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Le misure cautelari interdittive nel processo a carico degli enti

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Le misure cautelari interdittive nel processo

a carico degli enti

Relatore

Prof.ssa Valentina Bonini

Candidato

Laura Brillante

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LE MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE NEL

PROCESSO A CARICO DEGLI ENTI

INTRODUZIONE………... 1 CAPITOLO I

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE E PRESUPPOSTI SULLA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE SECONDO IL

D.LGS. 231/2001

1. Superamento del principio “societas delinquere non potest”… 3 2. Soggetti destinatari della normativa………... 7

3. Criteri di imputazione del reato sul piano oggettivo: gli apicali e i sottoposti……….. 9

3.1. Criteri di imputazione del reato sul piano soggettivo….18

4. L’autonomia della responsabilità dell’ente………... 22

5. Trattamento sanzionatorio del d.lgs. 231/2001: pecuniaria e interdittive……… 25

5.1. Altre sanzioni previste dal decreto: la pubblicazione della sentenza di condanna e confisca……… 37

CAPITOLO II

SISTEMA DELLE CAUTELE INTERDITTIVE

1. Considerazioni introduttive e cornice costituzionale delle misure cautelari interdittive……… 42

2. Interdizione sanzione e interdizione cautele………... 48 3. Presupposti di applicazione delle misure cautelari interdittive: gravi indizi di responsabilità e pericolo di reiterazione del reato……… 51

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CAPITOLO III

PROCEDIMENTO APPLICATIVO

1. Iniziativa cautelare………. 64

2. Il giudice competente……….. 67

3. L’udienza camerale e il contraddittorio anticipato……….. 69

4. L’ordinanza cautelare………. 87

5. il commissariamento………... 92

CAPITOLO IV LE VICENDE MODIFICATIVE DELLA MISURA CAUTELARE. 1. Sospensione delle misure cautelari e le condotte riparatorie ex art. 17 d.lgs.231/2001………... 96

2. La sostituzione della misura e la modifica delle sue modalità applicative o del termine di durata……… 102

3. La revoca……….. 105

4. Durata delle misure e causa di estinzione……….. 109

CAPITOLO V LE IMPUGNAZIONI 1. L’appello e il ricorso per cassazione………. 113

CONCLUSIONI………... 123

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Introduzione

L’introduzione tramite il d.lgs. n. 231/2001 della responsabilità

amministrativa degli enti1 ha rappresentato un punto di svolta del nostro

sistema giudiziario per le persone giuridiche. Infatti, l’ente può assumere il

ruolo di indagato, imputato e condannato nel procedimento penale in conseguenza della commissione di un reato da parte di un proprio apicale o sottoposto a controllo, nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso.

È su spinta della comunità internazionale che in Italia venne introdotta tale normativa, in risposta all’ esigenza di apprestare adeguati strumenti di

contrasto a fenomeni criminali diffusi comportanti rilevanti distorsioni della realtà economica. L’impresa diviene «un centro capace di generare o di favorire la commissione di fatti illeciti anche delittuosi»2.

Si assiste così ad un sistema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica, in linea dunque con una tendenza europea che, da diversi anni, è indirizzata verso lo sgretolamento del principio societas delinquere non potest3.

1 Per approfondimento vedi C. Pedrazzi, La responsabilità pénale non individuelle, (1978), in C. Pedrazzi, Diritto penale, vol. i, Giuffrè, Milano 2003, p. 2012 ss.; F. Bricola,

Il problema della responsabilità penale della società commerciale nel diritto penale italiano, (1981), in F. Bricola, Scritti di diritto penale, vol. ii, t. ii, Giuffrè, Milano 1997,

p. 3089 ss.; C.E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità penale dell’ente

nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996,

p. 1173 ss.; F. Stella, Criminalità d’impresa: nuovi modelli di intervento, in «Rivista

italiana di diritto e procedura penale», 1999, p. 1254 ss.

2 Cfr. A.Presutti, A. Bernasconi, op.cit., pag. 7.

3 Da secoli era dominante l’idea che solo la persona fisica e non la persona giuridica potesse commettere reati, ma con il diffondersi di gravi fenomeni patologici di criminalità d’impresa, con la conseguente possibile lesione di interessi individuali e collettivi, il legislatore ha dovuto provvedere per sanare la situazione.

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2

L’adozione ed efficace attuazione di un modello organizzativo mediante una

serie di procedure può dare all’impresa una più efficiente organizzazione che, oltre a migliorarne l’attività, dovrebbe impedire la commissione di reati e

costituire una potenziale fonte di esenzione dalla responsabilità amministrativa.

Il presente contributo si propone di approfondire alcuni specifici profili della disciplina ex d.lgs. 231 /2001, con particolare riferimento alle misure cautelari interdittive applicabili agli enti. Tali profili infatti risultano di cardinale importanza nel quadro complessivo della normativa in questione e, nondimeno, latori di non pochi problemi, tanto sul piano interpretativo quanto, di riflesso, su quello applicativo.

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CAPITOLO I

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE E PRESUPPOSTI SULLA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE SECONDO IL DECRETO

LEGISLATIVO 231/2001

SOMMARIO 1: Superamento del principio “societas delinquere non potest”. - 2. Soggetti destinatari della normativa. - 3. Criteri di imputazione del reato sul piano oggettivo: gli apicali e i sottoposti. - 3.1 Criteri di imputazione del reato sul piano soggettivo. – 4 L’autonomia della responsabilità dell’ente. – 5 Trattamento sanzionatorio del d.lgs.231/2001: pecuniaria e interdittive. -5.1 Altre sanzioni previste dal decreto: la pubblicazione della sentenza di condanna e confisca.

1.1 Superamento del principio “societas delinquere non potest”.

Sono passati diversi anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 8 giugno 2001

n.231 il quale ha introdotto nell’ordinamento italiano un sistema di responsabilità delle società e degli enti pluripersonali in generale, caratterizzato dalle forme, dalle garanzie e dalle connotazioni dell’apparato coercitivo penale4.

È su spinta della comunità internazionale5 che in Italia venne introdotta tale normativa, in risposta all’ormai esigenza di apprestare adeguati

4 Cfr. G. Lancellotti, F. Lancellotti, Il modello di organizzazione, gestione e controllo

ex d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, G.Giappichelli,Torino,2001,pag. 1.

5 L’ intitolazione della l. delega n. 300 del 2000 poi confluito nel d.lgs. 231/2001 richiama, ai fini di ratifica ed esecuzione, una serie di atti internazionali, elaborati in base all’art. K3 del Trattato dell’Unione europea, in materia di lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, dei funzionari degli Stati membri dell’Unione europea e di tutela delle finanze comunitarie; nello specifico la legge delega ha ratificato: la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee( Bruxel,26 luglio 1995), il primo Protocollo della predetta (Dublino,27 settembre 1996), il Protocollo che concerne l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della

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strumenti di contrasto a fenomeni criminali diffusi comportanti, rilevanti distorsioni della realtà economica.

L’impresa diviene «un centro capace di generare o di favorire la

commissione di fatti illeciti anche delittuosi»6.

Si assiste così al superamento del principio societas delinquere non potest7

e con il d.lgs.231/2001 viene introdotta la responsabilità “amministrativa”8

Corte di Giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione (Bruxelles ,29 novembre 1996), la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono stati coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea (Bruxelles, 26 maggio 1997), la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso (Parigi, 17 settembre 1997). Tra i citati atti, solo la Convenzione elaborata dall’OCSE fa riferimento alla responsabilità degli enti, in termini piuttosto generici, obbligando gli Stati contraenti a adottare le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche; nessun riferimento invece al sistema sanzionatorio è rinvenibile in questi accordi internazionali. Più esplicito riguardo ai presupposti della responsabilità degli enti e alle relative sanzioni è il Protocollo della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (così detto P.I.F.), firmato a Bruxelles il 19 giugno 1997.Occorre poi richiamare la Raccomandazione n.88 (18) del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa( del 20 ottobre 1988), la quale aveva sollecitato gli Stati europei ad introdurre forme di responsabilità delle persone giuridiche, anche per i casi di mancata scoperta dell’autore del reato, ovvero promuovere la adozione di misure finalizzate a rendere le imprese responsabili per reati commessi nell’esercizio della loro attività, indipendentemente dai regimi di responsabilità civile in vigore; seppure sprovvisto di forza cogente , questo atto ha costituito un ulteriore, autorevole precedente della scelta italiana di accomiatarsi dall’adagio societas delinquere non potest, così A.Presutti, A. Bernasconi, Manuale della responsabilità degli enti, Giuffrè Francis Lefrbvre, Milano 2018, pag. 18 e 19.

6 Cfr. A.Presutti, A.Bernasconi ,op.cit., pag. 7.

7Da secoli era dominante l’idea che solo la persona fisica e non la persona giuridica potesse commettere reati, ma con il diffondersi di gravi fenomeni patologici di criminalità d’impresa, con la conseguente possibile lesione di interessi individuali e collettivi, il legislatore ha dovuto provvedere per sanare la situazione.

8È nota la vigorosa ed arguta polemica insorta tra molti autori circa la natura della responsabilità scaturente dalla nuova normativa, spesso indicata come una “truffa delle etichette”. L’opinione più accreditata segnala che l’aggiunta dell’aggettivo “amministrativa” al sostantivo “responsabilità” fosse il mezzo per evitare il rischio di incostituzionalità dovuta dall’attribuzione all’ente di una forma di responsabilità-quella penale-diversa da quella amministrativa e riservata in virtù del precetto costituzionale alla persona fisica.

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dell’ente per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio, dai soggetti in

posizione di vertice e dai dipendenti dello stesso.

Il tipo di responsabilità configurata a carico dell’ente, benché definita

espressamente amministrativa dallo stesso legislatore, presenta delle similitudini con quella penale, legate al fatto che la stessa discende dalla commissione di un reato da parte della persona fisica ed inoltre è assistita da parte del giudice penale, sia per l’accertamento della suddetta che per la commisurazione delle sanzioni – pur restando di natura amministrativa. Ciò si nota dalle parole usate dal legislatore nella Relazione che accompagna il decreto, si parla infatti di nascita di un tertium genus9, che

coniuga i tratti essenziali del sistema penale con quello amministrativo, con l’intento di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con

quelle più ineludibili, della massima garanzia.

È da precisare che, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs.231/2001, persona fisica e

societas sono due entità distinte sul piano della colpevolezza.

Il suddetto articolo esprime il principio dell’autonomia della responsabilità dell’ente, che consente di perseguire quest’ultimo anche nel caso in cui l’autore materiale dell’illecito non sia identificato.

9 tale forma di responsabilità non ha né natura amministrativa né natura penalistica ma costituisce in realtà un tertium genus di responsabilità, nascente dall’ibridazione della responsabilità amministrativa con principi e concetti propri della sfera penale, Cass. Pen., sez. II, 30 gennaio 2006, ric. Jolly Mediterraneo s.r.l.,

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I connotati fondamentali della nuova disciplina possono essere così riassunti. L’ambito di applicazione del decreto è circoscritto sia sul piano soggettivo che sul piano oggettivo infatti, la fattispecie dell’illecito amministrativo dipendente da reato si configura quando un soggetto che si trovi in una posizione qualificata o di dipendenza rispetto all’ente (rispettivamente soggetti in posizione apicale, che svolgono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua

unità, e soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi) commette uno dei reati previsti dal decreto nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Si tratta di una colpevolezza costruita sempre come rimproverabilità soggettiva: il reato dovrà però costituire anche espressione della politica aziendale o derivare da una colpa da organizzazione (cioè dalla non adozione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i tipi di reati suddetti o da una inadeguata vigilanza da parte degli organismi di controllo).Come accennato la responsabilità dell’ente è autonoma rispetto a quella dell’autore del reato: infatti essa si configura anche quando quest’ultimo non è stato identificato o non è imputabile oppure se il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. Per quanto riguarda

il sistema delle sanzioni queste si distinguono in sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, confisca e pubblicazione della sentenza di condanna.

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1.2 Soggetti destinatari della normativa.

Il legislatore delegato non ha voluto assolutizzare, nella sezione dei destinatari dell’articolato del 2001, la natura imprenditoriale della societas in quanto l’obiettivo era quello di prevenire e punire talune categorie di reati tipici dell’agire quotidiano dell’ente.

I destinatari della normativa sono esplicitati all’art. 1 comma 210,ove stabilisce che «le disposizioni in esso previste si applicano agli enti11 forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica».

L’art. 1 comma 3 d.lgs.231/01 delimita il perimetro della responsabilità

amministrativa escludendo dal novero dei destinatari del decreto

10 A titolo di esempio nella fattispecie indicate dal comma 2 dell’art. 1 rientrano: 1 Le associazioni non riconosciute;

2 Le fondazioni, ivi comprese quelle bancarie; 3 Le istituzioni di carattere privato;

4 Le società di capitali anche unipersonali, società fiduciarie società cooperative e le mutue assicuratrici;

5 Le organizzazioni non lucrative di carattere sociale (Onlus); 6 Gli enti ecclesiastici, cattolici e a cattolici;

7 Consorzi che svolgono attività esterna;

8 Le società a base personale (società semplici, società in nome collettivo, società in accomandita semplice; nonché quelle di fatto e irregolari, ivi compresi-anche se con qualche incertezza-i comitati non riconosciuti;

9 I fondi comuni di investimento e i fondi pensione chiusi;

10 Gli enti assoggettati a procedure concorsuali (oggetto di taluni dubbi); 11 Le associazioni non riconosciute.

11 «E’ questa la ragione tecnica per la quale il legislatore utilizza, in senso omnicomprensivo, la locuzione enti (non a caso l’intitolazione del decreto legislativo riguarda questi ultimi e non le persone giuridiche). L’obiettivo della normativa non è di incrinare lo schermo formale che consente di separare, agli effetti civili, il patrimonio della persona fisica da quello della persona giuridica, bensì di imputare all’organizzazione pluripersonale, in quanto tale, le conseguenze-per questa vantaggiosa-della condotta criminosa realizzata dall’autore che alla medesima appartiene», così A.Presutti, A. Bernasconi, op.cit., pag42.

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legislativo lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Utilizzando tali criteri risultano altresì esclusi dal novero dei destinatari del decreto legislativo 12l’imprenditore individuale,13 l’impresa familiare e le associazioni in partecipazione di cui all’art. 2549 c.c.

L’esclusione14 dell’impresa individuale deriverebbe dal fatto che in quest’ultima non vi è distinzione tra la persona che commette il reato e l’impresa, tra il soggetto fisico e la sua organizzazione imprenditoriale, tra

individuo ed ente collettivo, come avviene invece nelle società. Inoltre, in base all’art. 5 del decreto, uno dei requisiti perché vi sia responsabilità ex

d.lgs. n. 231/2001 è che il reato sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente e non nell’interesse esclusivo della singola persona che lo ha commesso o di terzi. Nel caso dell’imprenditore individuale non vi è differenza tra interesse dell’ente e del singolo che ha commesso il reato. Anche per questo motivo si è sempre ritenuto inapplicabile all’impresa individuale la responsabilità dell’ente da reato, posto che l’imprenditore

12 A. Presutti, A. Bernasconi, op. cit., pag. 43

13 Il d.lgs. 8 giugno 2001 n. 321, nel disciplinare la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si riferisce unicamente agli "enti", termine che evoca l'intero spettro dei soggetti di diritto metaindividuale. Le disposizioni in esso previste non si applicano, pertanto, alle imprese individuali. Correttamente, quindi, il g.i.p. ha respinto la richiesta presentata dal p.m., a norma dell'art. 45 del d.lgs. 231/01, di applicazione ad un imprenditore individuale della misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività (di impresa) per la durata di un anno ed il tribunale ha rigettato l'appello proposto dal p.m. Cass. pen., sez. VI, n. 18941 del 03 marzo 2004, Rv. 228833; in Riv. dottori comm. 2004, 905, con nota di: Troyer; Conf. Cass. Pen., sez. VI, n. 30085 del 16.05-23.07.2012, Rv. 252995.

14 Cfr. G. Castellani, F. Arecco, L. Davoli, F. Gandini, Responsabilità da reato delle

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risponderebbe comunque in proprio di un’eventuale responsabilità penale15 .

1.3 Criteri d’imputazione del reato sul piano oggettivo: gli apicali e i sottoposti.

La possibilità di ricondurre la responsabilità amministrativa-penale all’ente è subordinata alla sussistenza di due requisiti fondamentali di

carattere oggettivo16 e soggettivo: il reato deve risultare commesso da determinati soggetti nell’interesse o a vantaggio dell’ente (requisito

oggettivo); il reato deve costituire l’espressione della politica aziendale o, quanto meno, derivare da una colpa di organizzazione (requisito soggettivo).

Per evidenti esigenze di trattazione, prima di concentrarsi sul criterio soggettivo di attribuzione della responsabilità agli enti, analizzeremo i più peculiari aspetti della struttura dell’illecito previsto ed i criteri oggettivi di attribuzione della responsabilità agli enti.

15 Corte di Cassazione, sez. III, 20 aprile 2011, sentenza n. 15657 in G. Castellani, op.cit., ha messo in dubbio le precedenti interpretazioni giurisprudenziali e l’opinione unanime in dottrina in quanto la sentenza ha rigettato il ricorso di un’impresa individuale siciliana già condannata dal Tribunale del Riesame di Caltanissetta alla misura interdittiva per il reato di associazione a delinquere (reato rilevante ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 ex art. 24 ter) finalizzata alla raccolta, smaltimento e traffico illecito di rifiuti pericolosi per il quale era stato condannato l’imprenditore in persona. La sentenza in oggetto rimane un caso isolato La prospettiva aperta dalla citata sentenza non è però stata confermata e la Corte di Cassazione è tornata sul punto in modo incidentale ma perentorio escludendo l’applicabilità del d.lgs. n. 231/2001 all’imprenditore individuale.

16 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Trattato di diritto

penale diretto da C. F. Grosso, T. Padovani, A. Pagliaro, Milano, 2008, 147. Per un esame

approfondito sul tema, si rinvia a R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Milano, 2006.

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Ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001:« L'ente è responsabile per i reati

commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione17 dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)».

Sulla base del dettato è evidente che l’accertamento della responsabilità dell’ente presuppone la commissione o (anche solo) il tentativo di

commissione da parte di una persona fisica di un determinato reato-presupposto; infatti non ogni reato comporta la responsabilità dell’ente, ma solo quelli espressamente previsti dal decreto, in ottemperanza al principio di legalitàsancito dall’art. 218 del d.lgs. n. 231 del 2001.

Questo dato costituisce un presupposto necessario, ma non sufficiente; affinché sorga la responsabilità dell’ente è, infatti, indispensabile che il

17 La disposizione non specifica cosa si debba intendere per rappresentanza, amministrazione e direzione. La dottrina ha messo in evidenza che l’amministrazione concerne il potere di gestione e controllo delle risorse materiali, la direzione, il potere di gestione e controllo del personale, mentre la rappresentanza la legittimazione a emettere o ricevere dichiarazioni negoziali in nome e nell’interesse della società.

Occorre precisare che le tre nozioni riguardano funzioni che concettualmente sono distinte, ma che normalmente, nella dinamica degli enti collettivi e delle società, i vari poteri appartengono cumulativamente a chi gestisce l’attività dell’ente, essendo la rappresentanza, spesso, un momento di esternazione di ciò che attiene la gestione medesima.

Viene giustamente precisato che la rappresentanza rilevante ai fini di cui all’art. 5 è solamente quella organica, cioè quella che deriva ex lege dalla titolarità di un organo della società, e non quella volontaria, che viene esercitata a seguito di un atto di volontà (procura) degli organi sociali.

18 Vedi. L. Frignani, C.F. Grosso, G. Rossi, I modelli di organizzazione previsti dal d.lgs.

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reato sia ad esso riconducibile in base ad un profilo tanto oggettivo, quanto soggettivo.

I reati che fungono da presupposto al sorgere della responsabilità dell’ente

collettivo si trovano in un catalogo 19, inserito all’interno del decreto 231 dall’art. 24 all’art. 25-duodecies.

19 1. Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24, d.lgs. n. 231/2001) [articolo modificato dalla l. 161/2017] 2. Delitti informatici e trattamento illecito di dati (art. 24-bis, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 48/2008; modificato dal d.lgs. n. 7 e 8/2016]

3. Delitti di criminalità organizzata (art. 24-ter, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 94/2009 e modificato dalla l. 69/2015]

4. Concussione, induzione indebita a dare o promettere altre utilità e corruzione (Art. 25, d.lgs. n. 231/2001) [modificato dalla l. n. 190/2012 e dalla l. 3/2019]

5. Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (art. 25-bis, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal d.l. n. 350/2001, convertito con modificazioni dalla l. n. 409/2001; modificato dalla l. n. 99/2009; modificato dal d.lgs. 125/2016]

6. Delitti contro l’industria e il commercio (art. 25-bis.1, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 99/2009]

7. Reati societari (art. 25-ter, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal d.lgs. n. 61/2002, modificato dalla l. n. 190/2012, dalla l. 69/2015 e dal d.lgs. n.38/2017]

8. Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico previsti dal codice penale e dalle leggi speciali (art. 25-quater, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 7/2003]

9. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 7/2006]

10. Delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 228/2003; modificato dalla l. n. 199/2016]

11. Reati di abuso di mercato (art. 25-sexies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 62/2005]

12. Altre fattispecie in materia di abusi di mercato (Art. 187-quinquies TUF) [articolo modificato dal d.lgs. n. 107/2018]

13. Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 123/2007; modificato l. n. 3/2018]

14. Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (art. 25-octies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal d.lgs. n. 231/2007; modificato dalla l. n. 186/2014]

15. Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (art. 25-novies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 99/2009]

16. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 25-decies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 116/2009] 17. Reati ambientali (art. 25-undecies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal d.lgs. n. 121/2011, modificato dalla l. n. 68/2015, modificato dal d.lgs. n. 21/2018]

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Nel corso degli anni gli interventi di modifica hanno incrementato e continuano a farlo sul piano quantitativo i così detti reati-presupposti.

Di grande rilievo è la legge del 3 agosto 2007, n.123 che ha aggiunto all’art. 25 septies del d.lgs. n 231 cit. i reati colposi commessi in violazione

delle norme sulla sicurezza sul lavoro o la legge del 22 maggio 2015, n.68 che ha introdotto nel catalogo i delitti contro l’ambiente.

L’attività di implementazione, inoltre, è dovuta a adempimenti di obblighi europei e internazionali che hanno portato all’introduzione nel catalogo

dei reati- presupposto anche quelli di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita.

Quindi al fine di poter attribuire la responsabilità all’ente, il reato

contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica20.

Ovviamente un’azienda non può commettere reati se non tramite persone

fisiche; pertanto anche nel campo applicativo del d.lgs. 231/2001 si può

18. Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25-duodecies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal d.lgs. n. 109/2012, modificato dalla legge 17 ottobre 2017 n. 161]

19. Razzismo e xenofobia (art. 25-terdecies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla legge 20 novembre 2017 n. 167, modificato dal d.lgs. n. 21/2018]

20. Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (art. 25-quaterdecies, d.lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla l. n. 39/2019]

21. Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (art. 12, l. n. 9/2013) [Costituiscono presupposto per gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva]

22. Reati transnazionali (l. n. 146/2006) [Costituiscono presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti i seguenti reati se commessi in modalità transnazionale]. 20 Cfr. M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, G. Giappichelli editore, Torino,2018 pag78s.

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ritenere applicabile un principio tipico della responsabilità civile: l’immedesimazione organica. Così come gli effetti civili degli atti compiuti dagli organi societari s’imputano direttamente alla società,

altrettanto può accadere per le conseguenze del reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’impresa stessa.

La normativa individua due categorie di soggetti-persone fisiche che con il loro operato possono compromettere l’impresa di cui fanno parte: i

soggetti in posizione apicale e i sottoposti.

I soggetti in posizione apicale si pongono al vertice della struttura aziendale: si tratta di soggetti che esprimono la volontà dell’impresa e che s’identificano con essa. Essi sono individuati sulla base della funzione

esercitata: funzione di rappresentanza (rappresentante legale) o di direzione (direttore generale) o di amministrazione dell’ente (amministratore unico o delegato).

Per sottoposti21, invece, s’intendono le persone assoggettate alla direzione

o alla vigilanza di uno dei soggetti apicali. Nella categoria rientrano in primo luogo i lavoratori subordinati, la cui attività lavorativa si estrinseca in una prestazione organizzata e diretta dal datore di lavoro. Per quanto riguarda gli altri soggetti che possono operare per conto dell’azienda e i

21 F. Vignoli, Societas punir potest: profili critici di un’autonoma responsabilità

dell’ente, in Dir. Pen. Proc., 2004, p. 903 ss., secondo cui l’equiparazione tra dipendenti

formalmente inseriti nell’organizzazione societaria e soggetti sottoposti de facto alla direzione dei vertici dell’impresa, corrisponde ad un’interpretazione analogica in malam

partem; S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2001, p. 42.

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collaboratori esterni (quali, ad esempio, i consulenti) l’elemento decisivo appare essere la soggezione o meno alla “direzione e vigilanza”, pertanto

sarà necessario verificare caso per caso il rapporto contrattuale che lega la persona fisica all’impresa22.

La responsabilità ricade automaticamente sull’impresa quando il reato è posto da soggetti apicali23, proprio in virtù della loro posizione di vertice. Tale responsabilità è esclusa se l’ente riesce a dimostrare la sua estraneità provando di aver adottato e attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e dimostrando l’elusione fraudolenta del modello stesso da parte del soggetto apicale.

Per quanto riguarda i reati commessi dai sottoposti, l’impresa sarà

responsabile solo se la commissione del reato (nel suo interesse o vantaggio) è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di

direzione o vigilanza24 . Tale inosservanza è esclusa se l’impresa, prima

22 Si è sostenuto che lo spartiacque, ai fini di una corretta individuazione dei soggetti sottoposti di cui alla lettera b) andrebbe ricercato nell’elemento dell’eterodirezione, che consentirebbe di bypassare il momento dell’“appartenenza” del soggetto alla struttura organizzativa dell’ente In questo senso si sono espressi la dottrina prevalente e le prime pronunce giurisprudenziali. Vedi, O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo

illecito punitivo in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Milano, 2005,

p. 58; F. Santi, La responsabilità delle società e degli enti:i modelli di esonero delle

imprese, Milano, 2004, p. 203 ss.; A. Bassi, T.E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato: accertamento, sanzioni e misure cautelari, Milano, 2006.

23 Sul punto vedi, G. De Simone, I profili sostanziali della c.d. responsabilità

amministrative degli enti: la parte generale e la parte speciale del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Padova, 2002, p. 81 ss. I. Mereu, La responsabilità ‘da reato’ degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in Ind. pen., 2006, p. 50.

24 Tale affermazione corrisponde all’interpretazione assolutamente dominante in dottrina, pienamente recepita nella prassi aziendale dei modelli organizzativi (cfr. per tutti, in senso adesivo alla scelta del legislatore delegato, G. De Simone, I profili

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della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato il citato modello di organizzazione, gestione e controllo. All’ente sarà imputabile l’illecito anche quando l’agente, perseguendo il proprio autonomo interesse, finisca per realizzare obiettivamente quello dell’ente.

Ancora una volta appare essenziale la costruzione preventiva del modello nonché la sua efficace attuazione. In caso contrario, l’impresa si espone al rischio di non potersi difendere per l’operato illecito del suo personale.

L'art. 525 prevede, come criterio di imputazione oggettiva del reato all'ente,

non solo che il reato sia riconducibile ad un soggetto apicale o subordinato dell'ente, ma altresì che sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso; ciò è confermato dal fatto che lo stesso art. 5, all' ultimo comma, dispone che l'ente non risponda se l'autore del reato ha agito "nell'interesse proprio o di terzi26 ".

Ormai è chiaro in dottrina che il concetto di "interesse" esprime un legame finalistico tra il reato e un risultato che attraverso il medesimo ci si propone di raggiungere. Il richiamo all’interesse dell’ente «valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante27 , per effetto di un indebito

sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, Cedam, Padova, 2002 cit., p. 105).

25 Da ora in poi gli articoli senza alcuna specificazione sono riferibili al d.lgs.231/2001. 26 http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2014-12-16/dlgs-2312001-imputazione-oggettiva-reato-ente-e-confisca-profitto-120534.php 27 Cass. pen., Sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615 (in Cass. pen., 2007, 1, 74): «l’interesse […] della società va valutato […] potendosi distinguere un interesse “a monte” della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata in conseguenza dell’illecito»;

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arricchimento prefigurato, ma non necessariamente realizzato, in conseguenza dell’illecito». L'accertamento di tale requisito talvolta non è

semplice, in quanto occorre svolgere una valutazione ex ante per accertare se il reato si colloca all'interno di una politica di impresa finalizzata a raggiungere determinati risultati attraverso condotte illecite dei propri dipendenti.

L'esistenza di un vantaggio, viceversa, pone minori difficoltà di accertamento, in quanto occorre semplicemente valutare ex post se l'ente abbia tratto un beneficio dalla commissione del reato.

È da precisare che sia il criterio dell’interesse che del vantaggio sono tra loro alternativi e concorrenti28.

https://www.camerepenali.it/public/file/Commissione%20231/Nota%20sull'interesse%2 0dell'ente.pdf.

28 Cass. S.U., 24.4.2014, n. 38343 ,Thyssen-Krupp Acciai Speciali Terni s.p.a, secondo cui: “In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 all’«interesse o al vantaggio», sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile “ex

ante”, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio

marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile “ex post”, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito”. I due criteri, pertanto,

sarebbero distinti ed eventualmente anche alternativi (ci potrà essere, pertanto, interesse senza vantaggio e viceversa). L'impostazione appena esposta non è condivisa da una parte della dottrina per diversi ordini di ragioni. Sul piano pratico, anzitutto, interpretare nel senso sopra esposto il criterio dell'interesse o vantaggio può determinare risultati scarsamente selettivi, se non del tutto inaccettabili. Isolando l'interesse, infatti, si finisce per radicare l'imputazione anche solo sull'intima convinzione della persona fisica di avvantaggiare l'ente, a prescindere dall'oggettiva idoneità della condotta a curare l'organizzazione. Isolando il vantaggio, invece, si rischia di rendere l'ente responsabile a causa delle mere ricadute vantaggiose della condotta, anche se del tutto contingenti. Sul piano normativo, inoltre, la tesi in commento si scontra con il chiaro tenore letterale dell'art. 5, comma secondo, il quale stabilisce che «L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi» e dell'art. 12 comma primo lett. a), il quale prevede una circostanza attenuante nel caso in cui «l'autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo». Dalle norme

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Un problema su cui concentrare l’attenzione è quello relativo ai reati di natura colposa commessi in violazione delle norme in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (art.25 septies del d.lgs. n. 231 del 2001); sono infatti emersi in dottrina e in giurisprudenza forti dubbi sulla materiale possibilità di coordinare l’intenzione dell’ente di cui all’ art.5

d.lgs. n. 231 del 2001 con quei reati caratterizzati proprio dalla mancanza d’intenzione.

Se nessuna criticità è stata mai rilevata in relazione all’ontologico legame che intercorre tra i concetti di “interesse” e di “vantaggio” e i reati

presupposto di natura dolosa, alle stesse pacifiche conclusioni non si è giunti in riferimento ai reati colposi. Sul punto si sono succedute numerose teorie volte a determinare una plausibile congiunzione tra l’art.5 del d.lgs. n. 231 del 2001 e l’art.25-septies del medesimo decreto, e la più corretta è

sicuramente quella che, facendo leva su un’interpretazione puramente oggettiva della norma, si è soffermata esclusivamente sull’analisi della condotta dell’agente poiché considerata unico elemento idoneo a integrare un beneficio in favore dell’ente. Viene, così, abbandonato ogni aspetto “soggettivo” che invece è tipico dei reati dolosi. Tale soluzione è stata

sposata anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che nel caso c.d. ThyssenKrupp ha dichiarato che i

si trae la logica conseguenza che, in fondo, il vero criterio imprescindibile per

l'imputazione della responsabilità all'ente sia l'interesse, e non anche il vantaggio, o che comunque questo non possa essere seriamente alternativo al primo. Per questo motivo parte della dottrina preferisce leggere nei termini "interesse o vantaggio" un unico criterio di imputazione. M.L. Minnella, D.lgs.n.231 del 2001 e reati colposi nel caso

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concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di

necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico.

Così ragionando possiamo affermare che è possibile che una condotta colposa sia realizzata nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio. L’unica differenza, ricorda sempre la Corte nella pronuncia richiamata, tra la disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati dolosi e per i reati colposi, riguarda solamente l’oggetto di valutazione, che non è l’evento bensì la

sola condotta, che ha dato origine alle lesioni o alla morte29.

1.3.1 Criteri di imputazione del reato sul piano soggettivo.

Abbiamo visto nel precedente paragrafo che l’accertamento della

responsabilità ed il conseguente profilo di rimproverabilità penale dell’ente esige, oltre alla sussistenza dei criteri oggettivi già menzionati,

anche la verifica del cd. profilo soggettivo di attribuzione della responsabilità.

Per la configurabilità di una responsabilità in capo all’ente è necessaria la sussistenza della cd. colpa di organizzazione30: tale colpa, come accennato, consiste nel poter rimproverare all’ente la mancanza o il carente

29 Per un approfondimento sul punto vedi M.L. Minnella, D.lgs.n.231 del 2001 e reati

colposi nel caso Thyssenkrupp, in Diritto penale contemporaneo.

30 Sul punto Palazzo, C.E. Paliero, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, p. 2302.

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funzionamento dei modelli di organizzazione (preventivi), previsti dagli artt. 631 e 732 del d.lgs. 231 del 2001.

L’ente, per evitare l’imputazione a suo carico, deve provare di aver

adottato ed efficacemente attuato misure di gestione, organizzazione e controllo idonee a prevenire la commissione di illeciti penali espressamente previsti; altrimenti, risponde per un difetto di organizzazione, ovvero per una propria “colpevole disorganizzazione”.

Importante, quindi, è la scelta di modelli organizzativi i quali costituiscono un elemento cruciale nella determinazione della responsabilità degli enti, in grado di condizionare tanto la colpevolezza quanto il profilo

31Art. 6 comma 2 : «In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:

a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;

b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;

c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;

e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello».

32 Art 7 comma 1: «Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.

2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. 4. L'efficace attuazione del modello richiede:

a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;

b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello».

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sanzionatorio. La predisposizione di un efficace sistema di gestione e controllo evidenzia come l’impresa sia “indirizzata” al rispetto della

legalità: i modelli organizzativi, infatti, non solo fungerebbero da deterrente per la criminalità (interna e connaturata al rischio d’impresa) ma la loro adozione sarebbe pure fortemente incentivata dalla “promessa di

considerevoli vantaggi-benefici”

Il d.lgs. 231/2001 distingue due modelli organizzativi a seconda del momento in cui gli stessi sono redatti, adottati ed attuati. Abbiamo quindi modelli così detti “preventivi”, o ante factum, e modelli “riparatori”, o post

factum: i primi, se efficacemente adottati, sono in grado di incidere sulla

sussistenza stessa della responsabilità dell’ente ed esimere l’ente da

qualsivoglia rimprovero; i secondi, invece, possono comportare una riduzione della sanzione pecuniaria (ex art. 12, comma 2, lett. b) oppure rappresentare una causa di esclusione dell’applicabilità di sanzioni

interdittive (ex art.17, lett. b), una causa di sospensione o di revoca delle misure cautelari interdittive (ex artt. 49 e 50) o, ancora, una causa di sospensione e successiva conversione delle sanzioni pecuniarie qualora la fattispecie riparatoria si realizzi tardivamente (ex art. 78).

La rilevanza di tali sistemi organizzativi è individuabile nel “vantaggio” che questi strumenti determinano sul piano probatorio. E ’infatti previsto dallo stesso d.lgs. 231/2001 un diverso regime probatorio a seconda che il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti alla direzione ed alla vigilanza degli organi di vertice.

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Sul piano dell’imputazione soggettiva del reato, e del conseguente “onus

probandi”, è possibile operare la seguente differenziazione: nel caso in cui

il reato sia stato commesso da un cd. soggetto “sottoposto” (art. 7, d.lgs. 231/2001) l’onere di dimostrare l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza impartiti al dipendente “grava sull’accusa”. Diversamente,

nelle ipotesi in cui il reato sia stato commesso da un cd. soggetto in posizione apicale, l’art. 6 del decreto prevede un’inversione dell’onere della prova, onere che viene così posto a carico dell’ente accusato.

La responsabilità dell’ente viene così a configurarsi nel caso in cui non

abbia adottato misure organizzative potenzialmente adatte ad evitarlo; se invece riuscisse a dimostrare di aver predisposto i modelli organizzativi “idonei” a diminuire il rischio della commissione di reati al suo interno, si ammette l’astratta possibilità che la persona fisica abbia agito aggirando i

compliance programs. Anche tale ultimo fatto costituisce, tuttavia, oggetto

di un pesante onere probatorio a carico dell’ente, in quanto la ratio della disciplina muove dal convincimento che il “proposito criminale” collimi e si identifichi con la “volontà aziendale” e che, dunque, possa (“presuntivamente”) ritenersi integrato il requisito della colpevolezza dell’ente.

L’adozione di tali modelli organizzativi comporterebbe un ulteriore vantaggio “beneficio”, vale a dire quello di far venir meno (anche) il

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l’applicazione di misure cautelari interdittive che più preoccupano, dal

punto di vista pratico-applicativo, gli imprenditori.

La formulazione degli artt. 6 e 7 non definisce l’adozione del modello di organizzazione quale procedura obbligatoria anche se si intuisce come la predisposizione del modello divenga, di fatto, “obbligatoria”. Parte della

dottrina33 sostiene la facoltatività dell’adozione, dal momento che il testo normativo non stabilirebbe espressamente alcun obbligo in capo alla persona giuridica; secondo tale lettura, l’adozione di un meccanismo

organizzativo preventivo viene quindi rimessa alla singola impresa e alla valutazione di opportunità fatta dagli organi interni. La giurisprudenza se prima34 era concorde con parte della dottrina circa la facoltatività dell’adozione in via preventiva dei su detti modelli organizzativi, sembrerebbe adesso orientarsi verso un superamento dell’impostazione originaria, prevedendo l’inadempimento di un dovere di organizzazione

quale fondamento della responsabilità delle persone giuridiche35.

1.4 L’autonomia della responsabilità dell’ente.

Abbiamo accennato in precedenza come la responsabilità dell’ente venga ad aggiungersi alla responsabilità penale del singolo che ha commesso il reato presupposto: l’ente è infatti responsabile per i crimini realizzati dalla

33 G.Ruggiero, Capacità penale e responsabilità degli enti. Una rivisitazione della

teoria dei soggetti nel diritto penale, Giappichelli,Torino, 2004 pag.300.

34 Cfr.Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32626. http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

35 Cfr. Cass. pen., sez. VI, 17 settembre 2009, n. 36083, in CED Cass. pen., 2009; Vedi Trib. Milano, sez. VIII, 13 febbraio 2008, n. 1774 in

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persona fisica qualificata (apicale/sottoposto) nell’interesse e a vantaggio dell’ente stesso36.

L’autonomia della responsabilità dell’ente è sancita dall’art. 8 del

d.lgs.231 che recita: «La responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa

amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione. L’ente può rinunciare all’amnistia».

La responsabilità dell’ente sussiste in queste ipotesi a prescindere dall’accertamento della realizzazione in tutti i suoi elementi del

reato-presupposto da parte di un soggetto persona fisica qualificata.

Un esempio è la mancata identificazione dell’autore del

reato-presupposto,37 che potrebbe precludere l’accertamento dell’elemento

soggettivo in capo a quest’ultimo ma non la responsabilità dell’ente da

reato; ne consegue che, a prescindere dalle vicende processuali riguardanti

36 M. Gambardella, op.cit., da pag.83 a 85

37 Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10/11/2015) 07-07-2016, n. 28299 ha precisato che: «[…] l’ente è chiamato a rispondere dell’illecito anche quando l’autore del reato presupposto non è stato identificato. Invero, tra le ragioni all’origine dell’introduzione di forme di responsabilità diretta dell’ente c’è proprio quella di ovviare alle difficoltà di procedere all’individuazione dell’autore del reato nelle organizzazioni a struttura complessa, in cui più evidente appare il limite di un sistema che punti esclusivamente sull’accertamento della colpa della persona fisica: in questo modo il fattore umano non viene escluso dal tipo di responsabilità, ma si prende atto che la prevenzione del rischio-reato non è soltanto un problema di persone, ma soprattutto di organizzazione».

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l’autore del reato, l’ente subisce un processo davanti al giudice penale per l’accertamento dell’illecito amministrativo, all’esito del quale può vedersi

infliggere specifiche sanzioni, che vanno da quella pecuniaria a quella interdittiva, fino all’interdizione dall’esercizio dell’attività38.

Deve dunque affermarsi il principio di diritto per cui, in tema di responsabilità da reato degli enti, l’autonomia della responsabilità

dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, di cui all’art. 8, d.lgs. n. 231/2001, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell’ente, non è necessario il

definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 ed 8 del medesimo decreto. Conseguentemente, la posizione processuale dell’ente imputato deve intendersi a sua volta come autonoma rispetto a

quella dei coimputati persone fisiche, non gravando sul giudice alcun obbligo di valutare, a favore dell’ente, atti difensivi prodotti in favore di

altri soggetti processuali39.

Possiamo concludere dicendo che le ragioni dell’autonomia della responsabilità dell'ente rispetto alle vicende che riguardano il reato ed il suo autore persona fisica possono individuarsi, in linea generale, nel fatto

38 A.Toppan,L.Tosi,Lineamenti di diritto penale dell’impresa,Wolter Kluwer,Milano, 2017, pag.370.

39 Cassazione Penale, Sez. 4, 09 agosto 2018, n. 38363, Roma. In www.studiolegale.leggiditali.it

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che il reato è stato commesso nell'interesse dell'ente o che da esso l'ente ha comunque tratto un vantaggio.

1.5 Trattamento sanzionatorio del d.lgs. 231/2001: pecuniaria e interdittive.

L’ente responsabile per un reato commesso da un soggetto qualificato,

appartenente quindi alla sua struttura organizzativa, è condannato in base ad un sistema sanzionatorio che prevede sanzioni amministrative come la sanzione pecuniaria, sanzioni interdittive, la confisca e la pubblicazione della sentenza di condanna.

La scelta del nostro legislatore di sanzionare la persona giuridica suscita alcuni dubbi di ordine costituzionale con riguardo in particolare al rispetto di due principi sanciti dall’art. 27 Cost.40: il principio di personalità della

responsabilità penale e il principio della finalità rieducativa della pena.

Il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 comma 1 Cost.) infatti, potrebbe subire un vulnus nella misura in cui la persona giuridica venga sanzionata per un reato commesso da altri (la persona fisica autore materiale dell’illecito) oppure, sotto questo stesso profilo, le sanzioni emesse all’ente ricadano sui terzi incolpevoli (azionista, socio,

associato).

Il principio della finalità rieducativa della pena (art. 27 comma 3 Cost.)

invece, non si presta semplicisticamente a operazioni transitive

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26

dall’individuo alla societas, poiché «la risocializzazione mediante

afflizione richiede pur sempre, concettualmente e praticamente, una personalità sulla quale incidere41» ma la struttura aziendale è caratterizzata dalla mutevolezza collegata a scelte gestionali, di indirizzo strategico ed è sempre esposta a cambiamenti di proprietà.

A parte queste riserve, la maggior parte degli autori giunge alla conclusione che gli stessi principi costituzionali e l’ordinamento nel suo

complesso «non si oppongono affatto ad una responsabilità della persona giuridica che approdi a paradigmi punitivi, collegati alla commissione di un reato da parte di un soggetto qualificato42»

Lo scopo delle sanzioni amministrative è quello di colpire direttamente o indirettamente il profitto dell’ente, disincentivando la commissione di reati nell’interesse o a vantaggio dello stesso e di incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa in modo da favorire attività risarcitorie

riparatorie.

Per quanto riguarda la determinazione della sanzione pecuniaria, è stato abbandonato il modello tradizionale “per somma complessiva” (a causa dell’eccessiva rigidità commisurativa) in favore di un sistema per quote

ritenuto più idoneo, ai fini dell’effettività della sanzione, a modulare la stessa in rapporto alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente43.

41 A. Presutti, A. Bernasconi, op. cit., pag. 198. 42 Ivi, cit., pag.198.

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27

La sanzione pecuniaria è indefettibile ed è quantificata in base a criteri di commisurazione “per quote” a struttura bifasica stabiliti dagli artt. 10 e11.

L’art. 10 d.lgs. 231/2001 stabilisce che per l’illecito amministrativo

dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria (art.10 comma 3) e non è ammesso il pagamento in misura ridotta (comma 4) salvo i casi contemplati all’art. 12.

Il numero di quote si determina «tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per

eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti» (art. 11 comma 1) mentre «l’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione» (comma 2).44

Può sorgere il problema che la sanzione emessa sia sproporzionata per una piccola impresa rispetto ad una con una realtà più grande, in grado di ammortizzare più facilmente tale ammontare; per questo il legislatore ha disciplinato dei casi di riduzione della sanzione pecuniaria disciplinati all’art. 12 45del d.lgs. n. 231/2001.

44Massimo Ceresa-Gastaldo, Procedura penale delle societò, G.Giappichelli Editore,Torino,2017.

45 Art. 12: «1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a euro 103.291 (lire duecento milioni) se:

a) l'autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;

b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità;

2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:

a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

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La sanzione pecuniaria46, ai sensi dell’art. 12, è ridotta della metà e non può essere superiore a 103291 euro47, se l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ha ricavato un

vantaggio consistente(1 comma lett. b) o il danno patrimoniale cagionato è tenue( lett. b); essa, invece, è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente ha

risarcito48 integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose

del reato49(2 comma lett. a), o in alternativa è stato adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi

b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.

4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a euro 10.329 (lire venti milioni)».

46 Art. 27 comma 1:« in coerenza con la peculiare natura, non civile ma “sanzionatoria-punitiva” della responsabilità delle società, dispone che della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune (e, dunque non i suoi soci, ancorché illimitatamente e solidalmente responsabili, come quelli delle società di persone, in base alle norme civilistiche)».

47 È bene precisare come la sanzione pecuniaria in misura ridotta non può essere inferiore a 10329 euro.

48 Per quanto attiene al danno da risarcirsi, sembra potersi ricomprendere il danno non patrimoniale (G.U.P. Trib. Verona 14/03/2007), nonché il danno indirettamente causato, come ad esempio il danno subito dal mercato (G.I.P. Trib. Milano 27/04/2004, Siemens in Foro It., 2004, 2, 434)., vedi anche F. Sbisà, Responsabilità amministrativa degli enti

(d.lgs.231/), IPSOA, edizione I, 2017.

49 L’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, oltre all’ovvio significato che assume in relazione, per esempio, ai reati ambientali, deve essere letta in riferimento a quelle condotte in grado di eliminare le fonti di pericolo o di danno. Valgano ad esempio l’allontanamento degli autori del reato, la sostituzione dei vertici, l’abbandono delle attività in cui si è verificato l’illecito, la cessazione di rapporti commerciali con determinate controparti (Cass. pen., sez. II, 16/10/2013, n. 46369; Cass. pen., sez. VI, 25/01/2010, n. 20560Dir. Pen. e Processo, 2010, 8, 943; G.I.P. Trib. Milano 27/04/2004, Siemens cit.). Non è chiaro se il riferimento all’essersi comunque adoperato efficacemente in tal senso sia da interpretarsi in riferimento sia al risarcimento che all’eliminazione delle conseguenze, oppure solo in relazione al secondo tipo di condotte, anche se è preferibile la soluzione più ampia. F.Sbisà,Responsabilità amministrativa degli

(32)

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(lett.b). Qualora si verificassero entrambe le condizioni, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.

Vengono così in rilievo sia una duplice categoria di fatto tenue sia una coppia di presupposti legata al compimento di attività riparatorie. In entrambi i casi si deroga al sistema sanzionatorio disciplinato all’art. 11,

sterilizzando la possibilità di orientare la sanzione sulla capacità economica dell’ente.

Per quanto concerne la particolare tenuità, la legge prevede due attenuanti tra loro alternative: la prima non è riferibile al fatto reato ma ai suoi riflessi sulla posizione dell’ente coinvolto in misura minima nell’illecito, nella seconda il ridotto disvalore del reato legittima l’affievolimento del

trattamento sanzionatorio50.

Infine, è da rilevare che l’art. 13 comma 3 esclude l’applicazione delle sanzioni interdittive nei due casi appena esaminati (art. 12 comma 1 lett. a, b).

Sono tutte soluzioni (quelle disciplinate dall’art.12) che a ben vedere sono ispirate al favor reparandi e alla special prevenzione, tipiche del così detto diritto penale premiale secondo cui si valorizza l’attuazione di condotte riparatorie che esprimono «un significativo controvalore rispetto alla lesione dell’ordine».51

50 Cfr. A. Presutti, A.Bernasconi, op.cit., pag. 202- 203. 51 Ivi,cit. pag. 204.

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Sono tuttavia legittimi i dubbi circa la reale incisività di tali sanzioni, in quanto la somma massima esigibile può essere sopportata senza problemi da numerosi enti. In aggiunta, si consideri la fisiologica attitudine delle persone giuridiche a creare riserve (appostazione di fondi rischi) in grado di coprire perdite straordinarie, trasformando le sanzioni pecuniarie in semplici costi d’impresa, preventivabili e come tali ammortizzabili.

Emergono con evidenza i limiti fisiologici della pena pecuniaria applicata agli enti.52

Dal carattere marcatamente afflittivo e caratterizzate da una natura fortemente special-preventiva sono le sanzioni interdittive, capaci di neutralizzare le fonti di rischio connesse all’attività dell’impresa colpendo direttamente l’attività dell’ente limitandola, sottraendole risorse e potendo

arrivare a paralizzarla. Questo tipo di sanzioni si presta ad esercitare una minaccia concreta e pregnante, in grado di indurre condotte "responsabili” nelle persone giuridiche.

L’istituto è ispirato al principio di legalità (art. 13 comma 1 ai reati per i

quali sono espressamente previsti) e obbedisce anche al principio di proporzionalità applicativa là dove prevede che la sanzione deve colpire solo il ramo di attività aziendale da cui sorge l’illecito (art. 14 comma 1 e 69 comma 2).53

52 Cfr. F. Sbisà, Responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs.231/),IPSOA, edizione I, 2017.

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Le sanzioni interdittive sono sanzioni principali, obbligatorie, ma speciali, in quanto non applicabili per la commissione di tutti gli illeciti.

L’ art. 13 d.lgs. 231/2001 disciplina i presupposti per l’applicazione e

stabilisce al primo comma che «le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità'54 e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti55».

54 Il presupposto di cui alla lett. a) Il primo dei due presupposti richiede la realizzazione di un profitto di rilevante entità, da valutarsi ex post. La nozione di profitto è in questo caso più ampia e dinamica rispetto a quella ex art. 19 (infra, par. 6), facendo riferimento al ricavato lordo del reato. L’ampiezza della previsione legislativa è stata confermata dalla giurisprudenza che ha ricompreso nel concetto di profitto anche i vantaggi immateriali, quali «il vantaggio di posizione sul mercato», nonché il profitto conseguito dall’ente in via indiretta (Cass. pen., sez. II, 09/02/2016, n. 11209, (rv. 266427); Cass. pen., SS.UU., 27/03/2008, n. 26654, Fisia Italimpianti Dir. Pen. e Processo, 2008, 9, 1097; Cass. pen., sez. VI, 23/06/2006, n. 32627, La Fiorita (rv.235636), CED Cassazione, 2006,Riv. Pen., 2007, 10, 1074). La formulazione scelta dal legislatore, consente una valutazione discrezionale da parte del giudice che non può, tuttavia, essere avulsa da criteri di tipo oggettivo e soggettivo (scongiurando trattamenti più favorevoli nei confronti delle persone giuridiche dotate di risorse maggiori), Corte ass. Torino, sez. II, 15/04/2011, ThyssenkruppDir. Pen. e Processo, 2012, 6, 702 . Il conseguimento del

profitto rilevante deve essere accertato con certezza, ma non è richiesto che esso sia esattamente quantificato. A tal fine, il giudice potrà desumere la rilevanza del profitto da indici relativi all’ente responsabile, quali le dimensioni dello stesso e dell’attività illecita attribuitagli. Vedi F.Sbisà, op.cit. pag125.

55« Il presupposto di cui alla lett. b) La nozione di reiterazione è assimilabile a quella di recidiva (Trib. riesame Milano, 28/10/2004, Siemens cit.). Il presupposto della reiterazione, come definito dall’art. 20, ricorre se, dopo aver ricevuto una condanna in via definitiva per un illecito, l’ente ne commette un altro nei cinque anni successivi. Il presupposto in esame riflette l’attenzione alla prevenzione speciale dell’apparato sanzionatorio previsto dal d.lgs. n. 231/2001. La reiterazione di illeciti da parte della persona giuridica è considerata come la manifestazione della sua insensibilità alle sanzioni pecuniarie e la sua propensione all’illecito, e, come tale, giustifica l’irrogazione di sanzioni più afflittive, ossia quelle interdittive» così F.Sbisà, op. cit., pag.125.

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