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Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personal

Nelle more della stesura del presente lavoro, la Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale è stata nominata per individuare degli interventi urgenti che possano dare respiro in questa fase così critica del processo penale. Uno dei settori su cui la Commissione ha lavorato mediante un’apposita sottocommissione è quella delle misure cautelari. Nel dichiarato intento di soddisfare una duplice esigenza – garantire la celebrazione del processo in tempi rapidi, soprattutto laddove l’imputato sia detenuto, e ridurre l’area della coercizione soprattutto per quanto riguarda le misure più fortemente restrittive cioè quelle carcerarie – la Commissione ha ritenuto di dover intervenire su alcune norme fondamentali del codice di procedura penale.

Sulla base di tale elaborato, il disegno di legge n. 1232 recante «modifiche al codice di procedura penale» è stato approvato dalla Camera il 9 gennaio 2014 ed è, attualmente, all'esame della Commissione giustizia del Senato.

Il testo si compone di 16 articoli ed è sostanzialmente volto a limitare l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere.

Soffermandoci sulle modifiche più strettamente attinenti al tema centrale di questa trattazione – i primi tre articoli del provvedimento novellano l'art. 274 c.p.p. allo scopo di limitare la discrezionalità del giudice nella valutazione delle esigenze cautelari.

Innanzitutto, nel comma 1 di tale articolo viene soppresso – sia nella lettera a sia nella lettera c – il riferimento alla persona sottoposta alle indagini, lasciando in tali previsioni esclusivamente il riferimento alla figura dell'imputato, analogamente a quanto già avviene nella formulazione della lettera b.

Si consideri che ex art. 61 c.p.p. «i diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari» e che, «alla stessa persona, si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo che sia diversamente stabilito». Quindi, la modifica in questione appare come un intervento di coordinamento e non sembrerebbe incidere sulla portata normativa delle previsioni in esame241.

In secondo luogo, sia in riferimento al pericolo di fuga dell'imputato (lettera b), sia in riferimento al pericolo di reiterazione del reato (lettera c), è prevista la necessità – oltre che della concretezza – dell'attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato. Inoltre, con riferimento ad entrambe le ipotesi, viene stabilito che «le situazioni di concreto e attuale pericolo […] non possono essere desunte in via esclusiva dalla gravità del reato per cui si procede».

Si interviene, poi, sull'art. 275 c.p.p. in materia di scelta delle misure cautelari, riformulando il comma 2 bis: è sancito il divieto di applicazione sia della custodia in carcere che degli arresti domiciliari laddove il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena oppure che – sempre alla luce di una valutazione di tipo prognostico – all’esito del giudizio l’esecuzione della pena possa essere sospesa ai sensi dell’art. 656 comma 5 c.p.p. L’obiettivo, evidentemente, è quello di evitare una detenzione cautelare a chi non verrà assoggettato ad uno stato detentivo in esecuzione della sentenza definitiva di condanna.

Inoltre, viene riformulato il primo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. che attualmente stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta «soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata». La nuova disposizione, confermando il carattere residuale del ricorso al carcere, specifica in via ulteriore che tale

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Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 1232 "Modifiche al codice di procedura

misura «può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate».

Modifiche di rilievo interessano la disciplina dell’applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità.

Come è stato messo in luce nei capitoli precedenti, il secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. – nella formulazione vigente – prevedono che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno specifico catalogo di reati ritenuti di particolare gravità, operi una presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria («salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari»). Quindi, stante la praesumtpio iuris et de iure di adeguatezza della custodia inframuraria il giudice non può decidere per l'applicazione di una misura cautelare diversa, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti l'insussistenza delle esigenze cautelari.

L'art. 6 del provvedimento in commento – intervenendo sul secondo e terzo periodo del comma 3 dell'art. 275 c.p.p. – limita la presunzione de qua alle sole ipotesi di «Associazioni sovversive» (art. 270 c.p.), «Associazioni con finalità di terrorismo anche

internazionale» (art. 270 bis c.p.) e «Associazioni di tipo mafioso anche straniere» (art. 416 bis c.p.).

Inoltre, il nuovo terzo periodo del comma 3 prevede – nell’ipotesi in cui sussistano di gravi indizi di colpevolezza in ordine al rimanente catalogo di reati – l'introduzione di una clausola di salvaguardia: «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure».

In definitiva, il disegno di legge n. 1232 rimette in ordine la norma in linea con una conformazione del sistema cautelare ormai

stabilizzata grazie ai molteplici interventi della Consulta, e riassumibile in tre punti: adozione del modello della pluralità graduata delle misure; rispetto del principio del minor sacrificio necessario; garanzia di scelte individualizzanti del trattamento cautelare242.

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T. E. Epidendio, Proposte metodologiche in merito al dibattito sulle misure