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I servizi di gestione di portafogli e di consulenza in materia di investimenti da MiFID I a MiFID II. Il caso di Banca Monte Paschi Belgio.

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I

INDICE

INTRODUZIONE. 1

CAPITOLO 1: I CONTENUTI DI MiFID I E IL SUO IMPATTO SUL RAPPORTO TRA INTERMEDIARI E CLIENTI. 3

1.1 L’iter legislativo che ha portato a MiFID I. 3

1.2 I contenuti principali della MiFID I. 5

1.3 La classificazione della clientela. 7

1.4 Suitability test e appropriateness test. L'ambito della execution only. 12

1.5 La regola della Best execution e l'execution policy. 16

1.6 La regolamentazione degli incentivi. 20

1.7 La disciplina in materia in conflitti d'interesse. 23

CAPITOLO 2: LA REVISIONE DELLA DISCIPLINA OPERATA CON MiFID II. 29

2.1 L’iter legislativo della Direttiva 2014/65/UE (o MiFID II). 29

2.2 Caratteristiche principali e obiettivi di MiFID II. 31

2.3 Le regole di comportamento per la tutela degli investitori e i doveri di correttezza e trasparenza a carico dell’intermediario. 36

2.4 L’impatto di MiFID II sulla struttura dei mercati finanziari. 43

2.5 La disciplina di product governance nel nuovo regime di MiFID II. 49

2.6 La valutazione dell’adeguatezza e il regime dell’execution only. 54

2.7 La funzione Compliance nel passaggio da MiFID I a MiFID II. 56

CAPITOLO 3: IL SERVIZIO DI GESTIONE INDIVIDUALE DI PORTAFOGLI. 63

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II

assenso. 63

3.2 Il legame del servizio di gestione di portafogli con l'esecuzione degli ordini e l'attività di “trading mirror”. 71

3.3 Le differenze con il servizio della gestione collettiva del risparmio. 73

3.4 La disciplina dei contratti relativi alla gestione di portafogli. 74

3.5 La politica di gestione di portafogli da parte di BMPB. 79

CAPITOLO 4: IL SERVIZIO DI CONSULENZA IN MATERIA DI INVESTIMENTI DA MiFID I A MiFID II 83

4.1 La consulenza in materia di investimenti: profili evolutivi. 83

4.2 Il consulente finanziario indipendente (fee-only). 87

4.3 Requisiti e modalità di iscrizione all'Albo dei consulenti finanziari indipendenti. 91

4.4 La disciplina degli agenti collegati (Tied Agents). 95

4.5 La disciplina degli analisti finanziari. 97

4.6 Le novità di MiFID II sul servizio di consulenza in materia di investimenti. 98 CAPITOLO 5: UN CASE STUDY: BANCA MONTE PASCHI BELGIO (BMPB). 107

5.1 L'appropriateness test. 107

5.1.1 Test de connaissance. 108

5.1.2 Test d'expérience. 108

5.2 Il suitability test. 109

5.2.1 Diversificazione per valuta. 110

5.2.2 Allocazione per classe di attività. 112

5.2.3 Rischio patrimoniale. 113

5.2.4 Diversificazione del portafoglio. 125

5.3 Simulazioni su portafogli clienti. 127

(3)

III

CONCLUSIONI. 147

ELENCO GRAFICI E TABELLE. 159

BIBLIOGRAFIA. 161

SITOGRAFIA. 163

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1

INTRODUZIONE

Il tema scelto per concludere il mio ciclo di studi del corso di laurea magistrale in “Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari” è l’evoluzione del quadro giuridico MiFID, nel passaggio dalla Direttiva 2004/39/CE (breviter MiFID I) alla Direttiva 2014/65/UE (breviter MiFID II), che entrerà in vigore il 3 gennaio 2018.

Sono felice di poter approfondire il tema in questione, in quanto ritengo fondamentale il ruolo e la funzione della finanza nel contesto storico che viviamo: essa può effettivamente migliorare la vita delle persone, tuttavia le leggi che la regolano necessitano di un monitoraggio continuo e costante. La crisi finanziaria del 2007 nata negli Stati Uniti, e ampliatasi in Europa, anche a causa della crisi dei debiti sovrani, ha evidenziato tutte le crepe e le inefficienze della regolamentazione finanziaria. La riforma MiFID II si pone l’obiettivo di garantire la tutela degli investitori e di rafforzare la loro fiducia nei confronti degli intermediari, dei mercati e del sistema finanziario nel suo complesso, mettendo a disposizione delle autorità di vigilanza poteri e strumenti adeguati per svolgere a pieno le loro funzioni, rafforzando i sistemi di governance degli intermediari, regolamentando strumenti finanziari che con MiFID I restavano esclusi, fino ad aumentare la competitività dei mercati garantendone allo stesso tempo integrità ed efficienza.

Il lavoro includerà anche un piccolo caso di studio, che consentirà di spaziare dalla teoria alla pratica, toccando con mano alcune delle questioni affrontate dalle direttive europee oggetto di analisi. Infatti, nell’ambito dell’Erasmus Traineeship

Consortium, il tirocinio svolto presso Banca Monte Paschi Belgio (breviter

BMPB)1, sia nel Front Office, sia nella sezione Risk Management, si è rivelato inerente e utile al tema oggetto della mia tesi di laurea, permettendomi di consultare regolamenti, analizzare procedure, assistere all’adempimento degli obblighi informativi e procedurali imposti dal legislatore europeo agli intermediari, e di comprendere l’approccio della banca a MiFID I, nonché gli

1 Banca Monte Paschi Belgio è una banca di diritto belga attiva sul territorio dal 1947. Essa fa parte del

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2

effetti della Direttiva nello svolgimento dell’attività bancaria.

L’idea è quella di suddividere la tesi in cinque parti. In primis descriverò la MiFID I, concentrandomi sulle novità che essa ha apportato rispetto al quadro giuridico precedente (ove esistesse), al fine di aumentare l’omogeneizzazione tra le normative degli Stati membri e concorrere alla creazione di un quadro giuridico armonizzato, in particolare sulle nuove regole in tema del rapporto tra cliente ed intermediario. Successivamente tratterò l’iter giuridico di MiFID II, le cause che la portano a sostituire MiFID I e le novità introdotte dalla disciplina che entrerà in vigore il prossimo 3 gennaio. Da qui mi focalizzerò rispettivamente sulla gestione di portafogli e sulla consulenza in materia di investimenti, ossia i due servizi di investimenti nei quali si concretizza maggiormente il contatto tra intermediario e cliente (la parte debole del rapporto che merita, in quanto tale, di essere protetta) e nei quali MiFID è stata da sempre “invasiva”, al fine di determinare esplicitamente le tutele di cui gode il cliente. Infine analizzerò l’approccio di Banca Monte Paschi Belgio per recepire alcune discipline concernenti la tutela del cliente, come le regole del test di adeguatezza e del test di appropriatezza, e il regolamento della disciplina in materia di conflitti di interesse. Proverò ad immaginare quindi, dopo aver analizzato le due direttive, quali potranno essere alcuni (non tutti) degli interventi che dovranno sostenere BMPB e gli intermediari per adeguarsi a MiFID II, nella consapevolezza che l’unione fa la forza.

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3

CAPITOLO 1

I CONTENUTI DI MiFID I E IL SUO IMPATTO SUL RAPPORTO TRA INTERMEDIARI E CLIENTI.

1.1 L'iter legislativo che ha portato a MiFID I.

L'acronimo MiFID I si riferisce a Market in Financial Instruments Directive, la Direttiva 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le Direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la Direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la Direttiva 93/22/CEE2 del Consiglio. Essa è stata seguita dalla Direttiva 2006/73/CE3 del 10 agosto 2006, che contiene le modalità di esecuzione di MiFID I e regolamenta le modalità di recepimento della Direttiva negli ordinamenti degli Stati membri e la possibilità di prevedere norme più restrittive rispetto a quelle dettate in linea generale dalla Direttiva.

MiFID I risponde all'esigenza, alla luce dell'aumento del numero degli investitori e della gamma e della complessità dei servizi e degli strumenti loro offerti, di creare un quadro giuridico armonizzato che disciplini tutte le attività destinate agli investitori, assicurando loro un elevato livello di protezione, e di consentire alle imprese di investimento di prestare servizi nel mercato unico comunitario, sulla base del principio della vigilanza dello Stato membro d'origine. La Direttiva rappresentò una delle prime applicazioni del nuovo processo di

making law, la cosiddetta procedura Lamfalussy4, ideata con lo scopo di accelerare

2 Si tratta della direttiva Eurosim del 1993 sui servizi d'investimento, recepita nell'ordinamento italiano

con il D. Lgs. n. 415/1996, meglio noto come Decreto Eurosim, poi confluito nel D. Lgs. n. 158/1998 (breviter TUF).

3 La direttiva 2006/73/CE rappresenta una direttiva di secondo livello.

4 Si tratta di una procedura ideata dal Wise Men Committe, istituito dal Consiglio di Lisbona del 2000 e

presieduto da Alexandre Lamfalussy, per rendere più agevole e snella l'adozione della normativa comunitaria nel settore dei servizi e dei mercati finanziari, e basata su un approccio a quattro livelli e dalla presenza di due comitati con la funzione di assistere la Commissione nella formulazione delle proposte relative all'adozione degli atti normativi comunitari.

I quattro livelli sono:

• Livello 1: adozione di direttive o regolamenti contenenti i principi quadro, secondo le procedure di co-decisione (art. 251 del Trattato istitutivo della Comunità Europea per la regolamentazione

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4

i processi di emanazione e recepimento da parte degli Stati membri della disciplina comunitaria del settore finanziario.

Essa è stata originariamente recepita in Italia con la Legge Comunitaria del 20045, ma successivamente la Legge Comunitaria del 20066 ha colmato le lacune del primo recepimento con specifici criteri di delega.

La portata innovativa dell'ambizioso progetto del legislatore comunitario è nell'intenzione di creare un mercato unico a livello europeo dei servizi finanziari, riprendendo le materie già trattate dalla Direttiva Eurosim e regolamentandone delle nuove, passando da un'“armonizzazione minima” ad un'“armonizzazione forte” e omogeneizzando così le normative degli Stati membri.

La Direttiva Eurosim infatti nasceva dall'ambizione di voler ridurre le distanze tra le varie legislazioni nazionali e realizzare la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi nella Comunità Europea, nel rispetto dei principi del mutuo riconoscimento e dell'home country control, con lo scopo ultimo di creare il mercato unico europeo dei servizi di intermediazione mobiliare e garantire all'interno di esso un elevato livello di concorrenza tra gli intermediari. Tale Direttiva, insieme alla Direttiva 93/6/CEE, perseguiva i seguenti obiettivi7:

• stabilità, con la definizione dei rapporti tra gli intermediari e l'Autorità di Vigilanza, nonché dei poteri di quest'ultima e delle modalità di coordinamento a livello comunitario;

• efficienza, attraverso l'incremento del grado di concorrenza tra le imprese di investimento e la rimozione di barriere alla loro operatività;

• trasparenza e tutela del risparmio, per mezzo della definizione di regole di

dei settori che fanno capo al mercato interno);

• Livello 2: la Commissione adotta misure tecniche di esecuzione dei principi quadro enunciati al livello 1;

• Livello 3: rafforzamento della cooperazione tra le autorità di vigilanza dei mercati finanziari operanti negli Stati membri per assicurare un'omogenea ed efficace trasposizione e applicazione a livello nazionale degli atti normativi adottati al primo e al secondo livello;

• Livello 4: attività di vigilanza da parte della Commissione, avvalendosi della collaborazione con gli Stati membri e delle autorità di vigilanza nazionali.

5 Legge n. 18 del 18 aprile 2005. 6 Legge n. 13 del 6 febbraio 2007.

7 M.C. QUIRICI, Il mercato mobiliare. L'evoluzione strutturale e normativa., 2010, Franco Angeli,

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5

comportamento e obblighi informativi per le imprese di investimento. Alla luce delle trasformazioni cui hanno assistito i mercati, tra cui spicca l'introduzione dell'Euro, e degli ampi margini di discrezionalità lasciati ancora agli Stati membri, la Direttiva 93/22/CEE è risultata insufficiente, inefficace ed obsoleta: era necessario assicurare un regime effettivo di passaporto per le imprese di investimento, aumentare la competizione tra i mercati e le piattaforme di trading, armonizzare le regole dei comportamenti degli intermediari e rimuovere gli ostacoli al clearing & settlement su base transfrontaliera8.

Gli obiettivi generali ai quali MiFID I si ispira, coerentemente con quelli del

Financial Service Action Plan9, sono:

• la tutela degli investitori; • l'integrità dei mercati;

• più alti livelli di efficienza, trasparenza ed integrazione delle infrastrutture di negoziazione, da ottenere attraverso il rafforzamento della concorrenza, nuove regole per le piattaforme di negoziazione e la trasparenza delle informazioni sulle negoziazioni pre e post trading;

• rafforzamento dei sistemi di governance, con un'apposita disciplina sui conflitti di interesse e sui sistemi di controllo interno e sulla funzione di

compliance.

1.2 I contenuti principali della MiFID I.

Tra i principi quadro che guidano il processo di riforma di MiFID I è doveroso considerare:

• il principio del mutuo riconoscimento, per cui lo Stato membro d'origine

8 I. PORCHIA - P. SPATOLA, in La direttiva di primo e secondo livello-Le definizioni-Le esenzioni obbligatorie e facoltative, in L. ZITIELLO (a cura di), MiFID: la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, 2009, ITA, Torino.

9 Il Financial Service Action Plan (breviter FSAP) è un piano d'azione eterogeneo (comprende 42 misure

tra Direttive, Regolamenti e Raccomandazioni) realizzato dalla Commissione Europea ed approvato l'11 maggio 1999. Gli obiettivi strategici di questo documento chiave per la realizzazione del quadro normativo unico per i mercati finanziari dell'UE sono la costituzione di un mercato unico all'ingrosso dei capitali, l'assicurazione dell'apertura e della sicurezza dei mercati al dettaglio e l'armonizzazione delle regole prudenziali e di vigilanza.

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6

rilascia l'autorizzazione all'impresa di investimento per la prestazione dei servizi d'investimento in regime di libertà di stabilimento o libera prestazione di servizi in tutta la Comunità Europea, senza che sia necessaria anche l'autorizzazione del Paese ospitante;

• la competizione tra le diverse sedi di negoziazione: mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione e internalizzatori sistematici, con l'obiettivo però, alla luce di questa frammentazione, di garantire la comparabilità dei prezzi, rendendo pubbliche le informazioni sui prezzi pre e post negoziazione;

• l'obbligo per le imprese di investimento di eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per il cliente;

• regole di condotta per le imprese di investimento per lo svolgimento dei servizi di investimento;

• nuova disciplina in materia di conflitto d'interesse;

• principio dell'abolizione delle restrizioni tecniche e giuridiche all'accesso ai mercati regolamentati, per il quale i mercati regolamentati possono ammettere come membri le imprese di investimento, le banche autorizzate e chi possiede i requisiti stabiliti;

• principio che garantisce l'accesso al sistema di clearing & settlement in tutta la Comunità Europea, prescindendo dal fatto che le operazioni siano state concluse o no all'interno dei mercati regolamentati dello Stato membro. • principio dell'ammissione senza consenso (art.40, paragrafo 5)

In via generale, MiFID I impone alle imprese di investimento di fornire informazioni sufficienti per consentire al cliente di effettuare scelte di investimento consapevoli e di essere in grado di giudicare adeguatamente l'affidabilità dell'intermediario introducendo, a tal fine, l'obbligo di differenziazione della clientela in tre tipologie (clienti retail, clienti professionali e controparti qualificate): le informazioni, che devono essere chiare, corrette e non fuorvianti10, verranno calibrate a seconda dell'appartenenza dell'investitore ad una delle classi

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7 previste.

L'obbligo, ulteriore a quello di disclosure definito precedentemente, per le imprese di investimento di garantire, prima di tutto, il rispetto dell'interesse del cliente (act in clients' best interest) viene soddisfatto con la valutazione dell'adeguatezza e dell'appropriatezza dello strumento finanziario o del servizio offerto, misurati rispettivamente dal suitability test e dall'appropriateness test. Escluso il momento dell'accesso al servizio d'investimento, è prevista la possibilità di non rispettare gli obblighi informativi e di non effettuare i suddetti test nell'ambito dell'execution only.

L'intermediario, alla luce dell'asimmetria informativa insita nel rapporto col cliente, deve non solo agire in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti11, ma anche garantire il miglior risultato possibile, attenendosi alla strategia di esecuzione stabilita.

Per completare il quadro del rapporto intermediario-cliente e l'introduzione alle forme di tutela per la parte debole di tale rapporto, ossia l'investitore, non bisogna tralasciare gli impatti della disciplina dei conflitti di interesse e di quella degli inducements. In particolare il primo aspetto non è di secondaria importanza rispetto agli altri, visto che la regolamentazione della gestione dei conflitti di interesse impatta sulla definizione della struttura interna e sulla governance dell'intermediario12.

1.3 La classificazione della clientela.

Al fine di garantire la protezione degli investitori, assicurando allo stesso tempo un'elevata competitività tra gli intermediari e i mercati, MiFID I ha imposto alle imprese di investimento norme di comportamento da rispettare al momento della prestazione dei servizi d'investimento, sulla base di obblighi informativi imposti per permettere al risparmiatore di effettuare scelte di investimento consapevoli e valutare l'affidabilità dell'intermediario, nonché dell'obbligo di

11 Direttiva 2004/36/CE, art. 19, comma 1.

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8 rispettare prima di tutto l'interesse dei clienti.

Un aspetto sicuramente innovativo, pur non essendo una novità assoluta13, è la regola di classificazione della clientela, la cui idea di base è quella di prevedere misure di protezione adeguate e proporzionate a ciascuna categoria di cliente14. Le categorie sono le seguenti:

• clienti al dettaglio (“retail client”), ovvero i soggetti senza l'esperienza e la competenza in materia di investimenti di cui sono dotati i clienti professionali;

• clienti professionali (“professional client”), che soddisfano i requisiti previsti dall'Allegato 2 di MiFID I;

• controparti qualificate (“elegible counterparties”), ossia un sottoinsieme della categoria dei clienti professionali.

Quindi, poiché le controparti qualificate hanno una conoscenza ed un'esperienza maggiore in materia di investimenti e sono in grado di comprendere maggiormente i rischi in cui incorrono, saranno sottoposti ad un livello di tutela inferiore rispetto, ad esempio, ai clienti al dettaglio. Essi infatti sono protetti solo per i servizi di ricezione e trasmissione di ordini, di negoziazione per conto proprio ed esecuzione di ordini per conto dei clienti, al contrario degli investitori retail e dei clienti professionali, che usufruiscono delle tutele per il collocamento, la gestione di portafogli e la consulenza.

La classificazione della clientela è il primo stadio del rapporto banca-cliente, preliminare all'espletamento di qualsiasi tipologia di servizio d'investimento, e resta un aspetto di fondamentale importanza per tutta la durata del rapporto, in quanto è possibile modificare la classificazione iniziale, su espressa richiesta del cliente o su iniziativa dell'intermediario, o diversificare il livello di tutela per ciascuna tipologia di servizio d'investimento, notificando per iscritto le variazioni

13 Il principio era già richiamato dall'art. 11 della Direttiva 1993/22/CEE, che sosteneva di tener conto

“della natura professionale della persona a cui il servizio è fornito”. L'art. 6, comma 2 del TUF prevedeva che il potere della Consob riguardo le regole di condotta nell'ambito del rapporto banca-cliente doveva essere esercitato “tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori

connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi”. L'art. 31 del Regolamento Consob

1 luglio 1998, n.11522 individuava gli “operatori qualificati”, l'unica categoria cui non si applicavano le normali regole di condotta.

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9 alla scelta iniziale.

L'intermediario, al momento del primo contatto, deve richiedere tutte le informazioni e la documentazione ritenute necessarie per assegnare il cliente o potenziale cliente ad una delle categorie previste dalla normativa, e comunica la decisione, informandolo sui livelli di protezione di cui goderà e sulla possibilità di poter chiedere una classificazione diversa, con le relative conseguenze in termini di riduzione della tutela.

La variazione della classificazione, come già anticipato, può riguardare anche solo un singolo servizio di investimento (addirittura un solo strumento finanziario), tuttavia l'accettazione di tale modifica è rimessa alla discrezionalità dell'intermediario, che deve effettuare la stessa procedura e rispettare gli stessi obblighi informativi previsti per la classificazione iniziale.

Tra i passaggi previsti15, è rilevante quello effettuato in seguito alla richiesta scritta di un cliente al dettaglio di essere trattato come cliente professionale. Esso è consentito dall'intermediario solo dopo aver verificato che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni e comprenderne i rischi derivanti, e che sussistano almeno due dei seguenti requisiti:

• operazioni di dimensioni significative effettuate dal cliente con una frequenza media di 10 operazioni a trimestre nei quattro trimestri precedenti;

• valore del portafoglio degli strumenti finanziari16 del cliente superiore a 500.000 euro;

• il cliente deve lavorare (o aver lavorato) nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza dei servizi.

Infine il cliente, dopo essere stato avvertito con comunicazione scritta delle protezioni che potrebbe perdere, deve dichiarare per iscritto di essere a conoscenza

15 I passaggi consentiti da MiFID I possono avvenire:

• da cliente al dettaglio a cliente professionale su richiesta; • da cliente professionale di diritto a cliente al dettaglio; • da controparte qualificata a cliente professionale; • da controparte qualificata a cliente al dettaglio.

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10

delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni. Naturalmente la normativa prevede il passaggio inverso a fronte di un'apposita richiesta scritta.

La Direttiva MiFID I prevede prescrizioni da adottare nei confronti di ogni categoria di cliente, senza distinzione, circa:

• un'informativa chiara sulla natura e le fonti dei conflitti di interessi non evitabili;

• la notifica al cliente sulla sua classificazione e sulla possibilità di poterla modificare con le relative conseguenze17;

• una chiara comunicazione sull'esistenza, la natura e l'importo di

inducements;

• l'adozione di tutte le misure ragionevoli per l'ottenimento del miglior risultato possibile per il cliente, nell'ambito dello svolgimento del servizio di esecuzione degli ordini;

• una comunicazione della strategia di esecuzione degli ordini (execution

policy) che l'impresa intende adottare in relazione al cliente (e ottenimento

del suo consenso), rispettando l'obbligo di dimostrare al cliente stesso che l'ordine è stato eseguito conformemente alla execution policy;

• comunicazione circa la possibilità di eseguire gli ordini al di fuori di un mercato regolamentato o un sistema multilaterale di negoziazione e ottenimento del relativo consenso esplicito e preventivo del cliente;

• comunicazione al cliente sulla natura e i rischi degli strumenti finanziari, delle informazioni sulla salvaguardia degli strumenti stessi e dei fondi del cliente, delle relazioni sui servizi prestati sul superamento delle soglie stabilite in seguito ad operazioni con passività potenziali o operazioni di gestione del portafoglio con perdite.

Tra le categorie previste dalla Direttiva, risulta chiaro come sia il cliente al dettaglio quello meritevole di più tutele, in quanto possessore, in confronto alle altre due categorie, di un minor livello di competenza ed esperienza in materia di investimenti. Esso quindi, definito come il cliente che non è un cliente

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11

professionale né una controparte qualificata18, gode di regole specifiche per la sua tutela, ulteriori a quelle previste per tutte le categorie. Queste regole prevedono la comunicazione di informazioni circa l'impresa e i servizi offerti, tra cui:

• nome, indirizzo e recapiti dell'impresa;

• lingua e i metodi da utilizzare per le comunicazioni tra impresa e cliente; • autorizzazione di cui si avvale l'impresa d'investimento;

• notifica dello Stato membro in cui è registrato l'agente collegato di cui eventualmente si avvale l'impresa di investimento;

• natura, frequenza e date delle relazioni sull'esecuzione del servizio che l'impresa presta al cliente;

• sintesi delle misure adottate per assicurare il cliente sulla protezione degli strumenti e dei fondi del cliente che l'impresa detiene, nonché il sistema di indennizzo e di garanzia che vengono applicati;

• descrizione della politica di gestione dei conflitti di interesse ed ulteriori dettagli su richiesta del cliente da presentare su un supporto durevole o un sito Internet;

• informazioni su costi, oneri e corrispettivo totale che il cliente deve pagare per le operazioni legate al servizio o al singolo strumento e relative modalità di pagamento19;

• informazioni sulla natura e i rischi connessi agli strumenti finanziari e sull'informativa ad essi collegata di cui i clienti possono usufruire20;

Inoltre, se l'impresa d'investimento svolge il servizio di gestione del portafoglio per un cliente al dettaglio, deve comunicare, oltre alle suddette, le seguenti informazioni su:

• metodo e frequenza di valutazione degli strumenti finanziari che costituiscono il portafoglio;

• eventuali deleghe della gestione discrezionale di tutti o una parte degli strumenti finanziari o fondi costituenti il portafoglio;

18 Definizione “in negativo” adottata dal Regolamento Consob n.16190 sugli intermediari, art.26. 19 Regolamento Consob n.16190 sugli intermediari, art. 32.

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• benchmark al quale verrà raffrontato il rendimento del portafoglio;

• tipologie di strumenti finanziari che possono essere accolte nel portafoglio e operazioni che possono essere effettuate su di essi;

• obiettivi della gestione, limiti della discrezionalità di cui dispone il gestore, e livello del rischio entro la quale essa può essere esercitata.

Rimanendo sempre sulla questione dei flussi informativi, è prevista con MiFID I la stipulazione di un contratto di base scritto, su carta o supporto durevole, tra l'impresa di investimento e un nuovo cliente retail, per tutti i servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti, che fissi i diritti e gli obblighi essenziali di ambedue le parti, nonché i contenuti relativi alla gestione di portafogli21.

1.4 Suitability test e appropriateness test. L'ambito della execution only.

Oltre agli obblighi informativi, è previsto uno sforzo maggiore per le imprese di investimento, ossia l'obbligo di act in clients best interest. In questo senso si inserisce una delle novità principali di MiFID I, ossia la conduzione del suitability

test e dell'appropriateness test.

Lo scopo ultimo del suitability test è quello di permettere all'intermediario di valutare che la specifica operazione consigliata o realizzata nell'ambito della consulenza in materia di investimenti o del servizio di gestione dei portafogli corrisponda agli obiettivi d'investimento del cliente, che abbia un rischio finanziariamente sopportabile e che sia di natura tale che il cliente sia in grado di comprenderne i rischi.

L'articolo 39 del Regolamento Consob n.16190 sugli intermediari elenca le informazioni che gli intermediari devono ottenere dal cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio, allo scopo di raccomandargli servizi di investimento e strumenti finanziari adatti alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante

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per il tipo di strumento o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento.

In particolare, le informazioni relative alla conoscenza e all'esperienza includono i seguenti elementi, nella misura in cui risultino appropriati alle caratteristiche del cliente, alla tipologia ed alla rischiosità di prodotto/servizio offerto:

• i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con cui il cliente ha dimestichezza,

• la natura, il volume e la frequenza delle operazioni su strumenti finanziari effettuate ed il relativo periodo;

• il livello di istruzione, la professione o la precedente professione.

Le informazioni sulla situazione finanziaria devono indicare le fonti e la consistenza del reddito, del patrimonio complessivo e degli impegni finanziari del cliente; infine, le informazioni sugli obiettivi dell'investimento includono anche il periodo di tempo nel quale il cliente intende conservare l'investimento e le preferenze al rischio.

Una volta che il cliente o potenziale cliente abbia fornito le sue informazioni, l'intermediario può fare affidamento su di esse, a meno che esse non siano manifestatamente superate, inesatte o incomplete; al contrario deve astenersi dal prestare i servizi d'investimento qualora non abbiano ottenuto le informazioni necessarie. In ogni caso non possono incoraggiare un cliente a non fornire tali informazioni.

Mentre in passato, nonostante l'operazione non risultasse essere adeguata al cliente, l'intermediario poteva eseguire comunque l'operazione, una volta che il cliente avesse presentato un consenso scritto, con l'entrata in vigore di MiFID I, l'intermediario deve astenersi dall'eseguire l'operazione22.

Lo svolgimento dell'appropriateness test23 avviene invece nell'ambito della prestazione di servizi d'investimento diversi dalla consulenza e dalla gestione dei portafogli, con l'intento di verificare se il cliente abbia un livello di esperienza e

22 Regolamento Consob n.16190 sugli intermediari, art.39, comma 6. 23 Regolamento Consob n.16190 sugli intermediari, artt.41-42.

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conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento finanziario o il servizio in questione implicano. Gli intermediari richiedono quindi al cliente informazioni concernenti la conoscenza o l'esperienza sul tipo di strumento o servizio finanziario proposto.

Nel caso in cui l'intermediario ritenga che lo strumento finanziario non sia appropriato, avverte, anche tramite un formato standardizzato, il cliente di tale esito. Alla luce della normativa, l'avvertimento avviene anche quando il cliente si è rifiutato di fornire le informazioni circa la sua esperienza e conoscenza o quando quest'ultime sono insufficienti.

La differenza sostanziale tra il suitability test e l'appropriateness test, oltre ad una maggiore mole di informazioni da raccogliere per il primo, consiste nel fatto che, qualora il risultato del suitability test sia negativo, l'intermediario non può svolgere il servizio o eseguire l'operazione sullo strumento finanziario: si tratta di un divieto assoluto ed inderogabile. Al contrario nell'appropriateness test, seppur a fronte di un esito negativo, l'intermediario può eseguire l'operazione, ma solo dopo aver avvertito il cliente di tale esito.

Le imprese di investimento possono prestare i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione di ordini, senza essere tenute ad effettuare la valutazione di adeguatezza e di appropriatezza, qualora ricorrano le seguenti condizioni:

• i servizi suddetti hanno per oggetto azioni ammesse ad essere negoziate in un mercato regolamentato, strumenti del mercato monetario, obbligazioni o altri titoli di debito, OICR armonizzati e altri strumenti finanziari non complessi24;

• il servizio è prestato su iniziativa del cliente o potenziale cliente, ossia qualora quest'ultimo non sia stato influenzato da una comunicazione personalizzata trasmessa dall'intermediario contenente un invito esplicito o volta ad influenzare le scelte in merito ad un dato strumento o ad una specifica operazione finanziaria;

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15

• il cliente è stato chiaramente informato che l'intermediario non è tenuto a valutare l'appropriatezza nell'ambito di questi servizi e che quindi beneficia di una minore protezione;

• l'intermediario rispetta gli obblighi in materia di conflitti d'interesse. In quest'ambito quindi, denominato execution only, l'intermediario si pone come mero tramite tra il cliente ed il mercato, e questo gli permette di velocizzare il processo di esecuzione del servizio ed abbattere i costi. Naturalmente il cliente deve essere consapevole del fatto che non gli viene garantita nessuna forma di tutela. Inoltre l'execution only si caratterizza per il fatto che, oltre agli strumenti finanziari non complessi, si applica a strumenti finanziari che non rientrano nella definizione di strumenti derivati, strumenti che sono soggetti frequentemente alla possibilità di cessioni, riscatti o ottenimento del corrispettivo a prezzi pubblicamente disponibili per i partecipanti al mercato, strumenti che non implicano passività effettiva o potenziale per il cliente se non il costo per l'acquisizione e strumenti le cui informazioni sono pubblicamente disponibili, complete e di agevole comprensione in merito alle caratteristiche dello strumento finanziario in modo che il cliente retail possa prendere una decisione informata sulla realizzazione o meno di un'operazione su tale strumento.

In sintesi, MiFID I vara uno scenario in cui le regole di condotta degli intermediari cambiano a seconda del servizio d'investimento offerto e, allo stesso modo, cambiano anche le tutele assicurate ai clienti in relazione al servizio richiesto25. Questa situazione rappresenta il cosiddetto principio di proporzionalità degli obblighi ai servizi.

Emerge che i servizi che richiedono una maggiore tutela per il cliente, quindi la necessità di condurre il test di adeguatezza, sono la consulenza in materia di investimenti e la gestione di portafogli, che si caratterizzano per il fatto che le scelte vengono effettuate direttamente dall'intermediario e la fiducia risposta dal cliente è molto elevata. Gli altri servizi invece richiedono solo il test di appropriatezza, mentre nell'ambito dell'execution only, per la mera ricezione o esecuzione di ordini, l'intermediario è svincolato dal condurre qualsiasi tipologia

(20)

16 di test.

Alla luce delle novità introdotte, le imprese di investimento hanno dovuto valutare la situazione “as is” al fine di preventivare lo sforzo operativo ed organizzativo necessario per implementare le procedure e la loro attività (“to

be”)26. Così, in riferimento all'adeguatezza, è stato necessario verificare la capacità dei processi organizzativi e delle procedure informatiche di acquisire le informazioni sul cliente/potenziale cliente, prima dello svolgimento dei servizi di gestione di portafogli o consulenza; per quanto concerne l'appropriatezza, gli intermediari devono valutare se tali sistemi sono in grado di acquisire le informazioni propedeutiche allo svolgimento di tutti gli altri servizi, nonché verificare se dispongono dei formati standardizzati per comunicare al cliente che l'insufficienza delle informazioni o il rifiuto a fornirle può comportare la non adeguatezza dello strumento o servizio offerto.

In generale questa disciplina mira a garantire un elevato livello di protezione per il cliente, senza rinunciare ad una minimizzazione degli adempimenti di natura burocratica.

Ad un primo impatto si può sostenere che tale semplificazione risulti più utile per gli intermediari che prestano prevalentemente i servizi di investimento che rientrano nel regime dell'appropriatezza, mentre per gli intermediari polifunzionali, le varie sfaccettature adeguatezza-appropriatezza-execution only determina la gestione di più profili, dati e output diversi in virtù del servizio prestato27.

1.5 La regola della Best execution e l'execution policy.

Un'altra disciplina prevista da MiFID I è quella della best execution, della quale è possibile riscontrarne le tracce già nella Legge n.1/1991, che imponeva alle SIM di comportarsi con correttezza, diligenza e professionalità nella cura

26 D. SPREAFICO, in Le valutazioni di adeguatezza e appropriatezza, in L. ZITIELLO (a cura di), MiFID: la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, op.cit.

27 D. SPREAFICO, in Le valutazioni di adeguatezza e appropriatezza, in L. ZITIELLO (a cura di), MiFID: la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, op. cit.

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17

dell'interesse del cliente e di rispettare le istruzioni ricevute dal cliente, garantire l'accesso di quest'ultimo nella scelta dei tempi e delle modalità di esecuzione e consentire al medesimo di realizzare il miglior prezzo in caso di negoziazione al di fuori del mercato regolamentato28. Il legislatore italiano riprende poi le linee guida dettate dalla Direttiva Eurosim nell'art. 21 del TUF e negli artt. 26 e ss. del Regolamento Consob sugli intermediari per specificare le regole cui questi devono attenersi nello svolgimento dei servizi.

Inoltre, alla luce dell'abolizione del principio di concentrazione degli scambi, la nuova disciplina, che con l'emanazione di MiFID I assume un ruolo primario a livello comunitario, in quanto viene assume la funzione di rappresentare un efficiente sistema regolamentare e organizzativo a carico degli intermediari per rafforzare la fiducia tra questi e i clienti.

Se nella legislazione nazionale l'intermediario abilitato, per ottenere il miglior risultato, doveva tener conto del momento, della dimensione e della natura delle operazioni, con riguardo al prezzo e agli oneri sostenuti dall'investitore, con la MiFID I deve analizzare un insieme di fattori più ampio e dettagliato e predisporre una strategia di esecuzione da far approvare preventivamente al cliente per raggiungere lo scopo, dotandosi di adeguati dispositivi29.

La best execution prevede che gli intermediari debbano adottare tutte le misure ragionevoli per permettere al cliente di ottenere il miglior risultato possibile, considerando congiuntamente il prezzo, i costi, la rapidità e la probabilità di esecuzione e di regolamento, le dimensioni e la natura dell'ordine e qualsiasi altra considerazione pertinente ai fini dell'esecuzione30. Per stabilire l'importanza relativa a questi fattori, gli intermediari devono considerare i seguenti criteri:

• caratteristiche del cliente, compresa la sua classificazione; • caratteristiche dell'ordine del cliente;

• caratteristiche degli strumenti finanziari oggetto dell'ordine;

28 Legge n.1/1991, art. 6, lettera a) e art. 9, comma 2, lettere c) e d) e art. 11, comma 2.

29 A. PEPE (con la collaborazione di M.C. PELLEGRINI), in La best execution, in L. ZITIELLO (a cura

di), MiFID: la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, op. cit.

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• caratteristiche delle sedi di esecuzione alle quali l'ordine può essere diretto. Essi sono tenuti pertanto ad adottare una strategia di esecuzione degli ordini (execution policy), finalizzata ad individuare (ex ante) le sedi di esecuzione che permettono, per ciascuna categoria di strumenti finanziari, di ottenere in modo duraturo il miglior risultato possibile per l'esecuzione degli ordini del cliente, e di orientare la scelta, tra queste, della sede di esecuzione.

La best execution si applica ai seguenti servizi d'investimento: • negoziazione per conto proprio;

• esecuzione di ordini per conto dei clienti; • ricezione e trasmissione di ordini;

• gestione di portafogli.

Gli intermediari devono agire nel rispetto della best execution per tutte le tipologie di strumenti finanziari e per tutte le tipologie di clienti, ad eccetto delle controparti qualificate, le quali, tuttavia, possono richiedere e ottenere l'applicazione di tali regole.

Nell'esecuzione degli ordini per conto di un cliente retail, gli intermediari selezionano la sede di esecuzione in grado di ottenere in modo duraturo il miglior risultato possibile in ragione del corrispettivo totale, costituito dal prezzo dello strumento finanziario e dai costi relativi all'esecuzione. I costi includono tutte le spese sostenute dal cliente e direttamente collegate all'esecuzione dell'ordine; altri fattori diversi dal corrispettivo possono avere la precedenza rispetto alla considerazione immediata del prezzo e del costo soltanto a condizione che essi siano strumentali a fornire il miglior risultato possibile in termini di corrispettivo totale. In ogni caso, qualora il cliente impartisca istruzioni specifiche, l'intermediario esegue l'ordine attenendosi, limitatamente agli elementi oggetto delle indicazioni ricevute, a tali istruzioni.

In termini di flusso di informazioni da destinare al cliente riguardo l'execution

policy adottata, gli intermediari devono fornire informazioni appropriate ai propri

clienti, specificando se la strategia prevede che gli ordini possano essere eseguiti al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione (Multilateral Trading Facility, breviter MTF). Devono inoltre

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19

ottenere sia il consenso preliminare del cliente sulla strategia di esecuzione degli ordini e sia uno esplicito, in via generale o specifico per ciascuna singola operazione, prima di procedere all'esecuzione degli ordini al di fuori di un mercato regolamentato o di un MTF31.

Gli intermediari sono tenuti a fornire ai clienti retail, tramite un supporto duraturo o un sito Internet, in tempo utile prima della prestazione del servizio, l'indicazione sull'importanza assegnata ai fattori precedentemente elencati, l'elenco delle sedi di esecuzione sulle quali fa affidamento l'intermediario per adempiere alla best execution e un avviso chiaro ed evidente che le eventuali istruzioni specifiche del cliente possono pregiudicare le misure previste nella execution

policy limitatamente agli elementi oggetto di tali istruzioni. Gli intermediari

dovranno poi essere in grado di dimostrare ai clienti che hanno eseguito gli ordini in conformità dell'execution policy32. L'art. 21, par.1 della MiFID I e il Considerando 68 e l'art.44 e par. 2 della Direttiva 2006/73/CE prevedono che l'obbligo di best execution si possa ritenere soddisfatto automaticamente nel momento in cui l'intermediario si conforma a quanto richiesto dal cliente e, dall'altro che l'intermediario rimanga responsabile per tutti gli aspetti dell'esecuzione dell'ordine per i quali non sono state ricevute istruzioni dal cliente. Le due Direttive ritengono quindi che il conformarsi alle istruzioni del cliente corrisponda all'effettivo interesse dello stesso, a meno che l'intermediario non lo abbia influenzato indicando espressamente quelle istruzioni che potrebbero non garantire il miglior risultato possibile33.

L'efficacia della strategia di esecuzione, nonché le misure di esecuzione degli ordini adottate, sono controllate dagli intermediari, al fine di identificare e correggere eventuali carenze. Essi riesaminano con periodicità almeno annuale, e al verificarsi di circostanze rilevanti e in grado di influire sulla capacità di ottenere in modo duraturo il miglior risultato possibile, le misure e la strategia di esecuzione

31 La normativa previgente la Direttiva 2004/39/CE prevedeva l'obbligo di concentrazione degli scambi

sui mercati regolamentati, e l'obbligo di esecuzione alle migliori condizioni si riteneva adempiuto con l'esecuzione dell'operazione sul mercato regolamentato.

32 Direttiva 2004/36/CE, art.21, paragrafo 5.

33 A. PEPE (con la collaborazione di M.C. PELLEGRINI), in La best execution, in L. ZITIELLO (a cura

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degli ordini, comunicando al cliente qualsiasi modifica rilevante apportata.

Gli obblighi di best execution si applicano anche ai servizi di gestione di portafogli e di ricezione e trasmissione di ordini. In quest'ultimo caso l'intermediario è tenuto alla definizione di una strategia di trasmissione degli ordini (trasmission policy) che identifica i soggetti verso i quali gli ordini sono trasmessi, per ciascuna tipologia di strumento finanziario. Anche in questo caso l'intermediario fornisce le informazioni appropriate su tale strategie e si attiene alle istruzioni specifiche impartite dal cliente, limitatamente agli elementi oggetto delle indicazioni ricevute. Sono confermati i termini per il controllo e la revisione dell'efficacia della strategia e la correzione delle eventuali carenze. Ma, al contrario del caso della execution policy, nella trasmission policy l'intermediario, consegnando il documento informativo non è ottenuto ad ottenere il consenso preventivo.

L'esenzione per l'impresa d'investimento da tali obblighi vale solo nel rapporto con una controparte qualificata, che comunque può richiedere l'applicazione di tali regole

1.6 La regolamentazione degli incentivi.

L'art. 19 della MiFID I e l'art. 26 della Direttiva 2006/73/CE trattano la disciplina dei ristorni o “inducements”, volta a garantire gli obblighi generali di agire “in modo onesto, equo e professionale, per servire al meglio gli interessi dei clienti”34 nel caso specifico in cui l'intermediario, nell'ambito della prestazione di un servizio di investimento o accessorio, versi o percepisca competenze o commissioni oppure fornisca o riceva prestazioni non monetarie. Quindi la

34 La Commissione Europea ha deciso di inserire la disciplina degli inducements all'interno di quella più

generale del dovere di correttezza dell'intermediario, in controtendenza con gli Standard CESR del 2002 che facevano rientrare tale disciplina in quella dei conflitti di interesse. Questo avviene per l'ultima volta all'interno della Direttiva 2006/73/CE, nell'elenco dei casi dei conflitti d'interesse, in cui è possibile riscontrare le fattispecie in cui l'intermediario riceve un incentivo da un soggetto diverso dal cliente sotto forma di denaro, beni o servizi, diverso dalle commissioni o dalle competenze previste per il servizio prestato. Queste fattispecie rappresentano un divieto nella disciplina degli

inducements, e dimostrare che l'incentivo serve per accrescere la qualità del servizio prestato al cliente

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21

posizione della disciplina comunitaria è quella di vietare gli incentivi, salvo che non rientrino nelle tre ipotesi di eccezione a tale disposizione.

La prima ipotesi riguarda le competenze, le commissioni o le prestazioni non monetarie pagati o forniti dal cliente nei confronti dell'impresa di investimento che svolge il servizio, e presuppone quindi una connessione stretta tra il cliente e il pagamento ricevuto dall'impresa35.

La seconda riguarda le competenze, le commissioni o le prestazioni non monetarie pagati o forniti da un terzo o da una persona che agisca per conto di un terzo, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:

• una chiara comunicazione al cliente, in modo completo, accurato e comprensibile, prima della prestazione del servizio, della natura e dell'importo degli incentivi o il loro metodo di calcolo;

• la finalità degli incentivi di accrescere la qualità del servizio, senza ostacolare l'adempimento, da parte dell'impresa di investimento, dell'obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente36.

Si tratta, ad esempio, del caso dell'intermediario che distribuisce strumenti finanziari per conto di una Società di Gestione del Risparmio (breviter SGR) e che riceve, per tale attività, dei pagamenti da parte della stessa.

L'ultima ipotesi concerne quegli incentivi necessari per rendere possibile la prestazione dei servizi d'investimento e che per loro natura non possono confliggere con l'obbligo per l'intermediario di agire in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei clienti. Si tratta, per esempio, dei costi di custodia e delle spese legali, o delle commissioni per il regolamento delle transazioni37.

Prima del recepimento di MiFID I, il Regolamento Consob sugli intermediari includeva alcune fattispecie della disciplina degli incentivi nella regolamentazione dei conflitti di interesse. La rottura col passato, avvenuta col recepimento della

35 Direttiva 2006/73/CE, art. 26, lettera a).

36 Direttiva 2006/73/CE, art.26, lettera b). In particolare, la seconda condizione richiede due requisiti

specifici, ossia il miglioramento della qualità del servizio e l'assenza di ostacolo all'adempimento dell'obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente.

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22

nuova disciplina comunitaria, sarebbe dovuta ad un maggiore ambito di applicazione della disciplina degli “inducements”, ed alla sua “forma” di divieto generale col fine di garantire maggiore trasparenza nei rapporti tra intermediari e clienti riguardo i compensi ricevuti dai primi, che sono ammessi solo se implicano un aumento della qualità dei servizi resi agli investitori (consentendo, per esempio, l'accesso ad una gamma di strumenti più ampia) e non entrano in conflitto con l'obbligo di agire nell'interesse dei clienti.

Il cambiamento posto in atto dalla disciplina comunitaria genera conseguenze di ampia portata, in quanto mettono in discussione alcune storiche forme di remunerazione degli intermediari, in particolare le remunerazioni del servizio di collocamento38, generalmente corrisposta dalla società prodotto, e le retrocessioni commissionali percepite con la prestazione dei servizi d'investimento39.

A fronte delle critiche poste da alcuni circa la legittimità della disciplina degli

inducements, ritenuta lesiva del principio di libera iniziativa di mercato e dei

meccanismi di formazione dei prezzi, c'è chi afferma che tale disciplina ha solo il principale obiettivo di evitare che la modalità di remunerazione sia non trasparente e in grado di spingere gli intermediari a non agire nel miglior interesse dei clienti. In ogni caso le limitazioni in materia di incentivi non riguardano i compensi pagati ai clienti finali, quindi resta chiara la ridefinizione della struttura commissionale dei vari prodotti, ponendo il relativo costo direttamente a capo

38 “[...]apparentemente, infatti l'investitore non corrisponde a quest'ultimo (l'intermediario collocatore) alcun compenso per il servizio di collocamento; in realtà il compenso è posto a carico del prodotto finanziario collocato, e corrisposto direttamente dalla società prodotto, sotto forma- appunto- di incentivo. Il costo finale, inevitabilmente, ricade sull'investitore, ma in condizioni di scarsa trasparenza e, soprattutto, senza che ciò comporti necessariamente l'incremento nella qualità dei servizi resi dal collocatore”. Si veda F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, 2012,

Giappichelli Editore, Torino.

39 “[...]la Consob ha stabilito che la percezione degli incentivi da parte del collocatore, ad esso corrisposti dalla società-prodotto, si giustifica soltanto là dove gli incentivi riflettano servizi effettivamente resi dal collocatore all'investitore finale. Tali servizi possono identificarsi nel collocamento del prodotto o strumento finanziario e – quanto alle retrocessioni ricevute dal collocatore in via continuativa, dopo il collocamento del prodotto – in servizi di assistenza post-vendita, o di consulenza. Con riferimento, di contro, al servizio di gestione di portafogli, la Consob - avallando la posizione espressa dal CESR nelle proprie raccomandazioni in tema di inducements -ha ritenuto che non sussistano i presupposti per giustificare l'incremento nella qualità di servizio, che è presupposto essenziale per legittimare la percezione (e anche il pagamento) degli incentivi stessi: infatti, in questo caso, l'incentivo remunererebbe un servizio che, di fatto, è già remunerato dalle commissioni di gestione corrisposte dall'investitore”. Si veda F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op.cit.

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23

dell'investitore, rendendo, a costo di un maggior sforzo commerciale e di trasparenza, la struttura della remunerazione del servizio più trasparente.

1.7 La disciplina in materia in conflitti d'interesse.

L'individuazione e la gestione dei conflitti d'interesse costituisce, all'interno del quadro normativo MiFID I, un elemento centrale nell'ambito della trasparenza nei rapporti tra intermediario e cliente, sulla base del fatto che l'esercizio simultaneo di servizi ed attività d'investimento da parte del primo aumenta la possibilità che vi siano conflitti tra queste attività e gli interessi dei clienti, senza trascurare la naturale asimmetria informativa, a sfavore del cliente, insita in tale rapporto40. La polifunzionalità degli intermediari e le possibili interferenze tra prestazione dei servizi d'investimento e lo svolgimento di altre attività finanziarie potrebbero indurli a privilegiare il proprio interesse, o quello di altri clienti o di soggetti collegati, a scapito di quello del cliente-investitore in questione41. Ad esempio, una banca potrebbe consigliare al cliente o effettuare operazioni di titoli emessi da società verso le quali la banca vanta un'esposizione creditizia, tutelando la propria posizione di creditore, ma non operando nell'interesse del proprio cliente.

Si tratta di un rischio che non può essere eliminato, in quanto insito permanentemente nella prestazione dei servizi d'investimento, ma può essere gestito al fine di limitarne gli effetti negativi sull'investitore.

La normativa previgente alla MiFID I imponeva agli intermediari di organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti d'interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento. La gestione dei suddetti conflitti faceva leva sull'adozione di strutture organizzative separate (le cosiddette “muraglie cinesi” previste nella L n.1/1991) e sull'informativa dettagliata e preventiva ai clienti delle ipotesi di conflitto d'interesse.

40 Il tema ha un'implicazione anche dal punto di vista etico-morale, in quanto il danno per il cliente può

derivare dall'incentivo per l'intermediario a occultare o distorcere le informazioni.

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24

La normativa previgente aveva previsto due tecniche di gestione dei conflitti d'interesse: la prima, di natura preventiva e applicata dalla Legge n.1/1991, che imponeva agli intermediari di organizzarsi in modo da evidenziare i casi rilevanti di possibile manifestazione del conflitto d'interesse, prima ancora che esso possa verificarsi; la seconda, contenuta nel TUF, poggiava sulla regola di trasparenza che imponeva all'intermediario di comunicare al cliente la situazione di conflitto, dove essa sussistesse. Se da una parte MiFID I, come si evince dall'art. 21, comma 1 bis, lettera a) del TUF, predilige la tecnica di natura preventiva, dall'altra accoglie anche le regole di trasparenza.

MiFID I, per le considerazioni fatte all'inizio di questo paragrafo, impone agli intermediari di adottare ogni misura ragionevole “per identificare i conflitti

d'interesse che potrebbero insorgere con il cliente o fra i clienti, e li gestiscono, anche adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti” e di “informare chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti di conflitto d'interessi quando le misure adottate non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi del cliente sia evitato”42.

È evidente, da questa impostazione adottata da MiFID I, un'elevata predilezione del profilo organizzativo, mentre la disclosure nei confronti dell'investitore viene rilegata in secondo piano, assumendo una portata residuale. Infatti, se i presidi organizzativi interni sono sufficienti ad identificare e gestire i conflitti di interesse, la disclosure non è necessaria. Lo diventa solo quando i suddetti presidi non sono sufficienti a svolgere la loro funzione, che comunque devono esistere e risultare, per quanto possibile, efficaci; essa, tuttavia, non può essere utilizzata in via alternativa o sostituiva al dovere di organizzarsi adeguatamente, né consentirà ad esonerare l'intermediario da responsabilità per aver operato in una situazione di conflitto d'interesse.

Non è più sufficiente, quindi, l'informazione preventiva sulle ipotesi di

42 Risulta chiaro come quest'obbligo imponga agli intermediari un rafforzamento del sistema di regole

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25

conflitti d'interesse, ma è necessario anche implementare le strategie e i presidi adeguati per l'identificazione e la gestione dei conflitti connessi con l'operatività dell'intermediario e potenzialmente dannose per il cliente, in relazione, in modo particolare, alle attività di ricerca, di consulenza in materia di investimenti, di negoziazione per conto proprio, di gestione del portafoglio, di prestazione dei servizi finanziari alle imprese, compresi la sottoscrizione e la vendita nel quadro di un'offerta di titoli e i servizi di consulenza in materia di fusioni e acquisizioni.

MiFID I introduce anche il c.d. “detrimental conflict of interest”, con l'intenzione di rilevare non tutte le fattispecie di conflitto di interesse, ma solo quelle che sono in grado di arrecare un danno al cliente. In altri termini, è necessario che si verifichi, contemporaneamente al conseguimento di un utile da parte dell'intermediario, uno svantaggio per il cliente.

Con riferimento sia ai servizi d'investimento, sia alla gestione collettiva del risparmio, il Regolamento congiunto Banca d'Italia-Consob43, coerentemente con le disposizioni comunitarie in termini di conflitti d'interesse, indica una serie di situazioni di conflitto minimali, potenzialmente pregiudizievoli per il cliente. In particolare, gli intermediari devono considerare se, a seguito della prestazione dei servizi d'investimento, essi, un soggetto rilevante o un soggetto avente con essi un legame di controllo diretto o indiretto:

• possono realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita finanziaria, a danno del cliente;

• siano portatori di un interesse, nel risultato del servizio prestato al cliente, distinto da quello del cliente medesimo;

• abbiano un incentivo a privilegiare gli interessi di clienti diversi da quelli a cui il servizio è prestato;

• svolgano la medesima attività del cliente;

• ricevano o possano ricevere da una persona diversa dal cliente, in relazione con il servizio a questi prestato, un incentivo, sotto forma di denaro, beni o servizi, diversi dalle commissioni o dalle competenze normalmente

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26 percepite per tale servizio.

I criteri appena elencati sono, appunto, minimali, e ciò non esonera l'intermediario dal considerare altre situazioni che potrebbero essere rilevanti in funzione della tipologia di attività svolta, della struttura del gruppo di appartenenza o di altri elementi. A tal fine l'intermediario compie un'analisi su sé stesso, sui “soggetti rilevanti” e sui soggetti che intrattengono con esso rapporti di controllo diretto o indiretto. Si tratta di un'analisi dinamica, che deve adattarsi all'evoluzione della situazione dell'intermediario e dei soggetti coinvolti, e che richiede adeguati flussi informativi tra i soggetti interessati per l'identificazione delle situazioni di conflitto che potrebbero manifestarsi nel tempo.

Dopo aver identificato le situazioni di conflitto, l'intermediario è tenuto ad elaborare una “politica di gestione”, intesa come una procedura scritta con la funzione di disciplinare la gestione delle situazioni conflittuali. Anche per la gestione dei conflitti viene proposto un contenuto minimale: l'indipendenza dei soggetti coinvolti in attività o operazioni dalle quali può derivare un conflitto d'interesse è il criterio principale, ma risultano definiti anche degli standard cui la politica di gestione deve conformarsi per assicurare l'indipendenza. Si prevede che gli intermediari debbano adottare, nel rispetto del principio di proporzionalità, misure e procedure volte a:

• impedire o controllare lo scambio di informazioni tra i soggetti rilevanti coinvolti in attività che comportano un rischio di conflitti di interessi, quando lo scambio di tali informazioni possa ledere gli interessi di uno o più soggetti;

• garantire la vigilanza separata dei soggetti rilevanti le cui principali funzioni coinvolgono interessi potenzialmente in conflitto con quelli del cliente per conto del quale un servizio è prestato;

• eliminare ogni connessione diretta tra le retribuzioni dei soggetti rilevanti che esercitano in modo prevalente attività idonee a generare tra loro situazioni di potenziale conflitto d'interesse;

• impedire o limitare l'esercizio di un'influenza indebita sullo svolgimento, da parte di un soggetto rilevante, di servizi o attività di investimento o

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27 servizi accessori;

• impedire o controllare la partecipazione simultanea o successiva di un soggetto rilevante a distinti servizi o attività di investimento o servizi accessori, quando tale partecipazione possa nuocere alla gestione corretta dei conflitti di interessi.

Anche in questo caso le regole non si presentano rigide, ma si adeguano alle specifiche situazioni, fermo restando l'obbligo di raggiungere lo scopo previsto: pertanto, qualora le suddette misure non dovessero garantire l'indipendenza, gli intermediari dovrebbero implementare procedure aggiuntive o alternative.

Il Regolamento congiunto Consob-Banca d'Italia attua la regola prevista da MiFID I sull'obbligo di istituire un registro, in cui annotare “le situazioni nelle

quali sia sorto o, nel caso di un servizio o di un'attività in corso, possa sorgere un conflitto d'interesse che rischia di ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti”. La sua finalità è duplice: una prima, di adempimento degli obblighi

organizzativi, per identificare e gestire i conflitti rilevanti, ed una seconda, di verifica e controllo. Riguardo a questo secondo obiettivo, il registro “dovrebbe” indicare le attività maggiormente esposte al rischio di conflitto sui quali i sistemi di controllo dovrebbero focalizzare l'attenzione. Resta ambiguo, tuttavia, il rapporto tra lo strumento del registro e la disciplina della gestione dei conflitti d'interesse. Al riguardo, la tesi preferita da F. Annunziata è quella che l'utilizzo del registro sia finalizzato ad identificare i conflitti maggiormente pericolosi, ossia quelli che potrebbero gravemente nuocere gli interessi della clientela, non figurando, tra l'altro, tra le disposizioni che regolano la politica di gestione o le regole della disclosure. Il rischio che si corre, visto la poca chiarezza della norma in questione, è che il registro si risolva in una ripetizione della politica di identificazione e gestione dei conflitti.

Qualora l'intermediario attuasse una “ricerca in materia di investimenti”44, il suddetto Regolamento, prevede regole aggiuntive per i conflitti di interesse.

44 Si intende un'attività classificata dalla MiFID I come accessoria e che si distingue dalla consulenza in

materia di investimenti per la sua destinazione al pubblico e non al singolo cliente, per la sua riconoscibilità come ricerca in materia d'investimenti e l'inidoneità ad essere qualificata come consulenza in quanto non costruita su misura di un singolo cliente.

(32)

28

L'articolo 28 prescrive che “gli intermediari che producono o dispongono la

produzione di ricerche in materia di investimenti, che sono o potranno essere divulgate ai loro clienti o al pubblico sotto la loro responsabilità o sotto la responsabilità di un membro del loro gruppo, assicurano l'adozione di tutte le misure previste all'articolo 2545, in relazione agli analisti finanziari coinvolti nella

produzione delle ricerche che si trovano in situazione di potenziale conflitto di interessi con coloro ai quali le ricerche sono divulgate”.

In conclusione, coerentemente con l'obiettivo di evitare che i conflitti di interesse incidano negativamente sugli interessi dei clienti, MiFID I ha badato di più alla concreta modalità di gestione dei conflitti, ponendo in un secondo livello la trasparenza, a tal punto che il cliente può ritrovarsi a non sapere che l'intermediario ha operato in una situazione di conflitto di interesse, avendo ritenuto quest'ultimo di essere in grado, con i propri presidi organizzativi, di gestirlo.

(33)

29

CAPITOLO 2

LA REVISIONE DELLA DISCIPLINA OPERATA DA MIFID II 2.1 L'iter legislativo della Direttiva 2014/65/UE (o MiFID II).

La denominazione MiFID II, acronimo di Markets in Financial Instruments

Directive II, si riferisce alla Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del

Consiglio del 15/5/2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica la Direttiva 2002/92/CE46 e la Direttiva 2011/61/UE47.

Essa rappresenta la seconda tappa della legislazione europea in materia di mercati e strumenti finanziari e succede alla Direttiva 2004/39/CE (MiFID I), la quale ha subito nel tempo sostanziali modifiche e, poiché ne erano necessarie delle nuove, si è ritenuto opportuno procedere, a fini di chiarezza, in parte alla sua rifusione in MiFID II e in parte alla sua sostituzione con il Regolamento UE n.600/2014 (Regolamento MIFIR).

MiFID II e MiFIR rappresentano il quadro giuridico che disciplina i requisiti applicabili alle imprese di investimento, ai mercati regolamentati, ai prestatori di servizi di comunicazione dei dati e alle imprese di Paesi terzi che effettuano servizi o attività di investimento nell’Unione.

Il processo di revisione di MiFID I è durato all'incirca quattro anni, dal 20 ottobre 2010, data della pubblicazione della prima proposta di testo legislativo della Commissione Europea, sottoposta al Parlamento e al Consiglio, alla pubblicazione del testo definitivo in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, avvenuta il 12 giugno 2014, subito dopo il Final Report dell'ESMA sui pareri tecnici per la Commissione (dicembre 2014) e l'avvio delle misure per l'attuazione del pacchetto normativo composto da MiFID II e MiFIR (maggio 2014).

Il 12 giugno 2014, il testo che forma la base per l'aggiornamento del quadro

46 Si tratta della Direttiva 2002/92/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 dicembre 2002 sulla

intermediazione assicurativa.

47 Si tratta della Direttiva 2011/61/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2011 sui

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