” (fisica) “non umana”. L’argomento che la scienza è sempre è comunque “umana” non manca di plausibilità, ma è debole, e di fatto non tiene conto delle peculiarità dell’oggetto a cui la ricerca s’in-dirizza (le particelle elementari, o le forme dell’organizzazione sociale e la varietà delle culture in senso antropologico). Facciamo rilevare, en

pas-sant, che tanto il pensiero epistemologico della modernità contemporanea

che gli orientamenti della scienza fisica (relativismo, quantismo, indeter-minismo, convenzionalismo, operazionismo) nel XX secolo hanno intro-dotto elementi di riflessione relativi alla soggettività e all’oggettività dei quali non si può non tener conto. Allo stesso modo si deve segnalare la fallacia della tesi secondo la quale si può e si deve distinguere fra le disci-pline il cui oggetto esige una considerazione e un approccio “oggettivi” e discipline (quelle “umanistiche”) in cui l’inevitabile approccio soggettivo espone al rischio di trascurare e disattendere le fondamentali e irrinun-ciabili istanze dell’oggettivazione. Ciò può dirsi anche con riferimento ai temi prospettati dalla sociologia della conoscenza e alle teorie che pon-gono l’accento sui condizionamenti storici e di contesto di quello che si definisce ricerca scientifica e (non del tutto pacificamente e plausibil-mente) “progresso scientifico”. Le recenti critiche filosofiche della razio-nalità scientifica hanno avuto il senso di un sorta di riconciliazione nel “male comune”3. La “messa in mora” del concetto di una razionalità mo-nolitica e onnicomprensiva, a cui è associato il rigetto del razionalismo “classico”, ha riguardato parallelamente le scienze della natura e le scienze dell’uomo. Anche le analisi del rapporto natura-cultura (in senso antro-pologico) hanno avuto esiti che inducono a riconsiderare la connessione fra il “naturale” e l’“umano”4. Osserviamo, con riguardo a questi

orien-3 In altro senso Prigogine, premio Nobel per la chimica, ha parlato di “nuova alleanza” delle scienze dell’uomo e delle scienze della natura. Piaget nei saggi Lo strutturalismo (1968) e

Le scienze dell’uomo (1970) pone il problema della situazione delle scienze dell’uomo nel

sistema delle scienze con riferimento alle strutture matematiche e logiche, fisiche e bio-logiche,psicologiche, sociologiche, con interessanti richiami alla filosofia all’epistemologia e con l’affermazione della necessità di una “assimilazione reciproca”.

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tamenti teorici, che per un verso l’uomo fa parte di ciò che, non sempre adeguatamente e univocamente, si definisce “natura” e che al tempo stesso studia, indaga e “comprende” la natura, la trascende e la domina (in qual-che modo la ipostatizza) anqual-che se, da un diverso punto di vista, ne è do-minato e ne dipende, sicché non tanto l’uomo assoggetta la natura, quanto è assoggettato alle sue leggi (a questa situazione corrisponde il motto

na-tura non nisi parendo vincitur)5.

Entrando in media res, rileviamo che il parlare di scienze dell’uomo comporta una presa di posizione teorica rispetto ai concetti generali di scienza e di scientificità. Non solo, infatti, si deve valutare e decidere quali discipline possano considerarsi propriamente scientifiche, ma anche di quali requisiti debbano essere in possesso la scienza e la scientificità per potersi adeguatamente riferire, oltreché alle discipline riguardanti la natura e il mondo fisico, a quelle concernenti l’“umano” (le “scienze dello spirito”, come ebbe a definirle Dilthey in un classico saggio del 1883 – locu zio ne che Husserl fece propria associandola a concetto di “mon do-della-vita”. Si deve qui prender atto del duplice profilo della scientificità: quello ri-guardante la pura e semplice oggettivazione, baconianamente depurata da ogni elemento di perturbazione soggettiva e quello che concerne le attività “umane” volte ad acquisire conoscenze oggettive6. Molti modelli di pen-siero filosofico contemporaneo sono caratterizzati dal rifiuto di un’og-gettivazione che prescinda da interessi, aspirazioni, opzioni, pratiche sociali. Inoltre l’oggettivazione del soggetto, che in molti casi le scienze umane si sforzano di realizzare, non appare accettabile. Per di più si deve tener conto del fatto che la scientificità naturalistica ha dovuto “fare i conti” con la proposta e la raccomandazione, ad esempio in Husserl, di pensare in modo “non-naturale”. È poi arduo decidere se vi possa o vi sia di fatto una sola scienza (una scienza “unificata” almeno sotto il profilo metodologico) o se si debba pensare – e con quali effetti e conseguenze

e in Gramsci. L’associazione di “materialismo storico” e di “materialismo dialettico” com-porta una considerazione parallela e integrata di scienze naturali e scienze sociali. Sul rap-porto tra marxismo e scienze umane esiste una vasta letteratura: Godelier, Antropologia e

marxismo (1973); Z. Bauman, Lineamenti di una sociologia marxista (1964); G. Goldmann, Marxismo e scienze umane (1970).

5 Si potrebbe introdurre a questo proposito il concetto di “corporeità consapevole” per dare risalto ai processi evolutivi che hanno portato dalla pura “naturalità” dell’uomo, alla sua condizione di ens intelligens et liberum, consapevole, appunto, della propria naturalità e al tempo stesso intenzionato e teso a trascenderla, il che in un lunghissimo corso di secoli e di millenni ha dato luogo alla distinzione fra natura e cultura (e quindi fra scienze del-l’uomo e scienze della natura) per un verso ovvia e accettata per convenzione, per l’altro poco plausibile ed esposta a obbiezioni difficilmente sormontabili.

6 Husserl, trattando di “crisi delle scienze europee” (1935-1936) segnalò in modo lapidario “il paradosso della soggettività umana, che è soggetto per il mondo e insieme oggetto nel mondo”.

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– a una scienza “ramificata” (verzweigte, nel linguaggio di Wittgenstein) e “plurale”. Modelli filosofici, come l’esistenzialismo, il pragmatismo e, a diverso titolo, il marxismo e lo “spiritualismo” neoscolastico potrebbero avanzare fondate obbiezioni di principio circa la distinzione fra l’oggettivo e il soggettivo e quella che si configura, in alcuni casi, più come standar-dizzata dicotomia. L’ermeneutica e la nuova retorica, com’è noto, con-trappongono l’argomentativo e l’interpretativo al dimostrativo e mettono in discussione il valore dell’oggettivazione in quanto tale, a prescindere dal fatto che essa riguardi le scienze della natura o le scienze dell’uomo (che forse potrebbero essere più plausibilmente definite “scienze della per-sona”). Da questo punto di vista sarebbe legittimo parlare di un’unifica-zione della scienza “in negativo”, contro il presupposto dell’unificaun’unifica-zione – unità delle scienze – in chiave fisicalista, ossia nel senso che tutte le scienze, “umane” e naturali, sono riconducibili a fattori di carattere sog-gettivo o intersogsog-gettivo (culturale in senso antropologico-sociale). Sem-bra inoltre pressoché superfluo ricordare come la critica della razionalità strumentale di Adorno-Horkheimer abbia avuto quale conseguenza un “ravvicinamento” (ancora una volta “in negativo”) delle scienze esatte a quelle “inesatte” (“empiriche, ma non sperimentali, né propriamente “cal-colanti”), giacché l’“esattezza” e il rigore delle procedure dimostrative proprie delle scienze naturali (e delle tecniche che ne derivano) non au-torizza a proclamare tout court il primato della razionalità scientifica “clas-sica”, mentre assumono rilevanza, come si accennava, l’interpretativo e l’argomentativo (doxa più che epistème). Ciò non significa, peraltro, che le scienze dell’uomo siano esonerate dal tener presenti il valore e le istanze di rigore scientifico. Non vi sono ragioni, da questo punto di vista, per assimilare le considerazioni relative alle peculiarità dei metodi e dei con-tenuti delle scienze che riguardano l’uomo a quelle della critica della ra-gione e della razionalità scientifica. La distinzione non dualistica fra gli “insiemi” a cui si è fatto cenno non giustifica, né autorizza, le forme di “gerarchizzazione” che talvolta vengono surrettiziamente messe in campo, rivendicando, da una parte o dall’altra, titoli di superiorità e di preminenza, in alcuni casi con un richiamo alle galileiane “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni” e dall’altro con il riferimento a un sapere umanamente più comprensivo e più significativo (non solo e non tanto “sapere/sapienza” quanto “saggezza”)7.

Un interessante accostamento di carattere storico potrebbe essere quello che muove dalla considerazione del fatto che l’Umanesimo – ita-liano e nordeuropeo nei secoli XIV-XV – si qualificò non solo per una generica rivalutazione dell’“umano”, con il richiamo ai valori della cultura

7 Il semiologo Roland Barthes ha raccomandato di non far conto del “sapere” – savoir – più di quanto non se ne faccia per il “sapore” – saveur.

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classica, ma anche per aver promosso parallelamente lo sviluppo delle scienze modernamente intese e di quella “rivoluzione scientifica” che si realizzò in una stagione di poco successiva (il secolo XVII, il “secolo d’oro”). È in età umanistica che fiorisce il genio di Leonardo, tra il XV e il XVI ed è “a ridosso” della stagione umanistico-rinascimentale che ma-tura, un secolo più tardi, il genio di Galileo (sono da tener presenti anche scienziati della statura di Tycho Brahe, Keplero, Copernico, Vesalio ecc. e poi Harvey, Torricelli, Huyghens). Non si può parlare, evidentemente, di una pura corrispondenza di date, ma non si può negare che la rivoluzione della scienza moderna consegua, in qualche modo, alla rivoluzione uma-nistica italiana e Nord-europea (Erasmo da Rotterdam e Tomaso Moro). Nulla, dunque, di meno plausibile – che il cercare nella cultura dell’uma-nesimo-rinascimento una qualche ragione per separare (altro è il distinguere) le discipline umanistiche da quelle scientifiche. È, al contrario, proprio con riferimento a quella stagione che è possibile argomentare a favore di una integrazione della scientificità umanistica con quella positivo-natu-ralistica8. A ben guardare anche la filosofia della scienza baconiana, matu-rata nella stagione poc’anzi considematu-rata, ha un carattere umanistico e l’epurazione dei fattori che perturbano l’oggettività scientifica ha ben poco in comune con la pretesa di fare delle discipline sperimentali un pa-radigma di rigore e di affidabilità che le altre discipline non possono van-tare.

Nella modernità recente il già citato Dilthey teorizzava e argomentava la distinzione fra “scienze della natura” e “scienze dello spirito” (Natur und

Geistes Wissenschaften). Secondo quanto scrive nel volume Lo storicismo te-desco contemporaneo (1971), all’esaltazione della scienza e alla svalutazione

della filosofia Dilthey opponeva l’affermazione del nesso tra l’indagine scientifica e quella filosofica facendo valere nel medesimo tempo l’esi-genza di definire criticamente la validità e i limiti del conoscere.

Ciò che vi è di particolarmente importante in questa posizione è il passaggio (implicito) dal concetto di scienza a quello – più generale, ma proprio per questo più comprensivo – di conoscenza, il cui impiego non dà luogo agli inconvenienti, alle contraddizioni e alle vere e proprie apo-rie, che il termine “scienza”, nella molteplicità e nella varietà, non sempre razionalmente “regolamentata” e dominata dei suoi significati, porta con sé. Filosofi della scienza ed epistemologi hanno proposto una

rappresen-8 Si vedano su questi temi il classico La civiltà del Rinascimento in Italia di J. Burkhardt (1860) e quanto prospettato nel volume di E. Garin Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal

XIV al XVII secolo, (1975) e nella silloge curata da E. Garin L’uomo del rinascimento, (1988).

Scriveva Burkhardt (1860): “Sul finire del secolo XVI l’Italia, con Paolo Toscanelli, Luca Pacioli e Leonardo da Vinci era senza paragone il primo paese del mondo in fatto di ma-tematiche e di scienze fisiche, e i dotti del mondo moderno si riconoscevano suoi disce-poli, non esclusi nemmeno il Regiomontano e il Copernico”.

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tazione riduttiva, e talvolta superficiale, della scientificità, non tenendo conto di ciò che proprio la storia della scienza “positiva” avrebbe dovuto indurli a considerare. Ad esempio il fatto che vi è stata, nella cultura greco-europea, una lunga stagione in cui le scienze della natura non sono state distinte, e tanto meno separate, dalle scienze che oggi si definiscono “del-l’uomo”. La distinzione, che ancor oggi permane e che però tende ad at-tenuarsi, costituisce una sorta di anomalia rispetto a ciò che le scienze dell’uomo significavano, senza esplicitamente caratterizzarsi come tali, nella premodernità e nelle epoche precedenti alla cosiddetta “rivoluzione scientifica”. A questo proposito è opportuno richiamare ciò che scriveva Paolo Rossi (1981) nel saggio “Scienze della natura e scienze dell’uomo: alcune vie di comunicazione”, laddove affermava che le linee di demar-cazione fra l’una e l’altra disciplina (anche quelle fissate con tanta cura dagli epistemologi) tendono sempre più ad apparire come membrane se-mipermeabili invece che come fossati invalicabili.

Potremmo ora prospettare – a mero titolo di esempio – un paradigma di rapporti realizzati o mancati fra discipline quali la filosofia, l’antropo-logia culturale, la linguistica, la semiol’antropo-logia-semiotica, la storia, l’economia, la demografia, la geografia umana, le neuroscienze, la letteratura, l’arte nelle sue varie declinazioni e caratterizzazioni… discipline indiscutibil-mente – talvolta intimaindiscutibil-mente – connesse, ma il cui rapporto è anche se-gnato – e viziato – da antinomie e difficoltà di vario genere. Le interazioni fra le cosiddette “scienze umane” sono in realtà non meno complesse e problematiche di quelle che intercorrono fra le scienze dell’uomo e le scienze

della natura. Di fatto le scienze umane sono ben lungi dal costituire un

insieme omogeneo e monolitico. Si deve perciò tener conto del quadro delle interazioni, realizzate o mancate, fra quelle che convenzionalmente si definiscono discipline umanistiche, tanto da potersi dire che esse hanno spesso difficoltà di rapporto persino maggiori di quelle che il loro “in-sieme”, reale o presunto, ha con l’“insieme” delle discipline naturalistiche. Ciò vale per i rapporti fra sociologia e antropologia, fra antropologia e linguistica, fra sociologia, antropologia e linguistica e scienze storiche. La linguistica, a partire da De Saussure, sollecita a considerare profili struttu-rali-sincronici e non solo quelli storico-diacronici. L’antropologia culturale (a cui possono anche riferirsi l’etnologia, la geografia umana, la storia, l’economia e la demografia) pone e affronta problemi che compete anche alla filosofia di prendere in considerazione: ad esempio quello dei valori, della loro relatività o della loro oggettività e “universalità” e quello della distinzione fra la linguistica “empirica” (“socio-strutturale”) e le varie forme di filosofia del linguaggio (Wittgenstein e gli “analitici”, Heidegger, Gadamer). La sociologia (della conoscenza) interferisce positivamente, ma anche problematicamente, con l’epistemologia, oltreché con l’economia, la demografia e le discipline giuridiche. Di tutte queste problematiche non possono non farsi carico anche la pedagogia e la teologia, raramente

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inclusa nel novero delle scienze umane, ma considerata in alcuni contesti

la più umana delle scienze. La filosofia, dal canto suo, come già si accennava,

non può ignorare le ragioni prospettate nell’ambito di queste discipline (che hanno una significativa componente di rigore scientifico, configurato come descrizione e analisi di situazioni specifiche più, come già si faceva rilevare, che di sperimentazione o di calcolo) e deve anzi farle oggetto delle proprie indagini, riflessioni ed elaborazioni critiche, senza avanzare la pretesa di offrire una copertura di razionalità generale e totalizzante. Non c’è dubbio che la filosofia (sul piano etico ed epistemologico) inte-ragisce con tutte queste discipline, ne considera (o dovrebbe considerarne) criticamente le istanze e nel medesimo tempo (come già faceva osservare il citato Dilthey) si oppone alle tendenze riduzionistiche che vorrebbero dare risposte “positive” ai problemi fondamentali (Hauptprobleme) che essa pone ad altro livello (non empirico)9. Su un altro versante è importante notare la connessione, spesso problematica, fra la psicologia e le neuro-scienze, nonché il contributo della psicoanalisi (Freud e Jung, in partico-lare) per ciò che attiene al tema della consistenza e persistenza ontologica, dell’unità del soggetto-persona o della sua multilateralità ponendo a base dell’indagine psicoanalitica il concetto d’inconscio individuale e collettivo. Le varie discipline si incontrano inoltre sul terreno delle applicazioni e delle realizzazioni pratiche (tecniche e tecnologiche). Ciò avviene nel caso dell’architettura e dell’informatica, della matematica e delle scienze dei materiali, dell’astronomia-astrofisica e delle imprese spaziali, dell’in-gegneria informatica e delle pratiche mediche.

A questo proposito si deve tener conto di quanto è stato prospettato (e che già abbiamo richiamato) in chiave marxista circa il rapporto fra scienze naturali e scienze umane, così come sarebbe importante appro-fondire quanto teorizzato, con riferimento a queste problematiche, nel-l’ambito del già menzionato pensiero teologico, e comunque nella filosofia neoscolastica e neotomista. Tutto ciò contribuisce a far giustizia della tesi convenzionale, semplicistica e fallace, secondo la quale le scienze (naturali e umane) si sarebbero costituite e sviluppate per distacco ed emancipa-zione dalla filosofia, espropriandola e svuotandola dei suoi contenuti – è questo anche l’assai poco plausibile schema comtiano dei “tre stadi” – lad-dove è evidente che tale svuotamento non ha avuto luogo e che i pro-blemi fondamentali della filosofia si ripropongono sempre di nuovo senza

9 Di notevole importanza sono stati gli incontri e gli scambi, propiziati e posti in essere da Jean Piaget, fra la psicologia, l’epistemologia (genetica) e altre discipline dell’area umanistica e sociale. A Piaget si devono importanti studi e sperimentazioni (quelle della serie chez

l’enfant in cui la psicologia, l’epistemologia e la biologia hanno svolto un ruolo integrato.

Paolo Rossi (1981), nel contributo già ricordato, ha parlato del “recente fenomeno che è consistito nella penetrazione nella biologia del Novecento, di nozioni e di termini che appartenevano, fino al secolo corso, al livello umano-culturale”.

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che le scienze “positive” abbiano la possibilità e la capacità (o, a dire il vero, neanche lo scopo e il proposito) di eliminarli e liquidarli, così come i neo-positivisti hanno preteso di liquidare la filosofia speculativa e più specificamente la metafisica10. Quando il quadro di queste interazioni, e di molte altre possibili, non fosse delineato con la desiderabile chiarezza, la possibilità di analizzare “scientificamente” l’“umano” nel suo complesso sarebbero inevitabilmente compromesse.

2. Il dibattito contemporaneo

Il problema delle scienze dell’uomo, nel loro rapporto con le scienze della natura che sono anch’esse (nel duplice senso del termine) “umane”, va oggi affrontato con riferimento ad alcune “novità” del quadro culturale contemporaneo. Si deve tener conto della già citata rivoluzione scientifica del Novecento, della rivoluzione “filosofica” prospettata (ma non realiz-zata) in ambito neo-positivistico, logico-empiristico, in chiave metodo-logistica e di analisi del linguaggio) delle questioni poste dalla critica della razionalità scientifica (senza distinzione tra scienze naturali e scienze umane) il “francofortismo”, il “debolismo”, la “crisiologia”, il decostru-zionismo, le tendenze nichilistiche, la tesi del “tramonto del soggetto”, gli influssi delle critiche mosse alla scienza da Nietzsche e perfino dal Witt-genstein che parla della “vischiosa scienza”. Non c’è dubbio che queste “novità” comportano un sostanziale rimescolamento delle “carte” e un cambiamento di prospettiva non irrilevante circa il “fatto” e la “ratio” dei rapporti, non solo, come si accennava, fra le discipline naturalistiche e quelle umanistiche, ma, su una scala molto più vasta. e con implicazioni di maggior rilevanza, fra le diverse “specie” e tipologie di discipline uma-nistiche. Non deve sfuggire il fatto, cui già ci si richiamava, che, proprio alla luce di questa “novità”, il tradizionale dualismo (fatto valere sempli-cisticamente, e altrettanto semplicisticamente criticato, – ad esempio da Snow e da Geymonat, entrambi sviati dalla fallace rappresentazione dei “blocchi omogenei”) diviene pressoché indifendibile.

Si può dire che la critica “decostruttiva” della razionalità “classica” (con tutto ciò che implica e reca con sé di non condivisibile) contribuisce a

10 Si pone anche il problema della possibilità di un’etica scientifica, che per un verso vorrebbe realizzarsi e per l’altro trova ostacoli alla realizzazione e deve limitarsi a porre in essere un’analisi linguistica dei problemi etici o a ridurre l’etica all’approccio metodologico a concetti come il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, non riconoscendo alle proposizioni etiche un contenuto “apofantico”. Si veda l’opzione del metodologismo “emotivistico” che, nell’ambito di una filosofia qualificata e configurata come scientifica nega la possibilità di un’etica scientifica.

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rendere meno netti i confini fra le scienze della natura e le scienze del-l’uomo, proprio per il fatto che nel caso di entrambe viene posta in di-scussione la “copertura” di una razionalità a un tempo “invadente” “dispotica” e ingenua11, nella sua illusoria pretesa di rendersi garante di un’oggettività non perturbata da fattori interessativi di vario genere. Si è già accennato al marxismo e alla propensione dei marxisti a considerare gli aspetti di contesto della ricerca dell’oggettività, resa possibile dal ri-spetto e dall’applicazione dei protocolli metodologici, pur nel riconosci-mento dell’autonomia metodologica delle diverse discipline. Negli ultimi decenni si è avuto, per così dire, un bilanciamento compensatorio (non a “somma zero”) fra le tesi genericamente (spesso impropriamente) consi-derate “idealistiche” e le tesi caratterizzate da una inclinazione realistico-positivistica e da quello che potrebbe definirsi il “feticismo del dato puro”. L’effetto è duplice, giacché per un verso le nuove epistemologie – cosid-dette relativistiche – pongono l’accento sul fattore “soggettivo”, “inter-soggettivo” e culturale dello “sguardo indagatore” e dall’altro sollecitano a ricercare e individuare (multidisciplinarità, interdisciplinarità) punti e facce di contatto fra discipline che talvolta (a causa del malinteso rigore del-l’iperspecialismo) tendono a interpretare la loro autonomia (legittima istanza) come giustificazione di una chiusura “autarchica” entro confini invalicabili, con effetti di reciproco impoverimento e con il rischio di pro-durre un’immagine fallace e ingannevole della stessa scientificità, oltreché una presunzione di intangibilità e di “immunità”, salvo la concessione della precarietà delle teorie proposte, come accade nel caso di Poincaré (carattere effimero delle teorie) o di Popper (tesi della “falsificabilità” e della importanza dell’errore in ciò che concerne il carattere progressivo della scienza).

Ciò che nella cultura più strettamente contemporanea si presenta o si teorizza come passaggio dall’epistemologia all’ermeneutica (teoria e pra-tica dell’interpretazione), transizione da un culto “superstizioso” e “ido-latrico” della razionalità “intransigente” (la razionalità dell’argumentum – o fundamentum – inconcussum) alla razionalità critica e poi al cosiddetto “pensiero debole”, ha origini e radici profonde e assume notevole rile-vanza per il nostro tema. L’autocritica dell’epistemologia si configura spesso come riconoscimento dei “nomadismi” e della trasversalità, si ri-chiama a una ragione “saggia”, sensibile e flessibile, talvolta, com’è stato affermato, “decostruttiva”. Contrappone quello che Pascal chiamava “spi-rito di finezza” allo “spi“spi-rito di geometria”, denuncia come peccati contro lo “spirito di finezza” gli eccessi di codificazione, di formalizzazione, la perfezione “geometrica” (ineccepibile e vincolante erga omnes) del discorso “apofantico” e delle argomentazioni ineccepibili e stringenti che portano

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a conclusioni non discutibili. Proprio perché più liberamente “transdut-tivo” o “abdut“transdut-tivo”, non soggetto alle prescrizioni di una logica “cogente” e affrancato da rigorose o rigide concatenazioni, il pensiero (con le sue connotazioni di quello che potremmo definire “soggettivismo critico” della “doxa”) può spiegare e comprendere più e meglio di quanto non faccia la ragione, che spesso si configura come “jnstrumentelle Vernunft” (Hor-kheimer). La critica della razionalità geometrica e intransigente, valida come si è detto, “erga omnes” ed “erga omnia”, ha indotto a riconoscere la necessità di una riqualificazione “ermeneutica” della stessa scientificità intesa quale la intendevano Bacone, Galilei e Newton. Di questo non è difficile fornire esempi avendo presenti testi, contributi, teorie e interventi di filosofi della scienza e di epistemologi della modernità recente e re-centissima. Autori come Kuhn, Putnam, Rorty, Feyerabend, Laudan, pos-sono essere chiamati in causa e interpellati a questo proposito, così come possono esserlo alcuni dei più autorevoli esponenti della sociologia della conoscenza (Mannheim, Stark, Scheler nella seconda parte del suo per-corso culturale). Sarebbe certo incongruo trarre da questo conclusioni af-frettate o semplicistiche, ma si deve ribadire che in ciò che si è definito come crisi della razionalità (scientifica e anche filosofica) c’è molto che induce a ripensare la “frattura” humeana (great division) fra giudizi di fatto (propri delle discipline empirico-dimostrative) e giudizi di valore e quindi a moderare le pretese della scientificità dimostrativa, intransigente e in-fallibile, fra cui (è il caso dei neo-positivisti) quella di squalificare i giudizi di valore come frutto di mere opinioni e di “emozioni”, espressioni di una soggettività logicamente ed epistemologicamente “sregolata” o “dere-golata”. Sono anche maturate posizioni assai diverse, alcune delle quali riqualificano i giudizi di valore nei confronti di una scienza considerata (da Feyerabend) come mera “superstizione”. Il quadro che è venuto de-lineandosi è quello di un razionalismo “temperato” emendato e “purgato” delle componenti di perentorietà e di intransigenza che spesso gli sono state proprie. Perfino nelle tesi del Max Weber sostenitore della Wertfreiheit (“libertà o indipendenza dai valori”) si colgono, ed anzi sono esplicitati, elementi di “moralismo” che possono essere ragionevolmente contrapposti alle pretese, pur legittime, della scientificità, avalutativa wertfrei efficienti-stica, “calcolante” e rigorosa12.

12 Non può essere trascurato ciò che Weber afferma a proposito del rapporto tra razionalità e valori parlando appunto di “razionalità calcolante”, ovvero dell’esercizio di una ragione “burocratica”, altamente efficiente ma “egoistica“, “priva di scrupoli” e scarsamente sen-sibile ai principi della razionalità “materiale”, termine con cui Weber designa ciò che con-cerne i valori in senso etico (solidarietà, altruismo, fraternità, carità) distinguendola dalla razionalità “logico-formale” (organizzativo-burocratica).

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3. Indicazioni per il Liceo delle scienze umane

Sarebbe ora opportuno chiedersi quanto di queste consapevolezze si col-lochi alla base delle scelte operate nella definizione dei percorsi formativi di cui si fanno carico istituzioni quali il “Liceo di scienze umane”. Il ri-schio è quello che, paradossalmente, tali scelte non rendano conto di ciò che, nella cultura scientifica e umanistica della contemporaneità recente, esige di essere considerato,perché le immagini della scientificità (scienze naturali e umane) non si fossilizzino e non rinuncino a prendere atto delle novità a cui si è fatto cenno. Vale, in questo caso, il fondamentale princi-pio”pedagogico” secondo il quale deve essere proposto e fatto oggetto di apprendimento attivo e critico, a qualunque livello della formazione, quanto di più aggiornato sia disponibile per l’approccio alle varie disci-pline, facendo sì che la considerazione “elementare” corrisponda

positiva-mente all’etimologia di questo termine e non implichi la rinuncia a

prospettare gli approdi più recenti e gli esiti più avanzati della ricerca e della riflessione, a farne oggetto di una valutazione comparativa e quindi di un apprendimento che possa affrancarsi, se non prescindere, dalle im-postazioni e dalle strategie convenzionali.

Al di là dell’apprendimento scolastico delle varie discipline è impor-tante che i giovani siano resi consapevoli di quanto si è dibattuto, nell’arco di più di un secolo, sulle questioni relative alle varie declinazioni della scientificità e,al tempo stesso sui requisiti e sulle prerogative della scienti-ficità tout court. Ciò non significa, ovviamente, che in un “Liceo di scienze umane” si debba far posto a una “superdisciplina” di carattere lato sensu epistemologico che metta nelle condizioni di affrontare il problema delle scienze umane (e dei suoi rapporti con le scienze della natura-fisica, chi-mica ecc.) avendo presenti nel dettaglio le tesi proposte da Bachelard, Pia-get, Popper, Kuhn, Putnam, Lakatos, Geymonat, ecc. Sarebbe però quanto meno auspicabile, che chi organizza e programma l’apprendimento istitu-zionale-scolastico e ne definisce le strategie, abbia cognizione e consape-volezza di quanto in Italia e in altri paesi è maturato, e costantemente evolve, non solo in chiave filosofico-epistemologica, ma anche sotto altri profili, in ciò che concerne una concezione integrata e articolata dello “spirito scientifico”.

Poiché ogni medaglia ha il suo rovescio sarebbe anche auspicabile che i cultori della varie discipline (naturalistiche o umanistiche), guardassero all’oggetto e al metodo delle proprie ricerche avendo presenti i problemi che si pongono nei processi di formazione e nella definizione delle relative strategie13. Più particolarmente si dovrebbe avere in vista il problema della

13 L’epistemologa Hesse (trad.it. 1980) nel saggio Modelli e analogie nella scienza -ha parlato di “scienza come processo di apprendimento”.

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“sostenibilità” degli specialismi rispetto all’esigenza di coordinamento cri-tico degli elementi costitutivi dell’universo complesso del conosciuto e del conoscibile. Sarebbe desiderabile, in altri termini, che gli specialisti delle varie discipline (e con loro i filosofi della scienza e gli epistemologi) diano il buon esempio e non si mettano a rischio, per amore di scientificità “esatta” e di astratto metodologismo, di operare come “cattivi maestri”. Di fatto – purtroppo – se per un verso, come abbiamo cercato di argo-mentare e di docuargo-mentare, molto del dibattito contemporaneo sulla scien-tificità e sulle razionalità scientifica e generale ha contribuito a sfatare il mito di uno scientificismo di carattere riduttivamente naturalistico che può e deve affermarsi a discapito delle discipline umanistiche, contri-buendo a consolidare un dualismo inaccettabile e insostenibile, molto altro ha viceversa contribuito a perpetuare la considerazione statica e dualistica dei due ambiti di scientificità,ignorando le istanze del pluralismo integrato e complesso. Gli stessi autori che abbiamo chiamato in causa come “buoni maestri” hanno generalmente trascurato il campo delle conoscenze “ine-satte” e riconosciuto al massimo – è il caso dei citati Popper, Kuhn, Gey-monat, Feyerabend, Putnam, Lakatos – l’esistenza, nella ricerca scientifica e nel progresso scientifico, di fattori compatibili con il concetto di scienza declinato e concretato nel senso dell’umano.

Concluderemmo osservando che una seria e valida pedagogia della programmazione scolastica potrebbe offrire non solo occasioni e “prete-sti”, ma anche indicazioni di metodo, per l’approccio a una problematica di interazioni, di rapporti e di possibili sinergie tra i “saperi” che l’episte-mologia generale e le epistemologie specifiche e specialistiche non sem-brano in grado – da sole – di affrontare in modo congruo e adeguato14.

14 In molti casi i cultori delle discipline specialistiche non si sono preoccupati di fare riferi-mento alle tematiche di un’epistemologia generale, riconducibile alla filosofia della scienza, rinunciando a “lucrare” il valore aggiunto di una integrazione quanto meno di carattere metodico, ma anche di contenuti. Sia i filosofi della scienza che i cultori delle varie disci-pline scientifiche hanno mancato, in genere, di tenere in debito conto le tesi volte a revo-care in dubbio le prerogative e i titoli di legittimazione della razionalità scientifica, considerandole come pura e semplice espressione e manifestazione di deleterie tendenze irrazionali/irrazionalistiche (Popper, Geymonat). Ciò è venuto collegandosi con un pre-giudizio relativo alla filosofia della scienza: quello del ritenere che questa branca della fi-losofia “generale” sia “gestita” e “gestibile” in esclusiva: a) da chi si preoccupa di porre in essere una discutibile “filosofia scientifica”; b) da chi ritiene che la filosofia della scienza

appartenga alla scienza e sia impegnata a valorizzarla attribuendo una sorta di insindacabilità

e di immunità alle sue istanze, laddove possono essere considerate ragionevolmente filosofie della scienza i modelli di pensiero che prendono le distanze dalla scientificità comune-mente e/o convenzionalcomune-mente intesa per far valere istanze e principi/valori di diversa na-tura.

Per ciò che riguarda lo specifico delle “scienze dell’uomo” si deve registrare il dato di fatto che i filosofi – e anche gli storici – della scienza hanno rivolto la loro attenzione

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Note bibliografiche

Bachelard G. (1951). Il nuovo spirito scientifico. Bari: Laterza (Edizione originale pubblicata 1935).

Bauman Z. (1964). Lineamenti di una sociologia marxista. Roma: Editori Riuniti (Edizione originale pubblicata 1961).

Burkhardt J. (1876). La civiltà del Rinascimento in Italia. Firenze: Sansoni (Edizione originale pubblicata 1860).

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Bari: Laterza.

prevalentemente (talvolta esclusivamente) alle scienze fisico-naturalistico-matematiche. Nel saggio La scienza moderna e la sua filosofia (1961) Frank, tratta di “unità della scienza” escludendo le discipline umanistiche. Nel saggio di Brigdman, La critica operazionale della

scienza (trad. it. 1969) il tema delle scienze umane non è affrontato se non indirettamente.

La stessa cosa può dirsi per il saggio di Bachelard Il nuovo spirito scientifico (1935). Di scienze umane non tratta se non del tutto marginalmente il quaderno “Sul marxismo e le scienze” di Critica marxista (1972). La stessa cosa può dirsi del volume di Garin Filosofia e scienza

nel Novecento (1978), dei saggi contenuti nel volume (a cura di Lakatos e Musgrave) Critica e crescita della conoscenza (1970), in quelli di Geymonat Filosofia e filosofia della scienza, (1960), Scienza e realismo (1977) e Scienza e storia. Contributi per uno storicismo scientifico (1985). Nel

volume La scienza e la filosofia dei moderni. Aspetti delle rivoluzione scientifica di Rossi (1989) non è dato trovare riferimenti significativi alle scienze dell’uomo. La Storia del pensiero

scientifico di Preti (1957) prospetta un’immagine della scienza che prescinde pressoché

to-talmente dalle configurazioni e dagli sviluppi delle scienze dell’uomo. La Teoria generale

della conoscenza del neopositivista Sclick (1925) prendeva in considerazione solo

margi-nalmente le connessioni e gli “scambi” a cui accenniamo in questo contributo. Pressoché assenti i richiami a quelle che Dilthey chiamava “scienze dello spirito” sono nel pregevole e “informato” volume di Parrini, Filosofia e scienza nel’Italia del Novecento. Figure, correnti

battaglie, (2004). Qualcosa di simile può dirsi di altri significativi contributi, come quelli

raccolti nel volume di AA.VV. Scienza e filosofia oggi, nei volumi, anch’essi di AA.VV. La

razionalità scientifica (1978) e L’ape e l’architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico (1976).

Di scienze dell’uomo non si tratta nel volume 2-3 (Agosto-Dicembre 1988) della “Rivista di filosofia” dedicato alla filosofia italiana e alle filosofie straniere del dopoguerra. Non tratta di scienze dell’uomo Rossi nel saggio La scienza e la filosofia dei moderni. Aspetti della

rivoluzione scientifica, (1989). Di scienze dell’uomo non si tratta in Filosofia e scienza. Problemi e scopi della scienza di Popper, (1969). Nella Introduzione alla storia delle scienze di Canguilhem

(1970) sono elencate matematiche, astronomia, chimica, biologia, sociologia, economia, psicologia, linguistica, ma le scienze dell’uomo non compaiono nella cronologia delle date principali della storia delle scienze posta in appendice del volume. Il corposo volume di Cohen, La rivoluzione nella scienza, (1985) accenna di passata alla rivoluzione nelle scienze sociali. I saggi di Piaget Lo strutturalismo (1968) e Le scienze dell’uomo (1970) costituiscono in qualche modo un’eccezione. In entrambi i casi si pone il problema della situazione delle scienze dell’uomo nel sistema delle scienze con riferimento alle strutture matema-tiche e logiche, fisiche e biologiche, psicologiche, sociologiche, con interessanti richiami alla filosofia all’epistemologia e con l’affermazione della necessità di una “assimilazione reciproca”, che peraltro non comporta il rischio di compromettere la specificità dei feno-meni e delle tesi e delle teorie che li assumono come oggetto di indagine e di analisi.

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Garin E. (a cura di) (1988). L’uomo del rinascimento. Bari: Laterza. Geymonat L. (1977). Scienza e realismo. Milano: Feltrinelli.

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