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La splenectomia nel cane: indicazioni, urgenze chirurgiche e tempi di sopravvivenza nei pazienti splenectomizzati

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Academic year: 2021

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1 Riassunto

Obiettivo: determinare nel cane le patologie spleniche più frequenti che richiedono un trattamento chirurgico, le razze predisposte, valutare rischi e benefici della splenectomia, definire i tempi di sopravvivenza nei pazienti splenectomizzati.

Animali: In questo studio sono stati inclusi 58 cani di qualsiasi razza ed età che hanno richiesto un intervento di splenectomia. 39 cani sottoposti ad intervento di splenectomia in urgenza, 19 cani sottoposti a chirurgia programmata.

Materiali e metodi: è stato confrontato l’andamento perioperatorio nei cani in cui è stata eseguita una splenectomia in urgenza, rispetto ai cani in cui è stata effettuata una splenectomia programmata, considerando segni clinici, condizioni patologiche, complicazioni intra e postoperatorie, giorni di ricovero, diagnosi istologica e tempi di sopravvivenza.

Risultati: la rottura di massa splenica con emoperitoneo rappresenta l’indicazione chirurgica più riscontrata. Meticci, Pastori Tedeschi e Labrador sono state le razze più colpite. I pazienti sottoposti a splenectomia in urgenza hanno presentato più complicazioni nel periodo perioperatorio e una mortalità maggiore rispetto i pazienti sottoposti a splenectomia programmata. Neoplasie maligne sono state riscontrate maggiormente nei pazienti operati in urgenza, e l’emangiosarcoma rappresenta la patologia neoplastica di maggiore riscontro. I pazienti sottoposti a splenectomia programmata hanno presentato un tempo medio di sopravvivenza di 715 giorni rispetto i 234 giorni dei pazienti operati in urgenza.

Conclusioni: dal confronto si evince come le splenectomie in urgenza si siano mostrate molto svantaggiose rispetto le chirurgie programmate. L’introduzione della medicina preventiva aiuterebbe a prendere in tempo determinate patologie, evitando di intervenire in pazienti critici e consentendo una gestione perioperatoria più sicura, aumentando il tempo di sopravvivenza dei pazienti splenectomizzati.

Parole chiave: cane, splenectomia, emoperitoneo, ricovero, complicazioni, chirurgie programmate, urgenze chirurgiche, emangiosarcoma, tempo di sopravvivenza.

Abstract

Porpuse: to identify the most common splenic diseases in dogs, according to predisposed dog breeds, evaluate the risks and benefits of splenectomy, define survival times in patients splenectomized.

Animals: in this study 58 dogs of variuos age and breed were included.39 dogs required an

urgent splenectomy and 19 dogs required splenectomy like programmed surgey.

Materials and Methods: the perioperative phases were compared in dogs treatmed with a

urgent or programmed splenectomy. in all patients clinical signs, pathological conditions, the intraoperative and postoperative complications, days of hospitalization, histological diagnosis and survival time observed.

Results: splenic mass breaking with hemoperitoneum was the surgical indication most

frequentely observed. Half-breed, German Shepherd and Labrador Retriever were the most affected breeds. For dogs treated by urgent splenectomy, in postoperative phases complications were observed more frequently than in subjects which were treated by programmed surgery. Maligant neolpasms such as heamngiosarcoma observed frequently in patients which were treated by urgent surgery. Finally, survival time for dogs treated by programmed splenectomy and dogs treated by urgent surgery ,was about 715 and 234 respectively.

Conclusion: urgentnsplenectomy is more disadvantageous than programmed surgery.

preventive medicine should help to determined splenic diseases, avoiding to intervene in critical patientsand

Keywords: dog, splenectomy, hemoperitoneum, hospitalization, complications, programmed

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Introduzione

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La splenectomia nel cane rappresenta da sempre un intervento di base all’interno della chirurgia veterinaria, per l’esecuzione non sono necessarie strumentazioni particolari ma bisogna conoscere bene l’anatomia addominale, e le potenziali complicazioni intra e postoperatorie che possono presentarsi. Si tratta di una procedura chirurgica variabile dal punto di vista organizzativo e può presentarsi come urgenza o come chirurgia programmata. Per questo motivo bisogna essere pronti e sufficientemente attrezzati per le situazioni che richiedono una stabilizzazione preoperatoria del paziente. Le indicazioni di questo intervento variano, dalla rottura traumatica a quella atraumatica, alla torsione isolata o associata a sindrome GDV, fino alle alterazioni di varia natura del parenchima splenico per la presenza di masse e noduli. All’interno delle strutture veterinarie, la maggior parte degli interventi di splenectomia sono eseguiti in urgenza, in molti casi la patologia splenica si presenta in forma subdola e costringe ad intervenire in pazienti in condizioni di salute critiche, il che rende una delicata gestione per tutto il periodo perioperatorio, non solo per l’esecuzione di una chirurgia sicura, ma anche per le successive aspettative di vita del paziente. Con il seguente studio clinico, si mettono a confronto le splenectomie in urgenza rispetto a quelle programmate, con lo scopo di chiarire tutti gli aspetti da considerare quando è necessario eseguire l’intervento di splenectomia. E’ stato valutato l’andamento perioperatorio dei pazienti, mettendo a confronto le complicazioni intra e postoperatorie, la durata media dei giorni di ricovero, la diagnosi istologica, la presenza o meno di emoperitoneo, e i tempi di sopravvivenza dopo rimozione chirurgica della milza. L’insieme di queste conoscenze, permette di avere un quadro generale d'informazioni utili, per rendere migliore la gestione del paziente per tutto il periodo perioperatorio, riducendo al minimo le potenziali complicazioni, e aumentando la velocità di recupero e le condizioni di salute. Inoltre tutte queste conoscenze ci consentono di riferire ai proprietari informazioni più attendibili, di fronte a situazioni medico-chirurgiche che necessitano di scelte affrettate condizionate dall’urgenza del singolo caso clinico.

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Capitolo 1: Anatomia e fisiologia della milza

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La milza è un organo impari, situato sotto le ultime coste del lato sinistro ed appeso al fondo e alla grande curvatura dello stomaco. E’ un organo annesso all’apparato circolatorio, che svolge una funzione importante nella difesa dell’organismo e nel regolare il numero degli elementi figurati del sangue e la pressione sanguigna nei visceri addominali.

1.1 Sviluppo

Verso la fine del periodo embrionale, compare, nella parte sinistra del mesogastrio dorsale, un ammasso di cellule mesodermiche, il quale, accrescendosi, forma una salienza sulla superficie esterna del grande omento, in vicinanza dell’inserzione di quest’ultimo sullo stomaco. La massa mesodermica così formatasi è presto invasa da vasi sanguigni e ciò porta alla formazione di travate e della polpa al di sotto di una capsula superficiale. Fin dall’inizio, quindi, la milza è unita allo stomaco mediante un tratto del grande omento che diventa il legamento gastro-lienale (Barone et al., 2006).

1.2 Caratteri fisici

Nel cane, la milza presenta un colore rosso scuro, che dipende dalla quantità di sangue presente nell’organo, inoltre variazioni di colore possono essere dovute alla presenza di placche siderotiche o depositi di fibrina. Nel viscere isolato, il colore diventa ulteriormente più scuro dopo un’esposizione all’aria per qualche ora. Il peso si aggira dai 5 a 130 grammi a seconda della razza, della taglia, e del soggetto; generalmente in un soggetto di media taglia il peso si aggira sui 50-60 grammi, anche il peso relativo è molto variabile e può andare dallo 0,1 allo 0,5%. La lunghezza varia da 8 a 30 cm e la larghezza massima da 3 a 8 cm. La milza pur avendo una certa consistenza è molto elastica, e

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4 presenta variazioni di volume e peso molto ampie. Le differenze sono, come sempre, legate alla specie e alla razza; tuttavia, anche nell’ambito di individui di razza e di taglia identiche, le variazioni rimangono estesissime, di modo che è praticamente impossibile stabilire un peso relativo che abbia un certo valore. Bisogna ancora ricordare che, in numerosi stati patologici, si osservano milze il cui volume super di ben dieci o venti volte quello medio fornito per una determinata specie (Barone et al.,2006).

1.3 Conformazione

Il viscere si presenta allungato, leggermente falciforme e un po’ ristretto nella sua parte di mezzo mentre è sempre nettamente allargato alla sua estremità ventrale. Essendo applicato contro la parete costale del diaframma ad opera della pressione esercitata dallo stomaco e dall’intestino, si presenta appiattito, e ciò permette di riconoscervi due facce, due margini e due estremità.

La faccia parietale o diaframmatica è liscia, regolarmente convessa e la convessità e assai marcata all’estremità dorsale.

La faccia viscerale, concava, porta l’impronta degli organi con i quali viene in stretto rapporto, mostrando così: nella sua parte craniale, una superficie gastrica; caudalmente a questa, una superficie intestinale, generalmente più larga. Il leggero rilievo ispessito che separa le prime due superfici è fiancheggiato da una depressione nella quale penetrano i vasi e i nervi : è l’ilo della milza sui cui i margini si inserisce il legamento gastro-lienale.

Le due facce sono separate da due margini uno craniale irregolare e l’altro caudale leggermente concavo. Delle due estremità, una è dorsale vicino al rene sinistro, l’altra è ventrale più libera e mobile, quest’ultima si presenta larga ed è tagliata obliquamente in direzione ventrocraniale, dove forma una sorta di punta arrotondata a contorno variabile .

In prossimità dell’ilo è possibile rinvenire una o più milze accessorie, si tratta di formazioni sferoidali o appiattite, di modeste dimensioni, ciascuna delle quali riceve un peduncolo dei vasi lienali (Barone et al., 2006).

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1.4 Rapporti e topografia

La milza si trova nel quadrante addominale craniale sinistro, stabilisce rapporti lateralmente con la parte costale del diaframma, medialmente con lo stomaco (attraverso il legamento gastro-lienale) e l’intestino, dorsalmente con il rene sinistro.

Solitamente giace parallela alla grande curvatura dello stomaco; tuttavia la sua esatta topografia e i suoi rapporti dipendono molto dalle sue dimensioni, dai movimenti respiratori, e dallo stato di replezione dello stomaco.

Quando questo è vuoto l’estremità dorsale della milza è situata sotto la parte corrispondente delle ultime due coste, mentre l’estremità ventrale raggiunge o oltrepassa di poco l’arco costale sul prolungamento dell’undicesima o dodicesima costa (Barone et al., 2006).

Quando lo stomaco si riempie, la milza viene spostata caudalmente all’arco costale, dapprima con la sua estremità ventrale e la sua parte media e nei casi di notevole riempimento gastrico nella sua totalità; l’estremità dorsale essendo più fissata non oltrepassa mai la prima vertebra lombare.

La milza può trovarsi completamente sotto la parete del fianco, caudalmente all’arco costale, disponendosi nello stesso tempo via via sempre più su un piano orizzontale, fino a separare più o meno completamente il rene sinistro da questa parete. Questa mobilità è possibile grazie all’ampiezza e la lassità dei legamenti (Barone et al.,2006).

1.5 Mezzi di fissità

La milza è unita alla grande curvatura dello stomaco dal legamento gastro-lienale che rappresenta la parte del grande omento compresa tra i due visceri. Questo legamento è lasso e tra i suoi foglietti decorrono i vasi e i nervi lienali, come pure i loro rami destinati allo stomaco (Barone et al.,2006).

Sulla sommità del fondo gastrico, la sua estremità dorsale raggiunge il legamento gastro-frenico e da qui si continua mediante una piega peritoneale, che costituisce una dipendenza di quest’ultimo: il legamento frenico-lienale (Barone et al.,2006).Si tratta di un espansione che prolunga il legamento

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6 gastro-frenico verso sinistra, tra l’estremità dorsale della milza e la parete lombare, dove prende attacco in parte sul rene sinistro, e in parte unisce la milza al pilastro sinistro del diaframma (Barone, 2006).

1.6 Struttura

Al di sotto del suo rivestimento sieroso, la milza è avvolta da una capsula dalla cui faccia profonda si staccano numerose trabecole disposte a rete, nelle cui maglie si trova la polpa lienale formata, a sua volta, da due parti intimamente compenetrate: la polpa bianca e la polpa rossa, le cui porzioni variano a seconda dell’età e dello stato fisiologico del soggetto (Barone et al., 2006).  Sierosa

La sierosa non è altro che il peritoneo viscerale. Aderisce in maniera molto intima alla capsula fibrosa e copre tutto l’organo ad eccezione dell’ilo, e dell’inserzione dei legamenti (Barone et al.,2006).

 Capsula fibrosa

La capsula fibrosa è relativamente sottile, ma consistente e molto elastica. Aderisce al parenchima lienale nel quale invia numerosissime trabecole di diverse dimensioni che nell’insieme formano un’impalcatura a rete. La capsula è formata di una lamina connettivale ricca di fibre collagene e di fibre elastiche; nella sua parte profonda sono presenti, frammiste a tali fibre, cellule muscolari lisce disseminate in tutte le direzioni nella trama connettivale (Barone et al.,2006).

 Stroma reticolare

È formato da trabecole che partono dalla capsula e si anastomizzano delimitando loggette, ampiamente comunicanti, occupate dalla polpa. Le trabecole più grosse sono quelle che, partendo dall’ilo, inguaiano i vasi e si suddividono con essi. Altre trabecole più esili partono da ogni punto della

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7 capsula e raggiungono le precedenti dalle quali ricevono dei rami vascolari, le arterie e le vene trabecolari. L’insieme delle trabecole presenta una struttura analoga a quella della capsula (Barone et al.,2006).

 Polpa bianca

La polpa bianca è sostenuta dalle piccole arterie pulpari, le quali provengono dalle arterie trabecolari e sono caratterizzate, oltre che dalla loro topografia, dalla infiltrazione linfocitaria della loro avventizia che si trasforma in una guaina di tessuto linforeticolare, la quale si suddivide insieme ai vasi.

In numerosi punti, e soprattutto a livello delle biforcazioni delle arterie, la guaina si ispessisce formando veri e propri noduli linfatici lienali, un tempo denominati “corpuscoli di Malpighi”, che si presentano come piccoli granuli biancastri spesso visibili ad occhio nudo e il cui diametro può raggiungere o superare il mezzo millimetro. I noduli linfatici lienali sono immersi nella polpa rossa e sembrano fissati alle arteriole come dei frutti sessili ai rami di un albero. In realtà, sebbene a questo livello le arteriole vengano denominate centrali, esse attraversano il nodulo piuttosto marginalmente. Dopo un certo tratto, le arterie perdono la loro guaina e si risolvono bruscamente in penicilli, ciuffi di arteriole terminali a decorso quasi rettilineo disposte come i peli di un pennello e per questo denominate arteriole penicillari. Ciascuna di queste termina, poco dopo, mediante un rigonfiamento fusiforme (guscio arteriolare), formato da una trama connettivale contenente cellule reticolari e macrofagi. Oltrepassato questo ispessimento, l’arteriola si riduce ad una semplice assisa di cellule endoteliali e si apre nella polpa rossa. La polpa bianca è pochissimo sviluppata nel periodo perinatale e si accresce gradualmente nel giovane, raggiungendo in questo periodo il massimo sviluppo; a partire dall’inizio dell’età adulta subisce quindi un’involuzione che si rende molto evidente nella vecchiaia (Barone et al.,2006).  Polpa rossa

La polpa rossa è di colore rosso scuro e defluisce molto facilmente; riempie tutte le maglie dello stroma e bagna la polpa bianca. Risulta dall’intimo intricarsi di due componenti del contenuto delle maglie: i cordoni lienali e i seni venosi. I cordoni lienali , un tempo denominati “cordoni di Billroth”, sono degli ammassi di

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8 cellule sostenuti da una delicata trama fibrillare e anastomizzati a formare una rete fitta e complessa, che occupa quasi tutto lo spazio lasciato libero dalla polpa bianca. Sono formati da cellule reticolari unite da molteplici prolungamenti ma capaci di diventare libere per assumere un funzione fagocitaria. Sono mescolate a numerosi elementi corpuscolati del sangue (leucociti, eritrociti in formazione o distruzione) giunti tramite le terminazioni delle arteriole penicillari. I seni venosi sono delle vere e proprie lacune sanguigne irregolari, alloggiate negli interstizi dei cordoni e ampiamente comunicanti. Sono delimitati da un endotelio a cellule allungate e strette (endoteliociti-bacilliformi) che circoscrivono delle soluzioni di continuità che permettono il passaggio degli elementi figurati dei cordoni nelle loro cavità. Raccolgono perciò il sangue che ha attraversato i cordoni e danno origine ai capillari venosi. Le venule hanno dapprima un decorso indipendente (vene pulpari), poi guadagnano le trabecole (vene trabecolari) e diventano satelliti delle arterie.

Non c’è accordo se esista una reale continuità del rivestimento endoteliale tra le terminazioni delle arteriole penicillari e i seni venosi o se invece l’endotelio si interrompa all’estremità delle arteriole e il sangue resosi libero circoli nei cordoni raggiungendo i seni attraverso le soluzioni continuità del rivestimento di questi ultimi (Barone et al., 2006).

 Vasi e nervi

Tutto il sangue della milza proviene dall’arteria lienale. Questo vaso, di notevole diametro di solito maggiore a 2mm in rapporto all’organo che deve irrorare, deriva dal tronco celiaco. Prima di raggiungere l’ilo della milza, durante il suo decorso nel grande omento verso il terzo ventrale della viscere, dà origine a un numero di rami principali variabili da tre a cinque. Il primo ramo di solito si porta al pancreas e rappresenta il maggiore apporto vascolare della porzione sinistra di quest’organo. Gli altri due rami scorrono nella metà prossimale della milza, da dove danno origine a 20-30 rami splenici che penetrano nel parenchima. Questi rami poi si continuano nel legamento gastrosplenico verso la grande curvatura dello stomaco, dove formano le arterie gastriche brevi (che vascolarizzano la porzione fundica) e l’arteria gastroepiploica sinistra (che vascolarizza la grande curvatura dello stomaco).

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9 Altri rami irrorano il legamento splenocolico e il grande omento (Fossum, 2013). I rami lienali sono flessuosi per potersi adattare alle variazioni di volume del viscere. Entro quest’ultimo sono inguainati dalle trabecole e presentano una disposizione segmentaria prima di distribuirsi nella polpa. Il drenaggio venoso origina dalle vene trabecolari che sono drenate da vasi satelliti delle arterie di cui ripetono la disposizione segmentaria, per formare le radici della vena lienale, che si collega poi alla vena gastrosplenica la quale sfocia nella vena porta. Si deve ricordare la frequenza delle anastomosi artero-venose tra i piccoli rami dei vasi lienali.

I vasi linfatici formano una rete profonda ed una superficiale. La prima, il cui modo di originarsi nella polpa è poco noto, si riunisce nelle trabecole e, seguendo queste, comunica con la seconda o raggiunge direttamente l’ilo. I rami efferenti delle due reti si portano ai linfonodi lienali, situati in prossimità dell’ilo. In via accessoria, quelli della parte dorsale del viscere possono passare nel legamento freno-lienale per portarsi ai linfonodi celiaci.

I nervi provengono dal plesso celiaco e accompagnano l’arteria attorno alla quale costituiscono l’esteso plesso lienale. Si compongono di fibre mieliniche di origine vagale e di fibre simpatiche provenienti dal ganglio celiaco. All’interno dell’organo seguono i vasi; sono rari quelli cha hanno un tragitto indipendente. È probabile l’esistenza di cellule nervose sul loro decorso (Barone et al.,2006).

1.7 Fisiologia e funzioni

La milza svolge funzione di filtrazione del sangue periferico, funzione immunitaria, emopoietica e di serbatoio. Sebbene non sia essenziale per la vita, la molteplicità delle sue funzioni conferisce a quest’organo la possibilità di reagire in numerose situazioni anomale. Se viene asportata produce solo turbe passeggere, essendo supplita dai linfonodi e dal midollo osseo.

 Funzione di filtrazione

Nel cane ogni minuto vengono filtrati circa due litri di sangue per ogni kg di peso corporeo. Il sangue circola a stretto contatto con il sistema reticolo-endoteliale,

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10 in modo da permettere una adeguata filtrazione biologica di cellule e particelle. La filtrazione avviene attraverso l’azione esercitata dai macrofagi, principalmente nella zona marginale della polpa bianca.

Il processo di filtrazione può avvenire per: eliminazione, pitting, ed eritroclasia. Con il termine di eliminazione viene indicato la distruzione di diverse tipologie cellulari: dagli elementi figurati del sangue, ad altre cellule fino ai microrganismi e loro particelle. Questo processo si verifica in condizioni fisiologiche per quanto riguarda la componente corpuscolata del sangue al termine della sua permanenza nel torrente circolatorio; ma può verificarsi anche in determinate condizioni patologiche che implicano un aumento della distruzione dei globuli rossi, come nel caso di anomalie eritrocitarie o di variazioni primarie della milza.

L’eritroclasia, indica la distruzione per frammentazione degli eritrociti. Il prodotto finale, viene riversato nel sangue periferico e rimosso successivamente. Nelle patologie associate al processo di eritroclasia, rientrano le anemie emolitiche immunomediate e le emoglobinopatie.

Il termine pitting, significa la rimozione di inclusi dagli eritrociti e loro ritorno in circolazione. Questi inclusi possono comprendere residui di materiale nucleare (corpi di Howell-Jolly), emoglobina denaturata (corpi di Heinze), parassiti intracellulari come Mycoplasma e Babesia spp (Birchard, 2009).

Il mantenimento o la rimozione degli eritrociti circolanti danneggiati, avviene quando gli eritrociti si muovono nei seni splenici.

Durante il pitting eritrocitario, avviene l’asportazione dei granuli di ferro senza rottura della membrana degli eritrociti, il materiale intracellulare particolato è veicolato dai macrofagi insieme ad una parte di membrana cellulare. Il processo di pitting porta alla formazione di sferociti che sono considerati caratteristici degli eritrociti soggetti a fagocitosi parziale (Pope & Rochat, 1993).

Gli eritrociti, nuovamente rilasciati dal midollo osseo, passano molti giorni nella milza durante la maturazione finale, dove il rimanente materiale cellulare viene rimosso, la membrana cellulare si riforma nel tipico disco e la cellula si riduce in diametro prima di unirsi alla riserva ematica circolante.

Nella milza, il grande numero di eritrociti e leucociti metabolicamente attivi crea una zona con un ridotto contenuto di ossigeno sciolto. Questo ambiente relativamente anaerobio fa in modo che la membrana cellulare degli eritrociti

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11 danneggiati, anormali o vecchi, si indurisca rendendo l’eritrocita incapace di subire la deformazione necessaria per passare nei seni splenici (Slatter et al 2005; Lewis & Swirsky, 1996). Tali eritrociti sono selezionati dalla circolazione e, di conseguenza fagocitati dai macrofagi vicini (Krieken & Velde, 1997).

Allo stesso modo, gli eritrociti ricoperti dall’immunoglobulina G sono rimossi dai macrofagi (Eichner, 1986). L’emoglobina degli eritrociti fagocitati è trasformata in bilirubina non coniugata, ed il ferro è restituito al midollo osseo per essere riciclato (Couto & Hammer, 1995).

La perdita di queste funzioni spleniche provoca diverse modificazioni nell’emogramma degli animali splenectomizzati. Dopo la splenectomia ci può essere un numero aumentato di cellule bersaglio, acantociti, emazie nucleate, maggiori quantità di reticolociti e più cellule contenenti corpi Howell-jolly o altri detriti nucleari (Richardson & Brown, 1996). Queste funzioni possono essere alterate anche nelle neoplasie spleniche. Una rassegna retrospettiva su 100 cani con splenomegalia ha trovato che l’anemia, i globuli rossi nucleati, le anomalie morfologiche dei globuli rossi e l’emoperitoneo poneva i soggetti ad un rischio significativamente maggiore di avere una neoplasia splenica (Johnson et al., 1989).

 Funzione immunitaria

La milza è il più grande organo linfoide, espleta la sua funzione immunitaria grazie alla presenza della polpa bianca. È la sede principale di rimozione dei microrganismi ed è in grado di reagire nei confronti di tutti gli antigeni disseminati e veicolati dal sangue, come ad esempio i batteri in caso di setticemia (Birchard, 2009).

La polpa bianca è suddivisa in modo relativo in zone dei linfociti B e dei linfociti T. Il manicotto linfoide periarteriolare è costituito principalmente da linfociti T. La zona marginale contiene sia linfociti B sia linfociti T. La maggior parte dei linfociti B si trova nel centro germinativo e nelle zone del mantello. I linfociti in circolazione entrano nella milza e si collocano nella polpa bianca. I linfociti entrano prima nella zona marginale, poi migrano verso i PALS e i follicoli linfoidi. Nel caso in cui siano presenti antigeni, i linfociti si attivano e proliferano; se gli antigeni sono assenti, i linfociti tornano nella circolazione.

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12 La lenta circolazione dell’organo aumenta il tempo di contatto tra microrganismi e cellule del sistema immunitario, permettendo così la fagocitosi. La funzione di filtro della milza le conferisce un ruolo nella risposta immunitaria precoce. Gli antigeni solubili entrano nella milza e vengono deviati attraverso i centri germinali linfoidi che costituiscono la polpa bianca della milza. Gli antigeni particolati proseguono nella polpa rossa, dove sono depositati, fagocitati e trasportati dai macrofagi ai centri germinali vicini. Nei cani i centri germinali della milza sono la sede principale della produzione di immunoglobulina M, il che fornisce una grande parte della risposta difensiva precoce del sistema immunitario contro gli antigeni infettivi (Marino, 2000).

Sia il fegato che la milza filtrano gli invasori batterici, il fegato è più efficiente nella rimozione di batteri veicolati in presenza di un anticorpo antibatterico specifico, mentre la filtrazione splenica è più efficace nel rimuovere i batteri scarsamente opsonizzati. Sembra che la milza sia il principale organo responsabile della produzione di un anticorpo ad apparizione rapida in risposta ad antigeni particellari endovenosi. L’acquisizione di immunoglobuline di superficie fa parte del normale processo di invecchiamento degli eritrociti; questo si verifica anche in presenza di anemia emolitica immunomediata e trombocitopenia immunomediata. i macrofagi splenici rimuovano la parte di membrana eritrocitaria rivestita di immunoglobulina G, provocando la formazione di sferociti. Poiché gli sferociti sono meno deformabili vengono eliminati.

 Funzione di serbatoio

La ricca componente muscolare della milza, rende quest’organo espandibile e in grado di contenere, fino a un terzo della massa di eritrociti del cane. Della massa eritrocitaria, il 90% attraversa rapidamente la milza; il 9%, che rappresenta il 50% del numero totale di eritrociti nella milza in una volta, impiega 8 minuti per transitare; il rimanente 1% ha un tempo di transito di 1 ora. Normalmente, la milza conserva il10-20% del volume ematico totale (Birchard, 2009). In condizioni di stress, ipossiemia o perdita di sangue, questa riserva può essere liberata rapidamente, incrementando il volume della massa eritrocitaria dal 10% al 20%.

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13 Nei cani splenectomizzati, le perdite di sangue pari al 40% del volume circolatorio sono fatali (Dillon et al., 1980).

Oltre al rilascio di globuli rossi immagazzinati, la contrazione splenica sposta il 98% del flusso di sangue splenico afferente nel pool rapido, completando il passaggio attraverso la milza in secondi (Pope & Rochat, 1993).

Oltre agli eritrociti, la milza sequestra fino a un terzo della quantità totale delle piastrine presenti; l’attività fisica intensa ha come risultato un aumento transitorio della conta delle piastrine in circolazione. Dopo la splenectomia è frequentemente segnalata la trombocitosi, attribuita alla perdita di questa riserva di piastrine. Nella milza sussiste una piccola evidenza di un pool riserva di leucociti.

 Funzione emopoietica

Dopo lo sviluppo fetale, nei mammiferi il midollo osseo è il principale responsabile dell’attività emopoietica. Tuttavia la milza nella sua polpa rossa conserva proprietà emopoietiche che le permettono di svolgere questa funzione, conosciuta con il nome di ematopoiesi extramidollare splenica (EMH). Quest’ultima, nel cane è stata associata a un ampia gamma di disordini, fra cui l’emangiosarcoma splenico ed extrasplenico, patologie mieloproliferative infiltrative (linfomi splenici ed extrasplenici, il mieloma multiplo, le leucemie), l’anemia emolitica immunomediata, la gastroenterite eosinofilia, l’ipoplasia del midollo osseo indotta da estrogeni, la piometra e l’ehrlichiosi (Birchard,2009). L’ematopoiesi extramidollare può formare un nodulo focale o determinare una splenomegalia generalizzata, ed è considerata una diagnosi differenziale per ogni lesione a massa associata alla milza (Slatter et al, 2005). Nei cani anziani è comune avere dei noduli splenici che all’esame istologico contengono aree di ematopoiesi attiva, i noduli ematopoietici rappresentano il 6% delle diagnosi istologiche per i tessuti splenici canini. Gli emogrammi nei cani che presentano EMH, possono essere caratterizzati dalla presenza di precursori eritrocitari e leucocitari immaturi.

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14  Altre funzioni

Conservazione e attivazione del fattore VIII, regolazione di formazione, rilascio e degradazione dell’enzima di conversione dell’angiotensina.

Modulazione delle concentrazioni di noradrenalina plasmatica e/o dell’attività della prostaglandina E2. Immagazzinamento del ferro e suo riutilizzo per il midollo osseo.

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Capitolo 2: Indicazioni di splenectomia nel cane

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Le indicazioni per la rimozione chirurgica della milza includono la presenza di neoplasie, la torsione del peduncolo splenico (sia isolata che in associazione di dilatazione e torsione gastrica), un ingrandimento generalizzato secondario a malattie infiltrative e traumi di notevole entità. La splenectomia può essere indicata anche come terapia aggiuntiva per alcune patologie immunomediate non responsive a terapia medica, come trombocitopenia immunomediata e anemia emolitica immunomediata (Slatter., 2005).

In questo capitolo verranno classificati i diversi disordini splenici, considerando principalmente le patologie che richiedono un trattamento chirurgico.

2.1 Prevalenza delle malattie spleniche nel cane

La prevalenza delle patologie spleniche, non è molto semplice da stimare, in quanto la splenomegalia può essere assente o asintomatica. Pertanto è difficile stabilire, sulla base dei segni clinici, se il processo patologico interessa primariamente la milza ed è quindi il principale responsabile delle condizioni cliniche dell’animale. La maggior parte degli studi si basa sulla necroscopia e sugli esiti degli esami bioptici. Gli studi basati sulla necroscopia sovrastimano le malattie con una prognosi sfavorevole oppure non forniscono informazioni clinicamente rilevanti. La prevalenza delle malattie trattabili chirurgicamente viene sovrastimata negli studi basati sulla biopsia, ma sottostimata sulla base dei dati ottenuti dalle necroscopie. Questo potrebbe spiegare l’assenza dell’emangiosarcoma e il basso rapporto emangiosarcoma/ematoma negli studi necroscopici del cane.

In due studi retrospettivi sulla prevalenza delle aritmie in cani con masse spleniche, il 17-44% presentava un ematoma. In uno studio prospettico che considerava la prevalenza delle aritmie in cani splenectomizzati, il 38% dei cani presentava una neoplasia e il 32% un ematoma. Iperplasia nodulare e torsione splenica rappresentavano il 10% ciascuno dei casi.

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16 L’iperplasia nodulare, ematoma, ematopoiesi extramidollare, la congestione e l’iperplasia linfoide rappresentavano le cause più comuni di lesioni non neoplastiche ritrovate nella milza di cani durante l’esame autoptico e bioptico. In uno studio effettuato nell’arco di tutta la vita di Beagle esposti in maniera cronica a radio e stronzio radioattivi, in 105 di 865 cani erano presenti alterazioni spleniche. Noduli iperplastici con e senza ematoma e iperplasia diffusa linforeticolare rappresentavano il 66% dei casi di splenomegalia riscontrati in questi cani. Cosi il rapporto tra malattia non neoplastica e neoplastica varia a seconda degli studi effettuati. Le popolazioni che includevano tutti i casi di splenomegalie o masse spleniche hanno mostrato un prevalenza superiore al 50% di malattie non neoplastiche. Una prevalenza maggiore di patologie neoplastiche si ritrova in popolazioni che hanno subito la splenectomia e in cani con masse spleniche e aritmie. Le masse non neoplastiche perciò sono comuni come quelle neoplastiche nel cane e l’importanza dell’emangiosarcoma è stata troppo enfatizzata. (Ettinger., 2008).

2.2 Classificazione dei disordini splenici

I disordini splenici sono vari e presentare caratteri neoplastici e non neoplastici. La milza può essere colpita da patologie primarie e secondarie e al di là di quale sia l’eziologia, si individua generalmente una variazione di forma dimensione e funzionalità d’organo (Birchard., 2009).

Animali affetti da patologie che richiedono un trattamento chirurgico della milza spesso presentano splenomegalia diffusa o localizzata. L’uso comune del termine splenomegalia indica l’ingrandimento splenico diffuso o generalizzato. La splenomegalia localizzata è una descrizione usata raramente; si preferisce usare il termine massa splenica.

La splenomegalia generalizzata può essere attribuita a congestione vasale come nel corso di torsione splenica, a sindrome da GDV, insufficienza cardiaca destra o inseguito a somministrazione di farmaci.

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17 L’aumento di dimensioni d’organo ci permette di suddividere i disordini splenici in due categorie:

Disordini causa di splenomegalia localizzata:

- Iperplasia nodulare - Ematoma - Ascesso - Emangiosarcoma - Emangioma - Sarcoma - Metastasi

Disordini causa di splenomegalia generalizzata: - splenomegalia congestizia

- splenomegalia iperplastica - ematopoiesi extramidollare

- malattie infiammatorie o infettive

- malattie infiltrative

In questo capitolo verranno considerati i disordini splenici che richiedono un trattamento chirurgico.

2.3 Masse spleniche

Le masse spleniche sono comuni nei cani, alcune razze sono a più alto rischio come il Pastore Tedesco, il Golden e il Labrador Retriver e i meticci (Couto & Hammer, 1995; Johnson, 1989; Prymak, 1988).

Sia le masse spleniche neoplastiche che quelle non neoplastiche possono interessare la milza; il 51% delle lesioni sono classificate come non neoplastiche ed il 48% come neoplastiche. Le masse neoplastiche possono essere benigne o maligne, primarie o metastatiche. Le masse spleniche non neoplastiche comprendoni gli ematomi splenici, l’iperplasia nodulare, i noduli fibroistiocitici, gli ascessi splenici e le cisti quest’ultime due sono abbastanza rari come reperti (Spangler & Culbertson, 1992; Spangler & Kass, 1997). Le neoplasie primarie sono una condizione comune della milza canina e

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18 rappresentano l’1-2% dei campioni sottoposti all’esame patologico. I cani che presentano una neoplasia possono mostrare una ampia varietà di segni clinici come: inappetenza, anoressia, perdita di peso, letargia, distensione addominale, polidipsia, debolezza muscolare, vomito, aritmie cardiache e collasso (Hosgood, 1987; Knapp, 1993; Prymak, 1988; Weinstein, 1989).

Altri reperti clinici comprendono, dolore addominale, mucose pallide, l’ittero della sclera e l’addome disteso con o senza ballottamento. I reperti clinico comprendono anemia da lieve a moderata, leucocitosi e neutrofilia, e l’incremento della fosfatasi alcalina sierica. Nella maggior parte dei cani il radiogramma dell’addome mette molto spesso, in evidenzia una massa addominale definita, il versamento secondario può rendere difficile l’identificazione della massa. Vengono inoltre eseguiti anche dei radiogrammi al torace per identificare eventuali opacità polmonari o altre alterazioni; il versamento pleurico o l’ingrandimento dei linfonodi sternali sono compatibili con le forme metastatiche ( Weinstein, 1989; Wood, 1998).

Il trattamento di una massa splenica sospetta, si basa sui segni clinici, sulle condizioni attuali del paziente, sulla presenza di lesioni metastatiche e sulla volontà del proprietario. A differenza di molti pazienti affetti da emangiosarcoma splenico che si presentano con segni clinici di rottura d’organo con conseguente perdita acuta di sangue, i cani con tumore non angiogenico raramente richiedono un trattamento chirurgico immediato, dando ai proprietari più tempo per valutare le alternative terapeutiche.

2.4 Emangiosarcoma

L’emangiosarcoma rappresenta la neoplasia più comune della milza canina, in uno studio costituiva l’80% delle neoplasie spleniche, il rimanente 20% era costituito da sarcomi differenziati e non differenziati e dall’istiocitoma fibroso maligno (Weinstein, 1989).

L’emangiosarcoma è un tumore estremamente maligno che origina dall’endotelio vascolare. Data la sua origine può presentarsi come neoplasia primaria o secondaria e interessare qualsiasi sede anatomica.

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19 Nel cane costituisce circa il 2% di tutti i tumori, e la sede più comunemente colpita è la milza; altre sedi sono rappresentate da fegato, atrio destro, pericardio, muscoli, polmone, cute e sottocute, ossa, rene, sistema nervoso centrale, peritoneo e cavo orale.

Sulla base degli studi più ampi delle patologie spleniche, è stata trovata la regola “dei due terzi”, secondo la quale circa due terzi dei cani colpiti da una massa splenica presentano una forma maligna, e due terzi dei tumori splenici sono emangiosarcomi (Ettinger et al., 2008).

Nei cani l’emangiosarcoma può presentarsi i forma singola o multipla, in quest’ultimo caso è molto difficile distinguere il tumore primario dai secondari. Solitamente si presenta di forma nodulare, consistenza molle e di colore rosso scuro per la presenza di emorragia e necrosi, tuttavia gli emangiosarcomi poco differenziati, perdono questo aspetto vascolare e si presentano macroscopicamente come gli altri sarcomi, con consistenza più dura e un colore grigio pallido. L’immunoistochimica con anticorpi contro il fattore VIII, PECAM e altri antigeni possono essere utili nel differenziare l’emangiosarcoma da altre neoplasie non differenziate.

Nel cane l’atrio e l’orecchietta destra rappresentano la terza sede di elezione dell’emangiosarcoma, oltre ad essere il tumore cardiaco più comune. Infatti circa il 25% dei pazienti colpiti da emangiosarcoma splenico, presenta nel contempo emangiosarcoma all’atrio destro. Tra la neoplasia splenica e quella cardiaca non si sa quale sia quella primaria e quella secondaria. Pare più probabile che le lesioni dell’atrio destro nei cani con emangiosarcoma splenico diano origine a metastasi, poiché molti animali con emangiosarcoma dell’atrio destro non presentano emangiosarcoma splenico (Ettinger et al; 2008).

La metastatizzazione dell’emangiosarcoma può avvenire per estensione diretta, nel caso di rottura del tumore attraverso l’impianto transaddominale coinvolgendo ad esempio omento e mesentere; oppure per via ematogena attraverso l’immissione in circolo di cellule neoplastiche che raggiungono gli organi bersaglio, tra cui fegato, polmoni e encefalo (15% dei casi). L’emangiosarcoma tende a manifestarsi nei soggetti anziani, con una età media di 9-10 anni, tuttavia non mancano le segnalazioni di cani giovani. Tra le diverse razze canine, il Pastore tedesco rappresenta la razza con il maggior numero di diagnosi di emangiosarcoma, tanto da considerarla una razza

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20 predisposta, seguita da Golden Retriver e Labrador Retriver. Non sembra ci sia una predisposizione data dal sesso, tuttavia alcune pubblicazioni hanno evidenziato una predisposizione per il cane maschio.

La causa dell’emangiosarcoma negli animali domestici è sconosciuta, è stata sospettata come causa l’esposizione a radiazioni, ma negli studi le dosi di impianto erano alte cosi come i tempi di esposizione molto lunghi.

Un potenziale causa potrebbe essere l’esposizione alla luce ultra violetta, di fatto molti emangiosarcomi cutanei sono stati rinvenuti in soggetti con scarsa pigmentazione e mantello chiaro, come ad esempio Whippet, Bulldog bianco, Saluki.

 Anamnesi e segni clinici

Data la sua origine, l’emangiosarcoma è possibile riscontrarlo in quasi tutte le sedi anatomiche, per questo motivo la presentazione clinica del paziente è molto varia e può andare da segni clinici aspecifici come abbattimento, letargia, vomito e anoressia fino nei casi più gravi, alla morte del soggetto dovuta alla rottura del tumore e conseguente emorragia acuta. Nei soggetti con la forma addominale o toracica di emangiosarcoma è abbastanza comune un anamnesi di debolezza, pallore delle mucose o collasso. Altre potenziali alterazioni di facile rilievo da parte del proprietario possono essere: distensione addominale, dispnea e la perdita di peso. Gli episodi di debolezza e collasso possono durare da pochi minuti a ore, solitamente con risoluzione dell’episodio. Si presume che la debolezza il pallore delle mucose e il collasso siano dovute a emorragie acute, mentre il ripristino del relativo benessere è probabilmente dovuto alla cessazione dell’emorragia e/o autotrasfusione del sangue perso in cavità addominale (Ettinger et al; 2008). Nei pazienti con emangiosarcoma cardiaco, in caso di emorragia acuta si possono formare versamenti toracici e pericardici, che possono dare origine a tamponamento cardiaco. I cani con queste condizioni, alla visita clinica presentano segni di insufficienza cardiaca destra, toni cardiaci attenuati, e aritmie.

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21  Diagnosi e stadiazione

Una diagnosi presuntiva si basa sul segnalamento, anamnesi e segni clinici. Quando si sospetta la presenza di emangiosarcoma risulta fondamentale il supporto della diagnostica per immagini , con l’esecuzione di esami radiografici ed ecografici. Altre tecniche diagnostiche utilizzate per arrivare alla diagnosi sono l’aspirazione con ago sottile e/o paracentesi. I pazienti con emangiosarcoma possono presentare versamenti sieroematici, che in genere non coagulano, la paracentesi ci permette di effettuare l’esame citologico del versamento e di confermare la diagnosi solo nel 25% dei casi.

In base a studi autoptici, l’emangiosarcoma non dermico nella maggior parte dei casi è un tumore metastatico, la prognosi e l’eventuale terapia addizionale dipendono molto dallo stadio clinico, e quindi si raccomanda un esame accurato per evidenziare la presenza di eventuali metastasi. A tal fine vengono eseguite radiografie del torace nelle proiezioni latero laterali destra e sinistra e ventrodorsali, in modo da permettere di rilevare oltre alle metastasi polmonari, se c’è stato interessamento cardiaco e la presenza di versamento pericardico. Nonostante la maggior parte dei sarcomi con metastasi polmonari presentino il classico aspetto nodulare, le metastasi polmonari dell’emangiosarcoma posso avere una struttura miliare o miliare-coalescente. Secondo uno studio, l’esame radiografico del torace è in grado di identificare metastasi polmonari da emangiosarcoma nel 78% dei cani, e nel 47% anomalie a carico del profilo cardiaco. Nonostante ciò, la tecnica più accurata per rilevare un quadro di interessamento cardiaco da emangiosarcoma rimane ecocardiografia, per questo motivo, ove è possibile si raccomanda un esame ecocardiografico per la stadiazione dell’emangiosarcoma.

Oltre al completo e accurato esame radiografico, nell’iter diagnostico dell’emangiosarcoma rientra l’esame ecografico dell’addome, che ci permettere di valutare la presenza di una neoplasia addominale primaria o la presenza di una diffusione metastatica. Nell’emangiosarcoma splenico, la struttura ecografica di più comune riscontro è quella mista o non omogenea (o entrambe), mentre a differenza le metastasi epatiche appaiano in genere anecogene o ipoecogene. Se dai risultati dell’esame ecografico si evince un

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22 alta probabilità di diffusione metastatica, è necessario un esame istologico e/o citologico per confermare la diagnosi di patologia metastatica.

Dopo la rimozione chirurgica della neoplasia, è importante effettuare un esplorazione di tutte le strutture che potenzialmente possono essere coinvolte. La neoformazione rimossa va fissata in formalina e inviata al laboratorio di analisi, dove verrà eseguito l’esame istologico. Ove è possibile si cerca di inviare l’intera parte asportata indipendentemente dalla tipologia di tumore che si sospetta, in modo tale da permettere al patologo di effettuare la delineazione dei margini di resezione e formulare una diagnosi finale; se la massa da esaminare è di grandi dimensioni va sezionata a fetta di pane, in modo da permettere alla formalina di agire sul campione e fissarlo.

Per motivi di stadiazione, le alterazioni che si riscontrano durante la laparotomia esplorativa come ad esempio noduli al fegato, omento sono da sottoporre a biopsia e a esame istopatologico.

Tabella 2.1 Sistema di stadiazione clinica TNM dell’emangiosarcoma del cane.

T Tumore (tumore primario)

T0 No c’è evidenza di tumore

T1 Tumore limitato alla sede primaria e/o al derma <5 cm di diametro T2 Il tumore invade i tessuti sottocutanei e/o ≥5 cm di diametro

T3 Ogni tumore T1 eT2 con invasione delle strutture adiacenti e/o del muscolo N Nodo (linfonodi regionali)

N0 Non c’è evidenza di interessamento dei linfonodi regionali N1 Interessamento dei linfonodi regionali

N2 Interessamento di linfonodi distanti M Metastasi (metastasi a distanza) M0 Non c’è evidenza di metastasi M1 Presenza di metastasi

Stadio I T0 o T1, N0 o N1 Stadio II T0 o T1, N0 o N1

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23 Le diagnosi differenziali per una massa splenica includono, linfoma, leiomiosarcoma, fibrosarcoma, osteosarcoma, istiocitoma fibroso maligno, sarcomi non differenziati, liposarcomi, mesenchimomi, come pure patologie non neoplastiche come iperplasia nodulare, emangioma, ematoma.

Dal punto di vista ematologico il riscontro più comune nei cani affetti da emangiosarcoma è l’anemia, di solito normocitica normocromica rigenerativa con policromasia, reticolocitosi, eritrociti nucleati e anisocitosi. Si suppone che l’anemia associata all’emangiosarcoma sia dovuta a emolisi microangiopatica e, eventualmente a emorragia intracavitaria (con successiva autotrasfusione), con il risultato di frammentazione e schistocitosi delle emazie (Ettinger., 2008). Altre alterazioni ematologiche di comune riscontro nei piccoli animali con emangiosarcoma includono: leucocitosi neutrofila, neutrofili in banda e trombocitopenia. Inoltre possono verificarsi emorragie spontanee e CID (coagulazione intravasale disseminata), e pertanto si raccomanda un profilo coagulativo prima di interventi chirurgici o procedure diagnostiche invasive.

 Terapia e prognosi

La terapia elettiva per l’emangiosarcoma splenico è la chirurgia. Questo tipo di patologia va affrontata su due fronti, in quanto oltre al problema locale dato dalla neoplasia, bisogna considerare soprattutto, il problema sistemico dovuto all’elevato potenziale metastatico. Detto ciò oltre alla terapia chirurgica va considerata una terapia sistemica adiuvante, in quanto la prognosi per i cani affetti da emangiosarcoma splenico, trattati con la sola chirurgia, rimane da infausta a grave, con una durata media della sopravvivenza di soli 19-86 giorni. Si deve eseguire un intervento chirurgico il più aggressivo possibile per asportare tutto il tessuto in preda alla neoplasia, eseguendo una splenectomia totale. I cani sottoposti a chirurgia, in circa un quarto dei casi, mostrano nel periodo postoperatorio, aritmie ventricolari, che si pensa siano dovute a ipovolemia, anossia e anemia, per via delle limitazioni anatomiche.

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24  Chemioterapia

Dopo la chirurgia la terapia adiuvante viene effettuata con protocolli a base di doxorubicina come agente singolo, o in combinazione con ciclofosfamide e vincstrina.

La doxorubicina somministrata come monoterapia sembra avere lo stesso effetto delle terapie combinanti, ma con una minore tossicità, per questo motivo viene considerata la terapia di scelta per l’emangiosarcoma. Nonostante ciò la doxorubicina sembri che porti benefici terapeutici limitati, nei pazienti con emangiosarcoma splenico trattati con 5 dosi di doxorubicina dopo intervento chirurgico, si è mostrato che i fattori prognostici negativi includevano: la giovane età, il grado più elevato e il grado di anaplasticità e indifferenziazione e, l’asportazione incompleta della massa tumorale.

In base ai risultati di molteplici studi, i cani con emangiosarcoma agli stadi iniziali sottoposti a trattamento con chirurgia e chemioterapia sembrano avere una prognosi migliore rispetto a quelli con stadi di malattia più avanzati (Ettinger et al., 2008).

2.5 Iperplasia nodulare

L’iperplasia nodulare, è la proliferazione localizzata di cellule benigne che compongono il normale parenchima splenico del cane. La causa a seconda delle circostanze può essere ignota, o nota come nel caso della stimolazione antigenica cronica che porta alla formazione di ammassi benigni di cellule linfoidi ,emopoietiche e plasmacellule.

L’iperplasia nodulare oltre ad essere un reperto molto comune nelle autopsie viene spesso diagnostica, nei pazienti geriatrici durante l’esame ecografico, dove le lesioni nodulari appaiono ipoecogene.

Nel cane la forma più comune di iperplasia nodulare è quella linfoide, una particolare variante è rappresentata dai noduli fibrioistiocitari, caratterizzati da una popolazione mista di cellule istiocitarie o fusate mischiate con elementi ematopoietici, plasmacellule e linfociti.

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25 Questi noduli sembrano rappresentare una forma intermedia tra l’iperplasia nodulare linfoide e l’istiocitoma fibroso maligno splenico (Ettinger et al., 2008). Istologicamente il rapporto tra elementi linfoidi e fibrioistiocitari rappresenta il più importante fattore predittivo per quanto riguarda la sopravvivenza di questi pazienti. Una rapporto a favore degli elementi linfoidi rispetto a quelli fibrioistiocitari è stato associato ad un aumento del tempo di sopravvivenza di questi pazienti. Il trattamento elettivo dell’iperplasia nodulare è rappresentato dall’intervento di splenectomia.

2.6 Ematoma

L’ematoma è costituito da fibrina organizzata ed eritrociti degenerati, può originarsi in seguito a trauma, localizzandosi a livello subcapsulare dove esercita un effetto massa sulla milza. Raramente nell’anamnesi viene riportato un trauma, infatti la maggior parte dei cani con ematomi splenici, si presentano relativamente sani senza manifestare una sintomatologia acuta da rottura d’organo, sebbene possono sviluppare emoaddome.

Di solito nella stragrande maggioranza dei casi, gli ematomi splenici sono associati a grandi masse spleniche. Su 257 lesioni spleniche canine non neoplastiche, l’80% (206) era diagnosticato come ematomi splenici (59), noduli iperplastici (42) o entrambi (105). Nel cane un alta percentuale di lesioni spleniche ha caratteristiche di ematoma e di iperplasia nodulare, il che suggerisce che questi disordini rappresentino stadi diversi dello stesso processo patologico. È stato ipotizzato che la distorsione della zona marginale dovuta all’iperplasia nodulare alteri il flusso splenico regionale, all’interno e intorno al nodulo iperplastico, portando quindi alla formazione di ematomi (Ettinger et al., 2008).

Le diagnosi di ematoma splenico e iperplasia nodulare rappresentano la maggior parte delle masse non neoplastiche nelle milza canine ed il 20-41% di tutte le lesioni spleniche ( Hurley & Stone, 1994; Spangler & Culbertson, 1992; Spangler & Kass, 1997).

Importante prendere atto che non si può differenziare macroscopicamente un grosso nodulo iperplastico un ematoma da un emangiosarcoma o emangioma,

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26 basandosi solo ed esclusivamente su dimensioni, forma e criteri morfologici. La differenziazione e una diagnosi presuntiva o definitiva, è resa possibile grazie all’utilizzo di ulteriori esami diagnostici come l’esame citologico per aspirazione o la biopsia. In una casistica iperplasia nodulare ed ematoma sono stati la causa del 53% delle splenectomie canine.

2.7 Torsione splenica

La torsione splenica, si verifica quando la milza ruota attorno al suo peduncolo vascolare, determinando un ostruzione venosa con conseguente splenomegalia congestizia.

 Segnalamento

È una condizione chirurgica segnalata più comunemente in razze di taglia grande e gigante con torace profondo come Alano, Pastore Tedesco, Setter Irlandese (Hosgood, 1989; Neath, 1997; Stevenson, 1981). Raramente si presenta isolata, nella maggior parte dei casi è associata a GDV (Hosgood, 1987).

Gli incrementi dell’attività fisica, conati di vomito, rotolamenti possono aumentare la motilità della milza e in combinazione con lo stiramento dei legamenti gastrosplenico, frenicosplenico e splenocolico possono permettere la torsione splenica (Hurley & Stone, 1994). In uno studio retrospettivo condotto su 60 cani che presentavano emoperitoneo acuto atraumatico, la torsione splenica è stata riscontrata solo in tre soggetti (Aronsohn et al, 2009).

In questo studio le malattie più comuni associate a emoperitoneo atraumatico erano emangiosarcoma (38/60) ed ematoma splenico (16/60). In genere si determina l’occlusone della vena splenica, che ha pareti sottili, mentre l’arteria splenica mantiene una parziale pervietà provocando una splenomegalia congestizia (Fossum.,2013).

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27  Anamnesi e segni clinici

La torsione splenica può presentarsi come condizione acuta con segni sistemici importanti come collasso cardiovascolare, shock e dolore addominale, o come condizione cronica associata a segni aspecifici che comprendono debolezza, dolore addominale intermittente, vomito, poliuria e polidipsia, anoressia, distensione addominale, perdita di peso, depressione, ittero, ematuria o emoglobinuria. Alcuni proprietari hanno riferito la presenza di sintomi cronici intermittenti per più di tre settimane prima che l’animale fosse portato a visita. Alla visita clinica la caratteristica di maggior rilievo è un ingrossamento della milza che non è facile da palpare o la presenza di una massa nella porzione mediana dell’addome. Durante la visita si può osservare dolore addominale, febbre, disidratazione, pallore delle mucose o ittero (o tutti questi sintomi). I cani con collasso cardiovascolare e shock manifestano tachicardia, pallore delle mucose, elevato tempo di riempimento capillare e/o polso periferico debole. All’esame dell’urina si trova spesso emoglobinuria, i reperti ematologici comprendono leucocitosi con contemporanea anemia e trombocitopenia. L’anemia può essere secondaria alla distruzione dei globuli rossi o al sequestro splenico. La trombocitopenia può essere associata al sequestro delle piastrine o alla comparsa di CID. I reperti biochimici sono aspecifici, i più costanti sono dei moderati aumenti della fosfatasi alcalina sierica. Si può osservare un incremento degli enzimi epatici che si pensa sia secondario al rilascio di metaboliti tossici nel sistema portale. Mentre gli incrementi degli enzimi pancreatici sono possibili a causa della compromissione dell’apporto di sangue al pancreas per la torsione, tali aumenti non sono rivenuti costantemente (Hurley & Stone, 1994).

 Diagnostica per immagini

Le tecniche di diagnostica per immagini della torsione splenica comprendono la radiografia e l’ecografia.

I reperti radiografici possono essere caratterizzati da una massa al centro dell’addome, dislocazione del piccolo intestino, assenza del profilo normale della milza, e perdita dei dettagli addominali secondari a versamento addominale (Neath, 1997; Stickle, 1989).

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28 Occasionalmente all'interno del parenchima splenico, ci possono essere bolle di gas, presumibilmente formate da batteri produttori di gas (per es., Clostridium spp.) nella milza devitalizzata.

Tra le diagnosi differenziali vanno considerate masse neoplastiche e la rottura della milza (Hurley & Stone, 1994; Stevenson, 1981).

L’ecografia è un eccellente mezzo diagnostico per gli animali con sospetta torsione splenica, i reperti ecografici comprendono splenomegalia generalizzata, congestione splenica, aumento del diametro (dilatazione) dei vasi dell’ilo e del parenchima della milza, e possibili segni localizzati di infarto splenico (Neath, 1996; Stickle, 1989). L’indagine Doppler ci permette di evidenziare l’assenza di flusso ematico attraverso questi vasi. Il flusso venoso splenico è diminuito, e la dilatazione dei vasi splenici dell’ilo è riferibile a questa condizione patologica. Nei cani che presentano una torsione splenica associata a congestione e compressioni vascolari e trombosi della vena splenica, si possono osservare all’ecografia, delle ecogenicità intraluminali visibili nella vena splenica, compatibili con la presenza di trombi (Fossum et al., 2013). In uno studio, nel 50% dei casi era possibile visualizzare trombi intravascolari, soprattutto a carico delle vene spleniche. L’esame della vena splenica con metodo Doppler spettrale o a colori mostra l’assenza di flusso nei cani colpiti. La presenza di un area triangolare iperecogena presso l’ilo, fra le vene e il parenchima splenico, continua rispetto al mesentere iperecogeno, è stata indicata quale reperto caratteristico nei cani con torsione splenica (Mai, 2006). La presenza di un triangolo ilare iperecogeno perivenoso è stato associato in modo significativo alla torsione splenica (P=0,005) nello studio summenzionato (Fossum, 2013). Sebbene non sia patognomonico di questa patologia, gli autori hanno proposto questo segno ecografico come il più utilizzato nella diagnosi di torsione splenica. La causa della torsione splenica isolata non è chiara, potrebbe essere collegata ad anomalie congenite o, rottura traumatica del legamento gastrosplenico o splenocolico. È stato anche ipotizzata come possibile causa la torsione gastrica parziale o intermittente, nel caso in cui la milza rimane ritorta nonostante lo stomaco ritorni nella posizione fisiologica (Fossum, 2013).

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29  Trattamento

Questi pazienti necessitano di una terapia di supporto immediata e la rimozione chirurgica della milza. Se trattata in maniera adeguata la prognosi della torsione splenica è favorevole. (Ettinger & Feldman, 2008).

I pazienti con una torsione splenica acuta sono in uno stato di emergenza, prima dell’intervento chirurgico il paziente deve essere adeguatamente stabilizzato con fluidoterapia addizionata a colloidi o prodotti del sangue, se necessario. E come per tutte le procedure che richiedono un trattamento chirurgico della milza, il paziente deve essere attentamente monitorato per le aritmie cardiache. L’alta incidenza di alterazioni del ritmo cardiaco deve essere presa in considerazione nella formulazione di un piano anestesiologico adeguato.

2.8 Lacerazione e trauma della milza

Nei cani la lacerazione splenica è rara rispetto a traumi chiusi. A causa della sua dimensione e localizzazione la milza è soggetta a lacerazione secondariamente a qualsiasi penetrazione nell’addome (Slatter et al., 2005). Le lesione spleniche iatrogene possono avvenire durante le tecniche diagnostiche e terapeutiche, che comprendono l’incisione abituale lungo la linea alba, la biopsia alla cieca o ecoguidata, il lavaggio peritoneale diagnostico e il posizionamento di sonde da gastrotomia (Armstrong & Hardie, 1990).

L’emorragia secondaria a lacerazioni e a lesioni parenchimali chiuse non è una causa principale di morbilità nei cani, il trauma o la lacerazione che coinvolge i vasi splenici di grosso calibro può essere fatale, soprattutto se in assenza di un supporto medico immediato e di un intervento chirurgico.

Inoltre è possibile che l’emorragia secondaria non venga apprezzata, perché una grande percentuale di cani che subisce un trauma addominale fatale non viene mai portato da un veterinario o non è sottoposto ad esame post mortem. Questa carenza di informazioni non ci permette di valutare effettivamente l’incidenza del trauma splenico nella mortalità del paziente.

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30 Negli animali con emoaddome e un’ anamnesi di traumi addominali chiusi o penetranti si deve prendere in considerazione un danno splenico esteso.

Per tanto, in primo luogo bisogna stabilizzare il paziente con una adeguato trattamento di sostegno, quindi somministrazione di liquidi endovena, bendaggio compressivo dell’addome, monitoraggio costante dell’ematocrito e della pressione circolatoria. In caso di valori di HCT critici valutare se eseguire una trasfusione con sangue intero fresco, emoderivati.

Nel caso la terapia medica di supporto non è in grado di stabilizzare il paziente, si prende in considerazione l’immediato intervento chirurgico per arrestare l’emorragia.

2.9 Ematopoiesi extramidollare

Tra le cause comuni di splenomegalia generalizzata non neoplastica, abbiamo l’EMH (extramedullary hemaatopoiesis), essa può essere associata a iperplasia splenica in pazienti anemici, trombocitopenici o leucopenici. Viene diagnosticata comunemente in cani affetti da splenomegalia uniforme e può essere associata anche a diverse neoplasie spleniche. La presenza di eritrociti immaturi nel sangue periferico suggerisce la diagnosi di EMH.

Citologicamente si possono evidenziare precursori delle tre linee cellulari. La presenza di precursori ematopoietici su uno sfondo vacuolizzato suggerisce un mielolipoma piuttosto che EMH (Ettinger et al,2008).

2.10 Ascesso

Gli ascessi splenici nel cane sono abbastanza rari, di fatto rappresentano meno dell’1% delle diagnosi spleniche all’esame patologico (Spangler & Culbertson, 1992). Possono avere origine dalla propagazione ematogena di microrganismi. Tra i batteri più comunemente isolati, merita di essere citato lo Staphylococcus spp.

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2.11 Splenomegalia infiltrativa neoplastica

Nel cane è una causa comune di splenomegalia, l’infiltrazione da parte di cellule neoplastiche avviene con una certa frequenza nei pazienti affetti da leucemia acuta e cronica. Altre condizione neoplastiche che danno luogo ad una splenomegalia generalizzata includono il linfoma, mieloma multiplo, istiocitosi maligna (Birchard., 2009).

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Capitolo 3: La Splenectomia

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La splenectomia è la tecnica chirurgica di asportazione della milza, indicata nei pazienti colpiti da rottura, torsione o masse spleniche e nei pazienti sintomatici.

3.1 Valutazione preoperatoria del paziente

La valutazione preoperatoria del paziente che richiede un intervento di splenectomia, non è standardizzata come nel caso di interventi chirurgici di routine.

I pazienti affetti da disordini splenici a secondo del tipo di patologia possono presentare o meno una sintomatologia acuta, e quindi richiedere un’eventuale stabilizzazione delle condizioni cliniche prima dell’intervento chirurgico.

Pertanto verranno prese in considerazione due tipologie di pazienti, ovvero quello critico con sintomatologia acuta, che richiede un trattamento medico-chirurgico in urgenza, e il paziente che richiede un intervento medico-chirurgico programmato.

 Valutazione del paziente non critico

Prima di procedere con l’intervento di splenectomia, il paziente deve essere valutato attraverso una visita clinica e opportuni esami complementari (di laboratorio e di diagnostica per immagini), al fine di ottenere un quadro generale delle sue condizioni di salute, in modo da permetterci di lavorare in condizioni di massima sicurezza, non solo da un punto di vista prettamente chirurgico ma anche sotto il profilo anestesiologico.

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33  Segnalamento anamnesi e visita clinica

L’anamnesi che precede la visita clinica, rappresenta un passaggio fondamentale e di ausilio per la scelta dell’iter diagnostico più appropriato. Non bisogna soffermarci immediatamente sulle principali alterazioni riferite dal proprietario, ma bisogna raccogliere più informazioni possibili riguardanti, il segnalamento (con specie, razza, età, sesso), ambiente in cui l’animale vive (urbano, suburbano, rurale), tipo di dieta (commerciale, casalinga, mista), problemi medici trascorsi, trattamenti recenti o in corso e segni di infezione. Spesso il proprietario riferisce segni vaghi e non specifici come depressione, anoressia , letargia, vomito e diarrea. L’unico segno premonitore in alcuni casi gravi è il collasso acuto. Durante l’esame clinico vengono valutate le principali funzioni vitali del paziente (funzionalità respiratoria e cardiaca); in questa tipologia di pazienti, bisogna focalizzare l’attenzione su colore delle mucose, tempo di riempimento capillare (TRC) e grado di idratazione.

Il TRC rappresenta un rapido indicatore dello stato circolatorio del paziente, un aumento del suo valore può indicare vasocostrizione periferica o iniziale stato di shock. Se presente una grave ipovolemia, la tachicardia è spesso intensa da 170 a 200 battiti per minuto (bpm), polso femorale debole e TRC aumentato. Delle volte alla visita, attraverso la palpazione, a secondo del grado di splenomegalia è possibile apprezzare la milza a livello del quadrante craniale sinistro dell’addome. Altri segni riscontrati all’esame obiettivo generale, direttamente o indirettamente correlati alla causa di fondo della malattia splenica includono, distensione addominale, versamento peritoneale, dolore alla palpazione, ittero, ecchimosi, petecchie, pallore delle mucose e febbre. Non sempre all’esame fisico si può notare distensione addominale in un animale con versamento addominale.

Ad esempio è facile che un cane con emoperitoneo acuto da incidente d’auto sia in grave shock ipovolemico prima che si abbia il minimo sospetto di distensione addominale.

Sempre all’esame fisico può manifestarsi linfoadenopatia periferica congiuntamente a malattie neoplastiche latenti, quali leucemia o linfoma, e malattie infettive, come ehrlichiosi o micosi profonde (Birchard, 2009).

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