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Analisi di algoritmi di soluzione dell'equazione di Boltzmann con modello collisionale di Fokker Planck

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(1)

POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria dei Sistemi

Corso di Studi in Ingegneria Matematica

Elaborato di Laurea Magistrale

Analisi di algoritmi di soluzione

dell’equazione di Boltzmann

con modello collisionale

di Fokker-Planck

Relatore:

Prof. Aldo Frezzotti

Tesi di laurea di:

Fabio CETRANGOLO

Matr. n. 739605

(2)

Indice

Introduzione 3

1 Meccanica Statistica 5

1.1 Un approccio molecolare . . . 6

1.2 I limiti delle equazioni NSF . . . 9

1.3 L’equazione di Boltzmann . . . 10

1.4 I momenti dello spazio delle fasi . . . 12

1.5 L’operatore collisionale . . . 14

2 Algoritmi di Soluzione 16 2.1 L’operatore Fokker-Planck . . . 16

2.2 L’algoritmo JTH . . . 18

2.2.1 Il problema fisico . . . 19

2.2.2 Stime dei Momenti Statistici . . . 21

2.2.3 Evoluzione per le Particelle . . . 23

2.2.4 Le Condizioni al Contorno . . . 26

2.3 Derivazione del Modello . . . 31

2.4 Un operatore Fokker-Planck più generale . . . 39

2.5 L’algoritmo GJ . . . 41 3 Simulazioni Numeriche 46 3.1 Flusso di Couette . . . 47 3.2 Algoritmo JTH . . . 48 3.3 L’algoritmo GJ . . . 53 Conclusioni 55 A Strumenti Matematici 56 A.1 Equazioni alle Derivate Parziali . . . 56

A.2 Processi Stocastici . . . 57

A.2.1 Processo di Wiener . . . 58

A.3 Equazioni Differenziali Stocastiche . . . 59

(3)

B Codice 64 B.1 Classe Particella . . . 64 B.2 Algoritmo JTH . . . 70 B.3 Algoritmo GJ . . . 75

Elenco delle figure 76

Elenco delle tabelle 76

(4)

Introduzione

Per studiare il comportamento di un fluido in varie condizioni di flusso e di geometria le equazioni più comunemente untilizzate sono quelle di Navier-Stokes e Fourier (NSF). Tuttavia queste non sono le equazioni più generali possibili, infatti sebbene adatte alla maggior parte delle situazioni reali co-muni in condizioni particolari falliscono nell’obiettivo fondamentale di de-scrizione verosimile del mondo reale. Questo accade perchè sono derivate sotto opportune ipotesi che perdono la loro validità in caso di gradienti es-tremi nella variazione di caratteristiche fisiche quali temperatura e velocità del fluido. Le due condizioni fisiche più frequenti nelle quali si trovano gra-dienti estremi sono i processi di miniaturizzazione e la rarefazione dei gas in alta atmosfera.

Questo fallimento comporta l’obbligo di ricorrere ad equazioni alternative valide in condizioni e sotto ipotesi più generali. In questo lavoro di tesi l’at-tenzione è rivolta in particolare all’equazione di Boltzmann per l’evoluzione temporale della distribuzione di posizione e velocità di ogni singola particella che compone il gas. Si tratta dell’equazione che sta alla base della mecca-nica statistica, il ramo della fisica-matematica che studia i gas con modelli composti di un numero elevato di particelle distinte che interagiscono tra loro; le quantità fisiche macroscopiche che caratterizzano il flusso del gas si ottengono come medie locali sulla distribuzione di velocità delle particelle. Nel capitolo 1 si introduce il numero di Knudsen Kn come parametro per distinguere le situazioni fisiche in cui le equazioni di Navier-Stokes offrono un’adeguata comprensione del fenomeno reale. Si ripercorre l’approccio molecolare che sta alla base dell’equazione di Boltzmann. Ci si sofferma sulla complessità delle simulazioni numeriche legate al termine collisionale e sull’opportunità di sostituirlo con termini collisionali alternativi che man-tengano delle proprietà statistiche comuni con quello originale. Si descrive infine come ottenere le quantità macroscopiche come opportune medie sulla distribuzione di velocità.

Nel capitolo 2 sono presentati due algoritmi di soluzione stocastici per l’e-quazione di Boltzmann con termine collisionale di Fokker-Planck, prima

(5)

lineare e poi non lineare. Si descrivono la derivazione degli algoritmi, gli stimatori statistici impiegati, l’implementazione di particolari condizioni al contorno. Si studiano le proprietà di conservazione statistiche dei due algo-ritmi.

Nel capitolo 3 si testano e validano i due algoritmi introdotti nel capito-lo 2. Si considera un problema tra lastre parallele virtualmente infinite con flusso di Couette e si confronta la soluzione numerica con quella esplicita no-ta per la particolare semplicità del problema. Si confronno-tano i due algoritmi in termini di prestazioni.

(6)

Capitolo 1

Meccanica Statistica

Le equazioni di Navier-Stokes e Fourier sono alla base delle moderne simu-lazioni del comportamento di un fluido. Queste equazioni tuttavia si basano su un’ipotesi fondamentale: le particelle non si comportano in modo indi-viduale, anzi si trovano a distanze così piccole e collidono con una frequenza tale che il fluido si può considerare un continuo di particelle.

Questo approccio funziona in molti casi di interesse concreto in ambiti anche molto differenti, come ad esempio la diffusione di un inquinante in un fluido, la descrizione del flusso di autovetture in un’autostrada visto da lontano e in presenza di traffico intenso, il deflusso di sangue in un’arteria.

Ma cosa succede quando questa ipotesi viene meno? Esistono infatti nel caso dei gas delle particolari condizioni nelle quali tale ipotesi non può più essere giustificata. Si tratta di gas in condizione di rarefazione. Questa con-dizione si verifica al giorno d’oggi in almeno due situazioni di particolare rilevanza: l’alta atmosfera ed i processi di miniaturizzazione. Le equazioni di Navier-Stokes non sono più in grado di descrivere l’evoluzione temporale e spaziale delle proprietà del fluido e bisogna usare una diversa modelliz-zazione fisico-matematica.

Il numero di Knudsen Kn è il parametro che ci permette di capire quanto è rarefatto un gas. E’ definito dalla relazione:

Kn = λ

L (1.1)

dove:

• λ è il libero cammino medio, cioè la distanza percorsa in media da una particella tra una collisione con un’altra particella e quella successiva; • L è la distanza caratteristica;

(7)

Nel caso di fenomeni non stazionari, può essere opportuno ridefinire il numero di Knudsen: Kn = ω ν dove: • ω è la frequenza tipica; • ν è la frequenza collisionale.

Dalla definizione data risulta dunque chiaro che maggiore è il valore di Kn, più il gas si può considerare rarefatto. Si possono perciò classificare i vari regi-mi fluidodinaregi-mici in cui si può trovare un gas. Una possibile classificazione1

è la seguente:

• Kn 6 0.01: regime idrodinamico, nel quale è particolarmente adatta la descrizione dell’evoluzione data dalle equazioni di Navier-Stokes-Fourier (NSF);

• 0.01 6 Kn 6 0.1: regime di scivolamento, le equazioni NSF devono es-sere accompagnate da opportune condizioni al contorno che tengano conto dello slittamento della velocità e del salto di temperatura a parete;

• 0.1 6 Kn 6 10 : regime di transizione, in cui le equazioni NSF falliscono ed è dunque necessaria una descrizione più dettagliata del gas;

• Kn > 10, flusso molecolare libero, le collisioni tra molecole sono così rare che si possono completamente tralasciare nella modellizzazione fisico-matematica del fenomeno.

In questo lavoro di tesi l’interesse è concentrato sul regime di transizione e dunque sulla descrizione di un gas basata sull’interazione tra molecole.

1.1

Un approccio molecolare

In un liquido o in un solido le molecole che compongono la materia sono in contatto diretto tra di loro e scambiano continuamente quantità come momento ed energia. In un gas diluito invece una molecola viaggia libera-mente per un certo lasso di tempo, fino a quando non si scontra con un’altra molecola dando luogo ad una collisione. Tale collisione è accompagnata dallo scambio di quantità fisiche.

Per questa ragione, in particolare nel caso di gas rarefatti, un approccio

1

(8)

molecolare descrive in maniera più dettagliata il comportamento del gas. E’ a volte impossibile infatti trattare il fluido come un continuo e bisogna invece sondare il comportamento delle singole molecole e le loro interazioni. In particolare si considerano da qui in avanti gas monoatomici ideali. Cosa significa gas ideale? Naturalmente si tratta di un’astrazione della realtà: se sono valide opportune ipotesi semplificative si ottiene una modellizzazione fisico-matematica adeguata.

I dettagli dello scambio di energia e momento tra particelle sono dati dal potenziale d’interazione Φ. In figura si riporta il potenziale empirico di Lennard-Jones. Tale potenziale tiene conto sia delle forze attrattive di Van der Waals, sia delle forze repulsive tra i nuclei.

Figura 1.1: Potenziale d’Interazione La sua espressione analitica è data da

Φ(r) = 4ε  σ r 12 −σ r 6 .

Si noti come l’espressione del potenziale dipenda dalla distanza tra le par-ticelle r. In particolare per distanze grandi il potenziale si può considerare trascurabile. Si indica con ropt la distanza minima dalla quale il potenziale

è praticamente nullo e con d la distanza alla quale si ha Φmin. d si può

considerare come il diametro effettivo della particella.

L’ipotesi di idealità del gas risulta valida fino a quando le particelle sono in uno stato di volo libero per la maggior parte del tempo. Questa affermazione si traduce in termini matematici nell’espressione

ropt

(9)

In tal caso vale la celebre equazione di stato per i gas ideali: pV = N kT

che relaziona quantità macroscopiche di un gas quali la pressione p, il volume occupato V , la temperatura assoluta T ed il numero di particelle (nel nostro caso specifico atomi) N. k è la costante di Boltzmann che assume valore pari a k = 1.38066 × 10−23J/K.

Il diametro d dipende dal particolare gas che si considera, ma l’ordine di grandezza è quello degli Å. In funzione del numero atomico si possono ot-tenere i valori d = 2 . . . 6 × 10−10 m.

Per determinare invece il libero cammino medio λ si consideri un gas compos-to da particelle sferiche rigide di raggio r con densità n. Si può ricorrere ad un trucco fisico: si immagini una particella di riferimento con raggio doppio 2re tutte le altre particelle puntiformi. Sia < v > la velocità media di una particella. La particella di riferimento percorre dunque in un intervallo di tempo ∆t una distanza L = < v > ∆t e descrive un volume cilindrico pari a π(2r)2 < v > ∆t. Essendo n il numero di sfere per unità di volume, ci

saranno nπ(2r)2 < v > ∆tparticelle nel cilindro e dunque lo stesso numero

di urti.

Figura 1.2: Urti tra sfere rigide

Il libero cammino medio λ si può a questo punto determinare come rapporto tra la distanza percorsa L ed il numero di urti, dunque:

λ = < v > ∆t nπ(2r)2 < v > ∆t =

1 4πr2n

Da questa relazione emerge una proporzionalità inversa tra λ e n, in accordo con il fatto che un aumento del numero di particelle in uno stesso volume

(10)

comporta una diminuzione del libero cammino medio e dunque il gas sarà meno rarefatto.

Per avere un’idea degli ordini di grandezza in gioco, si consideri un gas in condizioni standard, cioè tipicamente ad una temperatura T0 = 298K e

ad una pressione p0 = 1 bar= 105 Pa. Quanto vale approssimativamente il

libero cammino medio λ?

Dall’equazione di stato dei gas ideali e dalla definizione di n risulta che 1 n = V N = kT p = 1.38066 × 10−23J/K 298K 105P a = 4.11 × 10 −26 m3. Essendo poi r = d/2, ponendo r = 10−10 m = 1 Å, si ottiene

λ = 4.11 × 10

−26m3

4π 10−20m2 ' 3.27 × 10 −7 m.

Per atomi con raggio atomico maggiore λ può raggiungere anche i 10−8 m.

Da questi calcoli risulta che, in condizioni standard, per un gas qualsiasi vale

d

λ  1. Se dunque il potenziale d’interazione si potesse considerare nullo

a qualche diametro di distanza dalla particella, allora varrebbe l’ipotesi di idealità del gas. Questo non è comunque vero in generale.

1.2

I limiti delle equazioni NSF

Le equazioni di Navier-Stokes-Fourier sono lo strumento matematico più im-portante e più utilizzato nello studio della fluidodinamica.

Come accennato nell’introduzione tuttavia, tali equazioni non sono applica-bili a tutto il range di situazioni in cui si può trovare un gas.

Si focalizzi l’attenzione sui coefficienti di viscosità e di conduttività termica. La legge di Navier-Stokes

σ = −µ∇v

mette in relazione il tensore degli stress σ con il gradiente di velocità. La legge di Fourier

q = −κ∇T

invece determina il flusso di calore q in funzione del gradiente della temper-atura.

In queste leggi costitutive µ è il coefficiente di viscosità, mentre κ è quello di conduttività termica.Queste due leggi esprimono chiaramente una relazione di tipo lineare tra le quantità a primo membro e quelle a secondo membro, con coefficienti di proporzionalità dati proprio da µ e κ.

(11)

All’inizio del capitolo si è posta l’attenzione sul numero di Knudsen Kn come parametro adatto a determinare il tipo di regime idrodinamico in cui si trova il gas, e di conseguenza se le equazioni NSF sono adatte o meno alla descrizione del fenomeno di evoluzione del gas. Come si relaziona Kn con la validità delle leggi costitutive per il tensore degli stress e per i flussi di calore? Consultando ad esempio [16], le equazioni costitutive citate si ritrovano nel-l’espansione di Chapman-Enskog del primo ordine. Ma l’equazione di Bur-nett, corrispondente al secondo ordine di approssimazione per f nella teoria di Chapman-Enskog, per le espressioni del flusso di calore e del tensore degli stress fa uso esplicito di derivate della temperatura T e della velocità v del secondo ordine. Nelle situazioni ordinarie i termini con derivate del secon-do ordine hanno coefficienti trascurabili rispetto a quelli del primo ordine. In situazioni particolari tuttavia, questi termini non sono trascurabili. Ciò avviene proprio quando i gradienti di velocità e/o temperatura sono apprez-zabili a distanza di pochi liberi cammini medi λ, cioè quando il numero di Knudsen è comparabile almeno con l’ordine delle unità.

1.3

L’equazione di Boltzmann

L’argomentazione del paragrafo precedente comporta la necessità di trovare delle equazioni valide in un contesto più generale, anche in presenza di gra-dienti elevati di temperatura e/o pressione e di numeri di Knudsen rilevanti. A questa esigenza ha dato risposta Ludwig Boltzmann2.

I modelli cinetici nascono dalla descrizione statistica di un numero elevato di particelle di un gas. L’idea principale è quella di descrivere il comportamento medio di questa collezione di particelle, piuttosto che seguire la dinamica di ognuna di esse. La lista dei modelli è piuttosto vasta e corrisponde a diversi tipi di situazione fisica: interazione elettro-magnetica, forza gravitazionale, effetto delle collisioni, interazione quantistica ed effetti relativistici,etc. . . La meccanica statistica è quel ramo della fisica matematica che si occupa dello studio di gas rarefatti. Lo strumento matematico principale della mec-canica statistica è rappresentato dall’equazione di Boltzmann.

L’equazione di Boltzmann è un’equazione alle derivate parziali che descrive l’evoluzione temporale della distribuzione di probabilità di una singola

par-2

Ludwig Edward Boltzmann (1844-1906) è stato un fisico e matematico austriaco. Le sue ricerche più importanti nel campo della fisica teorica hanno riguardato la termodi-namica e la meccanica statistica e sono sfociate nella celebre equazione cinetica che porta il suo nome (1872).

(12)

ticella di gas, formalmente

f : (x, v, t) ∈ Ω ⊂ R3× R3× R+7→ f (x, v, t) ∈ R+. In questa distribuzione di probabilità f:

• x indica la posizione della particella, all’interno di una regione fisica di riferimento Ω;

• v indica la velocità della particella; • t è il parametro temporale.

Questa evoluzione, nel modello presentato da Boltzmann, è dettata da 3 meccanismi fondamentali, cioè:

1. la presenza di un campo di forze esterne F : x ∈ Ω 7→ R3;

2. gli urti binari tra le N particelle;

3. l’interazione delle particelle con le pareti del dominio Ω.

Le particelle sono inoltre considerate puntiformi, con massa m, ed è presente una forza intermolecolare diretta lungo la linea congiungente i centri, a corto raggio. Sotto tali condizioni, l’equazione di Boltzmann va ad assumere la forma: ∂f ∂t + v · ∇xf + F m · ∇vf = Q(f, f ), (1.2) dove: Q(f, f ) = Z R3 Z R3 kv − uk σ Γ(x, u0, v0, u, v; t) dxdΩ (1.3) Γ(x, u0, v0, u, v; t) = f (x, u0; t)f (x, v0; t) − f (x, u, t)f (x, v, t).

In tali equazioni u0 e v0 indicano le velocità di due particelle dopo una

col-lisione, mentre u e v sono le velocità delle medesime due particelle prima dell’impatto.

Naturalmente l’equazione (1.2), essendo un’equazione evolutiva ed in par-ticolare un’equazione iperbolica su un dominio limitato Ω, va accompagnata da opportune condizioni iniziali

f (x, v, 0) = g(x, v) e condizioni al contorno sulla frontiera di inflow ∂Ωin:

f |Ωin = h(x, v, t) ∀ t > 0.

(13)

Il primo membro dell’equazione di Boltzmann descrive l’evoluzione della den-sità di probabilità in assenza totale di collisioni. Ponendo il secondo membro pari a 0, ci si riduce così all’equazione di Liouville della meccanica classica. Il secondo membro invece descrive il contributo dell’interazione tra le parti-celle, attraverso quello che viene chiamato termine collisionale Q(f, f). Il vero sforzo, in termini di modellizzazione fisico-matematica della realtà, compiuto da Boltzmann consiste nella derivazione del termine collisionale, in cui le leggi della cinematica delle collisioni si abbinano ad opportune as-sunzioni statistiche.

L’ipotesi statistica fondamentale nella costruzione del modello è nota come Boltzmann’s Stosszahlansatz. Questa consiste nell’assumere che due parti-celle che entrano in collisione tra loro siano indipendenti. In termini matem-atici, ciò si traduce nel poter esprimere la distribuzione di probabilità di una coppia di particelle f(2) in funzione di quella di una singola particella f nel

seguente modo:

f(2)(x, v, x0, v0; t) = f (x, v; t) f (x0, v0; t) ∀ t ∈ R+ .

1.4

I momenti dello spazio delle fasi

Un modello evolutivo per l’evoluzione di posizione e velocità di una particella qualsiasi di un gas, consente la simulazione del comportamento di un gran numero di particelle. Detto N il numero di particelle considerate, lo spazio delle fasi di dimensione 6N è costituito ad ogni istante t dalle posizioni e velocità di tutte le particelle {x1, v1, . . . , xN, vN}.

In un gas reale tipicamente N assume valore nell’ordine del numero di Avo-gadro NA= 6.022 × 1023. Nelle simulazioni numeriche invece si tiene conto

di un numero molto inferiore di particelle. Questo approccio è necessario per ragioni di complessità algoritmica, ma è anche giustificato dal fatto che non interessa conoscere esattamente posizione e velocità di ogni particella del gas reale, ma piuttosto quantità macroscopiche deducibili come medie sullo spazio delle fasi.

Si riportano i tipici momenti dello spazio delle fasi di interesse fisico. • Densità di particelle n = Z R3 f dv • Densità di massa ρ = mn = m Z R3 f dv

(14)

• Densità di momento

ρvi= m

Z

R3

vif dv

• Densità di energia cinetica ρe = m

2 Z

R3

v2f dv

Nell’ultima relazione vale v2 = |v|2 = v2

1+ v22+ v32.

Si consideri ora la velocità media locale del gas M = 1

n Z

R3

vf dv.

Si definisce velocità caotica o peculiare di una particella il suo scostamento rispetto alla velocità locale del gas, cioè:

ci = vi− Mi i = 1, 2, 3.

La temperatura T, a livello macroscopico, può essere determinata in funzione della velocità caotica delle particelle secondo la relazione integrale

T = m 2 3ρk Z R3 c2f dv.

Altre due quantità di facile interpretazione fisica, legate ai momenti di ordine 2 e 3 rispetto alla velocità sono il tensore degli sforzi σij ed il flusso di calore

qi. I loro elementi sono definiti nel seguente modo:

σij = m Z R3 cicjf dv i, j = 1, 2, 3 qi = m 2 Z R3 c2cif dv i = 1, 2, 3.

Nella realtà non è importante (e nemmeno possibile) conoscere esattamente le posizioni e velocità di ogni singola particella che compone il gas. E’ di interesse invece conoscere le quantità macroscopiche, osservabili e rilevabili che, come si è visto in questo paragrafo, non sono altro che delle quantità ot-tenibili come media a partire dal comportamento delle particelle. Scopo delle simulazioni numeriche è ottenere un modello di evoluzione di posizione e ve-locità delle particelle in determinate condizioni fisiche; dalla simulazione del-l’evoluzione si può poi mediare su un gran numero di particelle per computare grandezze fisiche rilevanti.

(15)

1.5

L’operatore collisionale

L’operatore collisionale Q(f, f) derivato da Boltzmann nello sviluppo della sua celebre equazione ha il difetto di essere troppo complicato. Di conseguen-za si è cercato di trovare dei modelli collisionali alternativi, più semplici, ma che ovviamente mantengano delle proprietà comuni all’operatore di Boltz-mann Q(f, f).

In particolare ad un generico operatore collisionale S(f) si richiede che: 1. RR3ΨCS(f )dv = 0 ∀ f, con ΨC= [1, v,12v2];

2. S(f) = 0 ⇒ f = fM;

3. RR3ΨS(f )dv =

R

R3ΨQ(f, f )dv, dove Ψ = [vivj, vivjvk, . . . , vi1vi2· · · viN],

dove N ∈ N è l’ordine massimo dei momenti della distribuzione di velocità per i quali vale l’uguaglianza.

La proprietà 1. traduce in termini matematici la conservazione rispettiva-mente di massa, momento ed energia durante le collisioni.

La proprietà 2. dichiara che se una distribuzione di probabilità non cam-bia per effetto delle collisioni, e dunque è in situazione di equilibrio, allora tale distribuzione è una Maxwelliana fM.

Una distribuzione Maxwelliana3 assume la forma

fM = ρ (2πkT /m)3/2exp  −(v − M) 2 2kT /m  (1.4) La distribuzione di Maxwell può essere dunque determinata a partire da 3 quantità macroscopiche: la densità ρ, la velocità media del gas M e la tem-peratura assoluta T .

Le proprietà 1. e 2. sono soddisfatte per il modello di Boltzmann e devono esserlo anche per qualsiasi altro modello collisionale. La proprietà 3. infine garantisce che i momenti fino all’ordine N legati ad un particolare modello collisionale S(f) coincidano con quelli ottenibili con l’operatore collisionale di Boltzmann Q(f, f). Naturalmente ogni modello alternativo avrà un suo N per il quale vale tale proprietà. Per considerare tutti i momenti introdot-ti nel paragrafo precedente sarebbe auspicabile avere N = 3. Essendo tali momenti quelli più significativi da un punto di vista fisico, in generale non è necessario cercare modelli con N maggiore.

3

Il nome di questa particolare distribuzione è dovuto a James Clerk Maxwell (1831-1879). Maxwell è stato un fisico e matematico scozzese, noto in particolare per la teo-ria moderna dell’elettromagnetismo. Altri suoi contributi importati riguardano la teoteo-ria cinetica dei gas, la teoria dei colori e la scienza dei materiali.

(16)

In letteratura sono principalmente 2 i modelli collisionali alternativi uti-lizzati. Il più popolare è certamente il modello BGK4 che assume la forma

SBGK(f ) = 1 τBGK

(fM − f ) (1.5)

Questo modello rappresenta semplicemente un rilassamento verso la dis-tribuzione di equilibrio fM, con tempo di rilassamento τBGK. Si noti come

l’espressione SBGK(f )sia ancora non lineare per la presenza delle quantità

macroscopiche determinabili a partire da f in fM.

Un secondo modello collisionale è il modello di Fokker-Planck SF P(f ) = ∇ ·  1 τF P (v − M)f  + 4  2es 3τF P f  (1.6) Questo modello dipende esplicitamente dalla velocità del gas M, dal tempo di rilassamento τF P e dall’energia sensibile es. L’energia sensibile è legata

alla temperatura assoluta T dalla relazione: es=

3kT 2m.

(17)

Capitolo 2

Algoritmi di Soluzione

Varie tecniche di simulazione numerica per flussi di gas sono state sviluppate. Molte sono basate sulle equazioni di Navier-Stokes. Tuttavia, come già ci-tato nel capitolo introduttivo, in presenza di gradienti estremi, forti shock o geometrie di scala molto ridotta le assunzioni alla base di tale modello sono violate e bisogna ricorrere ad un modello alternativo.

In tali casi dunque si predilige un approccio più generale che prende spunto dalle equazioni della teoria cinetica dei gas e si concretizza nell’uso dell’e-quazione di Boltzmann.

Da qui la necessità di trovare tecniche di simulazioni numeriche efficienti per l’equazione di Boltzmann nella forma

∂f

∂t + v · ∇xf + F · ∇vf = S(f ) (2.1) Il costo computazionale di una discretizzazione diretta è eccessivo a causa dell’alta dimensionalità della densità f (in dimensione d=3 sarebbe 6N, dove N è il numero di particelle che compongono il gas) e a causa della complessità dell’operatore collisionale Q nella forma originale dovuta a Boltzmann. Per tale ragione, come già ricordato nel primo capitolo, si ricorre a forme alternative di modelli collisionali indicati in modo generale con l’espressione S(f ). A tali modelli vanno associati efficienti algoritmi numerici.

2.1

L’operatore Fokker-Planck

Si consideri il modello collisionale SF P(f ) = ∇ ·  1 τF P (v − M)f  + 4  2es 3τF P f  (2.2)

(18)

In questo modello è presente l’operatore di divergenza che opera su vettori v = [v1(x1, . . . , xd), . . . , vd(x1, . . . , xd)]T ∈ Rd nel seguente modo:

div(v) = ∇ · v = d X i=1 ∂vi ∂xi .

Tale modello presenta la somma di due termini. Il primo è un termine di trasporto proporzionale alla velocità caotica c = v - M della particella; il secondo è un termine diffusivo proporzionale all’energia sensibile es della

particella stessa.

L’equazione risultante con l’operatore collisionale di Fokker-Planck è un’e-quazione alle derivate parziali del secondo ordine.

La ragione principale per la quale tale modello è diffuso ed utilizzato è la possibilità di risolvere l’equazione alle derivate parziali attraverso metodi nu-merici basati su una descrizione stocastica. Una descrizione completamente deterministica di un gas diluito d’altronde non è possibile. In un volume V = λ3 infatti c’è un numero di particelle molto elevato e nessun calcolatore è in grado di simulare un sistema così complesso in tempi ragionevoli. Il sistema gas viene perciò spesso descritto come un ensemble di un certo nu-mero N di particelle che si muovono e si urtano secondo leggi stocastiche. In particolare per il modello Fokker-Planck si adotta il seguente moto stocastico:

           dXi dt = Vi dVi dt = − 1 τ(Vi− Mi) +  4es 3τ 1/2 dWi(t) dt + Fi (2.3)

Tale moto stocastico determina l’evoluzione dei processi stocastici relativi alla posizione X(t) ed alla velocità V(t) di ogni singola particella, compo-nente per compocompo-nente.

L’interazione tra le particelle, che dà luogo all’accelerazione stocastica, è schematizzata da un termine di drift (o trasporto) governato dalla velocità macroscopica locale del gas M e da un termine diffusivo con un rumore sto-castico dettato dalla derivata di un processo di Wiener (o moto Browniano) W(t). Naturalmente l’accelerazione stocastica è determinata anche dalla presenza di forze esterne Fi.

Si noti come l’accelerazione stocastica dVi

dt produca una variazione

contin-ua e non prevedibile della velocità stocastica. Il termine cascontin-uale dunque va a sostituire l’effetto integrale dell’interazione tra le molecole, attraverso anche i momenti stocastici di ordine 1 e 2 rispetto alla velocità definiti nel capitolo introduttivo, cioè M e es.

(19)

Un risultato asintotico fondamentale afferma che simulando un grande nu-mero di traiettorie stocastiche {Xα, Vα} secondo il moto stocastico appena

illustrato, con α indice di particella, la distribuzione delle velocità Vα nel

punto x converge alla soluzione f(x, v, t) dell’equazione di Fokker-Planck.

2.2

L’algoritmo JTH

Al giorno d’oggi i complessi problemi differenziali, sia nell’ambito della mod-ellizzazione deterministica che di quella stocastica, sono affrontati ricorrendo all’uso del calcolatore e di opportuni algoritmi di soluzione.

Per affrontare il problema proposto si considerino Npparticelle

computazion-ali, ad ognuna delle quali si associano una posizione X ed una velocità V che evolvono in accordo con il sistema stocastico. L’interesse è per l’evoluzione della densità probabilistica f(x, v, t) per la velocità delle molecole in po-sizione x all’istante t. Tale distribuzione di probabilità permette poi di ot-tenere le quantità fisiche macroscopiche di interesse come media dell’ensem-ble, come introdotto nel capitolo 1.

Un approccio di tipo Monte Carlo sul sistema stocastico è preferibile rispetto ad un approccio deterministico continuo per il minore costo computazionale. Questo comporta la simulazione dell’evoluzione temporale nello spazio x − v di un numero elevato Np di particelle. Il costo computazionale inoltre è

ulte-riormente ridotto per il fatto che non sono considerati impatti veri e propri tra le particelle: questi sono simulati attraverso la presenza del moto brown-iano. Inoltre l’accoppiamento tra particelle è legato ai momenti statistici M ed es.

Uno schema proposto, che sarà in questo lavoro indicato con il nome di algoritmo JTH1, si avvale dei seguenti punti:

(0) Si impone una griglia computazionale sul dominio fisico Ω del proble-ma, individuando un nodo per ogni cella, e si inizializzano posizione e velocità di ogni particella.

Dopo il passo (0) si susseguono nt passi temporali, per ognuno dei

quali

(1) Med esal tempo t sono stimati in ogni nodo ed interpolati alla posizione

della particella.

1

dalle iniziali di Patrick Jenny, Manuel Torrilhon, Stefan Heinz, cft. [1] sezione ”Solution algorithm”.

(20)

(2) Il passo temporale ∆t è determinato.

(3) Si evolve lo schema per mezzo passo temporale e si stima la posizione. (4) Le condizioni al contorno di mid-point sono applicate.

(5) M ed es all’istante t + ∆t/2 sono nuovamente stimate nei nodi ed interpolate alla posizione.

(6) Le nuove posizioni e velocità al tempo t + ∆t sono calcolate. (7) Le condizioni al contorno finali sono applicate.

2.2.1 Il problema fisico

Per testare l’algoritmo illustrato si consideri il problema base del flusso di un gas tra due lastre parallele idealmente infinite. Ovviamente si tratta di un problema ideale, tuttavia si può facilmente schematizzare in modo atto all’uso di tecniche di simulazioni numeriche.

Figura 2.1: Lastre parallele e terna di riferimento

Tenendo presente la figura si considera il dominio computazionale formato dal parallelepipedo Ω = (0, Lx) × (0, Ly) × (0, Lz), con Lx Ly e Lx Lz,

a cui è associato il sistema di riferimento affianco. La lunghezza caratter-istica di riferimento per il dominio è L = Lx, cioè la distanza che separa

le due lastre parallele. Le lastre sono situate nei piani x = 0 ed x = Lx.

(21)

contorno.

Una volta precisato il dominio di ambientazione del problema, su di esso è necessario introdurre una suddivisione in celle di calcolo. Il modo più sem-plice consiste nel suddividere il volume in celle a forma di parallelepipedo tutte di uguale dimensione. Questo si può ottenere facilmente suddividendo i lati del parallelepipedo in segmenti di uguale lunghezza. Definendo Nx il

numero di suddivisioni lungo l’asse x ed analogamente Ny ed Nz si

otten-gono Nn= NxNyNz celle. In ognuna di queste celle si definisce un punto di

riferimento, detto nodo, corrispondente al centro della cella.

Figura 2.2: Posizione iniziale delle particelle nel piano (x, z)

Per determinare una situazione di partenza necessaria per l’esecuzione del-l’algoritmo è necessario imporre delle condizioni iniziali X0 e V0 per la

po-sizione e la velocità di ognuna delle Np particelle che si intendono simulare.

(22)

uni-forme nel volume Ω. La densità di probabilità per la posizione segue dunque la legge X0 ∼ U (Ω). Nella figura, a titolo di esempio, si mostra la proiezione

sul piano (x, z) delle posizioni di 1000 particelle distribuite in modo uni-forme. Naturalmente è evidente che in ogni cella si va a distribuire in media lo stesso numero di particelle, dato che le celle stesse sono isovolumetriche. Per quanto riguarda invece la velocità iniziale, viene assunta una legge di probabilità normale. In particolare si ha

V0 ∼ N3  M0, kBT0 m I3 

dove M0 è la velocità media iniziale, che può dipendere dalla posizione,

mentre la varianza della distribuzione lungo ognuna delle 3 direzioni è pro-porzionale alla temperatura T0 espressa in Kelvin (K).

2.2.2 Stime dei Momenti Statistici

Si consideri un indice di particella j = 1, 2, . . . , Np. L’obiettivo di questa

sezione è determinare degli stimatori per i momenti stocastici M(Xj(t), t)

ed es(Xj(t), t), dove Xj indica la posizione della particella j.

Sia ora J = 1, 2, . . . , Nn un indice di cella. Le funzioni kernel GbJ(x), con b

GJ : R3→ R associano con un certo grado di sicurezza una posizione x ∈ Ω alla cella J. Questo naturalmente comporta il rispetto del vincolo

Nn

X

J =1

b

GJ(x) = 1 ∀ x ∈ Ω.

Le funzioni kernel sono fondamentali per la costruzione degli opportuni sti-matori statistici. La scelta più semplice, ma non per questo meno significa-tiva, consiste nello scegliere

b

GJ xI = δIJ.

Ciò corrisponde ad attribuire una generica particella j alla cella J nel cui volume si trova in un determinato istante temporale. E’ possibile in tal modo condensare tutte le informazioni legate alle funzioni kernelGbJ in una matrice G ∈ RNp×Nn composta da 0 e 1. G =      0 1 . . . 0 0 0 . . . 0 ... ... 1 0 . . . 0     

(23)

Tale matrice conterrà un solo 1 per ogni riga, poichè una generica particella può stare in una sola cella. Sommando sulle colonne si ottengono invece le quantità NJ = Np X j=1 b GJ(Xj(t))

che corrispondono al numero di particelle nella cella J all’istante t.

Una volta introdotte queste quantità uno stimatore di M in ogni nodo xJ è

dato da M(xJ, t) = PNp j=1 n b GJ(Xj(t))Vj(t)o PNp j=1 n b GJ(Xj(t))o .

Con la scelta particolare diGbJ illustrata lo stimatore diventa

M(xJ, t) = PNJ

i=1Vi(t)

NJ

, i ∈ NJ,

dove NJ rappresenta l’insieme degli indici delle particelle che si trovano nella

cella J. Dunque M è la media delle velocità delle particelle di una determinata cella. Ripetendo l’operazione per ogni nodo si ottiene il vettore in RNn:

M(t) =      M(x1, t) M(x2, t) ... M(xNn, t)     

Un possibile stimatore per l’energia e assume invece la forma

e(xJ, t) = 1 2   PNp j=1 n b GJ(Xj(t))Vj(t) · Vj(t) o PNp j=1 n b GJ(Xj(t))o − M(xJ, t) · M(xJ, t)   che equivale a e(xJ, t) = 1 2 PNJ i=1Vi(t) · Vi(t) NJ − M(xJ, t) · M(xJ, t) ! , i ∈ NJ.

Si ottiene così il vettore e(t) ∈ RNn, dove N

n è il numero di nodi, nella

forma: e(t) =      e(x1, t) e(x2, t) ... e(xNn, t)     

(24)

Una volta stimati i valori dei due momenti statistici di interesse nei nodi xJ,

questi vengono reinterpolati alla posizione delle particelle Xj(t). Il modo più

semplice consiste nell’assegnare a tutte le particelle nella generica cella J la velocità media e l’energia stimate nel nodo xJ. Ciò equivale a

M(Xj(t), t) = Nn X J =1 n b GJ(Xj(t)) M(xJ, t)o ; es(Xj(t), t) = Nn X J =1 n b GJ(Xj(t)) e(xJ, t)o .

2.2.3 Evoluzione per le Particelle

Lo schema evolutivo per posizione X e velocità V di una generica particella è legato alle stime dei momenti introdotte nella sezione precedente. Si consideri ora un passo temporale ∆t = aτ, con a ∈ R costante e τ tempo di rilassa-mento caratteristico del sistema. Si assume la notazione X(n) = X(n ∆t).

Lo schema evolutivo JTH da t a t + ∆t assume la forma    V(n+1)− V(n) = −(1 − e−∆t/τ)(V(n)− M) +qC2 Bξ1+ q A −CB2ξ2+ F∆t X(n+1)− X(n) = M∆t + (V(n)− M)τ (1 − e−∆t/τ) + 1+F2∆t2 (2.4) dove A = 2es 3  1 − e−2∆t/τ  B = 2esτ 2 3  2∆t τ − (1 − e −∆t/τ )(3 − e−∆t/τ)  C = 2esτ 3  1 − e−∆t/τ2

Si tratta di 6 equazioni alle differenze iterative scritte per comodità in forma vettoriale, ma comunque completamente disaccoppiate.

Nello schema compaiono le variabili aleatorie ξi, i = 1, 2, a 3 componenti:

ξi=   ξix ξiy ξiz   Tali variabili seguono la legge di probabilità ξi ∼ N3(0, I3)

e sono indipendenti tra loro.

Come si può notare tale schema dipende esplicitamente dalla velocità caotica c = V(n)− M, scostamento rispetto alla velocità media locale. Inoltre es

(25)

entra nella definizione dei coefficienti A,B e C, i quali a loro volta sono legati all’ampiezza dei disturbi stocastici ξi, i = 1, 2.

Per garantire la computazione dell’algoritmo si deve verificare che le quantità sotto radice siano sempre positive. A tale scopo si può osservare che es> 0

per definizione ed inoltre τ > 0. Di conseguenza il segno del coefficiente B, che compare da solo sotto radice nell’evoluzione delle velocità particellari, dipende esclusivamente dal rapporto ∆t

τ .

Da un punto di vista matematico, posto h = ∆t

τ ci si riduce a determinare

la soluzione della disequazione

f (h) = 2h − (1 − e−h)(3 − e−h) > 0, h > 0.

Si verifica facilmente che ciò è vero ∀ h > 0. Infatti si ha f(0) = 0 ed inoltre f0(h) = 2 + 2e−2h− 4e−h

= 2 (1 + e−2h− 2e−h) = 2 (e−h− 1)2 > 0 ∀h > 0.

Figura 2.3: Andamento del coefficiente B Si osservi che B = 2esτ2

3 f ∆t

τ



. Dunque, come mostra anche la figura che segue, il coefficiente B, fissati τ ed es ha andamento monotono crescente in

funzione di ∆t τ .

In particolare ciò significa che la scelta del rapporto ∆t

τ influenza

(26)

∆X = X(n+1)− X(n).

Nello schema di evoluzione per la velocità invece si devono valutare le due quantità sotto radice C2

B e A − C2

B . Per quanto riguarda la prima si ha C2 B = 2es 3 (1 − e−∆t/τ)4 2∆tτ − (1 − e−∆t/τ)(3 − e−∆t/τ) = 2es 3 g  ∆t τ  .

Notando che il denominatore della frazione è proprio la funzione f di cui si è studiato il segno in precedenza, si constata immediatamente che tale rapporto è positivo ∀ ∆t

τ .

Figura 2.4: Andamento del rapporto C2

B

Infine per quanto riguarda A −C2 B si ha A −C 2 B = 2es 3 " (1 − e−2∆t/τ) − (1 − e −∆t/τ)4 2∆tτ − (1 − e−∆t/τ)(3 − e−∆t/τ) # = 2es 3 s  ∆t τ  .

La figura che segue ci mostra che anche questo radicando è sempre positivo e monotono crescente in funzione di ∆t

τ .

L’indeterminatezza stocastica sull’incremento per la velocità ∆V = V(n+1)

V(n)è data dalla somma r C2 B ξ1 + r A −C 2 B ξ2.

(27)

Figura 2.5: Andamento del rapporto A −C2

B

Come evidenziato dai grafici illustrati di s e g, entrambe le variabili aleatorie che compongono la somma hanno ampiezza limitata superiormente indipen-dentemente dalla scelta di ∆t

τ e quindi lo stesso vale per la variabile aleatoria

somma. Questo non accade invece per ∆X.

2.2.4 Le Condizioni al Contorno

Per poter eseguire l’algoritmo è assolutamente necessario imporre delle op-portune condizioni al contorno, dovute alla presenza delle pareti parallele ed alla troncatura del dominio virtualmente infinito in uno adatto al calcolo computazionale e dunque necessariamente finito.

Le particelle inizialmente confinate all’interno del dominio Ω per mezzo della condizione iniziale sulla posizione, a causa del movimento libero dettato dal moto stocastico per X, finirebbero prima o poi per uscire dal dominio. Esistono diversi metodi per imporre delle condizioni al contorno (o BC dal-l’inglese Boundary Conditions) consistenti. I più noti sono quello della rif-lessione specularee quello dell’adsorbimento con riemissione.

Il metodo della riflessione speculare comporta che una particella colpendo una parete con un certo angolo incidente α venga riflessa con un medesimo angolo. Questo metodo si basa sull’ipotesi ideale che la parete sia completa-mente liscia.

Una particolarità della riflessione speculare consiste nel fatto che le velocità prima e dopo l’impatto si trovano sempre nello stesso piano bidimensionale.

(28)

Figura 2.6: Riflessione speculare

Il modulo della velocità non cambia con l’impatto; quello che cambia è il verso della velocità lungo la direzione normale alla parete. Detto n il versore della direzione normale alla parete, che punta verso l’interno del dominio, la relazione tra la velocità riflessa Vr e la velocità incidente Vin assume la

forma

Vr = Vin− 2n(Vin· n).

Il metodo dell’adsorbimento con riemissione invece prevede che quando una particella si scontra con una parete, essa viene adsorbita dalla parete stessa, che la trattiene. Dopo un certo lasso di tempo τela parete riemette la

particella a partire dallo stesso punto di impatto, secondo una distribuzione di velocità completamente incorrelata rispetto a quella precedente l’impatto. La parete secondo questo modello è isotermica e non è necessaria l’ipotesi di parete completamente liscia (anzi è proprio la ”ruvidità” intrinseca di qual-siasi superficie reale che sta alla base del modello!).

Come mostra la figura che segue, la velocità di riemissione della particel-la Ve può essere scomposta in una componente Vn diretta lungo il versore

normale alla parete stessa ed in un’altra componente Vw diretta lungo la

tangente alla parete. In realtà nel nostro caso specifico la parete è rappresen-tata geometricamente da un piano e dunque avremo 2 componenti ortogonali che giaciono lungo la parete.

Considerando la parete isotermica, ad una temperatura Tw espressa in gradi

(29)

Figura 2.7: Riemissione da parete di probabilità Vw ∼ fw, dove fw = 1 (2πkBTw/m)1/2 exp  − V 2 w 2kBTw/m  ∼ N  0,kBTw m  . Per quanto riguarda invece la componente lungo la direzione normale, la velocità Vn è determinata in accordo con la legge di probabilità Vn ∼ fn,

dove fn = H(Vn)Vn Q 1 (2πkBTw/m)1/2 exp  − V 2 n 2kBTw/m  .

In questa legge di probabilità Q è un fattore di normalizzazione, mentre Vn= V · n. Inoltre compare la funzione a gradino di Heaviside2 H(x) che si

comporta in modo tale che

H(x) = 

1 se x > 0 0 se x < 0

Nel caso in esame, si consideri la parete nel piano x = 0. Il versore normale di conseguenza sarà n =   1 0 0  

Dunque Vx ∼ fn ed inoltre Vx ∈ [0, +∞), poichè le particelle devono essere

spedite verso l’interno del dominio Ω. Per determinare il valore della costante di normalizzazione Q basta dunque risolvere l’equazione

Z +∞ 0 Vn Q 1 (2πkBTw/m)1/2 exp  − V 2 n 2kBTw/m  dVn = 1. 2

Oliver Heaviside (1850-1925) è stato un matematico, fisico ed ingegnere britannico. A lui si deve l’introduzione della funzione a gradino (1893).

(30)

Ora posto kBTw m = αsi ha 1 = Z +∞ 0 fndVn = Z +∞ 0 Vn Q 1 √ 2παexp  −V 2 n 2α  dVn = 1 Q 1 √ 2πα(−α) Z +∞ 0 −Vn α exp  −V 2 n 2α  dVn = 1 Q 1 √ 2πα(−α) Z +∞ 0 d dVn exp  −V 2 n 2α  dVn = −α Q 1 √ 2πα  exp  −V 2 n 2α +∞ 0 = 1 Q r α 2π ⇒ Q =r α 2π = r kBTw 2πm.

Ne segue che le particelle riemesse dalla parete posta nel piano x = 0 hanno la componente Vn di velocità normale che segue la legge aleatoria

Vn∼ fn(Vn) = m kBTw Vnexp  − V 2 n 2kBTw/m  I[0,+∞)(Vn)

dove si è usata la funzione indicatrice tale che IA(x) =



1 x ∈ A 0 x /∈ A

La densità di probabilità introdotta rientra in una classe di variabili aleatorie più ampia.

DEF. 1 (Distribuzione di Weibull) Si dice che una variabile aleatoria X appartiene alla famiglia di distribuzioni di Weibull con parametri ν, α e β se la sua densità assume la forma

fW(x) = β α  x − ν α β−1 exp ( − x − ν α β) I[ν,+∞)(x).

In tal caso si usa la notazione X ∼ W(ν, α, β). In particolare se X ∼ W(0,√2γ, 2) si ottiene fW(x) = x γ e −x2/(2γ) I[0,+∞)(x) che corrisponde alla legge per Vn posto γ = kBmTw.

(31)

Figura 2.8: Distribuzione di Weibull e percentile di ordine 0.95 Per quanto riguarda invece la parete posta nel piano x = Lx, il versore

normale alla parete è

n =   −1 0 0  

e la legge che descrive il valore della velocità nella direzione normale è Vn∼ f (Vn) = − Vn γ e −V2 n/(2γ) I (−∞,0](Vn), γ = kBTw m .

Sulle altre facce del parallelepipedo che costituisce il volume Ω si introducono delle condizioni aperte periodiche al contorno. Queste sono dunque in-trodotte nelle direzioni y e z.

La figura che segue aiuta a spiegare il significato e l’implementazione di questa particolare condizione al contorno. Si considera la direzione periodi-ca y (tutto è assolutamente analogo per la direzione z).

Una particella inizialmente nella posizione Xi viene fatta evolvere secondo lo

schema di evoluzione libera fino alla posizione XL. Se la sua posizione finale

si trova al di fuori del dominio nella sua componente Xy, allora

necessaria-mente c’è stata una interazione con la parete. Detto n il versore esterno alla parete nel punto di impatto, la posizione corretta Xcdella particella diventa

Xc=



XL− Lyy se y · n > 0

(32)

Figura 2.9: Condizione di parete aperta

dove y è il versore unitario nella direzione y.

Tale condizione al contorno attenua la forzata troncatura del dominio. Si dice condizione periodica perchè una particella che esce dal limite destro del dominio rientra dalla parte sinistra (e viceversa).

2.3

Derivazione del Modello

Si consideri ancora il moto stocastico per l’evoluzione dei processi stocastici presentato all’inizio del capitolo. In questa sezione si vuole verificare che gli schemi presentati nella sezione precedente sono statisticamente esatti per M ed es costanti.

Per semplicità, ma senza perdita di generalità si pone Mi = Fi = 0 per

i = 1, 2, 3. Si tratta dunque di cercare la soluzione di            dXi dt = Vi dVi dt = − 1 τVi+  4es 3τ 1/2 dWi(t) dt

In particolare la seconda equazione del sistema si può riarrangiare nella forma

dVi = − 1 τVi dt +  4es 3τ 1/2 dWi(t),

(33)

dalla quale si vede chiaramente che si tratta di un’equazione differenziale stocastica lineare3 con

• a = 1 τ; • b = 4es 3τ 1/2 .

Lo schema algoritmico non fa altro che integrare ad ogni passo temporale il processo stocastico Vt nell’intervallo [tn, tn+1] per evolvere da Vn a Vn+1.

Dunque la soluzione è data da

Vin+1= Vine−∆tτ + e− ∆t τ Z ∆t 0 esτ  4es 3τ 1 2 dWs dove ∆t = tn+1− tn.

Si consideri ora l’integrale stocastico

e−∆tτ Z ∆t 0 eτs  4es 3τ 12 dWs = Z ∆t 0 es−∆tτ  4es 3τ 12 dWs.

Si tratta di integrare rispetto ad un processo di Wiener la funzione

f (x) = ex−∆tτ  4es 3τ 12 . Sia ora xk= k ∆t

N , k = 0, 1, . . . , N con N ∈ N una partizione di [0, ∆t].

Figura 2.10: Partizione dell’intervallo temporale [0, ∆t] Risulta I = Z ∆t 0 es−∆tτ  4es 3τ 12 dWs =  4es 3τ 12 lim N →∞ N −1 X k=0 e−(N −k)N τ∆t n W(k+1)∆t N − Wk∆t N o 3cft. Appendice A

(34)

Per le proprietà del processo di Wiener4 è chiaro che Ak = W(k+1)∆t N − Wk∆t N ∼ N  0,∆t N  .

Inoltre per la proprietà di normalizzazione di variabili aleatorie gaussiane

Ak ∼

 ∆t N

12

N (0, 1).

Dunque considerando delle variabili aleatorie ξk normali standard

indipen-denti tra loro si ottiene

I =  4es 3τ 12 lim N →∞ N −1 X k=0 e−(N −k)N τ∆t  ∆t N 12 ξk =  4es 3τ 12 lim N →∞ N X k=1 e−kN τ∆t  ∆t N 12 ξk

dove nell’ultimo passaggio si è utilizzato il cambio di indici (N − k) −→ k. Questi calcoli sono stati svolti indipendentemente dall’indice i.

Per i = 1, 2, 3 definendo Ii =  4es 3τ 1 2 lim N →∞ N X k=1 e−kN τ∆t  ∆t N 1 2 ξk,i si giunge a Vin+1= Vine−∆tτ + Ii, i = 1, 2, 3. (2.5) Ora Vin+1Vjn+1 = VinVjne−2∆tτ + Vn i e −∆t τ Ij+ Vn j e −∆t τ Ii+ IiIj.

Passando al valore atteso condizionato a Vn si ottiene

E h Vin+1Vjn+1|Vni= VinVjne−∆tτ + δij lim N →∞ N X k=1 4es 3τ ∆t N e −2k∆t N τ

dove δij è la Delta di Kronecker5 tale che

δij =  1 se i = j 0 se i 6= j 4 cft. Appendice A 5

Leopold Kronecker (1823-1891) è stato un matematico e logico tedesco, noto per la convizione che tutta l’analisi potesse essere interamente fondata sui numeri primi.

(35)

Infatti E h VinVjne−2∆tτ |Vn i = VinVjne−2∆tτ E h Vine−∆tτ Ij|Vn i = Vine−∆tτ  4es 3τ 1 2 lim N →∞ N X k=1 e−kN τ∆t  ∆t N 1 2 E [ξk,j] = 0 E [IiIj|Vn] = lim N →∞ N X k=1 N X h=1 4es 3τ ∆t N e −(k+h)∆t N τ E [ξk,i ξh,j] = δij lim N →∞ N X k=1 4es 3τ ∆t N e −2k∆t N τ.

Nell’ultimo passaggio si è fatto uso dell’indipendenza tra le variabili aleatorie, per cui:

E [ξk,i ξh,j] =



E[ξ2k,i] = 1 se i=j e h=k

0 altrimenti

Sfruttando poi la definizione di integrale come limite di sommatorie all’infit-timento della griglia si ha

lim N →∞ N X k=1 ∆t N e −2kN τ∆t = Z ∆t 0 e−2tτ dt = −τ 2 Z ∆t 0 −2 τe −2t τ dt = −τ 2 Z ∆t 0 d dt  e−2tτ  dt = −τ 2 h e−2tτ i∆t 0 = −τ 2  e−2∆tτ − 1  = τ 2  1 − e−2∆tτ  . Si giunge dunque a E h Vin+1Vjn+1|Vni = VinVjne−2∆tτ + δij2es 3  1 − e−2∆tτ  . Perciò ponendo A = 2es 3  1 − e−2∆tτ 

si ottiene uno schema statisticamente esatto per la velocità delle particelle V nella forma

(36)

Approssimando la stessa EDS con il metodo di Eulero si otterrebbe lo schema stocastico Vin+1= Vin  1 −∆t τ  + r 4 3 ∆t τ es ξV,i.

Lo schema ottenuto è migliore di quello di Eulero? In particolare come si comportano i due schemi al variare del rapporto a = ∆t

τ ?

Le due figure proposte mostrano l’evoluzione partendo da V (0) = 1 e fis-sato il valore di es per i casi a = 1/2 ed a = 2, generando ad ogni passo

temporale degli schemi lo stesso numero casuale.

Figura 2.11: Confronto tra Eulero e JTH per ∆t τ = 0.5

In questo primo caso si osserva come i due schemi siano sostanzialmente indistinguibili. Lo schema JTH per a = 1/2 può sostanzialmente essere lin-earizzato senza perdita di informazioni e ricadere nello schema di Eulero. Nel secondo caso invece, per a = 2, ciò non è più vero. La differenza è notev-ole e si evidenzia una forte instabilità accompagnata da grandi oscillazioni per lo schema di Eulero.

(37)

Figura 2.12: Confronto tra Eulero e JTH per ∆t τ = 2

Lo schema JTH conserva in media anche l’energia interna. Infatti de-finendo es= 12E h (Vn)2i si ha E h Vn+12i = 3 X i=1 E h Vin+12i .

(38)

Ora E h Vin+12i = E h (Vin)2ie−2∆t/τ + 2es 3 (1 − e −2∆t/τ )E[ξV,i] + 2e−∆t/τ √ AE [VinξV,i] = E h (Vin)2ie−2∆t/τ + 2es 3 (1 − e −2∆t/τ),

avendo usato la relazione E [Vn

i ξV,i] = E [Vin] E [ξV,i] per l’indipendenza tra

Vin e ξV,i. Se ne deduce E h Vn+12 i = E h (Vn)2 i e−2∆t/τ + 2es (1 − e−2∆t/τ) = E h (Vn)2i.

La conservazione della quantità es, legata al momento di ordine 2 per la

velocità caotica c, non vale invece per lo schema di Eulero.

Una volta trovata l’espressione esplicita dello schema per l’evoluzione del-la velocità Vi si ottiene quello per l’evoluzione della posizione Xi sfruttando

la relazione

dXi= Vi dt.

Integrando infatti tale relazione si ottiene Xin+1− Xin =

Z ∆t

0

Vin+1 dt A questo punto ricordando lo schema (2.5) si ottiene

Xin+1− Xin = Z ∆t 0 " Vine−s/τ+ 4es 3τ 12 lim N →∞ N X k=1 e−kN τs  ∆t N 12 ξk,i # ds = Z ∆t 0 Vine−s/τ ds + 4es 3τ ∆t N 12 lim N →∞ Z ∆t 0 N X k=1  e−ks/(N τ )ξk,ids = Vinτ1 − e−∆t/τ ds + 4es 3τ ∆t N 12 lim N →∞ N X k=1 τ1 − e−k∆t/(N τ )ξk,i

A questo punto moltiplicando per ∆Xn+1 j = X

n+1

j −Xjne passando al valore

atteso rispetto a Vn si ottiene con conti analoghi al caso delle velocità

E h ∆Xin+1∆Xjn+1|Vni = VinVjn τ21 − e−∆t/τ2+ δij lim N →∞ N X k=1 4es 3τ ∆t N τ 21 − e−k∆tN τ2 = VinVjn τ21 − e−∆t/τ2+ δij 4esτ 3 Z ∆t 0  1 − e−t/τ2dt = VinVjn τ2  1 − e−∆t/τ 2 + δij 2esτ2 3  2∆t τ − (1 − e −∆t/τ)(3 − e−∆t/τ) 

(39)

in quanto Z ∆t 0  1 − e−t/τ2dt = Z ∆t 0  1 − 2e−∆t/τ + e−2∆t/τdt = Z ∆t 0 dt − 2 Z ∆t 0 e−t/τdt + Z ∆t 0 e−2∆t/τdt = ∆t + 2τ h e−t/τ i∆t 0 − τ 2 h e−2∆t/τ i∆t 0 = ∆t − τ 2  e−2∆t/τ − 4e−∆t/τ + 3  = ∆t − τ 2(1 − e −∆t/τ)(3 − e−∆t/τ) = τ 2  2∆t τ − (1 − e −∆t/τ)(3 − e−∆t/τ)  . In considerazione dei calcoli appena svolti, uno schema esatto per la dislo-cazione ∆Xi si esprime nella forma

∆Xin+1 = Vinτ1 − e−∆t/τ+√B ξX,i avendo posto B = 2esτ 2 3  2∆t τ − (1 − e −∆t/τ)(3 − e−∆t/τ)  .

Gli schemi (2.5) e (2.6) non tengono però conto della correlazione tra le vari-abili aleatorie ξX,i e ξV,i. Andando a calcolare il valore atteso condizionato

del cross prodotto tra velocità e dislocazione si ha:

E h Vin+1 ∆Xjn+1 i = VinVjnτ e−∆t/τ  1 − e−∆t/τ  + δij  4es 3τ ∆t τ  lim N →∞ N X k=1 τ e−k∆t/(N τ )  1 − e−k∆t/(N τ )  = VinVjnτ  e−∆t/τ − e−2∆t/τ+ δij  4es 3τ ∆t τ  lim N →∞ N X k=1 τ  e−k∆t/(N τ )− e−2k∆t/(N τ ) = VinVjnτe−∆t/τ − e−2∆t/τ+ δij 4es 3 Z ∆t 0  e−s/τ − e−2s/τds = VinVjnτ  e−∆t/τ − e−2∆t/τ+ δij 2esτ 3  1 − e−∆t/τ 2 Infatti: Z ∆t 0  e−s/τ− e−2s/τ = Z ∆t 0 e−s/τds − Z ∆t 0 e−2s/τds = −τhe−s/τi∆t 0 + τ 2 h e−2s/τi∆t 0 = τ 2  1 − e−∆t/τ+ e−2∆t/τ = τ 2  1 − e−∆t/τ2

(40)

Introducendo il coefficiente

C = 2esτ 3



1 − e−∆t/τ2

si tratta di rivedere gli schemi (2.5) e (2.6) al fine di ottenere le correlazioni tra i termini stocastici adeguate. Siano ξ1,i e ξ2,i, i = 1, 2, 3 v.a. normali

standard indipendenti. Sia SV,i la parte stocastica dello schema per la

ve-locità ed analogamente SX,iquella dello schema per la posizione. Il risultato

voluto si ottiene ponendo ad esempio

SV,i = r C2 B ξ1,i+ r A −C 2 B ξ2,i; SX,i = √ Bξ2,i.

Infatti in tal caso:

E [SV,iSV,j] = C2 B E[ξ1,iξ1,j] +  A −C 2 B  E[ξ2,iξ2,j] +  C2 B 1/2 A −C 2 B 1/2

(E[ξ1,iξ2,j] + E[ξ1,jξ2,i])

= C 2 B δij +  A −C 2 B  δij = A δij

E [SX,iSX,j] = B E[ξ1,iξ1,j]

= B δij

E [SV,iSX,j] = C E[ξ1,iξ1,j] +

 A −C 2 B 1/2√ B E[ξ2,iξ1,j] = C δij

Lo schema numerico per l’evoluzione congiunta di velocità e posizione delle particelle, nelle ipotesi semplificative M = 0 e F = 0 risulta dunque essere

( Vin+1= Vine−∆t/τ + q C2 Bξ1,i+ q A −CB2ξ2,i Xin+1= Xin+ Vinτ (1 − e−∆t/τ) +√B ξ1,i

2.4

Un operatore Fokker-Planck più generale

Il modello illustrato presenta però dei punti critici: è stato dimostrato che non sempre porta ad una stima corretta dei numeri di Prandtl e Reynolds. Il numero di Prandtl è un rapporto adimensionale che mette in relazione la diffusività cinematica e quella termica di un fluido. E’ definito dalla relazione

P r = µcp

(41)

In tale relazione

• µ è il coefficiente di viscosità dinamica; • cp è il calore specifico a pressione costante;

• k è la conducibilità termica.

Per la maggior parte dei gas ci si aspetta di trovare un valore di Prandtl P r ' 23. Questo valore conferma la bontà matematica della modellizzazione con l’equazione originale di Boltzmann, per il quale si arriva proprio a questo risultato. Non così invece per il modello FP lineare: in tal caso si trova un valore errato pari a P r = 3

2.

Il numero di Reynolds è un altro rapporto adimensionale, molto importante in ambito fluidodinamico, che mette in relazione tra loro le forze d’inerzia e viscose che agiscono all’interno di un fluido. La sua relazione costitutiva è

Re = ρ < v > L

µ (2.7)

dove

• ρ è la densità;

• < v > è la velocità media; • L è una lunghezza caratteristica; • µ è il coefficiente di viscosità dinamica.

Tale rapporto permette di valutare la natura del flusso di scorrimento del fluido: in presenza di un numero di Reynolds basso il flusso è laminare, all’aumentare di Re il flusso diventa sempre più turbolento. Molto spesso all’interno del rapporto appena definito il fattore determinante ai fini del risultato è la velocità media del fluido.

Si definisce numero di Reynolds critico (Rec), il particolare valore in

cor-rispondenza del quale si ha il passaggio da flusso laminare a turbolento. Fissate temperatura e pressione il numero di Reynolds critico dipende dalla particolare geometria fisica del sistema considerato.

L’operatore (2.2) può essere generalizzato, senza specificare la forma dei termini di drift e di diffusione. In tal caso si ottiene l’operatore

SF P G(f ) = −∇ · (Af ) + 4 D

2

2 f 

(42)

dove A = [A1, A2, A3]T.

L’operatore SF P si ottiene come caso specifico semplicemente scegliendo

A = −(V − M)/τF P e D = p(4es)/(3τF P).

L’obiettivo di una generalizzazione è quello di considerare una classe più ampia di modelli, al fine di trovare soluzione a quesiti che non trovano risposta soddisfacente nel modello specifico.

2.5

L’algoritmo GJ

Si considera dunque un nuovo algoritmo che sarà indicato nel proseguio del testo come algoritmo GJ6

Il punto di partenza per la costruzione di tale algoritmo è ancora una volta l’equazione di Boltzmann

∂f

∂t + v · ∇xf + F · ∇vf = S

F P G(f )

dove a secondo membro si pone l’operatore collisionale di Fokker-Planck gen-eralizzato SF P G(f ).

Il modello di Fokker-Planck lineare predice in modo accurato gli stress moleco-lari σij lungo le varie direzioni per numeri di Knudsen ragionevoli, tuttavia

fallisce ad esempio nella stima del corretto numero di Prandtl. Si vuole dunque introdurre un modello con rilassamento cubico che fissi il numero di Prandtl. Tuttavia non si vuole perdere il vantaggio principale rispetto ai metodi di simulazione diretta di tipo MonteCarlo (DSMC): la conservazione in media dell’energia, indipendentemente dal passo temporale scelto. Per arrivare alla scelta di un modello si considera dunque un termine di drift A i cui elementi assumono la forma generale

Ai = −

1

τci+ γi(cjcj− E[cjcj]) + Cij(cjckck− E[cjckck]) (2.9) In questa definizione, e da qui in avanti, si farà uso della notazione di Ein-stein, secondo la quale la ripetizione di un indice corrisponde alla sommatoria sull’indice stesso. Così ad esempio

cjckck = cj 3 X k=1 c2k = cj(c21+ c22+ c23). 6

(43)

Tale notazione ha il vantaggio di presentare equazioni in forma grafica più snella e compatta, a discapito di uno sforzo interpretativo leggermente au-mentato.

Nel termine di drift A compaiono dunque dei momenti stocastici di ordine 2 e 3 relativi alla distribuzione delle velocità v nell’ensemble di molecole. I parametri su cui definire il modello sono 9, rappresentati dai coefficienti del vettore γ e della matrice simmetrica C.

γ =   γ1 γ2 γ3   C =   C11 C12 C13 C21 C22 C23 C31 C32 C33  

I coefficienti sono effettivamente 9 in quanto la matrice C è simmetrica: bas-tano dunque 6 elementi per definirla! L’idea alla base del modello è quella di controllare l’evoluzione dei momenti stocastici, imponendo in modo op-portuno i coefficienti al fine di ottenere sforzi molecolari σij e flussi di calore

qi in accordo con quelli previsti dal termine collisionale di Boltzmann. A

questo punto ci si aspetta di ottenere stime corrette dei numeri di Prandtl e Reynolds. In sostanza si vuole ottenere la proprietà 3. dei modelli collision-ali per N=3: i momenti della distribuzione di velocità fino al terzo ordine coincidono con quelli che si otterrebbero con l’operatore collisionale di Boltz-mann.

Come si può giungere a questo risultato? Risolvendo il sistema lineare                         

CilE[cjclckck] + CjlE[ciclckck] + γiE[clclcj] + γjE[clclci] + Dδij

− 2 τE[cicj] = − p µE[cicj] + 2esp 3µ δij 2Cjl (E[clcicjckck] − E[clcicj]E[ckck]) + Cil(E[clcjcjckck]

−E[clcicj]E[ckck]) + 2γjE[(clcl− E[clcl])cicj]

+γiE[(clcl− E[clcl])cjcj] − 3 τE[cicjcj] = − P r p µ E[cicjcj] (2.10) costituito da 6 equazioni indicizzate su i e j con i > j seguite da 3 equazioni indicizzate su j. Si tratta dunque di un sistema di 9 equazioni in 9 incognite, nel quale P r è il numero di Prandtl, δij è la delta di Kronecker, esè l’energia

sensibile, D = 4es/(3τ ).

Introducendo ora la notazione

|c|2 = c kck = 3 X k=1 c2k

(44)

tale sistema si può riscrivere nella forma compatta Az = b dove A = 2E[c2

1|c|2] 2E[c1c2|c|2] 2E[c1c3|c|2] 0 0 0 2E[|c|2c1] 0 0

E[c1c2|c|2] E[c21|c|2] + E[c22|c|2] E[c2c3|c|2] E[c1c2|c|2] E[c1c3|c|2] 0 E[|c|2c2] E[|c|2c1] 0

E[c1c3|c|2] E[c2c3|c|2] E[c21|c|2] + E[c23|c|2] 0 E[c1c2|c|2] E[c1c3|c|2] E[|c|2c3] 0 E[|c|2c1]

0 2E[c1c2|c|2] 0 2E[c22|c|2] 2E[c2c3|c|2] 0 0 2E[|c|2c2] 0

0 E[c1c3|c|2] E[c1c2|c|2] E[c2c3|c|2] E[c22|c|2] + E[c23|c|2] E[c2c3|c|2] 0 E[|c|2c3] E[|c|2c2]

0 0 2E[c1c3|c|2] 0 2E[c2c3|c|2] 2E[c23|c|2] 0 0 2E[|c|2c23]

2M 4111+ M 51 4M 4112+ M 52 4M 4113+ M 53 2M 4212 4M 4213 2M 4313 2M 611+ M 7 2M 612 2M 613 2M 4212 4M 4122+ M 51 4M 4123 2M 4222+ M 52 4M 4223+ M 53 2M 4323 2M 612 2M 622+ M 7 2M 623 2M 4131 4M 4132 4M 4133+ M 51 2M 4232 4M 4233+ M 52 2M 4333+ M 53 2M 631 2M 632 2M 633+ M 7 z =               C11 C12 C13 C22 C23 C33 γ1 γ2 γ3               b =                         2 τ − p µ  E[c21] +  2esp 3µ − D   2 τ − p µ  E[c1c2]  2 τ − p µ  E[c1c3]  2 τ − p µ  E[c22] +  2esp 3µ − D   2 τ − p µ  E[c2c3]  2 τ − p µ  E[c23] +  2esp 3µ − D   3 τ − P r p µ  E[c1|c|2]  3 τ − P r p µ  E[c2|c|2]  3 τ − P r p µ  E[c3|c|2]                        Nella matrice A sono stati introdotti anche gli elementi di alcune matrici stocastiche così definite:

M 4lij = E[clcicj |c|2] − E[clcicj] · E[ |c|2]

M 5l = E[cl |c|4] − E[cl|c|2] · E[ |c|2]

M 6ij = E[( |c|2− E[ |c|2) cicj]

M 7 = E[( |c|2− E[ |c|2) |c|2]

Una volta determinati i coefficienti incogniti l’evoluzione del moto stocastico secondo questo nuovo modello è dettata dal sistema di equazioni differenziali

(45)

stocastiche          dXi dt = Vi dVi dt =  −1 τci+ γi (cjcj− E[cjcj]) + Cij (cjckck− E[cjckck]) + Fi  + D dWi dt (2.11) Questo schema si differenzia dallo schema (2.3) per la presenza di due termi-ni in più: quelli relativi allo scostamento rispetto alla media locale di alcutermi-ni momenti per la velocità caotica c di ordine 2 e 3.

A questo punto è necessario mettere a punto uno schema numerico per la risoluzione del sistema. Per fare ciò innanzittutto occorre riscrivere l’e-quazione evolutiva per la velocità nella forma

dVi

dt = Hi

e splittare il secondo membro in una parte che agisce linearmente Li ed

un’altra che è invece non lineare Ni

Hi = Li + Ni.

Dunque esplicitando tali operatori: Li = − 1 τci+ Fi+ D dWi dt Ni = γi(cjcj− E[cjcj]) + Cij(cjckck− E[cjckck])

Ni raccoglie proprio i termini aggiuntivi rispetto allo schema Fokker-Planck

lineare.

Per ottenere uno schema numerico che risolva il sistema di equazioni dif-ferenziali stocastiche (2.11) si procede nel seguente modo:

1. Si congelano i coefficienti γi e Cij per tutto il passo temporale.

2. Si performa un’integrazione esatta per la parte lineare Li in accordo

con quanto fatto per il modello FP lineare.

3. Si utilizza lo schema di Eulero in avanti7 per quanto riguarda la parte

non lineare Niimponendo il corretto coefficiente di diffusione per avere

l’esatta conservazione dell’energia statistica es.

7

(46)

Lo schema numerico finale assume la forma    Vin+1 = Vin+ cnie−∆t/τ + q A −CB2ξi,u+ q C2 Bξi,x+ ∆t τ N n i + Fin∆t Xin+1 = Xn i + Vinτ (1 − e−∆t/τ) + √ Bξi,x+∆t 2 2τ Nin+ Fin∆t 2 2 (2.12) dove A = 2es 3  1 − e−2∆t/τ− ∆t 3τ 2 E[NinNin] B =  2esτ 2 3 + τ2 E[NinNin](∆t/τ )2 3(e−2∆t/τ − 1)   2∆t τ − (1 − e −∆t/τ)(3 − e−∆t/τ)  C =  2esτ 3 + τ E[NinNin](∆t/τ )2 3(e−2∆t/τ − 1)   1 − e−∆t/τ2

Confrontando questo schema con lo schema (2.4) si nota osservando i nuovi coefficienti A, B e C come essi abbiano la stessa forma, a cui si aggiunge una parte che tiene conto della parte non lineare Ni della nuova equazione

stocastica. Lo schema presenta un termine aggiuntivo proporzionale a Ni

anche in entrambe le equazioni del sistema stocastico.

Rispetto allo schema JTH a questo punto si procede esattamente nello stesso modo: l’imposizione della griglia computazionale e delle condizioni iniziali, le condizioni al contorno, la successione di passi temporali non cambia. Cam-bia invece lo schema per l’evoluzione libera di posizione e velocità per le particelle.

(47)

Capitolo 3

Simulazioni Numeriche

Consideriamo ancora il problema (2.2) P(f, d) : ∂f

∂t + v · ∇xf + F · ∇vf = S(f )

nel quale con d sono indicati i dati iniziali, cioè la distribuzione iniziale di posizioni e velocità delle particelle che compongono il gas.

Nel capitolo precedente sono stati introdotti 2 possibili algoritmi di soluzione per questo tipo di problema. In generale la necessità di introdurre algoritmi numerici di soluzione per equazioni complesse è dovuta all’impossibilità di risolvere il problema in maniera analitica. La soluzione dell’equazione (2.2) è una funzione continua f. Attraverso l’uso del calcolatore si ottiene una soluzione numerica fN, dove N è il parametro che tiene conto del numero di

informazioni utilizzate. Nel nostro caso specifico N corrisponderà al numero di nodi (e dunque di celle) in cui è suddiviso il dominio computazionale ΩN.

La speranza è che la soluzione numerica fN approssimi in modo

adegua-to la soluzione reale f. Tipicamente all’aumentare del parametro N l’ap-prossimazione migliora, tuttavia la complessità algoritmica aumenta e di conseguenza anche i tempi computazionali si dilatano. Esiste una branca della matematica che si occupa delle difficoltà legate all’implementazione di algoritmi computazionali: si tratta della matematica numerica.

Sia dunque

PN(fN, dN) :

∂fN

∂t + v · ∇xfN + F · ∇vfN = SN(fN) (3.1) il problema numerico associato a (2.2). L’equazione (3.1) rappresenta in mo-do astratto un qualunque algoritmo numerico, e dunque in particolare (2.4) e (2.12).

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