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I SUBSTRATI ALTERNATIVI ALLA TORBA: EFFETTI DEI SUBSTRATI CONTENENTI COMPOST SULLA NUTRITIZIONE MINERALE E SULLA PRODUZIONE DI BIOMASSA IN GERANIO (Pelargonium zonale) COLTIVATO IN VASO

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie

Tesi di Laurea in

I substrati di coltivazione alternativi alla torba:

effetti dei substrati contenenti compost sulla

nutrizione minerale e sulla produzione di biomassa

in Geranio (Pelargonium zonale) coltivato in vaso.

Candidata

Martina Franceschi

Relatore

Prof. Fernando Malorgio

Correlatore

Dr. Daniele Massa

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INDICE.

PARTE GENERALE.

...4

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE.

...4

1.1. Definizione di substrato di coltivazione...4

1.2. La qualità dei substrati di coltivazione...5

1.3. La normativa dei substrati di coltivazione...7

1.4. I sistemi di tracciabilità...9

1.5 Il mercato dei substrati di coltivazione...11

1.6 Le limitazioni d'uso della torba e substrati alternativi...16

CAPITOLO 2 LE MATERIE PRIME IMPIEGATE NELLA

PREPARAZIONE DEI SUBSTRATI DI COLTIVAZIONE

...24

2.1. Materie prime di origine organica – minerale...24

2.2. Materie prime di origine organica e trattate...45

2.3. Materie prime di origine minerale – naturale...66

2.4. Materie prime di origine minerale e trattate...73

2.5 Materie prime di sintesi...79

PARTE SPERIMENTALE

...84

CAPITOLO 3 MATERIALI E METODI

...84

3.1 Obiettivi della prova sperimentale...84

3.2 Geranio (Pelargonium zonale)...85

(3)

3.4 Formulazione dei trattamenti...91

3.4 Prova sperimentale...91

3.5 Statistica...96

CAPITOLO 4 RISULTATI E DISCUSSIONE

...97

4.1 Analisi preliminari delle miscele...97

4.2 Produzione e ripartizione della biomassa...99

4.3 Concentrazione minerale nei tessuti...101

4.4 Assorbimento idrico delle piante...104

4.5 Discussione...105

4.6 Conclusioni...110

Bibliografia...112

(4)

PARTE GENERALE

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE.

1.1 Definizione di substrato di coltivazione.

Si definisce substrato di coltivazione un materiale diverso dal terreno costituito da uno o più componenti organici e/o inorganici eventualmente addizionato di correttivi, concimi ed altri additivi destinato tal quale a sostenere lo sviluppo vegetale (Orfeo,

Notaristefano 2013).

La maggior parte dei substrati destinati al mercato professionale sono concimati però alcuni operatori preferiscono utilizzare substrati non concimati in modo da dosare mediante fertirrigazione tutti gli elementi nelle quantità desiderate (Manstretta 2013). I prodotti destinati al mercato hobbistico sono nella maggior parte dei casi non concimati (soprattutto per ragioni economiche), solamente quelli qualitativamente migliori presentano l'integrazione di concimi, meglio se a lenta sessione in relazione alla praticità per il consumatore hobbistico finale (Manstretta 2013).

I principali concimi utilizzati per la preparazione dei substrati sono concimi minerali a pronto effetto semplici o composti con l'aggiunta eventuale di microelementi, concimi minerali con azoto a lento rilascio, concimi organici ed organo-minerali, concimi minerali a cessione programmata (concimi ricoperti con resine o polimeri), microelementi (anche in forma chelata e complessata) (Manstretta 2013).

Si possono avere diversi tipi di miscele di materie prime per vari usi.

Miscele per substrati per la radicazione delle talee si utilizzano materie prime come torba bionda vagliata finemente 8-10 mm, torba bruna in percentuale limitata massimo 20%, perlite e può essere aggiunta una limitata quantità di concime a pronto effetto e microelementi;

Miscele per substrati per semina in contenitori alveolari si utilizzano miscugli di torba bruna e bionda e un limitato quantitativo di concime a pronto effetto con microelementi;

Miscele per substrato per coltivazioni a ciclo breve annuali come viole le materie prime utilizzate torba bionda, torba bruna, perlite, argilla;

Miscele per substrato per piante verdi o fiorite a ciclo medio irrigate dall'alto le materie prime utilizzate sono torba bionda a fibra medio-lunga, torba bruna, perlite, corteccia delle conifere, argilla e concimi a pronto effetto;

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Miscele per substrato per piante verdi o fiorite a ciclo medio irrigate dal basso le materie prime che si utilizzano torbe bionde, torbe fibrose, torba bruna, fibra di cocco, perlite, argilla con concimi a pronto effetto;

Miscele per substrato per la coltivazione delle acidofile le materie prime utilizzate sono torbe bionde fibrose, torbe bionde a struttura più fine, torba bruna, corteccia di conifere, perlite, concime a pronto effetto e microelementi;

Miscele per substrato per il vivaismo ornamentale le materie prime utilizzate sono torbe bionde a tessitura grossolana, pomice o lapillo, argilla, concime a pronto effetto e concime a cessione controllata (Frangi 2009).

1.2 La qualità nei substrati di coltivazione.

Le associazioni e i consorzi possono dotarsi di specifici regolamenti che individuano un marchio di qualità, ne definiscono le modalità di rilascio, secondo uno schema di adesione volontaria, applicabile solo agli aderenti alla propria forma associativa.

I regolamenti seguendo le linee di certificazione definiscono anche le modalità per il mantenimento della certificazione stessa, promuovendo il monitoraggio della qualità della produzione. Il marchio di qualità diventa uno strumento di distinzione al fine di riconoscere tra i prodotti simili quelli migliori.

Ecolabel è una certificazione volontaria di prodotto che ha come norma tecnica un

documento europeo. La Decisione della Commissione del 15 Dicembre 2006 (2007/64/CE) individua e istituisce i criteri ecologici e i rispettivi requisiti di valutazione e di verifica per l'assegnazione di un marchio di qualità ecologica agli ammendanti del suolo e ai substrati di coltivazione. I criteri di rilascio della certificazione sono tesi in particolare a promuovere l'utilizzo di materiali rinnovabili e/o il riciclaggio di sostanza organica derivata dalla raccolta e/o dal trattamento di rifiuti contribuendo in tal modo a ridurre al minimo i rifiuti solidi destinati allo smaltimento finale (in discarica), la riduzione dei danni o dei rischi ambientali derivanti dall'applicazione del prodotto che contenga metalli pesanti e da altri composti pericolosi. I criteri vengono definiti in modo da favorire l'attribuzione del marchio a substrati e ad ammendanti che presentino un impatto ambientale ridotto durante l'intero ciclo di vita del prodotto. Il richiedente deve presentare all'organismo competente a livello nazionale la domanda; in seguito l'organismo stesso dopo istruttoria positiva rilascia una dichiarazione di conformità (Castelnuovo 2009).

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I marchi RHP e RAG sono esempi di certificazione volontaria di prodotto che hanno che hanno come norma tecnica un documento elaborato da un ente riconosciuto come autorevole dal mercato che in questo caso è la fondazione olandese RHP (Regeling Handels Potgronden che tradotto significa Regolamentazione Commerciale Substrati) (Castelnuovo 2009).

RHP è la fondazione olandese che promuove la qualità delle torbe, di materiali costituenti i substrati, di substrati di coltivazione e di ammendanti del suolo, certificandola con i marchi RHP e RAG (http://www.rhp.nl/en/professional/keurmerkeninformatie/).

Il marchio RHP è applicato dopo il superamento delle procedure e delle verifiche definite da specifici protocolli, ai prodotti utilizzati come substrati di coltivazione e ai componenti che entrano nella miscelazione per l'ottenimento di tali substrati.

Il marchio RAG è applicato dopo il superamento di procedure e verifiche definite da specifici protocolli, ai prodotto utilizzati come ammendanti per i suoli coltivati al fine di aumentare la fertilità fisica e la dotazione di sostanza organica.

Per i substrati di coltivazione i parametri che possono essere identificati come discriminanti la qualità sono:

La provenienza dei componenti, porosità totale in % del volume, volume d'aria a pF1 in % del volume, volume di acqua a pF1 in % del volume, coefficiente di restringimento (Castelnuovo 2009).

Il Marchio di qualità del consorzio italiano compostatori il cui sistema prevede una fase di rilascio e una fase di mantenimento, dove mediante verifiche periodiche si effettuano sopralluoghi e campionamento di ammendante compostato. Campionatori esterni al consorzio trasferiscono il materiale campionato a laboratori accreditati per eseguire l'analisi secondo gli standard previsti dall'Ecolabel. Una volta superata la prima fase di rilascio che dura generalmente quattro mesi, si procede alla fase di mantenimento che prevede un numero di sopralluoghi e campionamenti dipendente dal quantitativo di ammendante compostato prodotto. Le ragioni alla base della creazione di questo marchio traggono spunto dalle necessità di fornire agli utilizzatori un'ulteriore garanzia sul prodotto (già sottoposto a controlli ai sensi del D.Lgs. n. 217/06- norma nazionale sui fertilizzanti). Oltre a mirare alla garanzia del prodotto il consorzio italiano compositori, attraverso la certificazione, intende fornire valore aggiunto all'ammendante compostato e assicurare ai destinatari finali trasparenza, affidabilità qualità.

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Il programma di certificazione introduce alcune importanti novità infatti si sta lavorando per l'introduzione del programma TERSO (tracciabilità e rintracciabilità degli scarti organici), del CAR (certificato di avvenuto recupero), di test per identificare le classi di vocazione del compost. Quest'ultima caratteristica in particolare assume una certa importanza ai fini dell'impiego del compost come costituente di substrati.

Le aziende produttrici di substrati tendono a individuare protocolli di utilizzo che definiscano delle specifiche tecniche ed in particolare salinità, maturità e proprietà fisico-idrologiche (Centemero 2009).

1.3 La normativa sui substrati di coltivazione.

Il D.Lgs. n.217 del 2006 “Revisione della disciplina in materia di fertilizzanti”è strutturato in 17 articoli e 14 allegati; questi ultimi riportano i nomi e i requisiti dei tipi di prodotti ammessi per ciascuna tipologia di fertilizzante (concimi, ammendanti, correttivi, substrati di coltivazione) nonché alcune indicazioni di carattere generale a cui tutti i fabbricanti sono tenuti a conformarsi (come limite massimo in metalli pesanti, dichiarazione dei titoli) (Zaccheo 2009). La sua emanazione si è resa necessaria per adempire agli obblighi previsti da un regolamento CE relativo ai concimi, numerose modifiche in aggiunta a quelle richieste per i concimi minerali, vengono apportate all'intera struttura della precedente legge n.748 del 1984; tra le altre compaiono tre nuove tipologie di fertilizzanti: matrici organiche, prodotti ad azione specifica, substrati di coltivazione (definiti come “materiali diversi dai suoli in situ dove sono coltivati i vegetali”) e i tipi di prodotti ammessi sono indicati in un apposito allegato (Zaccheo 2009).Si hanno due tipi di substrati ammessi dalla normativa vigente il substrato di

coltivazione base e il substrato di coltivazione misto.

Substrato di coltivazione base: metodo di preparazione e componenti essenziali.

Prodotto solido costituito dalle seguenti matrici: ammendante vegetale semplice non compostato, ammendante compostato verde, torba acida, torba neutra, torba umificata. Da sole, miscelate tra loro e/o con letame, letame artificiale, leonardite, lignite con argilla, argilla espansa, lapillo, lana di roccia, perlite espansa, pomice, sabbia, tufo, vermiculite espansa, zeoliti, prodotti ad azione specifica, correttivi, concimi.

Criteri concernenti la valutazione dei requisiti richiesti: pH in acqua compreso fra 3,5 e 7,5; conducibilità elettrica massima 0,70 dS/m; C organico minimo 8% sul secco; densità apparente secca massima 450 Kg/mc.

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Altre indicazioni concernenti la denominazione del tipo. È obbligatorio dichiarare tutti i componenti del substrato di coltivazione presenti al di sopra del 5% v/v in ordine volumetricamente decrescente.

Eventuali concimi aggiunti vanno dichiarati anche al di sotto di tale soglia specificando se si tratta di concime minerale semplice, concime minerale composto, concime organico-minerale, concime organico (eventualmente miscelati a specifici prodotti ad azione specifica sui fertilizzanti) (Zaccheo 2009).

Note: È ammesso indicare l'uso del substrato (es. semina,rinvaso, taleaggio) e le specie vegetali coltivabili. Quando dichiarato “per specie acidofile” il pH deve essere compreso tra 3,5 e 5,0. E' consentito dichiarare il contenuto in C organico e il titolo di N, P2O5 , K2O aggiunto

come concime..

Substrato di coltivazione misto: metodo di preparazione e componenti essenziali.

Prodotto solido costituito dalle seguenti matrici: ammendante vegetale semplice non compostato, ammendante compostato verde, ammendante compostato misto, torba acida, torba neutra, torba umificata. Da sole o miscelate tra loro e/o con letame, letame artificiale, leonardite, lignite e con: argilla, argilla espansa, lapillo, lana di roccia, perlite espansa, pomice, sabbia, tufo, vermiculite espansa zeolite, prodotti ad azione specifica, correttivi, concimi.

Criteri concernenti la valutazione dei requisiti richiesti: pH in acqua compreso tra 4,5 e 8,5; conducibilità elettrica massima 1,0 dS/m;C organico sul minimo 4% sul secco; Densità apparente secca massima 950 Kg/mc.

Altre indicazioni concernenti la denominazione del tipo. È obbligatorio dichiarare tutti i componenti del substrato di coltivazione presenti al di sopra del 5% v/v in ordine volumetricamente decrescente.

Eventuali concimi aggiunti vanno dichiarati anche al di sotto di tale soglia specificando se si tratta di concime minerale semplice, concime minerale composto, concime organico- minerale, concime organico (eventualmente miscelati a specifici prodotti ad azione specifica sui fertilizzanti) (Zaccheo 2009).

Note: È ammesso indicare l'uso del substrato (es. giardinaggio, paesaggistica, tappeti erbosi, ecc.) e le specie vegetali coltivabili. Quando dichiarato “ per specie acidofile” il pH deve essere compreso tra 3,5 e 5,0. E' consentito dichiarare il contenuto in organico e il titolo di N, P2O5 , K2O aggiunto come concime.

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1.4 I sistemi di tracciabilità.

Il fabbricante di substrati di coltivazione in conformità con l'Art. 8 D.Lgs. 75/2010 deve iscriversi al registro dei fabbricanti di fertilizzanti e deve iscrivere i propri prodotti al registro dei fertilizzanti. L'iscrizione ai registri deve essere richiesta dal fabbricante prima dell'immissione dei substrati sul mercato. I registri sono pubblicati sul sito web del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Protocollo AIPSA 2010). Inoltre a partire dall'anno 2009 entro il 31 Luglio di ogni anno ciascun fabbricante presente sul registro dei fabbricanti di fertilizzanti dovrà comunicare l'intenzione di proseguire la propria attività e inoltrare l'elenco dei fertilizzanti di cui intende confermare la presenza sul registro dei fertilizzanti nel corso dei 12 mesi successivi. La mancata comunicazione comporta la cancellazione dei fabbricanti e/o dei fertilizzanti dai registri. Il fabbricante deve garantire la tracciabilità dei prodotti.

Requisiti minimi del sistema di registrazione ai fini della tracciabilità.

Materie prime: per ogni introduzione di materia prima il sistema deve prevedere la

registrazione cronologica delle introduzioni, l'attribuzione di un numero identificativo dell'operazione di registrazione, registrazione del documento di introduzione della materia prima o del numero di riferimento ad altra documentazione adottata per particolari adempimenti (es registro dei rifiuti), registrazione delle quantità e dell'unità di misura della materia prima introdotta, identificazione dei cumuli eventualmente costituiti tra materie prime provenienti da diverse forniture ivi compresi gli sfridi di lavorazione (Protocollo AIPSA 2010).

Lavorazioni delle materie prime e trasformazione in fertilizzanti – confezionamento: per ogni processo produttivo/ lavorazione il sistema deve prevedere la

registrazione di cronologia delle lavorazioni, numero di riferimento identificativo di quella partita di materia prima o parte di essa che è stata impiegata nella lavorazione (nesso tra la materia prima/ cumulo utilizzato e prodotto ottenuto), data di lavorazione, quantità e unità di misura della materia prima utilizzata (Qualora una o più materie prime siano somministrate mediante utenza come ad es. acqua, metano e trasformate o meno, siano contenute nel prodotto finito esse devono essere quantificate nel sistema di registrazione delle lavorazioni), denominazione /codice della materia prima utilizzata, denominazione/ codice del prodotto ottenuto, quantità e unità di misura del prodotto ottenuto, numero di lotto inteso come numero identificativo dell'operazione di lavorazione, numero peso/volume unitario delle confezioni ottenute in caso di confezionamento (Protocollo AIPSA 2010).

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Cessioni-trasferimenti: al fine di consentire l'assolvimento dell'obbligo di tenuta

delle registrazioni per i due anni successivi alla data di cessazione dell'immissione sul mercato del prodotto sono richiesti gli elementi di seguito elencati registrazione cronologica delle uscite, attribuzione di un numero identificativo all'operazione di registrazione, data e numero del documento in uscita (cessioni e trasferimenti), quantità, unità di misura e descrizione/codice del prodotto, numero di lotto di lavorazione della partita di cui alla lettera h punto 2 (l'obbligo di cui al presente punto è assolto se il numero di lotto di lavorazione di cui alla lettera d è riportato sui documenti di uscita) (Protocollo AIPSA 2010).

Indicazioni generali: in luogo dell'esatta designazione delle materie prime e dei

prodotti finiti è possibile utilizzare un codice qualora sussistano delle schede che riportano le specifiche tecniche e la pertinente descrizione del prodotto.

Le informazione descritte nei punti 1) materie prime, 2) lavorazioni e confezionamento, 3) cessioni- trasferimenti possono essere archiviate sia su supporto cartaceo che informatico.

Detti dati possono essere contenuti in registrazioni specifiche e/o nei documenti relativi all'acquisto e al trasferimento, alla lavorazione (interna o per conto terzi), alle procedure interno di produzione/confezionamento, alla vendita e/o cessioni a qualsiasi titolo effettuata dal fabbricante. Il sistema di registrazione adottato deve essere aggiornato in modo da consentire in qualsiasi momento le verifiche della tracciabilità dei fertilizzanti da parte di organi di controllo e permette di risalire all'identificazione, per ogni lotto di prodotto finito, alle materie prime utilizzate nel processo produttivo. Tali registrazioni sono messe a disposizione degli organi di controllo finché il fertilizzante è immesso sul mercato e per altri due anni dopo che il fabbricante ne ha cessato l'immissione sul mercato (data ultima di vendita del lotto da parte del fabbricante) (Protocollo AIPSA 2010).

Soggetti obbligati alla tenuta del sistema di registrazione: tutti i documenti atti a

garantire il sistema di registrazione devono essere tenuti presso il sito di produzione e/o confezionamento o nel luogo indicato dal fabbricante in sede di iscrizione/aggiornamento al registro dei fabbricanti dei fertilizzanti. Nel caso di uno stesso sito utilizzato da più fabbricanti, i sistemi di registrazione devono essere tenuti distinti, separati ed affidati alla responsabilità di ciascun fabbricante. Nel caso di lavorazione per conto, il fabbricante è colui che commissiona la lavorazione, pertanto

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l'intestatario del sistema di registrazione è il committente e il luogo di tenuta è quello indicato dal fabbricante medesimo (Protocollo AIPSA 2010).

1.5 Il mercato dei substrati di coltivazione.

La formazione di un vero e proprio mercato italiano dei substrati di coltivazione si colloca nei primi anni '70 con una ventina di anni di ritardo rispetto ad altri paesi europei come Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi. In quel periodo si delineano in Italia meccanismi che regolando domanda e offerta determinano la costituzione e lo sviluppo del mercato italiano. In particolare alcune aziende propongono tra i loro prodotti i primi substrati chiamati “terricci” in risposta alla richiesta di alcuni florovivaisti per un prodotto garantito e con caratteristiche costanti che li affrancasse dalla produzione di miscele artigianali in azienda. In questi quaranta anni il mercato dei substrati si è evoluto raggiungendo una dimensione di tutto rispetto all'interno del comparto agricolo e si è modificato seguendo l'evoluzione del settore dal quale proviene la quota più rilevate della domanda rappresentato dal comparto hobbistico e da quello florovivaistico professionale.

In questi ultimi anni infatti la domanda di substrati è cresciuta notevolmente sia per il cambiamento dei costumi (la richiesta dei fiori recisi si è contratta a favore delle piante in vaso) sia per un generale aumento del benessere che incrementando la spesa per l'acquisto di piante ha parallelamente indotto un aumento delle vendite di tutti i prodotti correlati alla loro cura (concimi, substrati per rinvasi e fioriere). Attualmente i principali operatori che sostengono l'offerta sono le aziende di produzione italiane e i distributori di prodotti importati, principalmente da Germania, Olanda, Finlandia, Irlanda e da qualche anno anche da Lettonia, Estonia, Lituania. Nei paesi Nord Europei la produzione ha una tradizione (il primo stabilimento della Floragard di Berlino per la lavorazione della torba è del 1919) e può contare su un elevato livello di tecnologia. I prodotti importati sono il risultato di consistenti investimenti nella ricerca e nello studio delle proprietà delle materie prime impiegate e delle miscele finali (Orfeo, Orlandi 2009).

I substrati esteri sono riconosciuti da tutti gli utilizzatori come affidabili e sicuri (standardizzati), con caratteristiche tecniche controllate, che in molti casi vengono ulteriormente valorizzate attraverso l'attribuzione di marchi di qualità come il noto marchio RHP.

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Le aziende italiane che inizialmente avevano assunto una posizione di rilievo nel settore hobbistico, in questi ultimi anni sono diventate validi riferimenti anche nell'ambito professionale. I motivi di questa evoluzione sono riconducibili a molteplici fattori produttivi e di marketing. Una gestione controllata degli elementi della produzione si è tradotta in una maggiore selettività nell'approvvigionamento delle materie prime (agevolata anche dall'apertura dei mercati nel Nord Europa), nell'uso di matrici compostate di elevata qualità e nell'utilizzazione di componenti minerali nazionali come le pomici e i lapilli, ha incrementato la capacità produttiva. La competitività dei prodotti italiani è stata potenziata inoltre nella maggior attenzione per il cliente, che si è tradotta in un'elevata flessibilità nel soddisfacimento delle esigenze degli utilizzatori unitamente alla predisposizione di un servizio tecnico di supporto per la conduzione dei substrati in fase di utilizzo. Non essendo stati compresi in alcuna norma di legge, almeno fino al 2006 (ma in pratica fino ad oggi) i substrati non sono stati inseriti in una categoria merceologica distinta (Orfeo, Orlandi 2009). Questo rende difficile il recupero dei dati statistici sui consumi e sull'offerta dei substrati e comporta l'impiego di valutazioni indirette. La relazione ANPA 3/2001 riguardante i fertilizzanti commerciali contiene un paragrafo dedicato agli ammendanti organici naturali inoltre riporta che la quota più rilevante degli ammendanti in particolare quelli che contengono torba è impiegata non come fertilizzante ma come substrato soprattutto ortofloricolo, nella produzione di piante ornamentali e in certe tecniche di coltivazioni idroponica (come il Floating system). In questo caso gli ammendanti sostituiscono del tutto il terreno, sono spesso denominati terricci.

Gli elementi utilizzati per calcolare il consumo di substrati in Italia sono ottenuti dalle rilevazioni ISTAT relative alle importazioni di torbe, dai dati della distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti, dal calcolo della superficie agricola finalizzata alla produzione di piante infine da studi finalizzati dall'European Peat and Growing Media Association (EPAGMA) (Orfeo, Orlandi 2009).

La torba è la più importante matrice utilizzata nella preparazione dei substrati. In Italia non vi sono fonti di approvvigionamento interne sufficienti a soddisfare neppure parzialmente le esigenze dei produttori pertanto le richieste vengono quasi totalmente coperte dalle importazioni. I dati statistici relativi alla quantità di torba importata non ne differenziano l'utilizzo finale tuttavia considerando che gli impieghi per altri usi (combustibile, isolante, lettiera) sono molto limitati si può approssimare che tutta le torba importata sia indirizzata alla produzione di substrati. Questa ipotesi è confermata

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anche dai dati raccolti in uno studio EPAGMA sull'utilizzo della torba in Europa nel quale risulta che in Italia non vi sono quantità significative di torba destinate a settori diversi da quello agricolo.

La quasi totalità delle torbe impiegate in Italia è di provenienza europea anche se nei bienni 1994 – 1995 e 1998 – 1999 le importazioni di torba di origine extraeuropea registrano un aumento considerevole. Si consideri che dal Canada nel 1997 si importavano 964 mc, balzati a 470.000 mc nel 1998 e a 1.300.000 mc nel 1999 per tornare nel 2000 a valori nettamente più bassi pari a 3400 mc. Seppur con queste oscillazioni le importazioni di torba segnano dal 1993 al 2007, un trend positivo (+ 30%) (Orfeo, Orlandi 2009). Dal 1993 si è verificato un progressivo aumento fino al 1998 (+ 45%) (Orfeo, Orlandi 2009). Nel quinquennio 1998 – 2003 con alcune oscillazioni si mantiene un valore più alto pari mediamente a 4.400.000 mc. È il periodo dell'ingresso di Lettonia, Lituania ed Estonia nel mercato comune europeo che porta a un aumento dell'offerta con conseguente riduzione dei prezzi. Il 2004 registra un calo di consumi mentre negli anni successivi le importazioni si stabilizzano intorno ai 4.000.000 mc. I costi relativi al gasolio relativi al trasporto che avviene principalmente su strada diventano importanti inoltre in molti paesi si verificano situazioni climatiche avverse alla lavorazione della torba; questi fattori determinano una nuova registrazione del mercato europeo della torba e un rialzo dei prezzi. Di conseguenza i produttori italiani di substrati tendono ad acquistare solo i quantitativi necessari alla produzione annuale evitando i pericoli collegati a un eccessivo stoccaggio in magazzino (fenomeni di autoriscaldamento) (Orfeo, Orlandi 2009).

La Germania pur restando il maggior esportatore di torbe in Italia, ha registrato una flessione nell'export attribuibile alle limitazioni imposte dalla normativa nazionale e comunitaria in merito alla salvaguardia degli ambienti naturali quindi delle torbiere e alla concorrenza esercitata dai Paesi Baltici. Il prodotto lettone è invece in forte ascesa sul mercato italiano arrivando a 870.000 mc importati nel 2007. La situazione relativa al 2007 mostra un volume totale di torba importata pari a 4.112.000 mc per il 42% soddisfatto dalla Germania e per il 21% dalla Lettonia. Calcolando i costi unitari per Paese di origine (il considerevole divario registrato è giustificabile con la differente qualità della torba) si stima un valore economico pari a 52.725.494 euro che aggiunto del costo del trasporto stimato intorno al 50-70% porta il mercato della torba a un valore complessivo di circa 89 milioni di euro.

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Per l'Italia il contenuto medio di torba nei substrati è pari al 76% e di conseguenza la quantità di substrati può essere stimata pari a 5.360.000 mc. Nel periodo 1998- 2007 sono stati osservati cospicui incrementi per tutta la categoria degli ammendanti (Orfeo, Orlandi 2009).

I substrati sono fatti rientrare pur forzatamente principalmente nelle categorie degli ammendanti torboso composti e delle torbe (torba neutra e torba acida). I rilievi ISTAT relativi a queste categorie sono stati rielaborati per esprimere le quantità in volume (densità apparente per le torbe è 120 kg/mc mentre per l'ammendante torboso composto è di 200 kg/mc); il trend evidenzia per questi due tipi di ammendanti una netta crescita dei consumi per l'ammendante torboso composto mentre il consumo di torbe rimane invariato nel tempo (periodo 2000 – 2007).

Quando nel 2006 entra in vigore la nuova disciplina per i fertilizzanti che riconosce la tipologia dei substrati di coltivazione, l'ISTAT registra per questa categoria 30.399 quintali di prodotto erroneamente registrato come substrato in quanto era ancora incompleto l'allegato relativo. Nel 2007 si rilevano 115.729 quintali di substrati che applicando una densità apparente corrispondo a un volume di 57.865 mc. La quantità di presunti substrati destinati al solo settore professionale raggiunge 2.260.000 mc suddivisi in 1.539.768 mc di ammendante torboso composto, 655.736 mc di torbe e 57.865 mc di substrati di coltivazione.

La distribuzione del consumo di ammendanti per area geografica evidenzia un maggiore impiego di questi ammendanti nel Nord Italia. Il motivo potrebbe essere collegato a una più ampia superficie agricola nelle regioni del Nord (Lombardia, Liguria) destinata alla produzione di piante in vaso rispetto a quelle del Centro- Sud Italia. Dati del 2005 in Italia si consuma il 15,2% (5.147.000 mc) della quantità di substrato prodotto in Europa. L'importazione di torba si assomma a 3.900.000 mc interamente destinati a questo settore suddivisi in 3.600.000 mc alla produzione di substrati e 300.000 mc agli ammendanti (Orfeo, Orlandi 2009).

La torba è il costituente base sia nel substrato professionale che in quello hobbistico. Le matrici organiche compostate sono poco valorizzate nel settore mentre in quello hobbistico sono una risorsa significativa. I minerali (argilla, sabbia, pomice) vengono utilizzati in elevata quantità. Si sottolinea che l'Italia risulta il paese europeo che utilizza i maggiori quantitativi di pomice probabilmente perché le cave in Toscana sono una grossa fonte di approvvigionamento e il comparto italiano della vivaistica

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ornamentale (il più apprezzato in Europa per qualità e quantità), richiede substrati porosi e ad elevata componente minerale.

In conclusione dal confronto tra i valori ottenuti con i diversi approcci si evidenzia che la quantità di substrati riportata nello studio EPAGMA 5.147.000 mc è molto vicina al dato calcolato sulla base dei volumi di torba importata 5.360.000 mc. Invece il risultato desunto dalla distribuzione degli ammendanti di 2.000.000 mc anche se parziale riferito al solo settore professionale descrive un consumo di substrati sottodimensionato (Orfeo, Orlandi 2009).

Associazione Italiana di produttori di substrati di coltivazione e ammendanti

costituita nel 2007 da Geotec s.r.l., Sopram s.r.l., Terflor s.n.c., Turco Silvestro s.n.c. e Vigorplant Italia s.r.l. ha come scopo la promozione dell'impiego dei substrati di coltivazione e degli ammendanti di qualità controllata. Nasce da molteplici esigenze emerse, negli ultimi anni, tra gli operatori di questo importante settore agricolo, riconducibili ad una sempre maggiore richiesta di qualità del prodotto, di tracciabilità e di informazioni tecniche in funzione del tipo di coltivazione. Queste esigenze hanno spinto alla fondazione di una associazione di produttori di substrati di coltivazione con lo scopo di essere portavoce di produttori di substrati e ammendanti presso varie istituzioni nazionali ed internazionali, affrontare le problematiche relative alla loro definizione normativa, offre assistenza alle imprese in modo corretto attraverso indicazioni in materia normativa, tecnica e assicurativa, coordinare e indirizzare in questo campo con le realtà produttive, collaborare con istituti di ricerca autorevoli per lo sviluppo di nuovi prodotti e per la creazione di sistemi e marchi di qualità, fare divulgazione scientifica sui substrati di coltivazione, divenire un punto di riferimento per la formazione.

Attualmente le aziende aderenti sono 18 circa il 70% del fatturato delle imprese operanti sul territorio nazionale nel settore dei substrati. La stima del consumo di substrati in Italia è di 5.000.000 mc per un valore commerciale di circa 200 milioni di euro. Le prospettive di crescita del mercato sono collegate all'individuazione di nuovi settori di utilizzo (ad esempio la paesaggistica) ma dipendono soprattutto all'entità degli incentivi che le aziende sapranno dare a sostegno dell'innovazione di prodotto; solo attraverso la ricerca e la sperimentazione infatti si potrà accrescere la diversificazione dell'offerta di substrati (Orfeo, Orlandi 2009).

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1.6 Le limitazioni d'uso della torba e substrati alternativi.

1.6.1 Stato dell'arte.

Attualmente i substrati per la coltivazione in vaso sono caratterizzati da un uso prevalente di torba bionda baltica, torba irlandese bruna e in misura minore di altre componenti minerali quali la pomice, la perlite e l'argilla. Nelle torbe bionde sono ricercate la disponibilità idrica, la stabilità di struttura e la ricchezza di aria quando lavorate grossolanamente; nelle componenti minerali si cerca una maggiore facilità di drenaggio dell'acqua distribuita in eccesso oppure una più elevata densità apparente. L'uso di matrici compostate mature viene sempre più riservato ai substrati destinati alla paesaggistica o all'uso privato (anche se il compost viene indicato come alternativa possibile alla torba). Nel vivaismo orticolo dominano i substrati a struttura fine, nella floricoltura quelli a struttura media o grossolana mentre nel vivaismo ornamentale si utilizzano prevalentemente substrati torbosi grossolani ma soprattutto ricchi di pomice, utile non solo per assicurare un buon drenaggio ma anche per mantenere più stabile la struttura nel tempo (Titarelli F. 2013 et al ).

Gli elementi positivi che giustificano l'impiego del compost nei substrati sono legati al fatto che: è una risorsa rinnovabile (la torba è una risorsa non rinnovabile ed esauribile), presenta un bilancio emissivo in termini di gas serra minore delle torbe, è una risorsa nazionale facilmente reperibile, presenta un costo generalmente inferiore alla torba, ha una granulometria costante derivante da una vagliatura predefinita 0 – 10 mm (a differenza della torba che viene classificata in base alla granulometria), consente di contenere i costi di produzione dei substrati, ha proprietà agronomiche complementari alla torba, è un componente organico caratterizzato da un interessante potere tampone, è un substrato microbiologicamente attivo in grado di promuovere o aumentare la repressività del mezzo di crescita. Il compost rispetto alla torba possiede una certa dotazione in elementi nutritivi che deve essere considerata quando elaboriamo il piano di concimazione della coltura per evitare accumulo di nutrienti e rischi di salinità. Attuali studi, indicano fibra di Cocco, corteccia di Pino, fibra di legno, compost come materie prime che possono potenzialmente sostituire la torba nella miscele per la coltivazione di piante ornamentali in contenitore. La loro individuazione ha permesso di impostare prove sperimentali utili a valutare le differenze di gestione in termini di tecnica colturale rispetto alla torba (Orfeo, Orlandi 2009).

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1.6.2 Cause delle limitazioni d'uso della torba.

La torba è una risorsa non rinnovabile e viene estratta in torbiere. Le torbiere sono aree con o senza vegetazione che presentano uno strato superficiale di torba accumulatosi nel corso del tempo. Esse non rappresentano solo il luogo di estrazione di questo materiale ma anche un vero e proprio ecosistema dove è presente un tipo particolare di vegetazione che è sempre più raro a causa delle varie minacce a cui è sottoposta. L' ambiente di torbiera è caratterizzato ecologicamente da alcune condizioni fortemente limitanti quali abbondanza di acqua e limitata disponibilità di nutrienti. Tutte le modificazioni che implichino una variazione della qualità delle acque e del tenore in elementi nutritivi può mettere in pericolo l'esistenza di certi ambienti (Quaderno Habitat).

Le zone umide sono aree soggette a periodiche inondazioni, satura d'acqua con una frequenza o durata tale da favorire una vegetazione in grado di svilupparsi in condizioni di saturazione idrica (Cattivello C. 2009).

La definizione di zone umide ai sensi della presente convenzione si intendendo per zone umide le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri.

La torbiera è un'area con o senza vegetazione che presenta uno strato superficiale di torba accumulatosi nel corso del tempo (Cattivello 2009).

Le minacce che possono compromettere la sopravvivenza delle torbiere sono principalmente rappresentate dalla riduzione della disponibilità idrica conseguente al drenaggio effettuato per rimpiazzare i territori occupati dalle torbiere ritenuti come altri occupati da vegetazione naturale, del tutto improduttivi e quindi trasformabili in modo irreversibile in nuove superfici agricole e forestali (Quaderno Habitat). Altre minacce sono rappresentate da interventi quali il colmamento delle depressioni e il riempimento delle torbiere con detriti al fine di ottenere nuove superfici edificabili in prossimità di centri abitati o da nuclei urbanizzati isolati di ridotte dimensioni (casolari, malghe, ecc.)

Il drenaggio della torbiera o la sua colmatura se non comportano la completa sparizione della vegetazione sono in genere seguiti da una colonizzazione di vegetazioni differenti da quella originaria . In caso di drenaggio nella migliore delle ipotesi possono svilupparsi prati che possono presentare una certa originalità floristica più frequente però è la comparsa di vegetazione sinartropica a causa della presenza di colture o di aree

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a vario titolo urbanizzate. La distruzione delle torbiere si riflette sulla biodiversità vegetale che diminuisce di valore a seguito della completa scomparsa delle specie tipiche della vegetazione della torbiera e della comparsa di specie banali favorite dagli insediamenti antropici e dalle attività umane. In molti casi le torbiere sono state irreversibilmente rovinate dall'escavazione delle rive o delle depressioni che le ospitano mirata alla costituzione o dell'ampliamento di specchi d'acqua o di bacini artificiali per gli scopi più disparati tra cui pesca sportiva, turismo, riserve d'acqua per la lotta agli incendi forestali o per i cannoni d'innevamento artificiale invernale.

L'effetto più subdolo di queste trasformazioni è che l'osservatore non esperto non percepisce la sparizione della zona umida della torbiera ma solo la sua sostituzione con uno specchio d'acqua che magari viene ritenuto naturale per la successiva comparsa di specie, peraltro cosmopolite quali la Tifa, la Cannuccia di palude, alcuni Carici e Salici che conferiscono un aspetto apparentemente accettabile. Anche in questo caso la perdita di biodiversità in termini di specie vegetali rare o di tipi di vegetazione è elevata ed irreversibile (Quaderno Habitat).

Una seconda classe di rischi a cui gli ambienti di torbiera sono esposti è legata alla dispersione di nutrienti azotati e fosfatici che vengono rilasciati dalle varie attività umane (Quaderno Habitat). Tali sostanze infatti sono presenti nelle acque reflue degli insediamenti abitativi anche se di ridotte dimensioni e di terreni agricoli dove si praticano agricoltura intensiva ed allevamento. Quando tali flussi vengono a riversarsi negli ambienti di torbiera, essi aumentano il grado trofico delle acque circolanti causando gravi danni alla maggior parte delle specie sia di Briofite sia di piante a fiore che non tollerano aumenti anche lievi di nutrienti. L'eutrofizzazione costituisce un'effettiva causa di danno.

Nel paesaggio tradizionale della montagna l'allevamento del bestiame e la selvicoltura hanno frequentemente convissuto con esiti alterni con le vegetazioni di torbiera, spesso condizionandone la composizione floristica anche attraverso pratiche gestionali (drenaggio, incendi, ecc.) che tendevano indirettamente a trasformarle in modo sostanziale senza però pregiudicarne la sopravvivenza.

Il pascolamento costituisce un rischio soprattutto quando la presenza degli animali è elevata ciò non indifferente in quanto le aree torbose corrispondono spesso a superfici più o meno pianeggianti quindi accessibili al bestiame. In questo caso il calpestio distrugge la coltre, i cumuli di sfagni e muschi e le poche piante vascolari presenti. I

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danni secondari sono rappresentati dal progressivo compattamento del substrato dovuto al peso degli animali pascolanti.

Inoltre la torbiera è sottoposta ad attività estrattiva per ricavare la torba impiegata nei substrati per uso agricolo.

La legislazione vigente in materia rende più difficile l'apertura di nuove torbiere ed impone rigidi protocolli di rinaturalizzazione delle torbiere esaurite. Inoltre inserisce le torbiere insieme alle zone umide (area soggetta a periodiche inondazioni, satura d'acqua con una frequenza o durata tale da favorire una vegetazione in grado di svilupparsi in condizioni di saturazione idrica) tra le aree da tutelare nell'ambito della direttiva Habitat (CEE 92/43) (Quaderno Habitat).

La torba è il substrato più utilizzato per la produzione di piante in vaso nei vivai e rappresenta una parte significativa del materiale utilizzato (Quaderno Habitat). Tuttavia la produzione ortoflorovivaistica sostenibile non può contare su queste costose risorse naturali non rinnovabili (Quaderno Habitat). In questa ottica la ricerca si è intensificata per quanto riguarda i substrati di coltivazione che possano sostituire la torba negli ultimi decenni. La maggior parte di questi substrati di coltivazione sono stati ottenuti dal riciclo o trasformazione (compostaggio) di residui organici di origine diversa (agricoltura, allevamento, selvicoltura ed urbano) (Quaderno Habitat).

1.6.3 Convenzione di Ramsar.

La convenzione di Ramsar è un trattato internazionale che riguarda le zone umide di importanza internazionale in tutti i loro aspetti ed in particolare la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar). Nasce dall'esigenza di invertire i processi di trasformazione e di distruzione delle zone umide considerati ambienti primari per la vita degli uccelli acquatici che percorrono rotte migratorie in ogni stagione per raggiungere i diversi siti di nidificazione, sosta e svernamento che si trovano nei diversi Stati e Continenti (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

È stata firmata a Ramsar in Iran il 2 Febbraio 1971 da un gruppo di paesi, istituzioni scientifiche ed organizzazioni internazionali partecipanti alla conferenza internazionale sulle aree umide e gli uccelli acquatici promossa dall'ufficio internazionale per le ricerche sulle aree umide (IWRB – International Wetlands and Waterfowl Research Bureau) con la collaborazione dell'Unione Internazionale per la conservazione della natura (IUCN – International Union for the Nature Conservation) e del Consiglio

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Internazionale per la protezione degli uccelli (ICBP – International Council for bird Preservation) (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

Il contesto storico in cui la convenzione nasce non prevedeva uno scambio di informazioni e conoscenze semplice ed incentivato come oggi quindi far parte di questo trattato voleva dire entrare ufficialmente nel dibattito internazionale, per poter imparare dagli altri e influenzare le politiche ambientali riguardanti le aree umide proprie e di altri paesi (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

I trattati internazionali riguardanti la conservazione della natura sono aumentati nel tempo permettendo alla convenzione di poter allargare i suoi obiettivi su ogni aspetto riguardante la conservazione delle aree umide (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

Insieme al dibattito per la conservazione delle aree umide si è unito anche quello per la gestione dell'acqua ma la convenzione non è riuscita ad acquisire la forza e le capacità necessarie per coordinare la discussione anche su quest'ultimo aspetto (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

Dati aggiornati in data 20 Maggio 2010 evidenziano che hanno aderito alla convenzione 159 paesi mentre la lista dei siti comprende 1889 siti per una superficie totale di 185.437.001 ettari (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar). I dati riguardanti l'Italia evidenziano che sono stati individuati 52 siti per una superficie totale di 60.223 ettari (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar). È stata sottoscritta da più di 50 paesi e con quasi 2000 zone umide individuate nel mondo (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

È l'unico trattato internazionale di epoca moderna per la tutela delle zone umide sostenendo i principi dello sviluppo sostenibile (con il termine uso saggio) e della conservazione della biodiversità (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

Gli organi della convenzione sono: il segretariato generale (RAMSAR BUREAU) con sede a Gland (CH), la conferenza delle parti e il comitato permanente (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar).

La definizione di zone umide ai sensi della presente convenzione si intendendo per zone umide le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri (http://www.ramsar.org). Ai sensi della presente convenzione si

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intendono per uccelli acquatici gli uccelli ecologicamente dipendenti dalle zone umide (http://www.ramsar.org).

La dichiarazione introduttiva della convenzione dove le parti contraenti riconoscendo l'interdipendenza tra l'uomo ed il suo ambiente, considerando le funzioni ecologiche fondamentali delle zone umide come regolatori del regime delle acque e come habitat di una flora e di una fauna caratteristiche e in particolare di uccelli acquatici; convinti che le zone umide costituiscono una risorsa di grande valore economico, culturale, scientifico e ricreativo, la cui perdita sarebbe irreparabile; desiderando arrestare ora e per l'avvenire la progressiva invasione da parte dell'uomo e la scomparsa delle zone umide; riconoscendo che gli uccelli acquatici, nel periodo delle migrazioni stagionali, possono attraversare le frontiere così da dover essere considerati come una risorsa internazionale; essendo persuasi che la tutela delle zone umide, della loro flora e fauna può essere assicurata mediante l'unione di una politica internazionale lungimirante con una azione internazionale coordinata; hanno convenuto quanto segue (http://www.ramsar.org).

La nomina di siti di importanza internazionale è un'opportunità per un paese di far conoscere le proprie zone umide e le proprie politiche di gestione a livello internazionale inoltre i paesi in via di sviluppo possono riuscire ad attirare investimenti da parte di agenzie di cooperazione internazionale allo scopo di favorire lo sviluppo delle zone Ramsar oltre che la loro conservazione).

Le parti della convenzione sono chiamate a 4 principali impegni: lista dei siti, uso prudente, riserve e formazione, cooperazione internazionale.

La lista dei siti dove le parti devono designare almeno un sito per l'inclusione nelle liste delle zone umide di importanza internazionale, promuovere la sua conservazione e quando è possibile l'uso prudente (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ;

http://www.ramsar.org ; http://www.ramsar.org/pdf/sitelist.pdf) .

I criteri di selezione per l'inclusione nella lista di Ramsar sono basati su parametri ecologici, botanici, zoologici, limnologici e/o idrologici

Uso prudente, le parti della convenzione hanno l'obbligo di includere azioni specifiche per la conservazione delle zone umide nello sviluppo piani di uso del suolo, formulare e realizzare i piani per promuovere l'uso prudente delle zone umide nei loro territori (si deve notare che uso prudente è da interpretarsi come sinonimo di uso sostenibile).

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Riserve e formazione, le parti si impegnano a istituire riserve naturali in zone umide (che siano o no incluse nella lista di Ramsar), promuovere attività di formazione specifica in campi di ricerca, gestione e sorveglianza inerenti alle zone umide.

Cooperazione internazionale, le parti si impegnano a consultarsi con altre su problemi inerenti alla messa in opera del trattato soprattutto riguardo alle zone umide transfrontaliere, sistemi acquiferi condivisi, specie comuni.

La conferenza delle Parti (molto attiva insieme al Segretariato di Ramsar) negli anni ha prodotto linee guida che sono state pubblicate nella serie dei manuali di Ramsar.

Lo scopo della convenzione è quello di proteggere determinate aree e molto del lavoro scientifico, amministrativo e politico della commissione viene fatto in supporto a chi gestisce i siti Ramsar; esiste quindi un contatto diretto tra gli organi della convenzione e il campo di azione, un contatto che può essere assente in altre convenzioni.

La convenzione di Ramsar è stata ratificata e resa esecutiva dall'Italia col D.P.R. n. 448 del 13 Marzo 1976 e con il successivo D.P.R. n. 184 del 11 Febbraio 1987 (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ; http://www.minambiente.it/ ;

http://italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1976/lexs250214html). Gli strumenti attuativi, in aggiunta alla partecipazione alle attività comuni internazionali della Convenzione, sono una serie di impegni nazionali quali attività di monitoraggio e sperimentazione nelle zone umide designate ai sensi del D.P.R. 13 Marzo 1976 n. 448, attivazione dei modelli per la gestione delle zone umide, designazione di nuove zone umide ai sensi del D.P.R. 13.03.1976 n. 448, preparazione del rapporto nazionale per ognuna delle parti (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ; http://www.minambiente.it/ ;

http://italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1976/lexs250214html).

L'Italia è un membro del comitato MEDWET, ha inoltre collaborato alla redazione e al finanziamento del 1° programma triennale di azione MEDWET con il cofinanziamento dell'UE, conclusosi con la conferenza di Venezia del Giugno 1996 (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ; http://www.minambiente.it/ ;

http://italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1976/lexs250214html).

I siti Ramsar sono beni paesaggistici e pertanto aree tutelate per legge (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ; http://www.minambiente.it/ ;

http://italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1976/lexs250214html).

Le organizzazioni internazionali che partecipano alla convenzione sono IWRB (International Research Bureau), FAO (Food and Agriculture Organization), UNESCO (

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United Nations Educational Scientific and Cultural Organization), CIC (Consiglio Internazionale di Caccia), ICBP (International Council for Birds Preservation), IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources), WWF (Wold Wide Fund for Nature) (http://it.wikipedia.org/wiki/convenzionediramsar ;

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CAPITOLO 2 LE MATERIE PRIME IMPIEGATE NELLA

PREPARAZIONE DEI SUBSTRATI DI COLTIVAZIONE.

Le materie prime utilizzate per la formulazione di miscele per ottenere substrati di coltivazione (o terricci) possono essere classificate in base alla loro origine in: materie prime di origine organica e naturale; materie prime di origine organica e trattate; materie prime di origine minerale e naturale; materie prime di origine minerale e trattate; materie prime di sintesi.

2.1 Materie prime di origine organica e naturale.

Sono prodotti costituiti da materiali organici di origine vegetale, più o meno decomposti che vengono utilizzati tal quali o comunque non sottoposti a processi di tipo industriale che ne modifichino in modo sostanziale le caratteristiche fisico-chimiche originarie. Possono essere utilizzati sia come tali che in miscugli con altri prodotti di origine organica o più di frequente di origine minerale. Hanno in genere una struttura poco stabile nel tempo. Sono sede di attività microbiche più o meno intense che tendono a decomporre la materia organica modificando in modo sensibile le caratteristiche chimico-fisiche del prodotto. Le frazioni organiche che li compongono, possono avere una dotazione minerale più o meno accentuata, in funzione della loro origine. Sono chimicamente attivi ed in qualche caso necessitano di interventi volti ad eliminare la presenza di agenti patogeni animali o vegetali dannosi alle colture (Leoni 2003).

2.1.1 Torba.

L'humus è quella parte della sostanza organica che, attraverso numerosi processi di trasformazione operati dai microrganismi per azione meccanica, chimica e chimico-biologica ha assunto una forma relativamente stabile e talmente complessa da non permettere la diretta individuazione del materiale di origine (Belsito A., Fraticelli A.,

Salisbury F. B., Ross C. W. 1988). Si distinguono due tipi di humus quello formato in aerobiosi e quello formato in anaerobiosi.

1) Humus formato in aerobiosi.

Monder (detto anfimull) è intermedio tra il moor e il mull con una consistenza più

sciolta e porosa rispetto a quest'ultimo, un tasso di mineralizzazione medio ed una microfauna rappresentata in massima parte da artropodi. Nel moder sono messi in evidenza i processi distruttivi a carico della struttura. Si forma in climi freddi e umidi, su rocce ricche di silice, in ambienti forestali sia di latifoglie che di essenze resinose. Le

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trasformazioni biologiche sono operate soprattutto da funghi e artropodi. Il pH ha valori intorno a 5 mentre il rapporto C/N varia da 15 a 25. Il colore varia dal grigio al nero. L'indice di saturazione basica è basso 10-20.

Moor è tipico di ambienti freddi e piovosi con terreni poveri ad acidità elevata,

tendenzialmente anaerobi e con poche basi scambiabili. La vegetazione arborea è formata prevalentemente da conifere mentre quella erbacea è costituita soprattutto da graminacee. La mesofauna è molto ridotta si trovano soprattutto acari e collemboli che hanno scarso effetto di rimescolamento dei detriti vegetali. La microflora è rappresentata soprattutto da funghi acidofili. Di conseguenza la mineralizzazione è lenta e lo strato di foglie rimane nel terreno per più di una stagione. Il pH è decisamente acido minore di 5. Il rapporto C/N varia da circa 30-40 fino a circa 25. È un humus fibroso di colore grigio, poco salificato, ricco di acidi fulvici solubili e a lenta decomposizione. L'indice di saturazione basica è molto basso circa 10.

Mull in cui terreno in cui si forma è in buona condizioni di umidità ed areazione.

L'attività della mesofauna è molto intensa e rappresentata soprattutto da lombrichi. La microflora è abbondante ed attiva, rappresentata da batteri, funghi ed attinomiceti. Lo strato di residui organici scompare rapidamente, esso si umifica generalmente nel corso di una stagione. Il mull può essere distinto in mull calcico (o duro) e in mull forestale (o dolce).

Mull calcico (o duro) è tipico di aree calcaree dei climi temperati e subaridi,

caratterizzati da un alternanza stagionale di periodi secchi ed umidi, con vegetazione prevalente a steppa. Ricco in acidi umici e in grosse molecole con azoto in forma eterociclica che è spesso saturato con calcio e magnesio. L'umificazione è rapida ma la mineralizzazione è completa per la presenza del calcio e dell'azoto eterociclico, è molto lunga nel tempo. È un humus a colorazione scura dal nero al bruno-rossastro. Il pH varia da 7 a 8,5 mentre il rapporto C/N è intorno a 10. L'indice di saturazione basica è elevato circa 100.

Mull forestale (o dolce) si forma in aree non calcaree ma ricche in calcio. Indica un

humus poco o per nulla acido, tipico dei boschi di latifoglie. La umificazione e la mineralizzazione sono molto rapide per la presenza di una microflora (funghi) e una microfauna (lombrichi) molto attive. Il pH ha valori medi intorno a 6 mentre il rapporto C/N ha valori inferiori a 20. L'indice di saturazione basica è intorno a 60. La colorazione è scura (Cattivello 2009, Belsito A., Fraticelli A., Salisbury F. B., Ross C. W. 1988).

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2) Humus formato in anaerobiosi.

L'humus formato in anaerobiosi cioè in ambienti costantemente saturi di acqua più o meno ricchi in sali con una microflora costituita solo da specie tipiche di condizioni anaerobiche. È rappresentato dalla torba, composto da materiali organici che si forma in ambienti poco areati, saturi completamente o quasi di acqua. A causa della scarsa presenza di microrganismi la decomposizione e la umificazione sono molto lente e la sostanza organica si accumula in strati molto spessi. È humus a struttura fibrosa con trasformazioni chimiche molto lente o quasi inesistenti.

La torba si può distinguere in:

Torba oligotrofica (o acida) si forma su substrati acidi, poveri di calcio. È ricca in lignina, cellulosa ed emicellulosa. Il pH è di 4-5, il contenuto di azoto molto basso provoca un rapporto C/N di circa 40. Scarsa presenza in elementi nutritivi.

Torba mesotrofica (o calcica) si forma su substrati calcarei, basici ed è formata quasi interamente da lignina mentre la cellulosa e la emicellulosa si decompongono producendo gas. È satura di calcio e ricca di azoto eterociclico. Media presenza in elementi nutritivi. Il pH è di 7-8 mentre il rapporto C/N ha valori minori di 30.

Anmor è una torba di tipo intermedio che si forma quando lo strato di inibizione del substrato non è costante nel tempo. Può essere distinta in acida o basica a seconda dell'ambiente in cui si è formata.

L'ambiente in cui è caratterizzato da eccessi idrici stagionali nella microflora e nella microfauna prevalgono le specie adattatesi a condizioni di anaerobiosi. L'attività biochimica è molto intensa per l'azione alternanza di organismi aerobi ed anaerobi. L'umificazione prende sempre più il sopravvento sulla mineralizzazione e si forma un tipo di humus di consistenza plastica (Cattivello 2009, Belsito A., Fraticelli A., Salisbury F. B., Ross C. W. 1988).

La torba è il risultato della parziale decomposizione in ambiente saturo d'acqua di diverse specie vegetali tra cui predominano i muschi rappresentati in massima parte da sfagni e piante superiori sia erbacee che arbustive (Cattivello 2009).

È un materiale di origine autoctona con la presenza di un contenuto minimo di sostanza organica pari al 30% con pH variabile. I residui vegetali quando giungono a contatto con il suolo, vanno in contro a processi di mineralizzazione o di umificazione. Entrambi i processi sono influenzati da una serie di fattori legati alla natura del substrato (pH e composizione litologica), al tipo di copertura vegetale, alla carenza o eccesso di

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acqua per periodi più o meno lunghi, alle condizioni di areazione del mezzo ed alle medie termiche annuali o stagionali.

La torbiera è un'area con o senza vegetazione che presenta uno strato superficiale di torba accumulatosi nel corso del tempo (Cattivello 2009).

Le classificazioni della torba

Le torbe si classificano in base a: composizione botanica (torba di sfagno,di carice o canna); colore legato al diverso grado di decomposizione (torba bionda, bruna e nera); sistema di raccolta (torba da fresatura, da zollatura, da raschiatura); tipo di formazione (torbiera tropicale, bassa o di palude, alta, di montagna); granulometria (torba grossolana, media, fine).

1) Classificazione in base all'ubicazione della torbiera.

Torbiera tropicale sono torbiere localizzate in aree equatoriali e tropicali. In queste

aree le intense precipitazioni unite allo scarso drenaggio dell'acqua in eccesso assicurano condizioni idonee all'avvio dei processi di formazione delle torbiere. I depositi tropicali sono in genere localizzati in zone costiere, sono coperti da foreste pluviali e composti da residui legnosi parzialmente decomposti. Presentano una lettiera superficiale composta da foglie e depositi più profondi che possono superare i 10 m con punte di 25 m. il profilo superiore del deposito è meno convesso che nelle torbiere delle zone temperate (Cattivello 2009).

Torbiera bassa o di palude si tratta di torbiere che si formano in bassure o in bacini

lacustri che vengono alimentati dalla falda o dalle acque superficiali di ruscellamento, dai rilievi circostanti ricche in minerali principalmente calcio. Si formano a seguito di fenomeni di interramento. Prevalgono carici, tife, canne di palude, giunchi e scirpi.

Un costante processo di interramento porta al riempimento degli specchi d'acqua a partire dai bordi dei bacini con un'abbondante e variegata tipologia di specie vegetali favorite dalla buona disponibilità di elementi nutritivi. Con l'alternarsi dei cicli vegetativi i resti delle piante, solo parzialmente decomposti, a causa delle condizioni anaerobiche si depositano sul fondo fra il limo, le argille e le marne formando lo strato di torba di palude o di canna. Man mano che il processo di riempimento proseguiva una vegetazione mista composta da carici, giunchi e muschi inizia a crescere sul precedente strato di torba di canna. Con la morte e l'accumulo di questi materiali organici si venne a formare uno strato di torba di palude con prevalenza di residui legnosi poggiante sui

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precedenti depositi. Alla fine di questo processo il bacino risultava completamente riempito di torba di palude e avrebbe potuto rappresentare la fase di partenza per la formazione di una torbiera alta. Sebbene le torbiere di palude si formino in presenza di acque a pH neutro od alcalino quando formano lo strato inferiore di una torbiera alta presentano pH acido legato ai processi di umificazione che interessano gli strati superiori della torbiera alta che comportano la liberazione di acidi organici che neutralizzano l'alcalinità del mezzo e inducono l'acidificazione dei depositi intermedi e profondi. Presenta una profondità dei depositi variabile da 2 a 3 m, un pH della torba da neutro a leggermente acido (pH = 6-7 ) e un grado di decomposizione medio o alto (H> 5). La torba che si ottiene è poco omogenea, con caratteristiche tecniche variabili e poco adatta alla preparazione dei substrati.

Torbiera alta si sviluppa su precedenti torbiere di palude o basse, formano depositi

a profilo convesso che si possono elevare di qualche metro sul piano di campagna. Possono raggiungere una profondità media di 7-8 m compreso lo strato sottostante di torba di palude. Prevalgono diverse specie di sfagni mentre tra le specie superiori si rinvengono eriofori, mirtilli, ericacee, qualche carice ed infine diverse piante carnivore tra cui la Drosera. Si ritrovano sia nell'emisfero boreale che australe, in ambienti caratterizzati da clima temperato o temperato freddo nei quali il rifornimento idrico alla vegetazione è assicurato dalle precipitazioni atmosferiche (in Italia sono ubicate prevalentemente in zone alpine e pre-alpine).

Quando la crescita in altezza dei depositi non permette alla vegetazione che ha portato alla formazione delle torbiere di palude o basse, di essere alimentate dalle acque superficiali ricche in sali, la composizione botanica cambia. Prendono gradualmente il sopravvento le specie in grado di tollerare condizioni di scarso o nullo apporto di elementi nutritivi ma in grado di sostenersi solo con acqua piovana. Affinché il processo possa procedere le precipitazioni devono essere comprese fra 700 e 1000 mm annui. Le specie che si adattano meglio a questi cambiamenti sono gli eriofori seguiti poi da varie specie di sfagni. In conseguenza di questo processo si vengono a formare due depositi di sfagno. Uno più vecchio ben umificato che poggia direttamente sulla torbiera bassa può avere spessore di 2-3 m ed è composto in prevalenza da residui di eriofori. Uno più giovane e superficiale ha uno spessore di 2-3 m, composto quasi esclusivamente di sfagno poco decomposto. Negli strati superiori a contatto con l'esterno gli sfagni continuano il processo di crescita e accumulo con ritmo molto variabile in funzione delle condizioni ambientali e nutrizionali. Il profilo superiore non segue l'andamento del

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suolo minerale sottostante e sul fondo non si rinvengono, se non in casi sporadici, resti di tronchi o ceppi. La torba derivante da torbiere alte ha un pH acido variabile tra 3 e 6,5, presenta un contenuto di sostanza organica pari o superiore al 96% e un'elevata costanza di caratteristiche grazie alla scarsa variabilità dei costituenti vegetali. La comunità vegetale è composta in larga parte da sfagni che rappresentano spesso il solo genere di muschi in grado di colonizzare ambienti saturi d'acqua con scarsi o nulli apporti nutritivi e con temperature medie annue molto basse. La presenza di caratteristiche costanti assicura una volta che la torba è impiegata come substrato una buona affidabilità nell'uso.

Torbiera di montagna si forma in aree caratterizzate da elevate precipitazioni

annuali superiori ai 1250 mm. I depositi formano uno strato continuo che ricopre come una sorta di coperta dello spessore di 2,5 m il suolo minerale. In Europa si trovano nelle contee occidentali Irlandesi, nelle Isole Britanniche, in Norvegia ed Islanda. Si tratta di torbiere che si sono formate in tempi relativamente recenti e contemporaneamente sono formate da materiale più giovane rispetto a quello proveniente dalle torbiere di palude. Sono torbiere costituite da specie adatte a crescere in condizioni di saturazione idrica e con apporti derivanti in parte da precipitazioni e secondariamente da acque superficiali e di falda ricche in sali. Il sufficiente apporto di elementi minerali assicurato da acque non di origine meteorica permette la crescita di una discreta varietà di specie vegetali quali muschi, eriche, carici, ciperacee in genere.

Si possono riconoscere due strati uno più profondo e uno più superficiale. Il primo è di maggior spessore 1,5-2 m, con materiale più decomposto in cui si rinvengono tronchi e ceppi (Cattivello 2009). Il secondo è più superficiale, poco decomposto e profondo solo 0,5-1 m, con vegetazione in attivo accrescimento in superficie.

A partire da questi depositi si ottengono delle torbe di media acidità pH = 4,5 – 5,5 e di media decomposizione H = 4 – 6 che presentano una certa variabilità di caratteristiche a causa delle diverse specie vegetali presenti.

Non vengono utilizzate per la preparazione dei substrati (Cattivello 2009).

2) Classificazione in base alla composizione botanica.

Torba di sfagno deriva dagli sfagni, muschi tipici di ambienti acidi, freddi, poveri di

nutrienti, molto umidi e in grado essi stessi creare condizioni ostili per i possibili competitori. Le ragioni del loro successo evolutivo si spiegano con la capacità degli sfagni di adattarsi meglio, di altre specie a mezzi acidi, umidi, asfittici e con scarsa

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disponibilità di nutrienti. Presentano una varietà di specie in grado di adattarsi a tutti i gradienti di saturazione idrica presenti in torbiera e una volta morti resistono alla decomposizione dei tessuti in misura maggiore rispetto alla gran parte dei resti organici provenienti da altre specie presenti negli stessi ambienti. Il primo effetto della colonizzazione da parte degli sfagni è un radicale abbassamento del pH delle torbiere da 6,5 – 7 a 3,5 – 4 con un rapido declino di diverse specie antagoniste tipiche delle torbiere di palude (carici). Gli sfagni sono in grado di svilupparsi in condizioni di scarsa presenza di soluti nell'acqua. Ciò è reso possibile dalla capacità di creare siti di scambio cationico controllati da acidi uronici che attraverso i gruppi carbossilici, scambiano ioni idrogeno con altri cationi presenti nell'acqua come potassio, magnesio, calcio. Contengono inoltre una serie di composti fenolici presenti a concentrazioni più basse dei precedenti. L'insieme di questi composti rende lo sfagno particolarmente resistente alla decomposizione In particolare gli acidi uronici agiscono legando l'azoto e rendendolo indisponibile per lo sviluppo microbico.

Un'altra conseguenza derivante dal diverso biochimismo delle specie di sfagno presenti all'interno della torbiera si ha a carico del pH e del conseguente ammontare di correttivo da applicare per elevare il pH delle torbe che da essi si originano.

Tutte le specie di sfagno presentano sulla superficie dei tessuti dei siti su cui sono adsorbiti cationi scambiabili tuttavia il numero e la percentuale di saturazione di questi siti con ioni idrogeno o basi varia largamente al cambiare delle specie. Nelle bassure che sono saturate con acqua più ricca in basi perché in contatto con il substrato, il calcio e il magnesio presenti sostituiscono gran parte degli ioni idrogeno che si trovano sui i siti di scambio dei tessuti vegetali delle specie presenti. Ne deriva un arricchimento in calcio e magnesio, una minor presenza di ioni idrogeno e di conseguenza un pH dei tessuti piuttosto alto che darà luogo a torbe con valori di pH pari a 4 – 5. Viceversa nelle specie che crescono sui dossi gli apporti idrici sono solo di tipo meteorico. Quest'acqua essendo molto povera in basi non modificherà in maniera sostanziale la presenza di ioni idrogeno sui siti di scambio che portano alla formazione di torbe con pH non superiore a 3,5.

Torba di carici si tratta di torba composta in larga parte da carici (Carex spp.),

eriofidi (Eriophorum spp.), in misura minore da giunchi (Juncus spp.), canne di palude (Pharagmetes comunnis, P. australis), scirpi (Scirpus spp.) e tife (Typha spp.) (Cattivello 2009).

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