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HPLC nella separazione di proteine salivari rese fluorescenti

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Academic year: 2021

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Indice

Indice delle figure ... 3

Indice delle tabelle ... 5

Acronimi utilizzati ... 6

Introduzione e scopo della tesi ... 8

Capitolo 1 ... 11

Saliva e proteomica: un approccio integrato ... 11

1.1 La saliva... 11

1.1.1 Origine e anatomia ... 12

1.1.2 Struttura delle ghiandole salivari ... 14

1.1.3 Composizione ... 15

1.1.4 Secrezione salivare ... 19

1.2 Proteomica ... 25

1.2.1 Definizione... 25

1.2.2 Proteomica salivare ... 27

1.3 Il ruolo della cromatografia liquida nella proteomica ... 27

1.3.1 La cromatografia ad esclusione molecolare... 34

1.4 Fluorescenza e marcatura delle proteine ... 36

1.4.1 Sonde fluorescenti e marcatura di molecole biologiche ... 37

1.4.2 Fluoresceina e fluoresceina isotiocianato ... 38

1.5 Elettroforesi delle proteine ... 41

1.5.1 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE) ... 41

1.5.2 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di tricina e sodio-dodecil-solfato (Tricina-SDS-PAGE) ... 43

Capitolo 2 ... 45

Materiali e Metodi ... 45

(2)

2

2.2 Metodi... 47

2.2.1 Raccolta della saliva ... 47

2.2.2 Dosaggio proteico DC della Bio-Rad ... 48

Protocollo ... 49

2.2.3 Marcatura delle proteine salivari con FITC... 49

2.2.4 Messa a punto dei parametri relativi alla separazione cromatografica ... 50

2.2.6 Raccolta frazioni salivari e precipitazione delle proteine con TCA al 20% ... 55

2.2.7 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE) ... 55

2.2.8 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di tricina e sodio-dodecil-solfato (Tricina-SDS-PAGE) ... 58

Capitolo 3 ... 61

Risultati e discussioni ... 61

3.1 Marcatura delle proteine salivari con FITC... 61

3.2 Separazione cromatografica HPLC-SEC ... 62

3.3 Curva di calibrazione ... 68

3.4 Raccolta delle frazioni della saliva marcata con FITC ... 70

3.5 Elettroforesi SDS-PAGE ... 72

3.6 Elettroforesi Tricina-SDS-PAGE ... 73

Bibliografia ... 75

(3)

3

Indice delle figure

Figura 1: Posizione anatomica delle tre ghiandole salivari maggiori; la ghiandola

parotide (1), la ghiandola sottomandibolare (2) e la ghiandola sottolinguale (3) [10]. .. 13

Figura 2: Rappresentazione schematica di una ghiandola salivare mista [18]. ... 15

Figura 3: Rappresentazione schematica del modello a due stadi della secrezione salivare [4]. ... 16

Figura 4: Innervazione parasimpatica delle ghiandole salivari [13]. ... 20

Figura 5: Meccanismo principale della secrezione del fluido [24]. ... 23

Figura 6: Meccanismi alternativi per la secrezione del fluido [24]. ... 23

Figura 7: Schema HPLC [49]. ... 29

Figura 8: Iniettore per HPLC, caricamento del campione e iniezione del campione. ... 30

Figura 9: Colonna HPLC [52]. ... 32

Figura 10: Rivelatore a fluorescenza. ... 33

Figura 11: Sintesi fluoresceina [54]. ... 39

Figura 12: Fluoresceina isotiocianato (FITC) [54]. ... 39

Figura 13: Isomeri della fluoresceina isotiocianato [61]. ... 40

Figura 14: Reazione di marcatura delle proteine con FITC [62]. ... 40

Figura 15: Rappresentazione della separazione elettroforetica delle proteine in gel di poliacrilammide [63]. ... 42

Figura 16: Effetto dell’SDS sulla conformazione e carica di una proteina [63]... 42

Figura 17: Struttura della tricina [68]. ... 44

Figura 18: Salivette. ... 48

Figura 19: Equazione da risolvere per ricavare la concentrazione proteica. ... 49

Figura 20: Beuta per filtrazione ... 52

Figura 21: Separazione dei molecole di diverse dimensioni mediante cromatografia ad esclusione. ... 53

Figura 22: (a) tipica curva di calibrazione di cromatografia ad esclusione molecolare; (b) cromatogramma di riferimento. ... 54

(4)

4

Figura 23: Cromatogrammi della saliva marcata con FITC per 4 ore (blu) e per 24 ore

(rosso). ... 62

Figura 24: Fase mobile 1 (FM1) 100% PBS 100 mM a pH 7, FL 1.0 mL/min. ... 63

Figura 25: Fase mobile 2 (FM2) 85% PBS 100 mM a pH 7 + 15% ACN, FL 1.0 mL/min. ... 63

Figura 26: Fase mobile 3 (FM3) 95% PBS 100 mM a pH 7 + 5% ACN, FL 1.0 mL/min. ... 64

Figura 27: Fase mobile 4 (FM4) 97% PBS 100 mM a pH 7 + 3% ACN, FL 1.0 mL/min. ... 64

Figura 28: Fase mobile 5 (FM5) 97% PBS 150 mM e 200 mM NaCl a pH 7 + 3% ACN, FL 1.0 mL/min. ... 65

Figura 29: Fase mobile 97% PBS 150 mM e NaCl 200 mM a pH + 3% ACN con flusso 1.0 mL/min. ... 66

Figura 30: Fase mobile 97% PBS 150 mM e NaCl 200 mM a pH + 3% ACN con flusso 0.7 mL/min. ... 66

Figura 31: Fase mobile 97% PBS 150 mM e NaCl 200 mM a pH + 3% ACN con flusso 0.5 mL/min. ... 67

Figura 32: Cromatogramma di un campione di bianco con FITC. ... 68

Figura 33: Curva di calibrazione. ... 69

Figura 34: Curva di calibrazione, tratto lineare ed equazione della retta. ... 69

Figura 35: Cromatogramma della saliva + FITC con frazioni... 71

Figura 36: SDS-PAGE della frazione 1, di saliva marcata con FITC, ad alto peso molecolare. ... 73

Figura 37: Tricina-SDS-PAGE delle frazioni (2-5), di saliva marcata con FITC, a basso peso molecolare. ... 74

(5)

5

Indice delle tabelle

Tabella 1: Proteine salivari. ... 18

Tabella 2: Potenziali marcatori proteici identificati nella saliva... 27

Tabella 3: Lunghezze d’onda di eccitazione ed emissione di alcuni fluorofori [55]. .... 38

Tabella 4: Preparazione campioni retta di taratura per dosaggio DC Bio-Rad. ... 49

Tabella 5: Miscele utilizzate per ottimizzare la fase mobile. ... 51

Tabella 6: Preparazione del running gel al 12% per SDS-PAGE. ... 56

Tabella 7: Preparazione dello stacking gel al 5% per SDS-PAGE. ... 57

Tabella 8: Preparazione del running gel al 16.5% per Tricina-SDS-PAGE. ... 58

Tabella 9: Preparazione dello spacer gel al 10% per Tricina-SDS-PAGE. ... 58

Tabella 10: Preparazione dello stacking gel al 4% per Tricina-SDS-PAGE. ... 58

Tabella 11: Tabella dei dati relativi alla curva di calibrazione. ... 68

Tabella 12: Frazioni di saliva marcata con FITC raccolte ogni 2 minuti. ... 70

Tabella 13: Tabella delle frazioni raccolte e dei picchi individuati nel cromatogramma di figura 35. ... 72

(6)

6

Acronimi utilizzati

2-DE Elettroforesi bidimensionale

ACN Acetonitrile

APS Ammonio persolfato

ATP Adenosina trifosfato

BSA Bovine serum albumin

cAmp Adenosina monofosfato ciclico

DMSO Dimetilsolfossido

DTT Ditiotreitolo

FITC Fluoresceina isotiocianato

FL Flusso

FM Fase mobile

GDP Guanosina difosfato

GTP Guanosina trifosfato

HPLC High performance liquid chromatography

IE Ion-exchange chromatography

IgA Immunoglobuline A

IgG Immunoglobuline G

IP3 Inositolo trifosfato

MS Spettrometria di massa

P Parotidi

PAGE Polyacrylamide gel electrophoresis

PBS Tampone fosfato

PKA Proteina chinasi A

PLC Adenilato ciclasi

PM Peso molecolare

PRPs Proline-rich-proteins

(7)

7

SDS Sodio dodecil-solfato

SEC Size exclusion chromatography

SELDI-TOF-MS Surface-enhanced laser desorption/ionization-time of flight-mass spectrometry

SL Sottolinguali

SM Sottomandibolari

STD Standard

TCA Acido tricloroacetico

TDM Therapeutic Drug Monitoring

(8)

8

Introduzione e scopo della tesi

Negli ultimi anni l’utilizzo della saliva ha subito un rapido sviluppo in ambito clinico come campione biologico alternativo e complementare al sangue. In linea di principio, l’utilizzo della saliva risulta essere interessante grazie alla non invasività del prelievo, alla minore complessità della matrice rispetto al plasma e al ridotto rischio biologico; anche le procedure richieste per la manipolazione, il trattamento e l’analisi dei campioni sono più semplici e inoltre i costi sono ridotti [1], [2].

La saliva umana contiene molte sostanze, in particolare proteine, che possono fornire informazioni utili per la sorveglianza della salute e della patogenesi di alcune malattie; la saliva può essere quindi scelta come mezzo di ricerca di potenziali marcatori biologici di natura proteica [3], [4].

Studi precedenti, condotti dal gruppo di ricerca in cui ho svolto questo lavoro di tesi, hanno confrontato le proteine della saliva di soggetti affetti da fibromialgia e gruppi di controllo, rivelando tramite analisi con strumentazione surface-enhanced laser desorption/ionization-time of flight-mass spectrometry (SELDI-TOF-MS), la presenza di quattro picchi diversamente espressi tra sani e malati rispettivamente a 4423, 4548, 7354, 13288 Dalton (Da). Il SELDI-TOF-MS, tuttavia non consente l’identificazione dei picchi osservati. La separazione delle proteine salivari sulla base del loro peso molecolare e la successiva identificazione tramite spettrometria di massa, potrebbero fornire un approccio di studio alternativo.

La gel cromatografia, in particolare, è la metodica di cromatografia liquida utilizzata per la separazione delle proteine in base al loro peso molecolare [5]. La cromatografia liquida ad alta pressione in proteomica risulta fondamentale, in quanto lavora ad alta velocità, elevata risoluzione, efficienza e sensibilità per la separazione di macromolecole, permettendo inoltre il rilevamento di specie a bassa concentrazione [6]. Per determinare l’intervallo di pesi molecolari all’interno del quale risulta possibile separare le proteine, abbiamo realizzato una curva di calibrazione iniettando una miscela di proteine standard a peso molecolare noto.

(9)

9 L’utilizzo in cromatografia di un rivelatore a fluorescenza, sebbene meno sensibile di un rivelatore a spettrometria di massa, risulta molto più economico e da 100 a 1000 volte più sensibile di un rivelatore UV [7]. Tuttavia, non tutte le proteine risultano fluorescenti, infatti la fluorescenza è una caratteristica che dipende dalla presenza nella sequenza amminoacidica di gruppi fluorofori intrinseci come gli amminoacidi aromatici tirosina, fenilalanina e triptofano. Risulta quindi evidente la necessità di marcare le proteine utilizzando una sonda fluorescente.

In letteratura sono presenti numerosi studi in cui si utilizza come sonda fluorescente la fluoresceina isotiocianato (FITC) per marcare singole proteine o anticorpi [8], [9], [10]. La FITC risulta infatti uno dei fluorofori più stabili, più facilmente coniugabili, con un basso peso molecolare e quindi con minor rischio di impedimento sterico [11]. Dato che non sono presenti studi di marcatura delle proteine totali della saliva, è indispensabile studiare un metodo di marcatura con la FITC del contenuto proteico totale salivare. E’ stato possibile, inoltre, il recupero delle frazioni del campione di saliva marcata con FITC; ogni frazione era relativa a una differente porzione del cromatogramma e conteneva quindi proteine all’interno di un preciso range di peso molecolare. Al fine di confermare la bontà del metodo cromatografico messo a punto, le frazioni raccolte, dopo desalificazione e precipitazione delle proteine, sono state sottoposte ad elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE) per separare le proteine presenti in ogni frazione in base al loro peso molecolare. E’ stata utilizzata una SDS-PAGE con gel di poliacrilammide al 12% per separare le frazioni contenenti le proteine a più alto peso molecolare e una SDS-PAGE in tricina, con un gel di poliacrilammide al 16.5%, per le frazioni contenenti proteine a più basso peso molecolare.

Sulla base di queste premesse, il seguente lavoro di tesi, svolto presso il Dipartimento di farmacia dell’Università di Pisa, si propone, prelevando campioni di saliva da soggetti sani, di ottimizzare un metodo di marcatura delle proteine con FITC e di sviluppare un metodo di separazione delle proteine salivari in base al peso molecolare mediante una tecnica HPLC di gel cromatografia con rivelatore a fluorescenza.

(10)

10 La marcatura delle proteine salivari di soggetti sani con FITC e la separazione in base al peso molecolare con rivelazione in fluorescenza potrebbero, pertanto, offrire un punto di partenza e un approccio innovativo, rispetto ai metodi di analisi classici della proteomica, per lo studio di biomarker nella saliva di soggetti affetti da patologie.

(11)

11

Capitolo 1

Saliva e proteomica: un approccio integrato

1.1 La saliva

Nel corso degli anni, l’uso della saliva come campione biologico alternativo e complementare al sangue in vari campi di applicazione, dalla scienza alla medicina in generale, è cresciuto esponenzialmente grazie alle sue peculiari caratteristiche [1]. In particolare è stato oggetto di grande attenzione dal punto di vista clinico in ambito pediatrico nelle indagini di paternità e nella ricerca di biomarker proteici per numerose patologie, in tossicologia nella determinazione di sostanze esogene nell’ambito di infortunistica stradale, nel monitoraggio degli effetti terapeutici dei farmaci (TDM,

Therapeutic Drug Monitoring) e nella diagnosi di numerose patologie [2], [3], [4].

I vantaggi che risiedono nell’uso di questa matrice sono numerosi. Primo fra tutti vi è la non invasività di campionamento che permette di risolvere le problematiche legate al prelievo di campione ematico. E’ una matrice meno complessa rispetto al sangue e, di conseguenza, anche le procedure richieste per la manipolazione, il trattamento e l’analisi dei campioni sono più semplici. Certamente non è da trascurare il lato economico, i costi sono ridotti, non si richiede personale specializzato e si ha una netta diminuzione di rischio biologico, poiché i pazienti possono eseguire l’esame in perfetta autonomia [5].

A fronte di questi importanti vantaggi, l’analisi della saliva presenta anche alcuni aspetti critici, tra cui l’esigua quantità di campione che si riesce ad ottenere, spesso inferiore al millilitro, e la concentrazione delle sostanze di interesse che spesso risulta molto bassa [6],[7].

(12)

12 Pertanto, alla luce di queste considerazioni la saliva come matrice biologica non convenzionale alternativa al sangue è il campione d’indagine selezionato per questo lavoro di tesi.

1.1.1 Origine e anatomia

La saliva è una secrezione ghiandolare mista che bagna costantemente la mucosa orale e i denti [8]. La saliva viene secreta dalle ghiandole salivari, di tipo esocrino, che possono essere divise in due gruppi: ghiandole salivari maggiori e minori. Le ghiandole salivari maggiori sono appaiate e includono la parotide, la sottomandibolare e la sottolinguale (Figura 1).

Nella mucosa del tratto aero-digestivo superiore sono presenti centinaia di piccole ghiandole salivari minori: labiali, linguali, palatine, buccali, molari, incisive e

nasofaringee.

In condizioni normali la secrezione di saliva avviene per il 65% da parte della ghiandola sottomandibolare, per il 23% dalla parotide, per il 4% dalla sottolinguale e, infine, per il restante 8% dalle ghiandole salivari minori.

Un soggetto sano produce normalmente 500–1500 mL al giorno di saliva, con un flusso medio di 0.5 mL/min. La produzione della saliva in un soggetto non è costante e varia durante la giornata, inoltre possono influire molteplici fattori come l’età, il sesso, la condizione nutrizionale e lo stato emotivo [9].

(13)

13 Figura 1: Posizione anatomica delle tre ghiandole salivari maggiori; la ghiandola parotide (1), la

ghiandola sottomandibolare (2) e la ghiandola sottolinguale (3) [10].

Nell’uomo le ghiandole parotidi (P), le più importanti ghiandole salivari, sono a secrezione esclusivamente sierosa e producono una secrezione acquosa del tutto priva di mucine. Al contrario, le ghiandole sottomandibolari e sottolinguali sono ghiandole miste, sierose e mucose, e secernono una saliva più viscosa contenente mucine [10]. Le parotidi sono le ghiandole di dimensioni maggiori, con un peso medio compreso tra 15 e 30 grammi [11]; sono situate anteriormente ed inferiormente all’orecchio, in corrispondenza del ramo della mandibola e versano il loro secreto, attraverso i dotti di

Stenone, nel vestibolo della bocca a livello del secondo molare superiore [12].

Tra il canale parotideo e lo zigomo è presente una ghiandola parotidea definita

accessoria: il canale di questa ghiandole riversa direttamente il proprio secreto nel dotto

parotideo; dal punto di vista istologico le ghiandole accessorie differiscono dalla parotide in quanto presentano una secrezione mista, sierosa e mucosa [13].

Le ghiandole sottomandibolari (SM), più piccole delle precedenti, con un peso compreso tra 7 e 16 grammi [14], sono situate internamente all’angolo della mandibola; versano il loro secreto mediante i dotti di Wharton, in corrispondenza della caruncola sottolinguale [12]. Le ghiandole sottolinguali (SL) sono le più piccole delle ghiandole salivari maggiori, circa un quinto delle ghiandole parotidee, con un peso compreso tra 2

(14)

14 e 4 grammi [15]; si trovano nella parte anteriore del pavimento della bocca e, con una serie di dotti, versano il loro secreto in corrispondenza della piega sottolinguale [12]. Le ghiandole salivari minori, di dimensioni comprese tra 1-5 mm, sono distribuite in maniera ubiquitaria: nel bordo laterale della lingua, nella parte posteriore del palato, nella mucosa buccale e labiale; si trovano inoltre a livello delle tonsille, della sovraglottide e dei seni paranasali. Le ghiandole salivari minori possono essere sierose, mucose o miste e ciascuna possiede un singolo canale che si apre direttamente a livello del cavo orale [15].

1.1.2 Struttura delle ghiandole salivari

Le ghiandole salivari sono costituite da cellule epiteliali specializzate, le cui unità secretorie di base sono grappoli di cellule definite acini [16]. Gli acini salivari possono essere divisi in tre tipologie: sierosi, mucosi e misti. Le cellule acinose sierose, di forma sferica, producono un secreto fluido e sono caratterizzate dalla presenza di granuli di zimogeno contenenti l’amilasi salivare e anche altre proteine salivari; le cellule acinose mucose secernono nella saliva delle mucine glicoproteiche; gli acini misti presentano sia la componente sierosa che quella mucosa [10].

In tutte le ghiandole salivari maggiori e minori, attorno agli acini salivari,si trovano cellule speciali dette cellule mioepiteliali provviste di prolungamenti che abbracciano le cellule acinose e ne favoriscono la contrazione e quindi la secrezione [17].

Il fluido secreto dagli acini si raccoglie in una serie di dotti di dimensioni sempre maggiori (dotti intercalari, dotti striati e dotti escretori), per poi confluire in un unico dotto di grosse dimensioni che riversa nella cavità orale le secrezioni di ciascuna ghiandola (Figura 2) [10] .

(15)

15 Figura 2: Rappresentazione schematica di una ghiandola salivare mista [18].

1.1.3 Composizione

La saliva è costituita per il 99% da acqua; il residuo secco (0,5%) è costituito per il 60% circa da sostanze organiche e per il 40% da sali inorganici di potassio, sodio, calcio, sotto forma di cloruri e carbonati [12].

Composti inorganici

I principali ioni presenti nella saliva sono il Na+, K+, Mg++, Ca++, Cl-, HCO3-, HPO3- [9].

La composizione elettrolitica della saliva è strettamente correlata alla composizione del sangue, infatti gli ioni sono attivamente trasportati dal sangue negli acini e nei dotti salivari; la composizione elettrolitica varia durante il processo di secrezione salivare e può essere sia isotonica che ipotonica rispetto al plasma. La secrezione primaria prodotta dalle cellule acinose è pressoché isotonica con il plasma e contiene amilasi, ma i dotti striati ed escretori modificano la composizione della secrezione primaria attraverso il riassorbimento di Na+ e Cl- e la secrezione di K+ e HCO3-, ciò genera una

secrezione fluida ipotonica, con una concentrazione ionica più bassa rispetto al plasma (Figura 3) [10].

(16)

16 Figura 3: Rappresentazione schematica del modello a due stadi della secrezione salivare [4].

Il pH della saliva è neutro o debolmente acido e dipende soprattutto dal contenuto di bicarbonato [12]; parecchi fattori possono modificare la concentrazione ionica salivare, così, la composizione della saliva non stimolata è differente da quella stimolata, infatti all’aumentare del flusso salivare cresce la concentrazione di bicarbonato e di conseguenza il pH. Generalmente il range di pH della saliva è compreso tra 5.3 (saliva non stimolata) e 7.8 (saliva stimolata) [19].

Composti organici di natura non proteica

Nella saliva possono essere presenti piccole quantità di composti organici non proteici, tra questi l’acido urico è uno dei più importanti composti ad attività antiossidante nella saliva; sono inoltre presenti bilirubina, creatinina, glucosio, amminoacidi, lipidi come colesterolo e mono-di gliceridi di acidi grassi, ammine come la putrescina e la cadaverina; troviamo inoltre acidi grassi come l’acido α-linoleico e arachidonico [9].

Composti di natura proteica

La saliva contiene moltissime proteine, alcune prodotte dalle ghiandole salivari (come l’amilasi, le cistatine, l’anidrasi carbonica) e altre derivate dalla filtrazione del plasma (albumina, transferrina, IgG) (Tabella 1) [9], [16].

(17)

17  possiedono un’attività antimicrobica (lactoferrina e lisozima);

 inibiscono la precipitazione del calcio: la staterina e la PRPs promuovono la mineralizzazione dello smalto legandosi allo ione Ca++;

 sono fondamentali per percepire i sapori (anidrasi carbonica);  intervengono nel processo digestivo (amilasi);

 inibiscono le proteinasi (cistatina, inibitori della serina proteinasi e delle metalloproteinasi);

(18)

18

Proteina Origine Funzione PM kDa

α-amilasi Glicoproteina;

P,SM

Degradazione dell’amido in zuccheri semplici; attività antibatterica nel cavo orale;

lubrificazione dei tessuti.

67 Albumina Proteine globulare monomerica; deriva principalmente dalla filtrazione plasmatica

Proteina di trasporto; proteina negativa di fase acuta; sostanza

tampone.

66

Cistatine

Gruppo eterogeneo di proteine; nel sito attivo troviamo una sequenza

amminoacidica conservata.

SM›SL

Funzione antibatterica e antivirale; regolano il metabolismo proteico; aiutano a

proteggere il tessuto contro l’attacco proteolitico dei microorganismi; aiutano la

mineralizzazione.

10-15

Istatine

Famiglia di peptidi, neutri e basici, ricchi di istidina:

P, SM, SL

Funzione anticandida e antimicrobica; partecipazione alla

dinamica di mineralizzazione dei fluidi della bocca e inibizione del rilascio di istamina dai mastociti, che ne suggeriscono un ruolo

nella regolazione dell’infiammazione orale.

3-4,5

IgA 3% Linfociti Attività immunitaria 160

lactoferrina P, SL, SM Attività antimicrobica 80

Lisozima SL›SM, P Attività antimicrobica 14

Mucine

MUC5B (mucina oligomerica, struttura a

rete simile ad un gel); MUC7 (nella fase solubile

della saliva); P

Protezione dei tessuti sottostanti contro l’attacco proteolitico dei microrganismi; citoprotezione; lubrificazione; protezione contro

la disidratazione; mantenimento della viscosità e dell’elasticità

della saliva nelle secrezioni.

300-400

PRPs P; SM

Omeostasi minerale; neutralizzazione di sostanze tossiche nella dieta; protezione dei tessuti sottostanti dall’attacco

proteolitico dei microorganismi.

15-18

Staterina Fosfoproteina; P

Inibisce la crescita del cristallo di idrossiapatite; protezione dei tessuti sottostanti contro l’attacco

proteolitico dei microrganismi; citoprotezione; lubrificazione; mantenimento della viscosità e dell’elasticità della saliva nelle

secrezioni.

12

Transferrina Plasma Trasporta il ferro 75

Tabella 1: Proteine salivari.

(19)

19

1.1.4 Secrezione salivare

La secrezione salivare può essere definita come un movimento unidirezionale di un fluido, di elettroliti e macromolecole (proteine) all’interno della saliva in risposta a determinati stimoli; i segnali in grado di attivare la secrezione salivare sono i sapori, la vista, gli odori e la componente cognitiva.

Le fasi di stimolo e di secrezione salivare vengono regolate dal sistema nervoso e sono mediate da recettori di tipo metabotropico associati a proteine G.

Il fluido e gli elettroliti sono strettamente connessi dal punto di vista funzionale, ed entrambi vengono secreti con un meccanismo totalmente differente rispetto alle proteine.

Per comprendere infine il concetto di unidirezionalità, è opportuno considerare ogni porzione terminale delle cellule secretorie come unità separate [20].

Regolazione nervosa della secrezione salivare

L’attività delle ghiandole salivari è regolata dal sistema nervoso vegetativo; esse possiedono infatti una duplice innervazione: parasimpatica e simpatica.

L’innervazione parasimpatica (Figura 4) per le parotidi è costituita da fibre che decorrono nei nervi glossofaringei e si interrompono nei gangli otici, dai quali partono fibre postgangliari che raggiungono le parotidi. Per le sottomascellari e le sottolinguali le fibre parasimpatiche decorrono dal nervo facciale di ogni lato e, dopo essersi interrotte in due gangli (sottomascellare e sottolinguale) raggiungono bilateralmente le due ghiandole. L’innervazione simpatica delle ghiandole salivari è rappresentata da fibre pregangliari che originano nel midollo spinale nei primi segmenti toracici dalle cellule delle corna laterali; queste fibre percorrono le radici anteriori raggiungendo il ganglio cervicale superiore da dove partono le fibre postgangliari che giungono quindi a livello delle ghiandole.

La stimolazione dei nervi parasimpatici determina un’abbondante secrezione salivare fluida, povera di composti organici, che si accompagna ad un’intensa vasodilatazione delle ghiandole; nelle ghiandole salivari infatti viene liberata una proteasi, la callicreina, in grado di staccare localmente da una globulina plasmatica un polipeptide, la

(20)

20 bradichinina, che agisce sui vasi delle ghiandole stesse provocando vasodilatazione; la stimolazione simpatica produce un volume piccolo di saliva ricco soprattutto di proteine.

Il ruolo più importante nella regolazione della secrezione salivare spetta quindi all’innervazione parasimpatica: le fibre efferenti giungono a due aggregati neuronici, il

nucleo salivatorio superiore e il nucleo salivatorio inferiore localizzati in una

formazione denominata tratto solitario; da qui partono le fibre nervose parasimpatiche afferenti dirette alle ghiandole salivari [12].

Figura 4: Innervazione parasimpatica delle ghiandole salivari [13].

La membrana plasmatica delle cellule acinose salivari può essere suddivisa in due porzioni, denominate basolaterale e apicale.

I mediatori, rilasciati a seguito di uno stimolo, si legano ai recettori presenti sulla membrana basale; l’acetilcolina si lega a recettori muscarinici M3, mentre la noradrenalina si lega a recettori β-adrenergici; in entrambi i casi si tratta di recettori metabotropici accoppiati a proteina G [21].

Questi recettori rispondono ad una molecola segnale attivando una proteina localizzata sulla superficie interna della membrana plasmatica, chiamata proteina G, che di solito è strettamente associata all’estremità citoplasmatica del recettore; la proteina G, un eterotrimero, è costituita da tre subunità: α, β, γ.

(21)

21 In condizioni basali alla subunità α si lega una molecola di guanosina difosfato (GDP); quando avviene il legame con il neurotrasmettitore, la proteina G si attiva, ovvero il GDP legato alla subunità α viene sostituito da una guanosina trifosfato ( GTP); la subunità α si stacca da β e γ e va ad attivare un effettore, ovvero un enzima; grazie all’attività GTP-asica associata alla subunità α, il GTP viene in seguito degradato a GDP, spegnendo la via di risposta cellulare [22].

Nel caso della secrezione del fluido, l’enzima effettore è la fosfolipasi C (PLC, attivata da una proteina Gq), mentre la secrezione proteica prevede l’attivazione dell’enzima

effettore adenilato ciclasi (AC, attivata da una proteina Gs) [21].

La secrezione del fluido

Sulla membrana dell’acino salivare sono presenti quattro trasportatori ionici:

 una pompa Na+

/K+ ATPasi;  un sistema di cotrasporto Na+

-K+-2Cl-;  un canale K+

attivato dal calcio;  un canale Cl

attivato dal calcio.

I primi tre trasportatori sono localizzati sulla membrana basolaterale, mentre il canale del Cl- calcio attivato si trova a livello apicale: la secrezione del fluido avviene grazie all’azione combinata di questi quattro trasportatori.

All’interno dell’acino in condizioni basali sono presenti elevate concentrazioni di potassio e di cloro, grazie all’azione coordinata della pompa Na+

/K+ ATPasi e del sistema di cotrasporto Na+-K+-2Cl-; inoltre in assenza di stimolazione la concentrazione di calcio intracellulare è bassa e i canali del potassio e del cloro, calcio attivati, sono chiusi.

In seguito ad uno stimolo, l’acetilcolina si lega ai recettori muscarinici M3 e provoca l’attivazione della PLC, che produce come secondo messaggero l’inositolo trifosfato (IP3); l’IP3 si lega ai recettori presenti a livello degli endosomi e del reticolo endoplasmatico, provocando il rilascio di calcio. L’aumento del calcio intracellulare

(22)

22 determina l’apertura dei canali K+

e Cl- calcio dipendenti, rispettivamente sulla membrana apicale e basolaterale. La fuoriuscita del cloro dalla cellula provoca l’accumulo di ioni cloruro nel lume; per mantenere la neutralità, il Na+

segue il Cl- nel lume, filtrando attraverso le strette giunzioni tra le cellule. Il gradiente osmotico generato da NaCl nel lume causa un movimento transepiteliale di acqua dall’interstizio al lume. Infine si attiva una pompa calcio ATPasi che determina nuovamente l’accumulo di calcio nei depositi intracellulari e la chiusura dei canali del cloro e del potassio calcio attivati (Figura 5).

Questo processo regola la maggior parte della secrezione acquosa a livello delle ghiandole maggiori; sono inoltre presenti due meccanismi alternativi, basati sullo stesso principio di accoppiamento osmotico (Figura 6).

Il primo di questi due meccanismi differisce da quello precedente in quanto intervengono due sistemi di scambio Cl-/HCO3- e Na+/H+. In questo caso il decremento

del cloro intracellulare induce l’aumento dello ione cloruro tramite lo scambiatore Cl

-/HCO3-; lo ione HCO3- viene rimpiazzato attraverso la diffusione di CO2 nella cellula

che, tramite l’anidrasi carbonica, viene convertita in HCO3- e H+. Lo ione H+ prodotto

esce dalla cellula per azione della pompa Na+/H+, sfruttando il gradiente di sodio generato dalla pompa Na+/K+ ATPasi.

Il terzo meccanismo prevede la secrezione dello ione HCO3- al posto del cloruro; la CO2

diffonde all’interno dell’acino e viene convertita tramite l’anidrasi carbonica in HCO3- e

H+. Lo ione HCO3- fuoriesce, probabilmente attraverso lo stesso canale del cloro, nel

lume, mentre H+ esce dalla membrana basale tramite lo scambiatore Na+/H+ sfruttando il gradiente generato dalla pompa Na+/K+ ATPasi [23].

(23)

23 Figura 5: Meccanismo principale della secrezione del fluido [24].

Figura 6: Meccanismi alternativi per la secrezione del fluido [24].

La secrezione proteica

Le proteine salivari, una volta sintetizzate, per poter essere secrete devono essere racchiuse in vescicole secretorie; le vescicole rilasceranno quindi le proteine all’esterno della cellula tramite un meccanismo di esocitosi.

I geni codificanti per le proteine salivari vengono trascritti in una molecola di RNA messaggero (mRNA) il quale viene trasportato dal nucleo al citoplasma, a livello del ribosoma, dove avviene il processo di traduzione.

(24)

24 Le proteine in crescita contengono un piccolo segmento di amminoacidi, chiamato “sequenza segnale”, necessario per condurre i polipeptidi all’interno del reticolo endoplasmico, dove vengono N-glicosilati e riorganizzati in strutture tridimensionali. Le proteine vengono quindi trasportate tramite vescicole nell’apparato del Golgi, dove subiscono ulteriori modificazioni chimiche e processi di impacchettamento; i polipeptidi maturi vengono poi smistati in vescicole che gemmano dai margini delle cisterne del Golgi. In seguito ad uno stimolo le vescicole secretorie si fondono con la membrana citoplasmatica rilasciando le proteine nel lume.

La secrezione proteica salivare viene attivata in seguito al legame della noradrenalina ai recettori β adrenergici accoppiati a proteine Gs. L’attivazione dell’enzima effettore adenilato ciclasi converte l’ATP in adenosina monofosfato ciclico (cAMP) (secondo messaggero); cAMP si lega a proteine chinasi di tipo A (PKA) provocando il distacco della subunità catalitica da quella regolatoria. La subunità catalitica delle PKA fosforila le proteine cellulari responsabili della sintesi e della secrezione delle proteine.

L’incremento di cAMP all’interno della cellula stimola ogni stadio coinvolto nella secrezione proteica:

 trascrizione;

 modificazioni post-traduzionali;

 maturazione e traslocazione delle proteine in vescicole a livello della membrana apicale;

 esocitosi.

Alcune proteine, come le IgA secretorie, vengono introdotte tramite endocitosi all’interno degli acini salivari e successivamente secrete nel lume.

Nella saliva possono essere presenti alcune proteine derivanti dal siero; il fluido crevicolare ad esempio, soprattutto in caso di infiammazione, rilascia nella saliva proteine di origine ematica, come l’albumina e la zinco-α-2-glicoproteina.

Infine alcune proteine possono essere secrete da cellule del cavo orale (cellule epiteliali e neutrofili) [20], [24].

(25)

25

1.2 Proteomica

1.2.1 Definizione

Con il termine proteomica, coniato per la prima volta nel 1995, si intende la caratterizzazione su larga scala di tutte le proteine appartenenti ad una linea cellulare, ad un tessuto o ad un organismo [25], [26], [27].

Lo scopo degli studi di tipo proteomico è quello di ottenere una visione globale ed integrata di tutte le proteine presenti in una cellula [28]. Infatti gli effettori delle funzioni cellulari non sono i geni, ma le proteine, quindi attraverso il solo studio del genoma sarebbe impossibile ottenere informazioni circa i meccanismi patologici, le modificazioni post-traduzionali e i possibili target farmacologici [29], [30].

La possibilità di studiare le modificazioni post-traduzionali rappresenta un enorme vantaggio rispetto agli studi tradizionali di tipo genomico, infatti queste modificazioni si riflettono sulla funzionalità della proteina [31], [32]; possiamo quindi definire il proteoma come un’entità dinamica in quanto cellule di uno stesso organo possono esprimere proteine differenti e lo stesso tipo di cellula, in base a diverse condizioni (età, malattia, ambiente), può esprimere proteine diverse [33].

La proteomica si può suddividere in:

 proteomica funzionale: permette di caratterizzare le attività, le interazioni e le modificazioni post-traduzionali per poter descrivere i meccanismi cellulari a livello molecolare.

 proteomica profiling: fornisce la descrizione dell’intero proteoma di una cellula, organismo o tessuto; si tratta quindi di un approccio puramente descrittivo che comprende la localizzazione e l’identificazione dei prodotti di espressione proteica.

Le tecniche proteomiche rientrano in un range molto vasto, dove vengono integrati metodi biologici, chimici ed analitici. La spettrometria di massa (MS) ,accoppiata a

(26)

26 metodi di separazione di proteine, è la tecnica principalmente utilizzata [34]. La MS è una tecnica altamente sensibile e versatile e permette di quantificare le proteine, di determinarne sequenza, massa e informazioni strutturali, in particolare le modificazioni post-traduzionali, come le glicosilazioni o le fosforilazioni [35].

Generalmente uno studio proteomico è composto dalle seguenti fasi:

 I fase: scelta e preparazione del campione.

 II fase: separazione delle proteine attraverso tecniche cromatografiche o elettroforetiche.

 III fase: identificazione delle proteine tramite l’uso della spettrometria di massa; le proteine identificate vengono poi confrontate con quelle presenti in un database che contiene le proteine codificate dal genoma.

Il successo nell’identificazione della proteina, comunque, dipende dalla preparazione del campione e dal tipo di spettrometro di massa utilizzato. La combinazione della MS, per l’identificazione proteica, con l’elettroforesi bidimensionale (2-DE), come tecnica separativa ad alto potere risolutivo, è il metodo classico e il più utilizzato in questo tipo di studi [36]. Inoltre, la combinazione di diverse strategie di separazione come ad esempio la cromatografia ad esclusione molecolare (SEC), la cromatografia a scambio ionico (IE), a fase inversa (RP), o di altre tecniche cromatografiche, è un approccio comune per separare le proteine in un sistema biologico [37], [38].

Negli ultimi anni la proteomica [39], [40], [41], grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche di spettrometria di massa e alla disponibilità di sequenze genomiche, è progredita con crescente interesse nel mondo scientifico: al momento è usata come moderno strumento per la scoperta di farmaci, per la determinazione di processi biochimici implicati nelle malattie, per monitorare processi cellulari, per caratterizzare sia i livelli di espressione che le modifiche post trasduzionali delle proteine, per ricercare differenze tra fluidi biologici o cellule di soggetti sani e malati e per identificare biomarcatori patologici e possibili candidati per l’intervento terapeutico.

(27)

27

1.2.2 Proteomica salivare

La saliva umana contiene molte sostanze che possono fornire informazioni utili per la sorveglianza della salute, del benessere generale e della patogenesi di alcune malattie. Dal punto di vista biochimico i costituenti più importanti della saliva sono le proteine; l’analisi del proteoma salivare ha come obiettivo l’identificazione e la caratterizzazione di marcatori proteici utili per la diagnosi e il trattamento di varie patologie.

Studi recenti hanno identificato nella saliva potenziali marcatori per il rischio cardiovascolare, il carcinoma alla mammella, il tumore del cavo orale, fibromialgia e per la stanchezza cronica (Tabella 2) [16],[42],[43],[44].

Potenziali marcatori di natura proteica identificati nella

saliva

Patologia Riferimenti

Proteina C-reattiva (PCR) Rischio cardiovascolare [16]

CA15-3, c-erbB-2 Carcinoma alla mammella [42]

TNF-α, IL-1, IL-6, IL-8, CA 125 Carcinoma del cavo orale [16] Calgranulina A, Calgranulina C,

Ciclofillina A, Profilina 1

Fibromialgia [43]

Ciclofillina A, IGHA1, recettore polimerico per le Ig, Proteina

S100-A7

Cistatina-C 1620, Cistatin-B, proteina 14-3-3 zeta/delta,

Zinc-alpha-2-glycoprotein

Fatica Cronica [44]

Tabella 2: Potenziali marcatori proteici identificati nella saliva.

1.3 Il ruolo della cromatografia liquida nella proteomica

La cromatografia è stata utilizzata nei secoli come tecnica di separazione e, nel tempo, è diventata una tecnica analitica sofisticata. La cromatografia consente di separare i costituenti di una miscela in base alla loro diversa distribuzione tra una fase mobile e una fase stazionaria; è una tecnica essenziale in molti campi della scienza applicata: nella sintesi di farmaci, nella purificazione di prodotti di sintesi organica, nella scienza alimentare, nella clinica forense e infine nella separazione di molecole organiche come le proteine [45], [46]. La proteomica rappresenta una sfida importante per gli scienziati a causa della diversità e complessità delle proteine e dei peptidi presenti in un sistema

(28)

28 biologico. Come detto in precedenza la tecnica principale, in proteomica, è sicuramente la spettrometria di massa, che consente il rilevamento e l'identificazione di migliaia di proteine e peptidi in un singolo esperimento. Tuttavia la cromatografia liquida ad alta pressione (high performance liquid chromatography HPLC) è uno strumento indispensabile in proteomica poiché fornisce alta velocità, elevata risoluzione, elevata efficienza e sensibilità per la separazione di macromolecole. Inoltre, le caratteristiche uniche della cromatografia consentono il rilevamento di specie a bassa concentrazione. La strumentazione HPLC utilizzata nella ricerca in proteomica non differisce dalla strumentazione HPLC convenzionale. Sistemi di pompaggio, colonne di separazione e rivelatori utilizzati per la ricerca proteomica sono sfruttati anche per le analisi convenzionali [47].

Un apparecchio HPLC (Figura 7) è costituito da:

 solventi per l’eluizione;  pompa;  camera di mescolamento;  iniettore;  siringa;  precolonna;  colonna;

 sistema di analisi dell’effluente, collegato ad un sistema di elaborazione di dati e di registrazione.

(29)

29 Figura 7: Schema HPLC [49].

Pompe

Le pompe in HPLC trasferiscono la fase mobile dalla riserva del solvente alla colonna cromatografica; le pompe devono essere in grado di mantenere un flusso di fase mobile il più possibile costante e di generare elevate pressioni d’ingresso [48].

Camera di mescolamento

I sistemi di miscelazione in HPLC permettono di utilizzare fasi mobili costituite da più solventi e in proporzioni variabili tra loro; tale possibilità risulta fondamentale in quelle situazioni in cui il campione contiene analiti difficili da separare con una sola fase mobile, la cui composizione resta costante durante tutta la separazione cromatografica (eluizione isocratica) [48].

Iniettore

L’iniettore (Figura 8) è un dispositivo che prevede l’utilizzo di una valvola di iniezione integrata da un capillare (loop) di volume opportuno, in cui viene iniettato il campione mediante l’uso di una siringa, permettendo l’introduzione del campione in colonna. Una manopola consente all’iniettore di assumere due posizioni: quella di caricamento (Load) e quella di trasferimento del campione ( Inject).

(30)

30 La prima operazione nell’uso di un iniettore, consiste nell’inserire l’ago di una microsiringa in un apposito foro, fino al punto in cui questo si blocca. Tale procedura viene realizzata con la manopola nella posizione di “load”. Una volta vuotato il contenuto della micro siringa nel loop, la manopola dell’iniettore viene commutata nella posizione di “inject” trasferendo così il campione in colonna.

Dopo aver estratto la siringa, prima di procedere ad una nuova iniezione, occorre commutare di nuovo la manopola nella posizione di “load". A seconda del loop montato varia il volume del campione iniettato in colonna [48].

Figura 8: Iniettore per HPLC, caricamento del campione e iniezione del campione.

Precolonna

La funzionalità di una colonna può essere facilmente alterata da impurità presenti nel campione o nei solventi della fase mobile, per questo la colonna principale è preceduta

(31)

31 da una piccola colonna, detta precolonna o colonna di guardia, impaccata con lo stesso materiale della colonna cromatografica. Pertanto eventuali sostanze capaci di legarsi in maniera irreversibile alla fase stazionaria saranno filtrate e trattenute nella precolonna. I solventi usati nella fase mobile in HPLC devono comunque avere un elevato grado di purezza, e sono comunemente filtrati prima dell’uso e degassati per evitare la formazione di bolle che comprometterebbero l’efficienza del sistema di pompaggio [49].

Colonna

La colonna cromatografica è l’elemento indispensabile in HPLC (Figura 9); il tipo e la natura dei materiali d’impaccamento in essa contenuti sono diversi a seconda del principio chimico-fisico di separazione che si vuole sfruttare.

Le colonne possono essere di vetro e si possono utilizzare con pressioni inferiori a 10 atm, ma più comunemente sono in acciaio inossidabile, con diametro interno da 2 a 9 mm e lunghezza da 3 a 30 cm, capaci di sopportare pressioni fino a 300 atm.

Esistono in commercio colonne per HPLC già impaccate con materiali porosi preparati in forma di piccole sfere del diametro dell’ordine di 2,5-10 µm, costituite da silice porosa (Porosil), da polistirene ( Poragel) oppure da perline di vetro ricoperte da un sottile strato poroso (Corosil).

Esistono inoltre colonne con diametro interno di 1 mm o meno che consentono di ottenere in minor tempo e con notevole risparmio di solventi, livelli estremamente elevati di sensibilità anche con volumi molto ridotti di campione da analizzare [48], [49].

(32)

32 Figura 9: Colonna HPLC [52].

Rivelatori

La funzione di un rivelatore in HPLC è quella di monitorare in continuo l’eluato proveniente dalla colonna in modo da identificare la presenza di analiti; il rivelatore di solito è alloggiato in una cella speciale, detta cella di flusso, posta a valle della colonna. I rivelatori più comunemente utilizzati sono: il rivelatore UV, a fluorescenza, elettrochimico, a indice di rifrazione e il rivelatore a spettrometria di massa.

La scelta di utilizzare un rivelatore a fluorescenza per il lavoro di tesi è da ricercarsi nel fatto che, sebbene meno sensibile di un rivelatore a spettrometria di massa, è molto più economico, inoltre, questo rivelatore è da 100 a 1000 volte più sensibile di un rivelatore UV con valori di sensibilità compresi tra 10-9-10-11 g/mL [48].

Il rivelatore fluorimetrico (Figura 10) misura l’intensità di una radiazione fluorescente quando un analita viene eccitato con una radiazione UV di opportuna lunghezza d’onda (λ). E’ un rivelatore selettivo, particolarmente adatto per rivelare concentrazioni molto basse di analiti che presentano il fenomeno della fluorescenza o che possono essere resi fluorescenti con l’utilizzo di reazioni di derivatizzazione [48]. La luce UV proveniente da una lampada al mercurio o allo xenon (filtrata alla λ opportuna) o da un laser, passa attraverso la cella a flusso; quando un campione fluorescente passa attraverso la cella, assorbe la radiazione, viene eccitato e quindi emetterà una radiazione fluorescente a λ maggiore; l’intensità della luce emessa viene misurata attraverso un fotomoltiplicatore posto a 90° rispetto al fascio incidente. Tuttavia, questo rivelatore risponde soltanto a

(33)

33 pochi analiti fluorescenti. Per aumentarne l’applicabilità si possono legare covalentemente agli analiti dei marker fluorescenti.

Figura 10: Rivelatore a fluorescenza.

Le apparecchiature per HPLC sono collegate ad un computer che, attraverso un software dedicato, programma e gestisce tutte le operazioni connesse all’analisi: dal caricamento del campione, alla definizione dei gradienti per l’eluizione, all’analisi dell’eluato, che viene visualizzata sul monitor in forma grafica generata in tempo reale. I vari segnali generati dagli analiti vengono convertiti dal sistema elettronico in un tracciato che prende il nome di cromatogramma; questo tracciato mostra la separazione degli analiti in funzione del tempo o del volume di fase mobile e della risposta del rivelatore usato.

In HPLC possono essere sfruttati tutti i diversi principi chimico-fisici che sono alla base dei diversi metodi di cromatografia: la cromatografia di adsorbimento, di ripartizione, a scambio ionico, di affinità e per esclusione molecolare.

(34)

34

1.3.1 La cromatografia ad esclusione molecolare

La cromatografia ad esclusione molecolare, detta anche cromatografia per filtrazione

molecolare o gel cromatografia, è la metodica di cromatografia liquida favorita per la

separazione delle proteine in base al loro peso molecolare [50].

La gel cromatografia tuttavia presenta una bassa risoluzione e il campione recuperato alla fine del processo cromatografico risulta più diluito rispetto alla condizione iniziale generalmente di due/tre volte [51]. La fase stazionaria è costituita da materiali porosi che hanno le proprietà di un setaccio e riescono a filtrare le molecole a seconda delle loro dimensioni.

I materiali più comunemente usati a questo scopo sono dei granuli insolubili che formano un reticolo tridimensionale e, una volta immersi nella fase mobile, la assorbono aumentando il loro volume, assumendo così la consistenza e le proprietà di un gel. Le molecole da separare, disciolte nella fase mobile, sono caricate sulla colonna e lasciate penetrare nel gel. Le molecole ad alto peso molecolare, che sono troppo grandi per penetrare nel reticolo gelatinoso vengono completamente escluse dal volume delle particelle della fase stazionaria e quindi si muovono solo attraverso gli spazi interstiziali che nel loro insieme costituiscono il cosiddetto volume escluso o volume

vuoto; le molecole più piccole invece riescono a penetrare nel reticolo gelatinoso e si

ripartiscono all’equilibrio tra l’interno e l’esterno delle particelle.

Ogni fase stazionaria è caratterizzata da un limite superiore di esclusione, espresso come valore di peso molecolare al di sopra del quale le proteine sono escluse dal volume interno delle sfere (ossia passano solo nel volume morto), e un limite inferiore

di esclusione, al di sotto di un certo peso molecolare, infatti non c’è separazione tra le

molecole, perché queste passano con eguale facilità nel volume morto e nelle maglie del gel; soltanto le proteine con peso molecolare compreso nell’intervallo tra i due limiti possono essere separate.

I limiti inferiore e superiore di esclusione sono determinati dalle particolari caratteristiche del gel, come le dimensioni delle sferette e la consistenza delle maglie gelatinose (maglie più fitte determinano lo spostamento dei limiti di esclusione verso i pesi molecolari più bassi).

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35 Le fasi stazionarie in commercio e più ampiamente utilizzate comprendono destrani a legami crociati ( Sephadex), agarosio ( Sepharosio Bio-Gel A), poliacrilammide

(Bio-Gel P), poliesteri, gel di silice e polistireni [52].

Per scegliere la fase mobile più idonea per l’eluizione bisogna valutare la tipologia di molecole da separare; per campioni composti da soluti elettricamente neutri, l’acqua distillata come eluente risulta sufficiente; invece quando si devono analizzare analiti non elettricamente neutri, come le proteine, è necessario utilizzare un tampone in modo da controllare il pH, il cui valore dovrebbe generalmente essere compreso tra 3-10; nel tampone dovrebbe essere aggiunto anche NaCl in modo da prevenire interazioni di tipo ionico tra le molecole da eluire e il gel [51]. L’aggiunta di un solvente organico,come l’acetonitrile, potrebbe invece risultare utile per eliminare le interazioni di tipo idrofobico tra il soluto e la matrice di separazione o tra gli stessi soluti; nel caso delle proteine, questo risulta molto utile quando sono presenti peptidi con molti residui amminoacidici terminali idrofobici [53].

Quando si lavora con la cromatografia ad esclusione molecolare è necessario, per valutare il peso molecolare delle proteine presenti nel campione incognito, realizzare una curva di calibrazione utilizzando proteine standard a peso molecolare noto. La retta di calibrazione, non è altro che un grafico del logaritmo del peso molecolare delle proteine standard in funzione del loro volume di eluizione; la retta di calibrazione è una caratteristica del sistema cromatografico che si sta utilizzando e può essere utilizzata soltanto per lo stesso sistema polimero/solvente/colonna [52].

Uno dei vantaggi più importanti della gel cromatografia è la possibilità di recuperare il campione della miscela di proteine sotto forma di frazioni contenenti proteine a diverso peso molecolare; il campione può essere così facilmente riutilizzato per un altro tipo di analisi [51].

(36)

36

1.4 Fluorescenza e marcatura delle proteine

Si definisce fluorescenza la luminescenza sviluppata da una sostanza in seguito ad assorbimento di radiazioni elettromagnetiche; la luminescenza è un processo attraverso il quale un atomo o una molecola emette una radiazione luminosa nel corso di una transizione da un livello elettronico maggiore ad uno minore. Atomi o molecole colpiti da energia radiante possono passare dal livello energetico dello stato fondamentale a un livello energetico eccitato; se, nel ritorno allo stato fondamentale, l’energia così acquisita si disperde per collisioni con altri atomi o molecole, si ha soltanto il fenomeno dell’assorbimento delle radiazioni luminose, senza nessun altro effetto apprezzabile. Se invece l’energia acquisita viene in parte riemessa come radiazione luminosa si ha il fenomeno della fluorescenza, ovvero il ritorno di un elettrone dallo stato eccitato allo stato fondamentale si accompagna all’emissione di un fotone.

Alla transizione fluorescente si accompagnano sempre delle transizioni senza radiazioni con conseguente perdita di energia, l’energia del fotone emesso è quindi sempre minore di quella del fotone assorbito e di conseguenza la lunghezza d’onda della luce fluorescente è sempre maggiore della lunghezza d’onda della luce eccitante. Le sostanze in grado di emettere fluorescenza vengono dette fluorofori.

L’emissione di fotoni in seguito ad assorbimento di radiazioni luminose può avvenire in un tempo più o meno breve: quando l’intervallo di tempo tra l’eccitazione e l’emissione è dell’ordine di 10-9

-10-3 secondi il fenomeno è detto fluorescenza, se invece l’intervallo tra eccitazione ed emissione è maggiore di 10-3 secondi il fenomeno si definisce fosforescenza.

Nella fluorescenza si distinguono una luce eccitante e una fluorescente: per ogni sostanza fluorescente vi è sempre una caratteristica radiazione capace di eccitare gli atomi o le molecole, e una caratteristica radiazione emessa nel ritorno allo stato fondamentale.

Analizzando le radiazioni fluorescenti è possibile ottenere lo spettro di eccitazione, ovvero lo spettro di assorbimento della sostanza; lo spettro di fluorescenza o di

(37)

37 In biochimica i fluorofori più importanti sono generalmente molecole contenenti gruppi con doppi legami coniugati o con una struttura rigida (anello aromatico): l’elettrone eccitato può delocalizzarsi in modo esteso e si ottiene un tempo di vita dello stato eccitato sufficientemente lungo da poter dar luogo all’emissione di un fotone.

I fluorofori di interesse biologico possono essere classificati in intriseci, presenti in alcune proteine, che emettono in maniera naturale ed estrinseci, ossia quelli aggiunti al campione come sonde fluorescenti. I gruppi fluorofori intrinseci presenti all’interno delle proteine sono gli amminoacidi aromatici tirosina, fenilalanina e triptofano [52]. Tuttavia, non tutte le proteine contengono amminoacidi aromatici nella loro sequenza amminoacidica, di conseguenza le proteine non sono tutte fluorescenti e per vederle con rivelatori molto sensibili, come quello a fluorescenza, è necessario marcarle con sonde fluorescenti.

1.4.1 Sonde fluorescenti e marcatura di molecole biologiche

La marcatura è una delle tecniche bio-analitiche più utilizzate e negli ultimi anni si è avuto un notevole sviluppo delle tecniche basate sulla fluorescenza sia grazie ai progressi nella strumentazione sia per l’aumento del numero e della disponibilità di sonde fluorescenti utili per marcare le proteine in varie posizioni della sequenza amminoacidica [52]

Le sonde fluorescenti sono molecole di natura organica che possono formare legami covalenti o non covalenti con la molecola da analizzare, si ottiene così un complesso in grado di emettere fluorescenza a diverse lunghezze d’onda in relazione al tipo di marcatore utilizzato [54].

I marcatori fluorescenti possono essere suddivisi in due tipologie, piccole molecole

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38 Fluorofori λ max eccitazione/emissione

Fluoresceina 490/512 Texas ReD 589/615 Rodamina B 568/583 Cianina Cy3 550/570 CianinaCy5 649/670 DAPI 358/461 Proteine fluorescenti GFP 395,475/505 EGFP 488/507 ECFP 434,452/476,505 YFP 514/527 DsRed 558/583 mCherry 587/610

Tabella 3: Lunghezze d’onda di eccitazione ed emissione di alcuni fluorofori [55].

1.4.2 Fluoresceina e fluoresceina isotiocianato

La fluoresceina, uno dei marcatori più utilizzati in ambito biochimico, è un fluoroforo policiclico con λ ex 490 nm e λ em 512; viene sintetizzata tramite la reazione di

Friedel-Crafts a partire dall’anidride ftalica e dall’ 1,3 diidrossibenzene (resorcinolo) in presenza di un catalizzatore, come il cloruro di zinco o l’acido metansolfonico (Figura 11) [54].

La fluoresceina ha un’assorbanza molare elevata (92,300 cm-1

/M a 500.2 nm in etanolo) [55] e presenta una buona solubilità in acqua (50 mg/L) [56]; inoltre le proteine legate alla fluoresceina tendono a non precipitare, permettendo di ottenere un alto livello di purezza.

La fluoresceina si lega alle proteine formando legami con i gruppi amminici o tiolici della catena laterale di residui di cisteina o lisina. La fluoresceina succinimmidica e quella maleica sono alcuni dei derivati della fluoresceina disponibili in commercio. Tuttavia il marcatore più sfruttato per marcare le proteine è la fluoresceina isotiocianato (FITC) (Figura 12) [54].

La FITC rappresenta uno dei fluorocromi più stabili, più economici, più facilmente coniugabili ed inoltre, presenta un basso peso molecolare, con conseguente basso rischio di impedimento sterico; presenta però problemi relativi alla stabilità dell’emissione fluorescente in presenza di variazioni del pH. Lo spettro di assorbimento

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39 è massimo intorno a 496 nm e l’emissione è nel verde con massimo a 518 nm [57],[58]. La FITC è sensibile alla luce ed è solubile in acetone (1 mg/mL), in dimetilsolfossido anidro (DMSO) (5 mg/mL) e in etanolo (20 mg/mL). In acqua è scarsamente solubile (0,1 mg/mL) e decompone [57].

La FITC esiste in due forme isomere (Figura 13): l’isomero I presenta il gruppo tiocianato legato al carbonio 4 dell’anello benzenico, mentre nell’isomero due il gruppo è legato al carbonio 5; i due isomeri generano spettri indistinguibili, sia in termini di lunghezza d’onda che d’intensità. L’isomero I risulta più facile da ottenere in forma pura ed è quindi più economico, inoltre rispetto all’isomero II genera complessi più stabili, per cui l’isomero I è quello comunemente utilizzato per la marcatura. L’utilizzo della miscela dei due isomeri risulta perfettamente adatta per vari tipi di analisi, ma ad esempio per analisi cromatografiche (HPLC) ed elettroforetiche è consigliato l’utilizzo di un solo isomero [59]. Dunque, in questo lavoro di tesi, l’isomero I della fluoresceina isotiocianato è stato scelto come sonda fluorescente per la marcatura delle proteine della saliva.

Figura 11: Sintesi fluoresceina [54].

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40 La FITC stabilisce un legame covalente fra il radicale tiocianato e il gruppo amminico primario che unisce stabilmente il fluorocromo alla struttura proteica (Figura 14). La FITC si utilizza principalmente come marcatore di ormoni peptidici e fattori di crescita per poter identificare i recettori a livello delle cellule bersaglio, oppure per marcare anticorpi nella tecniche di immunoistochimica [60]. Per ottenere una marcatura ottimale risulta fondamentale rispettare le condizioni richieste dal protocollo: ad esempio per la reazione di coniugazione è importante che il tampone in cui si trova la proteina non contenga gruppi amminici primari (es. Tris, glicina) che potrebbero competere per la reazione di coniugazione con la proteina. Inoltre, affinchè i gruppi amminici interni reagiscano nella forma non protonata, avendo questi un valore di pKa di circa 10.5, è opportuno che la reazione avvenga ad un pH basico [61].

Figura 13: Isomeri della fluoresceina isotiocianato [61].

(41)

41

1.5 Elettroforesi delle proteine

L’Elettroforesi è una tecnica analitica e separativa basata sul movimento di particelle cariche immerse in un fluido per effetto di un campo elettrico applicato, mediante una coppia di elettrodi, al fluido stesso. In biochimica questa tecnica viene utilizzata per la separazione qualitativa e l’analisi quantitativa delle componenti di una miscela di macromolecole elettricamente cariche (proteine o acidi nucleici).

Le molecole si spostano verso il catodo se hanno carica positiva e verso l’anodo se hanno carica negativa.

Lo strumento necessario per eseguire una corsa elettroforetica è costituito da [52]:

 un supporto elettroforetico: un gel di un polimero in soluzione acquosa (es. agarosio, poliacrilammide);

 una cella elettroforetica: generalmente si utilizza una camera elettroforetica verticale formata da due vetri;

 elettrodi e alimentatore: gli elettrodi sono costituiti da due fili di platino paralleli e connessi all’alimentatore il quale fornisce una corrente continua; una soluzione tampone permette la conduzione della corrente.

1.5.1 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE)

Questo tipo di elettroforesi su gel di poliacrilammide è uno dei metodi di più largo impiego per l’analisi quantitativa di miscele di proteine. La migrazione delle proteine avviene su un gel polimerizzato di poliacrilammide (PAGE) in presenza di sodio dodecil-solfato (SDS). L’SDS-PAGE separa le proteine presenti nel campione in base al loro peso molecolare (PM), sfruttando il gel di acrilammide come setaccio molecolare (Figura 15).

(42)

42 Figura 15: Rappresentazione della separazione elettroforetica delle proteine in gel di poliacrilammide

[63].

L’SDS (Figura 16) è un detergente anionico che in soluzione acquosa stabilizza le molecole proteiche denaturandole e formando attorno ad esse un guscio di solvatazione, che genera micelle dotate della stessa carica elettrica. Di conseguenza, le proteine si comportano come filamenti carichi negativamente e la carica intrinseca della singola proteina diventa trascurabile rispetto alla carica conferita dall’SDS, quindi la migrazione avviene unicamente in funzione del loro PM poiché tutte migrano verso l’anodo.

(43)

43 Il gel si comporta come un setaccio molecolare: le proteine a minor peso molecolare si muovono più velocemente, mentre quelle a maggior peso molecolare più lentamente Nell’SDS PAGE si utilizza un supporto di poliacrilammide diviso in due porzioni a diversa porosità:

 Stacking gel: è un gel di impaccamento, dove vengono creati i pozzetti per caricare i campioni. Esso ha la funzione di concentrare le molecole proteiche in una banda sottile alla medesima altezza prima del loro passaggio nella seconda porzione del gel. E’ un gel ad elevata porosità e quindi a bassa percentuale di acrilammide ed è preparato in un tampone leggermente acido (pH 6.8, tampone Tris-HCl).

 Running gel: è il gel in cui avviene la separazione vera e propria delle proteine. Esso presenta delle maglie strette, è costituito da un’elevata percentuale di acrilammide e ha un pH moderatamente basico (pH 8.8, tampone Tris-HCl).

Utilizzando un running gel al 12% è possibile separare le proteine ad alto peso molecolare da quelle a basso peso molecolare (200-9 kDa). Il tampone di corsa è costituito da Tris-glicina-SDS a pH 8.3 [52].

1.5.2 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di tricina e sodio-dodecil-solfato (Tricina-SDS-PAGE)

L’elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di tricina e sodio-dodecil-solfato (Tricina-SDS-PAGE) è una tecnica efficiente per separare proteine a basso peso molecolare basata sugli stessi principi descritti nel paragrafo 1.5.1. Generalmente, questa tecnica elettroforetica è utilizzata per separare proteine in un range di massa da 1 a 100 kDa ed è il sistema elettroforetico più indicato per la separazione di proteine più piccole di 30 kDa [62].

La tricina (179.17 g/mol) (Figura 17) è una molecola organica ottenuta a partire da tris e glicina [63]. E’ una polvere bianca cristallina solubile in acqua (89,6 g/L) [64]; inoltre,

(44)

44 essendo un amminoacido zwitterionico con pKa pari a 2.3 a 25°C e pKa2 pari a 8.1 a

25°C, ha potere tampone nei range di pH 4.4-5.2 e 7.4-8.8 [65],[66]. Essa si utilizza nel tampone di corsa elettroforetico al posto della glicina per separare proteine a basso peso molecolare. La tricina infatti possiede una carica negativa maggiore rispetto alla glicina che le consente di migrare più velocemente, inoltre l’elevata forza ionica genera un maggiore movimento degli ioni e un minor movimento delle proteine [62].

Figura 17: Struttura della tricina [68].

I gel per la tricina-SDS-PAGE vengono preparati diversamente rispetto alla tradizionale SDS-PAGE, infatti la percentuale di acrilammide utilizzata in questi gel è minore rispetto agli altri sistemi elettroforetici; inoltre tra lo stacking gel e il running gel viene inserito lo spacer gel, di circa un centimetro, che ha la funzione di concentrare ulteriormente il campione al di sotto dello stacking gel [67].

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