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L’evoluzione giurisprudenziale

Come descritto nel capitolo precedente, in relazione alle fattispecie criminose contemplate dall’art. 275 comma 3 c.p.p. è stata sottratta al giudice la facoltà di scegliere la misura cautelare più adeguata al caso concreto, configurando una presunzione relativa di sussistenza del periculum libertatis, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, ed una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere86. In definitiva, il legislatore ha introdotto una deroga ai principi di adeguatezza e proporzionalità, stabiliti nella prima parte della norma in commento.

Su tale sistema, è stato invocato a più riprese il controllo dei Giudici della Consulta, i quali, in molteplici occasioni, sono intervenuti a ridimensionare significativamente il campo di operatività e la portata della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere come definita dalla riforma del 200987.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 275 comma 3 c.p.p. è stata sollevata per la prima volta con riferimento ai delitti di mafia stricto sensu. In particolare, nella primavera del 1995 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze – dovendo deliberare sulla richiesta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere, precedentemente disposta nei confronti di persona sottoposta alle indagini per taluni delitti aggravati dalla finalità di agevolazione di associazioni di tipo mafioso – lamentando la violazione degli artt. 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 cost. ha sollevato l’incidente di costituzionalità.

Come si legge dall’ordinanza di rimessione, secondo il giudice a quo le concrete evenienze della vicenda «sono tali da far

86 G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietà della custodia carceraria anche per il

traffico di sostanze stupefacenti, in Diritto penale e processo, n. 2/2012, p. 174

87

L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

emergere la sussistenza dei presupposti di applicazione di una misura cautelare, sia quanto ai gravi indizi di colpevolezza sia quanto all’esigenza cautelare, rappresentata nel caso specifico, dal pericolo di fuga». Tuttavia, il rimettente ritiene che tale periculum libertatis, in ipotesi, potrebbe essere adeguatamente fronteggiato mediante l’applicazione di una misura diversa dalla custodia inframuraria – in particolare attraverso gli arresti domiciliari ed il divieto di espatrio – ma, al contempo, afferma che tale possibilità è preclusa dall’art. 275 comma 3 c.p.p. in quanto tale disposizione, in presenza di una fattispecie di reato quale quella sopramenzionata, stabilisce una presunzione legale di adeguatezza della sola misura carceraria.

Pertanto, il sistema del doppio binario viene censurato di irragionevolezza, in primis, in quanto, derogando al principio di adeguatezza proclamato nella prima parte della disposizione impugnata e imponendo una misura più afflittiva in tutte le ipotesi previste dalla norma medesima, si pone in contrasto con l’esigenza di disporre la custodia in carcere solo come extrema ratio, e in secondo luogo perché priva il giudice delle cautele della possibilità di adeguare la misura de

libertate al caso concreto.

Inoltre, viene contestata la violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 cost. in quanto l’art. 275 comma 3 c.p.p. «appiattirebbe situazioni obiettivamente e soggettivamente diverse, così determinando eguale risposta cautelare per casi diversi tra loro»88.

Vale la pena di osservare che l’autorità rimettente aveva posto la questione di legittimità anche con riferimento all’art. 27 comma 2 cost., sennonché la Corte Costituzionale ha giudicato «manifestamente non conferente» tale censura, e quindi ha riaffermato l’estraneità della presunzione di non colpevolezza alla struttura delle misure restrittive della libertà personale che, operando sul piano

88 D. Negri, Sulla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in

cautelare, devono essere tenute distinte da ciò che attiene alla condanna e alla pena89.

Nel dichiarare manifestamente infondata la questione, i Giudice della Consulta hanno rilevato che «la previsione legale di adeguatezza della sola misura in argomento, per certi reati di spiccata gravità indicati nella norma impugnata, non può in primo luogo dirsi incoerente sul piano del raffronto con il potere affidato al giudice di valutare l’esistenza delle esigenze cautelari» dal momento che «la sussistenza in concreto di una o più delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l’an della cautela) non può, per definizione, prescindere dall’accertamento della loro effettiva ricorrenza di volta in volta; mentre la scelta del tipo di misura (il quomodo di una cautela) non impone, ex se, l’attribuzione al giudice di analogo potere di apprezzamento, ben potendo essere effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti»90. Quindi, compete al legislatore l’individuazione del punto di equilibrio tra le diverse esigenze, della minore restrizione possibile della libertà personale e dell’effettiva garanzia degli interessi di rilievo costituzionale tutelati attraverso la previsione degli strumenti cautelari nel processo penale91.

Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto ragionevole l’esercizio della discrezionalità da parte del legislatore che ha introdotto il regime derogatorio fondato sulla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, «atteso il coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della convivenza e della

89

G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 228

90 Corte Costituzionale, ordinanza 24 ottobre 1995 n. 450, in Giurisprudenza

costituzionale, 1995, p. 3540

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sicurezza collettiva» che agli illeciti appartenenti all’area dei delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso è connaturato92.

La delimitazione dell’area delle fattispecie di reato contemplate all’art. 275 comma 3 c.p.p. ai soli delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso, «rende manifesta la non irragionevolezza dell’esercizio della discrezionalità legislativa»93

. La norma in esame non si pone in contrasto con l’art. 3 cost in quanto il precetto non impone «di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione dell’accennato punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della libertà personale e degli antagonisti interessi collettivi, anch’essi di rilievo costituzionale». La censura di disparità di trattamento – per l’eguale risposta cautelare a fronte di ipotesi delittuose tra loro estremamente diverse – non può trovare accoglimento poiché la ragionevolezza della scelta legislativa risiede nel comune denominatore che caratterizza i reati sottoposti al regime cautelare eccezionale, caratterizzati dal particolare allarme sociale e dalla potenziale lesione ai beni individuali e collettivi che gli stessi recano94.

In altri termini, l’adesione ad un sodalizio criminoso dotato di particolare forza intimidatrice, implica – in virtù di una regola di esperienza sufficientemente condivisa – che soltanto la custodia cautelare in carcere sia adeguata, poiché ogni altra misura de libertate risulta inidonea sia per troncare i rapporti tra la persona sottoposta alle indagini e l’associazione criminosa, sia per neutralizzarne la pericolosità95.

Quindi, la ragionevolezza della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere a fronte di delitti di criminalità

92 D. Negri, Sulla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in

carcere nell’art. 275 comma 3 c.p.p., op. cit., p. 2840

93

Corte Costituzionale, ordinanza 24 ottobre 1995 n. 450

94 G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 228

95

G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietà della custodia carceraria anche per il

mafiosa, è motivata dal «particolare radicamento culturale e territoriale che contraddistingue tali fenomeni delittuosi»96.

Vale la pena di osservare che l’ordinanza n. 450 del 1995 è stata oggetto di critiche da parte della dottrina.

In particolare, a parere di taluno, la Corte Costituzionale avrebbe eluso la questione così come posta dall’ordinanza di rinvio: infatti, i Giudici della Consulta sostengono la ragionevolezza della diversificazione di disciplina tra categorie di reati, in ragione del loro diverso grado di antisocialità, mentre il giudice rimettente invocava un giudizio relativo alla sola fattispecie speciale di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p., in quanto determina eguale risposta cautelare per casi diversi tra loro97.

Peraltro, viene contestato il criterio incentrato sul «comune denominatore dei beni primari individuali e collettivi». Infatti, tale concetto appare giuridicamente piuttosto debole, ancorato, come spesso accade in materia di criminalità mafiosa, «a intuizioni tipicamente emozionali di incerto fondamento sociologico» e perciò oltremodo scorretto98.

«Si sono dovuti attendere quindici anni e l’ipertrofico ampliamento dell’ambito applicativo dell’art. 275 comma 3 c.p.p. perché nella giurisprudenza costituzionale – sulla scia di indicazioni utili provenienti dalla Corte di Strasburgo – maturasse l’idea che la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere possa contare su una congrua “base statistica”, che la rende plausibile

96 L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e

l’opera demolitrice della giurisprudenza delle Supreme Corti, op. cit., p. 2137

97 D. Negri, Sulla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in

carcere nell’art. 275 comma 3 c.p.p., op. cit., p. 2843

98

P. Nuvolone, Legittimità penale, legalità processuale e recenti riforme, in Rivista

per la generalità dei casi concreti, solo ove riferita al delitto di associazione di stampo mafioso».99

Si osservi che, la Corte Europea – pronunciando su un ricorso volto a denunciare l’irragionevole durata della custodia cautelare in carcere applicata alla persona sottoposta alle indagini per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e la conseguente violazione dell’art. 5 comma 3 C.e.d.u. – in tema di legittimità della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, ha sottolineato che tale

praesumptio può impedire al giudice di adattare la misura cautelare

alle esigenze del caso concreto e, conseguentemente, apparire eccessivamente rigida. Ciononostante, ha ritenuto giustificabile – o meglio conforme all’art. 5 comma 3 C.e.d.u. – la disciplina de qua, tenuto conto della peculiare natura del fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso e della conseguente necessità di recidere i legami tra i destinatari della misura cautelare ed il contesto criminale di provenienza, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti100.

In particolare, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha affermato che «la lotta contro questo flagello (la mafia) può, a certe condizioni, richiedere l’adozione di misure che giustifichino una deroga alle regole fissate dall’art. 5, a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nonché per prevenire la commissione di altri gravi delitti»101.

In tale contesto interpretativo, si è inserito l’art. 2 del decreto legge n. 11 del 2009 mediante il quale il legislatore ha significativamente ampliato l’elenco dei reati per i quali “scatta”

99 R. Adorno, L’inarrestabile irragionevolezza del carcere cautelare “obbligatorio”:

cade la presunzione assoluta anche per i reati di “contesto mafioso”, in Giurisprudenza costituzionale, 2013, p. 2411

100 S. Lorusso, Altre le norme a rischio di prossima bocciatura irrispettose del

“minor sacrificio necessario”, in Guida al diritto, n. 22/2011, p. 75

101

l’obbligatorietà della custodia cautelare, inserendo tra gli altri alcuni dei delitti in materia di violenza sessuale.

A seguito di tale novella, con la sentenza n. 265 del 2010 il Giudice delle leggi ha dichiarato per la prima volta l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 comma 3 c.p.p.

In tal modo, si è inaugurato un approccio della giurisprudenza di legittimità che – uniformandosi, con significativa convergenza, agli standards tracciati dalla Corte di Strasburgo102 – privilegia l’interpretazione restrittiva della disposizione che fonda la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare, fino ad attuarne un significativo ridimensionamento dell’ambito operativo103

.

All’attenzione della Corte Costituzionale sono stati sottoposti alcuni delitti a sfondo sessuale, e segnatamente l’induzione o lo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600 bis comma 1 c.p.); la violenza sessuale (art. 609 bis c.p., ad eccezione dei casi di minore gravità di cui al 3 comma); gli atti sessuali con minorenni (art. 609

quater c.p., salvo i casi di minore gravità di cui al 4 comma),

equiparati dal decreto legge n. 11 del 2009 – quanto alla presunzione

iuris et de iure di adeguatezza della custodia inframuraria – ai delitti

di mafia.

In particolare, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Belluno, il Tribunale di Torino (sezione per il riesame) ed il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia «dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 275 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non consente di applicare misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona a carico della quale sussistono gravi indizi di colpevolezza» in ordine ai delitti summenzionati.

102 G. Tabasco, Illegittima l’obbligatorietà della custodia carceraria anche per il

traffico di sostanze stupefacenti, op. cit., p. 179

103

L. Bongiorno, La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere

Secondo i giudici rimettenti, la norma censurata violerebbe l’art. 3 cost. sotto plurimi profili.

In primis, «per la irrazionale deroga da essa apportata ai

principi di adeguatezza, proporzionalità e graduazione che regolano, in via generale, l’esercizio del potere cautelare»: deroga che – quanto ai delitti a sfondo sessuale – «non risulterebbe sorretta da ragioni giustificatrici analoghe a quelle che hanno indotto la Corte Costituzionale a ritenere costituzionalmente legittimo lo speciale regime cautelare in discussione alla criminalità di tipo mafioso, cui esso era in precedenza circoscritto».

In secondo luogo per l’ingiustificata equiparazione dei reati considerati – che pur nella loro gravità e odiosità offendo un bene individuale – ai delitti di stampo mafioso che, invece, «mettono in pericolo le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva».

Inoltre, i giudici a quibus richiamano l’attenzione sulla sottoposizione dei reati a sfondo sessuale ad un trattamento cautelare ingiustificatamente più severo di quello stabilito per altre fattispecie criminose alle quali non è stata estesa la disciplina de qua.

Infine, non poteva essere trascurata l’irragionevole equiparazione, sul piano cautelare, delle varie condotte integrative dei delitti cui attengono le censure dei rimettenti, condotte che «potrebbero risultare, in concreto, marcatamente differenziate tra loro sul piano oggettivo e soggettivo».

I giudici rimettenti denunciano anche la violazione dell’art. 13 cost. rilevando come «la norma impugnata venga ad imporre un sacrificio della libertà personale dell’indagato o dell’imputato superiore a quello minimo che, nelle circostanze concrete, può risultare necessario e sufficiente al fine di soddisfare le esigenze cautelari».

I dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 275 comma 3 c.p.p. coinvolgono anche l’art. 27 comma 2 cost., in quanto «la

previsione normativa sottoposta a scrutinio finirebbe per attribuire al trattamento cautelare una funzione di anticipazione della pena, contrastante con la presunzione di non colpevolezza».

Peraltro, il solo Tribunale di Torino prospetta la violazione dell’art. 117. comma 1 cost. – norma che impone al legislatore ordinario di rispettare i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali – per contrasto della norma censurata con l’art. 5 comma 1 lettera c e 4 C.e.d.u.

I giudici di Palazzo della Consulta ritengono fondata la questione in riferimento agli artt. 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 cost. – questione che coinvolge esclusivamente la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere, mentre resta fuori dal devoluto la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari104 – prendendo le mosse da una serie di affermazioni di principio che vanno oltre la problematica menzionata.

Innanzitutto, evidenziano che affinché le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato siano compatibili con la presunzione di innocenza – che costituisce uno dei limiti di legittimità costituzionale dei provvedimenti de libertate – «è necessario che esse assumano connotazioni nitidamente differenziate rispetto alla pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilità». Quindi, la misura cautelare non deve costituire un’anticipazione della sanzione penale che potrà essere successivamente irrogata mediante la condanna.105

Inoltre, la disciplina cautelare deve essere ispirata al criterio del minor sacrificio necessario in ragione del quale «la libertà personale dell’indagato o dell’imputato deve essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari

104

E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di

pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, op. cit., p. 502

105

P. Tonini, La Consulta pone limiti alla presunzione di adeguatezza della custodia

riconoscibili nel caso concreto». Come affermato in termini netti anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo106

, il ricorso alle misure più afflittive – ed in particolare a quella massima della custodia in carcere – deve reputarsi consentito «solo quando le esigenze processuali o extraprocessuali cui il trattamento cautelare è funzionale non possano essere soddisfatte tramite misure di minore incisività».

Quindi, il legislatore è chiamato sia a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della pluralità graduata – predisponendo una gamma di misure alternative connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale – sia a predisporre meccanismi individualizzanti di selezione del trattamento cautelare calibrati sui

pericula libertatis configurabili nelle singole fattispecie concrete.

Entro il ventaglio delle misure prefigurate dalla legge, il giudice deve optare per la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto, «in modo da ridurre al minimo la lesività determinata dalla coercizione endoprocessuale».

La Consulta rileva poi che nella scelta delle misure, in linea di principio, non sono ammesse presunzioni legali. Tuttavia, in via di eccezione, a partire dal 1991 è stata introdotta una presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelari ed una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per i delitti di associazione mafiosa. Dopo alterne evoluzioni legislative, il decreto legge n. 11 del 2009 ha esteso tali presunzioni ad un vasto elenco di delitti anche non attinenti alla criminalità mafiosa107.

Richiamando la propria giurisprudenza costante e segnatamente la sentenza n. 139 del 2010, la Corte asserisce che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale

106 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 2 luglio 2009, Vafiadis c. Grecia;

sentenza 8 novembre 2007, Levièvre c. Belgio

107

P. Tonini, La Consulta pone limiti alla presunzione di adeguatezza della custodia

della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie ed irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella forma dell’id quod plerumque accidit». Quindi, «l’irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa».

Pertanto, ai delitti di criminalità mafiosa stricto sensu intesi, può ragionevolmente applicarsi la presunzione assoluta, in quanto considerazioni di natura criminologica – quali la constatazione che l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implichi un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso, di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice – fanno ritenere sussistente una regola di esperienza per cui la custodia in carcere rappresenta l’unica misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.108

Tuttavia, la presunzione iuris et de iure di adeguatezza – poiché non sorretta dalla medesima ratio ispiratrice dei delitti di mafia in senso stretto – non è ragionevole a fronte dei delitti a sfondo sessuale. Infatti, questi, nella loro fenomenologia, oltre a presentare disvalori nettamente differenziabili, spesso sono meramente individuali e tali da non postulare esigenze cautelari fronteggiabili solo con la massima misura109.

In particolare – mentre per i delitti di mafia stricto sensu le misure meno gravose non sono, di norma, idonee a recidere i rapporti tra associato ed organizzazione di appartenenza – con riferimento ai delitti sessuali in considerazione, pur trattandosi di fatti «odiosi e riprovevoli», l’esperienza insegna che nel singolo processo è possibile

108

G. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere:

evoluzione normativa e giurisprudenziale, op. cit., p. 229

109 E. Marzaduri, Ancora ristretto il campo di operatività della presunzione assoluta

di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, in Legislazione penale, 2011, p.

acquisire elementi specifici in relazione al caso concreto dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure110.

In questa prospettiva, la Corte rileva che quando i fatti si sono manifestati all’interno di specifici contesi – quali quello familiare, scolastico o di particolari comunità – le esigenze cautelari possono trovare risposta in misure diverse dalla custodia inframuraria: si pensi agli arresti domiciliari in luogo diverso dall’abitazione del soggetto (eventualmente accompagnati anche da particolari strumenti di controllo come il c.d. braccialetto elettronico), all’obbligo o al divieto di dimora o anche solo di accesso in determinati luoghi, o ancora all’allontanamento dalla casa familiare.

Peraltro, ad avviso dei giudici costituzionali la ragionevolezza della disciplina de qua non può essere ricercata nella gravità in astratto dei delitti, valutata in rapporto sia alla misura della