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adempiere In tal senso Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 1 luglio 1961,

Lawless c. Irlanda

196 Nella lettera e è possibile sussumere le fattispecie di privazione della libertà di

soggetti nei confronti dei quali la detenzione può essere giustificata sia per ragioni sanitarie, sia per ragioni di sicurezza pubblica, oppure per entrambe

197

AA. VV., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op.

cit., p. 124

198 Si pensi al caso Lawless c. Irlanda del 1 luglio 1961 nell’ambito del quale

l’interessato era stato detenuto per prevenire la commissione di reati di stampo terroristico e non era mai stato destinatario di un’accusa penale

La Corte europea – rigettando tale interpretazione – ha sottolineato che l’espressione «per esser tradotto dinnanzi all’autorità giudiziaria competente» si riferisce a tutti i casi di arresto o di detenzione presi in considerazione dalla lettera c199.

Peraltro, il combinato disposto del comma 1 lettera c e del comma 3 della norma in commento permette di affermare che la Convezione europea legittimi solo la custodia cautelare di chi è sospettato di aver commesso un delitto e debba essere condotto dinnanzi all’organo giurisdizionale per essere giudicato, con conseguente esclusione delle misure di prevenzione ante delictum200.

In altri termini – poiché la disposizione in parola è in un rapporto di stretta correlazione con il comma 3 con cui forma un

unicum – la lettera c riguarda esclusivamente la privazione della libertà

disposta nel contesto di un procedimento penale e finalizzata a condurre la persona interessata davanti all’autorità giudiziaria201; rimane, invece, estranea all’ambito di applicazione della norma in esame la privazione di libertà conseguente all’adozione di una misura di prevenzione.

Inoltre, sul piano testuale, risulta ambiguo il nesso che intercorre tra le singole ragioni giustificatrici e la restrizione della libertà. Infatti, il tenore della lettera c potrebbe ingenerare una confusione concettuale tra i gravi indizi di colpevolezza e i pericula

libertatis, dal momento che gli uni e gli altri vengono elencati alla

stregua di presupposti autonomi e tra loro alternativi delle misure coercitive202.

Tale dubbio interpretativo discende dal fatto che – a differenza di quanto avviene nel codice di procedura penale italiano

199

Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 22 febbraio 1989, Ciulla c. Italia

200 O. Mazza, La libertà personale nella costituzione europea, op. cit., p. 53

201 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 24 marzo 2005, Epple c. Germania;

sentenza 31 luglio 2000, Jecius c. Lituania

202

del 1988 – la Convenzione europea non distingue tra condizioni generali di applicabilità della misura ed esigenze cautelari203.

In realtà, la giurisprudenza di Strasburgo ha precisato che il

fumus commissi delicti costituisce il presupposto indefettibile che deve

precedere ed accompagnare nel tempo la sussistenza di concrete esigenze cautelari.

Quindi, l’esistenza di un ragionevole sospetto rappresenta la

condicio sine qua non della detenzione di cui alla lettera c.

La Corte europea richiede che il sospetto sia plausibile: ciò significa che gli elementi probatori devono essere tali da indurre in un osservatore obiettivo il convincimento che la persona interessata da un provvedimento de libertate possa aver commesso il reato che le è stato contestato204.

A ben vedere, gli elementi da cui si desumono le ragioni plausibili di sospetto – cioè lo standard probatorio richiesto ai fini della detenzione ante iudicatum – non devono essere connotati dal medesimo livello di persuasività necessario per motivare una sentenza di condanna o anche semplicemente per giustificare la formulazione dell’imputazione elevata nei confronti del sospettato205

.

Ora, dopo un certo lasso di tempo, la ragionevole probabilità di commissione di un reato non può giustificare da sola la prosecuzione della custodia cautelare di un soggetto presunto innocente: diversamente opinando, la carcerazione preventiva finirebbe per essere utilizzata per anticipare la sanzione restrittiva della libertà personale206.

Da questo punto di vista, la Corte europea è chiamata a stabilire se le ulteriori ragioni addotte dall’autorità giudiziaria

203 G. Ubertis, Principi di procedura penale europea, Le regole del giusto processo,

Milano, Cortina Raffaello, 2009, p. 107

204 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 aprile 2000, Labita c. Italia 205 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 14 gennaio 1997, Contrada c. Italia 206

AA. VV., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op.

nazionale continuino a legittimare la privazione della libertà, rivelandosi rilevanti e sufficienti.

Si osservi che, davanti alla Corte di Strasburgo lo Stato membro non può far valere esigenze cautelari o elementi probatori diversi da quelli valutati dalle autorità giudiziarie nazionali.

La giurisprudenza della Corte europea individua quattro possibili giustificazioni del prolungamento della detenzione preventiva. Tali fattispecie, per un verso, richiamano l’impostazione tipica delle legislazioni continentali caratterizzate dalla triade dei

pericula libertatis, per altro verso, rimandano alla raccomandazione

del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa (2006) 13, 27 settembre 2006 – sull’impiego della custodia preventiva, sulle condizioni per la sua applicazione e sulle garanzie contro l’abuso – che stabilisce che la detenzione preventiva può essere applicata unicamente se vi sono ragioni sostanziali per ritenere che l’imputato, se rilasciato, potrebbe darsi alla fuga oppure commettere un grave reato, o ancora, interferire con il corso della giustizia o, infine, rappresentare una seria minaccia per l’ordine pubblico.

Secondo la Corte di Strasburgo il pericolo di fuga non può desumersi esclusivamente dalla gravità delle sanzioni penali che la persona interessata da un provvedimento de libertate rischia di subire in caso di condanna. Infatti, devono essere presi in considerazione elementi concreti quali il carattere, la professione, le disponibilità economiche, i contatti internazionali del detenuto, nonché i suoi legami con il paese in cui è processato207.

Il pericolo di commissione di reati, invece, si fonda sull’esame degli eventuali precedenti penali specifici e sull’apprezzamento dei fatti oggetto di imputazione, tenendo conto soprattutto della continuazione, dell’entità dei danni cagionati e della

207

Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 30 settembre 2004, Kuibishev c. Bulgaria

pericolosità dell’autore, desumibile dalle stesse modalità esecutive dell’azione criminosa208

.

La terza possibile giustificazione della protrazione della detenzione detentiva è rappresentata dal pericolo di interferenze con il corso della giustizia che può tradursi nel pericolo che l’imputato inquini o distrugga le prove, suborni i testimoni o faccia pressione sugli stessi, oppure nel pericolo di collusione tra gli imputati, cioè il rischio che essi diano vita ad una concertazione fraudolenta209.

In particolare, per quanto attiene al pericolo di inquinamento probatorio, la Corte di Strasburgo ha stabilito che tale periculum

libertatis può essere invocato – e quindi è concepibile solo – con

riferimento all’inizio delle attività investigative ed è destinato a svanire man a mano che la raccolta delle prove si avvicina al termine. In ogni caso deve essere supportato da elementi concreti e non può essere ritenuto sussistente in astratto210.

Infine, la necessità di tutelare l’ordine pubblico è suscettibile di giustificare il protrarsi della detenzione solo in circostanze eccezionali, cioè, laddove si fondi su elementi concreti idonei a dimostrare che la rimessione in libertà del detenuto potrebbe effettivamente turbare l’ordine pubblico211

.

Si osservi che – posto il diritto al silenzio e la facoltà di contestare i fatti che gli vengono addebitati, nonché in considerazione della presunzione di innocenza – il mantenimento in carcere non può essere giustificato sulla base del rifiuto di ammettere la responsabilità da parte dell’imputato.

Alla luce di quanto fin qui esposto, è evidente che i giudici di Strasburgo sono chiamati ad esercitare un vaglio molto penetrante e, a

208 O. Mazza, La libertà personale nella costituzione europea, op. cit., p. 65 209

AA. VV., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op.

cit., p. 152

210 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 8 aprile 2004, Belchev c. Bulgaria 211

Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 novembre 1991, Kemmache c. Francia

tal proposito, richiedono che la motivazione del giudice nazionale alla base del provvedimento limitativo della libertà – rappresentando una garanzia fondamentale per l’interessato – sia effettiva. In altri termini, non si accontentano di spiegazioni laconiche, dell’uso di formule stereotipate oppure della mera ripetizione dei criteri previsti dalla legge212.

Peraltro, hanno affermato che qualsiasi sistema di detenzione obbligatoria durante il processo, è di per sé incompatibile con l’art. 5 comma 3 C.e.d.u. che, infatti, richiede alle autorità nazionali di giustificare la necessità della detenzione di un imputato presunto innocente213.

Di conseguenza, laddove vi sia una presunzione prevista dalla legge nazionale circa la sussistenza dei presupposti della custodia, l’esistenza delle ragioni che giustifichino la prevalenza della stessa rispetto alla regola della libertà personale andrà comunque dimostrata: infatti, la traslazione dell’onere probatorio in capo al prevenuto equivale a smentire il principio sancito dall’art. 5, secondo il quale la restrizione della libertà rappresenta un’eccezione ammissibile solo in una serie tassativa di casi.214

Tuttavia, occorre sottolineare che la Corte di Strasburgo ha assunto una posizione meno rigorosa con riferimento alla presunzione di esistenza delle esigenza cautelari di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p. e – pur premettendo che la presunzione in commento potrebbe risultare eccessivamente rigida – ha messo in luce il fatto che tale norma si

212 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 16 gennaio 2007, Solmaz c. Turchia 213 La previsione della carcerazione obbligatoria è stata esclusa dalla risoluzione del

Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa (65) 11, 9 aprile 1965, sulla detenzione preventiva; dalla raccomandazione del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa (80) 11, 27 giugno 1980, concernente la custodia cautelare durante il processo; dalla raccomandazione del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa (2006) 13, 27 settembre 2006, sull’impiego della custodia preventiva, sulle condizioni per la sua applicazione e sulle garanzie contro l’abuso

214

AA. VV., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op.

riferisce (nella versione precedente al 2009) ai delitti legati alla criminalità di stampo mafioso.

In particolare, nella sentenza Pantano c. Italia del 6 novembre del 2003, la Corte europea dei diritti dell’uomo – chiamata ad accertare se nel caso di specie l’art. 5 comma 3 c.p.p. fosse stato violato – si è pronunciata su un ricorso diretto a censurare l’irragionevole durata della custodia cautelare applicata nel contesto di una vicenda giudiziaria italiana, ed ha manifestato il proprio punto di vista su un aspetto assai controverso del nostro sistema cautelare, ovvero proprio sulla disciplina dettata dall’art. 275 comma 3 c.p.p. con riferimento alle imputazioni per reati di stampo mafioso215.

Il ricorrente – indagato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. – nel corso delle indagini preliminari era stato posto in carcere e, dopo aver trascorso gli ultimi mesi agli arresti domiciliari, era stato poi liberato per avere interamente scontato in regime cautelare la pena nel frattempo inflittagli in grado d’appello. Contro l’ordinanza applicativa della custodia inframuraria egli aveva avanzato richiesta di riesame ma senza successo. Successivamente, nel corso della detenzione aveva domandato a più riprese la revoca della misura de libertate ai sensi dell’art. 299 c.p.p., ma neppure tali istanze erano state accolte. Infine si era rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando l’illegalità della detenzione ante iudicium – nella fattispecie il ricorrente contestava la credibilità dei pentiti autori delle dichiarazioni che avevano costituito il requisito del fumus commissi delicti richiesto dall’art. 273 c.p.p. per l’applicazione di provvedimenti cautelari – e l’irragionevole durata della medesima.

Per quanto attiene al primo profilo – posto che nel caso di specie non vi erano elementi che facessero ritenere che la privazione della libertà imposta al ricorrente fosse in contrasto con la legislazione

215

G. Mantovani, Dalla Corte europea una “legittimazione” alla presunzione

interna – la Corte europea, innanzitutto, ha verificato la sussistenza degli estremi per ritenere plausibile sospettare che l’accusato avesse commesso il reato. In proposito, nonostante la delicatezza e talvolta l’ambiguità che possono connotare le dichiarazioni dei pentiti, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che alle autorità nazionali deve essere riconosciuto un ampio margine di apprezzamento in ordine alla valutazione della credibilità delle dichiarazioni di cui sopra.

Tuttavia, i giudici di Strasburgo si riservano un controllo sulla ragionevolezza delle conclusioni raggiunte dagli organi giurisdizionali nazionali. Nel caso di specie, hanno dichiarato irricevibile la doglianza avanzata sul punto dal ricorrente, rilevando che il giudizio che le autorità italiane avevano operato sulla credibilità delle dichiarazioni dei pentiti non era connotato da arbitrarietà in quanto fondato su ragioni logiche e pertinenti.

Con riferimento alla denuncia di eccessiva durata della custodia cautelare, all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo – chiamata ad analizzare le ragioni fondanti il mantenimento della detenzione – è stato portato il regime cautelare differenziato stabilito dall’art. 275 comma 3 c.p.p. per i reati di mafia.

In proposito vale la pena di ricordare che la raccomandazione R (80) 11 del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa sul tema della carcerazione provvisoria aveva affermato che quest’ultima «deve essere considerata come una misura eccezionale e non essere mai obbligatoria né utilizzata a fini punitivi […] e non può essere disposta se non quando l’interessato è legittimamente sospettato di aver commesso il reato addebitatogli e se vi sono serie ragioni per ritenere che esistano uno o più dei pericoli seguenti»: fuga, ostruzione del corso della giustizia, commissione di un grave reato. Però, subito di seguito, aveva precisato che «anche se non si potesse ritenere l’esistenza dei pericoli di cui sopra, la carcerazione provvisoria potrebbe tuttavia eccezionalmente giustificarsi in certi casi di reati

particolarmente gravi».216 Proprio a tale riserva per le imputazioni più allarmanti è possibile ricondurre l’art. 275 comma 3 c.p.p.

Si osservi che in linea generale, quindi, la Corte di Strasburgo richiede la presenza di elementi che dimostrino in concreto la pericolosità di un ritorno del sospettato allo stato libero e, al contempo, ritiene che la rigidità di un meccanismo presuntivo possa pregiudicare l’adattamento dell’intervento cautelare alle peculiarità del caso di specie217.

Tuttavia – sebbene la presunzione de qua rischi di impedire al giudice di adattare la misura de libertate alle esigenze del caso di specie218 – la Corte europea ha dichiarato che nel contesto dei delitti legati alla criminalità di tipo mafioso una presunzione legale di pericolosità si può giustificare laddove questa non sia assoluta e, quindi, si presti ad essere contraddetta mediante prova contraria.

Infatti, in ordine ai delitti di mafia si riscontra l’esistenza di una regola di esperienza sufficientemente condivisa per cui, nella generalità dei casi, emergerebbe un’esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere (non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità)219.

«La detenzione provvisoria delle persone accusate del delitto previsto dall’art. 416 bis c.p.p. in Italia è volta a recidere i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambiente criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano dei contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e

216 Raccomandazione R (80) 11 del Comitato dei Ministri degli Stati membri del

Consiglio d’Europa, in Indice penale, 1981, p. 821

217 G. Mantovani, Corte europea dei diritti dell’uomo e criminalità organizzata: un

delicato equilibrio tra garanzie ed efficienza, in Legislazione penale, 2008, p. 52

218 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 16 novembre 2000, Vaccaro c. Italia 219 E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di

pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, op. cit., p. 503

possano commettere nel frattempo dei delitti della stessa specie». Quindi, «la Corte tiene conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata specialmente di tipo mafioso, e considera che il legislatore italiano possa ragionevolmente ritenere, di fronte alla particolare criticità delle inchieste sulla mafia condotte dalle autorità italiane, come quella condotta contro il ricorrente, che le misure preventive si impongono in ragione di un’effettiva esigenza di interesse pubblico, specialmente per la difesa dell’ordine e della sicurezza pubblici, così come per la prevenzione degli illeciti penali».220

Tali considerazioni permettono alla sentenza Pantano di escludere l’irragionevolezza o l’arbitrarietà delle decisioni nazionali che per fondare il mantenimento in carcere del ricorrente avevano fatto riferimento alla presunzione stabilita dall’art. 275 comma 3 c.p.p.221

Quindi, ad avviso dei giudici di Strasburgo, l’appartenenza del reato contestato al ricorrente alla criminalità di stampo mafioso può giustificare un avanzamento – seppur non illimitato – delle ragioni dell’efficienza della giustizia a scapito delle esigenze di tutela della libertà personale, in nome della difesa dell’ordine e della sicurezza pubblici e della prevenzione degli illeciti penali.

In altri termini, le peculiarità del fenomeno mafioso consentono un arretramento della tutela della libertà personale a vantaggio dell’efficienza della giustizia.

In definitiva, la Corte europea ha ritenuto che, nei processi riguardanti la criminalità organizzata, la concreta sussistenza dei

pericula libertatis possa essere oggetto di una presunzione non

assoluta, vincibile dalla prova contraria222.

220 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 8 giugno 1999, Messina c. Italia 221 G. Mantovani, Dalla Corte europea una “legittimazione” alla presunzione

relativa di pericolosità degli indiziati per mafia, op. cit., p. 516

222

A questo punto si impongono alcune considerazioni conclusive.

In primis, è pacifico che l’appartenenza dell’illecito in

oggetto ai reati di mafia autorizzi sì restrizioni del diritto alla libertà personale, ma, al contempo, non rappresenti una deroga al divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti, che nel sistema della Convenzione europea si pone tra «i valori fondamentali delle società democratiche».223

In secondo luogo, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo obbliga le autorità nazionali a verificare se le condizioni che giustificano la detenzione possano essere soddisfatte mediante misure diverse dalla custodia cautelare in carcere224.

Peraltro, anche la raccomandazione R (2006) 13 del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa – superando la precedente raccomandazione (80) 11 – esclude la possibilità di applicare misure custodiali pending trial in mancanza di una verifica della sussistenza dei pericula libertatis e della impossibilità di disporre misure alternative alla detenzione per fronteggiare le esigenze del caso di specie.

A ben vedere, dallo stesso art. 5 C.e.d.u. si ricava l’obbligo per gli Stati di predisporre e di considerare l’esistenza di misure alternative alla detenzione.225

Conseguentemente, a prescindere dalla specifica richiesta della parte, sull’autorità giudiziaria incombe l’onere di verificare se le condizioni che giustificano la detenzione possano essere soddisfatte con misure non custodiali, disponendo, in tale eventualità, l’immediata liberazione del soggetto. Quindi, laddove vi sia la possibilità di

223

Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 24 agosto 1998, Contrada c. Italia

224 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 maggio 2006, Mitcha c. Polonia;

sentenza 8 novembre 2007, Lelièvre c. Belgio

225

P. Spagnolo, Il tribunale della libertà tra normativa nazionale e normativa

applicare una misura per così dire sostitutiva, la perdurante detenzione è da considerarsi unlawful.

In estrema sintesi – posto che anche nel contesto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali la custodia cautelare in carcere rappresenta una vera e propria extrema ratio, e considerando che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sottolinea a chiare lettere l’importanza di calibrare un provvedimento de libertate sulle circostanze del caso concreto – risulta difficile credere che la Corte europea tolleri l’assolutezza della presunzione di adeguatezza della custodia carceraria prevista dall’art. 275 comma 3 c.p.p.

Tuttavia, è lecito pensare che le considerazioni illustrate dai giudici di Strasburgo in tema di presunzione di sussistenza di esigenze cautelari a fronte di delitti riconducibili alla criminalità di stampo mafioso possano estendersi alla praesumptio di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. In quest’ottica, la Corte europea, pur non essendosi pronunciata direttamente sulla presunzione di adeguatezza della custodia inframuraria, pare riconoscerne la legittimità – vale la pena di ripeterlo, con riferimento ai delitti di mafia – laddove la presunzione de qua sia suscettibile di prova contraria e, quindi, superabile.