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La macrostruttura di Preludio e fughe

4. La struttura di Preludio e fughe 1 Il numero delle fughe

4.2 La macrostruttura di Preludio e fughe

Un interessante studio condotto da A. L. Folena e M. E. Tioli54 ha messo bene

in evidenza la circolarità della struttura delle Fughe. Questo studio considera la Sesta

fuga come un “intermezzo”: sviluppata su tre voci, che si susseguono occupando

quattro quartine di ottonari trocaici ciascuna sempre nello stesso ordine, è costituita da ben 84 strofe. L'ingresso delle voci è definito da un numero e l'ordine di è sempre 1, 2, 3. Tra tutte le fughe questa è la più maestosa, e quella che si differenzia dalle altre, oltre che a livello metrico e di lunghezza, anche dal punto di vista semantico. Come abbiamo visto, in questo componimento si mette in scena un dialogo tra due diverse anime del poeta, quella dell'estroversione e quella dell'introversione, che si confrontano a loro volta con l'anima contemplativa (che, secondo l'autocommento di Saba, può essere interpretata come la Poesia stessa). Questa fuga mi sembra costruita come una sorta di invocazione alle Muse, anche se rovesciata: è la “musa” Poesia che invita le voci a parlare, voci che dipendono da essa, in quanto possono essere espresse solo attraverso versi poetici. Ma a sua volta la Poesia dipende da loro, poiché solo se le voci parlano e bramano di vederla e udirla lei prende consistenza, altrimenti è destinata alla morte:

tanto viva esser mi sento quanto amate il viver mio. Ma se voi tacete, anch'io, ecco, in aere mi risolvo; con voi libera mi evolvo, muoio libera con voi. (Sesta fuga, vv. 331-336)

Perciò, questo componimento è una sorta di dichiarazione della poetica di

tutta la raccolta, e si pone come asse di simmetria a destra e a sinistra del quale possiamo collocare, secondo una precisa logica metrica, gli altri componimenti, cinque da una parte e cinque dall'altra.

A sinistra dell'asse di simmetria costituito dalla Sesta fuga, lo studio di Folena e Tioli ha rilevato similitudini a livello metrico tra la Prima e la Quinta fuga: entrambe sono costituite da 56 endecasillabi a rima sciolta, anche se non mancano rime sparse, assonanze e ripetizioni che danno una forte omogeneità interna ai due componimenti. Le rime, spesso, sono anche tra versi lontani tra loro, e a volte sono identiche, soprattutto quando si tratta di parole “chiave”, ad esempio, nella Prima

fuga, carbone : carbone : carbone (vv. 2-19-36); bello : bello (vv.7-8); vita : vita (vv.

23-51); taci : taci : taci (vv. 47-48-50); nella Quinta, sono : sono: sono (vv. 13-24- 41), amo : amo (vv.29-30), sola : sola (vv. 47-48). Rime normali sono numerose in entrambi i componimenti: nella Prima, ad esempio, troviamo cuori : fuori (vv. 10- 11), saranno : apriranno (vv. 22-23), tu : blu (vv. 31-33), siede : vede (vv. 53-54); nella Quinta, ostenti : accenti (vv.6-7), altra : scaltra (vv.10-12), luna : duna :

nessuna (vv. 17-18-19), navigante : andante (vv. 23-28), amo : richiamo (vv. 29-

30), ardito : unito (vv.37-39), sface : pace (vv. 44-45), debolezza : ebbrezza (vv. 50- 51), menti : accenti (vv. 52-53).

A destra dell'asse di simmetria, secondo lo schema proposto dalle due studiose, corrispondono alla Prima e alla Quinta fuga la Settima e l'Undicesima. Queste sono composte da strofe di versi trisillabi ed endecasillabi che si alternano con regolarità: ad una strofa di sette versi a cui corrisponde la prima voce, segue una quartina occupata dalla seconda voce. In tutto i versi sono 88 in entrambe le fughe, il sintagma «La vita» apre tutti e due i componimenti (così come iniziava anche la

Prima fuga), ed entrambe le fughe lasciano il primo e l'ultimo verso irrelato. Le rime

sono così articolate: aBbCCDeeFFg,gHhIILmmNNo ecc. I versi si alternano secondo il seguente schema per entrambe le fughe: trisillabo, endecasillabo, trisillabo, tre endecasillabi, due trisillabi, due endecasillabi, trisillabo.

Nello schema delle simmetrie trovano posto la Seconda, la Quarta, l'Ottava e la Decima fuga, che presentano la stessa forma. Costituite da quattro quartine di endecasillabi, esse seguono il seguente schema di rime: la Seconda ABBACDDC ecc, la Quarta ABABCDCD ecc., l'Ottava e la Decima ABBCCDDE ecc.

A completare il quadro, toviamo la Terza e la Nona fuga, costituite da versi di lunghezza differente, che alternano endecasillabi, trisillabi e quinari secondo il seguente schema di rime: AbAbCdCd ecc. Ecco dunque, in sintesi, la stuttura simmetrica delle fughe (riporto lo schema dell'articolo citato):

Nello studio di Folena e Tioli, tuttavia, a proposito della circolarità della struttura, non vengono presi in considerazione né il Preludio, né la Dodicesima fuga, che si pone a conclusione dell'intera raccolta, prima dei due Congedi. La Dodicesima

fuga, in effetti, è particolare rispetto alle altre, a partire dal numero di voci. Anche la Sesta, come abbiamo visto, è a tre voci, ma questa, per la posizione centrale, per la

come «intermezzo».55 Nella Dodicesima, invece, le tre voci sono trattate anche

graficamente come nelle fughe a due voci, associando al corsivo le voci dell'Eco e dell'Ombra e al carattere normale quella del poeta. Possiamo immaginare che la

Dodicesima fuga sia il punto di arrivo del percorso che era iniziato con il Preludio: le

«voci d'un tempo», che si inseguivano nel cuore del poeta, qui si sono dissolte, e sono state portate al di fuori dell'uomo trasformandosi in «ombre e sussurri», che vivono dipendendo da lui, ma non sono più al suo interno. Il poeta si è emancipato dai suoi dissidi interiori, li ha portati alla luce della coscienza attraverso la scrittura delle fughe e li ha trasformati in proiezioni di se stesso verso il mondo esterno. Le fughe precedenti hanno fatto emergere gli «inconsci conflitti», così come sarà scritto nella Scorciatoia n. 116:

GLI UOMINI infilzati […] in conflitti interni, che neppure sospettano di portare in sé, procedono – re, duci, filosofi, Somme Autorità in testa – verso abissi che un bambino saprebbe loro indicare, e nei quali – tanto piiù ciechi quanto più vicini al pericolo – infallibilmente precipitano.

Anche tu, anch'io... Ma se tu, se io, potessimo portare quelli inconsci conflitti alla luce della coscienza, ne proveremmo un grande, un indicibile sollievo, e quelli risolverebbero – scoppierebbero – in aria come bolle di sapone.56

Come le bolle di sapone, anche l'Ombra e l'Eco sono fuggevoli e impalpabili, eppure esistono, permettono al poeta di accorgersi di loro, e di meravigliarsi di fronte alla loro ineffabilità:

Se t'accorgi di noi, questa è la prova che la vita non t'ha, Uomo, distrutto; che sai ancora stupire.

(Dodicesima fuga, vv.41-43)

La capacità di stupirsi ancora come quando era un fanciullo è il grande

55 U. Saba, Storia e cronistoria, cit., p. 1043. 56 Id., Scorciatoie e raccontini, cit., p. 52.

orgoglio di Saba, è ciò che gli consente di essere un poeta, che fa convivere al suo interno il punto di vista dell'adulto con la spontaneità di un bambino. Ricordo a questo proposito la Scorciatoia n. 14, dove, in una riflessione sull'arte, Saba definisce il poeta come

un bambino che si meraviglia delle cose che accadono a lui stesso, diventando adulto. Ma fino a che punto adulto?

[…] Dante è un piccolo bambino, continuamente stupito di quello che succede a un uomo grandissimo; sono veramente “due in uno”57.

Dunque, le voci sono uscite dal cuore del poeta per vivere grazie a lui nel mondo esterno. Non a caso, la dicotomia interno-esterno, anche se non è stata trattata esplicitamente nel capitolo precedente, ha un ruolo importante nella raccolta

Preludio e fughe. Solitamente, l'interno è legato all'angoscia, alla morte, alla

tristezza, mentre l'esterno rappresenta la gioia di vivere nella luminosità del sole, nell'azzurro del cielo o in giardini fioriti. Prendiamo ad esempio la Prima fuga, dove la prima voce paragona la sua vita ad un nero magazzino di carbone, mentre la seconda si apre verso il cielo azzurro e il mare:

La vita, la mia vita, ha la tristezza del nero magazzino di carbone,

che vedo ancora in questa strada. Io vedo,

per oltre alle sue porte aperte, il cielo azzurro e il mare con le antenne.

(Prima fuga, vv.1-5)

Nella Terza fuga, poi, la prima voce evoca la gioia attraverso immagini di un sereno mondo naturale:

Mi levo come in un giardino ameno un gioco d'acque;

[…]

Il sole scherza tra le gocce e il vento ne sparge intorno;

[…]

Fiorisco come al verde Aprile un prato presso un ruscello.

(Terza fuga, vv.1-2, vv. 5-6, vv. 9-10)

Nella Quarta fuga, ancora, la prima voce vive nella speranza e nella gioia godendo della chiara luce del giorno, mentre la seconda ascolta da un profondo carcere, imprigionata nell'odio e nel disprezzo:

Sotto l'azzurro soffitto è una stanza meravigliosa a noi viventi il mondo. A guardarla nei cuori la speranza e la fede rinasce. Da un profondo

carcere ascolto. (Quarta fuga, vv. 1-5)

Nella Nona fuga la felicità è rappresentata dall'immagine del cielo sereno:

Cielo che slpende dopo l'uragano più terso;

[…]

tale io mi faccio, se da me il dolore vien tolto;

e la felicità torna al tuo cuore, e sul tuo volto.

(Nona fuga, vv.1-2, vv. 5-8)

La dicotomia interno-esterno ripercorre anche le raccolte precedenti a

Preludio e fughe: già nella poesia Il garzone con la carriola, che apre la raccolta

della Serena disperazione, il poeta cercava nel mondo esterno elementi con cui identificarsi per sfuggire alla sua intima sofferenza:

ma se la vita all'interno ti pesa tu la porti al di fuori.

Spalanchi le finestre o scendi tu tra la folla: vedrai che basta poco a rallegrarti: un animale, un gioco, o, vestito di blu,

un garzone con una carriola,

(Il garzone con la carriola, in La serena disperazione, vv. 3-9)

desiderio di uscire da se stesso e mescolarsi con la folla che brulica per le vie del borgo:

Fu come un vano sospiro

il desiderio improvviso d'uscire di me stesso, di vivere la vita di tutti,

d'essere come tutti gli uomini di tutti i giorni.

(Il borgo, in Cuor morituro, vv. 4-11)

Il mondo esterno, dunque, viene visto dal poeta come immagine della speranza, di una gioia di cui può partecipare solo chi sa «osare», chi trova cioè il coraggio di uscire da se stesso. Come si legge nella Settima fuga, però, l'io lirico non riesce a godere della felicità rappresentata dagli elementi del mondo esterno:

Il gelo

si scioglie al fiato della primavera, la nera

terra discopre di germogli piena. Tale è l'anima mia sotto la pena. Che mi vorrebbe a essere felice? Osare.

Mi pare

ch'io lo potrei. Ma nell'attimo sento che più dolce rifugio è il mio tormento antico.

(Settima fuga, vv. 56-66)

Il poeta, dunque, non è capace di un simile atto, poiché tutta la sua forza sta nell'osservare il mondo, e non nell'immergervisi, come aveva espresso nella poesia

Meditazione, della raccolta Poesie dell'adolescenza e giovanili:

Io siedo alla finestra e guardo.

Guardo e ascolto; però che in questo è tutta la mia forza: guardare ed ascoltare.

Tuttavia, nella Dodicesima fuga, ciò che il poeta guarda e ascolta diventa il riflesso di se stesso, personificato nell'Eco e nell'Ombra: l'esterno diventa immagine di quel cuore «dal nascere in due scisso», che trova una sua pacificazione proprio nella proiezione dell'io lirico al di fuori di se stesso. Così il poeta può osservare se stesso diventato parte di quel mondo che sembrava così lontano, e nel quale aveva il desiderio di tuffarsi senza riuscire a trovare il coraggio per farlo. L'Eco si rivolge ad un cuore «onde ogni cura è sgombra», poiché i dissidi interni si sono risolti rispecchiandosi all'esterno. Il poeta perciò si abbandona all'Eco e all'Ombra, che gli promettono di poterlo consolare di molte «amare assenze». Immagino che queste assenze siano le voci «d'un tempo», che attraverso il percorso delle fughe sono svanite come «bolle di sapone» sublimandosi nelle «amabili parvenze» che il poeta può adesso osservare ed ascoltare meravigliato. Nella Seconda fuga, l'anima «di fresco nata» era riuscita a convincere l'anima stanca a donargli la sua dolcezza e poi, che più le piaceva, la sua «essenza amara». Ecco dunque le caratteristiche dell'animo del poeta prima della risoluzione dei conflitti: la dolcezza, insieme all'amarezza, convivevano in lui senza trovare una risoluzione. Quella «essenza amara» si è trasformata, attraverso la sostituzione della “e” iniziale con la “a”, la conversione dal singolare al plurale e il rovesciamento chiastico di aggettivo e sostantivo, in «amare assenze». Queste assenze sono così da identificare con le voci «d'un tempo», che, a partire dalla discordia, sono arrivate alla fine del percorso delle fughe a «risuonare ancora» in «dolcissimi accordi» attraverso la voce dell'Eco e il riflesso dell'Ombra.

Così, mi sembra che sia lecito concludere che la Dodicesima fuga possa entrare a far parte della circolarità della struttura di Preludio e fughe, corrispondendo, al di là dell'asse di simmetria rappresentato dalla Sesta fuga, al Preludio. La

corrispondenza non è in questo caso metrica, ma semantica: quello che con il

Preludio era stato invocato, ovvero la risoluzione dei conflitti interiori, viene qui

realizzato attraverso la proiezione degli stessi conflitti, risolti in «dolcissimi accordi», nel mondo esterno. Ecco dunque un nuovo schema sulla circolarità delle fughe, che riprende quello dello studio di Folena e Tioli, aggiungendo, agli estremi opposti, il Preludio e la Dodicesima fuga:

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