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3. Analisi dei testi sulla base delle dicotomie

3.2 Gioia e dolore

Una delle più importanti dicotomie che le due voci delle fughe spesso personificano è quella di gioia e dolore. Come ho accennato in precedenza, solitamente se una voce è gioiosa, l'altra è triste, e non c'è mai una gioia piena o un dolore totale. Molte volte alla voce gioiosa viene associato il colore azzurro, mentre a quella triste si lega il colore nero. Così, nella Prima fuga, la voce triste si colloca in un «nero magazzino di carbone», mentre quella felice si proietta verso il «cielo azzurro». Nella Terza fuga, poi, la gioia si tinge di numerosi colori, mentre il dolore rimane sprofondato nel nero. La prima strofa evoca l'azzurro attraverso l'immagine del gioco d'acque:

Mi levo come in un giardino ameno un gioco d'acque;

(Terza fuga, vv. 1-2)

Nella seconda strofa la luce del sole rimanda al colore bianco:

Il sole scherza tra le gocce e il vento ne sparge intorno;

(Terza fuga, vv. 5-6)

Fiorisco come al verde Aprile un prato presso un ruscello;

(Terza fuga, vv.9-10)

Dopo queste immagini colorate, ancora più cupo, per contrasto, il dolore si tinge di nero. La seconda voce, infatti, che relega al passato qualsiasi forma di felicità, spiega alla prima che nel presente non è possibile rallegrarsi:

Chi sa che il mondo non è che un larvato macello,

come può rallegrarsi ai prati verdi, al breve Aprile?

(Terza fuga, vv. 11-14)

La prima voce, allora, subito trasforma il suo stato d'animo assumendo il colore nero:

Se tu in un cieco dolore ti perdi, e vile,

per te mi vestirò di neri panni, e sarò triste.

(Terza fuga, vv. 15-18)

Nella Quarta fuga, ancora, la prima voce associa alla sua felicità il colore azzurro:

Sotto l'azzurro soffitto è una stanza meravigliosa a noi viventi il mondo.

(Quarta fuga, vv. 1-2)

La seconda voce invece è chiusa in una segreta, e il suo dolore è conseguenza di un «destino cieco e sordo», e perciò legato nell'immaginazione al colore nero:

Da un profondo carcere ascolto. […]

Il destino fu cieco e sordo.

Nella Sesta fuga l'azzurro è riferito al colore della pupilla della terza voce, che personifica la vita contemplativa, o addirrittura, secondo quanto riportato in

Storia e cronistoria,42 è la Poesia stessa:

tutto è puro quando viene all'azzurra mia pupilla, Tanto azzurro è in me di cielo, tanto in me brucia l'amore. con l'azzurra mia pupilla,

(Sesta fuga, vv. 43-44, vv. 143-144, v. 188)

Nella Settima fuga ritorna il colore azzurro associato alla gioia che si nasconde sotto il dolore:

Eppure in fondo, nell'intimo dell'essere, profondo più del dolore, hanno stanza pensieri celesti.

(Settima fuga, vv. 48-51)

Il colore azzurro emerge ancora una volta dalla nera tristezza :

Il gelo si scioglie al fiato della primavera, la nera

terra discopre di germogli piena.

(Settima fuga, vv. 56-59)

Anche la Nona fuga lega l'azzurro alla gioia e il nero al dolore. La prima voce, infatti, paragona il suo stato d'animo al cielo. Tuttavia, dopo qualche verso, nel momento in cui emerge un «mesto pensiero», si affaccia nella sua anima l'immagine dell'ombra, che si associa al colore nero:

Cielo che risplende dopo l'uragano più terso; […]

Ma come un'ombra in me rimane, un mesto pensiero.

(Nona fuga, vv. 1-2, vv. 9-10)

42 Nell'autocommento sabiano troviamo la seguente dichiarazione: «questa terza voce […] potrebbe benissimo essere quella della poesia», in Tutte le prose, cit., p. 256.

Nell'Undicesima fuga, alla gioia viene ancora legato il colore azzurro, mentre al dolore il colore oro delle nubi, presagio di tempesta:

Turchina è ancor la volta del cielo, ma gli ori delle nubi già volgono ai fulgori

supremi.

(Undicesima fuga, vv. 63-66)

Il colore azzurro riemerge anche nella Dodicesima fuga, per bocca della cara «parvenza» dell'Eco, che rimanda al poeta la sua voce:

Io sono l'Eco, e dai recessi azzurri del cielo la tua voce ti rimando.

(Dodicesima fuga, vv. 1-2,)

Le fughe, dunque, oltre ad avere una dimensione musicale, ne hanno anche una figurativa, dal momento che si tingono continuamente di colori che sinesteticamente evocano sentimenti di gioia e di dolore. Si tratta di rappresentare non solo immagini che scolpiscano nello spazio la corporeità delle voci, ma anche di dipingere i loro dettagli e lo sfondo del paesaggio in cui esse si collocano. Le voci delle fughe si trasformano così in sculture e quadri, nel momento in cui il tempo musicale si condensa in un unico attimo che coglie il colore delle voci, il loro spessore, il loro riflesso, le loro luci e le loro ombre.

Il colore delle voci, per come sono rappresentate da Saba, non sarà mai nitido, ma sempre sfumato, poiché gioia e dolore non sono mai pieni e si scambiano, nel corso dei componimenti, da una voce all'altra. Così, nella Terza fuga, se la seconda voce si accorge del bene della vita, la prima, che era gioiosa, diventa preda della tristezza:

Io lo so che la vita, oltre il dolore, è più che un bene.

le pene;

(Terza fuga, vv. 25-28)

Nella Quarta fuga, la prima voce, che vede solo la luminosità della vita, ammette, in fondo, di aver sofferto moltissimo e quindi di aver provato il dolore che è proprio fino ad allora della seconda voce:

Oh tu, che troppo sai farti del mondo una bella visione, hai mai sofferto di te stesso? Oh, assai,

oh al di là di ogni immaginazione!

(Quarta fuga, vv. 13-16)

Le due voci, ancora una volta, risultano essere la stessa voce nel momento in cui si scambiano i sentimenti di gioia e dolore. L'identificazione tra le due voci qui si effettua anche grazie alla ripetizione dell'esclametivo «Oh», che viene messo prima in bocca alla seconda voce e poi, per due volte, alla prima.

Nel già citato articolo di Guido Piovene riguardo al Canzoniere, possiamo leggere come la compresenza di gioia e dolore sia sostanziale nella concezione della natura umana di Saba:

[…] e insieme la coscienza che l'uno e l'altro aspetto, il bene e il male, il dolore e la gioia, sono legati, inseparabili come il corpo e l'ombra, si destano vicendevolmente, e possono essere amati allo stesso modo dell'accettazione piena della nostra natura.43

Dunque, nella natura dell'uomo, che le voci personificano, non è possibile scindere il bene e il male, poiché essi convivono e sono legati indissolubilmente. Già nel Preludio, Saba aveva previsto che nelle voci delle fughe gioia e dolore avrebbero convissuto, si sarebbero addirittura amati:

La luce e l'ombra, la gioia e il dolore s'amano in voi.

(Preludio, vv. 19-20)

E perciò, così come passato e presente hanno sfumato i loro confini nell' «aureo anello» del tempo che torna ciclicamente su se stesso, così gioia e dolore si compenetrano in una visione della vita che non contempla la supremazia dell'uno sull'altro, ma il loro continuo interagire, nutrirsi ed affermarsi vicendevolmente. Così, nel Primo congedo, dalla marea in cui non c'è speranza di salvarsi, il poeta riesce ad alzare ancora la testa. Invece che sprofondare nella disperazione, troviamo la speranza di una gioia che sembra all'apparenza inesistente. Gioia e dolore non possono infatti affermarsi completamente annientando il proprio opposto, ma al contrario, proprio dove la situazione diventa più drammatica e apparentemente senza via di scampo, è possibile trovare uno spiraglio di salvezza. In questa concezione dell'unità di fondo di gioia e dolore si trova un messaggio di speranza: dove il dolore sembra trionfare, il poeta, attraverso la poesia, riesce ancora a sollevare la testa:

Dalla marea44 che un popolo ha sommerso,

e me con esso, ancora levo la testa? Ancora

ascolto? Ancora non è tutto perso? (Primo congedo)

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