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UTE 2 - Sant'Agostino e la scoperta della libert: la libert in Platone

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(1)

Sant’Agostino e la scoperta

della libertà

(2)

L’importanza del problema etico in

Platone

• Platone è ricordato come il primo grande

metafisico della storia. Tuttavia la sua riflessione

sui principi primi della realtà fu sempre

accompagnata da una fortissima passione

politica. Scopo del suo filosofare, anzi della

filosofia in generale doveva essere una

modificazione dell’organizzazione della polis,

cioè della convivenza civile nella città,

l’organismo politico di riferimento per un greco

del V-IV secolo.

(3)

Non un’ingegneria istituzionale ma un cambio del modo di condurre la vita da parte delle persone

• Platone si interessava di politica certo per

modificare le strutture istituzionali (il potere, la

sua organizzazione, le istituzioni e gli uomini che

governavano), ma tale cambiamento doveva

essere il risultato e al tempo stesso la molla per

un nuovo modo di vivere, per un nuovo stile di

vita del singolo e della comunità. Tale stile

doveva essere improntato alla visione e alla

(4)

Etica a partire dalla verità

• Per modificare in meglio la vita concreta dei

cittadini bisognava anzitutto individuare i principi

primi di tutta la realtà. Bisognava insomma

SAPERE che cosa era l’essere in generale,

l’essere, appunto, nella sua verità e come

conoscere questa verità. In seguito bisognava

stabilire, data la verità delle cose, come era

GIUSTO comportarsi per conformare la propria

vita alla verità, poi si sarebbe potuto stabilire

quella forma di governo che meglio avrebbe

garantito una vita secondo giustizia per tutti gli

uomini.

(5)

Etica tra metafisica e politica

• Dunque l’etica, cioè il sapere circa i

comportamenti umani e la loro giustizia

diveniva l’elemento necessario a

raccordare e a rendere comunicanti la

metafisica (che indagava l’essere nella

sua assoluta verità) e la politica (che si

occupava del metodo migliore per gestire

la vita della polis).

(6)

La domanda etica di partenza

• Trattando del problema etico, Platone

anzitutto si domanda che cosa sia la virtù.

La parola italiana virtù è traduzione dal

greco “areté”, che nel linguaggio comune

significava “eccellenza”. Dunque virtù di

qualcosa è “la sua proprietà caratteristica,

l’eccellenza dell’azione di cui l’agente è

capace, sia per natura, sia per istruzione,

sia a motivo di un disegno premeditato”

(7)

L’areté delle cose

• Dunque è possibile stabilire quale sia

l’eccellenza di tutto ciò che ci circonda e anche

di singole parti di noi: la virtù di un martello

(potremmo dire: la sua solidità e pesantezza) o

la virtù del sole (il suo splendore e gli effetti

benefici che ha sulla vita), oppure la virtù di

occhi e orecchi (vedere e sentire bene) o

dell’architetto (il sapere costruire abitazioni belle

e funzionali) o del giudice (dice Platone: capire

se ciò che dice l’oratore-avvocato è giusto) o

ancora dell’oratore-avvocato (dire la verità).

(8)

Prima domanda: qual è l’essenza

della virtù?

• Data la pluralità delle virtù, visto che ogni cosa ha la sua virtù, alla fine la parola avrebbe una serie di

significati diversi e talora contraddittori se non se ne trovasse l’essenza, e in particolare l’essenza per

quell’essere che a Platone interessa indagare, cioè l’uomo. Infatti se si vuole costruire una società giusta, come Platone vuole fare, si deve individuare

l’eccellenza umana e sapere come tale eccellenza possa essere dimostrata vera cioè conforme con la

verità assoluta. Dunque a fronte di una pluralità di virtù ci si domanda anzitutto quale sia l’ESSENZA della

(9)

La risposta del Fedone (dialogo

della maturità)

• Chi è l’uomo? E’ colui che a differenza di tutti gli altri

esseri ha un pensiero e una ragione. Questa è dunque la sua eccellenza. Il pensiero è l’anima dell’uomo e l’anima è ciò che gli consente di sapere quale sia la verità

assoluta, il bene sommo, l’essere nel suo significato ultimo e totale. Può allora l’uomo vivere secondo i

desideri e le inclinazioni del corpo? NO; al contrario deve vivere secondo le indicazioni della RAGIONE. Tutto ciò che orienta le nostre azioni ed è fondato su qualcos’altro rispetto al pensiero è illogico, contraddittorio, falso.

Bisogna dunque avere cura della propria anima

(anche esercitandosi a morire al proprio corpo): questa è l’essenza della virtù umana.

(10)

La conferma del Teeteto (dialogo che si

situa alla soglia della vecchiaia)

• La virtù è essenzialmente nel pensiero e

nel sapere che il pensiero consente di

possedere. Mediante il pensiero si sa che

cosa è giusto e santo e buono, dunque il

pensiero è condizione per ottenere tutto

ciò che è virtuoso. Quindi la virtù ha per

Platone, in accordo totale con il suo

maestro Socrate, un carattere

intellettualistico.

(11)

La seconda domanda: la virtù è

acquisibile?

• Rispondendo a tale interrogativo che, potremmo dire, riguarda il buon uso del pensiero, Platone distingue anzitutto due tipi di virtù (Fedone, Teeteto),

• quella intesa dai più, l’essere buoni e virtuosi secondo la mentalità comune

• e quella stabilita per mezzo della filosofia.

• La prima è conformismo sociale che si ottiene tramite il semplice esercizio e l’addestramento meccanico a

seguire le abitudini della comunità in cui si è inseriti

• La seconda si ottiene tramite la dialettica e la filosofia ed è fondata sulla verità dell’uomo e del mondo.

(12)

Si acquisisce la virtù in senso

filosofico?

• La virtù in senso filosofico richiede, secondo quanto sostenuto nella Repubblica una certa predisposizione naturale che comporta negli uomini e nei giovani

soprattutto:

• Amore per la verità e avversione per la falsità

• Disprezzo delle soddisfazioni solo sensibili e dei beni materiali che giunge fino al disprezzo della vita

• Orrore per l’ingiustizia

• Una certa facilità nell’apprendimento

• Una certa capacità di ritenzione mnemonica

Queste sono doti che vanno valorizzate attraverso la pratica della filosofia

(13)

L’educazione

• L’educazione alla filosofia attraverso l’insegnamento

della dialettica come arte della distinzione e della sintesi è l’elemento fondamentale che trasforma una persona ben disposta in colui che sa contemplare la verità di quel mondo perfetto dell’Essere e delle idee che è oggetto

privilegiato del pensiero. Affinché ciò si realizzi è necessario insistere sull’amore che è la passione dell’educatore filosofo per il Bene, passione che

trasmettendosi, genera nell’educato un effetto diremmo di trascinamento verso la filosofia e verso la virtù che ne discende.

(14)

Terza domanda: la virtù è unica o

molteplice?

“Da un lato, definendo, come ha fatto,

l’essenza della virtù, Platone sembra

indicare che questa è unica, dall’altro il suo

linguaggio ci forza ad ammettere una

pluralità di virtù” (L. Robin, Platone,

Cisalpino, Milano, 1988

2

, p. 183), cui

peraltro egli stesso ha dedicato diversi

dialoghi, per es. il coraggio nel Lachete, la

veracità nell’Ippia minore, la saggezza

(15)

La virtù unica e le virtù

• Negli stessi dialoghi sopra citati Platone sostiene però che ci deve essere una unità delle virtù, altrimenti lo stesso concetto di virtù sarebbe dissolto come accade nella sofistica, dove virtù viene a significare ciò che di volta in volta è assunto, apoditticamente o a causa di diversi interessi in gioco, come vero, ma che è

reciprocamente contraddittorio. Se virtù adesso significa pazienza e dopo, perché è cambiata la situazione, vuol dire impeto; se è virtuoso colui che è coraggioso, ma lo può essere, a seconda delle circostanze anche colui che è prudente; se lo è chi è prodigo, ma lo può essere

anche l’avaro risparmiatore; se è così allora virtù significa tutto e il suo contrario.

(16)

La Repubblica, libro IV

• Allora, certo, sarà necessario individuare

un’unica essenza della virtù, ma

un’essenza COMPLESSA, cioè una

gerarchia che comprenda la pluralità delle

virtù unite sotto il medesimo concetto

generale, e ordinate secondo una precisa

scala gerarchica. A ciò provvede il libro IV

della Repubblica.

(17)

Le virtù nello Stato

• Le virtù vengono dedotte nella Repubblica

avendo come scopo la costruzione di uno

Stato giusto. Uno Stato giusto è quello in

cui tutti le persone, con le loro differenti

prerogative, possono vivere secondo

l’unica verità delle cose e della vita.

(18)

Temperanza, coraggio,saggezza

• Le persone possono essere distinte in tre categorie, a seconda del tipo di temperamento che hanno, cioè a seconda della prevalenza in loro di una delle tre parti fondamentali dell’animo umano, quella concupiscibile, quella irascibile e quella razionale. La virtù di coloro in cui prevale l’anima razionale è la saggezza. La virtù di coloro in cui prevale l’anima irascibile è quella del

coraggio. La virtù della temperanza, secondo cui la ragione prevale sui sensi e il superiore va subordinato all’inferiore è di tutto il corpo sociale ed appartiene quindi anche a coloro in cui prevale l’anima concupiscibile.

Essa permette loro di attendere alle attività produttive che comportano fatica e dispendio di energie.

(19)

La giustizia

• Ma la giustizia è ciò che comprende tutte e tre

queste virtù, e fa che ciascuno attenda al

compito che gli spetta, cioè che rispetti il sistema

stesso della verità delle cose e delle nostre

anime. Essa lega assieme tutte le virtù e fa sì

che ad ogni virtù corrisponda un’adesione in

funzione del valore intrinseco di quella virtù (per

es. il coraggio non può essere al di sopra della

saggezza, altrimenti si trasformerebbe in

temerarietà cieca e distruttiva, dunque gli

irascibili devono seguire le indicazioni dei

razionali).

(20)

Il pensiero

• Ma la giustizia è tale in virtù del pensiero

che comprende la verità: essa è

riconoscimento della verità così come è

presentata all’uomo e alla società dal

pensiero e dalla ragione. Dunque, come si

afferma nel Fedone, tutte le virtù

assumono il loro senso pieno alla luce del

pensiero che scopre le relazioni fra loro e

le determina a partire dalle loro qualità

(21)

Lo Stato

• Lo Stato è quell’unione di uomini fondata sulla giustizia individuata dal pensiero, quella giustizia che restituisce agli uomini la loro

vocazione più intima e li fa convivere assieme NELLA VERITÀ, a prescindere dalle maggiori o minori disposizioni individuali di

ciascuno. Infatti in uno Stato giusto i filosofi che lo governano

sapranno ricondurre tutto il corpo sociale, formato anche da coloro presso i quali non c’è alcuna predisposizione alla sapienza, a quel bene universale cui solo la sapienza può avvicinare.

• A ciò provvederanno

1) Le direttive di governo che hanno la loro origine nella conoscenza filosofica della verità

(22)

Il problema degli uomini e della loro condotta è un

problema di conoscenza e di intelligenza

Se i filosofi con la loro anima razionale devono

governare perché tutti gli uomini siano sotto la

sovranità della giustizia, il problema etico, come

problema del comportamento umano, si risolve,

ancora una volta, in un problema di capacità e

possibilità di conoscere la verità e quindi in un

problema di intelligenza. Infatti se negli Stati,

così come sono comunemente ordinati, non c’è

filosofia, non vi potrà nemmeno essere giustizia

e se manca la giustizia mancheranno tutte le

(23)

Intellettualismo etico

• Se con l’intelligenza è risolto il problema

etico, e se senza giustizia esso esplode in

tutta la sua drammaticità, ciò significa che

ancora una volta è confermata l’idea

socratica che nessuno fa il male conoscendo

il bene. Se si fa il male è solo per ignoranza

del bene, quell’ignoranza che appunto i

filosofi hanno il compito di espungere da sé

e dal mondo politico-sociale.

(24)

Dov’è la libertà?

• “dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una macchina prodigiosa realizzata dagli dei, vuoi per loro divertimento, vuoi per uno scopo serio, questo non lo sappiamo. Ciò che invece sappiamo è che queste passioni, che sono in noi come corde o funicelle, ci tirano, ed essendo opposte fra loro, ci tirano in senso contrario, trascinandoci verso azioni opposte, ed è così che si stabilisce la differenza tra virtù e vizio. La ragione ci consiglia di seguire sempre uno solo di questi stimoli, di non abbandonare

affatto, e di resistere a tutti gli altri fili: questa è la regola d’oro della ragione, quella sacra condotta che viene chiamata la pubblica legge dello Stato, e se le altre sono dure come se fossero di ferro e

assumono le forme più svariate, questa è duttile, perché è d’oro. Bisogna sempre collaborare con la splendida guida della legge: poiché la ragione è bella, mite e priva di violenza, la sua guida ha bisogno di collaboratori affinché in noi la stirpe d’oro vinca sulle altre stirpi” (Platone, Leggi, 644d-645°)

(25)

Libertà di seguire la ragione

• Gli uomini sono esseri che hanno in sé la

forza distruttiva delle passioni, che sono

tutto ciò che ha origine nella sensibilità

fallace e ingannevole. Hanno anche in sé

la possibile guida della ragione per

compiere il bene e seguire le leggi della

virtù. A questo sono chiamati e a questo

provvede lo Stato, fornendo alla ragione un

surplus di coattività che ad essa, in quanto

mite e scevra di violenza, manca.

(26)

Non c’è, in fondo, libertà

• Libertà è potere valutare delle alternative, quando invece è a priori necessario adeguarsi ad una di esse,

fatalmente non vi è libertà. La libertà, stando al percorso che abbiamo fatto seguendo Platone, sarebbe dunque solo nell’errore, nel rifiutare l’alternativa giusta della legge e della virtù per accondiscendere al vizio.

Viceversa noi tutti abbiamo l’obbligo di farci vincere dalla verità per realizzare appieno noi stessi secondo gli

imperativi della ragione e, politicamente, dei loro rappresentanti, i filosofi. L’alternativa è l’abisso dell’ignoranza, della falsità e del vizio.

(27)

La sete di libertà fino alla licenza

• Ecco allora per Platone a che cosa possa condurre la libertà quando porti a vedere

come indifferenti le scelte per la virtù o per il vizio:

“Ora, a distruggere anche la democrazia non è pure l’insaziabilità di ciò che essa definisce un bene? – Secondo te, che cosa definisce così? – La libertà, risposi. In uno stato democratico sentirai dire che la libertà è il [c] bene migliore e che soltanto colà dovrebbe perciò abitare ogni spirito naturalmente libero. – Sì, ammise, è una frase molto comune. – Ebbene, feci, come or ora stavo per dire, l’insaziabilità di libertà e la noncuranza del resto non mutano anche questa costituzione e non la preparano a ricorrere fatalmente alla tirannide? – Come?, chiese. – Quando, credo, uno stato democratico, [d] assetato di libertà, è alla mercè di cattivi coppieri e troppo s’inebria di schietta libertà, allora, a meno che i suoi governanti non siano assai miti e non concedano grande libertà, li pone in stato d’accusa e li castiga come scellerati e oligarchici. – Sì, si comporta così, disse. – E coloro, continuai, che obbediscono ai governanti, li copre d’improperi trattandoli da gente contenta di essere schiava e buona a nulla, mentre loda e onora privatamente e pubblicamente i governanti che sono simili ai governati e i governati che sono simili ai governanti. Non è inevitabile [c] che in uno stato siffatto il principio di libertà si allarghi a tutto? – Come no? – E così, mio caro, dissi, vi nasce l’anarchia e si insinua nelle dimore private e si estende fino alle bestie” (Repubblica VIII,562b-e).

(28)

Libertà = anarchia

• La libertà lasciata a se stessa, cioè come valore in sé

conduce direttamente all’anarchia, cioè letteralmente alla “mancanza di un principio”. Si tratta propriamente di quel principio ordinatore delle cose che è collocato nel

sommo bene e da cui proviene la giustizia. Senza

questo principio il mondo va alla rovescia, non c’è più rispetto per la gerarchia delle virtù e per le differenze tra virtù e vizio, tutto è indifferente. In questo contesto si

genera violenza, la violenza di una legge che è imposta solo da chi ha più forza e sa sbaragliare gli avversari. Questa è la tirannia, cui conduce, secondo Platone,

l’amore per la libertà in sé proprio dei regimi democratici (che, a causa di questo amore distruggono loro stessi, aprendo la strada a governi autocratici e tirannici).

(29)

La libertà negata come valore politico

Per Platone è meglio non perseguire la

libertà come qualcosa di buono in sé,

perché buona in sé è la virtù e la virtù

comporta l’obbedienza ad un pensiero che

coglie la verità ultima delle cose. Ma ciò

significa che gli uomini non sono liberi? In

realtà per Platone essi o sono sapienti e

necessariamente fanno il bene o sono

(30)

ma salvata come condizione ontologica

• Ma da che cosa deriva la possibilità che essi divengano sapienti o rimangano ignoranti? Dalla prevalenza in loro di una specifica qualità dell’anima (concupiscibile,

irascibile o razionale). Gli uomini sembra che si trovino ad essere in un dato modo e quindi l’educazione possa far valere le proprie “tecniche” solo sulla base del

“materiale umano” con cui ha a che fare. L’educazione alla virtù non può trasformare il piombo in oro, anche se l’oro, non adeguatamente “curato” ed “educato” può

finire per assomigliare al piombo.

• Tuttavia a che cosa si deve la speciale conformazione dell’anima di ciascuno di noi? Perché, cioè, alcuni sono più dotati di altri, perché alcuni hanno particolari

(31)

Libertà metafisica di scelta: il mito

di Er (Repubblica, X)

• Er è un soldato morto in battaglia che, già pronto per la sepoltura, risuscita e racconta quello che ha visto

nell’aldilà. Egli racconta di un giudizio che costringe le anima dei reprobi a scendere per una via che porta ad un regno terrestre e oscuro, e quelle dei meritevoli a

salire per una via celeste. Questo duplice sentiero, verso l’alto e verso il basso, è, diremmo oggi, a due corsie, in una le anime vanno verso il luogo dove sperimenteranno per mille anni ricompense o pene decuplicate rispetto al male o al bene commesso in vita, nell’altra le anime

tornano dai luoghi dove hanno già ricevuto la loro

(32)

Il mito di Er: Ananke

• Qui le anime sono al cospetto di Ananke (dea che

simboleggia il destino) che tiene sulle proprie ginocchia tutto l’universo, rappresentato da otto fusi, ciascuno

incastrato nell’altro (come i cieli dell’universo concepito secondo l’astronomia antica).

(33)

Il mito di Er: Lachesi, Cloto, Atropo

• Ananke ha intorno a sé le tre figlie o moire (esseri divini cui è affidata l’esecuzione del destino di ciascuna persona):

Lachesi: moira del passato Cloto: moira del presente Atropo: moira del futuro

Dalle ginocchia di Lachesi, un araldo divino prende un fascio di sorti e,

gettandole ai piedi delle anime, le invita a sceglierne una gridando: “Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke. Anime dall’effimera esistenza

corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale,

preludio a nuova [e] morte. Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la onori o a spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile” (Repubblica X, 617d-e)

Compiuta la scelta, le anime vengono portate da Cloto per la conferma della decisione e da Atropo perché la renda irrevocabile per il futuro.

(34)

Le libertà di scelta metafisica

• In questo racconto Platone sottolinea che il destino,

legato alla qualità della vita che noi conduciamo, è il prodotto di una scelta di cui noi siamo assolutamente responsabili, anche se

1) la scelta, viene detto nel seguito del racconto, può essere fatta “aneu philosophias” cioè senza riflettere o

riflettendo, e dipenderà pertanto dalle capacità riflessive dell’anima.

2) i destini a disposizione sono in numero limitato, anche se di molto superiore al numero delle anime, quindi le anime che scelgono per prime hanno più possibilità di quelle

che scelgono per ultime, pur mantenendo queste un’ ampia gamma di opzioni.

(35)

Perché è così!

• Se pertanto la scelta dipende, lo abbiamo visto,

dalla capacità di riflettere, ritorna la domanda:

“Perché alcuni hanno la capacità di riflettere e

altri no?”. A tale domanda probabilmente

Platone risponderebbe: “Perché è così”. Ma

questo non toglie che la vita che uno conduce

se l’è scelta, avendone piena facoltà. E ciò

rimane vero, benché sia accaduto su un piano

puramente metafisico, dal quale si passa in

questo mondo solo bevendo l’acqua del fiume

Lethe, il fiume della dimenticanza, che ci fa

(36)

Noi siamo quello che siamo, ma

siamo anche liberi di scegliere

• Per Platone noi siamo quello che siamo, ma la nostra vita è a priori determinata anche da una nostra scelta, della quale solo noi siamo responsabili e per la quale

otterremo un premio o un castigo. Di conseguenza è del tutto plausibile che

• la scelta riguardi anche l’obbedienza che colui che non ha l’anima di un sapiente deve a colui che la possiede, al fine di raggiungere ugualmente la virtù;

• le qualità della nostra anima non possano nel corso dei cicli di nascita-morte-rinascita essere migliorate, grazie a scelte oculate, altrimenti il premio o il castigo non

(37)

La libertà salvata

• La libertà, quindi, negata come valore politico, viene reintrodotta come condizione metafisica, come status ontologico dell’uomo più autentico, cioè della sua anima che è così in grado di determinare autonomamente il

proprio destino. Si conferma qui l’idea antica della libertà come pre-requisito dell’etica, su cui si fonda la

responsabilità delle nostre azioni, anche se poi la scienza etica abbandona questo tema, per cercare, tramite la riflessione filosofica, di determinare le

caratteristiche fondamentali dell’azione virtuosa, giacché solo un sapere consente di praticarla e solo l’ignoranza ne determina l’abbandono.

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