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Film nanocompositi elettroattivi da dispersioni acquose multicomponente e loro impiego nella preparazione di sensori di pH allo stato solido

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Academic year: 2021

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1 Introduzione

1.1 Elettrodi a stato solido sensibili al pH

La misura potenziometrica del pH mediante elettrodo a vetro è la tecnica comunemente utilizzata per la determinazione del pH da soluzioni acquose. Questo è un elettrodo di seconda specie, normalmente costituito da una sonda a combinazione formata da elettrodo indicatore di vetro con all'interno l'elettrodo di riferimento, Ag/AgCl immerso in soluzione di KCl. Questo tipo di elettrodo presenta diverse limitazioni nel caso in cui si debba determinare il pH di soluzioni acquose disponibili in piccole quantità o in condizioni non controllate come quelle di un laboratorio. Innanzitutto la soluzione di riferimento comporta una notevole dimensione dell'elettrodo stesso, oltre a problemi di conservazione (l'elettrodo deve sempre essere immerso nella soluzione elettrolitica). Poi l'elettrodo è sensibile alla temperatura e alla pressione, presenta costi di produzione relativamente elevati (eccessivi per dispositivi monouso) ed è instabile [1]. La sostituzione della soluzione di riferimento interna con un componente solido è quindi oggetto di attiva ricerca.

1.1.1 Architettura di un elettrodo a stato solido

Un elettrodo a stato solido ha uno schema costruttivo analogo a quello dell'elettrodo di vetro, in quanto richiede la presenza di un elettrodo sensibile e un elettrodo di riferimento, ma in questo caso la soluzione di riferimento è sostituta

da un solido che faccia da interfaccia. Il riferimento solido deve soddisfare due requisiti [2]: scambio ionico reversibile con la membrana vetrosa interna e scambio elettronico con l'esterno. Un elettrodo costruito in questo modo può essere miniaturizzato e diventare anche molto piccolo. In genere un elettrodo di questo tipo è costituito da un metallo ad alta conducibilità (molto utilizzati allo scopo sono i metalli nobili, in particolare oro e

platino), montato su un materiale plastico inerte (ad esempio PTFE o poliimmidi) su cui è stampato un sottilissimo strato di elemento sensibile [3]. Il metallo viene tagliato in forme tali da amplificare ulteriormente la sua conducibilità (ad esempio a spirale) e in lamine molto

Figura 1: Schema di un elettrodo ISFET (Da

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sottili. Ulteriori miglioramenti alla tecnica vengono dall'utilizzo di transistor iono-sensbili a effetto di campo (ion-sensitive field effect transistor, ISFET), che sono dispositivi semiconduttori con un canale nella parte inferiore che collega a un circuito isolato dall'esterno da una barriera (gate). Ai due lati del canale ci sono strati di silicio uno chiamato sorgente (source) e l'altro pozzo (drain). La conduzione elettrica nel canale è causata da cambiamenti di campo elettrico intorno al gate, in maniera molto sensibile ai cambiamenti di forza ionica di una soluzione in contatto con esso [4]. Lo schema di un elettrodo ISFET è riportato in figura 1.

Un esempio di costruzione di elettrodo a stato solido è riportato da Lakard e altri [5]: il loro elettrodo è costituito da un wafer di silicio, montato su un substrato polimerico e ossidato a SiO2, poi inciso mediante irradiazione UV, ricoperto (nella zona non incisa) con uno strato di titanio (per migliorare l'adesione) e poi con uno di Pt (metallo ad alta conducibilità) su cui è infine depositato uno strato di polimero sensibile al pH. I ricercatori hanno trovato che la risposta dell'elettrodo è dipendente dallo spessore dello strato polimerico di copertura, come ci si può aspettare, visto che questo agisce quanto meno da barriera diffusiva tra gli analiti (in questo caso gli ioni H+) presenti nell'ambiente di test ed il metallo conduttore. Noh e collaboratori [6] hanno costruito un elettrodo stampato depositando inizialmente oro (con una forma adeguata in modo da amplificare la conducibilità) su allumina e successiva deposizione di nanoparticelle di Pt (sull'oro); dopo cottura a 800°C si deposita un rivestimento di polifenolo che conferisce la sensibilità al pH, facendo da elettrodo indicatore (IE). Un copolimero PEI-co-PAA (copolimero etilenimmina-acido acrilico) originato fotoliticamente in soluzione fa invece da elettrodo di riferimento allo stato solido (RE). Lo schema di questo elettrodo (che è un ISFET) è riportato in figura 2.

1.1.2 Principio di funzionamento: materiali sensibili al pH

Per fornire una risposta di tipo chimico o fisico a stimoli esterni un materiale deve in genere subire delle trasformazioni che comportano un qualche tipo di transizione energetica. Come discusso da F. Liu e Urban [7], materiali che esibiscono questa caratteristica (detti “smart materials”, cioè “materiali intelligenti”) si trovano in genere in uno stato energetico vicino

Figura 2: Schema elettrodo Noh

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all'equilibrio (∆Eeq) e, allo stesso tempo, presentano situazioni (conformazionali, di equilibrio chimico) che possono risultare energeticamente vantaggiose in opportune condizioni corrispondenti a transizioni dello stesso sistema in risposta agli stimoli. Queste possono essere rappresentate da minimi energetici corrispondenti a stati metastabili generati da vari tipi di processi, tra cui anche quello di protonazione-deprotonazione con accumuli di densità di carica. Tutti questi processi possono essere reversibili oppure no e l'energia richiesta dipende dagli stati chimico-fisici iniziali. Di seguito sono discussi brevemente alcuni esempi a scopo esplicativo.

1.1.2.1 Elementi sensibili a base di polimeri lineari

Polimeri con gruppi ionizzabili in catena principale o laterale, sono in grado di accettare o donare protoni in seguito a cambiamenti di pH nell'ambiente di reazione e quindi sono sensibili al pH. In seguito a repulsioni elettrostatiche operanti tra i gruppi ionizzati, questi polimeri in presenza del solvente acquoso possono subire un rigonfiamento più o meno marcato in funzione della struttura chimica (densità di gruppi ionizzabili). Le variazioni di volume nei processi di rigonfiamento-ritiro indotti dalle variazioni di pH possono essere pressoché lineari entro un dato intervallo di pH. Se tale andamento è reversibile il polimero può essere efficacemente impiegato nella fabbricazione di elettrodi per la misura del pH [7]. Un polimero molto studiato allo scopo è il poli(acido acrilico) PAA [8-11], che ha una pKa di 5,8 [8]. Per la sensibilità ai pH acidi un polimero molto studiato è il poli(N,N-dimetilammino etilmetacrilato) (PDMAEMA) [12,13], che ha una pKb di 8,4. Il cambiamento di struttura di questi polimeri alla variazione del pH è schematizzato in figura 3. Chiaramente per le applicazioni in un elettrodo costruito come visto sopra, è necessario trovare un metodo per rilevare macroscopicamente questa variazione di dimensioni. Questo può essere costituito per esempio da una microbilancia di quarzo o da un elemento piezoelettrico, sensibile alle variazioni di peso associate al rigonfiamento.

1.1.2.2 Elementi sensibili a base di polimeri conduttori

In letteratura si trovano diversi riferimenti a elettrodi ricoperti con film di polimeri conduttori come elemento sensibile [14-16]. Polimeri tipo polipirrolo (PPy), polianilina (PAn) o

Figura 3: Ionizzazione di a) poli(acido acrilico) e

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politiofene (PT) una volta ossidati e salificati con un opportuno controione, al variare del pH subiscono modifiche che comportano aumento o diminuzione della conducibilità (o della resistenza) elettrica del polimero, che si riflette sull'elettrodo sottostante. Questo approccio però è affetto da diversi problemi, il più grave dei quali è il comportamento non lineare, con la comparsa di fenomeni di isteresi, che compromettono la reversibilità dell'elettrodo durante il ritorno a condizioni acide dopo il passaggio a

condizioni basiche. Un esempio di tale fenomeno è riportato in figura 4. Un altro problema è che la risposta del sistema è in genere influenzata, oltre che dallo ione H+, anche da altri ioni che sono presenti nella soluzione.

1.1.2.3 Utilizzo di idrogeli

Un altro sistema molto studiato [17-19] prevede l’utilizzo di idrogeli, polimeri idrofili

moderatamente reticolati, con la presenza di gruppi acidi e/o basici deboli che possono essere ionizzati. L'aumento della densità di carica e della concentrazione di controioni liberi all'interno del gel causa un aumento di dimensioni. In senso inverso invece la densità di carica diminuisce e il gel si restringe [17]. Questo fenomeno di rigonfiamento-restringimento al variare del pH (o della forza ionica), può ad esempio esercitare una forza meccanica su di una lamina di metallo, poi convertita in segnale elettrico mediante un convertitore meccano-elettrico (piezomeccano-elettrico). Molto utilizzato a questo scopo è un idrogelo a base di PVA-PAA, facilmente reperibile in commercio, che si rigonfia quasi linearmente alle variazioni di pH e forza ionica e può quindi funzionare bene in sensori di questo tipo. Esempi di convertitori meccano-elettrici sono sistemi contenenti un cantilever, ovvero una leva fissata per un'estremità ad un supporto, che trasmette ad esso momenti vibrazionali e sforzi di taglio. Cambiamenti nella forza applicata a un microcantilever provocano una variazione lineare nella frequenza di risonanza della leva e questa può essere misurata con grande accuratezza e convertita in segnale elettrico mediante un oscillatore. Un problema di questi dispositivi, ampiamente utilizzati in microelettronica, è la stretta dipendenza dei valori di risonanza (e quindi della precisione della misura) dalle dimensioni della leva stessa, in quanto la frequenza di risonanza dipende dal quadrato della lunghezza con conseguente necessità di calibrazione.

Figura 4 (da riferimento 15): Comportamento di

isteresi del sistema polipirrolo/poli(acido vinilsolfonico) (PPy/PVS) nella variazione della resistenza elettrica in funzione del pH

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Ovviamente il problema dell'accuratezza della tecnica è più significativo per dimensioni minori.

Un idrogelo può anche modificare le proprietà di elettrodi. Infatti, è possibile inglobare nella struttura dell’idrogelo materiali conduttori che aumentino la conducibilità del materiale. Sheppard e collaboratori [20] hanno impiegato un idrogelo HEMA-DMAEMA (HEMA = 2-idrossietil metacrilato) reticolato con tetraetilene diacrilato (TEDA) in un sensore in cui il rigonfiamento del gel causa un aumento della resistenza elettrica in funzione del pH.

1.1.3 Applicazioni

In letteratura sono riportati molti esempi di elettrodi pH-sensibili allo stato solido di diversa composizione chimica e costruzione, che in alcuni casi si sono mostrati efficaci anche per la rilevazione di altri analiti. Pandey e collaboratori [21] hanno utilizzato un elettrodo di Pt coperto con poli(3-cicloesiltiofene) (cioè un derivato dal politiofene, polimero conduttore), sia direttamente su Pt che supportato su PVC, e lo hanno utilizzato come sensore per pH e urea. Un elettrodo così costruito mostra un comportamento simile a un comune elettrodo a vetro, anche se presenta il problema dell'isteresi e quindi richiede diversi lavaggi con acqua distillata per poter essere utilizzato nuovamente nel passaggio da ambiente acido a basico. L'elettrodo costruito da Noh e collaboratori [6] come riportato al punto 1.1.1, è stato testato nel riconoscimento di acidi organici, tamponi e tensioattivi. Kwon e altri [22] hanno costruito un elettrodo a stato solido con Ag/AgCl immobilizzato su silicio e coperto da uno strato di Nafion (un polimero fluorurato ionomerico), a sua volta coperto da una membrana poliuretanica di composizione complessa, contenente al suo interno PVC, gomma siliconica, un composto ionico (p-clorofenil borato di potassio) e tridodecilammina (trasferitore di ioni) e lo hanno utilizzato per misurare il pH (e pCO2) nel sangue, con risultati non molto differenti da quelli di un analizzatore commerciale. Nishizawa [23] e collaboratori hanno utilizzato un elettrodo a stato solido con polipirrolo ricoperto con penicillinasi (enzima che catalizza l'idrolisi della penicillina ad acido penicilloico) in un sensore per penicillina con una risposta lineare fino a concentrazioni 7 mM (oltre si ha saturazione).

1.2 Rivestimenti polimerici e ibridi a base acquosa

Come discusso in precedenza, elettrodi selettivi a determinati analiti o a specifici parametri ambientali possono essere ottenuti modificandone la superficie con opportuni film sottili

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inorganici oppure organici. Particolarmente adatti allo scopo sono i film polimerici ottenibili per deposizione sia da soluzioni in solventi organici che da dispersioni in mezzo acquoso. Dispersioni polimeriche filmogene offrono interessanti opportunità per la fabbricazione di sistemi a morfologia e struttura controllata a livello nanometrico, anche di natura ibrida organica-inorganica. Le matrici polimeriche possono essere ottenute tramite polimerizzazione in emulsione. Diversi elettrodi modificati con film water-borne si trovano in letteratura. Cosnier e altri [24] hanno utilizzato lattici a base di biciclo[2.2.1]-ept-2-ene modificati con glucosio-ossidasi nella fabbricazione di elettrodi per il riconoscimento elettrochimico del glucosio e valutandone i parametri operativi. Lei e Aoki [25] hanno modificato elettrodi rotanti di platino con polistirene solfonato (PS-OSO3) in emulsione acquosa su polianilina (PAn), testandone le caratteristiche elettriche e studiandone i coefficienti di diffusione. Lo stesso materiale è stato utilizzato da Muchindu e altri [26] per modificare elettrodi a carbonio vetroso (GCE) e elettrodi a carbonio stampato (SPCE), ancora con lattici nanocompositi di polianilina modificata con polistirene solfonato (PANI|PSNP-OSO3) e anche con polistirene amminato (PANI|PSNP-NH2), per il riconoscimento di nitriti. Li e collaboratori [27] hanno modificato un elettrodo di platino con un lattice copolimero N-isopropilacrilammide/acido acrilico (NIPAAM-co-AA), utilizzandolo come fonte di ioni H+ nel riconoscimento mediante riduzione di 1,4-naftochinone.

1.2.1 Polimerizzazione in emulsione

La polimerizzazione in emulsione, molto utilizzata per la sintesi di lattici, è effettuata in acqua, utilizzando un iniziatore solubile in acqua e un emulsionante (generalmente un tensioattivo) che ha la funzione di stabilizzare il sistema. Il polimero è ottenuto disperso colloidalmente in acqua con un alto numero di particelle (Np nell'ordine di 1014 per centimetro cubo [28]) di diametro piccolo (nell'ordine generalmente di 100-300 nm). In condizioni opportune, i processi di polimerizzazione in emulsione possono consentire la preparazione di particelle polimeriche di dimensioni e composizione controllata, anche di tipo nanostrutturato (ad esempio particelle cosiddette core-shell, ossia con un guscio esterno di composizione chimica diversa da quella del nucleo) e con caratteristiche tali da portare alla formazione di film, sia compatti che porosi, costituiti da una o più componenti polimeriche e/o inorganiche. I film polimerici o ibridi formati a partire da dispersioni acquose colloidali sono quindi potenzialmente in grado di modificare in modo assai differenziato la risposta di elettrodi sui

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quali vengono depositati, grazie all'effetto combinato della composizione e della nanostrutturazione morfologica.

Lo svantaggio principale è che il film polimerico ottenuto può essere impuro a causa della presenza del tensioattivo e di altri additivi presenti nella formulazione. Inoltre, il lattice ottenuto è un'emulsione diluita, per poter essere utilizzato deve essere coagulato e a livello industriale ciò può comportare l'aggiunta di ulteriori additivi.

I polimeri sintetizzati in questo lavoro di tesi sono tutti lattici ottenuti per polimerizzazione in emulsione.

1.2.2 Meccanismo della polimerizzazione in emulsione [28]

La polimerizzazione in emulsione avviene con un meccanismo schematizzabile in tre stadi. Inizialmente, il monomero (immiscibile in acqua) rimane in gran parte in gocce stabilizzate dal tensioattivo, ma una piccola parte si solubilizza in acqua. L'iniziatore idrosolubile genera radicali che reagiscono con molecole di monomero disciolte in acqua iniziando la fase di propagazione di catena con formazione di oligomeri che precipitando dalla fase acquosa, nucleano particelle di polimero. Questo è il primo stadio e porta a un 10-15% di conversione del monomero, con un aumento progressivo della velocità di reazione dovuto al progressivo nuclearsi di nuove particelle che si comportano come nanoreattori individuali.

Il secondo stadio vede l'accrescimento delle particelle di polimero formatesi, il cui numero rimane costante. In questa fase la tensione superficiale dell'acqua aumenta bruscamente a causa della migrazione delle molecole di tensioattivo dalla fase acquosa all'interfaccia tra particelle e fase acquosa, la cui area aumenta progressivamente [28]. Il processo continua finché non ci sono più gocce di monomero in emulsione e tutto il monomero è assorbito nelle particelle di polimero. Questo stadio dura finché si è raggiunto il 30-40% di conversione. In questo stadio la dimensione delle particelle aumenta progressivamente, mentre invece la velocità di reazione rimane costante.

Il terzo stadio avviene nelle particelle, con la polimerizzazione del monomero residuo in esse assorbito e può continuare finché non si esaurisce il monomero (cioè fino a conversione del 100%). In questo stadio, a differenza dei due precedenti, si ha generalmente diminuzione del volume della particella dovuto alla conversione del monomero in essa assorbito e conseguente aumento della densità, accompagnato da una drastica diminuzione della velocità di reazione. Questo meccanismo a tre stadi con autonucleazione, conduce a una distribuzione volumetrica

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delle particelle piuttosto ampia, nell'ordine delle centinaia di nanometri.

1.2.3 Polimerizzazione seminata

Tra i problemi tipici dei processi industriali di polimerizzazione in emulsione, vi è la scarsa riproducibilità dei materiali causata dallo scarso controllo nella fase di nucleazione (e quindi dal diverso numero di particelle che si può ottenere) [30]. Questo problema può essere risolto mediante polimerizzazione in emulsione seminata, cioè polimerizzando un monomero in un lattice preventivamente sintetizzato e sotto uno stretto controllo delle quantità di emulsionante e di iniziatore, così che le particelle di seme si accrescano senza generazione di nuove particelle. In questo modo è superato il problema della difficoltà di riprodurre il primo stadio, cioè la nucleazione delle particelle.

In polimerizzazioni discontinue (batch) o semicontinue l'impiego di un lattice seme assicura una dimensione finale delle particelle riproducibile. La polimerizzazione seminata se condotta in più stadi con variazione della composizione di alimentazione permette di ottenere lattici di tipo core-shell. Più co-monomeri possono essere aggiunti in un processo semicontinuo, mantenendo la composizione di alimentazione costante oppure variandola in modo da ottenere un gradiente di composizione radiale nella struttura finale core-shell delle particelle.

1.2.4 Film ibridi da dispersioni colloidali

Nell'ultimo decennio, sono stati condotti diversi studi relativi alla preparazione di materiali nanocompositi a partire da dispersioni colloidali polimeriche contenenti varie particelle, tra cui nanotubi di carbonio. I materiali ibridi che si possono ottenere da tali dispersioni sono potenzialmente interessanti per le particolari proprietà elettriche e meccaniche conferite dai nanotubi di carbonio dispersi nella matrice polimerica.

1.3 Nanotubi di carbonio

1.3.1 Struttura dei nanotubi di carbonio

I nanotubi di carbonio, sintetizzati per la prima volta da S. Ijima nel 1991 [31] mediante evaporazione di un anodo di grafite in atmosfera di argon, sono forme tubolari di grafene, in cui atomi di carbonio si organizzano, allo stesso modo di quest’ultima struttura, in strutture planari ricurve di anelli carboniosi condensati. Le estremità di questi “tubi” sono spesso

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chiuse da semisfere di atomi di carbonio di struttura analoga a quella dei fullereni (cioè con gli atomi organizzati in pentagoni ed esagoni regolari), ma in certi casi sono di forma aperta, con un'estremità ostruita da particelle di catalizzatore. Una rappresentazione schematica di un nanotubo di carbonio è riportata in figura 5. Si distinguono

generalmente in nanotubi di carbonio a parete singola (SWNT, Single Walled Carbon Nanotubes) ed a parete multipla (MWNT, Multi Walled Carbon Nanotubes), che invece sono costituiti da più cilindri grafenici coassiali tra loro. Questi ultimi possono avere diametro compreso fra 4 e 30 nm e lunghezza che può essere superiore a 1 µm [S. Ijima, Nature, 1991, vol 357, 56-58] e si presentano generalmente in fasci di tubi, piuttosto che in tubi singoli.

La struttura grafenica è sostanzialmente analoga ai singoli piani

covalenti della struttura della grafite. Nella grafite, gli atomi di carbonio ibridizzati sp2, sono co-planari e disposti a 120° tra loro in una struttura esagonale planare [32]. La struttura macroscopica è il risultato della sovrapposizione di più piani, legati tra loro da deboli forze di Van der Waals, mentre invece un piano singolo di grafite, prende il nome di grafene. I nanotubi di carbonio sono un foglio di grafene ripiegato su sé stesso, con una certa direzione di avvolgimento [33]. Un tipico schema di riferimento è quello riportato dallo stesso Ijima (figura 6a), con alcune modifiche successive: questo consiste nel considerare uno strato di grafene con un vettore →r che indica l’asse del nanotubo in avvolgimento. Immaginando di ripiegare il nanotubo, i vertici di esagoni adiacenti coincidono. Una notazione generale è quella che considera il vettore →r come somma di vettori (detti vettori di base) secondo un’equazione del tipo: → → → ⋅ + ⋅ =m a n b r

Figura 6: Rappresentazione schematica del foglio grafitico

bidimensionale e del vettore r (a) e dei due vettori di cui r è il risultante

Figura 5: Rappresentazione

schematica di un nanotubo di carbonio

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a e b sono i vettori che in un esagono collegano due vertici alternati (come in figura 6b),

mentre m e n sono numeri interi. A seconda del valore di questi due numeri, si distinguono vari tipi di nanotubo. Sulla base dell’angolo chirale θ, cioè l’angolo tra →r e a , sono stati definiti tre tipi principali di nanotubi (classificazione per chiralità):

θ = 0, “Zigzag”

0 < θ < 30, “Chirale”

θ > 30, “Sedia”

Queste differenze strutturali influiscono nelle proprietà del nanotubo stesso. Nella figura 7 sono illustrate le differenze strutturali dei vari tipi di nanotubi

Le estremità, in base al teorema di Eulero e per mantenere minima energia tensionale, devono contenere sei pentagoni isolati tra loro da facce esagonali che completano il bordo. A seconda del raggio del nanotubo, sono possibili diversi

riarrangiamenti, ma sempre che soddisfino questa condizione [33].

1.3.2 Proprietà elettriche dei nanotubi di carbonio

In un materiale semiconduttore, i livelli di energia disponibili sono quelli di valenza (livelli di legame, generalmente riempiti) e di conduzione (livelli di antilegame, generalmente vuoti) separati tra loro da un gap energetico. Elettroni eccitati nella banda

di conduzione tendono a rimanere in tale stato energetico, ritornando solo lentamente nella banda di valenza in cui hanno lasciato lacune elettroniche. Sia gli elettroni nella banda di conduzione che quelli nella banda di valenza possono stabilire equilibri a due differenti potenziali chimici, detti quasi-livelli di Fermi rispettivamente al di sopra e al di sotto del livello di Fermi (il livello occupato di maggior energia allo zero assoluto) [5].

Quella del grafene è una molecola altamente simmetrica la cui struttura elettronica può essere calcolata mediante un'approssimazione matematica considerando due atomi per molecola. La densità elettronica di monostrati puri di grafene (figura 8b) evidenzia chiare e discrete densità elettroniche vicino ai livelli di Fermi, che conferiscono al grafene la caratteristica conduttiva

Figura 7: Strutture dei nanotubi secondo la

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di un metallo [34].

Le strutture elettroniche dei nanotubi di carbonio possono essere investigate utilizzando le strutture del grafene, dal momento che come abbiamo visto la struttura di un nanotubo è strettamente collegata ad esso. In base alla chiralità del nanotubo, la sua struttura elettronica può essere quella tipica di un metallo oppure di un semiconduttore. La densità elettronica al livello di Fermi nel caso dei nanotubi a Sedia corrisponde ad un semi-riempimento per cui questi hanno comportamento metallico.

I nanotubi di carbonio ZigZag invece hanno comportamento semiconduttore. La loro densità di carica elettrica diventa zero nei dintorni del punto di Fermi. [34].

Figura 8: A) Bande energetiche nei dintorni del livello di Fermi nel grafene. Le bande di conducibilità e di

valenza si intersecano in prossimità dei punti K e K'. B) Densità elettronica degli stati di un monostrato (24 atomi di Carbonio) calcolate mediante approssimazione Perdew-Burke-Ernzerh

Figura 9: Struttura elettronica accoppiata con i rispettivi diagrammi di densità elettronica di nanotubi A) a

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1.4 Funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio

1.4.1 Scopi della funzionalizzazione

La funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio ha da un lato la funzione di eliminare impurità quali catalizzatore residuo o carbonio grafitico, dall’altra quella di modificare o migliorare alcune caratteristiche chimiche mediante l’introduzione di gruppi funzionali. I nanotubi di carbonio grazie alla loro struttura sono chimicamente molto stabili e difficilmente disperdibili sia in solventi polari che apolari. La funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio frammenta in parte la molecola e, mediante l’inserimento di gruppi funzionali, la rende più reattiva e ne facilita la disperdibilità e l'interazione con altre specie molecolari.

1.4.2 Tipi di funzionalizzazione

Sulla superficie dei nanotubi, mediante trattamento con un forte ossidante, in genere abbinato all’ultrasonicazione, si creano dei difetti nella struttura carboniosa, soprattutto alle estremità semisferiche del nanotubo, dove è maggiore la tensione dei legami, che rendono possibile l’ossidazione del carbonio a gruppi acidi carbossilici COOH (normalmente si indica il prodotto come NT–COOH). Come ossidanti possono essere utilizzati HNO3 concentrato o miscela solfo-nitrica (3:1 in volume) [35], oppure KMNO4 in H2SO4, H2O2 in H2SO4, ossigeno in acqua, K2Cr2O7 in H2SO4, OsO4, tutti ossidanti molto energici. Sul gruppo acido legato ai nanotubi è poi possibile operare tutte le ulteriori funzionalizzazioni del caso, poiché la reattività del gruppo è analoga a quella di un acido carbossilico libero; può quindi essere esterificato, ridotto ad alcol o aldeide, oppure trasformato in un cloruro acilico per reazione con SOCl2. Mediante questo approccio, si è riusciti anche a funzionalizzare i nanotubi di carbonio con gruppi ditioestere solfonici, gruppi che sono in grado di indurre processi di polimerizzazione radicalica controllata, come sarà discusso in seguito.

Altri tipi di attacco covalente possono essere portati da molecole particolarmente reattive. I nanotubi possono essere fluorurati mediante attacco diretto con F2 [36,37] ad alta temperatura (da 150 a 325°C) a dare NT–F. Questa funzionalizzazione rende possibili ulteriori reazioni, tipo la reazione di Grignard (in modo da legare sul nanotubo diversi tipi di molecole organiche) oppure con dioli (e che consente di ottenere alcoli o eteri) o diammine (a dare la corrispondente ammina). Molto recentemente Maiti ed altri [38] sono riusciti ad ottenere lo stesso risultato con acido perfluorofosforico (HPF6).

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Trattando i nanotubi con ozono, si forma inizialmente un addotto ciclico con due atomi di carbonio in un nanotubo (come schematizzato in figura 10). Questo addotto ciclico può essere trasformato in un acido per trattamento con H2O2, in un'aldeide o chetone, oppure ridotto ad alcool con NaBH4 [39].

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Molecole organiche sono state inoltre legate a nanotubi grezzi senza bisogno di preventiva funzionalizzazione [39]. Si è riusciti a far reagire nanotubi di carbonio con composti di diazonio, sia per via elettrochimica che per via termica, ottenendo un grado di funzionalizzazione anche del 12%. Altre addizioni organiche sono state le cicloaddizioni dei nitreni, reazioni tipo Diels-Alder mediante irradiazione con microonde, ciclopropanazione in condizioni di reazione di Bingel, addizione nucleofila di carbeni e addizione di radicali (per addizione fotoindotta di radicali alchilici perfluorati). La figura 10 schematizza le reazioni principali attuabili sui nanotubi (ad esclusione dell'ossidazione a NT-COOH).

1.4.3 Innesto mediante metodi di “innesto su” (grafting to)

I metodi di innesto di polimeri su nanotubi di tipo grafting to consistono nell'innesto di polimero preformato a nanotubi funzionalizzati.

Molti riferimenti si trovano all'innesto di polimeri su NT-COCl mediante reazioni di amminazione o esterificazione. Mediante questo approccio sono state innestate catene di poli(propioniletilenimmina-co-etilenimmina) P(PEI-co-EI), sia su MWNT che su SWNT [40, 41], mediante reazione di amminazione sul cloruro innestato sui nanotubi e il gruppo amminico terminale, poli(acido amico), [42] ancora per reazione tra questo e l'ammina terminale del polimero; polietilenossido [43], innestato mediante esterificazione, copolimero poli(stirene-co-p-(4-(4′-vinil-fenil)-3-ossobutanolo)) [44] e poli[3-(2-idrossietil)-2,5-tienilene] (polimero conduttore) [45] mediante esterificazione tra il gruppo OH del polimero con il COCl dei nanotubi. Lin e altri [46] hanno invece innestato poli(vinilalcol) (PVA) mediante esterificazione direttamente con il gruppo COOH presente sui nanotubi.

Altri tipi di innesto sono stati effettuati mediante polimerizzazione ionica. Anioni polistiril-litio sono stati innestati su MWNT-Fe-Cp-pMS, ottenuti mediante reazione con ferrocene ad originare MWNT-Fe-Cp, ulteriormente funzionalizzati con t-butil litio e terminati con p-clorometilstirene [47]. Catene di polistirene, con un gruppo terminale N3 utilizzabili per successive reazioni di tipo “click” sono state innestate su SWNT non funzionalizzati [48].

1.4.4 Innesto mediante metodi “innesto da” (grafting from)

Questo tipo di innesto di catene polimeriche prevede la polimerizzazione diretta del monomero generalmente a partire da siti morfologicamente reattivi dei nanotubi.

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irradiazione UV del monomero in presenza di nanotubi in soluzione acquosa. Mediante polimerizzazione Ziegler-Natta in situ, Tong e collaboratori [50] hanno innestato polietilene su MWNT non funzionalizzati.

Più comunemente l'accrescimento di polimeri innestati su nanotubi si basa sull'impiego di nanotubi funzionalizzati con gruppi bromurati, per la polimerizzazione controllata per trasferimento di radicali atomici metallici (ATRP), o di altro tipo per altri processi controllati. Kong e altri [51] hanno sintetizzato stringhe polimeriche con MWNT come centro (hard core) e un guscio (soft shell) di copolimero a blocchi poli(stirene-b-acido acrilico) (PS-b-PAA), tramite in situ ATRP di stirene e successiva copolimerizzazione di tBA innestato sulla superficie dei MWNT-g-PS in modo da ottenere MWNT-g-PS-b-PtBA. Mediante successiva idrolisi del PtBA si ottengono MWNT-PS-b-PAA. Gli stessi autori, hanno utilizzato vie sintetiche simili per l'innesto di catene di PS [52] e PMMA [53]. Yao e collaboratori [54] hanno utilizzato nanotubi funzionalizzati con gruppi alogenati per la sintesi ATRP di PMMA e PtBA (ottenendo però uno scarso controllo del peso molecolare); con la stessa tecnica Quin e collaboratori [55] hanno polimerizzato n-butil acrilato su SWNT. Hong e collaboratori [56] hanno utilizzato la polimerizzazione per autocondensazione vinilica (SCVP) via ATRP su MWNT funzionalizzati per rivestire i nanotubi con uno strato di polimero reticolato (figura 11). la tecnica ATRP può portare problemi in fase di purificazione del prodotto a causa della precipitazione di ossidi di rame. Un altro metodo per la polimerizzazione innestata di un monomero su nanotubi si basa sulla tecnica di polimerizzazione controllata RAFT (Reversible Addition-Fragmentation Transfer polymerization), come sarà descritto più diffusamente al punto 1.6.3.

Figura 11: Polimerizzazione per SCVP di

(16)

1.4.5 Modifiche alle proprietà dei nanotubi di carbonio indotte dalla funzionalizzazione La funzionalizzazione, modificando la struttura carboniosa del nanotubo, ne modifica anche le proprietà. Con la funzionalizzazione, parte degli atomi di C vengono ibridizzati sp3 creando difetti sulle pareti dei nanotubi che diminuiscono così la simmetria sp2 della molecola e causano la distruzione localizzata della struttura coniugata delle pareti del nanotubo [57, 58]. Di conseguenza la funzionalizzazione riduce significativamente la conducibilità elettrica dei nanotubi, specie di quelli a parete singola, in maniera proporzionale alla quantità di gruppi legati covalentemente aumentando la resistività del materiale fino ad oltre sette ordini di grandezza [59]. L'eterogeneità del materiale complica la realizzazione e l'interpretazione dei dati di questo tipo di misure.

Balasubramanian e altri [57] hanno sottoposto SWNT di tipo metallico e di tipo semiconduttore a ossidazione (con un'ammina) e riduzione (con sale di diazonio) e hanno verificato che mentre il trattamento riduttivo provoca in entrambi i casi un aumento di resistenza di due/tre ordini di grandezza rispetto a SWNT non trattati, quello ossidativo aumenta la resistenza soltanto per i nanotubi di tipo semiconduttore.

Per la funzionalizzazione con gruppo COOH, Lu ed altri [60] hanno trovato un fenomeno opposto. I

ricercatori hanno trovato che campioni di SWNT purificati hanno una resistenza di 13,5 kΩ, mentre questa scende di quasi un ordine di grandezza a 1,95 kΩ per SWNT-COOH. Dopo cottura a 400°C per i SWNT la resistenza decresce a 6,3 kΩ, mentre quella dei SWNT-COOH aumenta a 2,35 kΩ. Gli autori attribuiscono la diminuzione della resistenza dopo cottura alla maggiore purificazione dei nanotubi che così creano un migliore percorso percolativo.

1.5 Ruolo dei nanotubi di carbonio in materiali nanocompositi da

dispersioni acquose

1.5.1 Proprietà elettriche dei compositi polimero/nanotubi

Le caratteristiche dielettriche tipiche di un polimero possono essere modificate in modo

Figura 12: Resistività di nanotubi fluorurati in

funzione del grado di funzionalizzazione (rapporto F/C) Da riferimento [58]

(17)

significativo disperdendo in esso una carica conduttiva o semiconduttiva, ad esempio una quantità adatta di nanotubi di carbonio. In quest'ultimo caso la matrice polimerica può acquisire una maggiore conducibilità elettrica e/o una maggiore resistenza meccanica.

Le eccezionali proprietà elettriche dei nanotubi di carbonio (sia grezzi che funzionalizzati), li rendono modificanti ideali per la preparazione di nanocompositi conduttori. La conducibilità del materiale composito è funzione della quantità di nanotubi (o qualsiasi altra carica conduttiva) aggiunti. È stato definito un valore, detto “soglia percolativa”, oltre il quale un materiale composito diventa conduttore. In corrispondenza della soglia percolativa il polimero caricato con una specie conduttiva mostra un netto aumento di conducibilità di diversi ordini di grandezza, dovuto al fatto che si forma un reticolo tridimensionale di nanotubi non più isolati nella matrice [61]. La soglia percolativa è generalmente determinata sperimentalmente sulla base di grafici di resistenza o conducibilità in funzione della percentuale in peso di carica (in questo caso di nanotubi) aggiunta. Si ottiene una curva sigmoidale del tipo riportato in figura 13. Esiste però anche un metodo analitico per la determinazione [62]:

σ = σ0 (φ-φc)t per φ > φc

In cui σ è la conducibilità totale del composito, σ0 è una costante di proporzionalità (generalmente si considera la conducibilità intrinseca del filler), t è un esponente critico (e spesso di difficile determinazione), φ è la concentrazione del filler e φc è la concentrazione alla soglia percolativa che dipende dal tipo di materiale e di filler. Nel caso dei nanotubi di carbonio φc dipende anche dall'orientamento dei nanotubi, dalla loro natura (grezzi, purificati, funzionalizzati), dal loro rapporto di forma e dalla metodologia di dispersione [61, 63]. Minore è il valore della costante e migliori sono i risultati del composito. Valori piuttosto diversi sono stati riscontrati per diversi nanocompositi, da 0,002% per nanotubi grezzi in resine epossidiche a 15-50% per nanotubi ossidati in PEO [63].

Bai e Allaoui [64] hanno trovato che il rapporto di forma dei nanotubi caricati influenza molto la conducibilità elettrica del composito. Di tre campioni esaminati, quello che mostra la soglia percolativa più bassa è quello con il maggiore rapporto di forma. La distribuzione spaziale dei nanotubi nella matrice polimerica si ripercuote significativamente sulla soglia percolativa,

Figura 13: Determinazione grafica della

soglia percolativa di MWNT in resina epossidica (da riferimento [63])

(18)

visto che, come detto in precedenza, questa è raggiunta una volta che i nanotubi si sono organizzati in un reticolo tridimensionale. Alcuni polimeri presentano il fenomeno della dispersione statistica, cioè riproducono abbastanza fedelmente il valore di soglia percolativa teoricamente

previsto, in quanto le particelle di filler sono omogeneamente distribuite nella matrice. Soglie percolative più elevate indicano che il filler è disperso in maniera non omogenea, mentre soglie percolative inferiori indicano che il filler, anche se disperso omogeneamente, si è aggregato e successivamente flocculato [63]. Le stesse caratteristiche valgono anche per i polimeri in emulsione. Grunlan e altri [65] hanno preparato un lattice composito per miscelazione di nanotubi stabilizzati con gomma arabica e lattice PVAc. Per evaporazione del solvente la particolare struttura del lattice, combinata con l'alto rapporto di forma dei SWNT utilizzati, favorisce la formazione di un network molto regolare di questi ultimi che permette la conduzione elettrica con soglie percolative molto basse. Questa struttura è schematizzata in figura 14. In una precedente tesi svolta presso questo laboratorio sono stati impiegati [66] lattici a base di butil acrilato-metil metacrilato (BM) per i quali è stata osservata una soglia percolativa di 0,1-0,5% in peso per nanotubi a parete multipla.

1.5.2 Dispersione dei nanotubi in lattice

L'aggiunta di nanotubi in un polimero può essere fatta sia in fase di polimerizzazione che successivamente mediante miscelazione con una sospensione di nanotubi in un determinato solvente. Il solvente nel caso dei nanocompositi ottenuti a partire da polimeri in emulsione è ovviamente l'acqua. La dispersione in acqua è generalmente ottenuta mediante sonicazione dei nanotubi nel solvente e con l'eventuale aggiunta di un terzo componente ad azione disperdente, generalmente un tensioattivo. Yu ed altri [67] hanno studiato mediante spettroscopia UV-vis gli effetti dell'aggiunta di tensioattivo (sodio dodecilsolfato, SDS) alla sospensione dei nanotubi in sonicazione. L'aggiunta di tensioattivo aumenta la disperdibilità, in seguito a sonicazione, dei nanotubi in acqua facilitando la separazione dei fasci di nanotubi in singole unità o in aggregati di minori dimensioni. Migliore disperdibilità si ha nel caso di nanotubi ossidati MWNT–COOH [68, 69]. Uno stesso tensioattivo può svolgere la duplice funzione di stabilizzare la dispersione colloidale in acqua sia dei nanotubi che delle particelle

Figura 14: Schematizzazione della formazione

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polimeriche. Questa strategia è stata utilizzata da diversi gruppi di ricerca. Regev e altri [71] hanno disperso in fase acquosa SWNT stabilizzati con gomma arabica e hanno miscelato tale dispersione con lattici di PS e PMMA, ottenendo in entrambi i casi materiali nanocompositi con bassa soglia percolativa (φc = 0,28% in peso per SWNT in PS e un valore φc ≈ 0,3% in peso per SWNT in PMMA). Grossiord e altri [72] hanno disperso una sospensione di nanotubi (sia MWNT che SWNT) in polipropilene isotattico (polimero commerciale aggraffato con anidride maleica e poi emulsionato in acqua), ottenendo una buona dispersione dei nanotubi nel lattice e materiale nanocomposito finale con una soglia percolativa di 0,05% in peso di MWNT e 0,1% in peso di SWNT. Nel caso dei materiali nanocompositi una buona dispersione associata ad un intimo contatto tra nanotubi e matrice sono indispensabili per ottenere buone proprietà elettriche e termiche [70].

Un approccio alternativo alla semplice miscelazione di due dispersioni acquose (rispettivamente di nanotubi e di particelle polimeriche) riguarda l'aggiunta di nanotubi al monomero prima della sua polimerizzazione (in situ polymerization). Diversi autori hanno riportato risultati discordanti relativi alla polimerizzazione in emulsione di monomeri acrilici in presenza di nanotubi ossidati (MWNT-COOH). Zhang e Wang [73] riportano la sintesi un lattice stabile in presenza di MWNT-COOH, senza effettuare ultrasonicazione, probabilmente grazie all'impiego di acido metacrilico come co-monomero di altri alchil acrilati. Xia ed altri [74] al contrario pur avendo ottenuto lattici nanocompositi stabili a matrice butil acrilato-co-metil metacrilato (BM) fino ad un contenuto di MWNT-COOH pari al 3% in peso, non sono riusciti a riprodurre il risultato nel caso in cui hanno operato senza sonicazione. Secondo altri autori [75] infine, la funzionalizzazione dei nanotubi non incide significativamente sul risultato della sintesi di lattici compositi a base di PS e PMMA con MWNT e DWNT (nanotubi di carbonio a parete doppia), almeno per quanto riguarda la conducibilità del nanocomposito finale. La dispersione dei MWNT è migliore rispetto a quella dei DWNT, e le soglie percolative sono relativamente alte, nell'intervallo di 0,5-3%.

1.6 Sintesi di polimeri a struttura controllata, sia liberi che innestati su

superfici solide, tramite polimerizzazione radicalica con tecnica RAFT

1.6.1 Polimerizzazioni controllate

(20)

polimerizzazione radicalica controllata. Con tale definizione si intende un processo grazie al quale un radicale primario, generato in base a meccanismi di tipo convenzionale (ad esempio per dissociazione omolitica indotta termicamente o fotochimicamente) o a partire da un iniziatore specifico per un determinato processo (ad esempio un alogenuro alchilico attivato in grado di dare luogo ad alogenazione ossidativa di un complesso metallico, nella tecnica detta ATRP) avvia uno stadio di propagazione radicalica che è soggetto ad un equilibrio di attivazione/disattivazione. Nella forma attiva il radicale propagante addiziona monomeri con accrescimento della catena polimerica secondo un meccanismo di poliaddizione di tipo convenzionale; nella forma inattiva il macroradicale propagante viene trasformato reversibilmente in una specie non radicalica. La caratteristica fondamentale comune a tutti questi processi di polimerizzazione radicale controllata è lo spostamento dell'equilibrio verso la specie inattiva (il “radicale dormiente”), per cui l'accrescimento della macromolecola avviene con una cinetica lenta e pressoché in assenza di reazioni collaterali di terminazione o trasferimento di catena. Come risultato, con tali tecniche si possono ottenere:

a) polimeri di peso molecolare controllato e con stretta distribuzione di pesi molecolari; b) funzionalità ben definite e di diverso tipo nelle due terminazioni di catena, che

consentono di ottenere successivamente copolimeri a blocchi o con architetture molecolari più sofisticate;

c) accrescimento di catene polimeriche da superfici solide.

La polimerizzazione a radicali liberi stabili (SFRP) utilizza radicali nitrossido che reagiscono con il radicale propagante per formare una specie inattiva mediante una reazione termicamente reversibile. La polimerizzazione ATRP, già accennata in precedenza al punto 1.4.4, coinvolge complessi metallici (molto utilizzati i complessi di alogenuri rameosi con leganti amminici polidentati) in presenza di iniziatori alogenati; il complesso metallico è in grado di estrarre un atomo di alogeno attivando la fase di propagazione radicalica in modo reversibile [76]. Queste tecniche, pur essendo notevolmente versatili, non sono efficaci per tutti i tipi di monomero, inoltre nel caso della tecnica ATRP richiedono fasi di polimerizzazione a volte non del tutto efficaci per l'eliminazione del catalizzatore metallico. Una tipologia interessante alternativa ai due metodi sopra citati è la metodologia RAFT (Reversible Addition–Fragmentation Transfer polymerization), descritta in dettaglio nel paragrafo successivo.

(21)

1.6.2 La chimica dei gruppi tiolo e meccanismo della polimerizzazione RAFT

Il gruppo tiolo, in entrambe le forme tiolo e tiolato, è un buon gruppo nucleofilo, che può essere utilizzato come trasferitore di catena (Chain Transer Agent, CTA) nei processi di polimerizzazione radicalica [77]. La reattività del gruppo tiolo include reazioni di sostituzione nucleofila, addizione nucleofila, ossido-riduzione, coordinazione con metalli e ioni metallici e addizione radicalica. Tra i derivati del tiolo vi sono diversi gruppi funzionali, in particolare ditioesteri e tritiocarbonati, che sono in grado, in condizioni opportune di prendere parte a processi di polimerizzazione radicalica controllata con un meccanismo detto di addizione-frammentazione-trasferimento reversibile (RAFT, Reversible Addition Fragment Transfer polymerization). Quando la specie implicata nella polimerizzazione RAFT contiene il gruppo tioestere, il polimero ottenibile è raffigurato schematicamente in figura 15.

Il meccanismo completo, proposto da Wang e Zhu [76] sulla base delle evidenze sperimentali portate da Chiefari e collaboratori [78] che per primi hanno introdotto il metodo di polimerizzazione RAFT, prevede che un iniziatore radicalico di tipo convenzionale attivi il monomero.

I• + M → M• Inizio

I• è il radicale libero derivato dalla frammentazione dell'iniziatore e M è il monomero. Il successivo stadio di propagazione:

M• + nM → Pn+1• Propagazione

caratterizzato dalla costante cinetica kp, che è in competizione con il trasferimento di catena

sul gruppo tiolico:

Il primo processo, con costante ka, comporta l'addizione del macroradicale propagante al gruppo tiocarbonato a formare una catena polimerica dormiente come indicato nello schema. Il secondo è il processo di scissione omolitica del legame C–S (frammentazione) con costante kf, che porta alla rigenerazione di un ditioestere con liberazione di un macroradicale

Figura 15: Rappresentazione A) dell'agente

RAFT (un ditioestere o un ditiocarbonato) e B) del prodotto di reazione

(22)

propagante ossia in grado di addizionare monomero (reinizio) [79]. R• + M → R–M• → Pm• Reinizio

Il macroradicale propagante Pm•, analogamente al radicale primario, può reagire con il ditioestere polimerico:

rigenerando un macroradicale dormiente. La sequenza di addizione e frammentazione, entrambe reversibili, in cui il gruppo ditioestere S=C(Z)S– è il trasferitore tra le catene dormienti ed attive, mantiene vivente il carattere della polimerizzazione [79].

La concentrazione delle varie specie coinvolte nella reazione influenza la velocità di reazione, il peso molecolare del prodotto e la polidispersità. Una maggiore concentrazione di trasferitore di catena diminuisce la velocità di reazione, origina un prodotto di minor peso molecolare ma diminuisce la polidispersità. Aumentando invece la concentrazione dell'iniziatore si ha una significativa perdita del controllo della reazione, con l'aumento di polidispersità e un maggior peso molecolare [76].

Chong e altri [79] hanno effettuato uno studio sistematico per determinare l'effetto di diversi gruppi uscenti di ditioesteri attivati nel mediare la polimerizzazione di monomeri acrilici e stirene, utilizzando sempre lo stesso gruppo attivatore Z (anello benzenico) e variando il gruppo R, tra quelli riportati in figura 16.

I risultati sono riportati nelle tabelle 1 e 2.

(23)

Tabella 1: Risultati dello studio di Chong con i gruppi R indicati in figura 14 su metil metacrilato e stirene

MMA Stirene

Gruppo R Conv. max (%) Mn MW/Mn Conv. max (%) Mn MW/Mn

No CTA 20 238320 1,93 1,6 164000 1,83 a 95 56200 1,12 57 52000 1,18 b >95 52760 1,14 c 11 165000 1,88 d 13 199000 1,82 42 33400 1,13 e 90 52300 1,16 f 92 55300 1,05 g 95 52900 1,48 26 24200 1,15 h 95 113600 1,65 i 95 130500 1,89 19 17400 1,19 j 41 267400 1,79 k 63 92100 1,34

Tabella 2: Risultati dello studio di Chong con i gruppi R indicati in figura 14 su butil acrilato e metil acrilato

BA MA

Gruppo R Conv. max (%) Mn MW/Mn Conv. max (%) Mn MW/Mn

No CTA 22 >1640000 c - 33600 1,13 d (0,016 M) 40 91700 1,14 d (0,037 M) 64 94400 1,25 d (0,006 M) 2,4 2120 2,4 e 7,4 9700 1,07 k 82 174000 1,24

(24)

Le tabelle mostrano che nella polimerizzazione del metil metacrilato (MMA) è molto importante scegliere un trasferitore reversibile di catena (CTA, chain transfer agent) con un adeguato gruppo R, mentre invece questo parametro risulta essere meno critico per la polimerizzazione di stirene e butil acrilato. In genere i migliori gruppi uscenti per un tioestere da utilizzare come CTA in polimerizzazioni RAFT sono quelli che in seguito a frammentazione omolitica, danno origine a un radicale terziario, meglio se aromatico, relativamente stabile.

Lo stesso gruppo di ricerca [80] ha studiato gli effetti del gruppo attivante Z (figura 17) nella polimerizzazione di stirene, con due diversi gruppi uscenti (benzile e ciano-isopropile) ed hanno osservato che agenti RAFT con gruppi Z elettrofili e doppietti elettronici coniugati con i doppi legami C=S hanno bassi coefficienti di trasferimento, ma gruppi elettron-attrattori possono aumentare significativamente l'attività del gruppo RAFT. La relativa efficacia dei CTA è razionalizzabile in termini di interazioni del gruppo attivante Z con il doppio legame C=S per attivare o disattivare quel gruppo all'addizione radicalica libera.

Con la metodologia di polimerizzazione RAFT è possibile ottenere copolimeri a blocchi anche caratterizzati da geometrie complesse (polimeri a stella, ramificati...). È inoltre possibile, analogamente ad altre tecniche di polimerizzazione controllata, fare accrescere catene polimeriche innestate su una superficie solida. A questo scopo è tuttavia necessario modificare preliminarmente la superficie solida tramite innesto di gruppi funzionali ad attività RAFT. Con tale tecnica, che è un caso di “grafting from” come già discusso al punto 1.4.4, sono state modificate superfici di varia natura. Molto utilizzata a tale scopo è la silice, che funzionalizzata con diversi tipi di gruppi tioesterei, anche compatibilizzata con silani è stata utilizzata per la polimerizzazione di stirene e metil metacrilato [81], acido metacrilico

Figura 17: Gruppi Z studiati da Chiefari e collaboratori nella polimerizzazione dello stirene A)

(25)

reticolato con etilenglicol dimetil acrilato (EGDMA) [82] e stirene [83]. Yoshizawa ed altri hanno polimerizzato 2-idrossietil metacrilato su un copolimero fluorurato poli(tetrafluoroetilene-co-esafluoropropilene) (FEP) funzionalizzato con tioestere mediante trattamento con plasma [84].

1.6.3 RAFT su nanotubi

La tecnica RAFT può essere usata per innestare catene polimeriche su nanotubi di carbonio preventivamente modificati con gruppi RAFT, come schematizzato in figura 15. La crescita del

polimero avviene per addizione di monomero al residuo R del gruppo RAFT aggraffato sui nanotubi, con il residuo ditioestereo che si scinde omoliticamente staccandosi temporaneamente dal frammento innestato. Il gruppo Z è in genere un fenile. Il meccanismo, schematizzato in figura 18, è lo stesso della RAFT omogenea. La sequenza di reazioni riportata in figura 19 mostra come partendo da nanotubi ossidati con acido nitrico a NT-COOH e poi convertiti in NT-COCl con SOCl2 possa essere legato il gruppo R mediante reazioni di esterificazione e successivamente il gruppo Z (che come detto in genere è il gruppo Ph–C(=S)S) mediante reazione di Grignard.

Pei e collaboratori [85], hanno esterificato NT-COCl con glicol etilenico e successivamente con anidride maleica e nell'ultimo stadio hanno legato

covalentemente il gruppo tioestere. I nanotubi così funzionalizzati sono stati utilizzati con successo nella polimerizzazione innestata dello stirene. Migliori risultati sono stati ottenuti con il gruppo ditioestereo riportato in figura 20, in quanto il radicale terziario che si forma per scissione del

Figura 18: Rappresentazione del meccanismo di

polimerizzazione RAFT su un gruppo tiocarbonato aggraffato sui nanotubi

Figura 19: Schema generale di funzionalizzazione dei nanotubi con un tioestere adatto per la

polimerizzazione RAFT

Figura 20: Gruppo NT-RAFT*

utilizzato da molti gruppi di ricerca

(26)

legame tra zolfo tioesterico e il carbonio quaternario è un ottimo gruppo uscente [86]. Per comodità d'ora in avanti questo sarà indicato come gruppo RAFT*.

Nanotubi funzionalizzati con lo stesso gruppo RAFT* sono stati impiegati nella polimerizzazione innestata di vari monomeri tra i quali N-(2-idrossipropil)metacrilammide (HPMA) [87], N-isopropilacrilammide (NIPAAm) [88], unità monomeriche ionizzabili quali acido acrilico, 2-dimetilamminoetil metacrilato e zwitterioni come il 3-[N-(3-metacrilammidopropil)-N,N-dimetil] ammonio propano solfonato MDMAS [89].

Sono stati inoltre sintetizzati a partire dallo stesso gruppo RAFT* innestato su copolimeri a blocchi PMMA-b-PS [90].

Figura

Figura 1: Schema di un elettrodo ISFET (Da  riferimento 5)
Figura 4 (da riferimento 15): Comportamento di  isteresi del sistema polipirrolo/poli(acido
Figura 5: Rappresentazione  schematica di un nanotubo di  carbonio
Figura 7: Strutture dei nanotubi secondo la  classificazione per chiralità
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