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SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA E STRESS OSSIDATIVO: UNO STUDIO ALL'ESORDIO DI MALATTIA

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Academic year: 2021

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Indice

Riassunto ... 2

1 Introduzione... 3

1.1 Le malattie neurodegenerative ... 3

1.2 Sclerosi Laterale Amiotrofica... 4

1.3 Stress ossidativo e Sclerosi Laterale Amiotrofica ... 14

1.4 Biomarcatori di stress ossidativo ... 16

1.4.1 Prodotti di ossidazione avanzata alle proteine (AOPP)... 17

1.4.2 Capacità ferro – riducente del plasma (FRAP) ... 19

1.4.3 Tioli plasmatici (-SH)... 20

2 Scopo della tesi ... 22

3 Popolazione in studio e metodi... 23

3.1 Popolazione di studio... 23

3.2 Metodi... 23

3.2.1 Determinazione dei prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP) ... 23

3.2.2 Determinazione delle capacita ferro-riducente del plasma (FRAP)... 24

3.2.3 Determinazione dei tioli plasmatici (-SH) ... 25

3.2.4 Analisi statistica... 26

4 Risultati... 27

5 Discussione... 30

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Riassunto

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) o malattia di Lou-Gehrig è una patologia neurodegenerativa che comporta la progressiva perdita dei motoneuroni a livello della corteccia motoria, del bulbo e del midollo spinale. Tra le ipotesi formulate riguardo le modalità di insorgenza della SLA, le più accreditate, oltre quella eccitotossica, chiamano in causa lo stress ossidativo e le alterazioni a carico del mitocondrio. Lo stress ossidativo descrive una condizione in cui si manifesta un’alterazione dell’equilibrio fra la produzione delle specie chimiche reattive ossidanti e la loro degradazione da parte dei sistemi di difesa antiossidante. Tra le specie chimiche reattive, l’aumento intracellulare delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) provoca alterazione della struttura e della funzione delle membrane biologiche, danno al DNA, alle proteine e ai lipidi. Lo stress ossidativo sembra svolgere un ruolo patogenetico rilevante sia nel processo d’invecchiamento precoce che in alcune gravi patologie a sfondo infiammatorio e/o degenerativo. Infatti, il sistema nervoso centrale è altamente vulnerabile al danno ossidativo, a causa di un basso livello di enzimi antiossidanti, un elevato contenuto di substrati ossidabili e una gran quantità di ROS prodotte durante le reazioni neurochimiche.

In questo lavoro di tesi sono stati analizzati biomarcatori plamatici di stress ossidativo in 32 pazienti affetti da SLA sporadica (13/19 M / F, età media 63,3 ± 10,8 anni) al momento della diagnosi della malattia e in 54 soggetti sani (25/29 M/F, età media 69,3 ± 9,2 anni).

La valutazione della risposta cellulare all’insulto ossidativo è stata effettuata tramite la determinazione di marcatori periferici di danno ossidativo alle proteine (AOPP), la determinazione di marcatori antiossidanti quali la capacità ferro riducente del plasma (FRAP) e i tioli plasmatici (-SH), tramite l’utilizzo di tecniche spettrofotometriche.

I risultati ottenuti dall’analisi dei marcatori di stress ossidativo indicano un aumento dei livelli medi di AOPP ed una diminuzione dei livelli medi della FRAP e dei tioli plasmatici nei pazienti affetti da SLA rispetto ai controlli sani. Non è stata osservata alcuna correlazione tra AOPP, FRAP e –SH e fenotipo di malattia.

I risultati ottenuti in questo studio sembrano confermare una consistente alterazione del profilo redox nei pazienti SLA e rinforzano il ruolo dello stress ossidativo in questa patologia, anche in fase molto precoce. I marcatori analizzati possono rappresentare un valido strumento non invasivo per rilevare lo squilibrio redox nella SLA e per monitorare lo stato ossido riduttivo e la risposta alle terapie antiossidanti.

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1 Introduzione

1.1 Le malattie neurodegenerative

Le malattie neurodegenerative sono un gruppo eterogeneo di patologie, che comprendono forme sporadiche e familiari e che colpiscono specifiche aree del sistema nervoso centrale. Esse conducono al graduale e progressivo deterioramento di diverse funzioni cerebrali, a seconda del tipo di neuroni coinvolti (Worms et al., 2001).

La maggior parte di queste malattie sono correlate all’ età; per questo motivo esse rappresentano un crescente problema sanitario e socio – economico nei paesi industrializzati, in cui la loro frequenza è aumentata negli ultimi decenni insieme con l’aspettativa di vita individuale (Mayeux, 2003).

Le manifestazioni cliniche dipendono dai sistemi neuronali coinvolti nel corso della malattia. Due sono i gruppi che racchiudono le principali manifestazioni cliniche: le demenze, definite come disordini cognitivi, associativi, caratteriali e di memoria, e i disordini del movimento, caratterizzati da ipercinesia, acinesia e paralisi.

I fattori ambientali, tra cui metalli, pesticidi e alimenti sono stati largamente studiati come potenziali fattori di rischio nella neurodegenerazione (Brown et al., 2005), così come hanno avuto un’attenzione particolare lo stress ossidativo e i danni al mitocondrio, anche se il loro ruolo nel processo di deterioramento neuronale deve essere ancora del tutto chiarito (Howell et al., 2005).

Tra le malattie neurodegenerative rivestono un ruolo importante, soprattutto per i quadri clinici che determinano, la malattia di Alzheimer (AD), la malattia di Parkinson (PD) e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Il danno ossidativo è stato riscontrato a livello della componente lipidica, proteica e degli acidi nucleici in neuroni corticali e in cellule periferiche di pazienti affetti da malattia di Alzheimer e nei motoneuroni di soggetti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (Worms et al., 2001). Diversi studi suggeriscono che un’alterato equilibrio redox cellulare, responsabile dell’incremento del danno ossidativo, possa costituire un fattore di rischio per l’insorgenza di tali patologie (Wei and Lee, 2002); tuttavia, nonostante siano stati condotti diversi studi di associazione con il fenotipo di malattia, non è ad oggi chiaro se lo stress ossidativo rappresenti il “ primum movens” della degenerazione neuronale o se ne sia una diretta conseguenza.

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1.2 Sclerosi Laterale Amiotrofica

Il compartimento effettore somatico comprende vie discendenti dalla corteccia telencefalica, che permettono di trasmettere all’apparato assiale ordini per l’esecuzione di movimenti, e sistemi di controllo, che, insieme alle aree associative della corteccia cerebrale, consentono un’adeguata programmazione ed esecuzione di movimenti complessi.

I sistemi di controllo comprendono formazioni soprassiali, quali il cervelletto, e sottocorticali, come i nuclei della base; anche il midollo spinale, mediante i suoi circuiti interni partecipa alla regolazione e alla modulazione delle risposte motorie. Esso costituisce, infatti, il punto di incontro delle vie discendenti dagli organi soprassiali e delle afferenze segmentarie midollari convogliate dalle fibre delle radici posteriori (Balboni et al., 2003).

Il principale e più voluminoso sistema motorio è il fascio piramidale, che decorre nelle piramidi bulbari e rappresenta il prolungamento assonale dei neuroni piramidali (motoneurone superiore della corteccia motoria). Le fibre del fascio piramidale, possono terminare direttamente sui motoneuroni spinali o, più frequentemente, su interneuroni attraverso i quali si ha la successiva attivazione dei motoneuroni, localizzati sulle corna anteriori del midollo spinale; questi ultimi rappresentano la via di uscita delle risposte effettrici dal sistema nervoso centrale, la cosiddetta via finale, sulla quale convergono le afferenze segmentarie e le vie discendenti dai centri soprassiali (Balboni et al., 2003). Il sistema piramidale è alla base del movimento volontario altamente finalizzato.

I motoneuroni spinali si distinguono in due tipi principali : i motoneuroni α (motoneurone

inferiore), che innervano le fibre extrafusali dei muscoli, e i motoneuroni γ, in genere di dimensioni più piccole, che innervano le fibre intrafusali, note anche col nome di fusi

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Lesioni della via piramidale possono dare origine a diverse forme patologiche, di cui la SLA rappresenta circa il 40 % dei casi.

La SLA fa parte della famiglia delle malattie del motoneurone (MND); è una patologia progressiva con decorso fatale caratterizzata dalla degenerazione del primo e del secondo motoneurone ( Dickson, 2006). La malattia interessa, in particolare, le cellule delle corna anteriori del midollo spinale e i neuroni corticali motori, lasciando relativamente intatti i nuclei oculomotori del cervello e i neuroni motori degli sfinteri striati anale e uretrale, localizzati nel nucleo di Onuf nella regione sacrale del midollo spinale (Cluskey and Ramsden, 2001).

La prima descrizione della malattia precede quella ufficiale di Charcot, e va fatta risalire a C.

Bell, che illustrò un caso caratterizzato da deterioramento motorio progressivo associato alla

degenerazione della metà anteriore della spina dorsale. Charcot, invece, fu il primo a considerare la progressiva debolezza muscolare come conseguenza di una condizione patologica dei neuroni motori spinali e non come una malattia muscolare (Dickson, 2006). La patologia è più frequentemente riscontrabile nel sesso maschile rispetto a quello femminile, con un rapporto di 3:1, che, però, diventa 1:1 se viene presa in considerazione la frazione della popolazione femminile non più in età fertile (Dickson, 2006).

Figura 1: collegamento tra primo e

secondo motoneurone con le fibre muscolari

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La SLA colpisce ogni anno 3 soggetti su 100000 individui, con un rischio che aumenta con l’avanzare dell’età e che tocca il suo picco massimo intorno ai 55 – 60 anni con netto anticipo nelle forme familiari.

L’incidenza con cui si manifesta la malattia è simile in tutto il mondo con l’eccezione di alcune aree ad alto rischio nel Pacifico Occidentale, in cui si presenta sotto una forma atipica associata a demenza, parkinsonismi e alla presenza di aggregati neurofibrillari in molte regioni cerebrali (Coxe et al., 2003). Un elevato numero di casi di SLA sono stati anche descritti in reduci della guerra del Golfo (Kasarskis et al., 2009) e in atleti (Chio et al., 2005). Recenti evidenze epidemiologiche indicano un aumento di casi di SLA in molti Paesi, probabilmente per fattori ambientali, come esposizione a radiazioni e a metalli pesanti. Nonostante ciò, tali fattori non sono di per sé la causa della patologia, che sembra invece riflettere una complessa interazione tra componenti ambientali e suscettibilità genetica (Majoor – Krakauer et al., 2003).

Clinicamente la malattia è associata ad un continuo e logorante indebolimento dei muscoli scheletrici principali e comprende diverse tipologie, racchiuse sotto il nome di MND, distinguibili in relazione al coinvolgimento del primo o del secondo motoneurone o sulla base del distretto anatomico colpito all’esordio della patologia.

In base a questi criteri si distinguono tre forme:

Paralisi bulbare progressiva (PBP), caratterizzata da disartria seguita da disfonia e

disfagia prima per i liquidi e successivamente anche per i cibi solidi. Questa forma è più comune nelle donne in età avanzata rispetto agli uomini.

Malattia di Charcot (SLA classica), caratterizzata da debolezza agli arti superiori

e/o inferiori. È più frequente nel sesso maschile con un rapporto uomo/donna di 3:2.

Atrofia muscolare progressiva (PMA), caratterizzata da sintomi simili a quelli

presenti nella forma bulbare, come disfonia e disfagia. È una forma prettamente maschile, con un rapporto di incidenza pari a 3/4 uomini : 1 donna.

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Con l’evolvere del danno neuronale, la malattia coinvolge, indipendentemente dal distretto di origine, sia i nuclei motori del bulbo che i motoneuroni spinali e i sintomi dell’una o dell’altra forma si manifestano contemporaneamente nello stesso paziente (Robert et al., 2002).

La SLA è una patologia a carattere prettamente sporadico anche se il 10% dei casi mostra un’origine familiare (Orrell, 2000).

Le forme sporadiche sono caratterizzate dalla degenerazione selettiva del sistema dei motoneuroni, con perdita di cellule delle corna anteriori, nel midollo spinale, e dei nuclei motori nel cervello, fatta eccezione sia dei nuclei oculomotori sia del nucleo di Onuf (Dickson, 2006). La degenerazione dei tratti cortico – spinali è più evidente all’interno della regione midollare rispetto a quella cerebrale; utilizzando, infatti, un marker per la mielina, questa risulta avere un aspetto più chiaro nelle colonne anterolaterali a causa della perdita di fibre mieliniche e della gliosi degli astrociti (Dickson, 2006). L’aspetto della mielina e l’atrofia delle radici anteriori del midollo spinale vengono utilizzate come etichette per la diagnosi di SLA sporadica, supportando la teoria che ipotizza una degradazione assonale antecedente la malattia.

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Nei casi più gravi, inoltre, la neurodegenerazione si estende oltre i tratti cortico – spinali , coinvolgendo le vie spino – cerebellare, rubro – spinale e vestibolare, preservando comunque l’incolumità delle colonne posteriori, facenti parte del sistema sensitivo (Dickson, 2006). La forma sporadica è contraddistinta, inoltre, da tipiche inclusioni all’interno delle cellule neurali, quali:

I corpi di Bunina, costituiti da granulociti eosinofili.

Inclusion skein like (SLI), organizzazioni filamentose citoplasmatiche simili ad

aggregati fibrillari, che mostrano un denso accumulo di filamenti assemblati in una struttura sferica.

Inclusioni tondeggianti traslucide (RHI), formate da eosinofili, talvolta associate a

strutture filamentose simili a SLI.

Inclusioni basofile, caratteristiche della forma giovanile e riscontrabili nel

citoplasma sia dei motoneuroni sia delle cellule talamiche.

La SLA familiare (fALS) è istologicamente divisibile in due tipi: il primo molto simile alla forma sporadica, in cui si riscontra la presenza dei corpi di Bunina, il secondo associato al coinvolgimento delle colonne posteriori del midollo spinale. Queste forme sono caratterizzate dalla presenza di aggregati proteici intracellulari; in particolare, sono stati identificati accumuli di due proteine (FUS e TDP43) responsabili del processo di maturazione dell’ RNA messaggero a livello del citoplasma dei neuroni (Neumann et al., 2009).

Il gene codificante per la superossido dismutasi rame – zinco (SOD 1), che mappa sul cromosoma 21, è stato il primo ad essere identificato come responsabile dell’insorgenza della malattia; in particolare gioca un ruolo importante nelle forme autosomiche dominanti (Rosen et al, 1993) ed è ritrovata mutata solo nel 3% delle forme sporadiche di SLA (Colombrita et al., 2011).

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Le superossido dismutasi sono una famiglia di enzimi che si comportano come “spazzini” nei confronti dei radicali liberi prodotti durante il processo della respirazione mitocondriale; il valore della concentrazione di queste sostanze, infatti, deve essere mantenuto entro certi limiti, superati i quali diventano tossiche per la cellula (Majoor – Krakauer et al., 2003). Allo stato attuale sono note oltre un centinaio di mutazioni del gene SOD 1, che concorrono allo sviluppo della malattia nel 20 % delle forme familiari e nel 2 % di quelle sporadiche (Majoor – Krakauer et al, 2003).

Studi su modelli animali indicano che la sovraespressione di SOD 1 mutato provoca nei topi sintomi simili a quelli osservati nell’uomo (Gurney et al, 1994; Nagai et al, 2001); al contrario nei topi knockout per SOD 1 non si sviluppa alcuna condizione patologica (Reaume et al, 1996). Queste osservazioni suggeriscono che non sia tanto la mancanza della proteina a provocare lo sviluppo della malattia, bensì la sua funzione tossica acquisita dal gene mutato ( Reaume et al, 1996).

Recentemente è stato identificato un altro gene, chiamato Alsin o ALS (Hadano et al., 2001; Yang et al., 2001), che codifica per una proteina, probabilmente coinvolta nell’organizzazione del citoscheletro e nel traffico delle vescicole (Otomo et al., 2003). Esso è localizzato sul cromosoma 2 ed è associato alla SLA familiare autosomica recessiva, forma rara descritta solo in una famiglia (Hadano et al.,2001; Yang et al.,2001).

Osservazioni provenienti dallo studio di modelli animali mettono in evidenza che topi

knockout per il gene ALS 2 sono più vulnerabili al danno ossidativo rispetto ai controlli;

questo risultato propone che la perdita di questo gene renda le cellule più suscettibili allo stress ossidativo (Cai et al, 2005).

Diversi studi hanno identificato altri due geni coinvolti nell’insorgenza delle forme fALS, tra cui FUS (fused in sarcoma) (Kwiatkowsky et al., 2009) e TARDBP (TAR DNA-binding

protein) (Sreedharan et al., 2008). Le proteine codificate, rispettivamente FUS e TDP43, sono

entrambe connesse al processamento dell’mRNA, in quanto sono deputate al trasporto del messaggero dal distretto nucleare a quello citoplasmatico (Lagier-Tourenne et al., 2010). Queste proteine sono strutturalmente simili, infatti hanno entrambe motivi di riconoscimento per l’RNA e domini ricchi di glicina. Non è stato ancora accertato se l’accumulo citoplasmatico di FUS e TDP43 risulti in una loro perdita di funzione o se le inclusioni citoplasmatiche stesse producano tossicità; o se sussistano entrambi i fattori (Kryndushkin et al., 2011). Le alterazioni strutturali e l’aggregazione proteica sono marker di diverse patologie neurodegenerative, inclusa la SLA. Vari studi hanno identificato la proteina FUS quale

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componente delle inclusioni citoplasmatiche nelle forme di SLA SOD1 negative e in demenze fronto-temporali (FTLD) (Neumann et al., 2009). Mutazioni a carico del gene FUS che sono associate alla SLA, provocano la traslocazione della proteina fuori dal nucleo e il successivo accumulo della proteina a livello citoplasmatico (Colombrita et al., 2011).

TDP-43 è una proteina di 414 aminoacidi (Fig.6), identificata per la prima volta nel 1995 come fattore in grado di legare l’elemento TAR (long terminal repeat transactive response) del virus umano HIV1 (Ou et al., 1995). Studi successivi hanno mostrato che TDP43 è capace anche di legare l’RNA, essendo coinvolto nello splicing di vari geni (Buratti et al., 2001). È stato osservato che TDP43 stabilizza l’mRNA attraverso una interazione diretta con il suo 3'UTR; TDP43 appartiene, infatti, alla categoria delle proteine in grado di legare l’RNA, in quanto regola e facilita il trasporto degli mRNA e/o la loro traduzione in risposta alle diverse attività neuronali (Wang et al., 2008).

Figura 3: proteina TDP43 (da: http://ameblo.jp/kunotakayoshi/day-20100907.html).

In condizioni normali questa proteina è quasi esclusivamente nucleare, ma studi hanno rivelato che nei pazienti affetti da SLA essa si trova prevalentemente localizzata nel citoplasma e non nel nucleo nei motoneuroni spinali (Strong et al., 2007).

La posizione di TDP43 mutata risulta alterata nei motoneuroni spinali di pazienti SLA e questa proteina contribuisce potenzialmente alla formazione di aggregati neurofilamentosi (Strong et al., 2007). Vari studi hanno confermato che TDP43 risulta essere la componente principale delle inclusioni citoplasmatiche neuronali sia nelle forme sporadiche che in quelle familiari fatta eccezione per le forme familiari SOD1 positive e nelle demenze del lobo frontotemporale (FTLD) (Arai et al., 2006).

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La patologia familiare giovanile è stata associata a mutazioni del gene codificante per la

senataxina (SETX), proteina la cui funzione potrebbe essere correlata con i meccanismi di

processamento dell’RNA messaggero (Chance et al., 1998; Chen et al., 2004).

Oltre alle forme sporadiche e familiari, sono da ricordare anche alcune manifestazioni atipiche della SLA, comprendenti demenza frontotemporale spesso associata a parkinsonismi. In tali individui sono state riscontrate delle mutazioni a carico del gene, sito sul cromosoma 17, che codifica per la proteina tau associata ai microtubuli e coinvolta nel meccanismo di assemblamento delle strutture stesse (Hutton et al., 1998; Sato – Harada et al., 1996).

Infine, mutazioni nel gene localizzato sul cromosoma 2 e codificante per la dinactina (DCTN 1), sono state osservate in una famiglia affetta da una patologia ai motoneuroni a decorso lento, caratterizzata da difficoltà respiratorie, paralisi delle corde vocali, atrofia e fragilità degli arti superiori (Puls et al., 2003). Alcuni studi indicano che questa proteina serva a preservare la stabilità delle sinapsi nelle giunzioni neuromuscolari (Eaton et al, 2002).

I meccanismi patogenetici alla base della perdita dei neuroni motori nella SLA sono ancora poco chiari, anche se l’irregolare quadro patologico è probabilmente il risultato dell’interazione di fattori ambientali e genetici.

Le conoscenze attuali indirizzano verso l’ipotesi che l’eccitotossicità possa contribuire alla selettiva perdita dei motoneuroni, principalmente attraverso l’alterazione dei meccanismi del turnover del glutammato a livello sinaptico (Meyer et al, 1996).

Il glutammato è il neurotrasmettitore eccitatorio per eccellenza del sistema nervoso centrale, dove è in grado di legare e, quindi, attivare, una volta rilasciato dal terminale presinaptico, recettori sia metabotropi che ionotropi. L’iperattività del recettore del glutammato si traduce in una prolungata apertura dei canali ionici associati, permettendo l’entrata di ioni sodio nella cellula post – sinaptica e, quindi, la sua depolarizzazione. Quest’ultima provoca, a sua volta, l’apertura dei canali Na+ / Ca2+ dipendenti dai recettori NMDA e il conseguente afflusso di ioni calcio, che danno il via all’attivazione di diversi enzimi, tra cui le caspasi, implicati nel processo di morte cellulare (Cluskey and Ramsden, 2001).

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L’attività del glutammato nella fessura sinaptica è regolata dall’inattivazione del recettore, mentre, nelle cellule neuronali e nelle gliali, dal “re – uptake” del neurotrasmettitore ad opera delle proteine trasportatrici, denominate EAATs (trasportatori di aminoacidi eccitatori). Topi knockout per il traportatore del glutammato hanno concentrazioni del neuropeptide incrementate e mostrano scoordinazione motoria, suggerendo che un decremento dell’attività di trasporto potrebbe condurre ad una continua attivazione dei recettori e, quindi, alla degenerazione dei motoneuroni (Cluskey and Ramsden, 2001).

Una riduzione di circa il 30 – 90 % delle proteine EAATs è stata riscontrata all’esame post –

mortem nei tessuti cerebrali di pazienti con SLA sporadica. Inoltre è stato osservato che la

perdita dei trasportatori non si estende ad altre regioni cerebrali, ma rimane circoscritta, nella gran parte dei casi, alla corteccia motoria e al midollo spinale (Cluskey and Ramsden, 2001). A conferma del ruolo centrale del glutammato nell’insorgenza della malattia depongono alcuni dati come la concentrazione elevata del neuropeptide nel plasma e nel liquor di soggetti affetti da SLA e la terapia farmacologica attualmente utilizzata basata sulla somministrazione dell’agente anti–glutammatergico Riluzolo. Questo farmaco determina una riduzione del rilascio del neurotrasmettitore con tre meccanismi: inibisce la liberazione del glutammato dal

Figura 4 : meccanismo della morte neurale mediata dalla continua

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terminale pre–sinaptico, lega in modo non competitivo i recettori NMDA, agisce direttamente sui canali del sodio voltaggio–dipendenti, bloccando il re–uptake del glutammato.

Queste tre attività farmacologiche coordinate causano un rallentamento della progressione della patologia con un aumento della sopravvivenza da tre a dodici mesi (Bensimon et al, 1994).

Tra le ipotesi formulate riguardo le modalità di insorgenza della SLA, le più accreditate, oltre quella eccitotossica, chiamano in causa lo stress ossidativo e alterazioni a carico del mitocondrio.

Tessuti diversi presentano differente suscettibilità allo stress ossidativo; il SNC è estremamente sensibile a questo tipo di danno per diverse ragioni che includono un basso livello di enzimi antiossidanti, un elevato contenuto di substrati ossidabili e una gran quantità di specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotti durante le reazioni neurochimiche (Carrì et al, 2003). La teoria dello stress ossidativo è stata avanzata in seguito all’identificazione, nel 20 % circa dei casi affetti da fSLA, di mutazioni del gene per la SOD 1 e all’osservazione di un aumento, nei soggetti patologici, della produzione di ROS (Yim et al, 1996).

La proteina SOD-1 è un enzima antiossidante costituito da due subunità di 16 KD contenenti ciascuna 151 aminoacidi. La funzione primaria della proteina è catalizzare una reazione di dismutazione, in cui delle due molecole di substrato, una viene ossidata e una viene ridotta con conversione dell’anione superossido in perossido d’idrogeno. Quest’ultimo, altamente dannoso per le cellule, è convertito in acqua e ossigeno dall’enzima catalasi o in due molecole di acqua dall’enzima glutatione perossidasi (Houston – Ludlam, 2003).

Infine, recenti osservazioni indicano come il coinvolgimento dei mitocondri possa giocare un ruolo chiave nella genesi della neurodegenerazione nella SLA (Siciliano et al., 2002).

I mitocondri sono grandi organuli intracellulari, formati da una membrana esterna porosa e da una membrana interna altamente impermeabile, introflessa in pieghe, dette creste mitocondriali, che contengono la maggior parte dei dispositivi necessari alla respirazione cellulare aerobica. L’architettura della membrana interna e l’apparente fluidità del suo doppio strato lipidico facilitano l’interazione dei componenti che è richiesta durante il trasporto degli elettroni e la formazione di adenosin trifosfato (ATP). La membrana interna circonda una matrice gelificata che contiene, oltre a proteine, un sistema genetico comprendente DNA, RNA, ribosomi e tutti i meccanismi necessari alla trascrizione e alla traduzione dell’informazione genetica (Karp, 2000).

Indicazioni riguardo l’implicazione dei mitocondri nello sviluppo della SLA derivano da anomalie morfologiche a carico dei neuroni motori osservate nel topo transgenico con

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mutazione Cu – Zn SOD (Kong and Xu, 1998) e da una ridotta attività della citocromo c ossidasi evidenziata nelle cellule nervose delle corna anteriori del midollo spinale nell’uomo (Borthwick et al, 1999). Inoltre, in soggetti affetti dalla malattia, è stata riscontrata un’alterazione della funzionalità del mitocondrio nel muscolo scheletrico, conseguenza di deficit della catena respiratoria e di ridotti livelli dell’enzima mitocondriale manganese – superossido dismutasi (MnSOD), implicato nella rimozione dei radicali prodotti durante i processi metabolici (Vielhaber et al, 2000). Infine, sono state descritte, in rari casi, anomalie del DNA mitocondriale, come, ad esempio, delezioni multiple o mutazioni non–senso nel gene della subunità I della citocromo c ossidasi (Comi et al, 1998).

Come detto precedentemente, la SLA, così come altre forme morbose, è il risultato dell’interazione di componenti endogene ed esogene.

Numerosi studi sono stati condotti al fine di identificare i fattori ambientali che contribuiscono alla perdita delle cellule neuronali nella SLA, nella malattia di Alzheimer e nel morbo di Parkinson (Coppedè et al, 2006).

Da questi lavori è emerso, ad esempio, che in alcuni tessuti di pazienti SLA i livelli di ferro, manganese e alluminio sono più elevati rispetto al resto della popolazione, anche se la veridicità di questi risultati è limitata dall’ampiezza del campione analizzato (Coppedè et al, 2006).

È stata anche considerata una possibile relazione tra attività sportiva e insorgenza di SLA. Chiò e collaboratori, in uno studio del 2005, hanno esaminato circa settemila giocatori professionisti di calcio, che avevano espletato la loro attività nel periodo 1970 – 2001; i risultati di quest’analisi suggeriscono che una prolungata attività calcistica costituisca un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia (Chiò et al, 2005).

1.3 Stress ossidativo e Sclerosi Laterale Amiotrofica

Le forme sporadiche e familiari di SLA sembrano essere clinicamente indistinguibili e sembrano condividere meccanismi patogenetici che includono lo stress ossidativo, l’eccitotossicità, le disfunzioni mitocondriali, l’aggregazione proteica, i difetti nel trasporto assonale e i processi infiammatori (Shaw et al., 2005).

Fra le varie teorie, di grande rilevanza è quella che chiama in causa lo stress ossidativo. Lo stress ossidativo è una condizione di disequilibrio fra la produzione delle ROS e l’azione dei sistemi di difesa antiossidante. Un aumento delle ROS e/o una diminuizione della capacità di detossificazione della cellula stessa porta all’insulto ossidativo. Nel 1956, Denham Harman

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descrisse la teoria dei radicali liberi, prodotti di scarto del catabolismo metabolico, secondo la quale col passare degli anni si accumulerebbero e svolgerebbero una azione ossidante, dannosa per quasi tutti i costituenti dell’organismo. I radicali liberi sono prodotti nei mitocondri durante i processi metabolici che conducono alla produzione di energia e che coinvolgono l’ossigeno (ossidazione). I radicali liberi sono molecole instabili (con un solo elettrone anziché due) che reagiscono con qualsiasi altra molecola con cui vengono in contatto, per appropiarsi di un loro elettrone, innescando in questo modo un meccanismo di instabilità a catena. Questa serie di reazioni può essere arrestata o ridimensionata dall’azione degli antiossidanti. I radicali liberi danneggiano le strutture cellulari e sembrano rivestire una discreta importanza nelle malattie degenerative.

L’azione distruttiva dei radicali liberi si indirizza verso i lipidi delle membrane cellulari (liperossidazione), gli zuccheri e i fosfati, le proteine, il DNA. La loro azione dannosa continua si evidenzia nel processo di invecchiamento precoce e nell’insorgenza di varie patologie, come le malattie degenerative.

L’azione degli antiossidanti consiste nel fornire gli elettroni che mancano ai radicali liberi, permettendo così ai sistemi enzimatici della cellula di neutralizzarli. La perdita dell’elettrone donato porta alla formazione di un antiossidante radicale, il quale è molto più stabile di un radicale libero e nel corso del giorno il nostro corpo è capace di espellerlo.

Il SNC presenta una spiccata suscettibilità sia alle ROS prodotte dalle cellule stesse, quali i superossidi (O2-), i perossidi (H2O2) e i radicali idrossilici (OH-), sia alle specie reattive dell’azoto (RNS) come il perossido nitrico (ONOO-) prodotto dalla microglia. Nella SLA, come in altre malattie neurodegenerative, lo stress ossidativo sembra essere in grado di determinare una degenerazione dei motoneuroni mediante vari meccanismi. Alti livelli di danno ossidativo a carico di proteine, lipidi e DNA sono stati riscontrati in pazienti con SLA sporadica e familiare SOD1 positiva; tali evidenze supportano l’ipotesi che lo stress ossidativo possa essere una possibile causa del processo neurodegenerativo che si manifesta nella patologia.

Al fine di chiarire il ruolo del danno ossidativo nella SLA, sono stati esaminati marcatori di ossidazione delle proteine (gruppi carbonili delle proteine), di danno ossidativo al DNA (8-idrossi-2-deossiguanosina, OH8dG) e di perossidazione lipidica (malondialdeide); questi studi hanno supportato il ruolo chiave del danno ossidativo sia nelle forme sporadiche che familiari di SLA (Ferrante et al., 1997). È stato osservato sia in modelli animali che cellulari, che lo stress cellulare dovuto alle ROS e alle specie reattive nitrogene (RNS), è implicato nella patogenesi della SLA (Martin, 2006). L’ossido nitrico (NO) è sintetizzato da tre isoforme di

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ossido nitrico sintasi (NOS): neuronale o NOS1, inducibile o NOS2, endoteliale o NOS3 (Mungrue et al., 2003). Anche se NO può avere funzioni positive nella cellula, esso reagisce con il radicale superossido (O2-) portando alla formazione del perossinitrito (ONOO−), potente ossidante che danneggia proteine, lipidi e acidi nucleici (Pacher et al., 2007). NOS2 è anche presente nel SNC e sembra essere espresso in un sottogruppo di cellule gliali e di neuroni; i motoneuroni sembrano esprimere costituitivamente NOS2 a bassi livelli, ma dopo assotomia NOS2 è sovraregolato nei motoneuroni e sembra essere coinvolto nel processo di morte per apoptosi di questi ultimi (Martin et al., 2005). Dunque si ipotizza che un guadagno di attività di NOS2 in risposta a certi segnali possa causare alcune forme di degenerazione dei motoneuroni. Esperimenti sono stati condotti per esaminare il contributo di NOS2 nella patogenesi della SLA in modelli murini con SOD1 mutata. Si è visto che l’mRNA, la proteina e l’attività enzimatica di NOS2 sono sovraregolati nel midollo spinale e nel tronco encefalico di modelli animali con SOD1 mutata nella fase presintomatica e nelle prime fasi sintomatiche della malattia.

Inoltre, l'inibizione farmacologica di iNOS ha effetti significativi nei topi transgenici con SLA, ritardando l'insorgenza della malattia e prolungandone la sopravvivenza. Queste osservazioni dimostrano che iNOS partecipa ai meccanismi causali della degenerazione dei motoneuroni in modelli murini di SLA (Chen et al., 2010).

E’ ancora da chiarire se lo stress ossidativo sia una causa della degenerazione neuronale o ne sia una conseguenza diretta, ma le evidenze in letteratura sembrano dimostrare che lo stress ossidativo giochi un ruolo importante nel decorso della malattia. L’insulto ossidativo sembra comunque avere un ruolo centrale legato alla perdita dei motoneuroni nei pazienti SLA e per questo potrebbe rappresentare un buon target terapeutico, anche se finora la terapia antiossidante non ha dato i risultati sperati, probabilmente per la difficoltà a individuare una posologia sufficiente a produrre l’effetto terapeutico desiderato a livello del SNC (Graf et al., 2005).

1.4 Biomarcatori di stress ossidativo

In molte forme patologiche è possibile riscontrare un aumento dello stress ossidativo. Individuare un valido biomarcatore di questa condizione potrebbe aiutare a capire in quali malattie le specie chimiche reattive hanno un ruolo causale e quindi sviluppare strategie preventive per ritardare lo sviluppo della malattia.

Un biomarcatore è definito come una sostanza quantificabile, particolarmente resistente alla degradazione, utilizzata quale indicatore di un particolare stato biologico, normale o

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patologico, o come indice di risposta a una terapia farmacologica (Franzini, 2007) . Secondo questa definizione possono essere considerati marcatori di stress ossidativo sia i prodotti di ossidazione delle biomolecole (acidi nucleici, lipidi, proteine) ma anche il consumo degli antiossidanti.

Tra i marcatori in grado di fornire un quadro generale dello stato redox cellulare ci sono i prodotti di ossidazione avanzata alle proteine (AOPP), la capacità ferro – riducente del plasma (FRAP) e i tioli plamatici (-SH).

1.4.1 Prodotti di ossidazione avanzata alle proteine (AOPP)

I prodotti di ossidazione avanzata alle proteine (AOPP) sono i prodotti della reazione delle proteine plasmatiche con gli ossidanti clorurati prodotti dalla mieloperossidasi (MPO) (Fialova et al., 2006; Noyan et al., 2006). La MPO è responsabile della produzione di AOPP in vari modi sia tramite l’attività del 2HOCl, sia dall’azione derivante dalla capacità propria dell’enzima (figura 5).

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L’azione diretta dell’HOCl sulle proteine plasmatiche è responsabile della produzione di proteine clorinate e cloramine (Witko-Sarsat et al., 1998). Alcuni di questi intermedi hanno una emivita molto breve e vengono facilmente idrolizzati a formare aldeidi, ammoniaca ed anidride carbonica con conseguente rapido incremento dei carbonili totali (Hawkins and Davies, 1998). La MPO, invece, agendo direttamente sui residui di tirosina, contribuisce alla formazione dei dimeri di Tyr (di-Tyr) i cui principali prodotti di addizione all’anello fenolico sono 3,5-Cloro-Tyr che danno origine ad aggregazione proteica (Heinecke et al., 1993a; Heinecke et al 1993b; Fu et al., 2000). Inoltre la MPO è in grado di convertire L-serina a glicolaldeide, che media la formazione di carbossi-metil-lisina, definita come un prodotto di glicazione delle proteine (AGE). In pazienti affetti da patologie renali croniche ma non diabetici si è osservato un innalzamento degli AGE che correlano con un aumento delle AOPP (Witko-Sarsat et al. 1998).

Le AOPP sono state studiate per la prima volta in pazienti con uremia e insufficienza renale cronica sottoposti a dialisi (Witko-Sarsat et al., 1996, Witko- Sarsat et al., 1998): la membrana da dialisi infatti attiva i neutrofili e li spinge a produrre grosse quantità di ROS (anione superossido, perossido di idrogeno, radicale idrossile e acido ipocloroso) (Nguyen et al., 1985; Himmelfarb et al., 1991) che, vista l’incapacità del sistema antiossidante plasmatico di rimuoverli efficacemente, inducono lo stress ossidativo (Loughrey et al., 1994; Ceballos-Picot et al., 1996). Witko-Sarsat e collaboratori (1996) riscontrarono nel sangue di questi pazienti alti livelli di proteine ossidate, distinguibili dalle forme non ossidate grazie alle loro diverse caratteristiche spettroscopiche (derivanti ad esempio dall’ossidazione dei gruppi aromatici). Le AOPP così rilevate furono distinte in quelle con massa molecolare pari a 600 kDa e quelle da 60 kDa. Le prime vengono definite “ad alto peso molecolare” (HMW) e corrispondono all’albumina, che sembra formare aggregati derivanti da ponti dislofuro e/o cross-linking a causa della formazione di ditirosina. Il secondo gruppo “a basso peso molecolare” è invece costituito da albumina monomerica (Witko-Sarsat et al., 1996). In seguito a queste rilevazioni, è stato ipotizzato un possibile ruolo delle AOPP nella patogenesi di altre malattie. Il loro accumulo è stato quindi identificato in diabete mellito (Kalousova et al., 2002), nefropatia diabetica (Shi et al., 2008), coronaropatie (Kaneda et al., 2002) e obesità (Atabek et al., 2006). Indagini successive hanno dimostrato che le AOPP sono in grado di innescare il respiratory

burst in monociti e neutrofili, e stimolare l’attività monocitaria oltre che essere positivamente

correlate agli indicatori di infiammazione (Witko-Sarsat et al., 1998). Nello stesso studio fu evidenziato che l’aumento delle AOPP è seguito da un calo del glutatione ridotto (GSH), mentre i valori della malondialdeide risultano invariati in casi e controlli: questo avvalora

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l’ipotesi che le AOPP siano marcatori di stress ossidativo più sensibili rispetto alla malondialdeide (MDA) classicamente usata (Witko-Sarsat et al., 1996).

1.4.2 Capacità ferro – riducente del plasma (FRAP)

Il sangue è un tessuto composto da componenti cellulari sospesi in un liquido detto plasma (Cao et al., 1998). Il plasma rappresenta circa il 55% del sangue e tra le sue funzioni quella fondamentale è mantenere costante il volume del sangue circolante e di cedere ai tessuti e alle cellule sostanze di tipo nutritivo. È, inoltre, compito del plasma di raccogliere tutte le sostanze di rifiuto derivate dal metabolismo delle cellule e di eliminarle mediante fegato, intestino, reni e sudore. Nel plasma o nel siero è presente una serie di molecole dallo spiccato potere antiossidante quali, enzimi come la superossidodismutasi, la catalasi e la glutatione perossidasi; ma anche macromolecole come albumina, ceruloplasmina, ferritina e tutta una serie di piccole molecole quali acido L-ascorbico (vitamina C), -tocoferolo (vitamina E), carotenoidi, acido urico e bilirubina (Cao et al., 1998). Il potere antiossidante del siero non è quindi una semplice somma delle attività delle varie sostante antiossidanti, bensì un equilibrio dinamico che è influenzato dalle interazioni tra le diverse porzioni antiossidanti. Questa cooperazione tra le varie sostanze antiossidanti risulta essere la maggior protezione nei confronti dell’attacco da parte dei radicali liberi.

In particolar modo, tra le molecole sopra citate, l’acido urico apporta il contributo maggiore a quello che viene definito potere antiossidante del plasma (Koracevic et al., 2001)

L’acido urico svolge, quindi un ruolo molto importante all’interno del nostro organismo, ossia di antiossidante endogeno. È, infatti, in grado di reagire con i radicali liberi formando il radicale urato, relativamente stabile, che interrompe le reazioni radicaliche (Rodonev, 2003). Infatti, a concentrazioni fisiologiche, l’urato riduce la metaemoglobina formata dalla reazione del perossido con l’emoglobina, protegge gli eritrociti contro la perossidazione dei lipidi e protegge gli eritrociti dalla lisi.

I metodi per la valutazione globale del potere antiossidante del plasma si basano sul razionale che la riduzione della concentrazione/attività di uno o più componenti biochimici preposti alla neutralizzazione delle specie ossidanti in un determinato sistema biologico è indicativo di un’alterazione del bilancio ossidativo. In genere questo tipo di valutazione si effettua su fluidi extracellulari, in particolare su sangue (plasma o siero), e costituisce un approccio che offre numerosi vantaggi, quali la suscettibilità a modifiche in seguito al trattamento con antiossidanti. Inoltre, il dosaggio contemporaneo di più antiossidanti è considerato uno

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strumento tecnicamente valido perché molti dei componenti di questo sistema di difesa lavorano tra loro in concerto (Huang et al.,2005; Yeum et al., 2004). Tra i vari metodi esistenti in commercio per la valutazione del potere antiossidante plasmatico, in questo lavoro è stata utilizzato il test FRAP che valuta la capacità o potenziale antiossidante plasmatico in funzione della capacità del campione ematico di ridurre un metallo di transizione, generalmente il ferro (Beaudeux et al., 2006).

Il metodo FRAP (Ferric Reducing Antioxidant Power, potere antiossidante ferro-riducente), sviluppato da Benzie e Strain, si basa sulla capacità del plasma di ridurre il complesso Fe(III)-2,4,6-tripiridil-s-triazina (TPTZ) a complesso Fe(II)-TPTZ, colorato in blu (assorbanza massima a 595 nm) (Benzie and Strain, 1996). La reazione consente di misurare la capacità antiossidante di agenti riducenti con potenziali redox inferiori a 0.7 Volt e, quindi, in ordine decrescente: l’acido urico (60%), l’acido ascorbico (15%), le proteine (10%), l’ −tocoferolo (5%), la bilirubina (5%) ed altre sostanze/attività non identificate (5%).

La capacità ferro-riducente del plasma (FRAP) è, quindi, un marker che identifica una stima del potere antiossidante del plasma, attraverso la reazione di riduzione dello ione ferrico in ione ferroso (Benzie and Strain et al., 1996).

1.4.3 Tioli plasmatici (-SH)

I tioli rappresentano una componente qualitativamente significativa della barriera antiossidante plasmatica. Infatti, i gruppi sulfidrilici delle molecole plasmatiche, come per esempio le proteine P-SH, possono opporsi alla propagazione dei processi perossidativi inattivando i radicali sia alcossici (RO•) che idrossilici (HO•), rispettivamente, secondo le reazioni:

2 P-SH + 2 RO• 2 PS• + 2 ROH P-S-S-P+ 2 ROH 2 P-SH + 2 HO• 2 PS• + 2 H2O P-S-S-P + 2 H2O

Considerando l'evento dal punto di vista stechiometrico, una coppia di gruppi tiolici può ossidare una coppia di radicali alcossilici (RO•) o idrossilici (HO•), cedendo ad essa due elettroni (sotto forma di due atomi di idrogeno). In questo modo ambedue i tipi di radicali vengono inattivati: i radicali alcossilici sono rilasciati come molecole di alcool mentre i radicali idrossilici diventano innocue molecole di acqua. I gruppi tiolici ormai ossidati, invece, reagiscono tra loro generando ponti disolfuro. Inoltre, i gruppi sulfidrilici ossidandosi contrastano l'attacco di alcuni radicali liberi isto-lesivi, ma, quando si formano nel contesto di

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molecole proteiche, possono avere conseguenze indesiderate. Per esempio la formazione di un ponte disolfuro fra i residui di cisteina di due diverse proteine può portare ad una sorta di “polimerizzazione”. Se il ponte disolfuro, invece, si forma nell'ambito della stessa catena, la proteina può modificare stabilmente la sua conformazione. In ambedue i casi è possibile che le proteine coinvolte nella formazione di legami S-S subiscano un'alterazione delle proprie capacità funzionali. L' -SH test si basa sulla capacità dei gruppi -SH di sviluppare un complesso colorato determinabile fotometricamente quando reagiscono con l'acido 5,5-ditiobis-2-nitrobenzoico (DTNB) secondo il metodo inizialmente proposto da Ellman nel 1959 e successivamente adattato da Hu nel 1994. La valutazione dei tioli permette di avere una stima indiretta del valore di glutatione ridotto nel plasma. Questa molecola infatti, grazie al suo gruppo tiolico libero, rappresenta il principale meccanismo protettivo contro lo stress ossidativo, essendo il più potente tra gli antiossidanti prodotti dall’organismo.

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2 Scopo della tesi

Considerando il possibile coinvolgimento dello stress ossidativo nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di valutare alcuni parametri di stress ossidativo in soggetti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica all’esordio di malattia.

Al fine di effettuare una valutazione globale dello stato redox cellulare, sono stati condotti dosaggi biochimici, su campioni di plasma, per valutare i seguenti biomarcatori di stress ossidativo:

I. i livelli plasmatici dei prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP)

II. la capacità ferro-riducente del plasma (FRAP)

III. i tioli plasmatici (-SH)

La determinazione di questi tre marcatori (AOPP, FRAP, -SH) si basa su un metodo end point colorimetrico accoppiato all’uso di uno spettrofotometro.

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3 Popolazione in studio e metodi 3.1 Popolazione di studio

I pazienti e i controlli, presi in considerazione in questo lavoro, hanno origini geografiche simili, in quanto appartengono tutti al gruppo etnico caucasico di origine italiana.

Un totale di 32 pazienti SLA (13 maschi e 19 femmine, età media 63,3 ± 10,8 anni) sono stati reclutati presso la U.O. di Neurologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa. La diagnosi è stata condotta seguendo i criteri elettrofisiologici dettati dalla Federazione Mondiale di Neurologia di El Escorial.

Nessuno dei nostri pazienti mostrava co-morbidità e nessuno dei soggetti in studio era in trattamento con terapia medica/paramedica, compresi integratori antiossidanti.

Il campione dei controlli è composto da 54 soggetti sani volontari sani appaiati per età, sesso e origine etnica (25 maschi e 29 femmine, età media 69,3 ± 9,2 anni), senza rapporto di parentela con i pazienti. Inoltre, anche in questo caso, è stata attentamente analizzata la storia familiare di ogni individuo in modo da escludere la presenza di malattie neurodegenerative non conclamate.

Lo studio è stato eseguito in conformità alla Dichiarazione di Helsinki e ai principi di buona pratica clinica.

3.2 Metodi

La valutazione dei marcatori plasmatici di stress ossidativo è stata effettuata al momento della diagnosi della malattia ( t medio tra insorgenza dei sintomi e diagnosi/raccolta del campione di sangue 5,7± 2,2 mesi). Il campione ematico è stato raccolto in provette differenti a seconda del marcatore da analizzare; in particolare sono state utilizzate provette in K-EDTA e in Li-eparina rispettivamente per il dosaggio di AOPP, -SH e FRAP. Il campione così raccolto è stato centrifugato alla velocità di 3000 rpm e congelato a -20°C entro 20 minuti dal prelievo. La concentrazione dei diversi marcatori è stata calcolata applicando la legge di Lambert- Beer.

3.2.1 Determinazione dei prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP)

Il dosaggio degli AOPP, che permette di stimare la quantità di proteine che hanno subito un processo di ossidazione, a livello di specifici residui amminoacidici, da parte di specie chimiche reattive, viene eseguito secondo il protocollo descritto Witko-Sarsat e collaboratori

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Al momento dell’analisi, i campioni precedentemente stoccati vengono scongelati. La determinazione degli AOPP è eseguita su piastra a 96 pozzetti, trasparenti agli UV (Greiner bio-one); in ogni pozzetto si caricano, sempre in doppio, dapprima il bianco e gli standard e successivamente i campioni di plasma. In particolare, il bianco è costituito da 200 l di PBS, gli standard sono costituiti da 200 l delle soluzioni a varie concentrazioni alle quali si aggiungono 20 l di CH3COOH e 10 l di KI 1,16 M. Riguardo ai campioni, si caricano 30

l di plasma ai quali si aggiungono 170 l di PBS, 20 l di CH3COOH e 10 l di KI 1,16 M.

Segue un'incubazione della miscela di reazione, a temperatura ambiente, per un minuto, al termine del quale si procede con la determinazione del valore di assorbanza ad una lunghezza d'onda di 340 nm, mediante l'ausilio di un lettore di piastre (Tecan SPECTRA). Il valore di assorbanza del campione deve essere compreso tra il valore di assorbanza del bianco e il valore di assorbanza dello standard più concentrato, se il valore dell’analita non cade all’interno di questo intervallo, non può essere considerato accettabile.

Si procede allestendo una curva di calibrazione utilizzando le diluizioni scalari della soluzione di cloramina T 0.1 mM. La media dei valori di assorbanza dei campioni viene sottratta alla media dei valori di assorbanza del bianco; i valori degli AOPP saranno espressi in nmol/ml di equivalenti di cloramina T.

3.2.2 Determinazione delle capacita ferro-riducente del plasma (FRAP)

La determinazione della FRAP è una metodica che consente di valutare la capacità antiossidante del plasma mediante la riduzione, da parte del plasma stesso, dello ione ferrico, presente nel reattivo FRAP, in ione ferroso.

Tale dosaggio biochimico viene eseguito secondo il protocollo messo a punto da Benzie e Strain (1996).

Dopo aver preparato tutte le soluzioni, si procede con la preparazione del reattivo FRAP che si ottiene miscelando 10 volumi di tampone sodio-acetato 300 mM, pH 3.6, 1 volume di tripidiltriazina 10 mM in HCl 40 mM e un volume di FeCl3 20 mM, disciolto in acqua. Il

reattivo ottenuto, viene incubato a 37°C per 10 minuti, o 5 minuti se precedentemente il tampone è stato messo a 37°C.

La determinazione della FRAP: viene eseguita su una piastra di 96 pozzetti (SARSTEDT); nei pozzetti, si caricano in doppio 8 l di bianco/standard/plasma di ciascun campione, ai quali si aggiungono 250 l di reattivo FRAP.

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L'assorbanza della miscela di reazione è stata valutata alla lunghezza d'onda di 620 nm. Il valore di assorbanza del campione deve essere compreso tra il valore minimo e il valore massimo della curva standard. Si procede costruendo una curva di calibrazione utilizzando i valori di assorbanza delle diluizioni scalari di FeSO4•7 H20. Alla media dei valori di

assorbanza dei campioni viene sottratto il valore di assorbanza del bianco; i valori della FRAP sono espressi in mmol/l.

3.2.3 Determinazione dei tioli plasmatici (-SH)

I tioli rappresentano una componente qualitativamente significativa della barriera antiossidante plasmatica. Una coppia di gruppi tiolici può ossidare una coppia di radicali alcossilici (RO•) o idrossilici (HO•), cedendo ad essa due elettroni (sotto forma di due atomi di idrogeno). In questo modo, entrambi i tipi di radicali vengono inattivati ed i gruppi tiolici ormai ossidati reagiscono fra loro generando ponti disolfuro. La valutazione dei gruppi tiolici nel plasma, si basa sulla capacità dei gruppi –SH di sviluppare un complesso colorato determinabile fotometricamente, quando reagiscono con l’acido 5,5-ditiobis-2-nitrobenzoico (DTNB) secondo il metodo inizialmente proposto da Ellman nel 1959 e poi adattato da Miao-lin Hu (1992). La determinazione dei gruppi tiolici plasmatici, valuta i gruppi –SH legati alle proteine plasmatiche; in particolare circa il 90% dei gruppi –SH si ritrovano all’interno della struttura del glutatione allo stato ridotto, per cui misurando i tioli si ha una stima indiretta del valore di glutatione ridotto nel plasma. Il restante 10% dei gruppi –SH si lega alle altre proteine plasmatiche, ad esempio l’albumina.

Per l’analisi biochimica dei gruppi tiolici plasmatici (-SH) 50 l di plasma vengono diluiti in 150 l di TRIS ( 25 mM ) –EDTA (20 mM) pH 8.2, 800 l di Metanolo e 10 l di 5-5’di-tio-bis(2nitrobenzoico), DTNB. I campioni vengono incubati 20 minuti e successivamente centrifugati a 5315 rpm per 10 minuti a temperatura ambiente.

Si seminano su piastra 250 l di supernatante e si passa alla lettura spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di 412 nm. A questi valori di assorbanza sono stati sottratti i valori del bianco costituito da DTNB. I valori dei gruppi –SH sono espressi in moli/l.

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3.2.4 Analisi statistica.

Per ciascun parametro biochimico, AOPP, FRAP e -SH, è stato calcolato il valore medio e la deviazione standard (media±DS). I dati sono stati analizzati tramite il test t di Student per dati appaiati. Per l’analisi statistica dei dati è stato utilizzato il software statistico SPSS. In tutti i casi considerati, le differenze tra i dati sono state considerate statisticamente significative per p 0,05.

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4 Risultati

I livelli plasmatici medi di AOPP, mostrati nella figura 6, sono risultati aumentati nei pazienti SLA rispetto ai controlli (346.409 ± 40.1 vs 246,9 ± 40,9 nmol / ml, p <0.01). Tale differenza dopo stratificazione per sesso, è rimasta significativa nel gruppo di sesso femminile (393,6 ± 41,9 vs 238,6 ± 42,5 nmol / ml, p <0.05), ma non nel gruppo di sesso maschile (316,5 ± 38,9 vs 256,5 ± 34,6 nmol/ml, p: n.s.).

Figura 6: livelli plasmatici degli AOPP in pazienti e controlli prima e dopo stratificazione per

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L’analisi dei livelli medi dell’attività FRAP, mostrata in figura 7, ha evidenziato una significativa riduzione nei pazienti SLA rispetto ai controlli sani (0.696±0.057 vs 1.314±0.09 mmol/l, p <0.001). Dopo stratificazione per sesso, tale differenza permane sia nei maschi (0.706±0,06 mmol/l, p <0,001) che nelle femmine (0.688±0.09 mmol/l, p <0.05) rispetto ai relativi controlli sani (M: 1.514±0.06 / F: 0.966±0.08 mmol/l).

Figura 7: livelli plasmatici dell’attività FRAP in pazienti e controlli prima e dopo

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I livelli plasmatici medi dei gruppi –SH (figura 8) sono risultati significativamente più bassi nei pazienti SLA rispetto ai controlli sani (0,672±0.31 vs 1.3±0.11 nmol / µl, p <0.001). Dopo stratificazione per sesso, i livelli dei gruppi -SH risultano significativamente ridotti sia nei maschi (0.671 ± 0,29 nmol / µl, p <0,001) che nel gruppo di sesso femminile (0.601 ± 0.25 nmol / µl, p <0.01) rispetto ai controlli (M: 1,25 ± 0,12 nmol / µl /F: 1,36 ± 0,06 nmol / µl).

Figura 8: livelli plasmatici di –SH in pazienti e controlli prima e dopo stratificazione per

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5 Discussione

La SLA è una patologia neurodegenerativa che comporta la progressiva perdita dei motoneuroni a livello della corteccia motoria, del bulbo e del midollo spinale. Tra le ipotesi più accreditate formulate riguardo le modalità di insorgenza della SLA, oltre quella eccitotossica e mitocondriale, negli ultimi anni è stato chiamato in causa lo stress ossidativo (Mancuso et al, 2006); tale condizione patologica, localizzata o sistemica, è considerata responsabile del danno cellulare e neuronale riscontrato sia durante il normale processo di invecchiamento sia nello sviluppo di malattie neurodegenerative (Good et al., 1996).

Il suo possibile ruolo nella patogenesi della malattia è sostenuto dal fatto che tale condizione sembra essere interconnessa con altri processi causativi della SLA, come l’aggregazione proteica (Rakhit et al., 2004) o l’alterato metabolismo del glutammato (Bar PR, 2000).

Alcune delle caratteristiche patologiche della SLA, quali l’aumento dei corpi ubiquitinati e le inclusioni ialine in neuroni e astrociti, causati dall’aggregazione proteica, potrebbero essere correlate allo stress ossidativo. Questo possibile legame si basa sul rapporto che si instaura fra il danno ossidativo alle proteine e l’attività del proteasoma; se da un lato una moderata modificazione ossidativa a carico delle proteine causa in queste ultime una maggiore suscettibilità alla rimozione da parte del proteasoma, dall’altro elevati tassi di modificazione ossidativa possono provocare l’inibizione dell’attività del proteasoma stesso (Grune et al., 2004). La diminuzione dell’attività del proteasoma, già identificata in altre patologie neurodegenerative, potrebbe spiegare l’aumento di ubiquitinazione e la presenza di aggregati proteici caratteristici della SLA (Llieva et al., 2007).

È stato, inoltre, ipotizzato un possibile crosstalk fra lo stress ossidativo e l’eccitotossicità glutammatergica. Evidenze in letteratura (Barber et al., 2010; Trotti et al., 1998) mostrano che la sola esposizione alle ROS, inibisce l’attività del re-uptake del glutammato da parte di trasportatori gliali e neuronali. Nella struttura di almeno tre sottotipi di trasportatori sono stati identificati residui di cisteina (-SH) sensibili all’alterazione dell’equilibrio redox (Trotti et al., 1998). L'inibizione dei trasportatori del glutammato attraverso l'ossidazione di gruppi tiolici, è coerente con la scoperta che l’assorbimento del glutammato è regolato chimicamente dallo stato redox di residui di cisteina presenti nella struttura del trasportatore. Interconversioni reversibili dei residui di cisteina dallo stato ridotto allo stato ossidato, sono accompagnati da cambiamenti nella capacità di re-uptake del trasportatore: l’attività risulta massima in presenza di residui di cisteina ridotti e l’attività è minima quando i residui di cisteina sono allo stato ossidato; ciò è dovuto probabilmente ad un cambio conformazionale della struttura del trasportatore (Trotti et al., 1998).

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Le ROS, a loro volta, sembrano contrastare il meccanismo di rimozione del glutammato dallo spazio extracellulare, inibendo i trasportatori del glutammato ad alta affinità.

Tali evidenze supportano l’idea che la sovraproduzione di ROS e lo sviluppo dell’eccitotossicità glutammatergica siano due fenomeni interdipendenti; l’ipotesi è che si instauri un circolo vizioso che porterebbe ad una esasperazione del fenomeno di neurotossicità, dato che un aumento del glutammato extracellulare sembra portare ad una maggiore produzione di ROS (Trotti et al., 1998).

Il coinvolgimento dello stress ossidativo nella patogenesi della SLA è stato ampiamente descritto, sia in vivo che in vitro; diversi studi hanno evidenziato danno ossidativo al DNA, alle proteine e ai lipidi all'interno di aree patologicamente colpite del SNC (Bonnefont-Rousselot et al, 2000; Mancuso et al 2006; Goodall EF . et al 2008; Mitsumoto H. et al 2008; Babu GN et al 2008; Pradat PF et al 2009).

Elevati livelli di marcatori di danno ossidativo a proteine, lipidi e DNA sono stati osservati in pazienti con SLA in presenza o in assenza di mutazioni a carico del gene SOD1 (Ferrante et al., 1997).

Sorprendentemente, non sono stati segnalati finora in letteratura dati riguardanti biomarcatori periferici di stress ossidativo in pazienti SLA in una fase molto precoce di malattia. La maggior parte degli studi sono stati condotti su pazienti affetti da SLA in fase avanzata di malattia, o già in trattamento con riluzolo. Diverse evidenze suggeriscono che lo stress ossidativo sia un importante fattore che contribuisce alla perdita dei motoneuroni nella SLA (Barber, 2009). Tuttavia, se lo stress ossidativo sia una causa primaria di neurodegenerazione, o semplicemente una conseguenza secondaria di un altro insulto tossico, è ancora oggetto di dibattito.

Questo lavoro di tesi si propone di valutare il livello di alcuni marcatori periferici di stress ossidativo in pazienti SLA in una fase molto precoce di malattia (tempo medio tra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi, con raccolta del campione di sangue 5,7± 2,2 mesi), in assenza di co-morbidità e di trattamenti farmacologici standard.

Sono stati scelti come marcatori gli AOPP, la FRAP e i –SH perché danno la possibilità di effettuare una valutazione “globale” dello stress ossidativo, che tenga conto sia della componente pro-ossidante che di quella antiossidante; inoltre, questi marcatori posseggono dei requisiti importanti per la valutazione dello stato redox cellulare quali sensibilità, specificità, forniscono indicazioni affidabili già in una fase precoce della malattia, consentono un monitoraggio sistematico della progressione della patologia e si modificano con adeguata sensibilità in rapporto ad eventuali trattamenti specifici per la malattia di base o terapie

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antiossidanti; infine il dosaggio di tali marcatori si basa su procedure minimamente invasive, veloci, e con un rapporto ottimale costo/benefici (13).

I prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP) sono un buon marker per l’identificazione, nel plasma, di danno ossidativo alle proteine. Gli AOPP consistono di un insieme di proteine, la tiroglobulima, la -globulina, l’albumina e la mioglobulina. La caratterizzazione biochimica, rivela l’esistenza di due picchi di peso molecolare distinti, a 670 KDa e a 70 KDa, necessari per spiegare il livello totale degli AOPP: il picco di AOPP ad alto peso molecolare è dovuto all’albumina che appare sottoforma di aggregati che derivano, probabilmente, da ponti disolfuro e/o dal cross-linking della tirosina; il picco degli AOPP a basso peso molecolare contiene sempre l’albumina, ma nella sua forma monomerica. È stato dimostrato che l’albumina modificata dai processi di ossidazione conduce alla formazione degli AOPP (Witko-Sarsat et al., 1996). I risultati ottenuti dalla valutazione degli AOPP in pazienti SLA e controlli sani, mostrano livelli medi degli AOPP più elevati nei pazienti rispetto ai controlli. I risultati mostrano dunque, che vi è un aumento dei prodotti avanzati di ossidazione delle proteine nei pazienti rispetto ai controlli, riflettendo una condizione di alterato equilibrio redox già alla diagnosi della malattia.

Secondo marcatore analizzato, è la capacità ferro riducente del plasma (FRAP). I fluidi biologici contengono diversi antiossidanti, tra cui non solo le ben note proteine antiossidanti (SOD, CAT, GPX), ma anche sostanze come la bilirubina, l’acido urico, l’albumina, il tocoferolo e l’acido ascorbico, il cui modesto potenziale antiossidante è bilanciato dalla loro elevata concentrazione [Gutteridge, 1995; Halliwell e Gutteridge, 1995].

La metodica che permette di determinare l’attività FRAP, sfrutta le capacità di questi antiossidanti di ridurre lo ione ferrico a ione ferroso.

I risultati dell’analisi della FRAP rivelano valori ridotti nei pazienti rispetto ai controlli. I risultati ottenuti in questo lavoro sono in accordo con uno studio condotto da Keizman e collaboratori (2009) che ha mostrato in pazienti con SLA la presenza di bassi livelli sierici di acido urico, che rappresenta circa il 60% del valore totale della FRAP rispetto ai soggetti sani (Keizman et al., 2009). La riduzione dei livelli sierici di acido urico sono stati correlati al tasso di progressione della malattia, dimostrando ulteriormente il possibile ruolo dello stress ossidativo nell'induzione e nella propagazione della malattia (Keizman et al., 2009).

Infine, sono stati valutati i livelli plasmatici dei gruppi tiolici, i quali risultano diminuiti nei pazienti rispetto ai controlli, con una differenza significativa sia nel campione totale, sia dividendo in base al sesso di appartenenza. Il valore della FRAP e dei gruppi –SH, rispecchiano un deficit della capacità antiossidante in pazienti SLA.

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I risultati mostrano dunque, livelli diminuiti dei gruppi –SH nei pazienti rispetto ai controlli sani, riflettendo una ridotta efficienza della barriera antiossidante tiolica nei pazienti affetti da SLA.

I valori ottenuti dall’analisi dei marcatori di danno ossidativo sembrano riflettere una consistente alterazione del profilo redox nei pazienti rispetto ai controlli, avvalorando l’ipotesi che lo stress ossidativo giochi un ruolo importante nella patogenesi della SLA e confermando la necessità di ulteriori studi finalizzati al chiarimento del ruolo dello stress ossidativo nella genesi della malattia.

In base agli elementi sopra sinteticamente riportati risulta evidente che i radicali liberi e gli agenti ossidanti in genere, al di là delle funzioni fisiologiche che svolgono a vari livelli nella vita cellulare, possono provocare danni sensibili alle macromolecole biologiche quando sono prodotti in quantità eccessive, o comunque in concentrazioni che sopravanzano le capacità di difesa antiossidante (Valko et al., 2007). Peraltro la vexata quaestio, se la produzione incontrollata di ROS o RNS sia sempre la causa di processi patologici o non siano piuttosto questi ultimi a scatenare essi stessi la produzione di specie ossidanti, non può avere una risposta unica e valida in tutte le situazioni. I radicali liberi svolgono certamente un ruolo causale nel determinare mutazioni nel DNA, ad esempio durante i processi infiammatori cronici (Rahman and Adcock, 2006). Tuttavia altre condizioni presentano un quadro meno definito. Nel caso del danno da ischemia-riperfusione, ad esempio, è assodato che questo è in diretto rapporto con l’aumento delle concentrazioni di calcio citosolico. Il calcio provoca l’attivazione di enzimi proteolitici calcio-dipendenti, diretti responsabili del danno alle macromolecole, ma è anche responsabile, con meccanismi ancora poco definiti, di un aumento dei livelli di ROS; questi dunque hanno in questo caso un valore più che altro di biomarcatori del processo patologico in corso. Ancora, nel caso del morbo di Parkinson è poco probabile che lo stress ossidativo sia l’evento primario, iniziale, del processo degenerativo che porterà alla deplezione dei neuroni dopaminergici nel mesencefalo. Ma è certo comunque che nel corso della malattia si verificano fenomeni ossidativi che partecipano in modo sostanziale alla progressione del danno neuronale (Halliwell, 2006). Può essere pertanto fuorviante pensare allo stress ossidativo come l’origine di tutti i processi patologici nei quali si manifesta, mentre è certamente più sensato vederlo come uno degli anelli, spesso uno dei più importanti, di una catena più o meno lunga di eventi. Controllare i livelli di stress ossidativo, anche quando questo non sia la causa iniziante della malattia, può comunque consentire di interrompere la catena e limitare la progressione del danno.

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