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AIDS. Combattiamolo viralmente

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Academic year: 2021

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Tesi di:

Giacomo Pennicchi

735562

Relatrice:

Maria Luisa Galbiati

Co - Relatore:

Luigi Ciccognani

Politecnico di Milano

Facoltà del Design

Laurea Magistrale in Design della Comunicazione

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Alla mia famiglia e ai miei amici

per il supporto costante.

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INDICE

Introduzione

1. La comunicazione sociale in Italia...p.5

1.1 Un pò di storia

1.2 Una distinzione sociale

1.3 I protagonisti e gli scenari

2. AIDS oggi...p.20

2.1 Un problema ancora attuale

2.2 le associazioni

2.3 dati sull’AIDS

2.4 intervento di V.Agnoletto

3. Storico della comunicazione dell’AIDS...p.49

3.1 Le fasi della comunicazione dell’AIDS

3.2 dati sulla spesa della comunicazione sociale in Italia

3.3 analisi delle campagne e cambiamento del tone of voice

4. I nuovi media nella comunicazione...p.79

4.1 cosa sono i new media e come vengono usati

4.2 benefici e limiti dei new media

4.3 Il web 2.0 nelle campagne sociali e benefici correlati

5. AIDS, combattiamolo viralmente...p.93

5.1 AIDS, HIView, open lectures

5.2 AIDS, combattiamolo viralmente, l’idea

5.3 AIDS, combattiamolo viralmente, lo spot

6. Conclusioni

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5 In un momento di grandi cambiamenti sociali e di progresso tecnologico,

bisogna saper trovare il modo migliore per poter comunicare i problemi e la realtà del mondo in cui ci troviamo, saper usare a nostro favore lo sviluppo di un tipo di comunicazione che può radicalmente cambiare il modo di parlare alla gente,

di interagire con quest’ultima, per portare avanti idee

che grazie alla rivoluzione tecnologica riescano ad entrare nella testa di chi vuole cambiare qualcosa nella società in cui vive.

L’AIDS e tante altre cause sociali possono essere sostenute e combattute se riescono ad arrivare al cuore del fruitore, anche grazie alla creatività e alla facilità di linguaggio

che il web permette, senza doversi per questo rinchiudere in una comunicazione che segue l’andamento lineare dell’adv classico,

abbassandone il tono di voce e il ricordo che di queste si ha nel tempo. Fine ultimo, quindi, l’impiego di toni che si scostino dalla comunicazione sociale

classica e che invece cavalchino l’onda di innovazione che il web 2.0 e tutte le sue derivazioni tecnologiche permettono, colpendo il pubblico,

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La comunicazione sociale in Italia.

Nasce da un’esigenza di cam-biamento, da un senso comune che registra e rende partecipi le popolazioni mondiali di quali problemi stiano attanagliando il mondo, adottando come mission il cambiamento nella mentalità e il portare a riflettere la popolazi-one.

Gli organi promotori sono diversi ed ognuno contribuisce alla crescita mo-rale e di senso civico della popolazione, a partire dalla pubblica amminist-razione, passando per le varie no-profit, arrivando poi alle imprese stesse che adottano campagne di impegno sociale, usufruendo del loro nome per portare un cambiamento positivo nella società.

Dalla definizione di Puggelli, Sobrero1: “la comunicazione sociale è uno

strumento persuasivo e di conoscenza utilizzato da soggetti pubblici e privati per coinvolgere la persona (consumatore/cittadino/donatore) e spingerla all’azione rendendola partecipe dei problemi ma anche delle possibili soluzi-oni”.

Se dovessimo pensare bene alla definizione di comunicazione sociale, non ne troveremmo una perfetta, ma sicuramente potremmo inquadrarla come una pubblicità con l’anima, in quanto è essa stessa una forma di advertising ma con ultimo fine il cambiamento e la sensibilizzazione del cittadino. La pubblicità sociale si presenta come una comunicazione non ingannevole che porta in sè la potenza del messaggio mediatico non al fine di attrarre il cittadino ma bensì di persuaderlo a fare qualcosa in più per sè stesso e per la società.

Secondo il Dizionario della pubblicità (Abruzzese, Colombo, ‘94) la pub-blicità sociale è così definibile: “la pubpub-blicità sociale è l’insieme dei messaggi

e delle comunicazioni creati con i metodi e diffusi con i mezzi della pubblic-ità commerciale, ma che, contrariamente a questa, non sono finalizzati alla vendita di un prodotto o alla circolazione del nome di una marca, poichè perseguono scopi di utilità sociale e di interesse generale”.

I mezzi che questa usa sono stati in passato i canali classici della pubblicità: tv, stampa e radio, evolvendo di pari passo con la pubblicità e arrivando ai giorni nostri all’uso del virale e del web 2.0, un tipo di comunicazione che sta evolvendo e sfruttando canali sempre più mirati all’utente, abbattendo di molto i costi per la veicolazione del messaggio. Il tipo di comunicazione perfetto per una no-profit.

1.

1.La comunicazione sociale, Francesca Romana Puggelli e Rossella Sobrero,

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Un pò di storia.

Riuscire a dare una data precisa della nascita della Comunicazione sociale in Italia è assai difficile, potremmo ripercorrere gli anni in cui la mobilitazione e la nascita di associazioni no-profit hanno contribuito allo sviluppo di un pensiero sociale in Italia, cominciando con il ben noto WWf (World Wildlife Fund-www.wwf.com), una ONP (Organiz-zazione no-profit) famosa per l’impegno nel contesto ambientale e per il contributo che essa da oramai da molti anni, riconoscibile per il logo e ormai anche per il suo nome.

Nello stesso anno nasce Amnesty International (www.amnestyinterna-tional.org), un’organizzazione non governativa, nota anche per il logo, una candela circondata da un filo spinato, a simboleggiare l’impegno nella difesa dei diritti umani. La sua mission è quella di promuovere, in maniera indipendente e imparziale, il rispetto dei diritti umani sanciti nella Dichi-arazione universale dei diritti umani e quello di prevenirne specifici abusi. La sezione italiana, nata nel 1975 e ad oggi in forte crescita, conta più di 90.000 iscritti.

In Italia il fermento sociale e l’azione comunicativa parte per mano di don Luigi Ciotti, che nel 1965 si schiera per i diritti di chi è emarginato e so-cialmente disagiato, questo è quindi l’intento della Gioventù Impegnata, trasformandosi poi nel 1968 in Gruppo Abele.

Di lì a poco ci sarebbe stata la messa in onda del primo spot sociale, fir-mato Pubblicità Progresso, una società no-profit che deve le sue origini all’operato di alcuni pionieri appartenenti al mondo della comunicazione pubblicitaria e che da quel momento in poi sarà il punto di riferimento delle campagne a tema sociale in Italia.

Si ricorda per questo il primo spot sulla donazione di sangue in Italia, us-cito appunto in quello stesso anno, firmato MCCann Erickson (fonte, www.

pubblicitaprogresso.it, sezione campagne), uno spot basato sull’incisività del

messaggio: “C’è bisogno di sangue. Ora lo sai”, che richiama la popolazione ad attivarsi in fretta a donare sangue, in un’anno in cui il mercato nero del sangue stava aumentando a causa di poche e discontinue donazioni. Questo è lo spot che ha sicuramente riconosciuto Pubblicità Progresso come

un’ente in grado di veicolare il messaggio sociale nelle case degli italiani. Ricordiamo però che la comunicazione sociale non si è limitata a far veico-lare un messaggio, ma ha creato una rete di collaborazioni e dato vita ad

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una catena di reazioni da parte di associazioni per attivarsi per un futuro migliore.

Ricordiamo anche che nello stesso anno nasceva greenpeace, associazione che rappresenta la lotta in difesa della natura, fondata a Vancouver grazie a Jim Bohlen, Irwing Stowe e Paul Cote, i quali, si diressero verso Amchitka, nel pacifico settentrionale, per protestare per un imminente test nucleare degli Stati Uniti, la protesta non riesce comunque a fermare l’esplosione che sarebbe comunque poi avvenuta di li a poco tempo dopo, la notizia del tentato blocco avrebbe comunque fatto il giro delle principali testate giornalistiche del nord America. Passano alcuni anni e Amnesty Interna-tional riceve il premio nobel per la pace, precisamente nel 1977, un premio che riconosce alle ONP il valore dell’attivazione e della mobilitazione delle società no-profit nella società moderna.

Da li a poco nasceranno altre importanti associazioni che andranno a completare la scena, tutt’ora in fermento, delle società pubbliche che inter-vengono per i diritti dei cittadini nel mondo, possiamo citare per questo la nascita in Italia delle partite del cuore, e la fondazione della nazionale can-tanti, il cui fine ultimo è quello di usare il mondo calcistico per trasmettere un messaggio di unione e di schieramento, usando poi il ricavato del match per aiutare varie associazioni del settore Terziario.

Ricordiamo comunque che non sono solo le no-profit che si assicurano del bene della società, spesso anche aziende importanti danno il loro con-tributo, al fine di poter usare il proprio nome per veicolare un messaggio, ricordiamo il caso di Dash, un marchio che ha sempre sostenuto la difesa dei diritti dei più piccoli, creando una comunicazione che avrebbe portato sicuramente ad un duplice beneficio, per quanto riguarda la lotta e l’azione sociale da una parte e dall’altra il ricordo di una marca impegnata per i diritti dell’infanzia.

Precisando il termine, comunicazione sociale è l’insieme delle strutture e dei vari metodi con cui poter veicolare un messaggio, sono nati nel tempo vari e diversi modi, ma sicuramente quello su cui si può fare più affidamen-to è la pubblicità sociale, in quanaffidamen-to riesce a raggiungere sempre più gente attraverso i classici veicoli di comunicazione. La pubblicità sociale è quindi pubblicità vera e propria che usa le stesse tecniche persuasorie della pub-blicità commerciale per far compiere un certo atteggiamente alla

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popolazi-9 one che ascolta quel messaggio.

Intanto nel 1985 viene fatto il primo concerto per raccogliere fondi per la carestia in Etiopia, il Live Aid, evento organizzato da Bob Geldof dei Boom-town Rats e Midge Ure degli Ultravox, da quell’anno si susseguiranno poi notevoli manifestazioni a supporto dei meno fortunati, come il più noto e ultimo live8, una serie di dieci concerti organizzati dalle nazioni del G8 allo scopo di mettere pressione ai leader politici per poter cancellare il debito che le nazioni più povere avevano verso queste.

Per dare qualche altro dato, sempre nello stesso anno viene istituito

l’8x1000, entrando in vigore con una legge del 1990, e affidando la propria comunicazione ad una multinazionale, Procter & Gamble, la prima volta che una multinazionale lega il proprio nome ad una no-profit.

Con il passare degli anni si susseguono sempre più manifestazioni e nasco-no sempre più attività volte a raccogliere fondi, come Telethon che nel ‘90 promuove la raccolta di donazioni telefoniche, e l’aiuto della televisione come mezzo per poter combattere e aiutare la ricerca sulle malattie rare. Il canale musicale nel mondo e in Italia è molto sfruttato, un ottimo canale per far arrivare un messaggio importante legando questo ai volti noti dello schermo e del panorama musicale internazionale, come anche Pavarotti, che istituisce il Pavarotti & friends, devolvendo il ricavato della mani-festazione per cause sociali.

Col passare del tempo il messaggio prende strade sempre più diverse, a cominciare dal target a cui fa riferimento, andando a “colpire” sempre più giovani, e adottando, anche grazie all’avvento di Internet, linguaggi sempre più in linea con la popolazione più giovane, a supporto di questo e come media principale viene a supporto una nota emittente televisiva, Mtv, che tramite un linguaggio più diretto cerca di far ragionare i giovani su ques-tioni di interesse sociale importante, sfruttando il messaggio creativo e giovanile, ricordiamo per questo che questa emittente si batte da molti anni per riuscire ad estinguere un problema di rilevanza mondiale, l’aids, istituendo anche un canale che avrebbe poi fatto il giro del mondo, lo

Stay-ing alive, canale che usa i mezzi moderni della comunicazione pubblicitaria

(Youtube, Facebook...) veicolando messaggi e video che entrano anche nella vita dei malati e ne raccontano paure, sensazioni e restitutiscono una vi-sione al popolo giovanile che sia più diretta e reale, facendo aprire gli occhi

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in maniera diretta, senza dover per questo aprire numeri verdi o raccolte fondi ma basandosi sull’attivazione spontanea e il ricordo che comunque i problemi nel mondo ci sono, anche se oramai ne stiamo parlando sempre meno.

Alternative all’uso di Internet sono state presentate anche nei primi anni del 2000, grazie all’introduzione del supermessaggio solidale (SMS), che combina insieme la praticita dell’sms e la diffusione capillare del disposi-tivo di telefonia mobile. Questo tipo di media è stato usato per raccogliere fondi per la lotta all’aids, e la collaborazione tra il CESVI con Omnitel ha reso possiblie la nascita della campagna sociale “Fermiamo l’aids sul nas-cere”. L’sms solidale sarà poi in seguito uno strumento molto apprezzato ed usato anche in altre campagne sociali.

Dal 2003 in poi l’attivazione sociale di molte imprese sarà uno strumento ampliamente usato e riconosciuto, spesso però, usato anche per dare mag-gior visibilità al privato, che cavalca l’onda della sensibilizzazione per met-tersi comunque al pari delle altre multinazionali.

Una distinzione sociale.

Potremmo fare notevoli distinzioni, a par-tire dalla differenza che intercorre tra comunicazione pubblica e comuni-cazione sociale, probabilmente dicendo che i due termini sono in verità dei sinonimi, il primo abbraccia una branca molto vasta di argomenti e comunicazioni, distinguendo al suo interno una comunicazione politica, volta a produrre effetti nel campo della politica e dei vari personaggi all’interno di questa, andando oltre troviamo la comunicazione

istituzi-onale, proveniente principalmente dagli organi di Stato e destinata ad

in-formare il pubblico fino alla promozione dell’ immagine dell’istituzione e non ultima la comunicazione sociale, che si propone di portare avanti una comunicazione che promuovesse una causa e ne sottolineasse la battaglia per la sua lotta, una comunicazione che parte da enti pubblici e ONG. Secondo Giovanna Gadotti e Roberto Bernocchi (la pubblicità socia-le,2008), la distinzione tra comunicazione pubblica e comunicazione sociale è da rivedersi in un rapporto di incorporamento da parte della comunicazione pubblica a discapito della comunicazione sociale, i due mondi sono uno all’interno dell’altro, definendo la comunicazione sociale una species contenuta all’interno del genus comunicazione pubblica.

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11 In entrambi i casi si ha “una comunicazione caratterizzata per essere

es-tranea alle logiche di mercato, per essere espressione della volontà di

rap-presentazione del panorama più vasto possibile di valori e diritti”. 2

Ulteriore distinzione già affrontata in precedenza è che la comunicazi-one sociale non coincida con la pubblicità sociale, quest’ultima è lo stru-mento attraverso il quale il messaggio possa arrivare al destinatario, in una forma di sicuro accattivante e mirata a seconda dell’utente ultimo che deve relazionarsi e adeguarsi al messaggio ricevuto. Per questo la pubblicità sociale deve affrontare tutto l’iter classico della pubblicità industriale, passando per i vari momenti di stesura del brief, creatività e acquisto mezzi per poter far si che il messaggio che questa vuole trasmet-tere possa essere il più persuasivo possibile.

Non è comunque facile poter produrre una pubblicità che sia persuasiva ma allo stesso tempo in linea con il pensiero della comunità che andrà ad accoglierla, poichè spesso nella pubblicità commerciale si deve fare i conti con il cliente, cercando di capire con lui quale sia il messaggio mi-gliore da far arrivare, mentre nella comunicazione sociale il nostro cliente è il pubblico stesso, è il cittadino che deve agire per questo e l’accortezza qui sta nel veicolare un messaggio che non vada ad urtare la sensibilità o che colpisca nel privato il nostro pubblico.

Questo tipo di pubblicità deve essere quindi uno specchio del nostro tempo, mirror (Gadotti, 2010), quindi una pubblicità non ingannevole, promossa nell’interesse di chi ascolta il messaggio e non di chi lo pro-duce, anche se essere fedeli a tutto tondo alla realtà non è facile, poichè spesso si tralasciano questioni che possando inquadrare perfettamente il contesto e il problema di riferimento, svolgendo comunque il ruolo di “agente di socializzazione”, volta a forgiare shaper (Gadotti, 2010), i pro-cessi di cambiamento sociale e culturale.

La pubblicità sociale dunque ci restituisce, da una parte, una rappre-sentazione di una determinata realtà, rivelando in tal modo le tracce di un’altra storia, politica, culturale e sociale che ha caratterizzato questo paese, dall’altro però, cerca di costruire attenzione, consenso, visibilità e rilevanza ad una certa questione, che interessa la totalità di questi argo-menti.

Di materiale che parli di comunicazione sociale ne abbiamo in gran

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tità, tutti testi e documenti che appartengono ai primi anni del 1990 e come scrisse Paolo Mancini, nell’introduzione del suo manuale, dove “c’è molto materiale documentario, ci sono numerosi manuali professionali, ma mancano testi sistematici che inquadrino il fenomeno in una prospet-tiva storica e critico/interpretaprospet-tiva”.

Lo scopo dei testi di quegli anni era quindi quello di riuscire a ritrovare una socialità pubblica, che fosse comunque uno spazio pubblico, ben dis-tinto dalla sfera privata. Era necessario quindi fare chiarezza tra i diversi termini usati per definire oggetti e campi in realtà tra loro differenti. L’intento quindi di diffondere un’idea di stato solidale e attento alle prob-lematiche moderne, che sia collettiva e riconosciuta come tale, ma è vera-mente possiblie creare un tipo di comunicazione come questa? che riesca ad unire un popolo anche in situaizoni di crisi come quelle che il paese sta vivendo ora? Forse la risposta più ovvia è che si possa in qualche modo far arrivare il messaggio per canali non convenzionali, sruttando le ultime risorse che mette a disposizione la rete, creando messaggi a costo zero e che possano raggiungere una gran quantità di persone attraverso il messaggio virale. Riuscire a far partecipare l’utente con video accattivanti e interattivi e siti sempre più usati dalla comunicazione commerciale, ma comunque capaci di trasmettere un messaggio ad un’italia del distacco

passivo, 46% , che confrontato con l’attivismo solidale, 14%(rapporto dell’IREF-ACLI ) porta a pensare che probabilmente anche la fiducia nel

prossimo, nel futuro e in quello in cui crediamo diminuisca lentamente, portando ad accrescere quella percentuale che passivamente accetta la condizione sociale.

La comunicazione sociale potrà essere allora una delle vie per cementare solidarietà, purchè sia chiaro che le diverse “matrici solidali” richiederanno differenti obiettivi, stili, linguaggi. (La pubblicità sociale, Gadotti,

Bernoc-chi 2010).

Da questo spunto potremmo continuare dicendo che se il messaggio deve essere sociale, quale arma migliore di un social network per poter diffon-dere un messaggio solidale alla popolazione, un modo per far interagire l’utente con qualcosa che gli faccia aprire gli occhi in modo non conven-zionale.

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I protagonisti e gli scenari.

Oggi come oggi è sempre più difficile comunicare, una tesi che va ad inquadrare questo problema in un mondo ormai invaso dalla comunicazione e che sta sfruttando canali sempre più differenti e personali, filtrati dalla continua evoluzione del web 2.0. In questa realtà sono differenti e ben distinte le aziende che rendono dis-ponibile questo avvicinamento della popolazione al messaggio sociale. Sono profit oriented e non profit, pubbliche o private, ma tutte con lo stesso obiettivo: attirare l’attenzione all’inizio per poi suggerire un prodotto, un’idea o un progetto.

Fine ultimo è quello di focalizzare l’attenzione su un problema, che sia l’abbattimento di alberi o bensì la lotta all’aids, cercare nel pubblico l’approvazione e la condivisione di una visione strategica e creativa, usando mezzi non convenzionali.

Andando per esempio ad analizzare la definizione del dizionario della pubblicità, troviamo che: “tra imprese che avendo fini di lucro ricorrono

alla pubblicità per incentivare le vendite, le organizzazioni non profit il cui scopo è quello di fornire servizi o, a volte, informazioni non monetizzabili e non disponibili su un mercato. Le organizzazioni non profit possono essere sia enti pubblici centrali (stato, ministeri, istituti di ricerca) o locali (re-gione, comuni, ospedali), sia associazioni, gruppi, movimenti che sorgono spontaneamente nel tessuto sociale” (Stella, 1994).

Cominciamo definendo la prima associazione.

• Pubblicita’ Progresso

Dalla sua fondazione, avvenuta nel 1971 come associazione e successiva-mente divenuta fondazione nel 2005, Pubblicità Progresso è sempre stato il simbolo di una comunicazione sociale condivisa in Italia.

Nasce e si sviluppa durante gli anni della contestazione, di vari conflitti sociali e quindi anche in un momento di rivoluzione e cambiamento della nostra società.

Questo particolare progetto comunicativo parte dall’unione di vari per-sonaggi impegnati nel mondo della pubblicità, che decidono di applicare le stesse regole dell’advertising, per portare nelle case degli italiani un mes-saggio di speranza e attenzione ai problemi che stanno affligendo il paese e

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il nostro mondo, attraverso messaggi persuasori e accattivanti.

Uno dei fini è quello di raccontare una realtà, all’inizio descrivendo il lema sui vari fronti, andando ad indagare per esempio all’inizio , sui prob-lemi ambientali e di sostenibilità del nostro paese, ricordiamo per questo le prime campagne degli anni ‘70, in cui si cerca di far crescere all’interno di ogni cittadino una più forte consapevolezza sociale e sullo sviluppo eco-nomico che in quegli anni andava maturando.

Il progetto inizialmente è stato aiutato da vari enti, solo per citarne alcuni: l’associazione pubblicitari professionisti TP, RAI, FIEG, OTIPI (associazione delle agenzie di pubblicità) e l’UPA (Utenti pubblicità associati), questo enorme supporto ha fatto si che tutti potessero guadagnare dall’uso più generoso e sociale di un mezzo potente come la pubblicità.

Raggiunge ora una maturità pubblicitaria di quasi quarant’anni, una pub-blicità consapevole e ancora oggi in grado di far pensare la gente, con qual-che pecca purtroppo, forse dovuto ai fondi a disposizione o al tipo di cre-atività creata per le varie campagne, sufficienti per lo standard del nostro paese ma sicuramente poco efficaci se messe a confronto con il panorama sociale europeo, svincolato anche da molte regole che sottendono questo tipo di comunicazione nel nostro paese.

Pubblicità progresso è quindi oggi un marchio vero e proprio, godendo di una reputazione positiva e che ne restituisce i valori di serietà e impegno sociale che questa si merita, si può dire che questa ha colto al volo i segnali di cambiamento che stavano venendo fuori nel nostro paese, invertendo vecchie abitudini e focalizzandosi sul problema principale, la comunicazi-one, dando ampio campo alle questioni trattate.

Sono le campagne sociali di Pubblicità Progresso quelle che raccontano l’emergere delle nuove problematiche che nel corso di più decenni sono state ritenute rilevanti da un’elite influente della società italiana, diffonden-dosi così una nuova parola e un nuovo pensiero comune, quello di stile di vita (Gadotti, 1983).

Questa nuova veste sociale è qualcosa che interessa quelle classi di persone che possono permettersi di aprire gli occhi ad un mondo che fino ad ora non era stato comunicazto abbastanza, andando ad intervenire sul depau-peramento sociale, sulla società benestante, che si ritrova ad essere infe-lice, non gravitando attorno a questioni di importante eticità.

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15 Il messaggio che sottende è quindi questo: non esiste una buona vita in-dividuale se il benessere privato non si incontra qualche volta con quello pubblico, un problema che quindi appartiene a tutti, non solo alle no-profit che si battono per questo.

Lo stesso marchio ci ricorda che la pubblicità sociale deve essere per noi un modo per progredire, per metterci nella posizione tale di poter fare qual-cosa, di cambiare un senso di non appartenenza a questa società che non è più nostra e che invece dovrebbe essere curata e resa speciale da ognuno di noi, un Progresso soprattutto “morale”.

Sono state molteplici le campagne che questo ente ha portato avanti, ri-cordando come esempio quelle sull’AIDS, nata un anno prima di quella del ministero della salute e inquadrando ogni anno il problema nelle sue molteplici sfaccettature e adattando il messaggio a seconda di quello che realmente andava comunicato e trasmesso alla popolazione.

Come detto in precedenza, dal 2005, Pubblicità Progresso è diventata, an-che grazie ad Alberto Contri il centro italiano della comunicazione sociale, che con il tempo, si pensa, potrà adeguarsi alle nuove sfaccettature della comunicazione sociale e istituzionale del paese.

• No Profit

Sappiamo bene quanto sia importante il terzo settore in una società come la nostra, basata sulla democrazia, il collante che tiene insieme queste asso-ciazioni sono le persone stesse che ne supportano gli ideali, una rete basata sulla fiducia, reciprocità e solidarietà.

La loro funzione principale è quella di costruire e rafforzare un’idea di re-sponsabilizzazione nella gente e che rappresenta la base dell’agire solidale sociale.

Sappiamo anche che è molto importante il numero di testi e informazioni che riguardano il sociale, si pensa, ed è piuttosto comune attribuire la nas-cita e l’evoluzione di questo settore soprattutto alla crisi dello stato Sociale e alle sue forme di legittimazione.

Comunque si pensa che oggi il terzo settore si sia trasformato negli ul-timi anni, per il numero sempre crescente di associazioni, portando ad un insieme poco compatto di realtà sociali, una crisi che potrebbe ricercarsi

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“nella scarsa attenzione alla comunicazione e nell’incapacità di impostare strategie corrette”. (Puggelli, Sobrero, 2010).

Questo è il cruccio con cui le no profit devono combattere, la grande fram-mentazione che rende forse difficile la scelta del cittadino per la sua don-azione, associabile anche alle limitate risorse che un associazione pos-siede per poter sviluppare una campagna pubblicitaria adeguata al peso della sua causa, spesso colpa anche dell’associazione che non crede molto nell’investimento pubblicitario, ma che potrebbe comunque cambiare faccia, visto l’uso sempre più copioso di comunicazione non convenzionale e virale e un uso della creatività sicuramente senza troppe barriere, visto che il cliente in questione può anche scioccare tramite il suo linguaggio senza risultare troppo pesante.

Il merito che comunque si può trasmettere è che il no profit raffigura il luogo di riscoperta di nuovi tipi di relazioni umane, contraddistine da un recupero sociale e opponendosi alla crescente visione pratica del ben-essere personale e della visione lineare di uno stile di vita che stimola ad accrescere solo noi stessi.

La comunicazione sociale in questo terzo settore, senza contare i suoi obiettivi principali, che siano essi la sensibilizzazione del pubblico o la rac-colta fondi, cerca di recuperare ed esprimere la vitalità di un tessuto sociale e di una popolazione che lotta per la propira idea di stato o mondo.

“La diffusione delle informazioni mediante gli strumenti della comunicazione di massa (dai mezzi più tradizionali, come la stampa, fino ai più tecnologica-mente avanzati, come l’apertura di un proprio sito internet) va letta come un segnale della volontà delle organizzazioni di essere riconosciute e di operare nello spazio pubblico”, questo è ciò che dice Stefano Martelli a riguardo del

terzo settore, in quanto è vero che la riconoscibilità di una no-profit ultima-mente è direttaultima-mente proporzionale al suo agire nel contesto pubblico e so-prattutto alla sua riconoscibilità da parte dei cittadini, trovando in quel logo, che sia esso una “e” cerchiata o un panda, il simbolo che contraddistingue un valore di partecipazione e lotta nel tessuto sociale internazionale e non. Per poter concludere questa parte, possiamo anche definire quali siano le criticità di questo settore che dovrebbe anche porsi il limite di usare non solo il mezzo mediatico per la raccolta fondi ma anche per delineare il mes-saggio e puntare molto su quello.

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17 Rafforzare l’immagine sociale di questa nazione, andando a puntare pro-prio su alcuni valori principali, ancora troppo poco usati nel nostro paese. Potrebbe essere un modo per aumentare i fondi a disposizione fare una co-municazione allagata di tutte le società no profit, in quanto potrebbe essere un modo per fare piani di comunicazione più mirati e giusti.

“Una collaborazione tra i soggetti significherebbe infatti condivisione di studi, di esperienze e di competenze e porterebbe a sviluppare un maggiore approfondimento nella realizzazione dei messaggi sociali della pubblica am-ministrazione e delle imprese socialemente responsabili, nel rispetto ovvia-mente degli obiettivi di ognuno degli attori coinvolti”. (Bernocchi, 2010)

• Ente Pubblico

Lo stato e quindi l’ente pubblico è sempre stato vicino ai problemi e alle situazioni di ordine sociale del nostro paese, una lunga serie di interventi a partire dalla crisi del colera, a metà dell’800, da cui potremmo dire pre-sero l’avvio una serie di interventi su base sociale che spiegavano le regole igieniche adeguate per poter prevenire tale malattia.

Da questo momento in poi partiranno una serie di campagne ministeriali che saranno poi il simbolo di una corretta “educazione sanitaria” del paese. Sappiamo bene che la pubblicità classica nasce negli anni

dell’industrializzazione e farà la sua entrata nelle vite dei cittadini a par-tire dalla seconda guerra mondiale, ma non sappiamo invece che anche la tutela sociale va di pari passo con l’advertising classico; campagne sociali sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e come detto prima anche sulla preven-zione della saluta pubblica.

Il miglior amico di questo tipo di comunicazione era il classico cartellone, classico ma efficace e soprattutto funzionale, nel trasmettere un messaggio al cittadino.

Il manifesto sociale aveva col tempo sostituito il banditore o comunque ne aiutava l’azione, era appunto il metodo più rapido per poter trasmettere un messaggio e stabilire un contatto con il cittadino, sarà quindi da questo momento in poi il manifesto sarà il mezzo più adottato sia in campo sociale che privato e commerciale.

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di alcol, per avvertire riguardo al proliferarsi della tubercolosi o anche av-vertire sui rischi che si possono correre nei luoghi di lavoro e negli ambi-enti domestici.

Sono molti quindi i manifesti di propaganda e la maggior parte proveniva-no dall’Ente nazionale per la propaganda per la prevenzione degli infortuni (ENPI), la loro mission potrebbe essere sintetizzata dicendo che si preoccu-pavano per la salute del lavoratore, non fregandosene del suo stato sociale e del suo contributo per lo stato, “allontanando così dolore umano e

mante-nendo la sanità e il vigore della stirpe”.

Passando poi da questo primo periodo, ci avviciniamo all’età del fascismo e al conseguente uso del manifesto per le campagne e la propaganda di guerra, uso non molto gradito dal popolo italiano, che vede aumentare un senso di sfiducia verso questo tipo di mezzo e soprattutto al tipo di comu-nicazione promossa, maturando col tempo una consapevolezza dei cit-tadini, che fa da capostipite per una successiva riforma del sociale e della pubblica amministrazione, facendo in modo che sia lo stesso cittadino a decidere delle sorti del paese.

Questo cambiamento nel paese fa si che si rinnovi anche la comunicazi-one istituzionale, adottando quindi un linguaggio che risulti essere più facilmente comprensibile e accessibile a tutti, rendendo più trasparente l’operato dello stato, facendo si che il cittadino possa essere maggiormente informato e partecipe alla vita sociale della collettività.

Concludendo potremmo citare quello che Stefano Rolando, direttore di “Rivista italiana di Comunicazione pubblica” tratta, definendo tre periodi della comunicazione pubblica in Italia, la prima fase, “anagrafica”, carat-terizzata da una maggior consapevolezza della comunicazione sociale, che si affianca all’advertising politico e d’impresa, una seconda fase, definita “comunicazione di servizio”, che parte dall’attuazione della legge n.150, del 7 giugno 2000, che sancisce le attività di informazione della pubblica amministrazione, portando quindi ad un rinnovamento ed una moderniz-zazione del messaggio sociale, più vicino al pensiero del cittadino, fino poi all’ultima fase o “attuale”, in cui pubblico e privato convivono nello stesso mercato, adottando linguaggi comunque simili e che arrivino a toccare il cittadino che senta il piacere di poter condividere un messaggio sociale e il diritto di combattere per questo. (Bernocchi, 2010)

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• Profit

Non c’è da stupirsi se lo scetticismo riguardo alla comunicazione sociale sia andato aumentando negli anni, sono sempre più infatti le istituzioni che de-cidono di applicare questo tipo di messaggio per poter aumentare la notorietà della propria marca, adottando un messaggio sociale, che, legato alla marca le dia la possibilità di associare a quest’ultima una connotazione più altruistica, invece della classica visione volta solo al guadagno.

Ultimamente non siamo più in grado di riconoscere cosa possa venire fuori dalle ONP, da un ente o da un’azienda privata, in quanto il messaggio viene creato dalle stesse agenzie pubblicitarie che fanno creatività per l’azienda. Se non fosse per la firma infatti potremmo tranquillamente scambiarle per messaggi sociali derivanti da istituzioni, ma cosa cambia dalla comunica-zione sociale?Questo tipo di comunicacomunica-zione è volta solo ad incrementare il patrimonio dell’azienda? Sono complesse domande queste, in quanto, pos-siamo sicuramente parlare di “responsabilità sociale d’impresa”, argomento ampliamente trattato e discusso, in quanto sono state date molte definizioni riguardo a quest’ultimo, portando a risposte altamente discordanti ma che delineano due tratti ben diversi e distintivi della RSI (responsabilità sociale d’impresa), in quanto spesso l’unica responsabilità che un’impresa ha, è quella di fare profitto per i propri stakeholder, nel rispetto ovviamente delle leggi, attuando comunque azioni filantropiche e di interesse sociale che dovrebbero comunque essere slegate dall’azione di fare guadagno sfruttando il proprio nome.

Nella seconda ipotesi, definita da Edward Freeman, si intende la RSI come un ottimo modo per poter riposizionare l’impresa in una prospettiva sicura-mente più vicina al cittadino, vedendo il cittadino non solo come il bersaglio della propria attività di marketing legato all’impresa ma bensi come una sorta di collaborazione tra cittadino e impresa.

L’impresa si trova di fatto ad operare come un vero e proprio operatore socia-le, non può sottrarsi a questo dovere, in quanto il cittadino ormai consapevole e informato, vuole anche essere sicuro che nel momento in cui acquisterà quel prodotto, riuscirà quindi ad appagare la sua eticità e responsabilità sociale, quindi oggi più che mai le aziende hanno a che fare con dei “consumAttori”, decretando quindi la fama o il declino del brand che andranno ad aquistare.

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Spesso questo tipo di comunicazione è semplicemente uno specchietto per le allodole, in quanto è noto ma oggi più difficile che la comunicazione sociale, legata ad un marchio, renda quell’azienda ben vista all’occhio del cittadino, anche se, nell’ultimo periodo, sia per il tipo di linguaggio adot-tato, sia grazie ad un maturamento della popolazione, si riesce a veicolare il messaggio in modo appropriato, arrivando fino al destinatario interessato, che si rende conto di quello a cui sta dando il proprio appoggio.

Ciò che caratterizza una comunicazione diretta e mirata è soprattutto la strategia che c’è dietro, in quanto più la strategia è completa, più il messag-gio arriverà sicuramente al destinatario, aumentando di conseguenza in lui la fiducia che quest’ultimo ha rispetto alla marca, per portare un esempio di questo tipo di comunicazione potremmo citare “Dash”, che con la sua campagna sociale Missione bontà “Ospedale amico”, ha dato la possiblità di aiutare un gran numero di persone e bambini ad avere migliori risorse ospedaliere e di conseguenza una vita sicuramente più facile.

Con questo possiamo dire che comunque è vero che il sociale è spesso usa-to da vari setusa-tori e non sempre a scopi solo benefici, ma c’è anche da dire che l’azienda che adotta questo tipo di messaggio, strategicamente fun-zionale, riesce comunque ad avere un doppio guadagno, personale ed allo stesso tempo un guadagno di immagine dato dalla firma che egli appone.

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AIDS oggi.

Sono passati quasi trent’anni dal primo caso conclamato di aids nel nostro paese, precisamente, nel 1982, si notò che alcuni individui precedentemente sani, accusavano sintomi alquanto strani e discontinui, quali diarrea, polmoniti e altri casi di Sarcoma di Kaposi, in età pressochè giovanile, questo proliferare di malattie in questo tipo di individui total-mente sani ha fatto si che si spargesse l’allarme di questo nuovo virus, che era in grado di distruggere completamente il sistema immunitario umano, addentrandosi nell’organismo per via sanguigna e sessuale, cioè con rap-porti sessuali non protetti; Erano questi, purtroppo, i primi casi di Acquired Immuno Deficiency Syndrome (AIDS).

Da quei primi casi si creò una delle epidemie più grandi che si possano pensare, che raggiunse una mortalità talmente alta, il picco più grande nel 1995, da classificare questa malattia come una delle più pericolose del secolo, infatti dall’inizio della malattia si contano, nel mondo, circa 33,3 milioni di infezioni da hiv (rapporto unaids, 2010), di cui oltre 30 milioni residenti nei Paesi in via di sviluppo, 2,6 milioni quelle che hanno con-tratto il virus di recente e 1,8 milioni quelle decedute per malattie correlate all’Aids.

Rispetto al 2001 il tasso di prevalenza globale del virus dell’Hiv nelle persone di 15-49 anni è rimasto stabile (0,8%), ma guardando alle speci-fiche situazioni geograspeci-fiche si registrano aumenti in Medio Oriente e Nord Africa, Africa orientale, Oceania, Europa orientale e Asia centrale e Nord America.

Questa è la situazione della malattia nel mondo, una malattia che continua a colpire, senza arresto e che sembrerebbe arrivata ad una stabilità, in un certo senso, grazie forse alle nuove terapie, restando comunque una delle malattie più pericolose in circolazione, e che anche per colpa di comuni-cazione sbagliata non tenderà mai a cambiare, anzi, a restare stabile nel mondo e nel nostro paese, ovviamente non è più così difficile convivere con questo tipo di infezione, visto il numero sempre più crescente di terapie adottate ma non scordiamoci che è comunque una malattia debilitativa sia a livello personale che sociale, un tipo di malattia che provoca comunque allontanamento sociale da chi ne viene colpito e discriminazioni personali. Questo è il risultato di campagne informative che hanno comunque cer-cato, giustamente, all’inizio dell’epidemia, di andare ad impaurire la gente,

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ma che, con un linguaggio duro, hanno contribuito a lasciare nella gente il ricordo di una malattia che toccava soprattutto omosessuali e tossicodi-pendenti, un dato che è drasticamente cambiato ultimamente, visto che la maggior parte dei nuovi casi di aids si riferiscono soprattutto a rapporti a rischio tra persone eterosessuali.

Una malattia, quindi, che ha mutato non solo il suo aspetto negli anni, ma che ha comunque cambiato anche il suo bersaglio con il tempo, una malat-tia che oggi sembra non fare più paura, ma che dovrebbe essere tenuta strettamente sotto controllo, adottando stili di vita meno promiscui e co-munque sempre l’uso di protezioni.

Tornando poi alla situazione italiana si stima (dati ISS, 2009), che in Italia si contino 150 mila persone infette da hiv e 22 mila persone affette da aids, rispetto a venti anni fa, è diminuito il numero di persone infettate (circa 4 mila all’anno), ma grazie ai progressi delle nuove terapie antiretrovirali, è aumentato quello delle persone sieropositive viventi. La principale via di trasmissione sono i contatti sessuali non protetti che, soprattutto, dalle persone in età matura non vengono sufficientemente percepiti come a rischio.

La comunicazione purtroppo non è andata di pari passo con la malattia, perchè appunto la percezione del problema è cambiata col tempo, limi-tando la comunicazione sociale ad un giorno solo, il 1 dicembre, giornata mondiale della lotta all’aids.

Il problema però è che la malattia continua ad essere presente e

l’abbassamento costante dell’attenzione ha provocato un costante prolif-erarsi della malattia tra giovani e non più molto giovani, quest’ultimi meno informati probabilmente e sicuramente sessualmente più attivi, visto l’uso di farmaci che aiutano la prestazione sessuale. Spesso ciò che fa calare l’attenzione è anche causato da disinformazione, ultimamente abbiamo anche sentito parlare papa Benedetto XVI, che sembrava aver cambiato opinione sull’uso del preservativo ma ci siamo comunque accorti che ciò a cui si stava riferendo era semplicemente che solo in alcuni casi si può adot-tare questo strumento di prevenzione, come per esempio nel mondo della prostituzione, ovviamente questo deve essere l’unico motivo per usare il preservativo, successivamente, in qualche giorno la smentita dalla santa sede che afferma ciò che il papa ha detto ma ammonisce che comunque

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23 il preservativo non è sicuramente il modo migliore per poter bloccare la malattia, affermazione particolare, visto che forse uno dei metodi migliori per evitare la propagazione della malattia è appunto questo, oltre ov-viamente ad una maggiore attenzione nei rapporti sessuali e ancora più importante il test dell’aids, unico strumento possibile per poter arrestare la diffusione della malattia, anche perchè sappiamo che ultimamente la mag-gior parte dei sieropositivi non sa di essere infetta e trasmette la malattia fino alla fase di malattia conclamata e quindi di aids.

Questa disinformazione legata poi alle notizie che riportano degli sviluppi di un vaccino in grado di bloccare la malattia, fanno si che se ne senta parlare sempre di meno, anche se ultimamente la ricerca sta facendo passi da gigante, sappiamo che ultimamente si stanno cercando e testando nuove strade per la creazione di un vaccino in grado di bloccare la malat-tia, questo vaccino, che oramai dovrebbe entrare in faseIII, cioè l’ultima fase, quella in cui il vaccino sarebbe pronto per la sua commercializzazione e l’uscita sul mercato, tutto ciò per mano del gruppo di ricercatori che fa capo a Barbara Ensoli, direttore del centro nazionale AIDS di Roma, questa ricerca condurrebbe ad una soluzione adottando un trattamento con una proteina, chiamata Tat, la quale, a quanto pare dai risultati ottenuti su di un campione di 84 pazienti sieropositivi che si stanno già curando con terapie antiretrovirali, riuscirebbe a diminuire significativamente gli effetti dan-nosi provocati dall’infezione da hiv, In particolare, i pazienti in trattamento HAART (terapia antiretrovirale) che sono stati vaccinati con la proteina Tat presentano un significativo aumento dei linfociti T CD4+ che è superiore a quello del gruppo non vaccinato di riferimento trattato con la sola terapia HAART, oltre all’aumento di linfociti t, aumenterebbero anche i linfociti b e quindi la risposta immunologica del paziente in generale.

Si tratta quindi di un grande passo avanti nella ricerca per un vaccino che possa essere associato a terapie antiretrovirali e forse capace di prevenire la malattia e non solo di curarne gli effetti dannosi nel tempo.

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Un problema ancora attuale.

“Quattromila nuove infezioni in un

anno, vale a dire che ogni giorno 11 persone si contagiano, quasi una ogni due ore. E sono 170-180 mila gli italiani sieropositivi”, questo è ciò che

riporta un articolo uscito da poco tempo su Sanità News, ciò ad indicare che la malattia non è assolutamente scomparsa, anzi, è più nascosta che mai, poichè continua ad infettare ad una media di due persone ogni ora, nascondendosi comunque dietro ad una errata comunicazione che indica nuovi sviluppi e terapie miracolose, notizie che rischiano cosi di far ab-bassare la guardia.

Questa fotografia sull’aids ci viene raccontata da Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell’Istituto superiore di sanità, che conti-nua dicendo che: “Nel nostro Paese, 40 mila persone sono colpite dall’Aids

e un sieropositivo su 4 non sa di esserlo. Inoltre, i nuovi contagi riguardano sempre di più gli eterosessuali”, continua poi, “Nel 2011 l’Aids compie trent’anni e continua a un essere un’emergenza importante ma la nuova sfida è l’eradicazione, ovvero la cura della malattia. E non è un traguardo impossibile, grazie ai farmaci più potenti e meglio tollerati, a iniziare dagli inibitori della proteasi, passando per quelli dell’integrasi per arrivare agli inibitori dell’ingresso del virus nella cellula, strategie con cui possiamo pen-sare di parlare presto di cura”.

Eppure, sottolinea Vella, “la società continua ad abbassare la guardia,

sem-pre più italiani scoprono di essere sieropositivi quando è già molto tardi, a volte quando sono già malati di Aids, l’incidenza delle nuove infezioni, con-clude il virologo, è al 7%, un tasso vicino a quello che si registra in Africa”.

Il vero problema oggi è che si pensa che la malattia non esista quasi più, che l’emergenza oramai è passata, o almeno che di AIDS oggi non si muore più, questo può anche essere vero, la pericolosità della malat-tia è diminuita ma resta comunque il problema sociale e il fatto che è comunque una malattia degenarativa che andrebbe trattata a vita con terapie mirate e debilitanti per il corpo.

Ciò a cui stiamo assistendo però è che il numero di infezioni è rimasto stabile oramai da qualche anno, stabilizzandosi su un numero di 1200 nuovi casi all’anno, e cambiando la tipologia di persone colpite, per la maggior parte eterosessuali, un problema quindi che sembra essere piuttosto attuale e oramai non più radicato in una certa fascia d’età e in

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25 un certo contesto sociale ma bensì sfociando in un numero e un tipo di persone sempre più comune, aumentando per questo anche il numero di persone viventi che convive con la malattia.

Le campagne che stanno venendo fuori ultimamente non sono scioc-canti, anzi, tendono ad ammonire le persone sul problema attuale, cioè di non abbassare la guardia sulla malattia e di intraprendere il test HIV, perchè probabilmente il mezzo di trasporto più numeroso sono appunto le persone che non sanno di aver contratto la malattia e continuano ad essere indifferenti a questa non facendo il test trasmettendola ad altre persone, un test che dovrebbe essere fatto in automatico oramai, poichè se la malattia si è stabilizzata vuol dire che quest’ultima è da trattarsi come una influenza o un’altra malattia comune, eliminando quindi il pregiudizio che è venuto a crearsi con il tempo, dovuto probabilmente ad una comunicazione che nei primi anni ‘90 aveva come target un gruppo differente di persone, sicuramente meno amplio di oggi.

Probabilmente quello che colpisce più di questa malattia è il fatto che la maggior parte dei casi di aids mondiali si trovano purtroppo in Africa, secondo l’ultimo rapporto redatto da UNAIDS (www.unaids.org), circa 22,5 milioni di persone sudafricane convivono con la malattia, su un totale di 33,3 milioni di persone infette nel mondo, un quadro comunque ancora molto amplio ma che, secondo la vision di UNAIDS, entro il 2015 dovrebbe o almeno vorrebbe che scomparisse del tutto.

Una vision positivista e un lavoro incredibile quello che unaids sta met-tendo in pratica per far cambiare un quadro che sembra non cambiare da qualche anno a questa parte.

Quasi un terzo di tutte le nuove infezioni da HIV e le morti per AIDS avvi-ene in Africa e precisamente nella parte Sub-Sahariana. Nei paesi africani più colpiti il numero più elevato di nuove infezioni da HIV si trova tra le persone giovani, le donne e le ragazze. Poiché le persone giovani costi-tuiscono il motore economico di questi paesi, l’economia di queste nazio-ni può risultare fortemente indebolita e l’uguaglianza sociale gravemente compromessa a causa della diffusione della malattia.

Per questo motivo si sta cercando di sviluppare un vaccino, che risul-terebbe il trattamento più efficace per poter debellare il problema in questa regione del mondo.

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Tornando poi a parlare dell’Italia, dobbiamo ribadire il concetto che l’aids non è più la malattia dei tossicodipendenti e degli omosessuali, come ampliamente detto in precedenza, è una malattia che si trasmette tra le lenzuola, senza fare distinzioni e che soprattutto colpisce il nostro paese in maniera silenziosa e pericolosa, approfittando del silenzio che si è generato.

Anche se non sono disponibili dati precisi, i numeri ci dicono comunque che i sieropositivi stanno crescendo in Italia, che siano attorno a 4 mila le nuove infezioni da hiv ogni anno, senza riduzione rispetto al passato, mentre sono sempre meno i casi di aids conclamato, cioè le persone che soffrono di aids, questo sicuramente dovuto all’efficacia delle cure che si usano e che permettono di bloccare o almeno rallentare di molto la repli-cazione del virus all’inizio della sua crescita nell’organismo.

Restiamo comunque fermi sulla posizione più importante, che la preven-zione è fondamentale, è molto più facile sicuramente indossare un pre-servativo che convivere con una malattia di questo tipo per tutta la vita. Sembra strano che oggi si possa dire questo ma sappiamo che ultimam-ente, secondo le stime, i più colpiti dalla malattia ai giorni nostri siano soprattutto i 40enni e più donne che uomini, probabilmente perchè non vedono più il rischio della malattia e comunque perchè ritengono di non aver avuto comportamenti a rischio e non fanno il test.

Dietro a tutto questo sicuramente fattori di tipo demografico, comporta-mentale e psico-sociale, questo fenomeno definito “sommerso”, e questo fa paura, perchè “il 60% dei sieropositivi è in trattamento, un’altra larga parte si sottopone a controlli periodici, ma c’è un numero considerevole di persone che ignora di aver contratto il virus. In un anno le persone infette sono 4mila e nel 30% dei casi si scopre di essere affetti dall’hiv quando l’infezione è in stato avanzato. Tutte stime, sia chiaro, perchè la sorveglianza è incompleta, alcune regioni non sono attrezzate, i dati sono incompleti, molto spesso non pubblicati”.

Oggi, probabilmente l’infezione da HIV in Italia costituisce uno dei prob-lemi tra i più grandi e comlessi che ci siano, parlare di Aids e di malattia, spiegando bene come siano cambiate le cose negli anni, costituisce si-curamente il modo migliore di togliere pregiudizi e idee oramai radicate nel profondo delle persone, diversi studi ci aiutano a capire come è

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cam-27 biato il target negli anni, dall’inizio della malattia, anni ‘80 e ‘90, in cui la fonte principale di contagio era dovuta all’uso di siringhe usate (27,4%), oggi si conta che il maggior metodo di trasmissione sia quello sessuale, che sia esso eterosessuale (43,7%) che omo/bisessuale (22%) e come detto in precedenza, se prima era difficile gestire la malattia, oggi è più facile, grazie alle numerose ed efficaci terapie antiretrovirali (Haart, high aggressive antiretroviral therapy) e di conseguenza anche il numero di decessi è diminuito e si stima che il numero di persone viventi con aids siano 120.000, numero che però tende ad aumentare anche di 4.000 nu-ove infezioni l’anno.

SINTESI DEI DATI EPIDEMIOLOGICI DELL’HIV/AIDS IN ITALIA 2010

A cura del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità

Per capire l’andamento della malattia oggi è stata istituita e funziona ogni anno la sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, che riporta i dati relativi alle persone che risultano positive al test HIV per la prima volta, è stata attivata fino ad oggi in 16 regioni/province italiane che rap-presentano il 72,3% della popolazione residente. I dati riportati da questo sistema di sorveglianza indicano che nel 2009 sono stati diagnosticati 4,5 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 residenti italiani e 22,2 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 stranieri residenti. Nel 2009 quasi una per-sona su tre diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. L’incidenza è maggiore al centro-nord rispetto al sud-isole. Negli ultimi 10 anni si osserva, nelle aree per le quali il dato è disponibile, una stabilizzazi-one delle segnalazioni. Le persstabilizzazi-one che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2009 hanno un’età mediana di 39 anni per i maschi e di 35 anni per le femmine.

Aumentano i casi attribuibili a contatti eterosessuali ed omosessuali, che nel 2009 costituiscono complessivamente l’80,1% di tutte le segnalazioni. Un terzo delle persone con una nuova diagnosi di HIV viene diagnosticato in fase avanzata di malattia, con una rilevante compromissione del sistema immunitario (numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/mm3).

La sorveglianza dell’AIDS, che riporta i dati delle persone sieropositive con una diagnosi di AIDS conclamato, ha una copertura nazionale. Dall’inizio

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dell’epidemia nel 1982 ad oggi sono stati segnalati circa 63.000 casi di AIDS, di cui quasi 40.000 deceduti. I nuovi casi di AIDS per anno continuano a diminuire principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali com-binate (introdotte nel nostro Paese nel 1996). Tali terapie prolungano la sopravvivenza e riducono la mortalità delle persone sieropositive, compor-tando un aumento progressivo delle persone viventi con AIDS.

Le caratteristiche delle persone con AIDS sono cambiate negli ultimi 10 anni: sono diminuiti i casi attribuibili a uso iniettivo di droghe mentre sono aumentati i casi attribuibili a contatto sessuale (sia eterosessuale che omosessuale). Nel 2009, quasi 60% dei nuovi casi di AIDS ha scoperto di essere sieropositivo molto tardi, in concomitanza con la diagnosi di AIDS; questa proporzione è aumentata progressivamente negli ultimi 15 anni. Come conseguenza di queste diagnosi tardive, ben due terzi delle persone diagnosticate con AIDS dal 1996 ad oggi non ha usufruito dei benefici delle terapie antiretrovirali prima di tale diagnosi.

Le stime effettuate sulla base dei dati disponibili indicano che in Italia sono attualmente presenti tra 143.000 e 165.000 persone HIV positive viventi, di cui più di 22.000 in AIDS. Un sieropositivo su quattro non sa di essere infetto. Rispetto a venti anni fa, oggi si infetta un minor numero di persone (circa 4.000 all’anno), ma è molto più elevato il numero dei sieropositivi viventi per effetto delle maggiore sopravvivenza legata alle terapie più effi-caci. La principale via di trasmissione è rappresentata dai contatti sessuali non protetti, che tuttavia non vengono sufficientemente percepiti come a rischio, in particolare dalle persone di età matura.

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PREVENZIONE E DISINFORMAZIONE

Non possiamo quindi non parlare di prevenzione, dopo gli ultimi fatti a cui stiamo assistendo tramite giornali e televisione, che indicherebbero, citando le parole della Santa Chiesa che “Vi possono essere singoli casi

giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”, ma che “Tut-tavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv”,

dobbiamo sottolineare il fatto che il preservativo è l’unico modo per proteggersi durante un rapporto sessuale, oppure, se si vuole, l’astinenza a vita.

Quindi il preservativo va usato dall’inizio del rapporto, va applicato in modo adeguato e ovviamente non deve essere usato se danneggiato o rovinato, ma la prevenzione di questo tipo dovrebbe esserci stata inseg-nata già da molto tempo, quello su cui la comunicazione sta cercando di combattere è, purtroppo, la grande disinformazione e l’alone di pregi-udizio che si è venuto a creare attorno a questa malattia, per questo oggi si punta a far capire alla popolazione che fare il test dell’HIV non è qual-cosa che deve preoccupare ma anzi, è un modo per poterci proteggere e proteggere soprattutto chi ci sta vicino.

L’AIDS non è una malattia che si trasmette con un bacio o tramite una stretta di mano, ma tramite rapporti sessuali non protetti o tramite il contatto DIRETTO con sangue infetto. Non sicuramente condividendo lo stesso locale o la stessa stanza.

Dobbiamo quindi riuscire a capire prima di tutto noi stessi e che se usi-amo il preservativo lo facciusi-amo per fare un doppio regalo, a noi e a chi ci sta vicino.

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Le associazioni.

Prima di cominciare a parlare delle diverse associazi-oni, sia esse italiane e non che combattono da anni contro questa feroce malattia, vorrei sottolineare quale sia il simbolo che da anni rappresenta questa battaglia, il fiocco rosso, usato ultimamente sempre di meno ma comunque a primo sguardo riconducibile a questa battaglia, il suo in-gresso lo fede nel 1991, durante i Tony Award, e da quel momento in poi riconosciuto mondialmente come simbolo comune di speranza e attac-camento alle persone che purtroppo soffrono di questa malattia e che nel suo colore afferma che:

“Il Nastro Rosso è il simbolo mondiale della solidarietà agli HIV-positivi e ai malati di AIDS e unisce le persone nella comune lotta contro questa malat-tia. Il Nastro Rosso è...

Rosso, come l’amore, per essere simbolo di passione e tolleranza verso chi è colpito.

Rosso, come il sangue, per rappresentare il dolore causato dalla morte di tante persone per l’AIDS.

Rosso come la rabbia per il come siamo indifesi nell’affrontare una malattia per la quale non c’è ancora possibilità di cura.

Rosso come segno di avvertimento di non ignorare uno dei più grandi prob-lemi del nostro tempo.”

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Lila.

Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, è un’associazione senza scopo di lucro nata nel 1987 che agisce sull’intero territorio nazionale at-traverso le sue sedi locali. È costituita da una federazione di associazioni e gruppi di volontariato composti da persone sieropositive e non, volon-tari e professionisti.

È organizzata attraverso una sede nazionale, con aree di servizio finaliz-zate alla prevenzione, alle terapie, alla riduzione del danno, alla prosti-tuzione, al carcere, alla difesa dei diritti.

La sede nazionale opera per uno sviluppo delle politiche sociosanitarie e per la crescita delle sedi locali che agiscono a livello regionale, provin-ciale e cittadino. LILA collabora con altre associazioni non governative italiane ed europee, e con le principali istituzioni nazionali ed inter-nazionali. La sua mission è quella di promuovere e tutelare il diritto alla salute, affermare principi e relazioni di solidarietà, lottare contro ogni forma di violazione dei diritti umani, civili e di cittadinanza delle persone sieropositive o con Aids e delle comunità più colpite dall’infezione.

Promuovere il protagonismo, la diretta responsabilità e la piena parte-cipazione alla vita sociale e civile delle persone HIV sieropositive e con AIDS, ispirandosi anche ai “Principi di Denver”. Un vero e proprio mani-festo scritto a Denver (Colorado) nel 1983 dagli attivisti americani riuniti ad un incontro nazionale sponsorizzato dal Lesbian and Gay Health Edu-cation Foundation.

Proporre politiche culturali, sociali, preventive e sanitarie intorno alle tematiche dell’infezione del virus HIV, capaci di suscitare risposte con-crete al superamento delle diverse problematiche inerenti all’AIDS.

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Anlaids.

ANLAIDS Associazione Nazionale per la Lotta contro l’AIDS, sorta nel 1985, riconosciuta Ente Morale nel 1988, dal 1998 e’ onlus (or-ganizzazione non lucrativa di utilita’ sociale).

ANLAIDS promuove studi e ricerche sull’AIDS attraverso bandi per borse di studio, dottorati di ricerca e premi scientifici; svolge campagne di pre-venzione e di educazione alla salute con la pubblicazione e la diffusione di materiale informativo e attraverso conferenze, dibattiti ed interventi mirati, sia nelle scuole che in luoghi di aggregazione giovanile; organizza corsi di formazione e di aggiornamento per gli operatori socio-sanitari e per i volontari; sostiene l’attivazione e le attivita’ di case-alloggio per persone con AIDS.

ANLAIDS collabora con il Servizio Sanitario Nazionale, l’Istituto Superiore di sanita’, le Universita’ e gli Istituti di Ricerca, con Enti ed Associazioni di Volontariato, attraversi progetti ed interventi mirati; dal 1986 organizza annualmente il Convegno “AIDS e Sindromi Correlate” sugli aspetti clinici, etici e sociali, attiva servizi informativi, di counseling telefonico, di as-sistenza e consulenza psicologica, legale, sociale e medica.

Svolge attività di cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni del terzo mondo.

L’Anlaids persegue le finalita’ statutarie mediante le quote versate dai propri soci, i contributi offerti liberamente da cittadini, i fondi raccolti at-traverso le sottoscrizioni a campagne pubbliche, quali Bonsai Aid AIDS.

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ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI:

UNAIDS

Una delle associazioni mondiali più grandi sulla lotta all’aids, comprende un programma molto dettagliato e vision chiare, sicuramente il pnto di riferimento per chi volesse sapere cosa succede a livello internazionale sul tema della malattia.

Ogni anni pubblica un report molto dettagliato e ben organizzato sulla situazione mondiale, con dati aggiornati e ben precisi.

WHO/OMS

Organizzazione Mondiale della Sanità, si occupa della lotta all’aids a liv-ello mondiale, coordina e connette le principali ONG e le agenzie operanti in questo specifico settore, sicuramente una delle associazioni più grandi a livello mondiale, che si occupa comunque di sanità in generale ma con un focus speciale riguardo ai problemi legati alle infezioni da HIV.

www.unaids.org

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ENTI NAZIONALI:

ISS

Istituto Superiore di Sanità, qui si possono trovare informazioni e dati sull’andamento epidemiologico della malattia e capire a che punto sia la ricerca sul vaccino Tat, sperimentazione e ricerca a cura di Barbara Ensoli.

MINISTERO DELLA SALUTE

Si occupa delle funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del Sistema sanitario nazionale, di sanità veterinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza degli alimenti, coordina poi le campagne a livello nazionale su temi di salute pubblica, tra questi le campagne sociali sul tema dell’aids.

www.iss.it/aids

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Dati sull’AIDS.

I dati che stiamo per mostrare riguardano la situazi-one Italiana in particolare e la situazisituazi-one mondiale sul tema dell’aids, sono stati aggiornati al 2009, con ritardo di correzione e riguardano l’andamento della malattia durante gli anni, dal 1982, anno del primo caso conclamato di aids, fino ai giorni nostri.

Dai dati, pubblicati dall’ Istituto Superiore di Sanità (www.iss.it/aids), è possibile notare come siano cambiati i numeri con gli anni, soprattutto alcune caratteristiche ci arrivano subito all’occhio, che l’età media di con-tagio dalla malattia si è alzato notevolmente, cambiamento dovuto proba-bilmente anche dal cambiamento del tipo di comunicazione che è stato fatto negli anni e anche dall’abbassamento costante della guardia, poichè sembrerebbe oramai cessata la paura per questa malattia.

Altro dato molto importante è quello che riguarda le modalità di trasmis-sione del virus, poichè adesso non si parla più della “peste dei gay” ma bensì di una malattia che indistintamente colpisce eterosessuali e omo/ bisessuali quasi allo stesso modo, più eterosessuali probabilmente, e con un’incidenza soprattutto sugli uomini.

Cambiano anche le cifre che riguardano la trasmissione per via di uso di siringhe usate, questo dovuto sicuramente al cambio di droghe usate e al loro uso per via non-endovenosa, quello che questi dati ci stanno rac-contando quindi è che la malattia, purtroppo, è cambiata con gli anni, ha seguito mode e tendenze adattandosi comunque al contesto in cui si tro-vava, la sua corsa è stata comunque inarrestabile nel tempo e ha colpito negli ultimi anni in modo costante.

Sappiamo anche che la mortalità, grazie alle nuove tecniche e ricerche scientifiche si è abbassata notevolmente, questo dato sicuramente ha un doppio risvolto, visto che fortunatamente la vita media di un malato di aids si è alzata notevolmente ma ha comunque portato ad un abbassa-mento del livello di guardia della gente.

Se dovessimo invece parlare del contesto mondiale, il primo dato sensi-bile che ci viene fornito è che sempre più abitanti dell’Africa sud-sahari-ana si stanno ammalando, trasmettendo la malattia sia attraverso contatti sessuali non protetti e modo sensibile anche tramite la trasmissione verticale madre-figlio, altro grande problema che sta trascinando dietro questa malattia.

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Cercheremo quindi di trattare questi dati nel miglior modo possibile, andando ad analizzare cause e conseguenze dell’incostante andamento di questa malattia, andando a delineare un confine che ci servirà poi in se-guito per tracciare una linea da seguire nella stesura del brief progettuale e quindi nella campagna creativa che andremo ad illustrare.

Evoluzione delle modalità di trasmissione

Come si può notare dall’andamento nel tempo delle modalità di trasmis-sione e come detto anche in precedenza, sono diminuiti i casi di contagio tramite l’uso di droghe endovenose ed è aumentato in maniera costante il numero di trasmissione dovuta al contatto eterosessuale e omo/bisessuale. Nel grafico n.2, invece, è possibile capire l’andamento dei casi conclamati di aids nel tempo, dopo un picco incredibile di casi che si registrò a cavallo tra il 1994 e il 1995, vera e propria epidemia, il numero di casi è andato decre-scendo, anche grazie alla comunicazione molto forte e incisiva e soprattut-to all’introduzione di terapie farmacologiche che riuscivano a ritardare lo sviluppo della malattia, terapie che hanno abbassato notevolmente il tasso di mortalità dovuto all’infezione da Hiv. (Grafico n.3)

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Uso iniettivo di droghe Contatti omo/bisessuali Contatti eterosessuali altro

(36)

37

Casi di AIDS per anno di diagnosi e corretti per ritardo di notifica

Numero cumulativo delle persone viventi con AIDS, per anno.

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500 5000 5500 6000 1985 1986 1984 1983 1982 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009* n.casi *dati a Nov. 2009 Casi notificati per anno di diagnosi

Casi corretti per ritardo di notifica Grafico n.2 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009* n.casi 5000 7500 12805 14123 14593 13773 14067 15135 16030 16810 17603 18392 1906319676 2027220856 21827 22302 10000 12500 15000 17500 20000 22500 25000 *dati a Nov. 2009 Grafico n.3

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38

Nuove diagnosi da infezione da HIV nel 2008

Anche da questo studio condotto sulle regioni italiane in cui era attivo il sistema di sorveglianza per i nuovi casi di infezione da HIV è possibile comunque capire che il numero non è per niente basso, anche se è diminuito in maniera consistente, abbiamo una media di 6,7 casi per 100.000 resi-denti. Grafico n.4 9,5 7,3 5,1 6,7 2,9 8,7 2,6 4,7 4,5 7,2

*Nelle regioni in cui è attivo un sistema di sorveglianza

delle nuove diagnosi di infezione da HIV.

6,7 casi per 100.000 residenti*

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39

Età mediana delle nuove diagnosi di infezione da HIV

(Piemonte, Liguria, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Puglia, Bolzano, Trento, Sassari e Catania)

In questo caso possiamo identificare l’aumento dell’età dei nuovi casi di infezione da HIV, probabilmente perchè in questo caso il problema è stato dimenticato con il tempo e la comunicazione ha taciuto con il tempo. Mentre nel graifco a torte qui sotto sono riportati i casi che stanno adot-tando terapie antiretrovirali e quale tipo di terapia stanno seguendo.

Assunzione di terapie antiretroviraliprima della diagnosi di AIDS,

e tipo di terapia effettuata

Grafico n.5 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Età Maschi Femmine Anno di diagnosi 38 34 No 63,2% Si 33,6% Tripla Doppia Mono Non nota 4779 551 139 468 Non noto 3,2% Grafico n.6

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40

Ciò che possiamo quindi riscontrare dall’elenco dei dati che ci vengono sottoposti è sicuramente che la malattia ha mutato con il tempo, diverso il bersaglio, visto che non sono più i giovani ad essere più a rischio ma bensì uomini e donne di 35/40 anni, e che soprattutto la malattia da qualche anno a questa parte ha cominciato a stabilizzarsi, la cronicità in qualche modo è un segnale pericoloso, quando invece per la sua prevenzione bas-terebbe poco, usare il preservativo e non avere rapporti promiscui con più partner e in questo caso almeno usare le precauzioni adeguate.

Ci stiamo focalizzando molto sul problema della sessualità ma sappiamo che comunque non è l’unico mezzo di trasmissione, sappiamo anche che la trasmissione da madre a figlio è un altro problema che sussiste, probabil-mente più in Africa, ma comunque c’è e sta uccidendo.

Sarà quindi dai dati che abbiamo descritto che scriveremo un brief creativo, che analizzi la situazione della malattia in Italia, per poter dare una rispos-ta tecnologica e virale alla comunicazione sociale contro quesrispos-ta malattia.

Riferimenti

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