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3. Analisi dei testi sulla base delle dicotomie

3.1 Passato e presente

Le voci delle fughe solitamente sono divise tra quella ottimista e quella pessimista: la seconda vive in un presente cupo, che rimpiange un passato sereno, mentre la prima si può collocare in un presente pieno di gioia senza rimpianti per il passato. Il contrasto tra passato e presente si può ritrovare, in modo più o meno esplicito, in numerose fughe, che qui ripercorrò nei loro tratti più significativi.

Nella Prima fuga, ad esempio, si fa riferimento al passato attraverso l'uso del tempo verbale ai vv. 46-47, dove, in anafora, si ripete il verbo «passare» coniugato al passato remoto:

Il mio bene

passò, come il mio male, ma più in fretta passò; di lui nulla mi resta.

(Prima fuga, vv. 45-47)

Il contrasto tra presente e passato è qui legato a quello tra male e bene, per cui nel passato è esistito un qualche bene per la voce che parla (la prima), ma nel presente non rimane niente di esso, se non il ricordo. Passato-presente e bene-male si scontrano stridendo attraverso una fitta rete di figure retoriche legate al suono: l'allitterazione della m nel sintagma mio male (e più in generale delle nasali nelle parole mio (bene), mio male, ma, nulla, mi), l'assonanza fretta / resta, l'anafora

passò / passò, il parallelismo mio bene / mio male, l'allitterazione della l in lui nulla.

La densità di significato viene così sostenuta e supportata dal suono, che, legandosi imprescindibilmente al valore semantico, lo intensifica attraverso il ritorno degli stessi suoni. Il passato si ritrova nell'ultimo intervento della prima voce, che rivolge alla seconda in questi termini:

Anche tu taci,

voce che dalla mia sei nata, voce d'altri tempi serena; se puoi, taci; (Prima fuga, vv.48-50)

In questi versi possiamo cogliere un'informazione importante sulla genesi delle due voci: quella ottimista è nata da quella pessimista, e perciò esse non sono altro che la stessa voce declinata in due modi diversi. La voce «serena», tuttavia, dal punto di vista di quella pessimista, rimane ancorata al passato, ad «altri tempi», legata soltanto al ricordo. E il passato in qualche modo sereno non vuole essere rievocato dalla prima voce, bensì cancellato. Essa infatti impone alla seconda di tacere attraverso un imperativo sostenuto dall'allitterazione della t (tu taci), poiché vuole rimanere chiusa nel «nero magazzino di carbone», senza intravedere «l'azzurro

mare» e il «cielo che gli è sopra».

L'ultimo accenno al passato è nella disperata esclamazione della seconda voce, posta fra trattini negli ultimi due versi, che prova in extremis a ricordare alla prima voce quanto anche lei in passato abbia provato il sentimento della dolcezza:

- oh, quanto in te provavi nel dir dolcezza! -

(Prima fuga, vv. 55-56)

In generale, dal punto di vista della prima voce, il passato è legato al bene, anche se esso rimane molto remoto e sfumato nel ricordo, mentre il presente è caratterizzato dalla perdita della speranza. La seconda voce invece si inserisce in un tempo presente sereno, espresso in modo luminoso nel suo secondo intervento:

È bello il cielo a mezzo la mattina, è bello il mar che lo riflette, e bello è anch'esso il mio cuore: uno specchio a tutti i cuori viventi.

(Prima fuga, vv. 7-11)

La bellezza in cui la seconda voce si immerge è sottolineata dalla quantità elevata di figure retoriche. La più evidente è la ripetizione del sintagma «è bello» in punti diversi del verso, che si ripete in epifora ai vv. 7-8 e ritorna al v. 9, con inversione chiastica di verbo / aggettivo «bello è». Come a voler dipingere attraverso il suono l'azzurro del mare e del cielo troviamo l'anafora dell'articolo il, l'allitterazione della m in «mezzo la mattina», la ripetizione con cambio di numero cuore / cuori, gli enjambements in tutti i versi citati. Dal punto di vista semantico è significativa l'identificazione del cuore del poeta (nella seconda voce) con il mare, che ritroveremo in altri componimenti (in particolare, come vedremo, nella Decima

fuga), attraverso la funzione del rispecchiare. Così come il mare rispecchia il cielo,

vita» condivisa con la totalità degli esseri viventi.

Nella Prima fuga troviamo anche il contrasto tra tempo presente e futuro:

Oggi i tuoi occhi,

del nero magazzino di carbone,

vedono il cielo ed il mare, al contrasto, più luminosi: pensa che saranno chiusi domani. Ed altri s'apriranno,

simili ai miei, simili ai tuoi.

(Prima fuga, vv. 18-23)

Nel futuro, le due voci si incontreranno nello stesso destino, per cui entrambe dovranno chiudere gli occhi, per lasciare il posto ad altri occhi, che saranno a loro simili. Nel parallelismo del v. 23, «simili ai miei, simili ai tuoi», si coglie la vicinanza tra le due voci, che nel presente sembrano contrastanti, ma che si somiglieranno nel momento della morte. La concezione del tempo circolare, per cui ad occhi che si chiudono corrispondono altri occhi che si aprono, si può ritrovare in tutta l'opera poetica di Saba, e viene tematizzata esplicitamente nell'ultima strofa della poesia Il borgo in Cuor morituro, che cito per intero:

Ritorneranno, o a questo

Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni del fiore. Un altro

rivivrà la mia vita,

che in un travaglio estremo

di giovinezza, avrà per egli chiesto, sperato,

d'immettere la sua dentro la vita di tutti,

d'essere come tutti

gli appariranno gli uomini di un giorno d'allora.

(Il borgo, in Cuor morituro, vv. 75-87)

In questo componimento il poeta si inserisce nel cerchio della vita, per cui il nascere di alcuni sgorga dal morire di altri, in un tempo che scorre in modo circolare, ritornando continuamente sul proprio percorso. Lo stesso Saba espliciterà questa

concezione del tempo nella Scorciatoia n. 51: «Il tempo è rotondo; ritorna in se stesso». In questo senso, il contrasto tra presente, passato e futuro diventa meno spigoloso, in quanto nell'eternità essi coincidono, come esplicita la prima voce della

Prima fuga:

i non nati non sono, i morti non sono, vi è solo la vita viva eternamente;

(Prima fuga, vv. 42-44)

La «vita che vive eternamente», così sonoramente sottolineata dall'allitterazione della labiodentale v, in contrasto con la nasale n che si ripete nell'espressione «i non nati non sono», cancella il contrasto tra il passato dei morti e il futuro di coloro che non sono ancora nati, in una visione ciclica del tempo che li colloca nella stessa eternità.40

Ripercorrendo le poesie della raccolta, la dicotomia passato-presente si fa ancora più esplicita nella Terza fuga. Fin dalle prime due quartine, le due voci di questo componimento si caratterizzano collocando la propria gioia rispettivamente nel presente e nel passato:

Mi levo come in un giardino ameno un gioco d'acque;

che in un tempo, in un tempo più sereno, mi piacque.

Il sole scherza tra le gocce e il vento ne sparge intorno;

ma fu il diletto, il diletto ora spento d'un giorno.

(Terza fuga, vv. 1-8)

Le immagini che evoca la prima voce rimandano al topos del locus amoenus, ma non lasciano spazio al lettore per immergervisi, poiché, in entrambe le quartine,

40 La visione del tempo ciclico rimanda alla teoria dell'eterno ritorno di Nietzsche, come bene è stato messo in evidenza dal volume di L. Polato intitolato L'aureo anello: saggi sull'opera poetica di

alla solarità della prima voce viene subito contrapposto il grigiore della seconda. La prima parla al presente, mentre la seconda interrompe questo presente sereno per sprofondare nella desolazione di un altro presente, in cui quelle gioiose immagini si sono ormai spente, relegate al passato attraverso l'utilizzo del tempo passato remoto (mi piacque, fu il diletto). Il passato è evidenziato ancora di più dalle espressioni «in un tempo», ripetuta due volte, e «d'un giorno». Eppure le due voci, così contrastanti, sono legate dal parallelismo metrico (endecasillabo + verso breve, quinario o trisillabo) e da un gioco sonoro costruito in modo tale da far rimare ogni verso con un verso appartenente alla voce opposta: AbAb CdCd. L'allitterazione della s nel sintagma «sole scherza», inoltre, avvicina le due voci dal punto di vista sonoro, in quanto gli unici due aggettivi della seconda voce, «sereno» e «spento», cominciano con lo stesso suono della sibilante sorda e rievocano così, attraverso la loro musicalità, l'immagine del sole che si insinua tra le goccioline, per decretarne definitivamente la scomparsa. Anche in questo caso, dunque, come nella Prima fuga, sembra che la seconda voce sia legata indissolubilmente alla prima, e che, in fondo, non sia altro che un'altra faccia di essa. E infatti, nelle strofe finali, la seconda voce afferma che, al di là del dolore, anche nel presente possiamo trovare del bene, assumendo il punto di vista della prima:

Io lo so che la vita, oltre il dolore, è più che un bene.

(Seconda fuga, vv. 25-26)

Si tratta di un bene che, tuttavia, non rimane a lungo, poiché se la seconda voce ora risulta più ottimista, è la prima che si fa carico delle angosce della vita, facendo rimare quel «bene» con «pene»:

Le angosce allora io ne dirò, il furore le pene;

(Seconda fuga, vv. 27-28)

Dunque, il presente non può essere totalmente luminoso né totalmente tetro, dal momento che se una voce annuncia un messaggio di gioia, la seconda lo oscura, e se la seconda voce si accorge del bene, la prima le rimanda un'eco di dolore.

I confini tra presente, passato e futuro sembrano sfumarsi nella Quinta fuga, che merita un'analisi più dettagliata. Riporto il testo per intero, ricordando che i corsivi sono del testo originale, usati dal poeta per differenziare le due voci:

M'ascolta, voce fraterna, m'ascolta 1

voce perdutamente un giorno amata: io t'odio e con la mia ti devo spegnere.

Tu m'ami ancora, tu m'amerai sempre,

tu mi sarai sempre congiunta. Forse 5

una certezza che non provi ostenti, forse t'illudi. Nei tuoi cari accenti altro mai non udivo che me stessa, me stessa ed il lontano mio avvenire;

m'erano cari per questo. Non altra 10 cosa in «noi» t'era cara, altro più eterno

in me non ascoltavi? Troppo scaltra

tu mi risuoni, e troppo antica; io sono l'acerba primavera. Ed io l'autunno,

il tardo autunno. Amo i paesi strani, 15

i mari azzurri d'isole fioriti,

dove, come qui il sole, arde la luna.

Ed io le nebbie e la deserta duna.

Se un'isola è tra quelle, cui nessuna

nave approdava, ad essa io voglio giungere, 20

ad essa dare il mio nome. V'è presso

alla duna un fanale: tutta notte risplende solitario, e al navigante il pericolo accenna. Or quello sono

io veramente: un monito a chi stanco 25

rincasa; nella notte un lume rosso acceso fra le brume. Io un lume verde,

in una barca alla ventura andante. Che importa e me degli scogli? Non amo

chi pericoli accenna; altro non amo 30

che me sulla mia barca, e quel richiamo che si rispecchia nell'onda,

che l'onda allunga giù fino ai porti. Restare,

Tutto è sempre in un punto che paurosamente 35 circonda lo stesso infinito.

Il vecchio stanco ed il ragazzo ardito sono anch'essi una cosa? Un aureo anello,

che nel suo giro mirabile ha unito

il principio e la fine. Ed io il principio 40

sono di un'altra primavera; io «sono» la primavera. Ed io l'autunno; un tardo,

un dolcissimo autunno. E quando a sera

il cor d'occulta nostalgia si sface,

vorrei lasciarti, fuggire. Con pace 45 lasciami dunque; sotto l'ingiallito

fogliame parlerò sola a me sola.

Ecco, al pianto m'inclini; ecco, tu sola spegni in me la forza. Oh, non è giusto

che in te io spenga la tua debolezza? 50 Come potresti? Da me nell'ebbrezza

ti slanci, e in me ricadi. E, se non menti, dirai che m'ami. Quando i tuoi accenti

mi sono cari, è perché in essi ascolto,

credo ascoltare, il mio avvenire. O il nostro, 55 invece, il nostro lontano passato?

Questa fuga, ancora più che le altre, è legata alla temporalità. Gli avverbi di tempo abbondano e i tempi verbali si alternano continuamente tra passato, presente e futuro. Ecco una lista di tutti gli avverbi, i sostantivi, gli aggettivi e le locuzioni riferite al tempo: «un giorno» (v. 2), «ancora», «sempre» (v. 4), «sempre» (v.5), «mai» (v.8), avvenire» (v. 9), «eterno» (v.11), «antica» (v.13), «tardo» (v.15), «avvenire» (v. 55), «passato» (v. 56).

Come si può notare da questo elenco, i termini riferiti al tempo sono abbondanti nei primi quindici versi, per riaffiorare poi negli ultimi due, che tematizzano esplicitamente la dicotomia tra l'«avvenire» e il «passato». La parte centrale della poesia si svolge invece nel presente, e si muove nella dimensione spaziale più che in quella temporale. In generale dunque, dal punto di vista della tematica del tempo, la poesia si può suddividere in tre sezioni:

nel presente (da parte della prima), la previsione di rimanere per sempre unite nel futuro (da parte della seconda).

• vv. 12-36, dimensione spaziale: le due voci si caratterizzano come luce verde e luce rossa. Riflessione sulla circolarità dello spazio, per cui tutto è «sempre in un punto che paurosamente / circonda lo stesso infinito». In questa concezione dello spazio, restare equivale ad andare.

• vv. 37-56, da punto di vista temporale l'infinito spaziale si traduce nell'eternità, per cui un «aureo anello […] ha unito il principio e la fine». Se nello spazio l'andare equivale al restare, nel tempo l'avvenire corrisponde al

passato.

Nella concezione circolare del tempo, il passato e il presente non si possono distinguere dal punto di vista dell'eternità. Così, l'amore della prima voce per la seconda viene inizialmente relegato al passato («voce perdutamente un giorno amata»), ma poi ritorna uguale a se stesso, per bocca della seconda, anche nel presente e nel futuro, sottolineato dal parallelismo del v. 4: «tu m'ami ancora, tu m'amerai sempre».

Sin dai primi versi, è evidente che le due voci che dialogano sono in realtà due espressioni diverse della stessa voce, da cui nascono gli appellativi «fraterna», «congiunta», e la dichiarazione dei vv. 7-9: «Nei tuoi cari accenti / altro mai non udivo che me stessa, / me stessa ed il lontano mio avvenire». E dunque, se la prima voce dichiara di essere la primavera e la seconda l'autunno, dal momento che esse in realtà sono coincidenti, le due stagioni perdono la loro identità. Scrive a questo proposito Polato:

Il movimento (l'inseguimento interminabile delle voci) rettilineo della fuga, del divenire, quasi insensibilmente si trasforma in un

tempo ricurvo in cui il principio e la fine si toccano e si chiudono nella figura dell'anello, del circolo. Le voci, voci del tempo, primavera e autunno, passato e avvenire, si inseguono fino a raggiungersi.41

Tutto rientra nell'aureo anello che unisce «il principio e la fine», per cui la poesia si chiude suggellando la non distinguibilità tra passato e futuro, attraverso una interrogativa che è in realtà una affermazione della circolarità del tempo:

Quando i tuoi accenti mi sono cari, è perché in essi ascolto, credo ascoltare, il mio avvenire. O il nostro,

invece, il nostro lontano passato? (Quinta fuga, vv. 53-56)

Questo interrogativo sembra rispondere affermativamente alla domanda posta nella poesia Girotondo, da Cuor morituro:

Fosse vero che invano non si vive? E che tutto ritorna, tutto

si dà la mano?

(Girotondo, in Cuor morituro, vv. 1-4)

Il ritorno del «tutto» è possibile perché le figure del tempo sono divenute illusione, e, così come le due voci sono in realtà una sola, anche il passato e il presente si fondono in una unità inscindibile. A sottolineare l'unitarietà delle due voci troviamo l'aggettivo possessivo, che nella prima voce è «mio», ma nella seconda diventa «nostro». Questo cambio di numero ci porta a pensare che le due voci, pur nella loro molteplicità, siano unite dal comune passato e dal comune avvenire.

Procedendo nella lettura delle fughe, nella Nona emerge la riflessione sul passato nel tema della felicità perduta, quando la prima voce si rivolge alla seconda utilizzando il passato remoto:

Dov'eri, che più baci non mi davi, fuggita?

Non sono quella che un tempo tu amavi, la calda vita?

(Nona fuga, vv. 21-24)

L'utilizzo della locuzione «un tempo» rimanda alle «care voci d'un tempo» del Preludio, che, come la «calda vita», sembrano essere fuggite dalla coscienza del poeta, ma che rispondono immediatamente al suo richiamo per personificarsi nelle voci che si rincorrono nelle fughe. La «calda vita» ha le caratteristiche dell'amore sensuale, che bacia sulla bocca, strazia i cuori e infonde voluttà e amore ardente nel poeta. Non è la prima volta che incontriamo questa espressione nel Canzoniere; nella poesia Il borgo in Cuor morituro, la «calda vita» è associata al desiderio del poeta fanciullo di potersi immedesimare in coloro che vede affaccendarsi nel borgo «fervente d'umano / lavoro» (il corsivo è mio):

In lui [nel borgo] la prima volta soffersi il desiderio dolce e vano

d'immettere la mia dentro la calda

vita di tutti, d'essere come tutti

gli uomini di tutti i giorni.

(Il borgo, in Cuor morituro, vv. 25-32)

La «calda vita» sembra essere legata dunque al passato, tempo in cui il poeta la desiderava come un'amante irraggiungibile; ma anche al presente, poiché l'io lirico continua a inseguirla e a cercarla nel momento in cui essa fugge da lui, che ne è «disperato amante». Inoltre, nel momento in cui essa dà un bacio sulla bocca alla prima voce, connotandosi come figura fisica e sensuale, si specifica che quell'atto avviene «ora», nel momento presente. Ancora una volta, passato e presente sono uniti da un filo che cancella la loro distanza e li colloca nel cerchio di un tempo che ritorna su se stesso.

Nell'Undicesima fuga, l'espressione più significativa legata alla concezione circolare del tempo si trova ai vv. 10-11, dove il poeta afferma che nella sera la sua anima torna come era «un tempo»:

Diletto

fu ad altri il giorno, a noi la mesta sera. Torna l'anima mia, per lei, qual'era un tempo.

(Undicesima fuga, vv. 8-11)

Nel presente l'animo del poeta ritorna com'era nel passato, un passato che qui viene connotato positivamente, anche se porta con sé il ricordo delle lacrime oltre che dei sorrisi. Il passato, dunque, nello stato d'animo del poeta, si lega al presente attraverso il ricordo, che diventa in questo caso il mezzo grazie al quale si annullano le distanze temporali. Ma passato e presente sono anche proiettati nel futuro, dal momento che la prima voce richiama l'eternità al v. 72:

or più ci sieno care le gioie fuggitive e il nostro eterno affetto.

(Undicesima fuga, vv.71-73)

Ancora una volta, la differenza tra passato, presente e futuro si annulla nell'eternità, che ingloba in sé tutte le categorie temporali.

La riflessione sulla dicotomia di passato e presente nelle fughe ci porta a concludere che, così come nella molteplicità delle voci Saba ritrova una unitarietà nella forma musicale, la molteplicità delle categorie temporali si trasforma in unità nel momento in cui avvenire e passato diventano una cosa sola in una concezione del tempo circolare. La linearità temporale viene messa in dubbio, poiché, anche se le fughe si svolgono nel tempo, questo non scorre in modo regolare. È il tempo dell'interiorità, che talvolta si intensifica, altre volte si assottiglia, può tornare

indietro, può proiettarsi in avanti. Come nella Fuga musicale, in cui il sovrapporsi delle voci dilata e restringe il tempo, così nella Fuga poetica la continua alternanza di tempi verbali, le figure retoriche legate al suono e al ritmo, la tematica del ricordo e i continui richiami all'eternità fanno perdere il senso lineare del tempo, per entrare in quell'aureo anello per cui tutto ritorna ciclicamente.

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