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Strategie di internazionalizzazione e Made in Italy: il caso Granoro

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Academic year: 2021

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1

Dipartimento di Economia e Management

Università di Pisa

Laurea magistrale in Strategia, Management e Controllo

Strategie di internazionalizzazione e Made in Italy: il

caso Granoro

Anno Accademico

2015-2016

Candidato:

Relatore:

(2)

2

A Tutti coloro,

che con il loro sostegno,

mi hanno dato la forza

per raggiungere questo traguardo

(3)

3

Prefazione

Il seguente elaborato si propone di compiere un’analisi del fenomeno

dell’internazionalizzazione delle imprese, focalizzando la propria attenzione in particolar modo sugli aspetti strategici che guidano la decisione di estendere le proprie attività oltre confine. Quello dell’internazionalizzazione delle imprese è un fenomeno in costante accelerazione e divenuto sempre più complesso, per cui le intenzioni di questo lavoro sono comprendere le ragioni che animano la spinta al processo di internazionalizzazione, individuare le problematiche che si presentano ai vari stadi dello sviluppo internazionale e identificare le modalità attraverso le quali il processo prende piede. Di fatti la volontà è quella di rispondere a una serie di domande che permettono di capire perché le imprese si internazionalizzano, dove e come lo fanno e infine quali sono le attività della catena del valore che intendono portare oltre i propri confini nazionali.

Il passo successivo consiste nel capire che ruolo gioca il Paese di origine dell’impresa che intende internazionalizzarsi nell’influenzare in positivo o in negativo le percezioni di un potenziale consumatore all’estero. Cioè comprendere i casi in cui un prodotto/servizio viene acquistato per le sue caratteristiche intrinseche o in virtù di quelle che i consumatori associano al Paese di origine.

A tal proposito l’elaborato poi, pone la propria attenzione sul caso italiano per analizzare la visione strategica e le modalità con le quali le imprese italiane intendono far valere la propria immagine all’estero, soffermandosi in particolare sulle potenzialità strategiche del brand ‹‹Made in Italy››. Quest’ultimo, infatti, rappresenta di fatto un’infrastruttura immateriale, che permette alle imprese italiane di proiettarsi all’estero.

Vengono poi approfondite le tematiche relative al settore pastario, relativamente al quale l’Italia detiene il primato sia dal punto di vista della produzione che del consumo, studiando brevemente le dinamiche e gli andamenti del mercato interno per poi focalizzarsi sul ruolo chiave che riveste questo settore per le esportazioni del nostro Paese, contribuendo in buona misura alla bilancia commerciale italiana. Nello specifico verrà esaminato il caso del Pastificio Attilio Mastromauro – Granoro srl, azienda produttrice non solo di pasta, ma di tutti quei prodotti che compongono il primo piatto all’italiana, e ubicata a Corato (BA), in Puglia. Dopo una generale panoramica dell’azienda e della sua storia, vengono descritte le sue peculiarità che le permettono di distinguersi dai propri competitor e che l’hanno portata ad essere uno dei principali brand di pasta non solo in Italia. Vengono infatti riportate prima le

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4 modalità attraverso le quali l’azienda opera sul mercato interno e poi quale è la visione strategica che caratterizza la sua presenza sui mercati internazionali. Oggetto di analisi sono dunque le motivazioni che animano l’impegno all’estero, le modalità di presenza, i mercati e la tipologia, nonché i rapporti intrattenuti con i clienti nel mondo.

Nel primo capitolo si cerca di ripercorrere nella letteratura il concetto di internazionalizzazione e l’evoluzione di tale concetto attraverso i contributi dei principali autori in materia. Il secondo capitolo si propone di comprendere cosa si intenda per strategia di internazionalizzazione e quali siano i suoi tratti specifici, ma anche come si avvia tale processo e come viene elaborata la strategia. Nella seconda parte del capitolo l’attenzione è posta sul paradigma del cambiamento incrementale, che si pone come una guida e un modello per i processi di internazionalizzazione, analizzando poi le sue implicazioni strategiche e la sua applicazione al caso italiano. Il terzo capitolo è incentrato sulla scelta dei mercati geografici, verso i quali indirizzare l’espansione della attività aziendali, attraverso un prima una fase di raggruppamento di tutti Paesi candidati, cui segue una profonda analisi di ciascuno e infine vi è il momento della selezione. Nella parte finale del capitolo ci si sofferma sulla crescita per via esterne, mediante acquisizioni, fusioni o alleanze strategiche, confrontati con la crescita per vie interne. Nel quarto capitolo il focus è relativo alle diverse modalità con cui può svilupparsi il processo di internazionalizzazione, e alle relative implicazioni, anche dal punto di vista etico. Si fa riferimento all’internazionalizzazione sui mercati di sbocco, con modalità di presenza basate sulle esportazioni, o contrattuali, oppure con investimento; alle

strategie relative all’internazionalizzazione delle attività produttive; e infine

all’internazionalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo. Il quinto capitolo intende dare una definizione del Country of origin effect, spiegando che ruolo possa avere relativamente alla percezione del prodotto cui è riferito all’estero, e si propone anche individuare l’importanza strategica del concetto ‹‹Made in››. Entrambi poi sono applicati al caso italiano, trattando in particolar modo il valore che ha il brand ‹‹Made in Italy››, in grado di rappresentare un vero e proprio asset per le imprese italiane all’estero. Il sesto capitolo affronta le dinamiche riguardanti il settore pastario, che vede l’Italia essere allo stesso tempo il maggiore produttore e consumatore mondiale di pasta. Nel capitolo vengono trattati temi relativi ai consumi interni, le nuove tendenze alimentari, come si modifica l’offerta in base alle nuove esigenze della domanda, viene condotta un’analisi di settore e infine si pone l’accento sulle esportazioni di pasta nel mondo, che vedono un trend di crescita che nel 2016 raggiunge il dodicesimo anno consecutivo. Infine il settimo capitolo, scritto grazie alle informazioni rilasciate dal Dott. Michele Dell’Aquila, export manager di Granoro, ha come

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5 oggetto di studio proprio il pastificio di Corato. Nella prima parte si descrive la storia della azienda, quale è la sua filosofia e politica aziendale, nonché le idee e lo spirito portati avanti prima dal Sig. Attilio Mastromauro e poi dalle sue figlie, che ne hanno colto l’eredità. Si pone particolare attenzione al concetto di qualità e come questo sia proprio dell’intero sistema aziendale a partire dalle materie prime, passando per il processo produttivo, giungendo fino al prodotto finito. Successivamente si espone l’ampio portafoglio produttivo di Granoro con le relative caratteristiche e come l’azienda opera sul mercato interno. In conclusione l’analisi si sposta sul processo di internazionalizzazione dell’azienda, che muove i primi passi dalla volontà di portare sulle tavole di tutto il mondo la propria qualità; sulle modalità di presenza all’estero adottate dal pastificio; ma anche sull’approccio strategico finalizzato alla gestione dei mercati, dell’offerta produttiva e del portafoglio clienti.

(6)

6

INDICE

PREFAZIONE

... 3

INDICE

... 6

INDICE DELLE FIGURE ...

9

CAPITOLO 1:

L’internazionalizzazione delle imprese: prospettive teoriche

1.1 Introduzione al concetto di internazionalizzazione ... 10

1.2 Le teorie di Hymer ... 11

1.3 Le teorie post Hymer ... 13

1.4 Il paradigma eclettico ... 15

1.5 Il modello di Kogut ... 16

1.6 Il modello di Porter... 17

CAPITOLO 2: Elaborazione della strategia, tratti specifici, principio e sviluppo

del processo di internazionalizzazione

2.1 Un crescente scambio di beni e servizi fra operatori di Paesi diversi ... 19

2.2 Che cosa si intende per strategia di internazionalizzazione? ... 20

2.3 I tratti specifici delle strategie di internazionalizzazione ... 21

2.4 La formazione delle scelte di internazionalizzazione ... 23

2.5 Elaborazione della strategia di internazionalizzazione ... 24

2.6 Avvio del processo decisionale ... 25

2.7

Internazionalizzazione della catena del valore ... 27

2.8 Lo sviluppo del processo: il paradigma del cambiamento incrementale ... 28

2.9 Implicazioni strategiche del modello a stadi ... 31

(7)

7

CAPITOLO 3: La scelta dei mercati geografici e la crescita internazionale

attraverso accorsi, acquisizioni e alleanza

3.1 Il clustering delle nazioni ... 34

3.2 La scelta della nazione candidato ... 35

3.3

Il momento della scelta ... 37

3.4

Crescita per via esterne ... 38

3.5

Gli obiettivi strategici perseguiti ... 40

3.6

Approfondimento del fenomeno delle alleanze strategiche e delle fusioni ... 42

3.7

Osservazioni conclusive ... 43

CAPITOLO 4: L’internazionalizzazione sui mercati di sbocco, della produzione

e delle attività di ricerca e sviluppo e conseguenti implicazioni etiche

4.1 Elaborare una strategia di presenza sui mercati di sbocco internazionali ... 44

4.2 Modalità di presenza basate sull’esportazione ... 48

4.3 Modalità di presenza contrattuali ... 51

4.4 Modalità di presenza con investimento ... 53

4.5 I criteri che influenzano la scelta del mercato di sbocco... 54

4.6 Implementazione della strategia ... 56

4.7 Le motivazioni all’internazionalizzazione della produzione ... 56

4.8 Le strategie di internazionalizzazione della produzione ... 57

4.9 Le determinanti dell’internazionalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo. 59 4.10 Implicazioni etiche legate all’internazionalizzazione………...….61 4.11 Alcuni approcci ai problemi etici internazionali……….62

CAPITOLO 5: Internazionalizzazione e ruolo immagine Paese e focus sul caso

italiano

5.1

Definizione e implicazioni del Country of origin effect ... 64

(8)

8

5.3 Visione strategica applicata al Country of origin effect ... 69

5.4 Country of origin effect: focus sull’Italia ... 73

5.5 Il valore del brand ‹‹Made in Italy›› ... 78

CAPITOLO 6: Le dinamiche del settore pastario

6.1 Il primato produttivo dell’Italia ... 84

6.2 Consumi di pasta e nuove tendenze alimentari in Italia ... 85

6.3 Pasta di semola secca e pasta fresca ... 88

6.4 Analisi del settore pastario ... 89

6.5 L’export della pasta: una crescita costante ... 91

CAPITOLO 7: Il pastificio Attilio Mastromauro – Granoro Srl

7.1 Cenni storici e panoramica generale dell’azienda ... ... 94

7.2 Tecnologia al servizio della qualità ... 95

7.3 La qualità cuore della politica di Granoro ... 96

7.4 La qualità del processo produttivo: dalla materia prima al prodotto finito ... 98

7.5 L’offerta di Granoro ... 99

7.6 Granoro sul mercato italiano ... 101

7.7 La qualità come punto di partenza della strategia di internazionalizzazione .... 102

7.8 Le modalità di presenza di Granoro sui mercati internazionali ... 104

7.9 Gestione strategica dei clienti, prodotti e mercati di Granoro all’estero ... 106

CONCLUSIONI

... 111

RINGRAZIAMENTI

... 114

BIBLIOGRAFIA

... 115

(9)

9

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1: Il

diamante di Porter ... 18

Figura 2: I

vettori di sviluppo ... 21

Figura 3:

Il modello incrementale: relazioni tra le variabili ... 30

Figura 4:

Il processo di elaborazione della strategia di presenza ... 45

Figura 5: Le

modalità di presenza sui mercati di sbocco ... 46

Figura 6:

Le diverse modalità di presenza ... 47

Figura 7:

L’effetto prisma ... 67

Figura 8:

Matrice delle corrispondenze e delle discrepanze tra prodotto e Paese ... 70

Figura 9:

Matrice di Jaffe e Nebenzahl ... 72

Figura10:

Le 4A del Made in Italy

...

74

Figura 11:

Valori associati al Made in Italy, indagine KPMG

...

79

Figura 12:

Settori associati al Made in Italy, indagine KPMG

...

80

Figura 13:

Consumo medio annuo di pasta pro capite nel mondo in Kg ... 84

Figura14:

Produzione di pasta nel mondo in tonnellate ... 85

(10)

10

1. L’internazionalizzazione delle imprese: prospettive teoriche

1.1 Introduzione al concetto di internazionalizzazione

Il contesto di globalizzazione in cui viviamo è stato e continuerà ad essere al centro del dibattito economico, politico e sociale e per tale motivo, allo stesso tempo, può apparire superfluo, ma anche opportuno trattare di strategie di internazionalizzazione delle aziende. Superfluo perché vivendo in un mondo che può essere definito ‹‹senza confini›› perde di significato il concetto di frontiera; opportuno perché oramai sempre per le stesse motivazioni il percorso di internazionalizzazione sta divenendo un passaggio obbligato.

Come già affermato da diversi studiosi, le strategie di internazionalizzazione trovano la loro ragione d’essere come categoria specifica rispetto alla strategia aziendale, solamente in un

mondo semi-globalizzato1 – come quello in cui viviamo attualmente – nel quale ogni nazione

non è completamente isolata né integrata rispetto alle altre, un mondo dove le frontiere, le distanze geografiche e culturali hanno un’incidenza rilevante.

In un tale contesto le imprese devono costantemente confrontarsi con forze contrapposte, che spingono sia verso una crescita internazionale, sia verso un’espansione entro i confini nazionali.

Chiaramente la crescita internazionale non rappresenta la via da seguire o un percorso obbligatorio per tutte le aziende e per tutti i settori, tuttavia essere in grado di comprendere quali forze assecondare e quali contrastare rappresenta però un nodo cruciale per tutte le imprese, pena il rischio di scivolare in posizioni di marginalità o di declino.

1 Ghemawat P., 2003, <<Semiglobalization and International Business Strategy>>, Journal of International Business Studies,

(11)

11

1.2 Le teorie di Hymer

Le teorie relative all’internazionalizzazione delle imprese nascono, a partire dal contributo di Hymer del 1960. Prima di allora, infatti, il fenomeno dell’internazionalizzazione veniva associato, non all’attività di impresa, ma a flussi di beni e capitali ponendo al centro della riflessione le nazioni e le loro differenze2. Per esempio gli stessi investimenti diretti all’estero furono considerati inizialmente come semplici flussi di capitale, e per tale ragione interpretati all’interno della teoria della bilancia dei pagamenti. Solamente dopo la Seconda Guerra Mondiale le teorie relative al commercio internazionale e agli investimenti esteri si dimostrarono sempre meno adeguate a dare una spiegazione ai fenomeni economici in corso. Hymer, dunque, giunse alla conclusione che ‹‹gli investimenti diretti all’estero non fossero dei semplici movimenti internazionali di capitale, ma un sistema complesso e integrato di transazioni finalizzate al trasferimento non solo di capitali, ma anche di tecnologia e competenze organizzative da un paese all’altro, e quindi riconducibili in quanto tali all’attività di impresa››3.

Il modello di Hymer muove i propri passi dalla riflessione secondo la quale, poiché in condizioni normali le imprese che operano in una nazione sono generalmente locali, l’impresa che si insedia in un Paese estero deve affrontare tutti gli svantaggi collegati alla sua condizione di società non nazionale (liability of foreignness). Le imprese locali, infatti, godono di una serie di vantaggi rispetto a quelle straniere, che sono riconducibili in prima battuta alla disponibilità di maggiori informazioni relative al proprio Paese (economia, lingua, leggi, cultura, società, sistema politico e istituzionale). L’insieme di tali informazioni costituiscono quindi una barriera all’entrata per le imprese straniere e un suo superamento comporta inevitabilmente costi molto elevati. Essi d’altronde sono costi fissi, che una volta sostenuti non si ripeteranno altre volte. È possibile, inoltre, riscontrare la presenza di altre barriere, queste legate a eventuali processi di stigmatizzazione da parte delle istituzioni, dei consumatori e dei fornitori, che essendo legati alla natura straniera dell’impresa non possono essere superati fino a quando questa non verrà percepita più come estera.

2 Il fenomeno dell’internazionalizzazione è analizzato attraverso le teorie del commercio internazionale e le teorie della

bilancia dei pagamenti. In particolare si vedano Smith A. (1776), La ricchezza delle nazioni, Torino, Utet , a cui è

attribuito il modello del vantaggio assoluto e Ricardo D. (1817), On the Principles of Political Economy and Taxation, London, Macmillan, per il successivo modello del vantaggio comparato.

(12)

12 In linea generale l’internazionalizzazione delle imprese può essere ricondotta al possesso di alcuni vantaggi (Bain 1956)4, che possono essere divisi in due categorie:

a. Vantaggi di costo:

 Controllo delle tecniche di produzione, attraverso brevetti o coperti da segreto

 Imperfezioni nei mercati dei fattori di produzione o alternativamente proprietà o controllo dei fattori strategici

 Condizioni di favore sui mercati finanziari che permettono di ottenere tassi di interesse inferiori

 Economie reali o pecuniarie che permettono di conseguire economie di scala o un maggiore potere contrattuale

b. Vantaggi di differenziazione:

 Preferenza dei consumatori nei confronti di specifici marchi e della reputazione di particolari imprese

 Controllo di design di prodotto superiori, attraverso brevetti  Proprietà o controllo contrattuale di punti vendita strategici

 Economie reali o pecuniarie che permettono investimenti di marketing e di promozione su larga scale.

Le imprese dunque, decidono di avviare un percorso di internazionalizzazione quando i vantaggi di cui godono sono in grado di compensare gli svantaggi derivanti dalle barriere all’ingresso nei confronti delle imprese straniere. Queste ultime possono decidere di esportare i prodotti e/o servizi che derivano dal possesso di tali vantaggi, vendere o concedere la licenza di tale vantaggio (licensing), sfruttare direttamente tale vantaggio attraverso investimenti all’estero (Hymer)5. Successivamente Hymer ha inteso che le imprese di differenti nazioni

possiedono capacità differenti relativamente a una divisione internazionale dei vantaggi legata a eventi storici casuali, quali la non equa distribuzione delle capacità tra gli individui o la scoperta fortuita di una risorsa naturale o di una formula.

4Bain J.S (1956), Barriers to New Competition, Cambridge, MA: Harvard University Press.

5Hymer S.H (1970), ‹‹The efficiency (contradictions) of multinational corporations››, American Economic Review, 60(2):

(13)

13 Infine è importante sottolineare l’importanza del contributo di Hymer, che ha permesso di rivendicare l’autonomia teorica dello studio degli investimenti esteri e ha aperto la strada alla teoria delle imprese multinazionali.

1.3 Le teorie post-Hymer

Le opere successive al contributo di Hymer, non hanno fatto altro che rielaborare o perfezionare la sua teoria, adattandola magari alla contemporanea situazione storica. È possibile raggruppare questi contributi nelle cosiddette teorie post-Hymer che si sviluppano a Cambridge e a Reading. Le teorie di Cambridge possono essere suddivise in due filoni principali: quello relativo alla teoria del ciclo di vita del prodotto elaborata da Vernon e quello oligopolistico.

La teoria del ciclo di vita del prodotto (Vernon 1966)6 si basa sull’ipotesi secondo la quale nonostante le imprese dei Paesi industrializzati abbiano uguale accesso alle nuove conoscenze scientifiche, non hanno uguale possibilità di applicazione delle stesse per la creazione di nuovi prodotti. Ciò relativamente al fatto che le imprese che operano in mercati di sbocco relativamente avanzati godono di un vantaggio innovativo che permette loro di anticipare le dinamiche della domanda di altri Paesi. Nella fase di introduzione di un nuovo prodotto, poiché questo non ha ancora raggiunto un sufficiente livello di standardizzazione rispetto agli input impiegati, l’impresa ha la necessità di mantenere un elevato grado di flessibilità e di comunicare frequentemente con i clienti, i fornitori e i concorrenti. Pertanto appare opportuno localizzare la produzione in prossimità del mercato di sbocco, quindi nel Paese dove è situata l’impresa innovatrice. Successivamente, quando il prodotto è nella sua fase di maturità, dopo essersi affermato nel mercato domestico, può essere introdotto sui mercati esteri in virtù dei vantaggi di differenziazione posseduti. Inizialmente l’impresa avvia un’attività di esportazione mentre la produzione avviene integralmente a livello nazionale successivamente si assiste a una fase di espansione delle attività produttive nei Paesi esteri avanzati che porta a una contestuale diminuzione poi scomparsa delle esportazioni. Il prodotto entra quindi nella sua terza e ultima fase, quando ormai è estremamente maturo e standardizzato. Ora la scomparsa della differenziazione riduce o annulla l’iniziale vantaggio e spinge a ricercare la redditività attraverso la riduzione dei costi, e per tale motivo l’impresa innovatrice decide di

6 Vernon R. (1966), ‹‹International investiment and International trade in the product cycle››, The Quarterly Journal of

(14)

14 localizzare le unità produttive nei Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da bassi costi della manodopera. Il Paese dove è situato l’impresa innovatrice, in conseguenza alla riduzione della produzione interna del bene in questione, si trasforma da Paese esportatore a Paese importatore.

Questa teoria tuttavia ha risentito fin dall’inizio di alcuni grossi limiti, tra i quali l’essersi concentrato esclusivamente sul prodotto e non sull’impresa, escludendo dall’analisi le impresi

multi-product; considerare solamente l’innovazione tecnologica di tipo demand-pull

trascurando il ruolo dell’innovazione technology-push7; privilegiare le innovazioni di prodotto tralasciando quelle di processo.

Il filone oligopolistico comprende al suo interno un ampio gruppo di contributi accumunati dalla medesima idea di impresa multinazionale. Questa viene descritta come un’impresa di grandi dimensioni che gode di vantaggi competitivi di natura oligopolistica o monopolistica che permettono di compensare i vantaggi che possiedono le imprese locali. Viene sottolineato anche come gli investimenti diretti all’estero vengano effettuati in settori caratterizzati da forme di mercato oligopolistiche attraverso processi di estensioni orizzontali (produzione all’estero dello stesso bene) o verticali (aggiunta di uno stadio a monte o a valle del processo produttivo) (Caves 1971)8.

Le teorie di Reading dipingono l’impresa multinazionale come un modello istituzionale complesso che attraverso forme di organizzazione interna (investimenti diretti) estende le proprie attività all’estero, in quanto più vantaggiose rispetto al mercato. Ciò viene affermato perché quest’ultimo comporta costi di transazione elevati riconducibili alla distanza, alle diversità sociali, economiche, culturali, che accentuano i rischi di ritardo o non correttezza delle comunicazioni. Si possono distinguere investimenti diretti esteri di tipo verticale, orizzontale e conglomerale:

7 Il movente primario della teoria demand-pull è l’individuazione dei bisogni del mercato da parte delle unità produttive, a

cui seguono i loro tentativi di soddisfare quei bisogni attraverso innovazioni tecnologiche. I consumatori, con le modalità della domanda, esprimono le loro preferenze sulle caratteristiche dei beni che desiderano, mentre i produttori constatano, attraverso le variazioni nella domanda e nei prezzi, le preferenze rivelate dai consumatori: qui inizia il processo innovativo che porterà a collocare nel mercato prodotti nuovi e/o migliorati. Il modello technology push stabilisce che le scoperte nella scienza di base conducono a sviluppi tecnologici industriali che si tramutano in un flusso di nuovi processi e prodotti. Il modello basato sulla spinta della tecnologia, quindi, rivela una concezione deterministica del processo innovativo: l’innovazione è determinata dallo sviluppo della scienza e in quanto tale è inevitabile, univoca e approda sicuramente sul mercato. Rispetto quest’ultimo il progresso tecnologico sarebbe di tipo autopropulsivo ed esogeno.

8Caves R.E. (1971), ‹‹International corporations: The industrial economics of foreign investiment››, Economica,

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15 1) L’investimento estero di tipo verticale, legato a processi di integrazione a monte o a valle, è finalizzato a internalizzare i mercati dei prodotti intermedi sostituendo i processi di mercato (ovviando a fenomeni di opportunismo che minacciano la sicurezza della fornitura), o di supportarli quando questi non esistono o sono poco sviluppati

2) L’investimento estero di tipo orizzontale, che si realizza nel momento in cui un’impresa con impianti in un paese stabilisce impianti della stessa specie in un altro paese, è consequenziale alla crisi del mercato del know-how ed è spiegato in termini di internalizzazione di tale mercato con lo scopo di sostituirlo (per proteggere la diffusione delle capacità e delle conoscenze), o di supportarlo quando risulta impossibile trasferire know-how senza trasferire persone qualificate

3) L’investimento estero di tipo conglomerale si riferisce a strategie di tipo fiscale-finanziario, e permette di internalizzare i mercati finanziari internazionali con lo scopo di sostituirli per minimizzare il rischio di cambio, o di sostituirli nel caso di mercati dei capitali poco sviluppati.

1.4 Il paradigma eclettico

Il paradigma eclettico è stato elaborato da Dunning. Le imprese multinazionali possono essere suddivise in quattro categorie in base agli obiettivi perseguiti:

a. Natural resources seekers, il cui obiettivo è reperire a livello internazionale risorse a un costo inferiore rispetto a quello praticato nel Paese di origine oppure risorse non disponibili nel mercato domestico

b. Market seekers, che intendono entrare nei mercati esteri per fornire i clienti locali con i propri beni e/o servizi. Le ragioni che possono spingere l’impresa in questa direzione possono essere individuate nella volontà di seguire i propri clienti o fornitori nelle nazioni estere dove si sono insediati, o le loro sollecitazioni; di contrastare la saturazione del mercato interno; di adattare i propri prodotti ai bisogni locali; di ridurre i costi abbattendo le spese di trasporto e transazione; di stabilire una presenza nel mercato dove sono presenti i propri concorrenti per ragioni difensive o offensive.

(16)

16 c. Efficiency seekers, focalizzate sulla razionalizzazione della struttura degli investimenti sia sui mercati delle risorse che su quelli di sbocco per ottenere economie di scala, di scopo o diversificare il rischio

d. Strategic asset seekers, il cui obiettivo è acquisire imprese straniere per rafforzare la propria posizione competitiva o indebolire quella dei concorrenti.

In accordo con il paradigma eclettico l’internazionalizzazione delle imprese è assimilabile al possesso di vantaggi riconducibili a tre insiemi di variabili interdipendenti (OLI): la proprietà (ownership), la localizzazione (location) e l’internalizzazione (internalization) (Dunning 1977)9.

I vantaggi di proprietà – la componente O – possono essere basati sul possesso o sull’accesso privilegiato a uno specifico asset (innovazione di prodotto, marchi, brevetti, sistemi organizzativi e di marketing, conoscenza non codificabile), o sulla capacità e le competenze nella gestione degli asset nel modo più efficiente possibile, organizzando le varie componenti con asset complementari, si parla di vantaggi di governace.

Il vantaggio di localizzazione – la componente L – esprime la forza di attrazione di alcune nazioni nei confronti delle attività svolte dalle imprese multinazionali. A un grado maggiore di immobilità delle risorse, corrisponde un grado maggiore di presenza internazionale delle imprese.

Il vantaggio di internalizzazione – la componente I – spiega la modalità di internazionalizzazione (esportazione, licensing, investimento diretto). Scelta che dipende dal confronto costi-benefici tra l’internalizzazione delle transazioni internazionali rispetto ad altre forme contrattuali di presenza. Si fa riferimento quindi alle analisi dei costi di transazione, costi di agenzia e costi di transazione dell’internazionalizzazione.

1.5 Il modello di Kogut

Kogut imposta il suo lavoro nell’ambito della teoria sulle strategie di internazionalizzazione a partire da due quesiti, il primo si interroga su quali attività devono essere concentrate le risorse dell’impresa e il secondo sul dove estendere a livello internazionale le attività della catena del valore. Per rispondere Kogut coniuga la teoria del vantaggio comparato delle

9Dunning J.H. (1977), ‹‹Trade, location of economic activity and the multinational enterprise: A search for an ecletic

approach››, in Ohlin B., Hesselbon P.-O., Wijkman P.M. (eds), The International Allocations of Economic Actitvity, London: Macmillan

(17)

17 nazioni e la teoria del vantaggio competitivo di Porter10. La prima definita anche location

specific advantage orienta le decisioni delle imprese circa la localizzazione delle diverse

attività che compongono la catena del valore; la seconda definita firm specific advantage guida le decisioni relative all’individuazione delle attività sui cui concentrare le proprie risorse. È riscontrabile una tendenza da parte delle imprese nello spostare le attività della propria catena del valore nelle nazioni dotate di un vantaggio comparato nello svolgimento delle stesse. Ciò motiva la scelta di localizzare le attività a più elevata intensità di capitale e di conoscenza nei Paesi industrialmente più avanzati; e quelle a più elevata intensità di lavoro nelle nazioni in via di sviluppo. Sulla base delle interazioni tra vantaggio comparato e vantaggio competitivo e la loro assenza o presenza, si possono individuare tre modalità di internazionalizzazione. La prima fondata esclusivamente sul vantaggio comparato delle nazioni, vede i flussi commerciali diretti in modo unidirezionale dalle nazioni dotate di tale vantaggio verso quelle prive, mentre gli investimenti diretti sono relativi ad attività di approvvigionamento in loco (integrazione verticale). La seconda, invece, è basata unicamente sul vantaggio competitivo delle imprese, e in questo caso i flussi commerciali possono essere incrociati e gli investimenti diretti sono relativi ad attività di penetrazione dei mercati (integrazione orizzontale). La terza e ultima modalità, fondandosi sull’interazione tra vantaggio comparato e vantaggio competitivo, determina una maggiore complessità delle attività dell’impresa, coniugando integrazione verticale e orizzontale con differenti configurazioni di penetrazione di mercato e di approvvigionamento.

1.6 Il modello di Porter

I pilastri del modello di Porter sono il vantaggio competitivo delle imprese e il vantaggio competitivo delle nazioni. Quest’ultimo è definibile come l’insieme degli attributi nazionali che determinano il vantaggio competitivo in specifici settori industriali. Tale modello è costituito da un insieme di quattro elementi (Porter 1990)11– conosciuti come “diamante”

(Figura 1) – che si rafforzano reciprocamente:

10 Per approfondire il tema delle strategie competitive si vedano Porter M.E. (1980), Competitive Strategy, New York: The

Free Press e Porter M.E. (1985), Competitive Advantage, New York: The Free Press.

(18)

18 a. Condizioni dei fattori

b. Condizioni della domanda

c. Settori industriali correlati e di supporto d. Strategia, struttura e rivalità dell’impresa

A questi si aggiungono poi altre due variabili quali il caso e il governo.

Questi elementi considerati singolarmente e come sistema, creano il contesto nel quale agiscono le imprese e competono tra loro. L’effetto di un singolo elemento dipende dallo stato di un altro, e i vantaggi in uno di essi possono creare o potenziare vantaggi in altri.

Questa teoria inoltre permette di comprendere come la competizione internazionale non si limita solamente a livello di impresa e di prodotti, ma si manifesta soprattutto fra interi sistemi economici e istituzionali12.

12Il modello elaborato da Porter ha goduto di elevata risonanza e ha visto un’adozione molto estesa. Questo perché ribadisce

che la condizione necessaria per comprendere le dinamiche della competizione internazionale, è effettuare un’analisi congiunta che tenga conto delle prospettive dei singoli settori, delle singole imprese e della nazione, alla luce dello stretto legame che le lega.

(19)

19 In conclusione si può affermare come attualmente non esiste un’unica teoria dell’internazionalizzazione, ma un insieme di teorie e modelli, che attraverso una evoluzione teorica di tipo incrementale, interagente con l’evoluzione storica dei processi di internazionalizzazione, hanno cercato di analizzare e spiegare alcuni fenomeni che si verificano nell’esperienza reale e che non si riusciva a prevedere o interpretare negli schemi teorici precedenti (Dunning 2000)13.

2. Elaborazione della strategia, tratti specifici, principio e

sviluppo del processo di internazionalizzazione

2.1 Un crescente scambio di beni e servizi fra operatori di Paesi diversi

Prima di affrontare il tema delle strategie di internazionalizzazione appare utile premettere come negli ultimi anni si è riscontrato un incremento costante degli scambi di beni, servizi e di capitali fra i vari Paesi, con un tasso di crescita quasi sempre superiore al tasso di espansione del PIL. Facendo riferimento agli ultimi venti anni, il tasso medio di aumento del commercio estero è stato del 6.3%, mentre la crescita media del PIL mondiale non ha superato il 3%. Ciò significa che ciò che si produce in un Paese viene consumato, sempre di più, in un altro; oppure che le materie prime proprie di un Paese vengono trasferite in un altro per le successive fasi di lavorazione.

Proprio in questo contesto di globalizzazione e di allargamento dei confini si trovano a operare le imprese, le quali dovranno saper individuare il proprio vettore di sviluppo, e dovranno elaborare le proprie strategie. Ma una strategia, per essere tale e non un puro azzardo, deve essere in grado di comprendere quale è il margine di discrezionalità che l’impresa ha nello scegliere il proprio sviluppo e il proprio posizionamento alla luce delle forze in campo nel settore di riferimento.

Occorre controllare le mosse dei concorrenti, l’evoluzione delle tecnologie e dei processi produttivi adottati, la variazione dei fattori critici di successo. Più specificatamente occorre identificare se vi siano elementi, sul fronte dei costi o su quello dei ricavi o ancora su

13 Dunning J.H. (2000), ‹‹The eclectic paradigm as an envelope for economic and business teorie of MNE activity››,

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20 entrambi, che possano giustificare un eventuale allargamento o restringimento dello spazio geografico da presidiare. Occorre precisare inoltre che l’allargamento, per un’impresa, delle proprie attività economiche oltre i confini nazionali non rappresenta solamente un’estensione ‹‹quantitativa›› ma bensì accompagna spesso cambiamenti di tipo ‹‹qualitativo›› dei vari processi. Questi ultimi non attraversano solamente delle frontiere territoriali e fisiche, ma anche e soprattutto frontiere di tipo sociale, che impongono alle imprese di confrontarsi con una diversità culturale, di linguaggio, politica, economica, di valori, che inevitabilmente comporta sostanziali differenze nei processi economici internazionali, distinguendoli da quelli interni.

2.2 Cosa si intende per strategia di internazionalizzazione?

Prima di addentrarsi nello specifico delle strategie di internazionalizzazioni bisogna prima definire il concetto base di strategia. Facendo riferimento a un’impresa caratterizzata da una sola attività (azienda monobusiness), si può affermare che la strategia è ‹‹un sistema di scelte e azioni che consente all’impresa si raggiungere e mantenere simultaneamente e dinamicamente un posizionamento sul mercato di sbocco, sui suoi diversi mercati di rifornimento dei fattori di produzione e rispetto ai suoi principali interlocutori non commerciali tale da assicurarle un vantaggio competitivo difendibile e di conseguenza il raggiungimento dei tre ordini di equilibrio che assicurano all’impresa sopravvivenza e sviluppo: l’equilibrio economico, quello finanziario e quello patrimoniale›› (Dematté 2003)14.

Mentre, impostare una strategia di internazionalizzazione significa, stabilire i mercati geografici di approvvigionamento, i luoghi dove localizzare le attività di ricerca e sviluppo, i punti dove dislocare la produzione, i Paesi verso i quali vendere i propri prodotti, le piazze finanziarie dalle quali attingere il capitale di rischio e quello di credito. Tali scelte non sono indipendenti l’una dall’altra e proprio per questo che assume estrema importanza la fase di elaborazione strategica, affinché ci sia congruenza tra loro.

Facendo riferimento unicamente all’internazionalizzazione del mercato di sbocco, la scelta dei mercati geografici a cui rivolgersi è uno dei vettori di sviluppo che l’impresa deve tenere presente, insieme all’incremento della quota di mercato nel segmento prescelto senza

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21 modifiche di posizionamento, all’estensione in segmenti di mercato più o meno contigui e all’estensione della gamma di prodotti (Figura2).

2.3 I tratti specifici delle strategie di internazionalizzazione

È possibile ora andare ad analizzare le principali questioni che un’impresa deve affrontare nel momento in cui decide di avviare un processo di internazionalizzazione:

1. L’ostacolo dei confini e delle dogane. Questi generalmente rappresentano una barriera o comunque fungono da freno alla libera circolazione di beni, servizi e capitali. Eccezion fatta, naturalmente, per i confini fra i Paesi che fanno parte di un’unione doganale, come è il caso del mercato unico europeo a partire dal gennaio 1993. Le problematiche principali in questi casi sono relative al costo delle importazioni, al prezzo delle esportazioni o anche lo stesso rischio di non potersi approvvigionare dall’estero o inviare merce.

Estensione gamma prodotti Mercato geografico

Incremento quota di mercato senza modifiche di posizionamento

Estensione spaziale

Estensione segmenti di mercato serviti

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22 2. I confini valutari. In questa circostanza la variabile cruciale sono i tassi di cambio, che solamente in alcune epoche storiche sono stati fissi. Essi, infatti, possono alterare la convenienza delle scelte spaziali, in forme e in intensità difficili da prevedere, perché determinano il controvalore in valuta locale dei costi per le importazioni o dei ricavi per le esportazioni.

3. La discontinuità normativa e giurisdizionale. Ogni stato ha differenti norme e autorità giurisdizionali, e ciò comporta un adeguamento (e quindi costi) alle diverse condizioni operative. Si parla del cosiddetto ‹‹rischio Paese››.

4. Le barriere linguistiche. Si fa riferimento alle differenze linguistiche tra i vari Paesi, che possono influenzare il processo informativo rendendolo più opaco, mediato e dunque costoso.

5. La discontinuità del contesto. In alcuni casi il percorso di internazionalizzazione finisce per incontrare contesti talmente diversi che si può parlare addirittura di diversificazione. Si può avere a che fare con contesti caratterizzati da profonde differenze nell’aspetto delle abitazioni, nella cura dell’ambiente, nei comportamenti, nei modi di condurre gli affari, nei comportamenti d’acquisto, nei fattori critici di successo, nelle regole della concorrenza..

Anche per questo sottosistema è possibile individuare la natura sistemica, una scelta strategica deve trovare coerenza con le altre affinché si determini un vantaggio competitivo difendibile. Per tale motivo l’attività strategica è estremamente complessa e difficile da imitare, perché non è sufficiente ripetere un’azione, occorre trapiantare l’intero sistema. Scegliere di puntare su un mercato estero, è una decisione che non può essere separata da quella relativa all’offerta di prodotti da proporre su quel mercato, i quali non necessariamente coincidono con quelli offerti sul mercato interno: essi possono non avere un vantaggio competitivo nel mercato estero, oppure possono non soddisfare i bisogni specifici dei consumatori. E non si può nemmeno prescindere dalle scelte di localizzazione della produzione, poiché i relativi costi, insieme a quelli di trasporto e a quelli collegati a eventuali dazi ‹‹formano la base sulla quale costruire un prezzo che possa essere remunerativo ma anche competitivo sul mercato di sbocco›› (Dematté 2003)15.

La strategia di internazionalizzazione può essere, dunque, vista come una sottospecie della strategia di espansione spaziale che le imprese comunque devono affrontare durante il loro

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23 percorso di sviluppo. Il posizionamento nello spazio dell’impresa è alla base della teoria sottostante le strategie di internazionalizzazione, che si manifestano nel momento in cui la ricerca di un giusto rapporto con lo spazio porta l’impresa ad andare oltre i confini nazionali per accedere, sia per quanto riguarda i fattori produttivi che i prodotti, ad altri Paesi.

L’interpretazione delle strategie di internazionalizzazione come proiezione oltre confine delle strategie di espansione geografica permette di ottenere diversi vantaggi dal punto di vista dell’analisi e della riflessione.

Prima di tutto consente di sviluppare i processi di internazionalizzazione inquadrando determinati aspetti in fattispecie strategiche sperimentate nel corso di espansioni geografiche all’interno dei confini nazionali, permettendo di evitare di commettere l’errore di pensare di modificare solo uno dei vettori del posizionamento strategico lasciando inalterati gli altri. Spesso lo spostamento delle azioni sull’asse geografico conduce a una vera e propria revisione della formula imprenditoriale. Le esperienze passate allora possono essere di particolare aiuto soprattutto se il mercato domestico è caratterizzato da profonde diversità, nei costumi, nelle strutture distributive e nelle modalità produttive, al suo interno.

In secondo luogo questa chiave di lettura consente di contestualizzare l’internazionalizzazione in base alle caratteristiche del Paese oggetto di analisi: se è un processo che porta a scavalcare i confini nazionali, va da sé che le imprese situare nei Paesi con una minore estensione geografica affrontano tale problema molto prima rispetto alle imprese dello stesso settore che però si trovano in Paesi maggiormente estesi.

2.4 La formazione delle scelte di internazionalizzazione

Le scelte relative l’avvio di un processo di internazionalizzazione sono scelte che vengono valutate sulla base di modelli fondati su ipotesi formulate con scarse informazioni, in condizioni di incertezza, appare quindi impossibile disporre di tutti gli elementi necessari a prendere la migliore decisione dal punto di vista logico. Si parla infatti di comportamenti assunti in condizioni di razionalità limitata.

Le circostanze che possono spingere una impresa verso i mercati esteri, come già osservato, possono essere le più disparate: la possibilità di reperire fattori a un costo inferiore o di applicare prezzi maggiori ai prodotti o di abbattere i costi producendo e vendendo di conseguenza su larga scala; le spinte provenienti dalla saturazione del mercato interno; una richiesta di importatori esteri incontrati casualmente. È un processo che potrebbe anche essere

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24 sollecitato attraverso la partecipazioni a delle fiere, che espone l’impresa all’attenzione di potenziali fornitori o clienti esteri, senza preliminarmente sceglierne la tipologia né tanto meno il luogo geografico dove accedere; o anche con viaggi o partecipazioni a fiere in loco, mettendo in atto azioni verso specifici Paesi. Le piccole imprese, quelle italiane in particolare, avviano il processo di internazionalizzazione sulla base di iniziali contatti, spesso esili o poco razionalizzati, per poi svilupparsi lungo un meccanismo di apprendimento omeostatico, guidato da un raziocinio in itinere piuttosto che a priori. Avviene quindi, un processo di apprendimento che induce all’abbandono o a un rafforzamento delle ipotesi iniziali.

Ci si potrebbe allora domandare perché poche imprese, e in particolare quasi nessuna di quelle di minori dimensioni, imposta la propria internazionalizzazione con un’analisi preliminare che consenta di muovere i primi passi su basi più ragionate e sistematiche. Molti errori, dunque, potrebbero essere evitati andando a effettuare degli investimenti che consentano di raccogliere le informazioni necessarie per elaborare delle simulazioni che possano presagire l’esito delle operazioni di internazionalizzazione. Ma in realtà attività di tale genere comportano enormi costi e sono oggettivamente difficili da gestire considerata l’enorme massa di informazioni da queste richieste, ma anche l’alta variabilità e l’incertezza, senza tralasciare le difficoltà nell’organizzare le stesse. Tutto ciò risulta essere naturalmente amplificato per le imprese minori, per le quali una scelta di internazionalizzazione basata su ricerche sistematiche di mercato o su altre elaborazioni ad alto costo può costituire un ostacolo insormontabile o un eccessivo rischio. Si spiegano perciò le modalità

apparentemente poco razionali con le quali queste affrontano la sfida

dell’internazionalizzazione.

Occorre interrogarsi sulle modalità attraverso le quali è possibile acquisire informazioni al minor costo possibile, predisporre strutture e processi organizzativi che facilitano l’apprendimento in tempo reale.

2.5 Elaborazione della strategia di internazionalizzazione

A questo punto è possibile andare a elencare sinteticamente quelle che sono le fasi che costituiscono l’elaborazione di una strategia di internazionalizzazione.

1. L’impresa dovrebbe interrogarsi rispetto a quale anello della catena del valore riposizionarsi a livello spaziale, cioè stabilire se occorra internazionalizzarsi sul

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25 mercato di sbocco, oppure su quello degli approvvigionamenti, o nella produzione o in più fasi della stessa catena del valore.

2. Per ciascuna scelta occorre identificare verso quali Paesi internazionalizzarsi, stabilire se è più opportuno orientarsi verso Paesi fisicamente o ‹‹psichicamente›› più vicini per andare poi verso quelli più lontani, o seguire altri criteri.

3. Individuare le modalità con cui effettuare l’internazionalizzazione, cioè se affidarsi a transazioni di mercato come esportazioni o acquisti all’estero, oppure controllare direttamente quel pezzo di filiera collocato sul mercato estero, e in che modo eventualmente (contratti strutturati di medio-lungo periodo, partecipazioni di minoranza, joint venture, società proprie)

4. Stabilire quale sia il migliore assetto organizzativo per realizzare il riposizionamento spaziale prescelto e che permetta di guadagnare o preservare il vantaggio competitivo.

Al fine di poter compiere questo tipo di scelte sono necessari requisiti come la disponibilità di un adeguato impianto teorico-concettuale tipico della disciplina gestione strategica e la messa in atto di un processo che prevede in primo luogo la raccolta degli elementi che definiscono la struttura del campo competitivo, quali sono i fattori critici di successo in una determinata arena competitiva e poi l’analisi delle competenze distintive e dei punti di debolezza dell’impresa e infine la ricerca del migliore posizionamento che permetta di conquistare e mantenere nel tempo il vantaggio competitivo permettendo la realizzazione di un equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.

2.6 Avvio del processo decisionale

Una impresa può essere spinta verso l’internazionalizzazione da due ordini di motivazioni, uno di tipo interno e uno di tipo esterno:

 Motivazioni interne. Queste fanno riferimento ai casi in cui l’impresa intenda sfruttare o rafforzare il vantaggio competitivo da questa posseduto o dai suoi prodotti sui mercati internazionali, aumentando anche il proprio potere di mercato. La possibilità di estendere tale vantaggio su altri mercati esteri dipende dalla capacità dell’impresa di individuare, capire e soddisfare i fattori critici di successo e i bisogni specifici di quei mercati. Un’altra motivazione può essere individuata nella volontà di ottenere

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26 all’estero nuove fonti di vantaggio competitivo per rafforzare la posizione dell’impresa sia sul mercato domestico che su quello internazionale.

 Motivazioni esterne. Sono relative a tale categoria i fenomeni definiti di internazionalizzazione ‹‹passiva›› del settore, che inducono le imprese ad ampliare il proprio raggio d’azione oltre i confini nazionali. L’internazionalizzazione si pone, dunque, come una via obbligata per sopravvivere sul mercato, a causa di una serie di vincoli (o magari anche opportunità) imposte dalle condizioni ambientali. Esempi possono essere una crescente concorrenza sull’import, nuovi attori che entrano nel mercato con investimenti diretti o acquisizioni, la saturazione del mercato domestico. Ma ci possono anche essere i casi in cui l’impresa abbia semplicemente un comportamento reattivo e cioè, agisce da follower rispetto ai propri concorrenti, in quanto la loro internazionalizzazione viene percepita minacciosa.

Generalmente si può affermare che le motivazioni interne sono più razionali e orientate verso la soluzione di problemi specifici, mentre quelle esterne sono più reattive, meno pianificate e guidate da obiettivi specifici, e tendono più che altro a cogliere un’eventuale occasione. Tuttavia, un processo di internazionalizzazione si compone di entrambe queste componenti. Va inoltre, specificato, che questi stimoli non sono sufficienti a dare avvio a un processo di internazionalizzazione, è necessario che questi incontrino un atteggiamento e una predisposizione positiva da parte della proprietà e del management aziendale, che ne determinano quindi il possibile successo. I fattori che sono in grado di facilitare o ostacolare l’internalizzazione possono essere suddivisi in:

a) Caratteristiche della proprietà/management: orientamento ai mercati esteri, tipo e livello di formazione, origine etnica, conoscenza lingue straniere, percezione del rischio e delle opportunità di profitto sui mercati esteri, percezione dei costi sui mercati esteri, età

b) Caratteristiche dell’impresa: disponibilità del personale al trasferimento, storia aziendale, caratteristiche dei prodotti, esperienze internazionali passate

c) Caratteristiche dell’ambiente: regolamentazioni governative nei Paesi esteri, informazioni necessarie per analizzare i Paesi esteri, dimensioni del mercato domestico, elementi infrastrutturali, fattori istituzionali.

(27)

27

2.7 Internazionalizzazione della catena del valore

L’internazionalizzazione permette alle aziende di espandere nello spazio le filiere produttive, per tentare di perseguire vantaggi competitivi legati ai fattori produttivi a basso costo, alla possibilità di dislocare le attività di ricerca e sviluppo in aree più innovative o ancora alla vendita di prodotti su larga scala, minimizzando così i costi unitari. Secondo Claudio Demattè ‹‹l’internazionalizzazione è quel processo di dispiegamento geografico dell’intera filiera produttiva dell’impresa per cogliere le migliori condizioni nei diversi mercati, sia quelli di approvvigionamento dei fattori, sia quelli di sbocco dei prodotti, sia quelli dove meglio si realizza la produzione›› (Demattè 2003)16.

L’internazionalizzazione e l’espansione della catena del valore permette di attenuare le dinamiche competitive a livello globale, e consente di sviluppare adeguate capacità gestionali per affrontare un contesto competitivo caratterizzato da una maggiore complessità.

Una impresa può internazionalizzarsi a partire da una o più attività della catena del valore aziendale. È possibile, ora, andare a presentare sinteticamente le motivazioni alla base di una internazionalizzazione che può essere sui mercati di sbocco, negli approvvigionamenti, nella localizzazione delle attività produttive e nella finanza:

 Mercato di sbocco. Generalmente l’attività della catena del valore da cui muove un processo di internazionalizzazione è la vendita. Le motivazioni tipiche dell’internazionalizzazione commerciale sono: integrazione delle vendite nazionali, la dimensione minima del mercato ottenibile solo come sommatoria di più Paesi-mercato, sfruttamento notorietà del marchio, possibilità di vendere a prezzi maggiori, diversificazione del rischio Paese, saturazione del mercato interno, ordine sollecitato dall’estero, fine del ciclo di vita del prodotto sul mercato interno, imitazione delle condotta di un’impresa leader “first mover”. In genere le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni e manifatturiere si affacciano sui mercati esteri attraverso ordini sollecitati da intermediari commerciali esteri in occasione di fiere o esposizioni internazionali. Successivamente, quando l’impresa riesce a consolidare il proprio posizionamento sul mercato estero, accanto all’attività di vendita si aggiungeranno le attività di assistenza post-vendita, di comunicazione e promozione, di marketing intelligence locale.

16 Dematté (2003), ‹‹Perché l’Internazionalizzazione profonda passa anche attraverso acquisizioni e alleanze››, Editoriale,

(28)

28  Mercato di approvvigionamento e localizzazione delle attività produttive. In linea generale l’internazionalizzazione di queste attività è relativa a fasi avanzate del processo, soprattutto se realizzato in pianta stabile. In ogni caso l’approvvigionamento può fare riferimento al solo acquisto di beni e servizi da fornitori esterni fino al concetto di sourcing globale. Mentre le strategie alla base di una localizzazione internazionale della produzione sono definibili di resource-seeking, market-seeking e

knowledge-seeking. Nel primo caso l’impresa ricerca risorse (materie prime,

componenti, manodopera) e competenze non disponibili nella nazione d’origine o accessibili a costi inferiori; nel secondo caso la localizzazione è orientata alla ricerca di una maggiore vicinanza al mercato di sbocco; nel terzo caso si perseguono nuove fonti di conoscenza.

 Fonti finanziarie. Le principali motivazioni che spingono verso

l’internazionalizzazione finanziaria sono individuabili nella volontà di ottenere una diversificazione del rischio valutario e il matching tra valuta di investimento e raccolta, di allargare la base di raccolta del capitale, di attingere a fonti di finanziamento meno costose, di perseguire vantaggi fiscali e di governance, di poter moltiplicare una ‹‹formula di successo›› per più Paesi-mercato.

2.8 Lo sviluppo del processo: il paradigma del cambiamento incrementale

Le teorie presenti in letteratura che permettono di effettuare uno studio relativo allo sviluppo del processo di internazionalizzazione possono essere raggruppate sotto il cosiddetto ‹‹paradigma del cambiamento incrementale›› o ‹‹modelli degli stadi›› in cui il concetto di base è che l’internazionalizzazione è considerato come processo dinamico e in continuo divenire. In questi modelli il cambiamento si pone come una successione di cambiamenti incrementali e l’effetto cumulato di tali cambiamenti determinano lo sviluppo internazionale. Infatti secondo questa impostazione un’impresa passa da un basso ad un elevato livello di attività, risorse o impegno sul fronte internazionale, e lo fa attraverso degli stadi, i quali vengono assunti unidirezionali.

La difficoltà nel reperire le informazioni necessarie e la mancanza di esperienza su mercati diversi da quello domestico, spiegano poi la gradualità del processo.

(29)

29 Il Modello di Uppsala sul processo di internazionalizzazione (Johanson e Wiedersheim-Paul 1975)17 appare emblematico rispetto agli assunti impliciti di un modello di crescita continua e

incrementale. Osservando un campione di imprese svedesi, gli autori individuano quattro stadi di sviluppo internazionale, e ogni stadio successivo implica un maggiore coinvolgimento da parte dell’impresa:

 Stadio 1: nessuna attività di esportazione regolare

 Stadio 2: esportazione attraverso rappresentanti indipendenti (agenti)  Stadio 3: costituzione di una filiale commerciale estera

 Stadio 4: costituzione di una unità produttiva

Gli autori poi ipotizzano che le imprese scelgano i mercati dove entrare sulla base della loro distanza psichica rispetto a quello domestico. Dove quest’ultima è rappresentata da tutti quei fattori che ostacolano il flusso informativo tra l’impresa e il mercato18.

Questo modello è stato successivamente ripreso e affinato da Johanson e Vahlne (1977, 1990)19, secondo i quali il risultato di un certo ciclo di eventi costituisce l’input per un ciclo

successivo e così via, in senso circolare. L’interazione tra determinati aspetti di stato e di cambiamento costituiscono la premessa all’avvio dell’internazionalizzazione. I primi si riferiscono alla conoscenza attuale del mercato internazionale e all’impegno attuale dedicato dall’impresa in termini di risorse e attenzione; i secondi invece sono relativi alle decisioni future di impegno e alle attuali attività in campo internazionale. Si suppone che la conoscenza attuale del mercato sia l’input per future decisioni di impegno che, a loro volta, inducono a un cambiamento delle attività internazionali in essere. Queste poi comportano un incremento dell’impegno rispetto al mercato offrendo l’opportunità anche di migliorare la conoscenza del mercato tramite l’esperienza diretta (Figura 3). Questo modello non può funzionare se non si assume la positiva correlazione, da un lato, tra conoscenza sull’internazionalizzazione e

17Johanson J., Wiedersheim-Paul F. (1975), ‹‹The internationalization of the firm: Four Swedish cases››, Journal of

Management Studies, 12(3): 305-323.

18 Per distanza psichica si intendono tutti quei fattori che disturbano e impediscono un ottimale flusso di informazioni tra

l’azienda e il mercato estero, e possono essere la lingua, il livello di educazione, le differenze di cultura, un diverso sviluppo industriale. Ovviamente minore è tale distanza e prima un’impresa entrerà in un certo mercato.

19Johanson J., Vahlne J.E. (1990), ‹‹The mechanism of internationalization››, International Marketing Review, 7(4): 11-24 e

Johanson J., Vahlne J.E. (1977), ‹‹The internationalization process od the firm: A model of knowledge development and increasing foreign market commitments››, Journal of International Business Studies, 8(1): 23-32.

(30)

30 propensione a cambiare i livelli di attività nella direzione di una maggiore internazionalizzazione; dall’altro tra il livello di attività e la conoscenza acquisita.

Questi autori sono di origini scandinave e il fatto che siano stati tra i primi ad studiare i processi di sviluppo dell’internazionalizzazione è da ricondurre alle modeste dimensioni dei mercati domestici che spingono in tempi relativamente più brevi le imprese locali verso i mercati internazionali.

Sono state mosse, successivamente, anche delle critiche ai modelli improntanti sul concetto di cambiamento incrementale. Una prima critica riguarda proprio il concetto di cambiamento evolutivo, poiché spesso l’evidenza empirica ha dimostrato come non sempre ci sia un percorso evolutivo, ma le imprese possano anche saltare da uno stadio all’altro in modo non sequenziale.

Una seconda critica si riferisce al fatto che tali modelli non abbiano approfondito la possibilità di ricorrere allo stesso tempo a una combinazione di approcci in un particolare mercato estero.

Conoscenza del mercato

Impegno sul mercato

Decisioni di impegno

Attività attuali

no Figura 3: il modello incrementale: relazioni tra le variabili

(31)

31 Cioè viene lasciato poco spazio ai casi in cui, per esempio, un’impresa multi-business, operante in diversi settori, possa perseguire una contemporanea evoluzione internazionale diversa temporalmente all’interno di ciascun settore.

Un’ulteriore debolezza di questi modelli è quella di non ammettere cambi di direzione o ripensamenti strategici.

In particolare i modelli scandinavi non tengono in considerazione l’ambiente in cui opera l’impresa, né le condizioni iniziali da cui essa parte, né tanto meno danno importanza ai fattori che possono influenzare il processo in corso.

È tuttavia importante precisare che questi modelli si riferiscono in via principale all’internazionalizzazione commerciale, quando al giorno d’oggi l’internazionalizzazione è un fenomeno sempre più complesso che abbraccia ricerca e sviluppo, finanza, assetti produttivi. Cambia quindi il livello di coinvolgimento internazionale dell’impresa: non solo vendita ma stiramento spaziale dell’intera catena del valore aziendale (Grandinetti e Rullani 1996)20.

2.9 Implicazioni strategiche del modello a stadi

Appare dunque chiaro come non sia possibile analizzare una impresa internazionale attraverso un modello unico, in quanto è complicato parlare di un unico processo di internazionalizzazione considerando che sempre più imprese tendono a perseguire strategie multi-settoriali. Sarebbe, infatti, più opportuno spostare l’attenzione alle combinazioni prodotto-mercato-tecnologia che devono essere integrate e ottimizzate a livello globale. Ci si può interrogare allora su quale possa essere l’utilità nell’adottare i modelli a stadi, anche e soprattutto alla luce di quanto affermato precedentemente.

Si è già avuto modo di menzionare come l’internazionalizzazione sia un processo ad elevato grado di rischio e incertezza, e proprio la gradualità dell’approccio permetterebbe alle imprese di incrementare le proprie conoscenze e migliorare le relazioni tali da essere in grado di ridurre l’incertezza. In particolare le imprese affrontano due tipologie di incertezza sui mercati internazionali:

1. Incertezza derivante da fattori non conosciuti: legata a fattori come l’evoluzione demografica, le dimensioni di un segmento di domanda già consolidato, il contesto

(32)

32 normativo attuale, e pertanto può essere ridotta con l’ausilio di strumenti di analisi strategica

2. Incertezza derivante da fattori inconoscibili: legata a fattori come le dimensioni di un segmento di domanda latente, l’evoluzione della filiera industriale, le mosse dei possibili entranti, le future politiche commerciali, l’oscillazione delle valute. È un tipo di incertezza che potrebbe essere ridotta solamente procedendo con lo sviluppo industriale e con l’apertura verso i mercati internazionali, ma permane in ogni caso in misura significativa

Proprio perché non si può fare affidamento a strumenti consolidati per ridurre quest’ultimo tipo di incertezza, risultano fondamentali il tempo e l’esperienza, entrambi elementi che richiamano proprio la gradualità dell’ingresso e il processo di apprendimento per gradi. Ecco che dunque procedere partendo da attività semplici a basso livello di investimento in Paese non distanti a livello cognitivo per poi giungere a una maggiore complessità delle operazioni internazionali, significa tenere conto sicuramente di questo elevato grado di incertezza21.

2.10 Applicazione della teoria degli stadi al caso italiano

L’affermazione del ‹‹Made in Italy›› nel mondo è stato nel corso degli anni al centro di riflessioni contrastanti. Sono infatti emerse perplessità relativamente alla piccola dimensione delle imprese esportatrici e alla capacità di presidiare i mercati internazionali; ma è anche vero che tali imprese rappresentano in molti casi una risposta innovativa e flessibile alle sfide

della globalizzazione. Appare tuttavia difficile riuscire a spiegare il caso

dell’internazionalizzazione delle imprese italiane in virtù del paradigma della crescita incrementale. La sfida dell’internazionalizzazione in Italia è portata avanti da piccole e medie imprese collocate all’interno di distretti produttivi operanti in settori considerati tradizionali e

maturi22 e, nonostante esportino da lungo tempo non hanno apportato modifiche alle proprie

caratteristiche dimensionali oppure seguito una crescita per gradi. I modelli di internazionalizzazione risultano essere inoltre ancora poco strutturati Le stesse imprese

21A tal proposito si può far riferimento a quanto sostenuto da Caroli in Caroli M.G. (2000), Globalizzazione e localizzazione

dell’impresa internazionalizzata, Milano, Franco Angeli, e cioè che il processo di internazionalizzazione si basa sulle

conoscenze e relazioni costruite nelle fasi precedenti le quali, a loro volta, determinano un cambiamento nell’organizzazione aziendale tale da consentire un ulteriore sviluppo internazionale.

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