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Il testimone in età pre-scolare nel processo penale - fra credibilità clinica e valutazione di attendibilità

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

IL TESTIMONE IN ETA’ PRE-SCOLARE NEL PROCESSO PENALE

(fra credibilità clinica e valutazione di attendibilità)

Candidato Relatore Virginia Pucci Prof. Luca Bresciani

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Alla mia famiglia

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INDICE

GENERALE

INTRODUZIONE……….6

Primo capitolo LEGISLAZIONE SULL’ASCOLTO DEL MINORE 1.1 I principali atti sovranazionali………...8

1.2 La testimonianza minorile nel diritto interno………17

Secondo capitolo LA PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA DEL BAMBINO 2.1 Profili di debolezza della testimonianza………...24

2.2 La progressione dichiarativa……….31

2.3 La suggestionabilità………...34

2.4 I falsi ricordi………..40

2.5 Il contagio dichiarativo……….43

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5 Terzo capitolo

L’IDONEITA’ DEL MINORE A TESTIMONIARE

3.1 La capacità di testimoniare……….50

3.2 La figura del perito……….56

3.3 L’accertamento dell’idoneità a rendere testimonianza………...62

Quarto capitolo L’ATTENDIBILITA’ DELLA TESTIMONIANZA 4.1 I principali protocolli sull’ascolto del minore………75

4.2 La necessaria distinzione dei ruoli: il giudice e l’esperto………..87

4.3 La valutazione del giudice sull’attendibilità del minore………92

CONCLUSIONI………115

APPENDICE……….118

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INTRODUZIONE

La presente trattazione ha ad oggetto l’istituto dell’audizione del minore all’interno del processo penale. Accade ormai di frequente che i minori siano coinvolti come testimoni e spesso vittime in processi penali, le problematiche sociali, giuridiche e psicologiche di una questione così complessa sono numerose e tra queste la più importante è l’audizione del minore. Considerato che la capacità a testimoniare è riconosciuta a chiunque (art 196 c.p.p.), quando la fonte orale è un minore la sua capacità di ricordare può essere resa poco attendibile dalla immaturità psichica e dalla facile suggestionabilità. Infatti, la valutazione della deposizione del minore in età pre-scolare (minore al di sotto degli 8 anni) è complessa a causa della tendenza di questo alla suggestionabilità, alla creazione di falsi ricordi e alle altre “distorsioni della memoria” a cui è soggetto. La testimonianza minorile, quindi, rappresenta un mezzo di prova delicato e per questo motivo in ausilio al difficile ruolo del giudice (valutare l’attendibilità della deposizione) vi è il perito. Questo ha il compito di accertare l’idoneità a testimoniare del bambino, indicando al giudice quelli che sono i possibili profili di debolezza della psiche del testimone e quindi la sua c.d. “credibilità clinica”.

Ascoltare un minore durante un procedimento penale significa valutarne l’idoneità a testimoniare e aiutarlo a raccontare l’accaduto in modo meno traumatico possibile, garantendo la genuinità delle sue

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dichiarazioni con l’ausilio delle scienze psicologiche. Questo è il motivo per cui in questi casi la prova dichiarativa finisce per assumere le sembianze di una prova scientifica e quando parliamo di minori di età pre-scolare, come in questo caso, il diritto e le scienze psicologiche dovrebbero affiancarsi e collaborare per garantire il raggiungimento di una prova dichiarativa il più attendibile possibile.

Detto ciò quando ci troviamo davanti ad un processo in cui la fonte orale (spesso anche l’unica fonte) è un minore in età pre-scolare, la domanda da porsi è se vi sono o no dei criteri definiti che il giudice può utilizzare per valutare l’attendibilità o se tale esame viene lasciato completamente al suo libero convincimento.

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Primo capitolo

LEGISLAZIONE SULL’ASCOLTO

DEL MINORE

SOMMARIO: 1.1 I principali atti sovranazionali; 1.2 La testimonianza minorile nel diritto interno.

1.1 I PRINCIPALI ATTI SOVRANAZIONALI

Nell’esperienza pratica è cresciuto il coinvolgimento di bambini, spesso in tenerissima età, nell’ambito dei procedimenti penali, dove sono chiamati a rendere testimonianza di quanto hanno vissuto come vittime o visto come testimoni.

Con il crescere dell’importanza di questa tematica a livello culturale è cresciuta l’esigenza di tutelare i diritti del minore. Questa esigenza, anche se avvertita a livello culturale già da tempo, ha trovato concreti riscontri soltanto in anni recenti, soprattutto grazie ai principali documenti internazionali sul tema. Sono quest’ultimi infatti che hanno sollecitato gli Stati ad assumere iniziative legislative interne per poter adeguare l’ordinamento nazionale alle indicazioni contenute in tali documenti.

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Esaminiamo tali atti internazionali in maniera progressiva nel tempo, così da osservare come si è gradualmente delineata la figura del minore come vero e proprio soggetto di diritti inviolabili1.

L’attenzione del legislatore sovranazionale si è incentrata soprattutto sulla tutela del minore, vittima di reati di natura sessuale e più in generale come vittima di violenze da parte di adulti, cercando un modo per tutelare il più possibile il bambino all’interno del processo penale di cui fa parte2.

Il primo atto sovranazionale che si occupa dello sviluppo della personalità del minore e della sua tutela è la Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo. Tale documento è volutamente breve e conciso, redatto a seguito degli eventi che hanno caratterizzato il 900’, in particolare a seguito della Prima Guerra Mondiale che aveva evidenziato la necessità di attivare una tutela materiale ed effettiva dei minori. La dichiarazione non vincola giuridicamente i singoli paesi membri, ma li impegna moralmente al rispetto di una serie di principi che vedono il minore come destinatario passivo di una serie di diritti.

1 M.BERTOLINO, Il minore vittima di reato, Torino, 2005 p. 8

2 SCOPARIN.L, La tutela del testimone nel processo penale, CEDAM,

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Nel 1959 si ha la stesura e l’approvazione della “Dichiarazione dei diritti del fanciullo” da parte dell’assemblea generale dell’ONU3,

questo documento mantiene gli stessi obbiettivi della Dichiarazione di Ginevra ma chiede agli stati un impegno più concreto nell’attuazione e nella diffusione di questi. La Dichiarazione dei diritti del fanciullo pur non essendo uno strumento vincolante, ha da subito goduto di particolare autorevolezza morale e ha avuto il pregio di aver creato la figura del minore non più come destinatario passivo di diritti, come lo inquadrava la Convenzione di Ginevra del 1924, ma come soggetto attivo titolare di diritti. Questa sancisce inoltre una serie di diritti nuovi per il minore, come il divieto d'ammissione al lavoro per i minori che non abbiano raggiunto un'età minima, il divieto di impiego dei bambini in attività produttive che possano nuocere alla sua salute o che ne ostacolino lo sviluppo sia fisico che mentale e il diritto del minore a ricevere cure particolari. La Dichiarazione del 1959 pur non essendo uno strumento ancora vincolante, è importante in quanto riconosce il principio di non discriminazione e il divieto di ogni forma di sfruttamento verso i minori.

Con la diffusione di nuove conoscenze sociologiche e psicoanalitiche, si è diffusa ed è stata condivisa l’idea che il minore

3 La Dichiarazione dei diritti del fanciullo è stata adottata con

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debba essere il soggetto centrale nei provvedimenti che lo riguardano e che i suoi interessi siano da anteporre a quelli degli adulti, così il 29 novembre del 1985, vennero approvate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite le cosiddette “Regole di Pechino”. Questo documento internazionale è relativamente corto (soltanto 30 articoli) e nonostante si riferisca al minore come imputato, inizia a farsi strada l’idea secondo cui il minore deve essere sentito con procedure e metodi differenziati in base alla sua età e alle sue caratteristiche psichiche. Le “Regole di Pechino” hanno rappresentato un importante tassello nell’evoluzione della disciplina sovranazionale a tutela del minore e nella progressiva formazione ed affermazione della sua individualità personale, avendo indicato agli stati che la strada da percorrere sarebbe stata quella di un giusto equilibrio tra le istanze di protezione e di promozione del minore4.

Tra le Convenzioni avente valore giuridicamente vincolante per i paesi membri la più importante è senza dubbio la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York e ratificata dall’Italia con la legge n 176 del 1991. La Convenzione è realizzata

4 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato nel

procedimento penale: il difficile bilanciamento tra esigenze di acquisizione della prova e garanzie di tutela della giovane età, CEDAM, 2017, p. 33

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con la partecipazione di sociologi, psicologi, educatori e magistrati, che hanno condiviso l’idea di fondo che il fanciullo dovesse essere il soggetto centrale dei provvedimenti che lo riguardavano. Questo documento è di grande interesse in quanto all’art 1, pur non utilizzando la parola “minore’’ che altrimenti evocherebbe lo stereotipo culturale del bambino incompleto in uno status di inferiorità personale e giuridica e di soggezione a poteri altrui5, viene

definita la soglia della minore età e si chiarisce che per fanciullo si intende ogni essere umano avente un’età inferiore ai diciotto anni. La Convenzione di New York ha inoltre riconosciuto al minore il diritto all’ascolto, espresso all’art 12 della Convenzione stessa, questo afferma che il minore ha il diritto di partecipare al processo che lo riguarda a seconda della sua capacità di discernimento. Quindi si afferma che il minore, quando sia in grado di esprimere e far comprendere le proprie opinioni, deve essere considerato capace di testimoniare e di partecipare pienamente al processo penale che lo riguarda. L’art 12 della Convenzione mette in luce anche il problema sul valore probatorio delle dichiarazioni dei minori e afferma che a tali dichiarazioni deve essere attribuito adeguato peso in base a quella che è la capacità di discernimento del fanciullo, inoltre ritiene che la partecipazione al processo rischia di diventare per il minore una enorme fonte di stress che potrebbe influire negativamente sia

5 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato nel

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sulla sua personalità sia sulla sua capacità di rendere una testimonianza attendibile. Per tale motivo è necessario che all’ascolto del minore si ricorra con modalità di audizione che garantiscano la completezza, la genuinità e l’attendibilità della deposizione.

Sul tema del diritto del minore di essere ascoltato all’interno del processo penale che lo riguarda, è importante nominare la Convenzione di Strasburgo del 1996, ratificata in Italia con la L. n 77 del 2003. Questa prevede un vero e proprio “ascolto informato” del minore, prevedendo che questo sia tenuto al corrente di ciò che accade e ascoltato sul merito. Inoltre, qualora fosse difficile esprimere il proprio parere si prevede che il minore possa chiedere ed ottenere di essere assistito da una persona che lo aiuti ad esprimere in maniera chiara i fatti, tale figura è definita dalla Convenzione come “rappresentante”.

Il quadro delle fonti sovranazionali non sarebbe completo senza le Carte poste a tutela dei diritti fondamentali in ambito europeo e le importanti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Tra le Carte poste a tutela dei diritti fondamentali il primo riferimento va fatto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza) del 2000. La Carta fa espresso riferimento ai diritti del fanciullo, e all’art 24 riconosce il diritto dei

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fanciulli alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, gli riconosce inoltre il diritto ad esprimere liberamente la loro opinione sulle questioni che li riguardano in base alla loro età e maturità, ribadendo l’interesse superiore del fanciullo su quello degli adulti.

Le ultime fonti che rimangono da citare sono le Direttive adottate in materia di diritti e protezione della vittima di reati.

La prima è la Direttiva 2012/29/UE, che sostituisce la Decisione quadro 2001/220/GAI. Quest’ultima prevedeva l’assistenza alle vittime di reati prima, durante e dopo il processo penale, affermando che le vittime dei reati dovevano avere la possibilità di essere sentite durante il procedimento per dare elementi di prova e la loro tutela in quanto vittime vulnerabili consisteva nell’essere sentiti solo quando fosse strettamente necessario per il processo. Tale documento ha formulato un vero e proprio statuto delle vittime, stabilendo poi all’art 2 che ciascuno stato membro prevedesse nel proprio sistema giudiziario un ruolo per le vittime e che le garantisse un trattamento rispettoso della dignità personale durante il procedimento penale, creando un sistema di protezione nei momenti cruciali come la testimonianza, la quale si prevedeva dovesse essere resa con modalità particolari.

Nella Direttiva 2012/29/UE assume centrale importanza la valutazione della vittima, così da poter individuare le esigenze di

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protezione e diminuire il rischio della c.d. vittimizzazione secondaria. Verso tale decisione sono state adottate le previsioni secondo cui durante le indagini penali, le audizioni si dovrebbero svolgere senza ritardo, solo se strettamente necessarie, in ambienti adatti tramite operatori formati a tale scopo e che le audizioni delle vittime possano essere videoregistrate.

La seconda Direttiva da esaminare è la 2011/93/UE, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI6, l’obbiettivo del legislatore con

questa direttiva è quello di limitare i fenomeni di abuso e sfruttamento dei minori. Lo scopo dichiarato è quello di ravvicinare le legislazioni penali degli stati membri in materia di abusi e sfruttamento sessuale dei minori, pornografia minorile e adescamento dei minori per scopi sessuali, stabilendo delle norme minime per i suddetti reati e introducendo delle disposizioni con lo scopo di rafforzare la previsione di tali reati e la protezione delle vittime minorenni7. Sono numerose le disposizioni dedicate alla

misura di assistenza e protezione delle vittime minorenni e a sostegno della famiglia delle stesse, in particolare la Direttiva si sofferma sul sostegno alle vittime di abusi nell’ambito familiare e riserva una particolare attenzione al fenomeno della

6 Le istituzioni comunitarie hanno ritenuto opportuno sostituirla e non

adottare una mera modifica perché queste sarebbero state troppe e troppo numerose.

7 A.VERRI, Contenuto ed effetti (attuali e futuri) della direttiva

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“vittimizzazione secondaria”8, cercando di evitare così che la vittima

subisca ulteriori danni oltre quelli dovuti dal reato stesso. Allora per ridurre i traumi causati dal confronto con l’imputato è previsto che le audizioni della vittima avvengano senza ritardo, in numero limitato e in locali appositi con l’assistenza di personale formato e che l’audizione possa essere videoregistrata.

Alla fine di tale excursus sulle fonti sovranazionali, si deve riferire che la legislazione italiana è stata considerata inadeguata rispetto ai principi base sull’ascolto del minore nei procedimenti giudiziari istituiti da tali fonti.

8 Per “vittimizzazione secondaria” si intende una condizione di

sofferenza psicologica vissuta dalla vittima di un reato durante l’iter giudiziario.

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1.2 LA TESTIMONIANZA MINORILE NEL DIRITTO INTERNO

È emersa gradualmente negli anni anche all’interno dei confini nazionali l’esigenza di una disciplina ad hoc per la testimonianza del minorenne.

Nell’esaminare l’ascolto del minore nelle fonti di diritto interno, partiamo dall’insieme di principi e garanzie sanciti a livello costituzionale.

La prima disposizione che viene in rilievo è l’art 2 Cost9., questo

articolo mette al vertice dei valori riconosciuti dall’ordinamento giuridico la persona umana, nella sua dimensione individuale e sociale. Il legislatore, così facendo si discosta dall’eredità del precedente regime fascista e vede l’individuo non più distinto dalla società ma inserito nei rapporti sociali dove può maturare e sviluppare la propria personalità. Anche il minore, come persona, costituisce oggetto di attenzione e di tutela, non solo come singolo individuo ma anche nelle formazioni sociali come la famiglia che

9 Art 2 Cost: La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili

dell’uomo, sia come singolo sia nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

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rappresenta il luogo dove si sviluppa e cresce la personalità del bambino.

Spunti di tutela in favore del minore si trovano anche nell’art 3 Cost10., il quale disciplinando il principio di uguaglianza costituisce

un avvertimento affinché il legislatore tratti in maniera uguale situazioni uguali e in maniera diversa situazioni diverse. Tra queste rientra la posizione del minore, la cui tutela della giovane età e della salute psico-fisica impongono un trattamento differenziato rispetto a quello degli adulti.

Per quanto riguarda poi norme volte direttamente a garanzia dei minori, l’attenzione va alla previsione dell’art 30 Cost. che disciplina la tutela del minorenne all’interno della famiglia e all’art 31 Cost. che obbliga lo stato alla protezione della famiglia, agevolandone la formazione, mentre al 2 comma afferma che lo stato protegge l’infanzia e la gioventù.

Per quanto concerne il minore in quanto testimone in un processo penale, si deve partire da quella che è l’universalità dell’obbligo testimoniale sancita dal primo comma dell’art 196 c.p.p. Tale

10 Art 3 Cost: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali

davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

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articolo afferma che “ogni persona ha la capacità di testimoniare” , quindi in quanto persone anche i minori possono essere chiamati come testimoni all’interno di un processo penale. In un primo momento si era obbiettato che in realtà tale testimonianza fosse preclusa dall’art 120 c.p.p., il quale afferma che non possono testimoniare i minori di anni quattordici. La giurisprudenza di legittimità però ha da tempo chiarito che l’art 120 c.p.p. fissa solo una generale inidoneità delle categorie che elenca e che la minore età di un testimone non inciderebbe quindi sulla sua capacità di testimoniare, disciplinata dall’art 196 c.p.p., semmai va a incidere sulla valutazione della testimonianza e cioè sulla sua attendibilità.

In tale prospettiva l’art 498, comma 4, del c.p.p. afferma che “l’esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione prosegua in forma ordinaria”, la norma esclude così per i testimoni minorenni l’esame diretto e il controesame condotto dalle parti (c.d. cross examination) al fine di tutelare la personalità del minore e di garantire la serenità della sua deposizione.

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Più in generale altra disposizione di sicura rilevanza si ritrova nell’art 188 c.p.p. il quale vieta l’utilizzo di metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti avvenuti. Tale norma è espressiva del principio di tutela della spontaneità del testimone, assolutamente rilevante nel momento in cui il minore è maggiormente influenzabile rispetto all’adulto.

Il problema davanti a cui si trova chi deve valutare la testimonianza è duplice, il primo riguarda la capacità di deporre del minore e il secondo la veridicità del racconto di questo.

Sulla capacità di deporre del minore l’art 196 c.p.p. prevede al secondo comma che “qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice può ordinare anche d’ufficio gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”11.

Il fatto che sempre più frequentemente vediamo casi giurisprudenziali in cui sono coinvolti bambini, ha determinato l’affermarsi della consapevolezza che non sia più sufficiente riconoscere diritti, ma che occorra assicurare il concreto esercizio di questi nel corso della procedura giudiziaria, vedremo allora come le regole sulla testimonianza, valevoli per qualunque soggetto, sono

11 C. CRAPANZANO, La testimonianza dei minorenni nel processo

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affiancate da una serie di disposizioni speciali indirizzate ai minorenni (ad esempio al minore si applicano le linee guida del sistema in tema di testimonianza, per cui anche lui in quanto testimone ha l’obbligo di presentarsi davanti al giudice e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte (ex art 198 c.p.p.). Inoltre, in base all’art 497 c.p.p., il presidente avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità, anche se ovviamente tutte quelle che sono le responsabilità penali per i testimoni che affermano il falso non si applicheranno ai minori di quattordici anni in quanto non imputabili).

Il legislatore ha sentito, quindi, l’esigenza di dare un regolamento speciale per lo svolgimento della prova testimoniale del minore, ad esempio all’art 498, comma 4, c.p.p. prevede la conduzione dell’esame da parte del presidente, eventualmente con l’aiuto di un familiare o di un esperto e non la normale alternanza che si ha in questo caso tra esame, controesame e riesame delle parti e tutte quelle norme che servono a preservare la serenità e la riservatezza del minore come ad esempio la disposizione del giudice di compiere il procedimento a porte chiuse (art 472 c.p.p) o il divieto di pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni (art 114, comma 6, c.p.p).

Per ovviare a quella che era una scarna disciplina che creava molte perplessità, il legislatore ha introdotto importanti novità con la legge

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n 66/1996. Un’importante novità è l’inserimento del comma 1 bis nell’art 392 (casi di incidente probatorio), il quale prevede che nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies del codice penale, il pubblico ministero o la stessa persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza del minore di anni sedici, anche fuori dai casi disposti dal 1 comma dell’articolo 392 c.p.p.. Questo articolo ha la funzione di garantire sin da subito la conduzione dell’esame da parte di un giudice terzo, in modo da evitare ulteriori audizioni anche a distanza di tempo che possono pregiudicare la rievocazione dei ricordi e il fragile equilibrio psicofisico del minore.

Il punto di svolta si ha con la legge n 172/2012 con la quale è stata ratificata la Convenzione di Lanzarote. L’intervento normativo che la legge di ratifica ha innescato nel Codice di Procedura Penale sta principalmente nella previsione che le dichiarazioni rese dal soggetto minore di età, sia esso persona offesa o solo informata sui fatti, devono essere assunte con l’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile. Per quanto riguarda invece le modalità di svolgimento delle dichiarazioni, la Convenzione all’art 35 intitolato “colloquio con il bambino” afferma la necessità che i colloqui:

a) Abbiano luogo senza alcun ritardo giustificato dopo che i fatti siano stati segnalati alle autorità competenti

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b) Abbiano luogo presso locali adatti a tale scopo c) Vengano condotti da professionisti addestrati

d) Ove possibile il minore deve essere sempre sentito dalla medesima persona

e) Il numero dei colloqui sia limitato al minimo strettamente necessario nel corso del procedimento penale

f) Possano essere oggetto di registrazioni audiovisive e tali registrazioni possono essere accettate come prova durante il procedimento penale

L’ultimo punto che prevede la videoregistrazione dell’ascolto del minore, purtroppo è previsto come modalità obbligatoria solo nell’incidente probatorio per l’audizione del minore vittima di reati sessuali ex art 398, comma 5 bis, c.p.p., mentre rimane ancora facoltativa per l’audizione dibattimentale qualora la parte lo richieda o il presidente lo ritenga necessario come afferma l’art 498, comma 4 bis, c.p.p..

La conseguenza è stata quella di creare un procedimento ordinario, ma caratterizzato da più cautele e maggiore informalità.

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Secondo capitolo

LA PSICOLOGIA DELLA

TESTIMONIANZA DEL BAMBINO

SOMMARIO: 2.1 Profili di debolezza della testimonianza; 2.2 La progressione dichiarativa; 2.3 La suggestionabilità; 2.4 I falsi ricordi; 2.5 Il contagio dichiarativo; 2.6 L’assenza di indicatori d’abuso

2.1 PROFILI DI DEBOLEZZA DELLA TESTIMONIANZA La ricerca nel campo psicologico ha dimostrato, da tempo, che nella testimonianza sono implicati i principali processi mentali relativi alla percezione e alla memoria.

La testimonianza è il racconto di un fatto, rilevante ai fini processuali, attraverso l’esperienza di chi lo narra. Questa è quindi influenzata dall’inconscio del soggetto che ha vissuto l’evento e dal suo modo di porsi e di essere nei confronti degli impulsi e delle sensazioni che provengono dal mondo esterno.

Si afferma quindi che il testimone non è un mero osservatore neutro della realtà e da tale circostanza scaturiscono due rilevanti conseguenze per chi opera nel procedimento penale.

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La prima ripercussione riguarda il fatto che non ci saranno testimonianze perfettamente identiche in merito ad un medesimo fatto, se ciò accadesse dovrebbe essere ragione di sospetto perché si tratterebbe quasi sicuramente di dichiarazioni concordate in precedenza.

La seconda conseguenza è che il testimone può dire inconsapevolmente il falso a causa dei numerosi fattori che possono portare alla deformazione dei suoi ricordi12.

La funzione cognitiva principe per la testimonianza è la memoria, l’importante nella testimonianza non è tanto la quantità del materiale ricordato quanto piuttosto l’accuratezza del ricordo13 che viene

riportato dal testimone. Questo perché possiamo trovarci di fronte a diversi scenari: Il testimone può ricordare molte cose e raccontarle in modo preciso; può ricordare e riportare poche informazioni; può ricordare ma decidere di mentire in modo consapevole o non ricordare in modo accurato ed esporre cose che non corrispondono alla verità14. Quest’ultimo caso è quello più complicato, perché il

testimone può non essere consapevole del fatto che la sua memoria

12 L.ALGERI, Il testimone vulnerabile, Giuffrè Editore, Milano, 2017,

p.60

13 G.MAZZONI, Scienza cognitiva, memoria e psicologia della

testimonianza: il loro contributo per la scienza e la prassi forense, Sistemi intelligenti, 2, 2010, p. 182

14 M.GIANI, La psicologia della testimonianza del bambino: la

distorsione della memoria, il falso ricordo e la suggestione, in Aa.Vv., Psicologia giuridica nel processo penale, minorile e penitenziario, Santarcangelo di romagna, 2016, p. 171

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e i ricordi relativi ad un determinato evento siano stati modificati e distorti.

L’evoluzione degli studi sulla psicologia della testimonianza ha evidenziato la complessità di questa prova quando a fornirla è un soggetto minorenne e soprattutto quando siamo di fronte a un testimone minorenne in età prescolare.

La premessa che si deve sempre tenere a mente quando parliamo della testimonianza del minore è quella di vedere come problema non tanto la capacità cognitiva del minore ma la sua accentuata inclinazione ad incorporare informazioni post evento nel proprio patrimonio mnestico. L’immaturità psichica, però, non sempre va considerata un elemento sfavorevole al valore della testimonianza, infatti un pregio che hanno i bambini è quello di essere privi di passioni, esperienza pratica o preconcetti e quindi non presentano il rischio che la loro testimonianza sia deformata da pregiudizi o da esperienze di vita passata, tuttavia questo non significa che la testimonianza dei minori deve essere considerata sempre credibile. Questa si dovrà svolgere nei modi predisposti per garantire al meglio l’ attendibilità e veridicità della deposizione. Ad esempio, durante la testimonianza si dovrà tenere conto della capacità linguistica e di racconto del minore che dovrà essere congrua con la sua capacità di comprensione dell’evento e la sua età, poiché quando ciò non accade significa che determinate conoscenze sono state aggiunte in un

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secondo momento e non provengono quindi dal ricordo originale del minore.

Vi sono dei fattori che possono influenzare la riproduzione di un ricordo: il significato personale che il soggetto ha dato a quell’evento; le conseguenze che si sono create a causa dell’evento stesso; la quantità di tempo che trascorre tra l’evento vissuto e il racconto di tale avvenimento; i motivi per cui viene ricordato; le modalità con cui vengono poste le domande al minore.

Fin dagli anni settanta sono stati condotti degli studi sulle distorsioni della memoria, questi si suddividevano in due campi di ricerca, uno studiava le regole del funzionamento della mente umana mentre l’altro era incentrato sull’esaminare gli effetti sulla memoria di nuove informazioni, suggerimenti e conoscenze.

Il primo campo di ricerca sulle regole del funzionamento della mente umana arriva ad affermare che la memoria è quella funzione psichica di riprodurre nella mente l’esperienza passata, di riconoscerla come tale e di localizzarla nello spazio e nel tempo. Gli studiosi identificano tre diversi stadi della memoria:

1. Codifica: questo stadio rappresenta l’assimilazione di un evento e in questa fase la percezione dell’avvenimento è condizionata da variabili legate all’ambiente, alla distanza e da variabili soggettive relative alle condizioni fisiche dell’osservatore come

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ad esempio deficit visivi, pregiudizi o lo stato d’animo in cui si trovava nel momento in cui osservava il fatto.

2. Immagazzinamento: in questa fase si ha la ritenzione dell’evento nella memoria, ciò permette la formazione di una traccia mnestica stabile. In questa fase intermedia il ricordo, elaborato interiormente, sarà soggetto con il tempo ad un decadimento naturale, all’interferenza di informazioni successive e a una attività ricostruttiva inconscia.

3. Recupero: questa fase si esplica in un operazione di richiamo dell’ evento depositato nella memoria. Il richiamo del fatto può essere condizionato dal tipo di domande e dal modo in cui vengono poste e formulate, che può essere più o meno suggestivo.

Il ricordo che abbiamo, quindi, non è mai una copia esatta di ciò che realmente è avvenuto e per questo motivo possono anche essere ricordate cose non vere o cose delle quali il soggetto non ha avuto diretta esperienza.

Quando si vogliono ricordare degli avvenimenti specifici spesso si assiste a distorsioni della memoria, causate la maggior parte dei casi dall’intervento di fattori esterni come suggerimenti o influenze che possono produrre mutamenti del ricordo e talvolta creare perfino ricordi falsi.

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Lo stato emotivo del soggetto è un ulteriore fattore che può condizionare l’accuratezza della testimonianza, è dimostrato che lo stress determina importanti disturbi nel processo di percezione dell’evento e si ritiene che al crescere del livello di stimolazione e di stress diminuisca la capacità di percepire. Lo stress, l’ansia e ogni emozione forte rendono il testimone poco attendibile perché la ricostruzione dell’evento, inficiata da tali sentimenti, non sarà accurata15 quanto quella di un teste che ha mantenuto un normale

stato di stress. L’emozione, infatti, ha la funzione di dirigere l’attenzione verso delle caratteristiche dell’evento tralasciandone altre che quindi vengono dimenticate perché non considerate importanti.

La ricerca sulla memoria afferma che quando si producono distorsioni del ricordo può accadere che non si riesca più a risalire al ricordo originale, cioè al fatto realmente accaduto. Questo inficia, quindi, la validità della testimonianza come strumento principe per stabilire come si siano svolti i fatti nella realtà e per questo motivo è importante che le conoscenze, portate dalla psicologia della memoria applicata alla testimonianza, devono essere note a chi

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opera in questo settore, al fine di evitare errori e poter riconoscere eventuali deficit di memoria e menzogne del testimone minorenne.16

16 G.MAZZONI, Scienza cognitiva, memoria e psicologia della

testimonianza: il loro contributo per la scienza e la prassi forense, Sistemi intelligenti, 2, 2010, p 189

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2.2 LA PROGRESSIONE DICHIARATIVA

La debolezza delle dichiarazioni rese dai soggetti minorenni si esplica tramite delle caratteristiche che gli esperti in materia considerano come proprie di tali testimonianze.

In primis quando parliamo di dichiarazioni accusatorie, soprattutto quelle che hanno ad oggetto reati in materia sessuale non si presentano mai subito come esaustive e uniformi perché i minori non riescono immediatamente a dare un'unica rappresentazione dei fatti avvenuti.

Gli studi scientifici sulla materia ci insegnano che i ricordi si completano nel tempo inseguito al superamento del trauma subito e grazie alla maggior fiducia che il dichiarante maturerà nei confronti dell’autorità giudiziaria. Infatti, il contributo del teste minorenne può essere influenzato proprio dalla fiducia o dalla sfiducia che questo ripone nei confronti di chi procede alla raccolta della sua dichiarazione.

Le ricerche fatte nel campo psicologico hanno evidenziato come le dichiarazioni dei minori, durante le varie audizioni, spesso siano discordanti tra di loro e come la deposizione si riempia di contenuti nuovi con il passare del tempo, questo accade perché con il tempo tutti i dettagli dell’accaduto vengono rielaborati dal minore o più semplicemente riportati alla memoria. Si parla, appunto, di “progressione dichiarativa” per indicare la caratteristica che hanno

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le dichiarazioni di cambiare e acquisire nuove sfumature con il trascorrere del tempo fino a diventare spesso un racconto diverso da quello reso durante le prime interviste.

Per gli studiosi di psicologia dell’età evolutiva il problema non è tanto la capacità cognitiva del minore17 ma la tendenza di questo ad

assimilare informazioni post evento nel proprio patrimonio mnestico. Il minore possiede una sorta di “memoria in progress”18

che porta a confondere o modificare il ricordo con eventi mai avvenuti, frutto di informazioni acquisite dopo il fatto o di versioni dell’accaduto etero indotte.

Per evidenziare la differenza che c’è tra un bambino e un adulto la dottrina afferma che il minore ricorda raccontando mentre l’adulto racconta ricordando. Le Linee Guida Nazionale all’art 2.22 specificano che l’affermazione “i bambini ricordano raccontando” sta ad affermare che i minori costruiscono il ricordo attraverso la sua narrazione e visto che per i bambini testimoni la narrazione dei fatti viene svolta in collaborazione con un adulto, questo può influenzare il contenuto del racconto e se ciò accadesse porterebbe il minore a incorporare le informazioni o i suggerimenti ricevuti dall’adulto nel

17 Secondo le Linee Guida Nazionali, redatte dalla Consensus

conference a Roma il 6/11/2010, i ricordi del minore cominciano ad acquisire strutturazione, contenuto e organizzazione simili a quelli di un adulto solo a partire dagli 8 ai 10 anni (art 2.21).

18 G.GIOSTRA, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e

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proprio ricordo e quindi nella propria dichiarazione. Per questo motivo è molto importante considerare, nella valutazione della testimonianza, il numero di volte in cui il minore viene ascoltato e le modalità con cui si svolge l’ascolto.

La progressione dichiarativa, cioè l’arricchimento di ciò che è stato affermato all’inizio e la non coincidenza perfetta delle deposizioni, non deve essere considerato di per se in maniera negativa o come indice di inattendibilità, cosa che invece accade quando a essere esaminato è un teste adulto, perché quando parliamo di testimone minorenne la progressione dichiarativa è fisiologica ed è quindi considerata indice di attendibilità, ovviamente si dovrà prestare attenzione che tale mutamento della testimonianza non derivi da contaminazioni etero-indotte e si dovrà distinguere a seconda che ad essere modificati siano elementi periferici del racconto o elementi fondamentali che portano ad un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa. Il modo migliore per evitare il mutamento del racconto e “l’usura” della fonte dichiarativa è cristallizzare la prova sentendo il minore in incidente probatorio, ovvero nel momento giudiziario più vicino possibile all’accadimento dei fatti.

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34 2.3 LA SUGGESTIONABILITA’

Un pericolo riguardante l’attendibilità della testimonianza dei minori si riscontra nella loro facile suggestionabilità e nella tendenza dei piccoli a raccontare eventi mai accaduti sulla base di suggerimenti che ottengono dall’adulto che li interroga19.

Per domande suggestive si intendono quelle domande che forniscono informazioni o danno per accertato un avvenimento o un particolare che il testimone non ha riferito nel suo racconto libero riguardante l’accaduto. In realtà il legislatore solo all’art 499 c.p.p. che parla dell’esame del testimone “in generale” pone due divieti, uno assoluto, inerente alle domande che nuocciono alla serenità del teste e l’altro relativo, circoscritto solo all’esame diretto, riguardante le domande suggestive. L’articolo 498, comma 4, c.p.p. costituisce una deroga alla generale tecnica di interrogatorio dei testimoni, ispirata all’esigenza di tutelare il minore e garantirne l’attendibilità, ma tale articolo nulla dice circa le domande suggestive. Così nascono due orientamenti contrastanti, il primo orientamento maggioritario afferma che tale divieto di porre le domande suggestive vale per i minori vista la loro facile suggestionabilità20.

La tesi contraria, sostenuta da qualche isolata sentenza, afferma che

19 G.GULOTTA, D.ERCOLIN, La suggestionabilità dei bambini: uno

studio empirico, Psicologia e Giustizia, anno 5, numero 1, Gennaio – Giugno 2004, I, p 1

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“il legislatore, mentre ha vietato in modo assoluto la formulazione di domande nocive [...] ha circoscritto il divieto delle domande suggestive a quelle formulate dalla parte che ha chiesto l’esame”21.

Secondo tale orientamento il divieto non varrebbe per il giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale.

Detto ciò si deve considerare che ogni domanda ha il proprio grado di suggestionabilità e per comprendere al meglio come queste domande possono influenzare le risposte dei soggetti, a cui vengono poste, occorre fare una differenziazione fra le diverse tipologie, cominciando dalle domande meno suggestive per poi arrivare a quelle altamente suggestive.

• Le domande determinative: queste domande indagano sul “chi, come, quando e dove”, non hanno alcuna potenzialità suggestiva e sono poste in maniera vaga ( es. “come era vestito l’imputato?”)

• Le domande disgiuntive complete: sono quesiti tipo “l’auto dell’imputato era bianca o no?”, tali domande contengono una, seppur bassa, carica suggestiva in quanto propongono in modo esplicito una alternativa precisa e una vaga, per cui il teste potrebbe essere portato a scegliere l’alternativa individuata con precisione.

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• Le domande disgiuntive parziali: hanno una maggiore pressione suggestiva perché obbligano il teste a scegliere tra due ipotesi precise, ad esempio “l’auto dell’imputato era bianca o nera?”, si tende quindi a restringere la possibilità di risposta perché il testimone sarà costretto a scegliere tra queste due opzioni

• Le domande affermative per congettura: queste domande sono molto suggestive perché danno per scontato che il teste abbia un ricordo. Ad esempio “l’auto dell’imputato era bianca?”, questa domanda dà per scontato che il testimone sia sicuro del fatto che l’imputato avesse un’auto.

Secondo la ricerca psicologica, oltre al modo in cui viene strutturata la domanda, anche l’uso di determinate parole o espressioni può influenzare la risposta del testimone. Ad esempio, le domande: “a che velocità andavano le due auto che si sono urtate?” o “a che velocità andavano le due auto che si sono fracassate?”. I due verbi evocano due incidenti di diversa gravità, il verbo “fracassare” evoca l’immagine mentale di un incidente più grave rispetto all’immagine evocata dal verbo “urtare”.

Secondo gli studi in tale campo i bambini cedono con grande facilità alla suggestione se:

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• sono piccoli, quindi non si parla di minori prossimi alla maggiore età;

• sono interrogati a distanza di tempo dall’accaduto;

• si sentono intimoriti dall’adulto che pone loro le domande; • gli vengono rivolte domande mal poste che danno per

scontato l’accadimento dei fatti.

Si riscontra nei vari studi che i bambini interrogati utilizzando domande suggestive, rispondono confermando quelli che sono i suggerimenti posti nelle domande22, questo conformarsi dei bambini

alle informazioni insite nelle domande suggestive avviene per ovviare alla loro mancanza di ricordi. I bambini piuttosto che rispondere “non so” o “non ricordo” raccontano tutto ciò che viene loro in mente, reale o irreale che sia e tendono ad essere accondiscendenti con l’adulto che li intervista.

I fattori di suggestione più importanti provengono dalle modalità di conduzione dell’esame perché chi interroga è portato, spesso inconsapevolmente, a far ricorso ad espedienti persuasivi per cercare di raggiungere la verità dei fatti.

La figura dell’adulto nell’esame orale del minore serve per aiutare il bambino a selezionare certi ricordi e organizzarli, se l’esame però

22 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato

nel procedimento penale: il difficile bilanciamento tra esigenze di acquisizione della prova e garanzie di tutela della giovane età, CEDAM, 2017, p 147

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non viene svolto in maniera corretta rischia di modificare e deformare tali ricordi e quindi di rendere inattendibile la deposizione.

I meccanismi di suggestione sono all’attenzione degli psicologi da oltre un secolo e anche la Corte di Cassazione23 è intervenuta

sull’argomento, affermando che quando un bambino è incoraggiato a raccontare, da persone che hanno un’influenza su di lui (e gli adulti esercitano spesso tale influenza), questo tende a fornire la risposta che considera compiacente24 per l’interrogante: è come se il

bambino cercasse di assecondare l’adulto che lo intervista.

Vi sono diversi tipi e modi per porre le domande suggestive, chi interroga può decidere di lasciare al suo interlocutore diversi margini di autonomia e di libertà di risposta oppure condurre l’esame in modo errato non lasciando al minore la possibilità di raccontare in maniera libera.

Una modalità errata di conduzione dell’esame, ad esempio, che porta alla suggestionabilità del minore è quella di porre al bambino più volte le solite domande. Questo tipo di ripetizione può avere effetto sia positivo che negativo sull’attendibilità delle dichiarazioni rese perché se da un lato la domanda ripetuta può aiutare a ricordare

23 Cass.,Sez.III, 17/01/2007 n 121, in www.psicologiagiuridica.eu 24 La compiacenza consiste nella tendenza del soggetto ad assecondare

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particolari tralasciati dall’altro può portare il bambino a credere che la prima risposta da lui fornita non sia quella corretta e quindi spingerlo a modificare la versione dei fatti con dettagli inesistenti25.

In tal senso si capisce come l’intervento degli esperti svolto in maniera errata, intempestivo e non coordinato, porti a conseguenze negative sia sulla salute psichica del minore sia sulla possibilità di raggiungere il corretto accertamento dei fatti avvenuti.

È stato dimostrato che la dichiarazione più attendibile del minore è quella che proviene dal ricordo libero, cioè il ricordo raccontato in piena libertà dal testimone senza che le venga posta alcuna domanda da parte dell’interlocutore. Questo tipo di narrazione permette al bambino di ricostruire un ricordo, anche se povero di particolari rispetto a quello dell’adulto, il più delle volte privo di “anomalie” e quindi più attendibile.

25 G.GULOTTA, D.ERCOLIN, La suggestionabilità dei bambini: uno

studio empirico, Psicologia e Giustizia, anno 5, numero 1, Gennaio – Giugno 2004, I, p 6

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40 2.4 I FALSI RICORDI

Abbiamo visto come la deposizione del testimone può essere condizionata dal tipo di domande e dal modo, più o meno suggestivo, in cui queste sono state formulate.

Può accadere che il testimone manipoli inconsciamente un suo ricordo creandone uno diverso e non veritiero, questo succede perché la memoria non è un processo di riproduzione ma di ricostruzione e quindi in essa sono contenuti solo frammenti dell’evento, non ben collegati tra loro, che soltanto in un secondo momento il soggetto ricompone in modo da dare alla narrazione un senso.

La ricostruzione dell’accaduto è tanto più difficile quanto più è passato del tempo dall’evento che cerchiamo di ricordare e quanto più il fatto è stato accompagnato da uno stress emotivo26, ne

consegue che il ricordo non è mai la riproduzione fedele dell’evento ma il risultato di determinati processi di ragionamento e di elaborazione posti in essere dal soggetto.

Gli studi scientifici sulla materia hanno rilevato come i bambini fino agli otto anni siano facilmente suggestionabili e inclini ad aggiungere ai propri ricordi informazioni inventate o bugie, in

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questo modo si formano quelli che vengono definiti come “falsi ricordi”.

I “falsi ricordi” sono ricordi non autentici che possono essere totalmente inventati o derivare da ricordi veri ma parzialmente alterati27. Se la testimonianza non è altro che il resoconto di un

ricordo e la sua attendibilità è strettamente connessa all’accuratezza con la quale vengono riferiti gli elementi ricordati, è il funzionamento stesso della memoria che può diventare responsabile della creazione dei c.d. falsi ricordi28.

I falsi ricordi rappresentano un pericolo, ed un ulteriore fattore di debolezza della testimonianza resa dal minore, in quanto la malleabilità della memoria del bambino è tale che un falso ricordo viene memorizzato come se fosse accaduto veramente al momento della percezione del fatto e quindi il minore non si rende conto che in realtà sta mentendo.

Nei bambini la formazione di ricordi inesatti o comunque non corrispondenti a fatti realmente accaduti avviene molto facilmente e può essere il prodotto di una confusione interna, di acquisizione di

27 M.GIANI, La psicologia della testimonianza del bambino: la

distorsione della memoria, il falso ricordo e la suggestione, in Aa.Vv., Psicologia giuridica nel processo penale, minorile e penitenziario, 2016, p. 174

28 S.DI NUOVO, P. COPPOLINO, Il bambino testimone. Studio

empirico su suggestione e attendibilità della memoria in età prescolare, in Aa.Vv, testimoni e testimonianze deboli, Padova, 2006, p. 209

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ricordi e di esperienze altrui o di elaborazione di notizie arrivate al testimone tramite i mezzi di informazione, oppure con processi di induzione più o meno consapevoli da parte di terzi29.

I falsi ricordi possono svilupparsi anche a causa di un errore nella valutazione della fonte. La ricerca ha evidenziato la possibilità che un soggetto non ricordi la fonte da cui provengono le informazioni acquisite rispetto a un fatto e che quindi riporti nel suo racconto un’informazione appresa successivamente all’evento che però consideri erroneamente parte dell’evento originario30.

Per la fragilità e la semplicità con cui viene ingannata la mente del minore, l’esperto che ne raccolga la testimonianza deve formulare le proprie riflessioni solo dopo aver analizzato tutte le possibili prove alternative del caso, questo perché troppo spesso accade che alcune denunce, dopo anni di pesanti percorsi giudiziari, risultino infondate.

Per questo motivo il modo con cui ci si approccia alla testimonianza del minore deve scongiurare due rischi, quello di non far emergere i c.d. “falsi negativi” ,ossia i casi di vittimizzazione nascosti, e quello di accreditare invece come veri i c.d. “falsi positivi” ovvero quelle situazioni originate da denunce false e menzognere 31.

29 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato

nel procedimento penale Cit. p 155

30 L.ALGERI, Il testimone vulnerabile, Giuffrè Editore, 2017, p. 72 31 C.B.CAMERINI, La testimonianza del minore, attaccamento e

funzione riflessiva: problemi e criteri di valutazione, in Aa.Vv, Testimoni e testimonianze deboli, Padova, 2006, p. 145

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43 2.5 Il CONTAGIO DICHIARATIVO

Sin dalle prime fasi delle indagini si cerca di isolare le dichiarazioni del minore, presunta vittima, perché si vuole evitare il c.d. contagio dichiarativo.

La Corte di Cassazione ha definito il contagio dichiarativo come “un sofisticato meccanismo psicologico che può verificarsi tramite uno scambio di informazioni e dati tra individui che porta a modifiche anche radicali nelle convinzioni relative a quanto accaduto, nella sua forma più estrema questo può determinare il formarsi di convincimenti che non corrispondono alla realtà dei fatti”32.

Spesso, in materia di delitti sessuali, la notizia del presunto abuso porta la cerchia familiare a voler raccogliere dal minore maggiori informazioni, prima ancora che questo sia sentito dagli agenti di polizia. I genitori pur agendo al solo fine di proteggere i loro figli, inconsapevolmente trasmettono informazioni, formulano domande suggestive e condizionano i bambini che tendono a compiacerli con le loro risposte dando informazioni non vere per assecondare i genitori. Tutto ciò porta molto spesso al contagio dichiarativo, perché le informazioni circolano e arrivano al minore che potrebbe farle sue e riportarle nel momento in cui verrà sentito come teste.

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Tale contagio dichiarativo è maggiore se la presunta vicenda di abusi si sia svolta all’interno di un ambiente chiuso (ad esempio quello scolastico) dove la circolazione delle informazioni tra i vari genitori di altri bambini, frequentanti il medesimo ambiente, porta alla diffusione della notizia e appunto al contagio33.

È di grande importanza determinare come la rappresentazione mnemonica di un’esperienza, quindi il ricordo, possa essere alterata da informazioni successive che arrivano al soggetto attraverso i più svariati canali: discussioni con chi ha assistito allo stesso evento, interrogatori di polizia, articoli di giornali, televisione etc.34.

Ma come si integrano i dati vecchi con quelli nuovi? Questo si spiega tramite quella che viene chiamata l’attività ricostruttiva della memoria. Nel corso di questa attività la mente combina tutte le informazioni relative ad un dato evento, rendendo poi difficile distinguere ciò che il soggetto ha percepito in realtà, da quello che ha appreso solo successivamente da fonti esterne.

Si comprende, allora, come debbano essere prese tutte le cautele possibili nella verifica processuale della fondatezza delle imputazioni, anche la Carta di Noto ritiene necessario all’art 14, per

33 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato

nel procedimento penale Cit. 160

34 L.DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e

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evitare tale fenomeno, che si debba ricostruire per quanto sia possibile la genesi e le modalità di diffusione delle notizie.

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2.6 L’ASSENZA DI INDICATORI D’ABUSO

Un ulteriore profilo di debolezza della testimonianza del minore deriva dal fatto che le sue dichiarazioni spesso non trovano un riscontro in elementi obbiettivi, suscettibili di suffragare il racconto narrato35. Le società scientifiche sono tutte d’accordo nell’affermare

che non esistono indicatori d’abuso specifici ma vi sono degli elementi che segnalano la presenza di uno stress nel bambino.

Si deve tenere presente che quando si parla di abusi sessuali, il bambino vittima è spesso l’unico testimone dell’accaduto, in questi casi solo le parole del minore “raccontano” la violenza subita, dato che l’abuso sessuale si manifesta come asintomatico. In altri casi le vittime sono così piccole che non riescono ad esprimere il loro disagio verbalmente e quindi sarà il comportamento del bambino a destare sospetti.

La stessa Carta di Noto all’art 11 evidenzia che non esistono segnali psicologici, emotivi o comportamentali che possono essere considerati come indicatori di un abuso subito, non esiste quindi una sindrome che è caratteristica o identificabile con l’abuso sessuale.

35 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato

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I disturbi psichici che sovente compaiono dopo il fatto possono variare in base alle modalità in cui si svolge l’abuso, alla durata e all’intensità di questo.

L’impatto di un abuso sessuale può variare qualitativamente e quantitativamente in funzione a numerosi fattori e non vi sono studi in materia che dimostrino l’esclusività di una o più condotte come criterio diagnostico. Tali disturbi, infatti, possono essere riscontrati anche a seguito di altri traumi o stress familiari di natura non sessuale (ad esempio il divorzio dei genitori).

Le dinamiche familiari infatti sono fondamentali da conoscere quando le accuse di abuso sono rivolte all’interno del nucleo familiare, in questi casi le dichiarazioni del bambino possono essere strumentalizzate da uno dei due genitori contro l’altro, oppure potrebbero essere indicatori della c.d. “alienazione parentale” o PAS. La PAS è una patologia relazionale che può presentarsi nelle situazioni di separazione o divorzio conflittuali, in tali situazioni il minore mette in atto una campagna di diffamazione nei confronti di uno dei genitori, di solito quello non affidatario, e tale campagna denigratoria del tutto ingiustificata può sfociare in false accuse di abuso sessuale.

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Della medesima opinione sono anche le Linee Guida Nazionali36 , le

quali all’art 4.3 affermano che “le evidenze scientifiche non consentono di identificare quadri clinici riconducibili a specifica esperienza di vittimizzazione, né ritenere alcun sintomo prova di un’esperienza di vittimizzazione o indicatore di specifico traumatismo. In definitiva non è scientificamente corretto inferire dalla esistenza di sintomi psichici e/o comportamentali, pur rigorosamente accertati, la sussistenza di uno specifico evento traumatico”.

Infatti, si afferma che l’abuso è il trauma per eccellenza, ma la diagnosi di abuso non esiste37.

Nel compendio probatorio del giudice è necessario, quindi, prestare molta attenzione all’attribuzione di valore indiziario ai presunti sintomi dell’abuso e valutare con cautela il nesso eziologico tra il sintomo e il presunto abuso. Significativa in questo contesto è stata la Suprema Corte, che ha affermato come la ricerca del rapporto eziologico tra i disturbi emotivi dei bambini ed i reati è necessaria perché non esiste una sindrome da stress specificamente riferibile all’abuso38. Tale pronuncia si mette in una posizione di netto

36 Linee Guida Nazionali, redatte dalla Consensus Conference a Roma

il 6/11/2010.

37 S.DI NUOVO, P. COPPOLINO, Il bambino testimone. Studio

empirico su suggestione e attendibilità della memoria in età prescolare, in Aa.Vv, testimoni e testimonianze deboli, Padova, 2006, p. 227

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distaccamento con la prassi, fin troppo utilizzata, di procedere ad una arbitraria inversione del nesso di casualità, andando a individuare così il reato attraverso i presunti esiti che questo a prodotto. Tale ragionamento oltre ad essere impossibile, in quanto come abbiamo detto i sintomi che si presentano a seguito degli abusi non possono essere considerati di valore inequivocabile, rischia di stravolgere quello che è il principio del libero convincimento giudiziale. Infatti, in questo caso il giudice dovrebbe adeguarsi cecamente alle valutazioni del tecnico senza porsi in una posizione di critica rispetto ai risultati di questo.

L’esperto deve porsi in una posizione critica rispetto a quelli che potrebbero essere o comunque sembrare indicatori di abusi e, senza oltrepassare le proprie competenze, deve valutare se tali segnali siano riconducibili ad altre problematiche, quali l’allontanamento dalla famiglia, gli alti livelli di conflittualità genitoriale, le malattie con alto livello di sofferenza o protratte cure mediche o l’utilizzo di procedure di indagine invasive39.

39 Art 4.6 Linee Guida Nazionali, redatte dalla Consensus Conference,

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Terzo capitolo

IDONEITA’ DEL MINORE A

TESTIMONIARE

SOMMARIO: 3.1 La capacità di testimoniare; 3.2 la figura del perito; 3.3 l’accertamento dell’idoneità a rendere testimonianza

3.1 LA CAPACITA’ DI TESTIMONIARE

Tutelare la serenità del minore e valutare l’attendibilità delle sue dichiarazioni sta a significare porre attenzione anche al suo sviluppo evolutivo per poter comprendere quali aspettative si possano avere circa la sua competenza a riferire i fatti di cui sia stato testimone o vittima in prima persona40.

Quando in un procedimento penale ci troviamo ad acquisire la testimonianza di un soggetto minorenne il primo problema da porsi è quello relativo alla sua capacità di rendere valide dichiarazioni, di comprendere le domande postegli e di rispondere in maniera coerente, cioè quella capacità che si è soliti definire come la “capacità di

40 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone e vittima di reato

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testimoniare”. Il secondo problema riguarda invece l’attendibilità della sua testimonianza, ma questo lo esamineremo in seguito.

Per secoli al minore è stata negata la capacità di testimoniare41, tuttavia

il legislatore già nel 1930 aveva invertito la rotta affermando all’ art 348, 2 comma, c.p.p. una generica capacità di testimoniare indistintamente e a prescindere dall’età e riservando solo in seguito al vaglio giudiziario il difficile compito di accertare di volta in volta la verità e la falsità del propalato42.

Oggi nel codice di rito penale non esistono preclusioni di alcun genere all’assunzione di una testimonianza, nemmeno se si tratta di un minore in età prescolare.

La capacità di testimoniare è attribuita indistintamente ex art 196 c.p.p. ad ogni persona, tuttavia affermare che tutti abbiano in astratto la capacità di testimoniare non equivale a dire che tutti abbiano l’idoneità fisica o mentale per riferire correttamente i fatti di cui sono stati testimoni, infatti è sbagliato e inappropriato non porre nessuna differenza tra un minore di tre anni e uno di sedici, perché si deve tenere a mente che al decrescere dell’età aumentano i rischi che la testimonianza sia soggetta a quelle debolezze che abbiamo esposto nel capitolo precedente e che vanno a minare l’attendibilità della

41 Insieme al minore la capacità di testimoniare era negata anche al

servo, all’infame, alla prostituta e al malato di mente.

42 G.CAMERINI, F.TRIBISONNA, M.PINGITORE, G.LOPEZ, Può

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testimonianza e la veridicità della ricostruzione dei fatti svolta dal giudice. Poiché vi è il rischio che la rappresentazione e la narrazione dei fatti da parte dei minori in tenerissima età non sia precisa e accurata, diventa opportuno effettuare su tali testimoni accertamenti di tipo tecnico peritali.

Ci si chiede, se sia necessario stabilire un limite minimo al di sotto del quale la testimonianza del minore non debba essere presa in considerazione fin da subito43. D’altro canto, se la capacità di rendere

testimonianza può essere definita come l’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto, a rievocare gli eventi e collocarli nel tempo e nello spazio senza incorrere in processi di etero-suggestione o fantasia, è evidente che tale attitudine non c’è nei primi anni di vita.44 Nonostante questo la giurisprudenza di legittimità si è

sempre espressa in maniera favorevole all’assunzione delle dichiarazioni del minore anche in tenerissima età, ritenendo utile per il giudice, ai fini della verità processuale, l’accertamento sulla capacità a testimoniare del minore.

La Suprema Corte ha affermato che anche i bambini in tenerissima età sono in grado di ricordare ciò che hanno visto e soprattutto ciò che hanno subito con coinvolgimento diretto. Spetta però al giudice di valutare con

43 Come accade nell’identificazione dei 14 anni come età minima

affinché un minore possa essere considerato imputabile.

44 G.CAMERINI, F.TRIBISONNA, M.PINGITORE, G.LOPEZ, Può

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particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità delle dichiarazioni, in una tale prospettiva si spiega la possibilità di procedere alla verifica “dell’idoneità mentale” rivolta ad accertare se il minore stesso sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e possa riferire in modo veritiero siffatti comportamenti45. In accordo con tale ideologia la stessa Corte

Suprema in una sentenza più recente ritenne capace di testimoniare un minore di anni due e undici mese46.

L’accertamento della capacità a testimoniare ha lo scopo di valutare se il teste minorenne sia stato capace di rendersi conto dei comportamenti subiti o di quanto è avvenuto in sua presenza e di riferirli in maniera più chiara e veritiera possibile, senza quindi quei profili di debolezza che inficiano, secondo le scienze psicologiche, la testimonianza dei minori.

L’art 196 c.p.p., al comma 2, prevede che “al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche d’ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”.

L’utilizzo del verbo “può” mostra la mancanza dell’obbligatorietà di procedere all’accertamento, il giudice quindi non è tenuto sempre a disporre l’indagine sulla capacità fisica e mentale del testimone, tanto più nel caso in cui non sia emerso alcun elemento tale da giustificare

45 Cass.Pen. Sez.III, 6/03/2003, n 36619, Dir e Giust, 2003, 39, p.37 46 Cass.Pen. Sez. IV, 1/10/2014, n 4352, in Dejure

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una possibile incapacità del minorenne. La perizia interviene in ausilio del giudice, per colmare quei vuoti di conoscenza del magistrato in ambito psicologico.

Addirittura, si era altresì osservato in dottrina come dalla attenta valutazione del tenore letterale della norma paresse desumersi la possibilità di ricorrere all’indagine sulla capacità testimoniale del minore solo nel caso in cui, ai fini della valutazione delle sue dichiarazioni, non si rivelasse sufficiente il mero esame del testimone o il confronto con altre prove raccolte.47

Aperture in senso contrario nella giurisprudenza, ci sono state quando si è precisato che, qualora la perizia non vi sia o non sia stata svolta in maniera adeguata devono essere valorizzati altri elementi di prova o riscontri oggettivi di cui deve essere fornita adeguata motivazione48.

Inoltre, qualora non si sia proceduto nel corso del giudizio di primo grado a disporre l’accertamento, quando vi erano tutte le condizioni per doverlo disporre vi potrà procedere la Corte d’Appello disponendo, nonostante il tempo trascorso, una perizia anche documentale sugli elementi raccolti nel processo. La Corte di Cassazione ha affermato, nel decidere il ricorso proposto contro la sentenza del 12/12/2002 del

47 F.TRIBISONNA, L’ascolto del minore testimone e vittima di reato

nel processo penale, Cedam, Padova, 2018, p 65

48 In questa direzione va la Cassazione: Cass., Sez III, 7/10/2014, n 948,

in CED Cass, 261926; Cass, Sez III, 13/07/2016 n 43245; Cass., Sez III, 2/10/20102 n 1234, in CED Cass., 254464; Cass, Sez III, 16/01/2017, n 1752 in www.psicologiagiuridica.eu

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