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Ruolo dell'attivita' fisica nell'obesita' correlata a comportamenti alimentari disfunzionali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE

“Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche

delle Attività Motorie Preventive e Adattate”

TESI DI LAUREA

“Ruolo dell’attività fisica nell’obesità correlata a

comportamenti alimentari disfunzionali”

RELATORE

:

CANDIDATO

:

Prof. Ferruccio Santini Dott. Maurizio Giannotti

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INDICE……….…….pag. 2

INTRODUZIONE……….………pag. 4

CAPITOLO 1 L’OBESITA’……….…....pag. 5 1.1 Definizione e caratteristiche dell'obesità……….……..pag. 5

1.2 Criteri internazionali per la definizione del sovrappeso e

dell’obesità……….pag. 7

1.3 Epidemiologia………...pag. 9

1.4 Complicanze legate all’obesità………..pag. 11

1.5 Costi sociali………...pag. 17 1.6 Patologie psichiche associate………pag. 18

1.6.1 Obesità, Emotional Eating e Craving……….pag. 19

1.6.2 Obesità e Binge Eating Disorder………pag. 20

1.6.3 Obesità e Night Eating Syndrome………..pag. 23 CAPITOLO 2 ATTIVITA’ FISICA E COMPORTAMENTI

ALIMENTARI DISFUNZIONALI………..…….pag. 25

2.1 Obesità e attività fisica……….pag. 25 2.2 Attività fisica , Binge eating, Emotional Eating e Night

Eating Syndrome………..……pag. 27

CAPITOLO 3 TERAPIA……….pag. 29 3.1 L'approccio multidisciplinare………...pag. 29

3.1.1 Esperienza del centro di San Giuliano terme (Bagni di Pisa)pag. 33 3.2 Modificazioni dello stile di vita……….……pag. 36

3.2.1 Dieta………pag. 36 3.2.2 Educazione terapeutica………...pag. 39

(3)

3.2.4 Aderenza terapeutica………...pag. 41

3.2.5 La motivazione………..pag. 41 3.2.6..Il problem solving………..pag. 43

3.2.7 Enpowerment……….………pag. 44

3.2.8 Medicina narrativa……….pag. 44

3.3 Trattamento………pag. 45

3.3.1 Terapia farmacologica………..pag. 45

3.3.2 Chirurgia bariatrica………pag. 49

CAPITOLO 4 L'efficacia dell'attività fisica………...pag. 52

4.1 Effetti dell’attività fisica………..pag. 52

4.2 Esercizio fisico e prevenzione dell’obesità……….pag. 55

4.3 Programma di riabilitazione del soggetto obeso………...pag. 56 4.3.1 Criteri di scelta dell’attività fisica………..pag. 56

4.3.2 Modi e tempi………pag. 57

4.3.3 Esercizio fisico e riduzione ponderale………pag. 62 4.3.4 Esercizio fisico e mantenimento del calo ponderale…………pag. 65

4.4 Programmi di allenamento per soggetti sovrappeso/obesi….pag. 67 4.5 Effetti dell’attività fisica sul benessere psicologico…………...pag. 78

CONCLUSIONI………..pag. 82

BIBLIOGRAFIA………..pag. 84

(4)

INTRODUZIONE

L’obesità rappresenta una patologia complessa, che necessita di un approccio integrato, multi- ed interdisciplinare e, possibilmente, adattato di volta in volta alle esigenze del singolo paziente. Alla base di questa patologia spesso vi è la presenza di comportamenti alimentari disfunzionali. I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono da alcuni anni oggetto di attenzione crescente da parte del mondo scientifico e della comunità degli operatori sanitari e sociali, in virtù della loro diffusione tra le fasce più giovani della popolazione e della loro eziologia multifattoriale.

Nella mia tesi mi occuperò solamente di quei disturbi che rappresentano delle concause allo sviluppo dell’obesità. In base alla fenotipizzazione del paziente dovrà essere individuato un possibile percorso che verrà effettuato dai servizi di cure primarie. Il livello di intervento successivo sarà caratterizzato dall’intervento specialistico ambulatoriale che prevederà il lavoro di un team multidisciplinare costituito da: internista, endocrinologo, nutrizionista, psichiatra, psicologo, dietista, fisioterapista, laureato in scienze motorie. A questi potranno affiancarsi, laddove necessario, altri specialisti per specifiche comorbilità. E’ pertanto necessaria un’azione di “team building” per effettuare il coordinamento del lavoro. L’intervento specialistico potrà infine realizzarsi, a seconda delle condizioni clinico-funzionali e psicologico-psichiatriche del paziente, a livello semiresidenziale e residenziale, in strutture specializzate (acuzie o riabilitazione).

Dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolineano che l’86% delle morti e il 75% della spesa sanitaria in Europa e in Italia sono determinate da patologie croniche, che hanno come minimo comune denominatore 4 principali fattori di rischio: fumo, abuso di alcol, scorretta alimentazione e inattività fisica. Queste ultime due condizioni sono alla base dell’allarmante e continuo aumento della prevalenza di sovrappeso e di obesità nelle popolazioni occidentali e in quelle in via di sviluppo, che ha raggiunto le proporzioni di un’inarrestabile epidemia. In Europa il sovrappeso e l’obesità

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sono responsabili di circa l’80% dei casi di diabete tipo 2, del 55% dei casi di ipertensione arteriosa e del 35 % di casi di cardiopatia ischemica; tutto ciò si traduce in 1 milione di morti l’anno e 12 milioni di malati all’anno. La raccomandazione di ridurre il peso corporeo quando elevato è fondata sull’evidenza della relazione che lega l’obesità a una minore aspettativa di vita. Tuttavia, il trattamento a lungo termine e assai problematico e richiede un approccio integrato, che utilizzi gli strumenti a disposizione in modo complementare, avvalendosi di competenze professionali diverse, le quali condividano il medesimo obiettivo terapeutico. A questo proposito il trattamento coinvolge sempre di più la psicologia clinica , la psichiatria oltre che le branche internistiche della medicina. Nella cornice di un approccio clinico multidimensionale per completare ed integrare tale strategia terapeutica numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’attività fisica nei soggetti con obesità in comorbidità con un disturbo alimentare. Individuare la presenza di tale disturbo può ottimizzare il programma di tipo motorio.

CAPITOLO 1 L’OBESITA’

1.1 Definizione e caratteristiche dell’obesità

L’obesità viene definita come una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo, per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.

E’ una condizione ad elevata prevalenza e ad eziologia multifattoriale, accompagnata da un aumento del rischio di morbilità e mortalità ed è una conseguenza di un bilancio energetico cronicamente positivo.

I fattori che influenzano la regolazione del bilancio energetico sono molteplici e tutti collegati con l’ipotalamo: fattori emozionali (convivialità, umore, ansia), apparato gastroenterico (ormoni gastroenterici), tessuto adiposo (adipocitochine), circolo ematico (glucosio, aminoacidi), afferenze sensitive (vista, gusto, olfatto), influenze cognitive (esperienza, apprendimento), ormoni (gonadi, surrene, tiroide).

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Nel mantenimento dell’equilibrio energetico e nelle sue deviazioni, oltre all'influenza dei segnali biochimici a partenza dal Sistema Nervoso Centrale (SNC), dal tessuto adiposo e dall'apparato gastroenterico concorrono le influenze comportamentali. Negli ultimi anni, infatti, i disturbi del comportamento alimentare (DCA) hanno mostrato un aumento spiccato della loro prevalenza [1]. L’obesità si divide in essenziale (95%) legata a fattori genetici ed ambientali e in secondaria (5%) che può derivare da malattie endocrine, neurologiche, da forme genetiche, da farmaci o da disturbi mentali.

L’obesità inoltre si divide in androide (mela) che predilige gli uomini e nella quale si ha un accumulo di tessuto adiposo prevalentemente a livello della zona addominale, e ginoide (pera) che invece è associata al sesso femminile ed è caratterizzata per un accumulo di tessuto adiposo a livello di cosce, fianchi e glutei. (fig. 1)

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1.2 Criteri internazionali per la definizione del sovrappeso e dell’obesità

Per quantificare l’eccesso di tessuto adiposo viene utilizzato il calcolo dell’indice di massa corporea (IMC), che deriva dal rapporto fra il peso espresso in Kg e l’altezza al quadrato espressa in metri. (fig. 2)

figura 2:Indice di massa corporea o BMI (Kg/m2) = Peso/Altezza2

Questo indice tuttavia non differenzia la massa grassa dalla massa magra (muscolare ed ossea) e non tiene conto della distribuzione del tessuto adiposo [2]. A tale proposito è importante sottolineare che le diverse comorbidità associate all’obesità dipendono in parte dall’eccesso di massa adiposa e in larga misura dalla sua localizzazione.

Il tessuto adiposo che si accumula a livello addominale rappresenterebbe dunque un marker della relativa incapacità del tessuto adiposo sottocutaneo ad immagazzinare appropriatamente l’energia in eccesso. L’accumulo di grasso in sede ectopica ha effetti metabolicamente sfavorevoli ed aumenta l’espressione dei fattori di rischio cardiovascolare. Al contrario, quando l’energia in eccesso viene immagazzinata prevalentemente a livello del tessuto adiposo sottocutaneo, anche in presenza di un bilancio energetico

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cronicamente positivo, l’individuo sarebbe protetto dallo sviluppo di diabete mellito e di malattie cardiovascolari [3].

L’IMC è una stima grezza dell’eccesso di peso, che non tiene in considerazione la distribuzione del tessuto adiposo ed il cui calcolo è influenzato sia dalla massa grassa che da quella magra. Ne consegue che anche modesti aumenti di IMC, ove determinati esclusivamente da un aumento dell’adiposità viscerale, si associano ad un aumento del rischio di eventi e/o mortalità cardiovascolare [4] mentre valori anche considerevolmente aumentati di IMC, qualora legati ad un incremento della massa muscolare, non si accompagnano necessariamente ad un aumento del rischio. Pertanto la stima dell’eccesso di peso identificata dall’indice di massa corporea deve essere integrata dalla valutazione della distribuzione del tessuto adiposo. Ad oggi è possibile utilizzare diversi esami strumentali che consentono di stimare con precisione la distribuzione del tessuto adiposo (Ecografia, TAC, RMN). Tuttavia non è possibile utilizzare tali metodiche su larga scala e pertanto è necessario identificare metodi meno costosi e più semplici. Nella comune pratica clinica, mediante il semplice metro da sarta, è possibile effettuare la misurazione di alcuni parametri antropometrici come la circonferenza della vita, la circonferenza dei fianchi ed il relativo rapporto [5]. Sebbene questa metodica sia ben standardizzata è pur vero che la sua riproducibilità presenta alcune limitazioni, in particolare nella grande obesità. La circonferenza vita è una misura adottata sia dal National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III (ATP III) che dall’International Diabetes Federation (IDF) per definire la sindrome metabolica il cui esatto ruolo nell’identificazione del rischio di eventi cardiovascolari rimane peraltro controverso [6].

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1.3 Epidemiologia

L’obesità oggi viene definita una vera e propria pandemia, tanto che secondo l’organizzazione mondiale della sanità essa rappresenta “uno dei maggiori problemi di salute pubblica dei nostri tempi”. Si stima che nel mondo vivano circa 300 milioni di individui obesi e la gravità del problema è destinata a peggiorare sia nei paesi industrializzati (Nord America ed Europa) sia in quelli in via di sviluppo (Cina, India, Sud America), con importanti conseguenze in termini di politica economica e sanitaria. Il trasferimento delle abitudini alimentari occidentali dai paesi ricchi a quelli poveri determina un aumento della prevalenza dell’obesità in questi ultimi ma con un’importante differenza: mentre nei paesi in via di sviluppo le classi a rischio di obesità sono quelle economicamente privilegiate, in cui ricchezza e prestigio si traducono in maggiori disponibilità alimentari, nei paesi ricchi e con diffusa abbondanza di cibo le classi sociali più esposte sono quelle a ridotto tenore economico e culturale, meno consapevoli delle problematiche derivanti dall’obesità [7]. Secondo i dati forniti dall’Oms, globalmente nel 2008 1,5 miliardi di adulti (età maggiore di 20 anni) erano in sovrappeso. Di questi, 200 milioni di uomini e circa 300 milioni di donne erano obesi. Obesità e sovrappeso, prima considerati problemi solo dei Paesi ricchi, sono ora in crescita anche nei Paesi a basso e medio reddito. La prevalenza del sovrappeso in Irlanda e nel Regno Unito (Inghilterra e Scozia) è salita rapidamente, in entrambi i sessi, di oltre 0,8 punti percentuali per anno sulla base dei dati misurati. L’epidemia sta avanzando con tassi allarmanti soprattutto tra i bambini. In Svizzera, ad esempio, i bambini sovrappeso sono aumentati dal 4% nel 1960 al 18% nel 2003. In Inghilterra, Regno Unito, i valori sono aumentati dall’8% al 20% tra il 1974 e il 2003. In varie regioni della Spagna, la prevalenza del sovrappeso è più che raddoppiata dal 1985 al 2002 [8].

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Fig 3: previsione della quantità di individui obesi e sovrappeso nel 2015

Anche in Italia l’obesità rappresenta un problema sanitario di crescente e pressante gravità. La percentuale di soggetti in sovrappeso è di circa il 35%, con una prevalenza del sesso maschile, mentre la percentuale di soggetti francamente obesi è di circa il 10%, con una piccola prevalenza per il sesso femminile e per le regioni meridionali. L’andamento è in preoccupante aumento se si considera che il numero degli obesi dal 1994 ad oggi è cresciuto del 25%, che ad aumentare non è tanto il numero dei soggetti in sovrappeso quanto quello dei pazienti obesi e che, infine, si registra il record europeo di bambini/adolescenti in sovrappeso (36%) ed obesi (10-15%). Di fronte a questa grave e preoccupante emergenza è senza dubbio fondamentale la prevenzione con la diffusione di abitudini alimentari e stile di vita corretti [9].

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1.4 Complicanze legate all’obesità

Per quanto riguarda il rischio cardiovascolare legato all’obesità si hanno: - fattori non modificabili: età, sesso, genetica

- fattori modificabili: aumentato LDL, diminuito HDL, ipertensione, diabete, fumo

Per quanto riguarda il rischio cardiometabolico i fattori associati sono:

- obesità viscerale, insulino-resistenza, dislipidemia aterogenica, stato pro-infiammatorio, stato pro-trombotico

Le malattie associate all’obesità sono numerosissime:

- cardiovascolari: cardiopatia ischemica, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca congestizia, morte improvvisa, accidenti cerebrovascolari, ipertensione arteriosa, ipertrofia ventricolare sinistra - metaboliche: dislipidemia, insulino-resistenza, NIDDM, iperuricemia - gastroenteriche: calcolosi della colecisti, epatopatia steatosica

- polmonari: riduzione della capacità funzionale residua, riduzione del volume di riserva espiratorio, riduzione della capacità polmonare totale, riduzione del flusso espiratorio massimo, apnea durante il sonno, sindrome dell’ipoventilazione da obesità

- artropatie: gonartrosi, coxartrosi, artrosi della mano

- ginecologiche: sindrome dell’ovaio policistico, alterazione del ciclo mestruale, compromissione della fertilità (da anuvolazione), alterazioni fetali secondarie all’obesità materna

- endocrine: insulino-resistenza, sindrome metabolica, iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ipogonadismo ipogonadotropo, deficit di GH, sindrome dell’ovaio policistico, ipovitaminosi D

- cancro colon-rettale e della mammella

Complicanze metaboliche e cardiovascolari: il tessuto adiposo è un vero e proprio organo endocrino, capace di sintetizzare vari tipi di mediatori (adipochine, varie citochine e molecole pro-infiammatorie) che agiscono sia

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localmente che per via sistemica nella patogenesi del danno vascolare e dello sviluppo di aterosclerosi [10]. Si ipotizza che l’alterazione principale alla base della relazione fra obesità e rischio cardiovascolare consista in uno stato di ridotta insulino - sensibilità in vari organi e tessuti. E’ oggi comunemente accettato che l’insulino - resistenza sia implicata a vari livelli nella patogenesi dei principali fattori di rischio cardiovascolare maggiore come il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia, principalmente negli individui con obesità viscerale. Sono peraltro noti altri meccanismi coinvolti in vario modo nella patogenesi della malattia cardiovascolare del soggetto obeso:

- lo stato di infiammazione sistemica che può rappresentare un elemento importante nella formazione e progressione della placca aterosclerotica sia direttamente che come promotore di insulino-resistenza [11].

- la disfunzione endoteliale [12] nella cui patogenesi entrano in gioco sia meccanismi indiretti, quali l’insulino-resistenza e i fattori di rischio che ne derivano (diabete mellito, ipertensione arteriosa e dislipidemia), sia meccanismi diretti quali l’alterata produzione di adipochine e citochine pro-infiammatori che si traduce in un aumentato stress ossidativo e ridotta biodisponibilità di ossido nitrico (NO).

- lo stato pro-trombotico [13] e l’aumento del tono simpatico che si associano ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari principalmente nel paziente con obesità centrale.

L’obesità, in particolare l’obesità viscerale, facilita la comparsa dei principali fattori di rischio (diabete mellito, ipertensione arteriosa e dislipidemia) che contribuiscono a vari livelli alla formazione e alla progressione della placca aterosclerotica mentre la massa magra e forse anche il tessuto adiposo superficiale potrebbero svolgere un ruolo protettivo.

L'obesità appare strettamente correlata con malattie del sistema gastrointestinale. Le maggiori evidenze sono con la gravità della steatosi epatica, con la neoplasia del colon e con la pancreatite acuta. Recenti dati della letteratura indicano un ruolo dell’obesità anche in altre malattie del sistema gastrointestinale.

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La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), oggi meglio definita come “sindrome da reflusso gastroesofageo”, per la molteplicità delle sue manifestazioni cliniche, è caratterizzata dalla presenza di sintomi o dall’evidenza di erosioni a carico dell’esofago distale secondarie al passaggio di contenuto gastrico in senso retrogrado. Nell’ambito dei fattori di rischio sono state identificate alcune condizioni ambientali e alimentari, frequentemente correggibili, in grado di agire direttamente sul tono dello sfintere esofageo inferiore. Fra i fattori di rischio della MRGE recentemente è stata introdotta anche l’obesità ed in letteratura sono oggi presenti numerosi studi che confermano la presenza di un’ associazione diretta fra queste due condizioni morbose, anche se talvolta i report risultano contrastanti fra loro.

La colelitiasi rappresenta la patologia più frequente delle vie biliari: tale affezione è per lo più asintomatica o paucisintomatica e sia l’obesità che il sovrappeso rappresentano i fattori di rischio più importanti.

Lo spettro clinico delle malattie epatiche legate all’accumulo di tessuto adiposo può essere così schematizzata:

- Steatosi epatica: è una condizione clinica relativamente benigna, asintomatica, di riscontro occasionale all’ecografia e soprattutto non correlata esclusivamente all’assunzione di alcol ma secondario anche a forme di epatite da HCV o a danno da farmaci.

- Non Alcoholic Steato-Hepatitis (NASH): è una condizione clinica caratterizzata da sviluppo di flogosi ed epatite secondaria all’accumulo di tessuto adiposo, che può evolvere verso forme cliniche più gravi come l’epatite cronica e la cirrosi epatica. Questa condizione clinica è definita tale in quanto non è assolutamente correlata all’assunzione di alcol.

- Non Alcoholic Fatty Liver Disease (NAFLD): si sviluppa anch’essa in assenza di assunzione di alcol ed è considerata la manifestazione epatica della sindrome metabolica.

Ruolo del tessuto adiposo nella NAFLD/NASH: la presenza di tessuto adiposo centrale (addominale) risulta essere un fattore cruciale per l’ingresso di acidi grassi nel torrente venoso portale con flusso epatopeto.

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La presenza di obesità giustifica un aumentato assorbimento di acidi grassi e di conseguenza a sua volta può essere un importante stimolo al mantenimento di iperinsulinemia ed IR. E’ stato dimostrato che l’accumulo di lipidi a livello epatico aumenta dal 22% al 104% per ogni aumento dell’1% di tessuto adiposo a livello addominale.

Le complicanze respiratorie sono determinate sia dalla disposizione che dall’eccesso come tale. La rigidità della cavità toracica indotta dalle pareti ispessite dal grasso sottocutaneo e dalle ridotte escursioni del diaframma sospinto verso l’alto dalle masse adipose intraddominali, comporta una riduzione di tutti i volumi respiratori statici e dinamici sino a situazioni di ipoventilazione con deficit dell’assunzione di O2 e dall’eliminazione di CO2. Esistono inoltre numerosi dati in letteratura che evidenziano una correlazione diretta fra presenza di obesità e alcuni tipi di neoplasie in particolare a livello del tratto gastro-enterico. In particolare sembra dimostrato un effetto del BMI e dell’attività fisica sul rischio di carcinoma colo-rettale. Inoltre l’obesità rappresenta uno dei fattori emergenti e fortemente associati con lo sviluppo di adenocarcinoma dell’esofago. Chow WH et al nel 1998 [14] hanno evidenziato che i pazienti che presentavano un BMI appartenente al quartile più elevato presentavano un rischio circa 2 volte superiore se correlato con coloro che presentavano un BMI più basso. Non trascurabile l’incidenza di patologia dermatologica. Infatti, per l’alterato rapporto tra massa e superficie corporea e per l’azione coibente esercitata sul pannicolo adiposo sottocutaneo ispessito, la dispersione termica è ostacolata con necessità di una maggiore produzione di sudore; per questo si deposita all’interno delle grosse pliche cutanee e, mescolandosi coi prodotti sebacei e di desquamazione della pelle, produce un ottimo terreno per la proliferazione di varie specie batteriche responsabili di irritazioni e infezioni cutanee.

L’eccesso ponderale rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza o l’aggravamento dell’Insufficienza Venosa Cronica sia superficiale che profonda degli arti inferiori. Il distretto degli arti inferiori è sede di ritenzione idrica e di complicanze flebolinfologiche molto più di quanto si osservi nei

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soggetti magri o normotipi anche perché il soggetto obeso a causa dello scarso e non corretto movimento non utilizza la pompa muscolare.

In ultimo ma non come importanza sono le complicanze osteo-articolari di seguito descritte in dettaglio.

Complicanze muscolo-scheletriche: Anca, ginocchio, tibiotarsica e colonna vertebrale lombare sono i distretti più studiati sotto il profilo biomeccanico e sui rapporti più o meno stretti con il fattore obesità. Questi sono sottoposti ad un carico eccessivo durante le comuni attività tanto da determinare un danno.

Le modalità possono essere spiegate con un aumento della forza che agisce su una determinata superficie e che in tal modo esercita una maggiore pressione su un determinato distretto. Questo effetto compressivo locale viene in genere smorzato e distribuito dall'articolazione interessata con una conseguente limitazione dei normali movimenti articolari per cercare di ottenere un adeguato sgravio articolare. Tuttavia la cronica conseguenza di questo è l'esecuzione di movimenti limitati e non sempre corretti, tali nel tempo da provocare una patologia da cattivo uso non solo a carico dell'articolazione interessata ma anche delle altre coinvolte nell'esecuzione del movimento. Infatti per mantenere costante la pressione agente su una determinata superficie sarà necessario un proporzionale adeguamento anche delle strutture articolari accessorie tale per cui, all’aumentare della forza, dovrà necessariamente modificarsi il sistema di smorzamento dei carichi.

Tenendo in considerazione la biomeccanica del segmento articolare, la gravità del processo, è proporzionale all'arco di movimento entro cui tale anomalia si estrinseca.

Un elemento che caratterizza la grave obesità, in modo crescente rispetto all’età è il relativo e progressivo depauperamento della quota muscolare [15]. La condizione di sarcopenia ha effetti sia sul piano metabolico che su quello della resa funzionale. Essa, pur non rappresentando una patologia in senso stretto, è un cofattore importante nella gestione dei carichi inerziali e nel complessivo pattern motorio e deambulatorio del paziente obeso. Le

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complicanze osteo-articolari nell'obesità sono frequenti [16], spesso difficili da disgiungere dall'intero quadro clinico, con tassi di prevalenza/incidenza e criteri di correlazione con il fattore obesità differenti da sede a sede.

Ictus

Depressione

Ipertensione

Infarto al

Miocardio

Litiasi Biliare

Osteoartrosi

Diabete di tipo 2

Varici ed

ulcere venose

Apnee Notturne

Cancro del colon,

dell’utero e della

mammella

Gotta

Patologie associate all’obesità

Dislipidemia

Steatoepatite non

alcolica

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1.5 Costi sociali

La diffusione epidemica dell’obesità si traduce in un enorme impatto sociale, dal momento che l’obesità e le malattie correlate comportano una riduzione della quantità ed uno scadimento della qualità della vita nonché costi sanitari e sociali, diretti ed indiretti estremamente rilevanti[9]. L’esplosione epidemica dell’obesità, un’evidenza condivisa da tutti gli addetti ai lavori e certificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha posto la prevenzione e la cura dell’obesità tra gli obiettivi più importanti da conseguire a breve termine.

Quello che resta ancora da chiarire è rappresentato dal costo sociale determinato da questo fenomeno, ovvero quanto pesino gli effetti negativi della patologia sulle condizioni di vita di chi ne soffre, dei suoi familiari e, indirettamente, sull’intera collettività, in termini di consumo di risorse economiche.

Uno studio congiunto, condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’Università Bocconi, relativo all’obesità e alla Chirurgia Bariatrica, evidenzia dati relativi alla prevalenza dell’obesità in Italia, negli USA e in Europa. Questo lavoro, mediante una revisione sistematica degli studi internazionali sul costo sociale dell’obesità, ha permesso di stimare il costo sociale annuo di una “generica” persona obesa in 1.700 Euro (1.400 Euro di costi sanitari e 300 di costi non sanitari).

Secondo l’ISTAT “Health for All 2008”, dal 1994 al 2007 si è assistito, in Italia, ad un progressivo incremento del tasso medio di prevalenza di obesità dal 7,3% al 9,9%. Secondo l’esercizio svolto, considerata una prevalenza dell’obesità pari al 9,9%, che corrisponde a 4.898.496 persone adulte, il costo sociale annuo stimato dell’obesità risulterebbe essere di 8,3 miliardi di Euro, pari a circa il 6,7% della spesa sanitaria pubblica. Ipotizzando una vita media attesa della persona obesa di 75 anni, è stimabile in circa 100.000 Euro aggiuntivi il costo sociale totale di un diciottenne obeso rispetto ad un coetaneo normopeso. Infine, un altro dato

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che invita alla riflessione: in Italia, sempre secondo i dati ISTAT “Health for All 2008”, il costo sanitario pro-capite è di 1.703 Euro. Se a questo dato togliamo i costi sanitari connessi alla cura dell’obesità, così come calcolati nell’esercizio svolto, otteniamo un costo sanitario pro-capite di 1.565 Euro. Ciò significa che l’obesità peserebbe sulla spesa sanitaria pro-capite per circa 138 Euro e che un cittadino obeso costerebbe al SSN più del doppio di un cittadino normopeso. Negli Stati Uniti, negli anni ‘90 sono stati spesi circa settanta miliardi di dollari l’anno per far fronte alle spese mediche e per sostenere i costi diretti e indiretti dell’obesità e delle sue complicanze. Sempre negli Stati Uniti sono stati spesi almeno trenta miliardi di dollari in alimenti dietetici e programmi per perdere peso. Oggi negli USA il costo dell’obesità per lo stato tocca il 9% della spesa medica complessiva, 147 miliardi di dollari [17].

1.6 Patologie psichiche associate

I dati di prevalenza dimostrano come l’obesità rappresenti nella maggior parte dei casi l’esito di comportamenti patologici o comunque disfunzionali attuati nell’ambito di un problema di tipo psicologico se non un vero e proprio disturbo della condotta alimentare [18]. Un disturbo dell’alimentazione può essere definito come un disordine persistente del modo di alimentarsi che porta ad un’alterazione nell’assunzione del cibo, qualitativa e/o quantitativa e che compromette significativamente lo stato di salute e il funzionamento psicosociale. Alcuni comportamenti alimentari disfunzionali vengono inquadrati come veri e propri disturbi psichici; altre modalità alterate di alimentazione possono comunque rappresentare l’esito di un disagio psicologico. I disturbi psichiatrici correlati all’obesità sono rappresentati dal Binge Eating Disorder e la Night Eating Syndrome. Tra le modalità disfunzionali di alimentazione si rilevano eating emozionale e il Craving.

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1.6.1 Obesità, emotional eating e Craving

Il cibo, talora per alcuni individui può assumere una valenza affettiva e o addirittura consolatoria e rappresenta l’ unica possibilità di lenire emozioni negative spesso scaturite dallo stress della vita quotidiana.

Il cibo rappresenta una forma di autoterapia per attenuare stati di malinconia, di tristezza, di ansia, di rabbia, d'impotenza, d'insicurezza d'inadeguatezza, d'insoddisfazione. Il termine più comunemente utilizzato per chiarire la relazione tra cibo ed emozioni è quello di emotional eating : la tendenza ad assumere cibo per poter fronteggiare al meglio un insieme di emozioni negative come ansia, depressione, rabbia e solitudine. Questo costrutto però, non si riferisce soltanto ad abitudini alimentari, ma anche a quei sentimenti che generano nel soggetto un impulso e desiderio ad assumere cibo in risposta a svariate emozioni [19].

Questo comportamento, una volta acquisito, tende a ripetersi innescando una serie di circoli viziosi.

La fame emotiva è quindi provocata da emozioni, generalmente negative, e può protrarsi per un periodo di lunghezza variabile (da alcuni minuti, ad alcune ore) dopo l'insorgere dello stato emozionale. Gli alimenti coinvolti sono generalmente alimenti ‘probiti’, palatabili e ricchi di grassi e carboidrati. Tuttavia dopo lo sfogo alimentare subentrano nuovamente sentimenti negativi di colpa e di rabbia nei propri confronti correlati alla sensazione di inadeguatezza e incapacità di controllare l’impulso ad alimentarsi.

Emotional eating è stata associata ad elevati livelli di sintomi depressivi [20], al consumo di più snack ad alta densità energetica [21], e ad una massa corporea più elevata [22].

Gli episodi di fame emotiva sono più diffusi fra le donne [23] e, sono in relazione a sentimenti di bassa autostima, inquietudine, ansia, rabbia, solitudine, disagio e tristezza. L’ atto di mangiare non deriva da una reale sensazione fisiologica ma è una modalità di distrazione dai propri vissuti emotivi. Esiste un rapporto circolare fra emozioni e abitudini alimentari:

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determinati vissuti emotivi possono indurre il desiderio di alcuni cibi e questi a loro volta, sono in grado di influire, almeno in parte, sullo stato emotivo. Il Craving è l’intenso desiderio di consumare un certo tipo di cibo a cui è difficile resistere. L’impulso diminuisce solo consumando il cibo desiderato. Il Craving influisce sull’appetito perchè può costituire un incentivo a continuare a mangiare anche quando il senso di sazietà è sufficiente.

1.6.2 Obesità e Binge Eating Disorder

Questo disturbo si caratterizza per un mancato controllo sull’alimentazione che, in assenza di condotte di eliminazione, conduce a vari livelli di obesità. Infine è ancora discussa la questione di quanto l’obesità, oltre ad essere un possibile esito di un disturbo alimentare, possa, associata a restrizioni dietetiche estreme, contribuire invece a favorirne lo sviluppo.

Tra l’obesità e i disturbi della condotta alimentare vi è una stretta relazione, infatti se è vero che le abbuffate portano a vari livelli di obesità è anche vero che l’obesità può favorire l’insorgenza di un disturbo alimentare.

Stunkard per primo ha descritto il sottogruppo di pazienti obesi che riferivano ricorrenti e incontrollati episodi di abbuffate. Molti di questi soggetti potrebbero soddisfare i criteri per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED) poiché mostrano abbuffate regolari (1-2 episodi nel corso di una settimana per almeno 6 mesi) in assenza delle estreme condotte di eliminazione (vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici) caratteristiche della bulimia nervosa [24]. Sebbene non si conosca l’esatta prevalenza del BED tra gli individui obesi, vari dati di diversi centri di ricerca sull’obesità stimano in maniera concorde che il 20-30% degli obesi trattati presentano delle abbuffate. La prevalenza del BED fra gli individui obesi nella popolazione generale è comunque più bassa, stimata fra il 5% e l’8% [25] [26]. Nonostante ciò, visto che l’obesità sta diventando un problema statisticamente rilevante tale

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dato non è sottovalutabile. Confrontando gli individui obesi con BED rispetto agli obesi non BED si evidenziano alcune differenze nella clinica e nel decorso. In particolare i binge-eaters presentano un più precoce esordio dell’obesità e dell’inizio delle diete ed una maggiore frequenza di cicliche variazioni di peso, ovvero il fenomeno definito come “Weight cycling” [27] [28]. Vari studi mostrano significative differenze psicopatologiche nel controllo delle condotte alimentari, nella valutazione dell’immagine corporea, nel peso e nell’autostima. Tuttavia un comportamento alimentare discontrollato non rappresenta però necessariamente un artefatto dell’obesità; è stato infatti evidenziato come un’obesità presente fin dall’adolescenza possa favorire l’insorgenza di un disturbo della condotta alimentare, di disturbi correlati all’immagine corporea e la tendenza alla scarsa autovalutazione e alla bassa autostima. Ciò aiuterebbe a spiegare il perché l’obesità infantile può aumentare il rischio di disturbi alimentari in età adulta [29].

È controverso il ruolo della dieta nei soggetti obesi: se da un lato alcuni studi mostrano l’efficacia di questa nel controllo dei comportamenti alimentari incongrui, altri invece evidenziano come eccessive restrizioni dietetiche possano rappresentare senza dubbio delle valide concause all’insorgenza di un disturbo alimentare [30]. La perdita del peso viene definita come una condizione ”necessaria ma non sufficiente” per lo sviluppo di un disturbo alimentare. Studi empirici condotti dalla “National Task Force on the prevention and treatment of obesity” non rafforzano l’idea che la dieta induca il BED in pazienti obesi sottoposti a regime dietetico per perdere peso [31].

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Tabella 1: American Psychiatric Association. DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Elsevier-Masson

I criteri diagnostici per il Binge Eating Disorder secondo il DSM-IV-TR, appendice B sono i seguenti:

A. Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata o abbuffate compulsive. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la presenza di entrambi i seguenti elementi:

1) mangiare, in un periodo definito di tempo, un quantitativo di cibo chiaramente più abbondante di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in un periodo simile di tempo e in circostanze simili

2) sensazione di perdita di controllo nel mangiare durante un episodio

B. Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre o più dei seguenti sintomi:

1) mangiare molto più rapidamente del normale 2) mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni

3) mangiare grandi quantitativi di cibo anche senza sentire fame

4) mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando

5) provare disgusto verso di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo

C. Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio

D. Le abbuffate compulsive avvengono in media almeno due giorni alla settimana per almeno sei mesi

E. Le abbuffate compulsive non sono associate ai comportamenti di compenso inappropriati e non si verificano esclusivamente nel corso di anoressia nervosa e bulimia nervosa

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1.6.3 Obesità e Night eating Syndrome

Recentemente è stata evidenziata una nuova entità, definita ‘Night Eating Syndrome’ (NES) che porta a vari livelli di obesità e che presenta caratteristiche a cavallo tra i disturbi alimentari e i disturbi dell’addormentamento. Tale entità a tutt’oggi non trova una collocazione nosologica nel DSM IV e fu per la prima volta descritta nel 1955. Negli anni sono stati proposti numerosi criteri fino alla classificazione di Allison (tabella 2). Il quadro si caratterizza per la presenza di anoressia mattutina ; iperfagia serale, insonnia caratterizzata da almeno un risveglio per notte con consumo di snack durante i risvegli. Sembra molto probabile inoltre che la comparsa della Night Eating Syndrome sia legata alla presenza di fattori di stress. Per quanto riguarda l’incidenza i dati sembrano indicare circa il 2% della popolazione normopeso [32] e il 9% dei pazienti obesi, e il 27% dei pazienti severamente obesi [33]. Gli spuntini serali-notturni ricchi di carboidrati (circa il 70% delle calorie totali assunte) ed in modo particolare l’elevato rapporto carboidrati/proteine suggeriscono che l’alimentazione notturna è finalizzata a ristorare il sonno disturbato dei soggetti affetti da Night Eating Syndrome.

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Tab. 2- NES. Criteri diagnostici (Allison KC 2010)

A) Iperfagia serale / notturna caratterizzata da uno o entrambi i seguenti aspetti:

- almeno il 25% delle calorie assunte dopo il pasto serale; - almeno due episodi di alimentazione notturna alla settimana

B) Consapevolezza e ricordo degli episodi notturni C) Presenza di almeno tre dei seguenti elementi:

- anoressia al mattino e/o mancanza di colazione 4 o più mattine alla settimana.

- necessità urgente di mangiare tra la cena e l’inizio del sonno e/o durante la notte

-insonnia intesa come incapacità di addormentarsi e/o nel mantenere il sonno durante la notte 4 o più volte alla settimana

- convinzione che si debba mangiare per potersi addormentare o riaddormentare

- l’umore è frequentemente depresso e/o peggiora durante la sera

D) Il disordine è associato a disagio/stress significativo e a una riduzione dell’efficienza nella vita quotidiana

E) Il disordine è presente da almeno 3 mesi

F) Il disordine non è secondario ad abuso di sostanze o dipendenza, malattie sistemiche, uso di farmaci, patologie psichiatriche

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CAPITOLO 2 ATTIVITA’ FISICA E COMPORTAMENTI ALIMENTARI DISFUNZIONALI

2.1 Obesità e attività fisica

Programmi di modifica dello stile di vita consigliano l'attività fisica volta a produrre un deficit calorico di almeno 400 kcal/giorno. Questo obiettivo può essere raggiunto educando i pazienti a controllare il loro numero di passi con un podometro e poi aumentarne gradualmente il numero per arrivare ad un valore di 10.000-12.000 passi al giorno, oppure può essere raggiunto attraverso il Jogging (20-40 minuti al giorno), la bicicletta o il nuoto (45-60 minuti al giorno) i quali possono essere valide alternative al camminare. Inoltre per il mantenimento del peso possono essere messe in atto modifiche dello stile di vita come fare le scale invece di prendere l’ascensore o di camminare invece di prendere l’autobus [34].

Uno studio di Morrel JS et al del 2013 [35] evidenzia come bassi livelli di fitness cardiovascolare e di attività fisica siano correlati ad un aumentato rischio per l’obesità e per la sindrome metabolica. Lo studio è stato effettuato su 1610 studenti dell’università di Hampshire tra il 2010 ed il 2012; nello studio sono stati utilizzati il Mile-Walk Test o Rockport test ed il contapassi: Il mile walk test consiste in un test di cammino sulla distanza di un miglio, da percorrere camminando alla massima velocità possibile. Le variabili da considerare sono il tempo, la frequenza cardiaca dopo l'esecuzione del test, l’età, il sesso e il BMI (Body Mass Index ovvero Indice di Massa Corporea). In base al primo venivano fatte tre classificazioni: performance fisica sotto la media, nella media o sopra la media. In base al contapassi la classificazione distingueva soggetti severamente poco attivi, quelli poco attivi, quelli attivi e quelli molto attivi.

Lo stress, l’attività fisica e la nutrizione sono dimostrati essere fattori di stile di vita che influenzano significativamente il profilo infiammatorio associato allo stato di obesità. L’attività fisica migliora la capacità aerobica, la forza, la crescita muscolare, la composizione corporea, la funzione immunitaria e

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riduce il rischio di sviluppare malattie croniche, malattie cardiovascolari, diabete ed obesità. Gli individui attivi hanno inoltre una minor incidenza di infezioni rispetto ad individui inattivi. Altri effetti dell’esercizio fisico sono una diminuzione delle citochine pro infiammatorie TNF, aumento dei markers anti-infiammatori (IL-10) e diminuzione dei sintomi depressivi. Di fatto l’esercizio fisico migliora la funzione immunitaria e diminuisce l’infiammazione [36]. Pertanto l’esercizio fisico è raccomandato come strategia efficace per modificare positivamente la funzione immunitaria legata all’obesità. In conclusione lo stress cronico, i comportamenti sedentari e la sovra alimentazione sono fattori di stile di vita favorevoli all’obesità e all’infiammazione sistemica.

Anche la steatosi epatica non alcolica è spesso associata con l’obesità. Persino di fronte a questa patologia l’esercizio fisico sembra essere efficace purché fatto con regolarità e abbinato a cambiamenti comportamentali e alimentari [37].

Un settore di ricerca, che indaga l'effetto dell'attività fisica sui meccanismi omeostatici che controllano l'appetito, indica che le persone attive hanno un miglior controllo dell'appetito [38].

Una revisione di Blundell et al. (2003) [39] ha dimostrato che, contrariamente alla credenza popolare che l'attività fisica aumenti l'appetito e l'assunzione di calorie, uomini e donne possono tollerare i deficit energetici acuti indotti dall'esercizio fisico e non compensare mangiando di più. I dati indicano che questo vale sia per soggetti magri [40] sia per soggetti obesi [41].

L’esercizio e l’attività fisica possono influenzare positivamente il controllo del peso attraverso l’autoregolamentazione nel mangiare [42].

In uno studio effettuato da Ackel et al del 2013 [43] sono stati valutati 72 giovani tre 15-19 anni e sono stati successivamente divisi in 3 gruppi per valutare gli effetti dei diversi tipi di attività fisica: il primo gruppo svolgeva solamente attività fisica libera, il secondo solo di tipo aerobico ed il terzo attività aerobica più attività di resistenza. Quest’ultimo gruppo ha mostrato una riduzione dei livelli di leptina e migliori risultati nella composizione

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corporea rispetto agli altri 2 gruppi: ciò evidenzia l’importanza di associare un allenamento di resistenza ad un allenamento aerobico nel trattamento dell’obesità, oltre ad approcci nutrizionali e psicologici.

La supplementazione di vitamina D in adulti sovrappeso e obesi durante un allenamento di resistenza induce un miglioramento nella potenza di picco iniziale; inoltre ad un livello elevato di vitamina D è stato associato un ridotto rapporto vita –fianchi [44].

2.2 Attività fisica, Binge Eating, Emotional Eating e Night Eating Syndrome

Recenti studi di letteratura hanno dimostrato un effetto positivo dell’attività fisica, in associazione con la terapia cognitivo-comportamentale, nel ridurre il peso di soggetti affetti da obesità ma anche nel migliorare i sintomi depressivi e il comportamento alimentare di pazienti con BED [45]. Tale miglioramento si evidenziava anche con una blanda attività fisica come il camminare. Nel complesso è stato visto che il movimento e l’esercizio fisico giocano un ruolo importante nel trattamento multidisciplinare del Binge Eating Disorder.

Tale dato è stato ulteriormente provato da altri studi. Uno studio effettuato [46] su 61 soggetti affetti da Binge Eating Disorder ha dimostrato che dopo una terapia cognitivo-comportamentale si ha una significativa perdita di peso, ma se aggiungiamo alla terapia anche un approccio nutrizionale e attività fisica la perdita di peso è ancor più significativa. Anche in questo caso è stato visto che l’esercizio fisico è in grado di migliorare l’umore, ridurre il disturbo alimentare e portare ad una perdita di peso.

Un ulteriore studio di D. Vancampfort et al del 2013 [47] su 211 donne da 25 a 63 anni ha dimostrato che l’esercizio fisico aerobico e lo yoga riducono l’indice di massa corporea riducendo il numero di abbuffate tipiche del Binge Eating Disorder ed inoltre è stato visto che l’esercizio fisico abbinato ad una terapia cognitivo comportamentale è più efficace nel migliorare i sintomi depressivi rispetto alla sola terapia (CBT).

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È stato visto che il rischio di sviluppare Binge Eating Disorder correlato alla sensibilità all’ansia è significativamente ridotto in coloro che praticano moderata attività fisica e non in coloro che praticano un’attività fisica intensa [48].

Uno studio su 146 soggetti gravemente obesi ha ulteriormente dimostrato come l’esercizio fisico migliori l’umore, i comportamenti alimentari, l’auto-regolamentazione e l’auto-efficacia [49].

Da uno studio effettuato su 20 adulti con Night Eating Syndrome è emerso che dopo 20 minuti di esercizio di rilassamento muscolare si ha una significativa riduzione dello stress, dell’ansia e del cortisolo salivare immediatamente nel post-sessione. Dopo aver praticato gli stessi esercizi quotidianamente per una settimana si ha un ulteriore riduzione dello stress, dell’ansia, della rabbia e della depressione. Questi dati dimostrano che esercizi di rilassamento muscolare sono una componente importante nel trattamento della Night Eating Syndrome in quanto riducono gli aspetti psicologici dai quali scaturisce [50].

Un altro aspetto importante su cui sembra avere un influenza l’attività sportiva è il sonno. Alterazioni del pattern ipnico rappresentano uno dei sintomi neurovegetativi associati alla Night Eating Syndrome. Dati di letteratura hanno evidenziato un netto miglioramento dell’attività ipnica in soggetti sottoposti ad attività fisica moderata ma costante [51].

Tecniche di rilassamento muscolare sono infatti incluse come efficaci nel trattamento della NES insieme ad interventi farmacologici, terapia cognitivo-comportamentale, e fototerapia [52].

Anche nelle forme di obesità caratterizzate da una alimentazione disfunzionale relativa a stati emotivi negativi l’attività fisica può rappresentare un valido ausilio alla psicoterapia. Questo dato è emerso da uno studio basato su un questionario web sullo stile di vita di 1562 dipendenti. I temi riguardavano: l’attività sportiva, il mangiare emotivo, l’alcool, l’alimentazione casalinga ed esterna ed il fumo [53].

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CAPITOLO 3 TERAPIA

3.1 Approccio multidisciplinare

L’obesità rappresenta una patologia complessa, che necessita di un approccio complesso, multi- ed interdisciplinare e, possibilmente, adattato di volta in volta alle esigenze del singolo paziente. In base alla fenotipizzazione del paziente dovrà essere individuato un possibile percorso che vedrà impegnato in prima battuta i servizi di cure primarie. Il livello di intervento successivo sarà caratterizzato dall’intervento specialistico ambulatoriale che prevederà il lavoro di un team multidisciplinare costituito da: internista, endocrinologo, nutrizionista, psichiatra, psicologo, dietista, fisioterapista, laureato in scienze motorie.

L’intervento multidisciplinare può consentire al soggetto di comprendere le cause del suo problema e di mettere in atto nella vita di tutti i giorni i comportamenti idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati, modificando progressivamente i comportamenti disfunzionali che hanno contribuito alla comparsa dell’obesità.

Come condizione cronica l’obesità può beneficiare di programmi di rieducazione- riabilitazione, tali da favorire il cambiamento dello stile di vita, attraverso l’acquisizione di comportamenti idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati e il loro mantenimento nel tempo. Risulta pertanto importante impostare un programma di rieducazione in ambito nutrizionale, comportamentale e motorio, dove l’attività fisica continuativa venga considerata il momento primario della rieducazione; (quest’ultima parte inerente l’attività fisica verrà trattata più nel dettaglio nel capitolo 4).

In ambito ospedaliero è possibile curare il paziente ma è difficile che le esperienze di cura acquisite in ospedale siano trasferite nella vita di tutti i giorni. Pertanto, nell'identificare un programma terapeutico di carattere riabilitativo in un paziente affetto da obesità tutte le figure professionali saranno coinvolte nella sua attuazione.

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Comorbidità somatica e psicopatologica, disabilità, ridotta qualità complessiva di vita nelle varie fasi del ciclo esistenziale sono le componenti principali dell’evoluzione clinica dell’obesità [54].

Seguendo il modello biopsicosociale dell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) ed utilizzando il core set per pazienti obesi, un gruppo di studio ha evidenziato la presenza di alterazioni in diverse aree funzionali specifiche [55] su cui intervenire con programmi terapeutico riabilitativi.

I questionari sulla qualità della vita (es: SF36) evidenziano un importante effetto negativo dell’obesità non solo nell’area delle limitazioni fisiche, ma anche in quella più generale del malessere psicologico e del funzionamento sociale. E’ utile a tale riguardo, ricordare, oltre alle note complicanze mediche dell’obesità, il fatto che tale condizione risulta molto spesso associata ad un ridotto benessere psico-fisico, a disturbi delle condotte alimentari (in particolare Binge Eating Disorder, “BED” e Night Eating Syndrome, “NES”), a bassa stima di sé e a depressione, conseguenze anche del grave e insidioso stigma sociale che colpisce chi è affetto da questa patologia [54].

Negli ultimi anni è stato dimostrato che esiste una relazione indipendente dalla presenza di patologie croniche tra BMI e diversi gradi di disabilità in attività quotidiane della vita, come camminare o salire scalini, sia per la massa corporea che per sintomi obesità correlati (dolori, dispnea, disturbi del sonno) [56].

E’ stato anche riportato che gli obesi vanno incontro, oltre che a una riduzione dell’aspettativa di vita, anche ad una riduzione significativa del numero di anni esenti da disabilità (5.7 per gli uomini e 5.02 per le donne) [57]. Ne consegue un aumento del numero di richieste d’intervento, soprattutto riabilitativo e sociale, che affiancano i tentativi di trattamento medico (dietoterapia, farmaci) e chirurgico dei pazienti obesi [58].

La letteratura suggerisce una gerarchia nella comparsa delle disabilità in presenza di obesità: le prime funzioni coinvolte sono quelle relative agli arti

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inferiori (forza e mantenimento dell’equilibrio), perchè sono più vulnerabili rispetto a quelle relative agli arti superiori (forza e abilità manuale) [59]. Da notare che la prevalenza dell’obesità sta aumentando in misura notevole anche fra gli anziani (> 65 anni): in tale fascia di età, gli effetti sulle disabilità dell’obesità e dell’invecchiamento finiscono per sommarsi [60].

L’obesità si aggiunge al fisiologico depauperamento della massa magra (sarcopenia) nel causare disabilità e in modo ancora più significativo rispetto a quanto si riscontra quando ognuno dei due fattori e preso separatamente [61].

Infine, il soggetto obeso si trova a vivere una condizione quasi di ostilità dal punto di vista medico, educativo e occupazionale, che è correlato al grado di obesità. Il fenomeno della stigmatizzazione si associa a un aumento dello stato depressivo e ad una riduzione della stima di sé (più evidente nelle donne), con utilizzo di meccanismi di difesa primitivi, immaturi e scarsamente adattivi (es. rimozione, negazione, proiezione e scissione) che comportano una maggiore distorsione della realtà. L’emarginazione sociale e la discriminazione lavorativa fanno parte della stigmatizzazione [62].

L’essere obeso o a volte anche semplicemente sovrappeso può costituire criterio di esclusione nel contesto dell’assunzione lavorativa o della partecipazione a concorsi pubblici. Contrariamente ai portatori di handicap, ritenuti dalla società “non colpevoli” della loro condizione e quindi ovviamente giustificati e aiutati, la persona obesa viene ritenuta “responsabile” e come tale viene penalizzata [63].

Gli obiettivi della riabilitazione metabolica-nutrizionale-psicologica nel trattamento dell’obesità (RMNP) nel soggetto obeso possono riassumersi in: A. obiettivi a breve termine:

a. aggiungere una perdita di massa grassa che permetta un miglioramento dei fattori di rischio ed un controllo delle patologie associate;

b. ottimizzare le capacità funzionali residue e le autonomie di base della vita quotidiana/sociale per ridurre le disabilita presenti;

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c. correggere l’atteggiamento del paziente nei confronti dell’alimentazione e dell’attività fisica; curare eventuali disturbi clinici del comportamento alimentare (p.e. BED, NES);

d. rivalutare le patologie mediche e psichiatriche associate e mettere a punto un trattamento coerente con le linee-guida correnti e adeguato alle risposte cliniche del soggetto .

B. obiettivi a lungo termine:

a. mantenere un corretto stile di vita: alimentazione adeguata per apporti di energia e nutrienti ai propri fabbisogni con adozione di un modello alimentare mediterraneo;

b. regolare attività fisica di almeno 2 ore/settimana, a carico medio-basso (50% della massima frequenza cardiaca);

c. mantenere la perdita di massa grassa raggiunta nel tempo per controllare i fattori di rischio associati;

d. mantenere le autonomie di base della vita quotidiana/sociale e ridurre le disabilità presenti;

e. mantenere un buon compenso glicemico, un corretto assetto lipidemico e protidemico;

f. ridurre PA e FC in presenza di parametri metabolici e di rischio cardiovascolare alterati;

g. ridurre la terapia farmacologica per ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia ecc.

h. adeguare le eventuali terapie psicofarmacologiche in base all’efficacia terapeutica e agli effetti sul peso corporeo e sul metabolismo (e noto che la maggior parte degli psicofarmaci favorisce aumenti del peso corporeo e complicanze obesità correlate).

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3.1.1 Esperienza del Centro di San Giuliano Terme (Bagni di Pisa)

In ambito ospedaliero è possibile curare il paziente ma le esperienze di cura acquisite in ospedale sono di difficile trasferimento nella vita di tutti i giorni. E’ da queste considerazioni che è stato ideato ed attuato il “percorso terapeutico- riabilitativo per il paziente obeso” che la Sezione Obesità dell’U.O. Endocrinologia I ha svolto presso la struttura termale “Bagni di Pisa” a S. Giuliano Terme. Il percorso si è posto come obiettivo primario quello di far conoscere al paziente obeso abitudini e modelli comportamentali trasferibili nella vita di tutti i giorni che consentono di ottenere una graduale riduzione del peso corporeo e mantenere nel tempo i risultati raggiunti.

Il team interdisciplinare era composto da medici (endocrinologi e medico dello sport), psicologi, dietisti, operatore di fitness metabolico e fisioterapista che interagiscono continuamente in modo da ottimizzare e personalizzare il percorso per ogni paziente.

Il compito del Medico è stato quello di definire il tipo di obesità, le complicanze associate e quindi l’idoneità del paziente obeso a prendere parte al percorso. Durante la visita medica, oltre ai vari parametri clinici ed antropometrici, sono stati eseguiti un ECG basale ed un esame Bioimpedenziometrico (che viene poi ripetuto al termine del programma).

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Tutto questo al fine di ottimizzare il tipo, l’intensità e la durata dell’esercizio fisico. Ove ritenuto necessario vengono eseguiti esami ematochimici ed accertamenti strumentali mirati.

L’operatore di fitness metabolico ha seguito il paziente durante lo svolgimento giornaliero delle attività motorie che si sono svolte all’interno della piscina termale, di una palestra appositamente attrezzata e con camminate ed esercizi all’aperto. Tutte le varie attività, concordate fra l’operatore ed il medico, sono state svolte secondo programmi definiti in base alla caratteristiche del singolo soggetto.

I dietisti, dopo un primo inquadramento del paziente (che si svolge in seduta singola), hanno partecipato agli incontri di gruppo e sono presenti al momento del pasto con lo scopo di modificare le abitudini alimentari e di ridurre l’apporto calorico.

Hanno spiegato i valori nutritivi degli alimenti, ristrutturano, insieme agli psicologi, le idee disfunzionali sull’alimentazione e sulle proprietà degli alimenti.

Il ruolo dello psicologo, dopo un primo colloquio psico-diagnostico è stato quello di valutare e incrementare la motivazione al trattamento [64], migliorare l’aderenza alle terapie ed aiutare i pazienti a cambiare stile di vita.

L’intervento psicoeducazionale, ad orientamento cognitivo- comportamentale, ha come fine il superamento delle abitudini disfunzionali che hanno contribuito all’insorgenza dell’obesità o al suo mantenimento e la promozione di un corretto stile di vita. Gli argomenti trattati riguardano la motivazione al cambiamento [64] e all’attività fisica, la ristrutturazione delle aspettative, la gestione del ciclo restrizione- disinibizione, l’apprendimento delle tecniche di controllo degli stimoli e un training di apprendimento di abilità comportamentali (skill training) [65] [66].

La difficoltà di apportare cambiamenti è un fenomeno frequentemente osservato nelle persone affette da obesità. Solitamente, ciò dipende dalla presenza di pensieri, convinzioni ed emozioni che ostacolano di fatto l’emissione di comportamenti adeguati.

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Il processo motivazionale ad iniziare un percorso, impegnarsi in un certo compito, spendere energie e mantenere nel tempo i risultati, inizia con il raggiungimento della consapevolezza del proprio comportamento problematico e della necessità di modificarlo. L’intervento motivazionale prevede, dopo il percorso educativo svolto dal team, l’analisi delle difficoltà incontrate sia nell’iniziare che nel mantenere nel tempo un’alimentazione corretta e un’attività fisica adeguata. I motivi che inducono ad abbandonare, dopo un po’ di tempo, nutrizione corretta e attività motoria possono essere di vario tipo, come, ad esempio, la difficoltà di cambiare stile alimentare e di inserire l’attività motoria tra le proprie abitudini quotidiane.

E’ stato inoltre previsto l’insegnamento di metodi che facilitano il controllo del comportamento alimentare e la riduzione della salienza degli stimoli esterni (vista e profumo del cibo, consapevolezza della sua disponibilità, possibilità di acquistarlo) che portano a mangiare in eccesso.

Il programma ha posto grande enfasi sullo sviluppo di uno stile di vita più attivo. L’attività fisica svolge un ruolo fondamentale nell’acquisizione di un bilancio energetico negativo necessario al calo ponderale [67]. Sebbene l’attività fisica contribuisca in modo modesto alla perdita di peso iniziale, è fondamentale soprattutto per incrementare e mantenere nel tempo il calo ponderale. L’aderenza ad un’attività fisica regolare è generalmente molto bassa nelle persone obese. Al fine di incrementare la motivazione ad intraprendere e mantenere un livello di attività fisica adeguato è utile aiutare le persone a: 1) identificare le difficoltà nell’iniziare e nel continuare l’attività fisica, 2) fare un problem solving per risolvere queste difficoltà; 3) porsi obiettivi realistici [67]. Spesso, infatti, molte persone obese che iniziano un programma di attività fisica si pongono obiettivi eccessivamente elevati con il solo risultato di andare incontro a fallimento e abbandonarla subito dopo. E’ dimostrato che l’attività fisica continuativa non necessariamente deve essere intesa in senso tradizionale: sono sufficienti almeno 30 minuti per la maggior parte dei giorni alla settimana [67] [68].

L’attività fisica dovrebbe diventare quindi un’abitudine al movimento, dovrebbe essere “calibrata” sulle esigenze e le possibilità del singolo

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paziente e non dovrebbe mai essere vista come “livello di prestazione”. La sperimentazione di diversi tipi di attività fisica aerobica “in vivo”, l’abitudine al movimento, e il consolidamento di tali abitudini avviene prevalentemente discutendo con i pazienti, durante i gruppi di psicoeducazione, delle sensazioni piacevoli sperimentate (es., maggiore capacità di movimento, anche nel breve termine) e attraverso l’utilizzo del rinforzo di ogni piccolo traguardo raggiunto.

Al termine del percorso tutte le figure professionali hanno effettuato una valutazione conclusiva consegnando al paziente oltre i dati clinici di fine programma, alcune indicazioni personalizzate, utili a trasferire nella vita di tutti i giorni i vari modelli alimentari, comportamentali e di esercizio fisico appresi durante la permanenza a San Giuliano.

3.2 Modificazioni dello stile di vita

3.2.1 Dieta

Un contributo sostanziale all’Epidemia di Obesità e Sovrappeso sia nei Paesi occidentali che in via di sviluppo è stato dato dall’incremento nei consumi, sia in età evolutiva che adulta, di alimenti ad alta densità energetica ma di basso valore nutrizionale (alimenti con grasso visibile, soft drinks con dolcificanti calorici, prodotti da forno/snacks, dolciumi), cui va aggiunta la forte riduzione dell’esercizio fisico regolare sia durante il lavoro che nel tempo libero e negli spostamenti dalla propria residenza.

La terapia non farmacologica dell’Obesità e Sovrappeso va pertanto indirizzata alla correzione di abitudini alimentari errate ed alla ripresa di un’attività fisica compatibile con le condizioni cliniche attuali del paziente: in altre parole spesso occorre instaurare un programma di riabilitazione fisica e nutrizionale. Tale intervento integrato, se adeguato, non è solo correttivo ma potenzia l’efficacia delle singole componenti, essendo ben nota l’ interazione tra tipo di alimentazione e tipo di esercizio muscolare praticato,

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ed ottimizza l’impiego dei farmaci necessari per le eventuali associazioni morbose.

L’intervento di correzione dell’obesità, in assenza di altre specifiche indicazioni terapeutiche, deve mirare alla riduzione di circa il 10% del peso iniziale, soprattutto nel caso di obesità di I o II grado, o di franco sovrappeso, in un tempo ragionevole, da 4 a 6 mesi. Solo in caso di obesità di III grado la necessità della riduzione di peso iniziale risulta essere superiore a questa quota convenzionale del 10%.

In sostanza è stato possibile osservare che la stabile perdita del 10 % del peso corporeo iniziale, ottenuta con perdita prevalente di tessuto adiposo, è adeguata a correggere la componente morbigena dovuta alla eccessiva adiposità. Ogni intervento dietetico, praticato sia nell’ambito delle Istituzioni pubbliche che private, non dovrebbe mai tralasciare una componente di semplice ma completa informazione ed educazione alimentare. Solo in caso di un evidente sospetto di disturbo della condotta alimentare vi è l’indicazione ad un intervento clinico-diagnostico di tipo psicoterapico.

La restrizione dietetica deve essere valutata in base al dispendio energetico del paziente, preferibilmente misurato (metabolismo a riposo misurato con calorimetria indiretta in condizioni standard oppure calcolato ricorrendo alle apposite formule predittive [da preferire quella di Harris-Benedict o della OMS] e moltiplicato per 1,3). In genere si consiglia una restrizione energetica compresa tra 500 e 1000 kcal (2095 e 4190 kj) rispetto al dispendio energetico giornaliero calcolato. Non si consiglia di prescrivere a pazienti ambulatoriali diete ipocaloriche con apporto giornaliero inferiore a 1300 kcal (5447 kj) al giorno.

La composizione della Dieta deve rispondere ai criteri di un adeguato rapporto tra calorie di origine proteica e calorie di origine non proteica: più si riducono le calorie non proteiche maggiore deve essere l’apporto proteico della Dieta. In generale le proteine devono essere di buon valore biologico e provenire sia da fonti proteiche animali che vegetali: si consiglia un apporto

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di 0,8 – 1 g di proteine per kg di peso desiderabile (solo in casi eccezionali si può arrivare ad un apporto di 1,3 -1,5 g per kg di peso desiderabile). Per peso desiderabile si intende il peso corrispondente ad un indice di massa corporea di 22,5 kg/m2 calcolato per l’altezza corrispondente del paziente. Per quanto concerne le calorie non proteiche, esse devono provenire da alimenti con basso indice glicemico per quanto concerne la quota glucidica e da grassi vegetali (escluso cocco e palma) prevalentemente con finalità di condimento, preferendo l’olio extravergine di oliva. Non si consiglia di limitare l’apporto di carboidrati al disotto di 120-130 g/die ne di limitare i grassi al disotto di 20-25 g al giorno.

La scelta degli alimenti da prescrivere si orienta pertanto su scelte di alimenti prevalentemente vegetali come previsto nel modello alimentare Mediterraneo: cereali, legumi, verdure, frutta per quanto concerne i carboidrati ed una quota delle proteine della dieta, preferibilmente olio extravergine di oliva per i grassi da condimento, carni magre e pesce (almeno 2-3 volte a settimana) per le fonti proteiche animali. Va garantito un apporto regolare di latte, yogurt e qualche altro derivato del latte “magro“ per completare l’apporto proteico e soprattutto quello di calcio.

Circa la distribuzione dei pasti nella giornata sembra opportuno favorire la pratica di una colazione relativamente abbondante (latte parzialmente scremato, cereali, frutta, yogurt) e di una cena “leggera” da consumare nelle prime ore della serata. La pratica degli spuntini, soprattutto di metà mattinata e pomeriggio, non ha specifiche indicazioni per la correzione dell’obesità ma va considerata in ragione di problematiche metaboliche del paziente o di specifiche preferenze individuali.

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