• Non ci sono risultati.

La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere"

Copied!
116
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Considerazioni preliminari ... » p. 2

1.

Il sistema della misure cautelari nel codice di procedura

penale del 1988 ... » p. 3

1.1 Premessa ... » p. 3 1.2 Disposizioni generali ... » p. 4

2.

Il sistema cautelare nel codice di rito vigente ... » p. 19

3.

L’evoluzione giurisprudenziale ... » p. 33

4.

Il dibattito sulle misure cautelari nella giurisprudenza della

Corte europea dei diritti dell’uomo ... » p. 74

4.1 Considerazioni introduttive ... » p. 74 4.2 La salvaguardia della libertà personale ... » p. 77 4.3 Misure cautelari e art. 5 C.e.d.u. ... » p. 81

5.

Osservazioni conclusive ... » p. 93

6.

Modifiche al codice di procedura penale in materia di

misure cautelari personali ... » p. 99

Indice della giurisprudenza ... » p. 103

(2)

Considerazioni preliminari

Lo scopo della trattazione è di tracciare i confini del campo di operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Appare quindi opportuno prendere le mosse dall’analisi della disciplina delle misure cautelari personali di cui al nuovo codice di procedura penale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 447 ed entrato in vigore il 24 ottobre 1989, dedicando una particolare attenzione ai criteri cui il giudice deve attenersi nella scelta della misura più idonea da adottare.

Occorrerà ripercorrere le principali modifiche legislative che hanno interessato l’art. 275 comma 3 c.p.p. configurando un trattamento cautelare di maggior rigore nei confronti di coloro ai quali si addebitano reati di particolare gravità.

La ricostruzione dei percorsi argomentativi seguiti dai giudici costituzionali nella copiosa produzione giurisprudenziale consentirà di tratteggiare la chiave interpretativa della tematica in esame, secondo cui la sostituzione della tradizionale discrezionalità giurisdizionale con il meccanismo presuntivo deve essere collocata nell’area dell’eccezionalità e deve trovare giustificazione e ratio ispiratrice non solo nella gravità oggettiva delle fattispecie contestate, ma anche nella pericolosità intrinseca delle strutture criminali che a tali delitti danno corpo1.

Per completezza espositiva verrà apprezzata la posizione assunta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in più occasioni chiamata a pronunciarsi in ordine al rapporto che intercorre tra il trattamento cautelare e le esigenze processuali ed extraprocessuali da soddisfare nel caso concreto.

1 L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

l’opera demolitrice della giurisprudenza delle Supreme Corti, in Cassazione Penale,

(3)

Il sistema delle misure cautelari nel codice di

procedura penale del 1988

Premessa

Il legislatore – in armonia con l’originario progetto pubblicato nel 1978 – ha sottolineato l’autonomia sistematica del settore dedicando un intero libro del nuovo codice di procedura penale al tema delle misure cautelari. Tale scelta è un segno inequivocabile dell’importanza centrale che con la riforma è stata attribuita alla questione della tutela delle libertà in rapporto al processo penale2.

Il Libro IV contiene la disciplina dell’esercizio, nel corso del procedimento penale, di poteri limitativi delle libertà individuali o della disponibilità di beni. Esso, infatti, si articola in due titoli, l’uno riferito alle misure cautelari personali, l’altro alle misure cautelari reali.

Vale la pena di osservare che in tale libro non trova collocazione la disciplina di istituti quali le ispezioni e le perquisizioni in quanto – nonostante l’art. 13 cost. li reputi direttamente coinvolti in tema di inviolabilità della libertà personale – si è ritenuto che ne fosse investita primariamente e precipuamente la problematica delle prove (cui è dedicato il libro III)3.

Né vi trovano collocazione in ragione della connessione con il regime delle attività di polizia giudiziaria, la disciplina relativa all’arresto in flagranza ed al fermo degli indiziati di delitto cui è dedicato un apposito titolo nel libro relativo alle indagini preliminari ed all’udienza preliminare.

2 M. Chiavario, La riforma del processo penale: appunti sul nuovo codice, Torino,

Utet, 1990, p. 140

3

M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, Torino, Utet, 1990, p. 4

(4)

Quanto all’accompagnamento coattivo – sebbene incida senza dubbio sulla libertà personale del soggetto – esso trova disciplina autonoma in altra sede e viene configurato non come atto rivolto a finalità cautelari bensì come atto strumentalmente diretto a soddisfare determinate esigenze di indagine o di accertamento, in rapporto allo svolgimento di attività per le quali sia necessaria la presenza dell’imputato o del coimputato in separato procedimento connesso, ovvero della persona sottoposta alle indagini preliminari, nonché, eventualmente, anche di altre persone4.

Disposizioni generali sulle misure cautelari personali

La struttura portante della nuova disciplina delle misure cautelari personali è costituita dal complesso delle disposizioni generali contenute nel Capo I (artt. 272 – 279 c.p.p.). Si tratta di disposizioni cui il legislatore riconosce la funzione di pilastri fondamentali del sistema delle cautele.

Il nodo delle libertà personali è stato sapientemente descritto come «un crocevia nevralgico dell’intera rete di rapporti fra la tematica dei diritti fondamentali della persona e la tematica del processo»5.

L’art. 13 cost. appronta una tutela che è centrale nel disegno costituzionale, avendo ad oggetto un diritto inviolabile, quello della libertà personale, rientrante tra i valori supremi, quale indefettibile nucleo essenziale dell’individuo6

. Al comma 2 il legislatore, laddove prevede che non sono ammesse «restrizioni della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge», stabilisce una inequivoca riserva di legge (poi corroborata ex comma 3 per quanto attiene alla sfera dei

4

G. Conso e V. Grevi, Compendio di Procedura Penale, Padova, Cedam, 2010, p. 388

5 M. Chiavario, Processo e garanzie della persona, Milano, Giuffré, 1984, p. 299 6

G. Di Chiara, in G. Fiandanca – G. Di Chiara, Una introduzione al sistema penale, Napoli, Jovene, 2003, p. 303

(5)

provvedimenti limitativi consentiti all’autorità di pubblica sicurezza in deroga alla riserva di giurisdizione ivi prevista)7.

Nella stessa direzione, l’art. 272 c.p.p. sancisce il principio di legalità stabilendo che «le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo».

Tale formulazione, quindi, esprime in termini positivi una garanzia che le carte fondamentali solitamente proclamano facendo più propriamente leva sulla formula negativa.

Non sembra potersi dubitare del significato garantistico del principio così enunciato, sotto il profilo della tassatività, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa (cioè ai soli «casi e modi» previsti dalla legge) l’esercizio della discrezionalità del giudice in materia di limitazioni alle libertà della persona8.

Occorre segnalare che la norma fa riferimento non alla «libertà personale» ma, più genericamente, alle «libertà della persona». Da ciò si evince che nell’ambito operativo della regola di riserva codicistica sono comprese sia le misure cautelari che incidono sulla libertà personale tout court (cioè intesa come libertà fisica di movimento) che le misure cautelari che impongono ulteriori divieti9. Si pensi a tal proposito alle misure interdittive come peraltro alle misure coercitive – quali il divieto di espatrio o le misure a contenuto prescrittivo od obbligatorio – che mal si riportano all’idea di un’incidenza sulla libertà personale10.

Nell’ottica di un ideale collegamento a norma dell’art. 13 comma 2 cost. – alla garanzia della riserva di legge di cui all’art. 272 c.p.p. fa subito riscontro l’art. 279 c.p.p. dove si legge che «sull’applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche

7

M. Chiavario, La riforma del Processo Penale, op. cit., p. 23

8 G. Conso e V. Grevi, Prolegomeni a un commentario breve al nuovo Codice di

Procedura Penale, Padova, Cedam, 1990, p. 237

9

P. Tonini, Manuale di Procedura Penale, Milano, Giuffré, 2012, p. 411

10

(6)

delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede». In altri termini, la norma in esame proclama la garanzia della riserva di giurisdizione nel settore delle misure cautelari personali.

E’ stata così data attuazione alle direttive contenute nell’art. 2 n. 59 della legge delega del 1987 dove, a proposito dell’adozione dei provvedimenti cautelari, viene distinto il potere decisorio attribuito al giudice dal potere requirente riservato al pubblico ministero. In particolare, a quest’ultimo viene riconosciuto «un potere dovere di richiedere, presentando al giudice gli elementi su cui si fonda la sua richiesta», ed un correlativo potere dovere del «giudice di disporre, con provvedimento motivato, le misure di coercizione personale».

La competenza a provvedere in tema di misure cautelari è, dunque, sempre dell’organo – giudice per le indagini preliminari, giudice del giudizio (di primo grado o di impugnazione) – che, nel momento in cui si pone il problema de libertate, è investito della funzione giurisdizionale11.

Tra le disposizioni generali relative alle misure cautelari personali il codice opportunamente annovera quelle concernenti i presupposti di applicabilità delle misure stesse12.

In proposito si ricordi che l’art. 252 c.p.p. abr., prima della modifica apportata ex art. 12 della legge 5 agosto 1988 n. 330, imponeva, quale condizione generale per l’emissione di provvedimenti limitativi della libertà, l’esistenza di «sufficienti indizi di colpevolezza» a carico di colui contro il quale il provvedimento venisse emesso. La ratio legis, già al tempo, era, evidentemente, di porre a fondamento primario delle limitazioni processuali di libertà, la presenza di un carico lato sensu probatorio idoneo ad integrare il presupposto del fumus commissi delicti, concetto che presenta un’evidente e voluta assonanza con quello di fumus boni iuris proprio

11 M. Chiavario, La riforma del Processo Penale, op. cit., p. 144 12

G. Conso e V. Grevi, Prolegomeni a un commentario breve al nuovo Codice di

(7)

della tematica cautelare del processo civile13. In altre parole, la valutazione della sussistenza dei «sufficienti indizi di colpevolezza» era volta a ridurre al minimo il rischio che il sacrificio della libertà dell’imputato si rivelasse ingiustificato, vulnerando il contenuto della presunzione di non colpevolezza14.

Mentre la formula tradizionale verteva sul concetto assai sfuggente di «sufficienza degli indizi», l’art. 273 c.p.p. stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza».

La norma in parola, riproducendo la formula voluta dal legislatore delegante (art. 2 n. 59 della legge n. 81 del 1987) richiedendo che gli indizi siano gravi, concentra su questo mutamento di aggettivazione la volontà di dare più nerbo all’esigenza di riferimento ad un quadro particolarmente consistente di dati probatori a carico15. Quindi, postula la ricorrenza a carico del destinatario di «gravi indizi di colpevolezza» con l’evidente proposito di accentuare, rispetto alla normativa previgente, la consistenza della piattaforma indiziaria indispensabile per l’adozione di qualunque misura de

libertate.

Da segnalare che il termine indizio di colpevolezza in questo contesto non richiama il concetto di prova indiretta ma è costituito da quegli elementi di prova (o fonti di prova laddove la misura venga adottata in sede di indagini preliminari) che inducono a ritenere estremamente probabile che l’imputato sia effettivamente responsabile del fatto contestato. Diversamente opinando, cioè qualora in tema di applicazione di misure cautelari si ritenesse che il concetto di indizio coincida con il significato che esso presenta nella normativa generale sulle prove, dove (ex art. 192 comma 2 c.p.p.) l’ambito di utilizzabilità della c.d. prova indiziaria viene ancorato ai requisiti di

13 M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, op. cit., p. 28 14

G. Di Chiara, Una introduzione al sistema penale, op. cit., p. 324

15

(8)

gravità, precisione e concordanza, si giungerebbe paradossalmente a non attribuire alla prova diretta l’idoneità ad attestare la sussistenza del

fumus commissi delicti.

Ai sensi dell’art. 273 comma 2 c.p.p. «nessuna norma può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata». Conseguentemente, il legislatore, ai fini della valida emissione di un provvedimento cautelare, impone all’autorità giudiziaria competente un sia pur sommario accertamento negativo in ordine alla ricorrenza di cause estintive del reato o della pena, di giustificazione o di non punibilità. Quindi, vi è la tendenza a prendere in considerazione ogni tipo di situazione in presenza della quale è da pronosticare la non applicabilità di una sanzione penale.

Ai fini della legittima adozione di una misura cautelare, la ricorrenza del c.d. fumus commissi delicti, ovvero essere in possesso – e dar conto in motivazione – di un quadro di elementi idonei a sorreggere una più che credibile convinzione di responsabilità a carico di quella persona, è un elemento necessario ma non sufficiente16.

Per fare legittimo uso del potere cautelare occorre altresì che risulti integrato il profilo del c.d. periculum libertatis. Infatti, le limitazioni di libertà sono subordinate anche alla presenza di almeno una delle tre esigenze cautelari.

Nel contesto della delega legislativa del 1987 per l’emanazione del nuovo codice, la direttiva n. 59 circoscrive l’applicabilità delle misure alle ipotesi in cui sussistono a) «inderogabili esigenze attinenti alle indagini e per il tempo strettamente necessario» ovvero b) «esigenze di tutela della collettività» oppure, c) risultando il reato di particolare gravità, «la persona si è data alla fuga o vi è concreto pericolo di fuga».

16

(9)

In sede di attuazione della legge delega, l’art. 274 c.p.p. sottolinea con chiarezza, da un lato, che si tratta di esigenze ciascuna autonomamente sufficiente a legittimare il ricorso allo strumento cautelare, e, dall’altro, che nessuna misura può venire disposta se non in base al concreto accertamento della sussistenza di una delle suddette esigenze17. Quindi, diversamente da quanto accadeva in passato, risulta ormai sopito il dibattito in cui ci si chiedeva se ognuna di tali componenti dovesse essere riconosciuta idonea a giustificare autonomamente l’esercizio dei poteri cautelari o se invece qualcuna tra esse potesse assumere rilevanza soltanto in quanto accessoria rispetto ad una delle altre18.

La previsione normativa in commento, sulla scorta della tradizionale tripartizione richiamata dalla delega, riconduce le esigenze cautelari ad un numero chiuso di categorie.

Si impone una considerazione. Poiché a norma dell’art. 27 comma 2 cost. l’imputato non può considerarsi colpevole sino al sopravvenire della res iudicata a contenuto condannatorio, qualsiasi meccanismo processuale od extraprocessuale che coinvolga la parte privata trattandola alla stregua di responsabile del fatto addebitatole risulterà connotato da illegittimità costituzionale19. Ne discende che le restrizioni della libertà personale anteriori alla condanna definitiva sono costituzionalmente accettabili a condizione che non si risolvano, a carico dell’imputato, in trattamenti conformi ad una surrettizia e non consentita presunzione di colpevolezza. La tassatività della previsione di cui all’art. 274 c.p.p. ha proprio lo scopo di impedire che, attraverso le misure cautelari, si tenda ad anticipare l’applicazione della sanzione penale20.

17

G. Conso e V. Grevi, Prolegomeni a un commentario breve al nuovo Codice di

Procedura Penale, op. cit., p. 238

18 M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, op. cit., p. 43 19

G. Di Chiara, Una introduzione al sistema penale, op. cit., p. 317

20

(10)

Tra i pericula libertatis il primo cui viene attribuita rilevanza è quello attinente alla finalità lato sensu istruttoria. E’ stato osservato che le limitazioni di libertà motivate da esigenze probatorie non determinano un’equiparazione tra imputato e colpevole, ma traducono «il dovere dell’imputato di porsi a disposizione della collettività per contribuire fattivamente all’attuazione della potestà di giustizia»21

.

Ex art. 274 lett. a c.p.p., affinché il Pubblico ministero possa

legittimamente invocare lo strumento cautelare deve dimostrare che ricorrono «inderogabili esigenze attinenti alle indagini in relazione a situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione della prova» (c.d. pericolo di occultamento: si pensi alle ipotesi in cui si temono illecite manovre oppressive sulle fonti di prova) o per l’acquisizione della stessa in modo genuino (c.d. pericolo di alterazione: profilo rispetto al quale, sul piano statistico, si registra un’incidenza preponderante).

Il legislatore mostra di accogliere l’assunto secondo cui non ogni finalità processuale del provvedimento de libertate è di per sé ineccepibile. La previsione in commento non legittima il ricorso alle misure cautelari personali in vista di qualunque obiettivo probatorio. Ciò che giustifica la limitazione della libertà della persona sottoposta alle indagini è il ragionevole timore di dispersione o di alterazione di materiali già esistenti o in formazione.

Ne risulta confermato un duplice corollario. In primis deve intendersi proscritta qualsiasi utilizzazione confessoria delle misure cautelari ed in generale il ricorso allo strumento de libertate come stimolo ad un’attività di collaborazione da parte del soggetto contro il quale il procedimento è rivolto22.

Inoltre, si nega l’impiego della misura cautelare al fine di assicurare il compimento di atti determinati, per i quali non si possa prescindere dalla presenza dell’imputato (in tale evenienza sarà

21 G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Milano,

Giuffré, 1967, p. 377

22

(11)

possibile avvalersi del diverso strumento dell’accompagnamento coattivo ex artt. 132 e 376 c.p.p.)23.

La concretezza che deve connotare il periculum libertatis attesta la necessità di una indicazione precisa delle circostanze, oggettive e soggettive, che fanno ritenere altamente probabile un intervento inquinante sulle fonti di prova24.

Circa l’ipotesi della fuga o del concreto pericolo di fuga, viene individuato un limite in più rispetto a quelli che operano con riferimento agli altri pericula libertatis.

Il legislatore delegante del 1987 ne circoscrive la possibile rilevanza ai soli casi di «reato di particolare gravità».

L’art. 274 lett. b c.p.p. postula che «il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione». Ciò significa che il codice impone al giudice, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta della misura, di effettuare una prognosi sulla possibilità che la pena finisca per essere superiore a due anni di reclusione. Al di sotto di tale soglia il legislatore impedisce di dare rilevanza al pericolo di fuga25.

Come anticipato il pericolo di fuga deve essere concreto cioè il provvedimento cautelare dovrà fondarsi su elementi di fatto che diano una tangibile consistenza a quel pericolo, estrinsecandosi in atti esteriori di significativa rilevanza26.

Veniamo adesso alla terza e più discussa esigenza cautelare. Com’è stato autorevolmente scritto «la società si ribella all’idea che, scoperta che sia stata la pericolosità immediata dell’individuo in occasione di un procedimento a suo carico, costui debba essere lasciato libero di nuocere fino a che la sua responsabilità nel procedimento in

23 G. Conso e V. Grevi, Compendio di Procedura Penale, op. cit., p. 395 24

M. Garavelli, Prime indicazioni giurisdizionali in materia di riesame dei

provvedimenti sulla libertà personale, in Cass. Pen., 1984, p. 373

25 P. Tonini, Manuale di Procedura Penale, op. cit., p. 419 26

(12)

corso non sia definitivamente accertata, sì che possa farsi luogo nei suoi confronti all’esecuzione della pena. Nessun sistema giuridico difensivo dei beni collettivi potrebbe organizzarsi intorno ad un simile postulato»27.

La Corte Costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 152 del 1975, ha affermato che «le finalità della custodia preventiva (rectius cautelare) che non possono in alcun modo risolversi in anticipazioni di pena, sono segnate da esigenze di carattere cautelare, rispetto a ragioni di giustizia penale che per la durata del processo penale sarebbero pregiudicate ove non potesse cumulativamente provvedersi anche prima della sentenza definitiva. Sotto questo riguardo non vi è differenza tra esigenze strettamente inerenti al processo, ed altre che comunque abbiano fondamento nei fatti per cui è processo, posto che anche la tutela di queste ultime abbia rilievo costituzionale, e giustifichi quindi il sacrificio della libertà personale dell’imputato28

».

In estrema sintesi non contrasta con la Costituzione inserire tra i pericula libertatis perseguibili all’interno del processo, anche scopi extraprocessuali che alla tutela della collettività nella sua più ampia accezione si riconducono.

La soluzione adottata dal legislatore delegato tiene conto delle indicazioni fornite dai giudici di Palazzo della Consulta ed in qualche modo le cristallizza normativamente29.

Ai sensi dell’art. 274 lett. c c.p.p. la misura è applicabile «quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, vi è il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o

27 G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust.

Pen., 1978, I, p.40

28

Corte Costituzionale, 17 gennaio 1980, n. 1

29

(13)

diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede».

Pertanto, il giudice è chiamato ad effettuare una prognosi in ordine alla possibilità di futuri comportamenti delittuosi da parte della persona contro cui si procede attualmente30.

Accertata la sussistenza di gravi indizi di reità e di almeno una delle esigenze cautelari delineate dall’art. 274 c.p.p., il giudice dispone la misura cautelare.

Il potere del giudice risulta circoscritto sotto un duplice profilo. Dal punto di vista formale, egli è parzialmente vincolato all’istanza cautelare presentata dal Pubblico ministero. In particolare, in ossequio al principio del favor libertatis, il giudice può adottare una misura diversa da quella richiesta dalla pubblica accusa laddove questa risulti meno afflittiva per l’imputato, mentre gli è in ogni caso preclusa l’applicazione di misure più gravi.

Sotto il profilo sostanziale l’art. 275 c.p.p. detta i criteri cui il giudice deve attenersi nel determinare quale, tra le misure astrattamente consentite dalla legge in relazione al fatto per cui si procede, meglio si attagli al caso di specie31.

Ciò premesso, al comma 1 il legislatore sancisce il principio di adeguatezza delle cautele laddove stabilisce che «il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna (misura) in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto». Quindi, la misura deve essere adeguata alle esigenze cautelari da fronteggiare nel caso di specie con l’ovvia conseguenza che dovrà venire scelta la misura meno gravosa per l’imputato, tra quelle di per sé idonee a soddisfare le suddette esigenze.

30

M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, op. cit., p. 56

31

(14)

Da ciò si evince che il sistema delle cautele è ordinato in base al principio della pluralità graduata, nel senso che rileva una progressione graduata delle misure da scegliere per l’applicazione.

La previsione riflette in modo pacifico la logica della gradualità nell’uso del potere cautelare che, all’epoca della prima legge delega sembrava avere connotati quasi rivoluzionari e che oggi, invece, ben pochi si sentirebbero di rinnegare32.

Le misure cautelari devono rispondere ad un’idea elementare di civiltà secondo cui la libertà di una persona non deve essere limitata più di quanto sia strettamente necessario33. Il principio di proporzionalità, sin dal progetto pubblicato nel 1978, era stato concepito come uno dei cardini della normativa in esame.

L’art. 275 comma 2 c.p.p. dispone che «ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata». L’obiettivo è proprio di evitare che in presenza di un fatto di reato di scarsa rilevanza la misura cautelare risulti eccessivamente afflittiva. La norma postula un provvisorio giudizio circa la congruità della misura, sotto il profilo della deminutio

libertatis che ne deriva all’imputato, da condursi avendo come

parametri di riferimento la gravità del fatto addebitatogli e il quantum di pena che in concreto, alla luce della complessiva situazione processuale, possa essergli irrogata34.

Il comma 3 , in ossequio ad una precisa direttiva formulata dall’art. 2 n. 59 della legge delega, laddove prevede che «la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata», enuncia il principio di gradualità, quale specificazione del principio di adeguatezza.

32 M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, op. cit., p. 65 33 P. Tonini, Manuale di Procedura Penale, op. cit., p. 422

34

G. Conso e V. Grevi, Prolegomeni a un commentario breve al nuovo Codice di

(15)

Pertanto, il legislatore individua nel ricorso alla custodia cautelare in carcere una vera e propria extrema ratio.

L’art. 275 comma 4 c.p.p. sancisce una sorta di presunzione di non necessità della misura carceraria – o, se si vuole, una specifica accentuazione del principio di adeguatezza – con riferimento ad una gamma eterogenea di ipotesi in ordine alle quali si profila un divieto della suddetta misura. In particolare, «non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza» quando siano imputati una donna incinta o che allatta la propria prole, una persona che si trova in condizioni di salute particolarmente gravi od ancora una persona che abbia superato i 65 anni.

Da segnalare che sembra doversi accogliere l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui «nella nozione di particolare gravità vanno ricompresi tutti gli stati morbosi che siano idonei, per la loro serietà ed imponenza, a pregiudicare notevolmente l’integrità fisica o psichica dell’imputato detenuto»35

.

Analogamente, laddove ricorrano i presupposti per la custodia in carcere ma non vi siano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e si tratti di imputati tossicodipendenti o alcool dipendenti sottoposti a programma terapeutico di recupero nell’ambito di una struttura organizzata e l’interruzione del programma possa pregiudicare la disintossicazione dello stesso.

La normativa codicistica presta un’attenzione specifica per il problema dei rapporti tra la disciplina delle misure processuali a carattere cautelare ed il fenomeno delle dipendenze da alcol e da stupefacenti, e sottolinea il dovere del giudice di disporre gli opportuni controlli atti ad assicurare che lo svolgimento del programma terapeutico non rappresenti una mera finzione36.

35

Corte di Cassazione, 12 febbraio 1985

36

(16)

Nell’ambito del principio di adeguatezza è possibile ricondurre anche la disciplina riguardante le ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte con le singole misure cautelari.

La legge delega del 1987 non offre in proposito una direttiva a carattere generale, ma si limita a prendere in considerazione la particolare fattispecie della «violazione dolosa» delle misure che il giudice può disporre a carico dell’imputato scarcerato per decorso dei termini, e prevedendo che in tale ipotesi vi è la «possibilità di ripristino della custodia in carcere» (art. 2 n. 62)37.

Diversamente, all’art. 276 c.p.p. il legislatore delegato enuncia il principio secondo cui «in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell’entità, dei motivi e delle circostanze della violazione». La stessa disposizione precisa che «quando si tratta di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva» (ivi compresa, se del caso, la custodia cautelare in carcere).

In tal modo si riconosce al giudice, con riferimento alle ipotesi in cui l’imputato tenga una condotta che si pone in contrasto con le prescrizioni attinenti alla misura cautelare applicata a suo carico, un potere discrezionale di ordinare la sostituzione della misura già disposta ovvero il suo cumulo con altra più grave.

La formulazione dell’articolo con il riferimento ai parametri dell’«entità», dei «motivi» e delle «circostanze» della violazione commessa attesta la volontà di evitare una troppo rigida concatenazione di conseguenze che, se automaticamente ricollegate ad ogni seppur minima trasgressione, porterebbe inevitabilmente ad un funzionamento vessatorio del meccanismo38.

37

M. Chiavario, Commento al nuovo Codice di Procedura Penale, op. cit., p. 79

38

(17)

Tra le disposizioni generali relative alle misure cautelari personali trova opportunamente collocazione l’art. 277 c.p.p.. Si tratta di una tipica norma di garanzia della posizione soggettiva dell’imputato dove si stabilisce che «le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad essa sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenza cautelari del caso concreto». La norma, quale elementare canone di civiltà giuridica, si propone di garantire la personalità dell’imputato sotto il profilo dell’esercizio dei diritti che gli competono in quanto persona. Da ciò si ricava che l’eventuale sussistenza di una situazione di incompatibilità sotto il profilo cautelare dovrebbe configurarsi in termini di stretta eccezionalità.

Essendo riferibile anche ai detenuti, la norma in commento si configura come una concreta applicazione del principio sancito dall’art.1 comma 3 della legge sull’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) dove si prevede che negli istituti «non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze» di ordine e disciplina «o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari».

Deve altresì essere raccordata con l’art. 285 comma 2 c.p.p. ai sensi del quale la persona sottoposta a custodia carceraria «non può subire limitazione della libertà», prima del trasferimento in istituto, «se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione».

Nell’esaurire l’analisi delle disposizioni generali osserviamo che, in base all’art. 278 c.p.p., per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, il codice, sulla scia della legge delega, impone di considerare la pena detentiva prevista in astratto nel massimo per ciascun reato tentato o consumato. «Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4

(18)

c.p. nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale».

Nel contesto delle eccezioni alla regola della irrilevanza delle circostanze del reato, il legislatore non fa alcun cenno alla minore età dell’imputato. A ben vedere, la ratio di tale omissione deriva dal fatto che, tale circostanza, rilevando unicamente nei procedimenti penale appartenenti alla competenza esclusiva del Tribunale per i minorenni, trova più propriamente la sua disciplina nell’apposita sede della legislazione penale minorile39.

39

(19)

Il sistema cautelare nel codice di rito vigente

Come evidenziato nel capitolo precedente, l’art. 275 c.p.p., sin dalla sua stesura originale, ha fissato i criteri cui il giudice deve attenersi nella scelta della misura cautelare più idonea da adottare. In particolare, in ossequio al principio di adeguatezza deve obiettivarsi una stretta corrispondenza tra le esigenze di cui si reputa indispensabile la salvaguardia e il provvedimento cautelare da adottare40. Per il principio di proporzionalità, la misura applicata, alla luce di una prognosi di colpevolezza allo stato degli atti, deve risultare in costante rapporto con l’entità del fatto contestato e la pena che si ipotizza possa essere irrogata.

Focalizzando l’attenzione sul tema centrale di questa trattazione è possibile osservare che il contenuto dell’art. 275 comma 3 c.p.p. è frutto di una serie di stratificazioni normative volte ad imporre un trattamento cautelare di maggiori rigore nei confronti di coloro ai quali si addebitino reati di particolare gravità41.

Nel corso del 1991 – sulla scorta della legislazione d’emergenza dovuta alla recrudescenza del fenomeno mafioso – la norma in esame è stata oggetto di due importanti modifiche intervenute nell’arco di pochi mesi l’una dall’altra.

La prima operazione legislativa in materia è costituita dal decreto legge 13 maggio 1991 n. 152, recante «provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa», convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203. Tale provvedimento – noto anche per aver previsto un meccanismo di incentivazione della cooperazione con la giustizia con riferimento ai reati di mafia – ha aggiunto un periodo all’art. 275 comma 3 c.p.p. In

40

G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, in Diritto penale e processo n. 2/2012, p.

224

41

L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

(20)

particolare, «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 285, 286, 416 bis e 422 c.p., a quelli, consumati o tentati, di cui agli artt. 575, 628, comma 3 , 629 comma 2 , e 630 c.p., ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni ovvero ai delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'art. 2 comma 3 , della legge 18 aprile 1975 n. 110, ovvero ai delitti di cui agli artt. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80 comma 2 e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che le stesse possono essere soddisfatte con altre misure». Quindi, ne discende una precisa indicazione nel senso dell’applicazione della misura carceraria per i reati di criminalità organizzata, ma, al contempo, viene riconosciuta al giudice la possibilità di valutare se le esigenze cautelari del caso concreto possano essere soddisfatte con altre misure42.

A distanza di soli due mesi – «ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di evitare che imputati di gravissimi reati possano avvalersi

42

G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

(21)

degli arresti domiciliari» – in virtù del decreto legge 13 maggio 1991 n. 292, convertito in legge 8 novembre 1991 n. 356, il giudice, di fronte alla contestazione di uno dei delitti previsti dal comma 3 , non può più optare per gli arresti domiciliari o per qualche altra misura meno gravosa, in luogo della custodia in carcere. Quindi, in materia di scelta dei provvedimenti de libertate, viene ripudiato uno dei cardini della riforma che prevedeva in tutti i casi una valutazione discrezionale del giudice, ispirata ai principi di proporzionalità ed adeguatezza43. In altri termini, il giudice sebbene conservi la possibilità di valutare la non sussistenza di pericula libertatis si trova ora di fronte alla scelta tra il disporre la custodia in carcere e il non applicare alcuna misura. Da ciò si desume che «alla stregua della nuova formulazione dell’art. 275 comma 3 c.p.p. quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine a taluno dei delitti indicati, l’esistenza di esigenze cautelari tali da imporre la custodia in carcere è presunta salvo prova contraria dalla legge. Non è pertanto richiesta, in detta ipotesi, nell’ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere, una specifica motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze in questione»44. L’obbligo di motivazione è limitato al profilo del fumus commissi delicti, salva l’ipotesi in cui occorra argomentare le ragioni che inducono a ritenere superata la presunzione di cui sopra45.

In definitiva, nella scelta delle misure coercitive di regola non sono ammesse presunzioni ma, in via di eccezione, fin dal 1991 sono state introdotte due presunzioni, una iuris tantum di ricorrenza delle esigenze cautelari, ed una iuris et de iure di adeguatezza della custodia in carcere per taluni gravi delitti46. In tal modo il potere di controllo giurisdizionale risulta significativamente ridimensionato dal

43 G. Illuminati, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, in

AA.VV., Misure cautelari e diritto di difesa nella legge 8 agosto 1995 n. 332, a cura di V. Grevi, Milano, Giuffré, 1995, p. 92

44 Corte di Cassazione, 11 febbraio 1992 45

In tal senso, Corte di Cassazione, 16 marzo 1992

46

(22)

momento che l’accertamento circa la sussistenza delle esigenze cautelari non interviene per fondare la misura de libertate bensì per escluderla47.

Su tale assetto il legislatore intervenne nuovamente nel 1995 nella direzione di una controriforma avente lo scopo dichiarato di circoscrivere l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere ai soli reati direttamente riconducibili alla criminalità mafiosa48. Infatti, questa ennesima modifica del tormentato comma 3 è in senso opposto a quelle che l’avevano preceduta e, in particolare, alla inclusione di tutto il gruppo di reati più gravi per i quali di fatto era stata ripristinata una figura anomala di obbligatorietà della misura carceraria con il ponte concettuale di una sorta di presunzione di pericolosità49.

Analizzando il contesto storico in cui si inserisce la legge 8 agosto 1995 n. 332 appare pacifica la considerazione secondo cui il paese ha attraversato un periodo connotato da forte criticità dovuta tanto al disvelamento di un fenomeno fortemente diffuso di corruzione politico – amministrativa quanto al radicalizzarsi della connotazione stragistico – terroristica della criminalità mafiosa (si pensi alle stragi di Palermo del 1992 e agli attentati di Roma, Milano e Firenze del 1993)50. Sulla scorta di questo scenario è maturata la consapevolezza della necessità di intervenire sul terreno del diritto penale attraverso una legislazione di tipo emergenziale, idonea a rendere più incisivo l’intervento repressivo statale.

Con la legge di riforma del 1995 il sistema del «doppio binario» non è stato sostanzialmente modificato: nel codice di rito

47 G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 225

48 L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

l’opera demolitrice della giurisprudenza delle Supreme Corti, op. cit., p. 2135

49 A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa (legge 8 agosto 1995 n. 332),

Torino, Giappichelli, 1995, p. 39

50 G.C. Caselli e A. Ingroia, Gli effetti della legge 8 agosto 1995 n. 332 sui

procedimenti relativi ai reati di criminalità organizzata, in AA.VV., Misure cautelari e diritto di difesa nella legge 8 agosto 1995 n. 332, a cura di V. Grevi, op. cit., p. 349

(23)

permane un regime cautelare differenziato applicabile ai soli procedimenti riguardanti reati di criminalità organizzata51.

Si assiste, però, ad una drastica riduzione dell’elenco dei reati per i quali vige la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Infatti, il legislatore ha riscritto l’art. 275 comma 3 c.p.p. prevedendo che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 416 bis c.p. o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari». Quindi, viene espunta dalla previsione normativa tutta una serie di altri gravi reati che vengono riportati nell’ambito del regime ordinario52. In particolare, si allude ai reati previsti dagli artt. 285 («Devastazione, saccheggio o strage» commessa al fine di attentare alla sicurezza dello stato), 286 («Guerra civile»), 422 («Strage»), 575 («Omicidio»), 628 comma 3 («Rapina» aggravata), 629 comma 2 («Estorsione» aggravata), 630 c.p.(«Sequestro di persona a scopo di

rapina o di estorsione»); i delitti commessi con finalità di terrorismo o

di eversione dell’ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni; alcuni reati particolarmente gravi in materia di armi; le più gravi ipotesi di traffico di sostanze stupefacenti e il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga53.

Evidentemente il legislatore ha voluto mantenere il regime speciale solo per i delitti stricto sensu mafiosi, ritenendo ingiustificato il sacrificio dei principi generali in materia anche nei procedimenti per altri gravissimi delitti che rientrano sicuramente nella più ampia

51

G.C. Caselli e A. Ingroia, op. cit., p. 354

52 G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 226

53

G.C. Caselli e A. Ingroia, Gli effetti della legge 8 agosto 1995 n. 332 sui

(24)

nozione di criminalità organizzata: la nuova scelta legislativa è quindi quella di ripristinare il sistema originario del codice, riaffermando la regola generale della separazione tra titolo di reato e misura cautelare54.

E’ da notare che la legge n. 332 del 1995 ha introdotto un elemento di disarmonia: la riformulazione in termini restrittivi della categoria dei delitti di mafia, infatti, non corrisponde ad alcuna delle definizioni normative già presenti nel sistema. In particolare, il rischio è quello di mettere in discussione la validità delle scelte che presiedono alla formulazione dell’art. 51 comma 3 bis c.p.p. a norma del quale il legislatore attribuisce alla competenza delle Procure distrettuali antimafia tutti i procedimenti aventi ad oggetto, oltre ai reati di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p. come risultante dalle modifiche del 1991, anche il sequestro di persona a scopo di estorsione e l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti55.

E’ stato osservato che, allo scopo di assicurare la coerenza sistematica, le strade percorribili sarebbero state due: ancorare l’art. 275 comma 3 c.p.p. al contenuto dell’art. 51 comma 3 bis c.p.p. oppure considerare la riforma del 1995 come una consapevole revisione del contenuto della categoria dei reati di mafia e, conseguentemente, modificare anche l’art. 51 comma 3 bis c.p.p., sottraendo quindi alla competenza delle Procure distrettuali antimafia i procedimenti per i reati come il sequestro di persona a scopo di estorsione e l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Per completezza espositiva appare doveroso ricordare che la legge n. 332 del 1995 ha modificato ulteriori profili del sistema cautelare. Innanzitutto, il legislatore ha ridefinito alcuni tra i presupposti caratterizzanti i pericula libertatis di cui all’art. 274 c.p.p.

54 E. Zappalà, Commento agli articoli 4 e 5, in AA. VV., Modifiche al codice di

procedura penale, Padova, Cedam, 1995

55

(25)

La tutela delle indagini dal pericolo di inquinamento probatorio, unitamente alla pericolosità della persona sottoposta alle indagini, costituisce uno dei punti nevralgici della tematica cautelare56. Alla luce di questo, la lettera a del comma 1 dell’art. 274 c.p.p. è stata sostituita dalla seguente: «quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti».

Richiedendo che le esigenze attinenti alle indagini oltre ad essere inderogabili siano «specifiche», il legislatore ha voluto sottolineare la necessità che venga preventivamente individuato dal giudice l’oggetto della tutela, da cui discende l’illegittimità della misura cautelare adottata laddove ancora non siano noti la natura delle prove da acquisire e il tipo di atti di indagine da compiere. In estrema sintesi, la voluntas legis è quella di scongiurare il rischio che la coercizione cautelare si trasformi in uno strumento di ricerca delle prove57.

Quanto all’attualità del pericolo – sebbene in dottrina, all’indomani della entrata in vigore della riforma del 1995, non siano mancati commenti ironici a causa dell’apparente pleonasmo della puntualizzazione di tale presupposto («caso mai a qualcuno venisse in mente di dare rilievo a un pericolo passato o futuro»58) – essa non impone un giudizio di certezza in ordine alla realizzazione di un

56 A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa, op. cit., p. 13

57 G. Illuminati, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, op.

cit., p. 78

58

(26)

pregiudizio circa l’acquisizione o la genuinità delle prove, ma postula una diagnosi, necessariamente orientata al futuro, in termini di ragionevole ed elevata probabilità59.

Asserendo che le indagini in parola debbano essere relative ai fatti per cui si procede la norma pone l’accento sulla motivazione oggettiva della prova in pericolo ed al contempo vieta che si possa andare alla ricerca della prova di fatti che assumono rilievo nel contesto di indagini proiettate all’esterno o verso il futuro60

.

L’ultimo periodo della lettera a dell’art. 274 c.p.p. – che a parere di taluno passerà alla storia della legislazione processuale penale come una gemma della sicurezza giuridica61 – vieta espressamente di valutare il rifiuto di rendere dichiarazioni o la mancata ammissione degli addebiti come situazione di pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova. Quindi, in nessun caso l’esercizio del diritto al silenzio, da parte della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, può essere posto a fondamento, sul terreno del periculum libertatis, di una misura cautelare disposta a suo carico e, a maggior ragione, nessuna misura cautelare può venire legittimamente adottata allo scopo di indurre l’imputato stesso a collaborare con l’autorità giudiziaria62

. Tale disposizione – espressione di un principio di notevole civiltà giuridica a ben vedere ricavabile implicitamente dal sistema ed esplicitamente dal Patto Internazionale sui diritti civili e politici (art. 14 comma 3 lett. g)63 – costituisce un tentativo di reagire agli abusi verificatisi nella prassi applicativa64. Infatti, rappresenta un segno non esaltante dei tempi che la produssero e si configura quale indice interpretativo, in sede di controllo della

59 Così Corte di Cassazione 18 agosto 1992

60 A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa, op. cit., p. 17

61 G. Giostra, Art. 9 legge 8 agosto 1995 n. 332, in AA.VV., Misure cautelari e

diritto di difesa nella legge 8 agosto 1995 n. 332, a cura di V. Grevi, op. cit., p. 305

62 G. Conso e V. Grevi, Compendio di Procedura Penale, op. cit., p. 397

63 B. Bocchini, L’accertamento degli indizi e delle esigenze cautelari, in A. Gaito, La

prova penale, Padova, Utet, I, p. 541

64

(27)

motivazione, idoneo a verificare, quantomeno per via di esclusione, che le esigenze cautelari richiamate non nascondano quella vera non consentita65. In sostanza, la nuova disposizione introduce una regola di prova legale negativa, la cui violazione si risolve in un vizio della motivazione del provvedimento.

La legge n. 332 del 1995, con riferimento al pericolo di commissione di reati di cui all’art. 274 comma 1 lett. c c.p.p., ha precisato che il giudizio sulla personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato deve essere desunto da comportamenti o atti concreti o dai precedenti penali. Da tale modifica si evince che la valutazione negativa sulla personalità dell’imputato non può ricavarsi apoditticamente dalla gravità del fatto né tanto meno dal tipo di reato. In altre parole, non dovrà trattarsi di un giudizio di tipo ipotetico ma esso dovrà essere specificamente ancorato ad elementi sintomatici dell’esistenza del pericolo in questione66

.

Sempre nell’ottica di un chiaro tentativo di tipizzazione della «discrezionalità vincolata» nel giudizio sulla pericolosità sociale della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato67

– il requisito della concretezza che deve connotare gli elementi rivelatori del pericolo postula la sussistenza di dati non meramente congetturali, cioè, vieta l’utilizzo di criteri semplicemente presuntivi nonché di valutazioni di carattere generale che, seppur empiricamente fondate, non presentano alcuna correlazione con i fatti del procedimento68.

Vi è un ulteriore limite che attiene al pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si addebitato: in tale evenienza, la custodia cautelare (in carcere o altrove) può essere disposta soltanto con riferimento a delitti per cui è

65 A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa, op. cit., p. 20 66

G. Illuminati, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, op.

cit., p. 85

67 A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa, op. cit., p. 25 68

G. Illuminati, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, op.

(28)

prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni69.

Con l’art. 4 della legge di riforma del 1995 all’art. 275 c.p.p. è stato inserito il comma 2 bis ai sensi del quale «non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena». La norma in parola è stata oggetto di critiche da parte della dottrina, sia con riferimento alla mancanza di criteri in base ai quali il giudice possa operare il giudizio prognostico che gli viene affidato, sia in ragione del fatto che pare ispirata ad una concezione di ordine prettamente sostanzialistico della custodia cautelare, quasi si trattasse di una sorta di anticipazione della pena70.

Peraltro, il comma 2 bis ha prestato il fianco a delle perplessità circa l’opportunità della norma stessa. In particolare, l’art. 273 comma 2 c.p.p. – secondo il quale nessuna misura può essere applicata se risulta una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata – a parere di taluno sarebbe espressivo della medesima regola generale. In altri termini, già da questa norma si sarebbe potuto ragionevolmente ricavare il divieto di disporre misure cautelari in caso di prevedibile applicazione della sospensione condizionale, inserendolo in tal modo tra le menzionate cause di estinzione71.

Al di là delle perplessità interpretative cui si è accennato, è pacifico che la valutazione prognostica debba avere luogo in concreto, al fine di riscontrare l’esistenza di tutti i presupposti per la concessione della sospensione condizionale, quindi, senza limitarsi a verificarne l’astratta possibilità72

.

69

P. Tonini, Manuale di Procedura Penale, op. cit., p. 420

70 G. Conso e V. Grevi, Compendio di Procedura Penale, op. cit., p. 398

71 G. Illuminati, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, op.

cit., p. 90

72

(29)

Infine, il legislatore, modificando il testo dell’art. 275 comma 4 c.p.p., ha ampliato le ipotesi in cui, in presenza di particolari condizioni soggettive dell’imputato, il giudice, «salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza» – cioè puntuali e specifici elementi da cui emerge un non comune, spiccante, allarmante rilievo di taluni dei pericula di cui all’art. 274 c.p.p.73 – non può disporre la custodia cautelare in carcere dovendo così optare per altre misure de

libertate. In particolare, la custodia carceraria non può trovare

applicazione laddove «imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l’età di settanta anni o che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere».

Da una panoramica delle principali modifiche apportate dalla legge n. 332 del 1995 – recante il titolo «Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa» – appare evidente che il leit

motiv delle nuove norme, sotto il profilo della tecnica legislativa,

sembra essere stato un arricchimento della specificità nella descrizione legale dei presupposti della disciplina cautelare, tendente a rendere più rigorose le motivazioni e, conseguentemente, più agevole la censura di legittimità in termini di autonomia logico – giuridica del provvedimento de libertate74.

Come si può agevolmente constatare, diversi interventi normativi hanno inciso profondamente sull’opzione – introdotta con la riforma del codice di rito del 1988 – a favore di un regime cautelare completamente affidato al corretto esercizio del potere discrezionale da

73

Corte di Cassazione, 15 giugno 2004

74

(30)

parte del giudice nella scelta della misura più adeguata al caso concreto75.

Dopo un lungo periodo di inattività legislativa, sull’art. 275 comma 3 c.p.p. è intervenuto il decreto legge 23 febbraio del 2009 n. 11, convertito con legge 23 aprile 2009 n. 38, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori».

Il provvedimento in esame – difficilmente qualificabile come attività legislativa dell’emergenza – si colloca nel contesto della c.d. «legislazione emozionale». Infatti, si pone in un rapporto di consequenzialità diretta con l’enfatizzazione mediatica di alcune pronunce in materia di reati a sfondo sessuale, in cui i giudici avevano reputato sufficiente la misura degli arresti domiciliari a fronte delle specifiche esigenze cautelari da fronteggiare76.

A dimostrazione di ciò vi è il fatto che il ricorso alla decretazione d’urgenza – come si legge nel preambolo – è stato giustificato dalla «straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale».

In altri termini, si riscontra un «intreccio tra tecniche di intervento normativo (esemplari e rassicuranti) e speculare induzione del bisogno attraverso metodi di accrescimento dell’insicurezza, assecondato dal sapiente governo dei più diffusi mezzi di comunicazione mediatica»77.

Con il decreto legge n. 11 del 2009 il legislatore ha ampliato il numero e la tipologia delle fattispecie di reato per le quali – in

75 S. Fùrfaro, Le limitazioni alla libertà personale consentite, in AA. VV., Le misure

cautelari personali, a cura di G. Spangher e C. Santoriello, Torino, Giappichelli,

2010, p. 77

76 G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 226

77

R. Magi, Norme processuali, garanzie dell’individuo e custodia cautelare

(31)

presenza di gravi indizi di colpevolezza e non essendo stati acquisiti elementi tali da escludere la sussistenza di esigenze cautelari – si impone l’adozione della misura cautelare della custodia in carcere78

. Quindi, per effetto della novella del 2009 il c.d. sistema del doppio binario è stato esteso a tutti i delitti elencati negli artt. 51 comma 3 bis79 e 3 quater80 c.p.p., nonché a quelli di cui agli artt. 575 («Omicidio»), 600 bis comma 1 («Prostituzione minorile»), 600 ter («Pornografia minorile») esclusa l’ipotesi di offerta o cessione ad altri del materiale pornografico di cui al comma 4 , 600 quinquies («Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione

minorile»), 609 bis («Violenza sessuale»), 609 quater («Atti sessuali con minorenni») e 609 octies c.p. (Violenza sessuale di gruppo),

sempre che non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate in queste tre ultime disposizioni81.

Da ciò consegue che il giudice, in presenza di determinate fattispecie di reato, sebbene non convinto della necessità nel caso concreto di applicare la misura più afflittiva, si vede costretto a scegliere tra la custodia inframuraria o lo stato di libertà: tertium non

datur82.

78

L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

l’opera demolitrice della giurisprudenza delle Supreme Corti, op. cit., p. 2135

79

Si fa riferimento ai delitti, consumati o tentati, di cui agli artt. 416 comma 6 c.p. («Associazione per delinquere» diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p.), 416 c.p. realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli artt. 473 («Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di

brevetti, modelli o disegni») e 474 c.p. («Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi»), 416 bis c.p., 600 c.p. («Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù»), 601 c.p. («Tratta delle persone»), 602 c.p. («Acquisto o alienazione di schiavi»), nonché alle fattispecie associative di cui all’art. 74 del d.p.r.

n. 309 del 1990 («Associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti»), all’art. 291 quater del d.p.r. n. 43 del 1973 («Associazione per delinquere finalizzata

al contrabbando di tabacchi lavorati esteri») e all’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006

(«Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti»)

80 La norma prende in considerazione i delitti, consumati o tentati, con finalità di

terrorismo.

81 E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di

pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, in Legislazione Penale, n. 4/2010, p. 500

82

(32)

In estrema sintesi, l’art. 275 comma 3 c.p.p. fonda due presunzioni: per un verso, configura in capo alla persona cui viene contestato uno dei suddetti delitti una forte presunzione relativa di

periculum libertatis, di modo che per adottare una misura cautelare

non si impone più una verifica in concreto della sussistenza di esigenze cautelari83, bastando, al contrario, la mancata acquisizione di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze medesime; per altro verso, vige una presunzione a carattere assoluto circa la scelta del provvedimento de libertate, cioè, la custodia in carcere cessa di costituire un’extrema ratio e diventa la sola misura applicabile dal giudice della cautela in presenza di gravi indizi di colpevolezza per una o più delle fattispecie di reato indicate dal legislatore84.

Conseguentemente in capo al giudice incombe un vero e proprio onere di motivazione negativa circa la non sussistenza in concreto di esigenze cautelari, tutte le volte in cui ritenga di non dover disporre quest’ultima misura.

Si osservi che tale meccanismo dovrebbe concretare, dal punto di vista del giudice, «una sorta di scudo normativo di fronte al rischio delle minacce o dei condizionamenti cui lo stesso potrebbe venire sottoposto, soprattutto nel contesto dei procedimenti per i delitti di criminalità organizzata»85.

83 Dissente da questa lettura S. Fùrfaro secondo cui «di presunzione è possibile dire

soltanto in relazione alla gravità delle esigenze individuate, giammai in relazione all’esistenza delle esigenze medesime che, in ogni caso, secondo il catalogo indicato dall’art. 274 c.p.p., devono essere esplicitamente individuate»

84 L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

l’opera demolitrice della giurisprudenza delle Supreme Corti, op. cit., p. 2136

85

(33)

L’evoluzione giurisprudenziale

Come descritto nel capitolo precedente, in relazione alle fattispecie criminose contemplate dall’art. 275 comma 3 c.p.p. è stata sottratta al giudice la facoltà di scegliere la misura cautelare più adeguata al caso concreto, configurando una presunzione relativa di sussistenza del periculum libertatis, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, ed una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere86. In definitiva, il legislatore ha introdotto una deroga ai principi di adeguatezza e proporzionalità, stabiliti nella prima parte della norma in commento.

Su tale sistema, è stato invocato a più riprese il controllo dei Giudici della Consulta, i quali, in molteplici occasioni, sono intervenuti a ridimensionare significativamente il campo di operatività e la portata della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere come definita dalla riforma del 200987.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 comma 3 c.p.p. è stata sollevata per la prima volta con riferimento ai delitti di mafia stricto sensu. In particolare, nella primavera del 1995 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze – dovendo deliberare sulla richiesta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere, precedentemente disposta nei confronti di persona sottoposta alle indagini per taluni delitti aggravati dalla finalità di agevolazione di associazioni di tipo mafioso – lamentando la violazione degli artt. 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 cost. ha sollevato l’incidente di costituzionalità.

Come si legge dall’ordinanza di rimessione, secondo il giudice a quo le concrete evenienze della vicenda «sono tali da far

86 G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietà della custodia carceraria anche per il

traffico di sostanze stupefacenti, in Diritto penale e processo, n. 2/2012, p. 174

87

L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

Riferimenti

Documenti correlati

7 In dottrina, da ultimo, v. D ELL ’A NNO , Specificità ed inammissibilità dell’atto di impugnazione a seguito della riforma Orlando, in Arch. C ARNEVALE , I limiti

Si può dire, in estrema sintesi, che, di default, le madri di prole di età non superiore ai sei anni non possono essere sottoposte alla custodia cautelare in carcere: così è,

Riassunto: Il grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane, tale da integrare un vero e proprio «trattamento inumano e degradante» secondo la giurisprudenza della

29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la

97-bis (Modalita' di esecuzione del provvedimento che applica gli arresti domiciliari). A seguito del provvedimento che sostituisce la misura della custodia cautelare in carcere

44 Ordinanza del 21 agosto 2012, n. C HIAVARIO , Merito e metodo, cit., 2, le perplessità suscitate dalla sentenza della Cassazione riguardano lo strumento da essa

Rapport Leger, Rapport du Comité de réflexion sur la justice pénale, trasmesso il 1° settembre 2009 al Presidente della Repubblica e al Primo Ministro francesi, in

La vicenda processuale e l’incostituziona- lita` della presunzione assoluta della sola adeguatezza della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt.. Restrizioni