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Preludio e fughe di Umberto Saba: una raccolta "polifonica"

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Preludio e fughe di Umberto Saba: una raccolta “polifonica”

CANDIDATO

RELATORE

Marta Marchetti

Chiar.mo Prof. Giorgio Masi

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Luca Curti

(2)

A tutti coloro che sanno

ancora “stupire”

(3)

Indice

Introduzione 4

1. Il Canzoniere come un “romanzo” 9

1.1 L'organicità della raccolta poetica di Umberto Saba 9 1.2 La collocazione di Preludio e fughe nel Canzoniere 14

2. Fuga musicale e Fuga poetica 20

2.1 La Fuga musicale 22

2.2 La Fuga poetica 29

3. Analisi dei testi sulla base delle dicotomie 36

3.1 Passato e presente 39

3.2 Gioia e dolore 51

3.3 Vita e morte 56

4. La struttura di Preludio e fughe 69

4.1 Il numero delle fughe 69

4.2 La macrostruttura di Preludio e fughe 71 5. Le vicende editoriali della raccolta 80 6. Annotazioni filologiche: storia di alcune varianti 91

6.1 Le edizioni confrontate 91

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6.3 Considerazioni conclusive 110

Conclusioni 113

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(6)

Introduzione

Preludio e fughe costituisce la diciottesima raccolta del Canzoniere di

Umberto Saba, ed è composta, a partire dall'edizione Einaudi del 1945, da quindici componimenti, ossia un Preludio, dodici Fughe e due Congedi. Il Preludio, posto all'inizio anche se scritto per ultimo, introduce e guida il lettore alle Fughe; i due

Congedi sono brevi componimenti conclusivi che danno, «il primo, il clima esterno;

ed il secondo una delle ragioni interne dalle quali – in parte – sono nate le “Fughe”».1

La sezione, scritta negli anni 1927-1928, rimanda, per l'esplicita allusione al mondo musicale, a quella composta quattro anni prima, Preludio e canzonette. C'è infatti, in entrambe le raccolte, l'intenzione di fare musica con le parole, di elevare i versi oltre il loro significato verso l'impalpabilità del suono. Tuttavia, come approfondiremo, mentre nella raccolta composta nel 1923 si evoca un genere musicale popolare e cantabile (la “Canzonetta”), in Preludio e fughe il poeta si ispira, come il titolo suggerisce, alla forma più complessa e articolata della musica colta, quella della Fuga.

A differenza delle altre sezioni del Canzoniere, mancano in questa raccolta l'elemento narrativo e quello autobiografico, che avevano contrassegnato fino ad allora la poetica di Saba. Ma l'assenza di questi due elementi è solo apparente, come leggiamo nell'autocommento dell'autore, Storia e cronistoria del Canzoniere:

Le Fughe sono voci che si parlano tra di loro, si inseguono per dirsi cose ora contrastanti e ora concordanti. Ma i loro contrasti – come la vita colle sue lotte, a chi potesse guardarla da sufficiente altezza, apparirebbe univoca – sono solo apparenti. Le voci sono, in realtà, la voce di Saba; […].2

1 U. Saba, Preludio e fughe, in Il Canzoniere, Einaudi, Torino, 2014, p. 385.

2 Id., Storia e cronistoria del Canzoniere, in Tutte le prose, a cura di A. Stara, con una introduzione di M. Lavagetto, Mondadori, Milano, 2001, p. 247.

(7)

Dunque, l'elemento autobiografico impregna tutti i componimenti della raccolta, anche se non si tratta del racconto di avvenimenti esteriori, ma dell'espressione di moti dell'anima. Come il poeta stesso afferma, infatti, riguardo alla sua opera poetica:

Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne.3

In questa tesi mi propongo di analizzare la raccolta di Preludio e fughe nella sua collocazione all'interno del Canzoniere e nella sua struttura interna. Mi soffermerò in particolare sulle analogie che ricorrono tra Fuga poetica e Fuga musicale, evidenziando come questa abbia potuto influire sull'ispirazione di Saba. Inoltre, commenterò le poesie sulla base di alcune tematiche che sono il filo conduttore di tutti i componimenti della raccolta. Mi occuperò infine di questioni filologiche, facendo una rassegna delle varianti che nelle diverse edizioni pubblicate hanno apportato dei cambiamenti sostanziali alle poesie, sia a livello formale che semantico.

Nel capitolo 1 parlerò della struttura del Canzoniere e di come la raccolta si inserisca all'interno di esso. L'autore ritiene che Preludio e fughe rappresenti una delle vette della sua poesia, definendo questa raccolta come «il più bel libro di Saba: il libro della sua maggiore “purezza lirica”».4 In particolare, cercherò di individuare

come la sezione entri a far parte del “romanzo” delineato dal libro di poesie del poeta triestino. Seppure si tratti di una raccolta alquanto “atipica”,5 poiché non affronta 3 Ibidem, p. 325.

4 Ibidem, p. 247.

(8)

esplicitamente temi autobiografici né si lega alla vita quotidiana, in realtà, come vedremo, essa si pone in continuità con le poesie che la precedono e costituisce un punto di svolta per le raccolte successive.

Il capitolo 2 prende in considerazione il significato del termine “Fuga”, che ha origine in ambito musicale. Si tratta di una forma tipicamente barocca, che si costruisce come un dialogo tra voci sovrapposte, in cui la polifonia contrappuntistica crea l'effetto di una “rincorsa” tra elementi musicali, che si ripetono variati e inseriti in contesti armonici sempre diversi. Proverò inoltre a riflettere su come la Fuga musicale abbia potuto influenzare, a tutti i livelli, la composizione delle fughe in versi. In particolare, è soprattutto dal punto di vista delle intenzioni poetiche che possiamo trovare delle corrispondenze tra musica e poesia, poiché, così come a livello sonoro ci sono alcuni elementi “fissi” che si rincorrono e si scambiano, nelle fughe poetiche ci sono due o tre voci che dialogano sovrapponendosi e invertendo spesso il punto di vista.

Nel capitolo 3 commenterò i componimenti della sezione, mettendo in evidenza alcuni aspetti formali e semantici e soffermandomi sui rimandi interni tra le diverse poesie. A guidare l'analisi sarà la tematizzazione delle dicotomie ricorrenti in tutte le fughe, quali passato e presente, gioia e dolore, vita e morte. Come vedremo, questi elementi contrari, che rappresentano le «voci discordi» dell'animo del poeta, sono in realtà sovrapponbili in una dimensione che si eleva al di sopra delle categorie. In questa concezione, «il principio e la fine»6 sono la stessa cosa, secondo

la teoria nietzschiana dell'“aureo anello” esposta nella Quinta fuga, che annulla le differenze tra gli opposti.

raccolta atipica nel Canzoniere di Saba, relatrice C. D'Angeli, Pisa, 1996. 6 U. Saba, Quinta fuga, v. 40, in Il Canzoniere, cit., p. 359.

(9)

Nel capitolo 4 analizzerò la struttura interna di Preludio e fughe, che si può suddividere in due grandi sezioni, divise dalla prima fuga a tre voci (la Sesta fuga) e concluse dall'altra fuga a tre voci (la Dodicesima fuga). Nel ripercorrere le corrispondenze metriche tra i componimenti, mi baserò su uno studio condotto da A. L. Folena e M. E. Tioli,7 che ha evidenziato la circolarità delle prime undici fughe.

Partendo dalle corrispondenze messe in luce in questo studio, allargherò lo schema delle simmetrie includendovi anche il Preludio e la Dodicesima fuga, che non si richiamano a livello metrico, ma sul piano semantico.

Nel capitolo 5 farò una rassegna delle pubblicazioni della raccolta in riviste, in volumi autonomi, o all'interno del Canzoniere, ripercorrendo le tappe fondamentali delle vicende che hanno portato prima alcune poesie, poi l'intera raccolta alle stampe (con editori del calibro di Einaudi, Treves, Garzanti e Mondadori).

Il capitolo 6 contiene osservazioni basate sul confronto tra le varianti presenti in edizioni diverse della raccolta. Attraverso l'individuazione di quelle a mio avviso più significative, possiamo evidenziare una direzione poetica nelle scelte autoriali. In particolare, molte lezioni vengono sostituite con termini legati al campo semantico della “dolcezza”, segno che la risoluzione delle voci in accordi porta allo scioglimento di tensioni interne annullando gli stridori e i contrasti “amari”. In generale, le correzioni dell'autore vanno verso la ricerca di musicalità e sono molto numerose soprattutto in quelle parti in cui si affrontano concetti importanti. Ad esempio, dove si spiega la teoria della circolarità del tempo (Quinta fuga), o la legge per cui ogni nascita deriva da una morte (Settima fuga), gli interventi dell'autore sono

7 A. L. Folena, M. E. Tioli, Simmetria e circolarità nella metrica del secondo Saba, in “Studi Novecenteschi”, Vol. 18, N. 41 (giugno 1991), pp. 103-122.

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fittissimi, sia sul piano lessicale che su quello della punteggiatura, per rendere quei versi sempre più chiari, musicali e intensi. Il continuo apporto di varianti testimonia in ogni caso un puntiglioso labor limae del poeta, alla ricerca di una perfezione sia formale che contenutistica delle poesie della raccolta, considerata dal poeta stesso, come vedremo, come un punto di svolta nel “romanzo” del Canzoniere.

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1. Il Canzoniere come un “romanzo”

1.1 L'organicità della raccolta poetica di Umberto Saba

A proposito dei suoi primi tre libri di poesie, Ossi di seppia, Le Occasioni e

La bufera e altro, Montale riconobbe che «erano quello che in gergo letterario si dice

«canzoniere», una raccolta che tende a una specie di completezza anche formale, senza buchi, senza intervalli, senza nulla di trascurato».8 Un «Canzoniere», secondo

questa definizione, è una sorta di romanzo in versi, dove è possibile delineare una vicenda in cui “tutto si tiene” sul piano narrativo, formale e stilistico. Si tratta di un'opera organicamente strutturata, che rappresenta il poeta nella sua complessità e nell'evolversi delle sue vicende umane e artistiche.

Il titolo Canzoniere induce a collocare il libro di Saba nella scia della tradizione aulica della letteratura italiana avviata da Petrarca. Egli stesso, riguardo alle sue poesie giovanili, scrive in una lettera: «Il mio pensiero poetico era più semplice, e più vicino a quello dei miei due grandi maestri: il Petrarca e il Leopardi».9 Dal punto di vista formale, Saba rimane ancorato alla tradizione, non

forzando mai l'espressione attraverso la sperimentazione metrica e linguistica, tipica di alcuni poeti a lui contemporanei. Ma, al di là dell'aspetto formale e di alcune citazioni petrarchesche nelle opere giovanili, la poetica di Saba è molto lontana da quella di Petrarca, che pure ritiene uno dei suoi primi modelli, come leggiamo in una lettera del 1942:

8 E. Montale, «Satura», in Il secondo mestiere. Arte, musica, società a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1996, p. 1700.

9 U. Saba, Lettera a F. Meriano, 30 marzo 1917, in N. Palmieri, Introduzione, in Il Canzoniere, Einaudi, Torino, 2014, p. XXXIII.

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La corrente petrarchesca non esiste nella mia poesia, tranne, forse, in qualche mia poesia giovanile. […] [La mia poesia] è una poesia fatta assai più di cose che di parole: anche per questo è stata poco e male e tardi capita.10

Significativa è, a questo proposito, la distanza che Saba prende da Petrarca nella concezione dell'amore, che nel poeta trecentesco manca dell'elemento sensuale:

La figura di Laura assorbì tutta la tenerezza del poeta. La sua sensualità egli la rivolse ad altro. […] Ma l'amore, l'amore vero, l'amore intero, vuole una cosa e l'altra; vuole la fusione perfetta della sensualità e della tenerezza: anche per questo è raro. Così non c'è, in tutto il CANZONIERE, un verso, uno solo, che possa propriamente dirsi d'amore; molte cose ci sono, ma non LA BOCCA MI BACIÒ TUTTO TREMANTE, il più bel verso d'amore che sia stato scritto.11

Il libro di Saba, che ha un titolo così carico di letterarietà, si allontana in definitiva da qualsiasi forma di astrazione intellettuale, non cerca di attutire i conflitti del quotidiano attraverso l'espressione di una bellezza assoluta. Al contrario, il poeta esprime i sentimenti nati dalle occasioni concrete, dalle cose, dalle persone, dai luoghi quotidiani: «Vogliamo dire che egli non solo canta dei sentimenti ma anche dipinge figure e racconta fatti».12 In questo sta il valore e l'originalità della

poesia di Saba, nella volontà di «ritrovare se stessi», di fare cioè una poesia «onesta», secondo un'idea che il poeta aveva esposto nel saggio del 1911, Quello

che resta da fare ai poeti:

Ai poeti resta da fare la poesia onesta. […]. Quello che ò chiamato onestà letteraria: che è prima non sforzare mai l'ispirazione, poi non tentare, per meschini motivi di ambizone o successo, di farla parere più vasta e trascendente di quanto per avventura essa sia. […]. Bisogna – non mi si prenda alla lettera – essere originali nostro malgrado. […] Sono pieni di ripetizioni il Canzoniere del

10 Id., Lettera a G. Spagnoletti, 20 novembre 1942, in Tutte le prose, cit., pp. 1203-1204. 11 Id., Scorciatoia n. 12, in Tutte le prose, cit., p. 12.

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Petrarca e quello del Leopardi e la parte più sublime della

Commedia “Il Paradiso”; perché questi poeti cercavano di sfogare

la loro grande passione e non di sbalordire come giocolieri, che guai se ripetono due volte lo stesso numero.13

L'organicità del Canzoniere di Saba è dunque data in primo luogo dall'incessante tentativo di ritrovare la propria natura attraverso la poesia, che eleva il poeta onesto al livello dei ricercatori di verità. Infatti, come Saba stesso scrive, «al di là del mondo del poeta non c'è che quello dei santi e forse quello dei filosofi».14

L'intenzione di fare una poesia onesta si esplicita innanzitutto nello stile decisamente non aulico: non c'è nei versi di Saba la volontà di risultare ermetici od oscuri, né tantomeno spettacolari. Il lessico è ispirato alla quotidianità, la forma è rigorosa, la sintassi lineare, non si cerca l'originalità attraverso l'artificio formale fine a se stesso. La poesia Amai da Mediterranee è in questo senso una dichiarazione di poetica:

Amai trite parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amore,

la più antica difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo […]. (Amai, in Mediterranee, vv. 1-5)

La ricerca della semplicità e della chiarificazione rispecchiano la volontà di liberarsi da quelle sovrastrutture che allontanano dalla realtà, e in cui spesso sono rimasti intrappolati i poeti contemporanei. L'intenzione è quella di andare al di là delle complicazioni astratte per giungere alla «verità che giace al fondo», a quell'«oscuro grembo del mondo»15 che si cela sotto la superficie delle cose. Dietro

l'apparente semplicità del lessico e della forma si nasconde quindi l'espressione di

13 U. Saba, Quello che resta da fare ai poeti, in Tutte le prose, cit., pp. 674-677. 14 Ibidem

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temi eterni e valori assoluti, che in Storia e cronistoria il poeta esplicita, citando un articolo sulla sua poesia di Guido Piovene:

Questi temi sono: da un lato, il dolore della vita umana, dove tutto trasmuta come in un viaggio perpetuo senza ritorno verso la morte, su cui domina la tetra e monotona oppressione dei rimorsi e dei castighi, in cui tutto, anche sotto le gentili apparenze, è sopraffazione, macello, distruzione della vita altrui per nutrire la propria; dall'altro lato, l'amore della vita umana, che è appunto amore, poesia, piacere segreto anche nel proprio dolore, e che fa sorgere i suoi beni proprio dai suoi errori stessi; e insieme la coscienza che l'uno e l'altro aspetto, il bene e il male, il dolore e la gioia, sono legati, inseparabili come il corpo dall'ombra, si destano vicendevolmente, e possono essere amati allo stesso modo dall'accettazione piena della nostra natura. La poesia di Saba potrebbe essere definita così un poesia delle “gioie e delle pene d'amore”.16

La poesia di Saba, dunque, pur rimanendo apparentemente semplice, si confronta con tematiche complesse ed eterne, si pone alla ricerca della profonda natura dell'uomo ed esprime un'interpretazione poetica del mondo. In questo senso tra le figure più significative che troviamo nel Canzoniere possiamo collocare gli animali. Con loro il poeta si identifica in quanto capace di provare le loro stesse sensazioni elementari, come la paura, il dolore, la fame, lo stupore. Così si sente fraterno ad una capra perché unito a lei dallo stesso dolore, o ad un passero perché capace di provare lo stesso stupore. Anche sua moglie viene paragonata alle «femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio»,17 considerando gli

animali come intermediari tra cielo e terra, che permettono al poeta un'elevazione spirituale. A questo proposito, il poeta scrive nella Scorciatoia n. 20:

Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell'universo. Tutti noi, in quanto nati alla vita, facenti parte della vita, sappiamo tutto, come anche l'animale e la pianta. Ma lo sappiamo in profondità. Le difficoltà incominciano quando si tratta di portare il nostro sapere

16 Id., Storia e cronistoria..., cit., p. 329. 17 Id., A mia moglie, in Il Canzoniere, cit., p. 64.

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organico alla coscienza.18

Dal punto di vista strutturale, un elemento di continuità tra le diverse sezioni è l'ordine cronologico, per cui le raccolte si susseguono dall'adolescenza alla vecchiaia (rientrando in un periodo che va dal 1900 al 1954). Percorrendo le varie sezioni si può riscontrare una evoluzione delle tematiche, delle forme e dello stile, poiché ognuna di esse è legata ad una situazione particolare della vita del poeta. Dopo la prima edizione del 1921, Saba apporta modifiche anche sostanziali alle poesie già pubblicate, nel tentativo continuo di avvicinarsi all'espressione più “naturale” dell'ispirazione iniziale e di mantenere una continuità tra le diverse raccolte.

L'unitarietà del Canzoniere è data infine dal senso del “ritorno”: temi, luoghi, figure riemergono quasi ossessivamente cambiando sfumatura, angolazione, punto di vista. Ricordo ad esempio la cara immagine della casa della nutrice, che viene presentata come luogo idilliaco nelle poesie dell'adolescenza; ritorna in Cuor

morituro come un mito «quasi inesistente»; fa da sfondo alle poesie di Il piccolo Berto come immagine ideale di infanzia perduta. Un altro tema trasversale a tutta

l'opera è l'amore per Lina, protagonista di numerosissime poesie, che invecchia insieme al poeta, fino a che, con la sua morte, pone fine all'ispirazione poetica del marito, e un termine netto al suo Canzoniere.

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1.2 La collocazione di Preludio e fughe nel Canzoniere

All'interno delle vicende del Canzoniere, Preludio e fughe risulta essere una raccolta piuttosto peculiare, dal momento che non è apparentemente legata ad oggetti, luoghi o persone concreti della quotidianità e non sembra quindi ispirata da un'occasione reale, a differenza delle poesie delle altre sezioni. Tuttavia, essa si pone in continuità con le raccolte che la precedono nel momento in cui tematizza le dicotomie che nelle poesie antecedenti erano emerse nella riflessione sulla natura profonda dell'uomo. Questi dissidi vengono personificati in «voci discordi», che altro non sono che le diverse anime del poeta. In Storia e cronistoria, egli trova un legame tra Preludio e fughe e le altre sezioni nell' «espressione nuova di temi eterni»:

La poesia di Saba è così un'espressione nuova di temi eterni, i quali prendono in lui nuovi colori ineffabili e un impulso lirico ardente; e si intrecciano, nelle raccolte Trieste e una donna, Cose leggere e

vaganti, La serena disperazione, L'amorosa spina, Preludio e canzonette, Il piccolo Berto, Parole e altre, per toccare forse i loro momenti più alti in Preludio e Fughe, dove il poeta sembra giungere il massimo di rendimento poetico e di continuità musicale.19

Nello specifico, la sezione esprime il contrasto tra le due nature opposte dell'animo del poeta che gli derivano da due genitori di carattere profondamente diverso e inconciliabile:

Come i parenti m'han dato due vite e di fonderle in una io fui capace, (Preludio, vv. 14-15)

Quando il lettore giunge a questi versi, è già venuto a conoscenza delle «due vite» a cui qui si fa riferimento, poiché nel terzo sonetto dell'Autobiografia la natura

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del padre e della madre sono descritte con chiarezza:

Egli era gaio e leggero; mia madre tutti sentiva della vita i pesi.

Di mano ei gli sfuggì come un pallone. «Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.» Ed io più tardi in me stesso lo intesi:

eran due razze in antica tenzone. (Autobiografia, Terzo sonetto, vv. 9-14)

L'«antica tenzone» si manifesta nelle due voci delle fughe, una lieta e una malinconica, una ottimista e goiosa, l'altra sommersa dal dolore. Queste due voci all'inizio si oppongono, ma poi finiscono sempre per ricomporsi nei «dolcissimi accordi» invocati dal Preludio, penetrando l'una nell'altra e giungendo ad un'armonia che nasce proprio grazie alla fusione dei contrari. Possiamo quindi constatare che tutta la tensione emersa nell'Autobiografia finalmente nelle fughe si risolve, nel momento in cui le due nature opposte del padre e della madre trovano il loro equilibrio in un accordo consonante.

Per il contrasto tra elementi discordanti la sezione di Preludio e fughe rimanda all'ossimoro della Serena disperazione, raccolta scritta tra il 1913 e il 1915. Questa raccolta mette in opposizione la serenità della vita quotidiana rappresentata da personaggi come il garzone con la carriola o Guido e da luoghi come il Caffè Tergeste e la piazza Aldovrandi di Bologna, con la disperazione che appesantisce l'atmosfera nel presagio della Grande Guerra. La tristezza è legata anche alla fine della giovinezza del poeta, che scrive la raccolta a trent'anni; per cui le immagini e le figure da lui rappresentate si tingono di velata malinconia e di rimpianto dei tempi perduti. L'ultima poesia della raccolta, De Profundis, tematizza il contrasto più enigmatico dell'esistenza, quello tra vita e morte:20

(18)

Io vivo...eppure sono un morto, sono dentro un abisso; ed odo, ivi sepolto, la vita che tra voi s'agita, il suono della vita, ormai vano; [...]

(De profundis, in La serena disperazione, vv. 1-4)

Dopo Preludio e fughe questo contrasto ritornerà nella sezione Il piccolo

Berto, quando, dopo un lungo dialogo con il poeta adulto, il bambino Berto (che

personifica il piccolo Umberto Saba) rivelerà di essere un morto. Il bambino è lo specchio del protagonista, il se stesso riflesso in un altro che vive nella morte: si sfumano così i confini tra il vivere e il morire, tra l'esistere nel presente e l'esistere nel passato. Dopo Preludio e fughe forse non avrà più senso contrapporre categorie opposte, poiché il dissidio è stato risolto in «dolcissimi accordi», fondendo i contrari in una sovracategoria che li racchiude in equilibrio: Berto è morto, ma vive nella poesia, così come il poeta che si sente un morto vive attraverso il dialogo con lui.

Vediamo quindi come a livello tematico la sezione Preludio e fughe rappresenti un punto di svolta nel sistema del Canzoniere, e come essa sia legata in modo sostanziale a quelle che la precedono e che la seguono. Il poeta stesso sostiene, a proposito del commento a Parole, che dopo Preludio e fughe il contrasto tra odio e amore non può più generare sofferenza, poiché il poeta

ha vinta [...] l'ambivalenza affettiva, che lo aveva fatto tanto soffrire e dalla quale pure tante sue poesie erano nate. Egli non potrebbe più, oggi, scrivere le Fughe. Le voci sono diventate una voce. La fusione non dev'essere stata rapida né facile […]. Saba sente con gioia che qualcosa di nuovo e di propizio è nato nella sua anima; è questa gioia che lo fa adesso, anche nel dolore, poetare.21

Dal punto di vista del legame con il mondo musicale possiamo ricollegare

Preludio e fughe alla sezione di poco precedente Preludio e canzonette. I generi capitolo 3.

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musicali a cui le due raccolte rimandano sono molto diversi: in una, infatti, Saba richiama il genere della Canzonetta, forma popolare italiana costitutita da strofe chiuse, che si sviluppa nelle corti cinqucentesche. Si tratta di un genere leggero, elegante e melodioso, costruito come melodia accompagnata, che rientra nella più vasta categoria della frottola. La polifonia è di tipo accordale, le melodie sono orecchiabili e la voce superiore concentra il momento espressivo, mentre le altre parti fanno da sostegno armonico. A differenza della Fuga, la Canzonetta esiste anche come genere letterario, tipico dell'Accademia dell'Arcadia. Si tratta di una piccola ode composta da versi brevi (settenari e ottonari), molto scorrevole e cantabile, nell'ottica della ricerca di una forma “melica”, che possa esprimere al meglio l'effusione sentimentale ed elegiaca dei poeti arcadici. La tematica delle canzonette è in genere quella “pastorale”, in cui in una dimensione bucolica si vagheggia una vita ideale, isolata nella realtà storica, dove regnano la semplicità della natura e l'eros galante.

Per quanto riguarda la Fuga, invece, si rimanda ad un genere solo musicale, molto articolato e complesso, emblema dell'epoca barocca. La Fuga è una composizione strumentale o vocale che si costruisce come una conversazione tra una serie di voci che si susseguono sovrapponendosi ed intersecandosi in contrappunto. A differenza della Canzone, non c'è nella Fuga una voce prevalente accompagnata da uno strumento, nessuna voce ha un ruolo secondario e ciascuna ha una parte principale. Come la forma della Fuga sia stata ripresa da Saba nella struttura e nelle intenzioni estetiche si vedrà nei prossimi capitoli.22

La musica, d'altro canto, non viene richiamata solo in queste due raccolte:

22 In particolare, tratterò l'argomento nel capitolo 2, dedicato alla relazione tra Fuga musicale e Fuga poetica.

(20)

ripercorrendo anche a livello sommario i titoli delle poesie di Saba, troviamo che molto spesso vengono utilizzati termini che derivano dall'ambito musicale. Ne cito solo alcuni: La fanfara (da Versi militari), Il canto dell'amore (da Cuor morituro), Ebbri canti (da Mediterranee), Ninna-nanna (da Il piccolo Berto), Violino (da Ultime

cose), Canzonetta nuova (da Cuor morituro), Intermezzo a Lina. Dunque, oltre che a Preludio e canzonette, la raccolta Preludio e fughe è legata a tante altre sezioni del Canzoniere per il fatto che il poeta fa continuo riferimento a elementi musicali, e,

come ogni poeta, è affascinato dal suono per la sua evocatività e la sua capacità di elevare le parole al di sopra del loro significato.

Il gusto musicale, inoltre, bene emerge in tutta la poesia di Saba, nel suo straordinario senso del ritmo e nei preziosissimi giochi di rime e di assonanze che la contraddistinguono. Come il poeta stesso afferma nel già citato saggio Quello che

resta da fare ai poeti, il suono è elemento essenziale della poesia, che la eleva sul

piano divino:

In nessun'arte le inconscie reminiscenze sono più frequenti che in poesia, dove vengono favorite dalla natura stessa e dall'inevitabile virtù del suono, che le imprime indelebilmente nella memoria. Di una poesia non resta solo, come di una prosa, lo spirito che l'animava, ma anche la materia in cui si è incarnato; non è la commemorazione dei protestanti, ma l'ostia del rito cattolico.23

Infine, per la forma dialogica è possibile ricollegare la sezione di Preludio e

fughe alle raccolte successive, a partire da Il piccolo Berto. Nella poesia Berto, il

poeta dialoga con il se stesso bambino, mentre in Quasi un racconto, egli si rivolgerà ad un «tu» che possiamo identificare con la figlia Linuccia. Tutta questa raccolta è pensata come dialogo con la figlia, che, al momento della scrittura dei componimenti (primavera 1951), si trovava lontana dal padre, a Roma. Linuccia è allo stesso tempo

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interlocutrice, soggetto e oggetto del poeta,24 e stimola la produzione del padre.

Possiamo concludere che, nonostante le peculiarità specifiche di Preludio e

fughe, che contraddistinguono la raccolta all'interno del Canzoniere, questa sezione

ha una funzione importante nella “narrazione” che si delinea attraverso le pagine del libro di Saba. Vengono infatti tematizzati sotto forma di voci dialoganti tutti quei dissidi interiori che erano già emersi attraverso la rappresentazione di luoghi, figure e personaggi nelle sezioni precedenti. In seguito, poi, dopo aver attraversato anche la crisi del Piccolo Berto, i contrasti si faranno meno stridenti, più pacati, e comincerà una poetica nuova, definita dal poeta come «una nuova giovanezza».25 Nel descrivere

questa riconciliata fase della sua poesia, che si sviluppa a partire da Parole, il poeta mette in evidenza la possibilità di una coesistenza della gioia e del dolore in un equilibrio che, prima delle fughe, forse non sarebbe stato possibile:

Saba sente con gioia che qualcosa di nuovo e di propizio è nato nella sua anima; è questa gioia che lo fa adesso, anche nel dolore, poetare. La sua Musa è diventata, oltre che più limpida, più lieta; più lieta anche negli accenti di dolore che – disse il Cecchi – «formano il basso continuo di quest'arte» (probabilmente di tutte le arti e di tutte le vite).26

24 Per il rapporto tra Saba e Linuccia nella composizione di Quasi un racconto rimando a Appunti

per la prefazione ad «Amicizia» di Carlo Levi, nel volume Amicizia, Storia di un vecchio poeta e di un giovane canarino, a cura di Carlo Levi, Milano, Mondadori, 1976, pp. 15-17.

25 U. Saba, Storia e cronistoria..., cit., p. 279. 26 Ivi, p. 282.

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2. Fuga musicale e Fuga poetica

In Preludio e fughe Saba esprime il dissidio del suo «cuore dal nascere in due scisso» attraverso il dialogo e la sovrapposizione delle voci che si contrappongono e si scontrano fino a risolversi in «dolcissimi accordi». Così, è attraverso la musica che le diverse “anime” del poeta trovano un equilibrio e si fondono in armonia. La risoluzione di conflitti interiori per mezzo di una regola musicale richiama alla mente un modo di vedere il mondo affine a quello degli antichi. Le «ragioni interne»27 che

hanno portato alla stesura delle Fughe hanno infatti una certa affinità con alcuni aspetti della concezione dell'anima di Platone, espressa in uno dei suoi più importanti dialoghi, Il Fedro. Il primo elemento in comune con la poetica di Saba, seppure con le dovute differenze, è il concepire l'anima non come un'entità semplice, ma come un insieme di parti diverse ben mescolate tra loro. In Platone queste parti vengono definite attraverso la metafora del carro alato guidato da un auriga e tirato da due cavalli, uno bianco e uno nero:

Si raffiguri l'anima come la potenza d'insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dei e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po' sì e un po' no. Innanzitutto, per noi uomini, l'auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l'altro è tutto il contrario ed è di razza opposta.28

In questo passo, l'auriga rappresenta l'elemento razionale (che è la parte immortale dell'anima), il cavallo bianco l'elemento irascibile e il cavallo nero l'elemento concupiscibile. La riflessione sulle parti dell'anima di Platone porta a conclusioni lontane dalla pagine di un poeta del Novecento. Eppure, sia nel mito

27 Id., Secondo congedo, in Il Canzoniere, cit., p. 385. 28 Platone, Fedro, 246 a-b.

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dell'auriga di Platone che nel Preludio di Saba, l'anima viene presentata come sede di una contrapposizione di elementi apparentemente inconciliabili, che nel primo caso sono la razionalità, la concupiscenza e l'irascibilità, nel secondo le nature opposte dei genitori del poeta.

Ancora più interessante è notare come, a distanza di più di due millenni, le conclusioni a cui si giunge per superare il conflitto tra le diverse parti dell'anima siano molto affini. Platone, dopo aver descritto la biga alata, sostiene che all'interno dell'anima debba crearsi un'armonia fra i tre elementi che la compongono, in modo che ognuno di essi svolga il proprio ruolo senza interferire con quello degli altri. Questo è possibile nell'uomo saggio, che riesce a trovare un equilibrio tra queste tre parti armonizzandole in un'unità superiore. Così, nella Repubblica questo concetto viene esposto:

L'individuo non permette che ciascuno dei suoi elementi esplichi compiti propri degli altri, né che le parti dell'anima s'ingeriscano le une nelle funzioni delle altre; ma, instaurando un reale ordine nel suo intimo, diventa signore di se stesso e disciplinato e amico di se medesimo e armonizza le tre parti della sua anima, come perfettamente sintonizzano le tre armonie di una nota fondamentale, bassa alta media, anche se per caso se ne inseriscano altre in mezzo […]. 29

I dissidi all'interno delle diverse parti dell'anima vengono risolti attraverso un accordo, cioè la sovrapposizione di una nota fondamentale, una media e una alta. Per mezzo della musica, dunque, le tre voci coesistono formando un'armonia che non sarebbe stata possibile se esse fossero state una sola nota all'unisono.

Saba, a sua volta, risolve i conflitti interni attraverso la musica, trasformandoli cioè in voci di fughe, che all'inizio si scontrano, ma poi si fondono costruendo un gioco contrappuntistico tale per cui il Soggetto viene passato da una

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all'altra, mescolando tra loro elementi contrari nella maestosa architettura polifonica.

2.1 La Fuga musicale

La Fuga è un tipo di composizione caratteristica del periodo barocco, fondata su procedimenti contrappuntistici imitativi applicati a brani sia strumentali che vocali o ad una combinazione di entrambi. Più che di una forma rigida, si tratta di un procedimento compositivo basato sulla tecnica della elaborazione di un unico elemento tematico. Nella costruzione della Fuga, infatti, si parte dall'esposizione di questa idea tematica (denominata Soggetto), che rimane fondamentalmente inalterata nella sua struttura intervallare e ritmica nel corso della composizione. Il Soggetto viene esposto prima da una singola voce, poi si alterna tra le diverse parti o voci (nella maggior parte dei casi tre o quattro), prima nell'ambito di tonica, poi in quello di dominante, assumendo, in questo caso, la definizione di Risposta. Al Soggetto e alla Risposta viene sovrapposta un'altra voce, scritta liberamente secondo le regole del contrappunto, denominata Controsoggetto, che può comparire a sua volta in tonica o in dominante. La tecnica compositiva utilizzata nella Fuga è quella dell'Imitazione, procedimento per cui, enunciato del materiale motivico ad una voce, che prende il nome di Antecedente (o Dux), lo stesso materiale viene assunto, subito dopo, ad un'altra voce, che prende il nome di Conseguente (o Comes). Quindi, nella Fuga, il Soggetto compare nel corso della composizione in tutte le voci, accompagnato via via da elementi sempre diversi.

La Fuga, come abbiamo detto, non è una forma fissa, ma un procedimento compositivo che si è evoluto nel tempo e ingloba sotto la stessa definizione

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componimenti con strutture anche molto diverse tra loro, caratterizzate da varianti che non possono rientrare in schemi formali troppo rigidi. Tuttavia, un modello generale di base si può ritrovare nella cosiddetta Fuga “scolastica”, che è stata regolamentata a partire grosso modo dal XIX secolo,30 sulla quale i singoli

compositori, sia prima che dopo la sua codificazione, hanno apportato le proprie modifiche. Questo modello si costituisce di quattro elementi:

1) Esposizione: Soggetto (alla tonica) + Risposta (alla dominante) con

Controsoggetto;

2) Episodi o Divertimenti: sezioni transitorie modulanti poste tra le varie

repliche del Soggetto;

3) Repliche: ripresentazioni del Soggetto con le relative risposte nelle tonalità

attigue a quella fondamentale;

4) Stretto: entrata ravvicinata della Risposta al Soggetto sempre nell'ambito di

tonica e dominante.31

L'Esposizione solitamente consiste in quattro fasi tematiche, durante le quali ogni voce entra dopo l'altra esponendo il motivo principale (il Soggetto o la Risposta). La voce che ha esposto questo motivo canta poi il Controsoggetto sopra l'entrata tematica successiva. Tra Soggetto (o Risposta) e Controsoggetto la stessa voce può avere una coda che ha la funzione di collegare il motivo principale e il Controsoggetto, e di preparare l'entrata successiva. Schematicamente, quindi, la

30 Lo schema della Fuga “scolastica”, essendo stato elaborato a fini didattici successivamente al periodo barocco, presenta alcune caratteristiche diverse rispetto alla forma della Fuga del XVII-XVIII secolo. Infatti nella Fuga barocca, che si può a sua volta differenziare in diversi modelli, la forma più diffusa è quella in cui, dopo l'Esposizione degli elementi “fissi”, ogni Divertimento è seguito da una replica di Soggetto e/o Risposta, anche in tonalità affini, con o senza Controsoggetto. Testi di riferimento per l'approfondimento della forma e della storia della Fuga sono: B. Zanolini, Tecnica del contrappunto strumentale nell'epoca di Bach, Suvini Zerboni, Milano, 1990; A. Mann, Lo studio della Fuga, La storia e i testi classici, A cura di Riccardo Culeddu, Astrolabio, 1986.

31 Questo schema è riportato dalla sezione dedicata al Lessico del Dizionario Enciclopedico

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struttura dell'Esposizione risulta:32

Voce 1 Soggetto +/- Coda Controsoggetto Parti libere

Voce 2

Risposta +/-Coda

Controsoggetto Parti libere

Voce 3

Soggetto +/-Coda

Controsoggetto

Voce 4 Risposta

Le voci non impegnate nelle parti obbligate (Soggetto, Risposta o Controsoggetto) eseguono parti libere, in contrappunto imitativo. L'ordine di entrata può essere uno qualsiasi, per cui la prima voce può essere il Basso come il Soprano come una delle voci interne (Contralto o Tenore). Il collegamento tra le diverse esposizioni del tema è dato dai Divertimenti di transizione, che hanno la funzione di rompere la simmetria del procedimento delle entrate.33 Dopo la nuova esposizione

del Soggetto, poi, spesso troviamo un Pedale, che può poggiare sulla dominante oppure fondarsi sulla tonica, specialmente se usato per rafforzare il momento conclusivo candenzale della Fuga.

32 Riporto la tabella dalle dispense di Analisi del M° Fabio De Sanctis De Benedictis scritte per i corsi superiori dell'Istitituto Musicale “P. Mascagni” di Livorno.

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Nella seguente fuga di Johann Sebastian Bach sono stati evidenziati in colori diversi i vari elementi “obbligati” che ne caratterizzano la struttura formale. Si tratta della Fuga in do minore, tratta dal Clavicembalo ben temperato, vol. I, scritto nel 1722, durante la permanenza di Bach a Köthen. In verde ho evidenziato il Soggetto, in rosso la Risposta, in azzurro il Controsoggetto. Come si può vedere, questi elementi si presentano, di volta in volta, in voci diverse e spesso all'ascolto sono quasi irriconoscibili, circondati dalle altre voci che si sovrappongono ad essi. In grigio poi sono stati evidenziati anche i Divertimenti, che sono episodi di transizione posti tra le diverse esposizioni degli elementi “fissi”.

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In questo esempio di fuga a tre voci, il Soggetto (in do minore) si presenta dapprima nella voce del Contralto (la seconda voce nel pentagramma in chiave di violino), per poi essere passato al Soprano (la voce più acuta) in ambito di dominante (e quindi come Risposta).34 Ritorna infine, dopo una progressione che dura due

battute e che si basa sul primo inciso ritmico del Soggetto, alla voce del Basso, ancora una volta nella tonalità d'impianto. Il Soggetto e la Risposta vengono contrappuntati con il Controsoggetto, l'elemento fisso della Fuga che si sovrappone agli altri due adattandosi alla loro tonalità. Seguono poi, evidenziati in grigio, gli episodi dei Divertimenti, che ricavano il proprio materiale dal Soggetto e dal Controsoggetto. Il primo Divertimento funge da collegamento modulante alla ripresentazione del Soggetto nella tonalità di mi bemolle, che è la relativa maggiore di do minore e dunque rimane vicina alla tonalità d'impianto. Il secondo Divertimento riconduce alla Risposta in ambito di dominante, presentata nella seconda voce (Contralto), mentre il Controsoggetto si trova nella voce del Soprano. Il terzo episodio modulante porta alla nuova affermazione del Soggetto in tonica, che è affidata alla voce del Soprano. Da questo momento in poi, si rimane in ambito di tonica, poiché l'ultimo Divertimento, che è anche il più lungo, non è modulante (non porta cioè a tonalità diverse), ed è seguito dall'affermazione del Soggetto nella voce del Basso. La fuga si conclude poi con la nuova enunciazione del Soggetto nella sua forma e registro originali, accompagnato questa volta da un Pedale di tonica al basso e da accordi di riempimento al Contralto.

La fuga che abbiamo appena preso in esame rispetta in modo abbastanza

34 Per la precisione, si tratta in questo caso di una Risposta tonale, che rimane cioè vicina all'ambito di tonica. Infatti, nella trasposizione dell'intero Soggetto una quinta superiore (dominante), viene sostituita la nuova dominante con la tonica, per cui non si ha una vera e propria modulazione, ma una trasposizione in ambito di dominante che rimane tuttavia nella tonalità d'impianto.

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lineare la forma della Fuga “tipica”: è composta infatti da una Esposizione, dei Divertimenti di transizione, da nuove esposizioni degli elementi “fissi” anche in tonalità diverse da quella d'impianto, infine termina con un Pedale che accompagna la riaffermazione del Soggetto in tonica.35

Tuttavia, nella forma della Fuga possono rientrare numerosi tipi di composizione, la cui architettura può essere anche molto più complessa di questa, e la cui struttura formale varia a seconda del periodo storico e del gusto del compositore. Possono comparire ad esempio nuovi elementi e le parti “obbligate” possono essere presentate in forma variata, con fioriture, con cambiamento degli intervalli, con retrogradazione, con inversione, o con una combinazione di tutti questi procedimenti.

2.2 La Fuga poetica

Quando Saba si accinse a comporre le Fughe aveva dei modelli specifici, che sono le fughe per violino contenute nelle tre Sonate per Violino solo scritte da Johann Sebastian Bach. Come sappiamo, la passione per il violino aveva accompagnato il poeta sin da adolescente, seppure il suo sogno di diventare un grande concertista era presto svanito, come egli stesso scrive nella poesia Violino della raccolta Ultime

cose:

35 Come questo esempio testimonia, la Fuga barocca si differenzia dalla fuga “scolastica” per l'assenza della sezione distinta degli Stretti (anche se in rari casi essa può comparire). Talvolta, invece, anche se non in questo caso, nella Fuga barocca vengono presentate formule di Stretto nelle ripercussioni del Soggetto durante i Divertimenti, oppure tutta la Fuga può essere configurata come uno Stretto.

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mio violino, sostegno della difficile età, di lei nato

miraggio, a oscure inquietudini porto, che il mio dono non eri.

A te nei sogni rivivo, a quando a quando, di una notte. (Violino, in Ultime cose, vv. 6-11)

In Storia e cronistoria Saba ricorda che il violino, seppure non fosse il suo “dono”, fu il primo oggetto nel quale egli riversò il suo bisogno di esprimersi attraverso l'arte e perciò costituì una tappa fondamentale verso la sua dimensione poetica. La mancanza di orecchio, tuttavia, non precludeva al poeta il suo gusto musicale, perciò

le Sonate per violino solo di Sebastiano Bach, che egli non fu certamente mai in grado di eseguire, lo affascinavano in modo singolare, anche per motivi estranei, in parte, alla musica. Soprattutto lo aveva colpito una Fuga, che di quelle Sonate fa parte, e della quale si era provato a decifrare le prime note. […] Ora accadde che un giorno – udendo una sua nipotina eseguire al piano alcuni esercizi, Saba ebbe egli pure la sua “strana idea”; quella – come gli diceva più tardi, ridendo, Italo Svevo – di «suonare il violino sul piano». […] Si proponeva, in una parola, di eseguire al piano i pezzi – gli studi – che, da ragazzo, non era riuscito a eseguire sul violino; fra questi la famosa Fuga di Bach. […] Per Saba quella di «suonare il violino sul piano» si trasformò – altre circostanze aiutando – nel libro che adesso s'intitola Preludio e

fughe.36

Dunque, la «ragione esterna» della composizione di Preludio e fughe è legata all'idea di trascrivere una fuga per violino sul pianoforte e poi di tradurla attraverso il linguaggio poetico. Ora, sebbene la musica sia un elemento fondamentale della scrittura in versi per l'importanza del suono e del ritmo, è difficile in poesia fare “polifonia”, cioè sovrapporre concretamente voci diverse come nella musica. Tuttavia nelle fughe di Saba questo è stato possibile. Penso alle voci come al

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Soggetto, alla Risposta e al Controsoggetto. La differenziazione delle voci è data dal carattere tipografico diverso; esse si alternano in modo fitto conquistando il proprio spazio attraverso il loro inseguirsi, richiamarsi, evocarsi, fondersi nel lessico e nel contenuto semantico. La forma della Fuga, poi, è data dallo schema metrico rigoroso, che Saba costruisce, come vedremo nei capitoli successivi, anche attraverso l'utilizzo di forme rigide, chiuse e tradizionali. Il disegno polifonico e armonico, infine, è dato dai continui giochi di assonanze, rime e figure retoriche che collegano le voci dal punto di vista metrico, sintattico e ritmico.37 A livello sonoro, ad esempio, troviamo

numerose assonanze e rime tra parole appartenenti a voci diverse. Ripercorrendo tutte le Fughe, riporto quelle più significative tra voci diverse, che costituiscono la polifonia dei versi (la diversità delle voci è data dal carattere tipografico ed è dell'autore):

Prima fuga: cuori / fuori (vv.10-11); carbone, disperazione, carbone, errore,

dolore (vv. 2, 12, 19, 24, 32) / illusione, persone, carbone (vv. 25, 27, 36); tu / blu (vv. 31-33); Taci / taci, taci (vv. 47, 48, 50).

Seconda fuga: dono / dono (vv. 10-11); puoi / poi (vv.14-15), cara / amara

(vv.13-16).

Terza fuga: tutta costruita secondo un gioco di rime per cui ad ogni verso di

una voce rima un verso dell'altra voce.

Quarta fuga: mondo / profondo (vv. 2-4); cammino / destino (vv. 6-8);

segreta / vieta (vv. 9-11); sai / assai (vv. 13-15); visione / immaginazione (vv. 14-16).

37 La corrispondenza tra gli elementi poetici e gli elementi musicali mi è stata suggerita dalla tesi di I. Comar, Preludio e fughe...cit.

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Quinta fuga: altra / scaltra (vv. 10-12); luna / duna / nessuna (vv. 17-18); sono / sono / «sono» (vv. 13, 24, 42); cosa / cosa (vv. 34-38); sface / pace

(vv. 44-45); sola / sola (vv. 47-48); debolezza / ebbrezza (vv. 50-51); menti /

accenti (vv. 52-53).

Sesta fuga: Ogni intervento delle voci inizia e termina con la parola «cosa»

preceduta da diversi aggettivi (dolce, unica, lor, grande, lieta, altra, breve), con l'eccezione del terzo intervento della terza voce che termina con «amore», del quarto intervento della prima e della seconda voce che inizia e finisce con «amore», e del quarto intervento della terza voce che inizia con «amore» per terminare di nuovo con «cosa». Un'altra eccezione è data dal finale della seconda voce al v. 272 e dall'inizio della terza voce al v. 273, che presentano a fine verso la parola «supplizi». Infine, l'ultimo intervento della seconda voce termina con «ancora», ripetuto al verso seguente per bocca della terza voce, che finisce il componimento con la parola «voi». Al di là delle eccezioni, tuttavia, la ricorrenza della parola «cosa» all'inizio e alla fine degli interventi di tutte le voci, ricorda l'esposizione del Soggetto, che si ripete in diverse voci della Fuga musicale.

Settima fuga: tutti i versi finali delle strofe lunghe (prima voce) rimano con

quelli iniziali delle strofe corte (seconda voce) e viceversa: estremo / tremo (vv. 7-8); aperta / Esperta (vv. 11-12); matura / Oscura (vv. 18-19); tremante / Amante (vv. 22-23); ecc.

Ottava fuga: cuore / vapore (vv. 2-3); sera / riviera (vv. 6-7); prima / cima

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Nona fuga: nelle strofe, tutte di quattro versi, i primi due (prima voce)

rimano con gli ultimi due (seconda voce) secondo lo schema di rima alternata AbAb.

Decima fuga: imploro / esploro / moro / oro (vv. 1-8-9-16); sponda / onda

(vv. 4-5); quiete / liete (vv. 6-7); sonoramente / silente (vv. 10-11); viene /

tiene (vv. 12-13); acque / piacque (vv. 14-15).

Undicesima fuga: come nella Settima fuga, tutti i versi finali delle strofe

lunghe (prima voce) rimano con quelli iniziali delle strofe corte (seconda voce) e viceversa: affetto / diletto (vv. 7-8); tempo / tempo (vv. 11-12);

amare / cantare (vv. 18-19) ecc.

Dodicesima fuga: azzurri (vv. 1-17-33) / sussurri (vv. 16-32-48); rimando /

esultando (vv. 2-3); lontani / mani (vv. 6-7); ingigantita / vita (vv. 10-11); strana / vana (vv. 12-13); Eppure / sventure (vv. 14-15); scornato / beato (vv. 30-31); rispondo / giocondo (vv. 34-45); distrutto / tutto (vv. 42-43); parvenze / assenze (vv. 44-45).

Spesso accade che le due voci delle fughe si alternino all'interno dello stesso verso. Così, non ci sono pause che le dividono, ma al contrario esse si sovrappongono, trovando il proprio spazio l'una in quello dell'altra, spesso anche riprendendosi a livello lessicale, generando così una struttura armonica oltre che melodica. A volte, la stretta vicinanza tra le due voci provoca un certo stridore all'interno del verso, poiché vengono espressi concetti opposti in modo molto ravvicinato:

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il cuore / dell'uomo è un antro di castigo. È bello (Prima fuga, vv. 7)chiusi domani. Ed altri s'apriranno, (Prima fuga, v. 22)

il male / che passa e il bene che resta. Il mio bene (Prima fuga, vv. 44-45)

l'acerba primavera. Ed io l'autunno, (Quinta fuga, v. 14)

un lume rosso / acceso fra le brume. Io un lume verde, (Quinta fuga, vv. 26-27)

Altre volte, la polifonia viene data dalla ripetizione lessicale che lega una voce all'altra all'interno dello stesso verso:

chiamo per questo i non nati. I non nati (Prima fuga, v. 42)il principio e la fine. Ed io il principio (Quinta fuga, v. 40)Ne serba l'Eco il ricordo? Ne serba. (Dodicesima fuga, v. 8)esisto. Esisti; ma le mie sventure (Dodicesima fuga, v. 15)

Nella Seconda, nella Quarta, nell'Ottava e nella Decima fuga, il sovrapporsi delle due voci è dato dai continui cambi i voce all'interno dello stesso verso, in un fittissimo dialogo che fa risuonare le due voci insieme. In particolare, i versi che presentano entrambe le voci sono:

Seconda fuga: vv. 2, 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12, 13

Quarta fuga: vv. 4, 5, 8, 11, 13, 15

Ottava fuga: vv. 9, 10, 11, 13

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Così, in poesia, attraverso questi artifici retorici, si costituisce una profondità temporale per cui le voci non vanno pensate come successione melodica, ma come sovrapposizione armonica. Proprio come nella Fuga musicale, si aprono le porte della temporalità: non c'è uno scorrere lineare del tempo, ma attraverso le voci melodiche sovrapposte esso si dilata e si comprime a seconda della densità polifonica, si moltiplica nelle voci, torna indietro attraverso procedimenti di elaborazione tematica e infine ritorna in se stesso nella ripresa del motivo principale. In questo senso le fughe di Saba risolvono una dicotomia che ricorre in modo quasi ossessivo in tutto il Canzoniere, quella della contrapposizione tra passato e presente,38 che tanto fa soffrire il poeta, ma che nei versi delle fughe si sublima in un

eterno attimo musicale.

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3. Analisi dei testi sulla base delle dicotomie

Come ho accennato in precedenza, il Preludio anticipa e introduce le tematiche di tutta la raccolta. In questo componimento il poeta richiama a sé le voci che rappresentano i dissidi interiori, che assumeranno forme e parvenze diverse nelle fughe, prima di risolversi definitivamente in «dolcissimi accordi». Per la sua importanza ai fini della comprensione della raccolta poetica, ne riporto il testo integrale:

Preludio

Oh, ritornate a me voci d'un tempo, 1

care voci discordi!

Chi sa che in nuovi dolcissimi accordi io non vi faccia risuonare ancora?

L'aurora 5

è lontana da me, la notte viene. Poche ore serene

il dolore mi lascia; il mio e di quanti esseri ho intorno.

Oh, fate a me ritorno 10

voci quasi obliate!

Forse è l'ultima volta che in un cuore – nel mio – voi v'inseguite.

Come i parenti m'han dato due vite,

e di fonderle in una io fui capace, 15

in pace

vi componete negli estremi accordi, voci invano discordi.

La luce e l'ombra, la gioia e il dolore

s'amano in voi. 20

Oh, ritornate a noi care voci d'un tempo!

Il termine Preludio deriva dal latino prae=prima e ludere=giocare,

rappresentare e suonare. In musica, questo termine appartiene prevalentemente al

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storico il termine appare per la prima volta nella letteratura per organo del XV secolo e designa un componimento che precede una serie di altri brani musicali del tipo musica di danza. Il Preludio è generalmente breve ed è basato in prevalenza su un motivo che viene ripetuto più volte con delle modifiche non sostanziali. Originariamente, la funzione che il Preludio ha nella pratica strumentale è quella di provare lo strumento, definire la tonalità, entrare nell'atmosfera dei brani che seguono. Nella storia della musica, poi, il Preludio ha assunto anche forme diverse ed ha perso la sua funzione prolusiva, divenendo una composizione autonoma. Questo sviluppo, tuttavia, non riguarda l'ispirazione poetica di Saba, che invece fa riferimento al Preludio delle origini, le cui caratteristiche principali sono quelle della brevità e del monotematismo. Nel Preludio della raccolta poetica, infatti, possiamo riscontrare entrambi questi caratteri. Il “tema” del Preludio di Saba è costituito dall'invocazione alle voci da parte del poeta, che le prega di tornare a sé per poterle risolvere in «dolcissimi accordi». Questo tema viene presentato all'inizio della prima strofa e poi ritorna, leggermente variato, alla fine della seconda e della quarta strofa:

Oh, ritornate a me voci d'un tempo, care voci discordi!

(vv.1-2)

Oh, fate a me ritorno voci quasi obliate! (vv.10-11)

Oh, ritornate a noi care voci d'un tempo! (vv. 21-22)

Il ritorno del tema, enfatizzato dall'anafora, introduce all'atmosfera che sarà poi presente in tutte le fughe, in cui le «care voci discordi» prenderanno forma in

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«amabili parvenze del mondo esterno»,39 come il mare e la sponda (Decima fuga) o

la fogliolina e la fresca vernice di un vapore (Ottava fuga), oppure saranno una più eterea rappresentazione dell'animo «in due scisso» del poeta, come l'anima stanca e l'anima di fresco nata (Seconda fuga). Nella prima esposizione del tema il poeta richiama alla mente le «voci» che, sebbene «discordi», gli sono care poiché vivono nel ricordo; nella seconda aggiunge che le voci sono nel presente quasi dimenticate; nella terza la richiesta del poeta alle voci non è più quella di tornare «a me», ma «a noi». Possiamo interpretare l'utilizzo della prima persona plurale in due modi: il primo fa derivare il “noi” dal fatto che, alla fine del Preludio, le voci hanno risposto all'invocazione del poeta ed hanno già fatto ritorno. In questo caso del “noi” fanno parte, oltre all'“io”, anche le voci che sono riaffiorate nel suo animo. L'altra possibilità è che nel “noi” il poeta includa non solo se stesso, ma anche tutti gli uomini che sentono di avere dei dissidi interiori, invitando quindi anche i propri lettori a far riemergere i contrasti interni, per risolverli attraverso la presa di coscienza della loro esistenza.

Per quanto riguarda la brevità, la caratteristica è rispettata attraverso la scrittura di un componimento di forma perfettamente simmetrica, che alterna una strofa breve di quattro versi ad una strofa lunga di sette versi per due volte. Le prime due strofe hanno lo stesso numero di versi, la stessa alternanza di metri e lo stesso schema di rime delle ultime due strofe e, a rendere la poesia circolare, l'ultimo verso è rimato con il primo con rima identica della parola-chiave «tempo». Lo schema di rime è AbBC cDdEffg; mentre la sequenza di versi è: endecasillabo, settenario, due endecasillabi, trisillabo, endecasillabo, settenario, endecasillabo, quinario, due settenari.

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Dal punto di vista semantico, nel Preludio possiamo trovare anticipate tutte le dicotomie che prenderanno poi corpo e spessore nel corso delle fughe. Nella prima quartina, ad esempio, emerge una delle coppie di elementi contrari più tipica di tutto il Canzoniere, e in particolare della raccolta Preludi e fughe, quella tra passato e presente. Le voci appartengono al passato, ma vengono rievocate nel presente: il proposito del poeta è quello di far riemergere le voci che sono ora sprofondate nell'inconscio in modo tale da poterle risolvere definitivamente in «nuovi dolcissimi accordi». Nella raccolta Il piccolo Berto, le due voci saranno personificate dal bambino e dal poeta adulto che dialoga con lui, e, a partire dalle sezioni successive, esse saranno definitivamente fuse in un unico punto di vista. Le altre grandi dicotomie anticipate dal Preludio sono quelle tra gioia e dolore (che si può assimilare a quella tra luce ed ombra) e tra vita e morte. Nei paragrafi che seguono, analizzerò le poesie della raccolta sulla base della presenza di queste dicotomie.

3.1 Passato e presente

Le voci delle fughe solitamente sono divise tra quella ottimista e quella pessimista: la seconda vive in un presente cupo, che rimpiange un passato sereno, mentre la prima si può collocare in un presente pieno di gioia senza rimpianti per il passato. Il contrasto tra passato e presente si può ritrovare, in modo più o meno esplicito, in numerose fughe, che qui ripercorrò nei loro tratti più significativi.

Nella Prima fuga, ad esempio, si fa riferimento al passato attraverso l'uso del tempo verbale ai vv. 46-47, dove, in anafora, si ripete il verbo «passare» coniugato al passato remoto:

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Il mio bene

passò, come il mio male, ma più in fretta passò; di lui nulla mi resta.

(Prima fuga, vv. 45-47)

Il contrasto tra presente e passato è qui legato a quello tra male e bene, per cui nel passato è esistito un qualche bene per la voce che parla (la prima), ma nel presente non rimane niente di esso, se non il ricordo. Passato-presente e bene-male si scontrano stridendo attraverso una fitta rete di figure retoriche legate al suono: l'allitterazione della m nel sintagma mio male (e più in generale delle nasali nelle parole mio (bene), mio male, ma, nulla, mi), l'assonanza fretta / resta, l'anafora

passò / passò, il parallelismo mio bene / mio male, l'allitterazione della l in lui nulla.

La densità di significato viene così sostenuta e supportata dal suono, che, legandosi imprescindibilmente al valore semantico, lo intensifica attraverso il ritorno degli stessi suoni. Il passato si ritrova nell'ultimo intervento della prima voce, che rivolge alla seconda in questi termini:

Anche tu taci,

voce che dalla mia sei nata, voce d'altri tempi serena; se puoi, taci; (Prima fuga, vv.48-50)

In questi versi possiamo cogliere un'informazione importante sulla genesi delle due voci: quella ottimista è nata da quella pessimista, e perciò esse non sono altro che la stessa voce declinata in due modi diversi. La voce «serena», tuttavia, dal punto di vista di quella pessimista, rimane ancorata al passato, ad «altri tempi», legata soltanto al ricordo. E il passato in qualche modo sereno non vuole essere rievocato dalla prima voce, bensì cancellato. Essa infatti impone alla seconda di tacere attraverso un imperativo sostenuto dall'allitterazione della t (tu taci), poiché vuole rimanere chiusa nel «nero magazzino di carbone», senza intravedere «l'azzurro

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mare» e il «cielo che gli è sopra».

L'ultimo accenno al passato è nella disperata esclamazione della seconda voce, posta fra trattini negli ultimi due versi, che prova in extremis a ricordare alla prima voce quanto anche lei in passato abbia provato il sentimento della dolcezza:

- oh, quanto in te provavi nel dir dolcezza! -

(Prima fuga, vv. 55-56)

In generale, dal punto di vista della prima voce, il passato è legato al bene, anche se esso rimane molto remoto e sfumato nel ricordo, mentre il presente è caratterizzato dalla perdita della speranza. La seconda voce invece si inserisce in un tempo presente sereno, espresso in modo luminoso nel suo secondo intervento:

È bello il cielo a mezzo la mattina, è bello il mar che lo riflette, e bello è anch'esso il mio cuore: uno specchio a tutti i cuori viventi.

(Prima fuga, vv. 7-11)

La bellezza in cui la seconda voce si immerge è sottolineata dalla quantità elevata di figure retoriche. La più evidente è la ripetizione del sintagma «è bello» in punti diversi del verso, che si ripete in epifora ai vv. 7-8 e ritorna al v. 9, con inversione chiastica di verbo / aggettivo «bello è». Come a voler dipingere attraverso il suono l'azzurro del mare e del cielo troviamo l'anafora dell'articolo il, l'allitterazione della m in «mezzo la mattina», la ripetizione con cambio di numero cuore / cuori, gli enjambements in tutti i versi citati. Dal punto di vista semantico è significativa l'identificazione del cuore del poeta (nella seconda voce) con il mare, che ritroveremo in altri componimenti (in particolare, come vedremo, nella Decima

fuga), attraverso la funzione del rispecchiare. Così come il mare rispecchia il cielo,

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vita» condivisa con la totalità degli esseri viventi.

Nella Prima fuga troviamo anche il contrasto tra tempo presente e futuro:

Oggi i tuoi occhi,

del nero magazzino di carbone,

vedono il cielo ed il mare, al contrasto, più luminosi: pensa che saranno chiusi domani. Ed altri s'apriranno,

simili ai miei, simili ai tuoi.

(Prima fuga, vv. 18-23)

Nel futuro, le due voci si incontreranno nello stesso destino, per cui entrambe dovranno chiudere gli occhi, per lasciare il posto ad altri occhi, che saranno a loro simili. Nel parallelismo del v. 23, «simili ai miei, simili ai tuoi», si coglie la vicinanza tra le due voci, che nel presente sembrano contrastanti, ma che si somiglieranno nel momento della morte. La concezione del tempo circolare, per cui ad occhi che si chiudono corrispondono altri occhi che si aprono, si può ritrovare in tutta l'opera poetica di Saba, e viene tematizzata esplicitamente nell'ultima strofa della poesia Il borgo in Cuor morituro, che cito per intero:

Ritorneranno, o a questo

Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni del fiore. Un altro

rivivrà la mia vita,

che in un travaglio estremo

di giovinezza, avrà per egli chiesto, sperato,

d'immettere la sua dentro la vita di tutti,

d'essere come tutti

gli appariranno gli uomini di un giorno d'allora.

(Il borgo, in Cuor morituro, vv. 75-87)

In questo componimento il poeta si inserisce nel cerchio della vita, per cui il nascere di alcuni sgorga dal morire di altri, in un tempo che scorre in modo circolare, ritornando continuamente sul proprio percorso. Lo stesso Saba espliciterà questa

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concezione del tempo nella Scorciatoia n. 51: «Il tempo è rotondo; ritorna in se stesso». In questo senso, il contrasto tra presente, passato e futuro diventa meno spigoloso, in quanto nell'eternità essi coincidono, come esplicita la prima voce della

Prima fuga:

i non nati non sono, i morti non sono, vi è solo la vita viva eternamente;

(Prima fuga, vv. 42-44)

La «vita che vive eternamente», così sonoramente sottolineata dall'allitterazione della labiodentale v, in contrasto con la nasale n che si ripete nell'espressione «i non nati non sono», cancella il contrasto tra il passato dei morti e il futuro di coloro che non sono ancora nati, in una visione ciclica del tempo che li colloca nella stessa eternità.40

Ripercorrendo le poesie della raccolta, la dicotomia passato-presente si fa ancora più esplicita nella Terza fuga. Fin dalle prime due quartine, le due voci di questo componimento si caratterizzano collocando la propria gioia rispettivamente nel presente e nel passato:

Mi levo come in un giardino ameno un gioco d'acque;

che in un tempo, in un tempo più sereno, mi piacque.

Il sole scherza tra le gocce e il vento ne sparge intorno;

ma fu il diletto, il diletto ora spento d'un giorno.

(Terza fuga, vv. 1-8)

Le immagini che evoca la prima voce rimandano al topos del locus amoenus, ma non lasciano spazio al lettore per immergervisi, poiché, in entrambe le quartine,

40 La visione del tempo ciclico rimanda alla teoria dell'eterno ritorno di Nietzsche, come bene è stato messo in evidenza dal volume di L. Polato intitolato L'aureo anello: saggi sull'opera poetica di

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alla solarità della prima voce viene subito contrapposto il grigiore della seconda. La prima parla al presente, mentre la seconda interrompe questo presente sereno per sprofondare nella desolazione di un altro presente, in cui quelle gioiose immagini si sono ormai spente, relegate al passato attraverso l'utilizzo del tempo passato remoto (mi piacque, fu il diletto). Il passato è evidenziato ancora di più dalle espressioni «in un tempo», ripetuta due volte, e «d'un giorno». Eppure le due voci, così contrastanti, sono legate dal parallelismo metrico (endecasillabo + verso breve, quinario o trisillabo) e da un gioco sonoro costruito in modo tale da far rimare ogni verso con un verso appartenente alla voce opposta: AbAb CdCd. L'allitterazione della s nel sintagma «sole scherza», inoltre, avvicina le due voci dal punto di vista sonoro, in quanto gli unici due aggettivi della seconda voce, «sereno» e «spento», cominciano con lo stesso suono della sibilante sorda e rievocano così, attraverso la loro musicalità, l'immagine del sole che si insinua tra le goccioline, per decretarne definitivamente la scomparsa. Anche in questo caso, dunque, come nella Prima fuga, sembra che la seconda voce sia legata indissolubilmente alla prima, e che, in fondo, non sia altro che un'altra faccia di essa. E infatti, nelle strofe finali, la seconda voce afferma che, al di là del dolore, anche nel presente possiamo trovare del bene, assumendo il punto di vista della prima:

Io lo so che la vita, oltre il dolore, è più che un bene.

(Seconda fuga, vv. 25-26)

Si tratta di un bene che, tuttavia, non rimane a lungo, poiché se la seconda voce ora risulta più ottimista, è la prima che si fa carico delle angosce della vita, facendo rimare quel «bene» con «pene»:

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