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Geologia dell'area compresa tra Foce di Mosceta e Cardoso(Alpi Apuane meridionali). SOTTOTESI: nuovi ritrovamenti di Conodonti nelle "Dolomie a Orthoceras" del basamento delle alpi Apuane

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA CORSO DI LAUREA IN SCIENZA GEOLOGICHE

TESI DI LAUREA

G

EOLOGIA DELL

AREA COMPRESA TRA

F

OCE DI

M

OSCETA E

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SOTTOTESI DI LAUREA:

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RTHOCERAS

DEL BASAMENTO DELLE

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PUANE

(Relatore: Dott. Gabriella Bagnoli)

Candidata: Veronica Consani

Relatore: Dott. Giancarlo Molli

Controrelatori: Prof. P. Pertusati e Prof. M. Meccheri

ANNO ACCADEMICO 2002-2003 SEDUTA DI LAUREA DEL 14-11-2003

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G

EOLOGIA DELL

AREA COMPRESA TRA

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PUANE (Relatore: Dott.

Gabriella Bagnoli)

RIASSUNTO:

L’area oggetto di studio è situata nelle Alpi Apuane meridionali, ubicata tra la Foce di Mosceta ed il paese di Cardoso (elementi n° 249161, 249162 della Cartografia Tecnica Regionale Toscana). Scopo dello studio è stato quello di chiarire le geometrie di deformazione dell’area, attraverso un rilevamento geologico strutturale di dettaglio (scala 1: 5.000) completato con analisi microstrutturali.

E’ stato inoltre affrontato lo studio dei meta-carbonati (meta-calcari e dolomie), sottostanti alla formazione dei Grezzoni, che a causa della loro posizione geometrica e delle caratteristiche litologiche, sono oggetto d’interpretazione controversa.

I rilevamenti geologici di quest’area sono iniziati alla fine dell’ottocento con D. Zaccagna (cartografia del 1890 – 1932, foglio Monte Altissimo scala 1: 25.000), che considerava le metamorfiti dello stazzemese (definiti dall’autore come Scisti Superiori) d’età permiano-triassica perché comprese tra i marmi alla base e i calcari retici al tetto. Le numerose anomalie riscontrate nella

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successione stratigrafica erano interpretate come “ripiegamenti complessi ed eccezionali scorrimenti orizzontali”.

Studi successivi di Masini, (1937) e Merla, (1952) hanno evidenziato problemi nell’inquadramento cronologico della successione stratigrafica con implicazioni importanti nell’interpretazione tettonica.

Trevisan, (1962) e Nardi, (1963), con l’esecuzione della seconda edizione della Carta Geologica d’Italia, (scala 1: 100.000) interpretarono la zona di Stazzema come costituita da unità metamorfiche separate dall’”Autoctono Apuano” e formanti le cosiddette “Scaglie di Stazzema”. In questa interpretazione l’assetto a pieghe isoclinali a scala chilometrica che caratterizzava il lavoro di Zaccagna veniva rivisitato come dovuto alla sovrapposizione di scaglie tettoniche.

L’ultima proposta interpretativa sviluppata nell’ambito del progetto CARG è quella di Carmignani et al., (1999). Questi autori hanno evidenziato come la strutturazione dell’area sia caratterizzata dalla presenza di un sistema antiforme-sinforme a pieghe isoclinali a scala chilometrica, immergente verso SE. Queste pieghe sono attribuite alla fase deformativa regionale (D2) e collegate ad estensione crostale nel quadro del modello regionale proposto da Carmignani & Kligfileld (1990).

I risultati principali del lavoro di tesi sono relativi al riconoscimento di una zona di taglio sin-metamorfica con spessore pluriettometrico, delimitata alla base dalla sinclinale del Monte Corchia e al tetto dall’Unità delle Panie. Nella zona studiata, le strutture principali sono rappresentate da pieghe isoclinali a scala pluridecametrica (direzioni assiali circa N 070° NE), con geometria fortemente non cilindrica, ed aventi come foliazione di piano assiale un clivaggio di crenulazione (S2) e/o una foliazione composita (S1/2). Sono inoltre attribuibili alla strutturazione principale, zone di deformazione

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localizzata plurimetrica ubicate in particolare sul fianco inverso della sinclinale del Corchia (limite inferiore della zona di taglio).

La strutturazione principale è deformata da pieghe pluridecametriche (e strutte minori), da aperte a chiuse E-vergenti (direzioni assiali circa N 145° SE) aventi come foliazione di piano assiale un clivaggio di crenulazione disgiuntivo (S3) debolmente immergente verso ovest.

L’assetto strutturale dell’area è stato interpretato come derivante da una storia di deformazione progressiva sviluppata in un contesto di esumazione delle unità metamorfiche.

Nell’ambito della sottotesi è stato affrontata lo studio paleontologico dei meta-carbonati (meta-calcari e dolomie), sottostanti alla formazione dei Grezzoni. Si tratta di lenti e livelli di meta-carbonati in cui sono stati ritrovati nuovi esemplari di Conodonti attribuibili al Siluriano Superiore.

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Capitolo 1

Appennino Settentrionale

L’Appennino settentrionale è un segmento di catena terziaria est vergente, con andamento arcuato e direzioni strutturali predominati NW-SE nel settore settentrionale e N-S in quello meridionale, (Elter, 1975).

Fig. 1: schema geologico dell’Appennino Settentrionale (settore nord). 1 depositi Plio-quaternari della

panura del Po; 2 Bacino Trziario Piemontese e successione di Ranzano-Bismantova; 3 Flysch ad Helmintoidi; 4 Unità Liguri Interne; 5 Unità Liguri esterne; 6 Unità di Canetolo; 7 Unità della Falda Toscana; 8 Unità delle Alpi Apuane; 9 Zona Sestri-Voltaggio; 10 Gruppo di Voltri.

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Storicamente viene delimitato a NW dalla linea Sestri-Voltaggio, che lo separa dalla catena alpina e a sud dalla linea Ancona-Anzio (Olevano-Antrodoco nella letteratura più recente), rappresentante il limite di separazione dall’Appennino centrale1.

L’Appennino settentrionale è un “fold and thrust belt” costituito dalla sovrapposizione di unità tettoniche attribuibili a due grandi insiemi ben distinti per il loro diverso significato paleogeografico e strutturale (vedi fig. 2).

Il dominio interno è rappresentato dalle unità Liguri Interne ed Esterne. Queste sono entrambe caratterizzate dalla presenza di ofioliti, con differenze di giacitura e composizione.

Le unità Liguri Interne mostrano successioni ofiolitiche in posizione primaria, associate a una sequenza sedimentaria di fondo oceanico con: Diaspri, Argille a Palombini e Calcari a Calpionelle. La sequenza ofiolitica presenta delle particolarità rispetto alla classica sequenza di crosta oceanica. Sono, infatti, presenti: il basamento con le ultramafiti e il complesso gabbrico, il complesso vulcano-sedimentario, mentre non è ben sviluppato il complesso filoniano.

Si ritiene che le unità Liguri Interne rappresentino i resti dell’oceano Ligure-Piemontese la cui morfologia doveva essere piuttosto accidentata, con la presenza di alti strutturali costituiti da rocce del basamento e zone morfologiche depresse nelle quali si accumulavano le brecce alimentate da questi rilievi. L’apertura di questo bacino oceanico è datata al Giurassico superiore.

Le unità Liguri Esterne, invece non presentano mai ofioliti in posizione primaria, (Marroni et al., 1992). La successione è scollata a livello di formazioni argillitiche del Cretaceo medio-superiore conosciute con il nome di “Complessi di Base”. Le ofioliti si ritrovano come olistoliti, talvolta di dimensioni plurichilometriche, all’interno di questi sedimenti. La presenza del detritismo ofiolitico varia all’interno dell’unità, tanto da individuare una zona con abbondati clasti di ofioliti (Flysch d’Ottone) e una zona con abbondanti formazioni terrigene silicoclastiche e rari clasti ofiolitici. Questo, suggerisce l’ipotesi che la posizione delle unità Liguri Esterne doveva essere intermedia tra quella prettamente oceanica delle unità Liguri Interne e quella continentale dell’insieme umbro-toscano.

1. Studi attuali fanno perdere a questi limiti il significato che avevano in passato. Recenti interpretazioni (Patacca & Scandone, 1989) tendono, infatti, a considerare la catena suddivisa solo in due principali settori, settentrionale e meridionale, delimitati dalla linea “Ortona-Roccamonfina”, lungo la quale si realizzerebbe l’accavallamento dell’Appennino Settentrionale sopra a quello meridionale.

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Per quanto riguarda la linea Sestri-Voltaggio è stata l’attribuzione di alcune unità Liguri alla catena alpina s.s. (Elter & Pertusati, 1973) a svuotare il lineamento del suo originario significato.

Fig. 2: sezione geologica dell’Appennino settentrionale. Strutturazione della catena al Tortoniano, post

fase toscana, (ridisegnata e modificata da: Elter).

L’abbondante detritismo ofiolitico nella porzione più interna delle Unità Liguri Esterne viene attribuita alla presenza di un rilievo interposto tra queste e le Unità Liguri Interne, individuato come ”Ruga del Bracco” (Elter & Raggi, 1965; Elter & Pertusati, 1973).

Prima di passare alla descrizione delle unità tettoniche esterne, è bene parlare brevemente di un’unità interposta tra i due grandi insiemi che formano l’Appennino settentrionale e che a causa delle sue caratteristiche intermedie tra un ambiente continentale e un ambiente oceanico è tuttora d’incerta collocazione. Questa unità è conosciuta come unità di Canetolo o unità Subligure per un’apparente affinità ligure, ed è costituita da: una base argillosa (formazione di Canetolo s.s.), un Flysch calcareo seguito da un Flysch arenaceo e in alcuni livelli della serie delle arenarie a composizione andesitica dette Arenarie di Petrignacola2. Queste ultime, probabilmente, sono il prodotto detritico di un arcipelago sul quale si stabilì un vulcanismo di arco con tipici prodotti calcoalcalini, durante il Terziario. L’unità di Canetolo ha un carattere strutturale di ricoprimento, essa, infatti, ricopre in larga parte il Macigno toscano pur mostrando un’età più antica. L’unità Subligure, nella messa in posto è sempre preceduta da olistostromi che si ritrovano intercalati sia nel Macigno, che nelle Arenarie del Cervarola3.

2. L’età di questo vulcanismo non è stata datata ancora con precisione. La serie Subligure era stata considerata interamente eocenica per la presenza di numerosi fossili (Elter, 1973). In seguito, però, sono stati rinvenute faune mioceniche, così da mettere nuovamente in discussione l’età della serie, che

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recenti, (Elter et al., 1999) hanno permesso di datare la formazione della Val d’Aveto (formazione detritica, a componente andesitica, appartenente all’Unità di Canetolo), all’Oligocene inferiore.

L’insieme esterno è costituito dal basamento continentale appartenete alla placca Adria sopra al quale poggiano le originarie coperture, in parte scollate e deformate. Quest’insieme comprende: le unità del dominio toscano, a sua volta suddivise in interne (Falda Toscana) ed esterne (Unità toscane metamorfiche) e le unità del il dominio umbro-marchigiano. L’insieme esterno è costituito dal basamento pre-Carbonifero con strutturazione principale ercinica, sul quale poggiano delle coperture Carbonifero-eoceniche, composte da numerosi cicli sedimentari testimonianti di un’evoluzione complessa, che rappresentano le fasi di rift e di evoluzione del margine passivo meridionale (apertura dell’oceano Ligure-Piemontese), seguite da quelle oligo-mioceniche in facies di flysch rappresentative della progressiva migrazione del fronte compressivo della catena verso l’avampaese.

Dal Trias al Miocene le successioni sedimentarie di questi insiemi, presentano caratteristiche comuni. Tutte mostrano: un Trias trasgressivo sul basamento Paleozoico metamorfico, con Evaporiti nella parte superiore, ad eccezione della zona apuano, nella quale sono sostituite dalla serie dolomitica dei Grezzoni. Il Giurassico, prevalentemente calcareo, evolve da facies di piattaforma continentale a facies di mare più profondo. Il Cretaceo e parte del Terziario, caratterizzati da facies marnoso-argillose, mentre la fine del Terziario è dominata da depositi d’avanfossa (Flysch del Macigno, Cervarola e Marnoso-Arenacea) col caratteristico ringiovanimento dalle zone più interne verso quelle più esterne.

Queste successioni sedimentarie testimoniano il progressivo assottigliamento della placca Adria e la conseguente creazione dell’oceano Ligure-Piemontese.

Le facies marnoso-argillose della Scaglia (Cretaceo-Eocene), che passano da depositi torbiditici distali a depositi progressivamente più prossimali, sono il risultato di una sedimentazione collegata ad un regime compressivo. A partire dal Cretaceo, infatti, si osserva, per ciò, una variazione del tipo di sedimentazione, come risultato del passaggio tra un regime regionale estensionale ad estensionale ad uno essenzialmente compressivo.

Durante il Terziario si assiste ad un nuovo cambiamento nel tipo di sedimentazione che diventa clastica con la deposizione di veri e propri Flysch, prima nelle zone occidentali poi verso quelle orientali, ad indicare la progressiva migrazione del fronte compressivo da ovest verso est.

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3. Le Arenarie del Monte Cervarola costituiscono un flysch del Miocene medio, deposto al fronte del Dominio toscano esterno e in parte accavallato sul Dominio umbro-marchigiano, (Elter, 1973).

Le unità tettoniche attribuibili al dominio toscano esterno, mostrano un metamorfismo da anchizonale a scisti verdi. Queste unità affiorano in una serie di finestre tettoniche sotto la Falda Toscana e le unità Liguri. La finestra tettonica delle Apuane è quella che, grazie alle sue ottime condizioni d’esposizione ha permesso una dettagliata analisi stratigrafica e strutturale. Si possono, infatti, individuare: un basamento paleozoico metamorfico sormontato da quarziti e conglomerati del Verrucano (Trias) e una copertura mesozoico-terziaria, anch’essa metamorfica. Quest’ultima presenta forti analogie con la successione mesozoico-terziaria del dominio Toscano interno. La successione mostra, infatti, la stessa evoluzione, con la formazione di vaste piattaforme carbonatiche al Trias che vengono smembrate e sommerse con il passaggio a facies di mare più profondo. La sequenza sedimentaria, inoltre, evolve verso prodotti terrigeni e come nel dominio interno, si chiude con la deposizione di un flysch.

La storia evolutiva dell’Appennino settentrionale è piuttosto complessa, schematicamente possiamo considerarla sviluppata attraverso due principali cicli.

Durante il primo ciclo, che comprende le “fasi liguri”, si ha la strutturazione solo dell’insieme interno. Il primo ciclo è anteriore alla deposizione del Bacino Terziario Piemontese (Eocene superiore - Oligocene), sulle unità Liguri Interne e della sua porzione più distale rappresentata dalla successione Epiligure sulle unità Liguri Esterne.

Il secondo ciclo, che comprende le “fasi toscane”, si svolge durante tutto il Miocene. La strutturazione della catena, prosegue con il sovrascorrimento delle Liguridi sull’insieme esterno e la contemporanea evoluzione tettonica di quest’ultimo (vedi fig. 2).

Al Tortoniano cessano i moti compressivi che hanno portato all’impilamento delle falde e le zone interne della catena vengono interessate da importanti fenomeni distensivi che si manifestano con la creazione di grandi faglie dirette con direzione appenninica (fig.3).

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Fig. 3: schema strutturale attuale dell’Appennino settentrionale. (Da Carmignani et al., 1990).

Questa fase distensiva è legata all’apertura del mar Tirreno, ed è la causa della formazione dei graben del Serchio, della Versilia e dei bacini neogenici della Toscana meridionale. Particolarità di queste faglie è l’appartenenza a due distinte generazioni: la prima, contemporanea alla deformazione duttile del complesso metamorfico, è caratterizzata da faglie a basso angolo con profondità raccordabile a livello delle Evaporiti del Trias. La seconda, invece è caratterizzata da faglie ad alto angolo che determinano la generazione delle depressioni del Serchio e della Versilia. Queste sono datate dai sedimenti pliocenici, quaternari che le colmano.

I sistemi di faglie della seconda generazione dislocano tutte le strutture generate durante il primo evento. Vi sono inoltre una serie d’importanti zone trascorrenti, con direzione antiappenninica, che interessano anch’ esse tutta la catena, dalle Alpi Apuane alla Toscana meridionale, (fig. 4).

Dallo schema di figura 4 è possibile notare come la fase distensiva sia maggiormente sviluppata nella Toscana meridionale, rispetto al settore nord della catena.

Pur creando dei forti ribassamenti, queste faglie in genere non variano i rapporti geometrici tra le falde che costituiscono la catena.

L’Appennino Settentrionale presenta, così, una vasta zona in forte distensione immediatamente adiacente ad un fronte compressivo, in progressiva e continua migrazione verso est.

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Fig. 4: schema tettonico della Toscana con sezioni geologiche (A e B) nel settore nord occidentale

dell’Appennino settentrionale, che evidenziano le due generazioni di faglie. (Da Carmignani et al. 1993)

Alla scala regionale, l’Appennino settentrionale, può essere considerato, da un punto di vista geometrico-strutturale come una struttura Duplex, di cui le unità liguri costituiscono il roof thrust e le unità dell’insieme toscano interno costituiscono il floor thrust, (fig. 5).

Rimane il problema della vergenza della subduzione pre-oligocenica. L’insieme Alpi – Appennino – Corsica, infatti, si è formato in seguito alla convergenza e collisione del

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blocco sardo-corso con la microplacca apula, ma le relazioni tra questi sono tuttora di difficile interpretazione.

Si possono distinguere due correnti di pensiero: la prima, considera la Corsica alpina la prosecuzione verso sud delle Alpi occidentali e la interpreta come avampaese delle Alpi e retropaese dell’Appennino, (Mattauer et al. 1981; Durand-Delga, 1984; Gibbons et al. 1986). Boccaletti et al., 1971 in linea con queste affermazioni avevano proposto un modello con inversione del piano di subduzione all’Oligocene, basandosi sull’osservazione della polarità delle strutture e sulle evidenze del vulcanismo terziario (Arenarie di Petrignacola e le trachiandesiti della Sardegna).

L’altra corrente di pensiero, invece, interpreta il sistema Corsica alpina – Appennino come un prisma d’accrezione, a doppia vergenza, originato dalla subduzione della placca Apula sotto il blocco sardo-corso. Questo per giustificare la formazione di strutture ovest vergenti, nella Corsica alpina e strutture vergenti verso est in Appennino.

Fig 5: schema geologico tridimensionale dell’Appennino settentrionale (ridisegnato e modificato da

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La finestra tettonica delle Alpi Apuane

Fig. 6: schema tettonico del complesso metamorfico apuano, con relative sezioni schematiche. fl. Filladi

Inferiori e Porfiroidi; gr. Dolomie e calcari dolomitici norici; m. Marmo Dolomitico e Marmi s.s. del Lias inferiore; cs-pmg. Calcari Selciferi, metaradiolariti, filladi e metarenarie del Lias medio-Oligocene; cv. Calcare Cavernoso (cataclasiti derivate principalmente da dolomie del Trias superiore); M. Unità di Massa; TL. Falda Toscana e Liguridi, (da Carmignani et al. 1993).

Le Alpi Apuane rappresentano una finestra tettonica in corrispondenza della quale emergono le unità più profonde dell’Appennino settentrionale.

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Il complesso metamorfico apuano comprende, tradizionalmente (Carmignani et al., 1978): l’Unità di Massa, l’Unità delle Apuane (Autoctono Auctt.) 3, l’unità delle Scaglie

di Stazzema o Parautoctono dello Stazzemese e l’Unità delle Panie. Di tutte queste unità, quella nettamente separata dall’Autoctono e dalla Falda Toscana, mediante contatti tettonici di primo ordine e con una successione stratigrafica piuttosto ben caratterizzata è l’Unità di Massa. Le unità delle Scaglie di Stazzema e l’Unità delle Panie presentano, invece, successioni stratigrafiche con caratteristiche molto vicine a quelle dell’Unità delle Apuane e sono separate da queste ultime mediante contatti tettonici di ordine inferiore. Per questo motivo alcuni autori, quali Carmignani L., Giglia G. et al. considerano queste unità come suddivisioni dell’Autoctono Auctt., considerando il complesso metamorfico apuano costituito da due sole unità principali: l’Unità di Massa e l’Unità delle Apuane, (vedi fig. 6).

STRATIGRAFIA DELLE ALPI APUANE

Unità di Massa

L’Unità di Massa affiora solo nella parte sud occidentale del massiccio apuano e si accavalla all’Unità delle Apuane. Questa è costituita da: un basamento Paleozoico che, come quello apuano ha registrato una deformazione pre-alpina sviluppata in condizioni metamorfiche di basso grado (facies scisti verdi), associata alla fase collisionale dell’orogenesi ercinica; una sequenza metasedimentaria ben sviluppata, che va dal Trias medio al Trias superiore e che comprende delle metavulcaniti del Trias medio e dei depositi d’ambiente continentale indicati comunemente come “Formazione del Verrucano”.

La serie triassica più completa è quella di Punta Bianca, all’interno della quale è possibile riconoscere due cicli deposizionali trasgressivi, (fig. 7).

Il primo, d’età Anisico-ladinica, costituito da sedimenti continentali tipo conoide alluvionale e fluviali che, verso l’alto, passano a carbonati di piattaforma fino a depositi di mare più profondo caratterizzati dalla presenza di Ammoniti. Nella parte alta della successione i calcari prossimali sono intercalati a colate di basalti alcalini.

3. Termine storico con il quale si indicava l’insieme, metamorfico in facies scisti verdi, del basamento paleozoico con relativa copertura mesozoico-terziaria.

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Il secondo ciclo sedimentario, di probabile età ladinico-norica, è formato dall’alternarsi di sedimenti litorali e fluviali, che costituiscono la cosiddetta “formazione del Verrucano”, (Rau et al., 1985). Quest’ultima, che nell’Unità di Massa presenta notevoli spessori, nell’Unità delle Apuane affiora raramente e con spessori molto ridotti. Nell’Unità di Massa è sormontata da un orizzonte di brecce prevalentemente

dolomitico-evaporitiche (Calcare Cavernoso) della Falda Toscana, nell’Unità delle Apuane è sormontata da depositi carbonatici d’ambiente di piattaforma del Trias superiore (Grezzoni). Questa sequenza sedimentaria è stata collegata a processi estensionali precursori dell’apertura giurassica della Tetide (Elter, 1975; Marroni et al., 1998).

Fig. 7: successione vulcano-sedimentaria, del

Trias medio di Punta Bianca (da Carmignani et al. 1987).

Unità delle Apuane

Il complesso metamorfico apuano è costituito dal basamento paleozoico e dalla sua copertura mesozoico-terziaria.

Il basamento paleozoico, che nell’Appennino Settentrionale affiora solamente in corrispondenza del dominio toscano esterno, mostra nella finestra tettonica delle Apuane la successione più completa e meglio esposta.

Dal basso verso l’alto si incontrano: Filladi Inferiori, costituite da tre litotipi principali: quarziti grigie, quarziti filladiche, grigie o grigio-verdi e filladi. Le Filladi Inferiori sono probabilmente correlabili con i depositi torbiditici di conoide o di bacino del Cambriano superiore-Ordoviciano inferiore della Sardegna sud-orientale, secondo Tongiorgi et al., 1982; Albani et al., 1985.

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Porfiroidi, costituiti da fenocristalli millimetrici e centimetrici di K-feldspato e quarzo e Scisti Porfirici, rappresentano depositi derivati dal rimaneggiamento di vulcaniti di tipo riolitico-riodacitica, (Barberi & Giglia, 1966) collegate al vulcanismo di arco dell’Ordoviciano medio, osservato in molte parti del basamento sud-europeo. Metarenarie, Quarziti e Filladi, (Barberi e Giglia 1966). Metasedimenti clastici a granulometria medio-fine con predominanza di metarenarie grigio-verdi. Si ritiene che siano il prodotto dello smantellamento e dell’erosione causata dalla trasgressione sul complesso vulcanico dell’Ordoviciano medio.

Scisti Grafitici, Dolomie ad Orthoceras, Calcescisti e Marmi Dolomitici, sono i litotipi della serie siluro-devoniana. Questa è dominata dalla presenza di filladi e filladi grafitiche, contenenti liditi e graptoliti (Gortani, 1933), intercalazioni di dolomie (Dolomie a Orthoceras) e Calcescisti.

Le dolomie, massicce o stratificate, con tasche o sottili livelli di scisti grafitici, oltre alla massiccia presenza di resti di nautiloidi (Orthoceras) contengono numerosi articoli di Crinoidi e faune a Conodonti del Siluriano superiore (Vai, 1972; Bagnoli & Tongiorgi, 1980).

I Calcescisti e i marmi dolomitici contengono anch’essi, abbondanti resti di articoli di Crinoidi, (descritti nella zona del Monte Corchia da: Bagnoli & Tongiorgi, 1980).

La copertura mesozoico-terziaria, è costituita da depositi triassici e dalla successione tipica delle Unità delle Apuane (fig. 8).

Il passaggio è marcato da un’alternanza di dolomie e brecce dolomitiche con detrito silicoclastico, quarzareniti e peliti, conosciuto come “Formazione di Vinca.

La sequenza sedimentaria prosegue, dal Lias all’Oligocene, con l’instaurarsi di una nuova piattaforma carbonatica sopra quella tardo triassica rappresentata dai Grezzoni. Questa, che si estende in modo uniforme anche sull’insieme umbro-toscano (Calcare Massiccio), è rappresentata da una potente successione di marmi nella quale si possono distinguere le formazioni di Marmo Dolomitico e Marmo s.s.

Il Marmo Dolomitico è costituito nella sua totalità da depositi di piattaforma continentale mostranti un’alternanza ciclica di ambienti da sopratidali a subtidali.

La formazione del Marmo s.s. comprende una sequenza sedimentaria di depositi carbonatici di laguna aperta, ma al tetto mostra: brecce, marmi encrinitici, filladi calcaree, marmi rosati ed altri depositi indicanti una progressiva frammentazione della piattaforma carbonatica con il passaggio ad un ambiente marino più profondo, in analogia con la successione della Falda Toscana.

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Segue la deposizione dei Calcari Selciferi e dei Calcescisti. Questi indicano il proseguire del ciclo d’approfondimento che raggiunge il massimo con la deposizione dei Diaspri.

Fig. 8: successioni stratigrafiche delle Unità delle Apuane (Autoctono Auctt.), in tre diversi settori del

complesso metamorfico, (da Carmignani et al. 1993).

Alla fine del Giurassico riprende la deposizione carbonatica con i Calcari Selciferi a Entrochi (abbassamento del limite di compensazione del Carbonato di Calcio a causa della proliferazione di faune a nannoplancton). La sedimentazione di depositi pelagici prosegue con gli Scisti Sericitici.

La successione del complesso metamorfico apuano, come quella della Falda Toscana, si chiude con la deposizione di un flysch (Pseudomacigno. Questo affiora solo sul versante orientale delle Apuane con modesti spessori di metarenarie nelle quali sono state ritrovate faune a Lepidocycline dell’Oligocene superiore (Dallan Nardi, 1977).

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Strutturazione delle Alpi Apuane

Il nucleo apuano, come vedremo, presenta particolari caratteristiche strutturali la cui interpretazione pone tuttora molte problematiche.

Questo complesso metamorfico costituisce una culminazione antiforme con una caratteristica vergenza opposta (centrifuga) delle strutture sui due fianchi, SW sul fianco occidentale e NE sul fianco orientale (vedi fig. 6).

Secondo le interpretazioni più recenti, la strutturazione di questo settore di catena si realizza in due fasi regionali terziarie principali, indicate come D1 e D2 (Carmignani

et al. 1978, Carmignani e Giglia 1984, Kligfield et al. 1981).

La fase D1 è essenzialmente a carattere compressivo, ed è associata all’impilamento

delle falde. Questa, ha avuto inizio nell’Oligocene superiore, durante il sovrascorrimento dell’insieme Falda Toscana - Unità Liguri sopra alla zona apuana creando un antiformal stack, il cui roof thrust era la Falda Toscana, mentre il floor thrust rimaneva seppellito. Durante questo stadio compressivo si originano, accavallamenti e pieghe isoclinali non cilindriche spesso a guaina, di ogni dimensione. Si sviluppa, inoltre una scistosità sin-metamorfica (S1), molto penetrativa che traspone

l’originaria superficie di stratificazione (S0), questa superficie è quella più evidente su

tutto il massiccio apuano, (vedi fig. 6) ed è parallela alle direzioni dei piani assiali delle pieghe isoclinali. Gli assi di queste pieghe sono sub-paralleli alla lineazione d’estensione associata alla superficie S1. L’estensione è marcata da una lineazione evidenziata

dall’asse maggiore di clasti ed elementi di brecce, dall’orientazione preferenziale dei cristalli e in tutto il massiccio ha una direzione circa NE - SW.

Le grandi sinclinali e anticlinali note nella letteratura apuana sono attribuibili a questa fase: la sinclinale di Carrara, l’anticlinale di Vinca-Forno, la sinclinale di M. Altissimo-Orto di Donna, la sinclinale del Monte Corchia, etc. (vedi foto 6). Queste deformazioni si sviluppano in condizioni metamorfiche attribuibili alla facies quarzo-albite-muscovite-clorite-biotite (Carmignani & Giglia, 1984).

La fase D2, a carattere distensivo, deforma le superfici di scistosità e tutti i contatti

originatisi durante la fase D1, creando le geometrie che osserviamo oggi (Carmignani

&. Kligfield, 1990). In particolare questa fase è suddivisibile in un primo stadio sin-metamorfico datato a 15-8 Ma (Kligfield et al., 1986; Carmignani et al., 1994), con lo sviluppo di sistemi di pieghe aperte, seguito da fasi a carattere duttile-fragile, caratterizzate dalla formazione di pieghe e faglie normali a basso angolo, successivamente seguite da faglie normali ad alto angolo e faglie trascorrenti. Lo studio delle relazioni di blastesi-deformazione ha portato alcuni autori (Franceschelli et al., 1986; Franceschelli e Memmi, 1999), a sostenere che il picco metamorfico sia avvenuto dopo la fase compressiva D1 e prima dell’instaurarsi della fase D2.

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La struttura antiforme tardiva, oltre alla superficie S1, coinvolge anche i contatti con

le sovrastanti unità alloctone, formando una struttura del primo ordine, a direzione appenninica, che risulta molto complicata a causa delle forti inflessioni delle superfici d’inviluppo delle S1 prodotte anche con assi a direzione antiappenninica.

Si generano, quindi delle grandi strutture, appenniniche ed antiappennininche, con lo sviluppo sui loro fianchi di pieghe a scala chilometrica del secondo ordine e di ordine superiore. Le pieghe di secondo ordine, contrariamente alla regola comune, hanno vergenza rivolta verso i fianchi dell’ antiforme del primo ordine e non verso la cerniera (Carmignani L., Giglia G., 1979), vedi fig. 6.

Per quanto riguarda l’evoluzione tettonica del complesso metamorfico apuano e quindi dell’Appennino Settentrionale e del mar Tirreno, Carmignani e Kligfield (1990) propongono un modello sviluppato in quattro momenti principali, in accordo con la cinematica di un prisma d’accrezione secondo il modello di Platt (1986).

Durante questo primo stadio evolutivo si realizza la subduzione del margine della placca apula sotto la placca europea (Cretaceo-Eocene) e le deformazioni che coinvolgono rocce di fondo oceanico e sedimenti di mare profondo, (deformazione e strutturazione delle Unità Liguri).

All’Oligocene, cessati i processi di subduzione si ha la collisione continentale tra i due margini. Questo causa un forte ispessimento del prisma per underplating e la deformazione compressiva del margine continentale adriatico, (strutturazione delle unità toscane).

Al Miocene medio cambia il regime deformativo della catena. S’instaurano, infatti, processi di estensione a livello della crosta superiore e media, attribuiti alle variazioni della dinamica all’interno del prisma orogenico. Quest’ultimo, conseguentemente al forte ispessimento, è soggetto a distensione mediante collassi gravitazionali per ristabilire l’equilibrio isostatico.

Al Tortoniano proseguono i processi d’estensione. Questi, coinvolgono tutto il settore interno della catena e sono attribuiti dagli autori all’instaurarsi del processo di rifting che porterà all’apertura del mar Tirreno.

Carmignani e Kligfield, (1990), suppongono quindi, che l’esumazione del complesso metamorfico apuano sia causata da due distinti processi estensionali.

Il primo, che interessa la parte superiore della crosta iniziato, secondo gli stessi autori, durante la fase D2 (10-12 Ma.), imputato ai processi di stabilizzazione del

prisma. Il secondo, instauratosi al Tortoniano, è invece legato ad un processo di rifting con conseguente assottigliamento della crosta continentale e risalita di

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materiale astenosferico che da origine al magmatismo nel settore interno della catena dell’Appennino settentrionale e all’apertura del mar Tirreno, (fig. 9).

Fig. 9: schema evolutivo dell’Appennino settentrionale. A: subduzione di crosta oceanica al di sotto del

blocco sardo-corso e conseguente deformazione delle Liguridi. B: collisione continentale, conseguente underplating che causa l’inspessimento del prisma. C: collasso gravitativo del prisma ispessito, con estensione nella parte superiore della crosta. D: conseguente uplift ed erosione del complesso metamorfico apuano. E: proseguimento della fase distensiva che coinvolge tutto il settore interno della catena, legata allo sviluppo del rift che porterà all’apertura del mar Tirreno. A:core complex apuano. F: Falda Toscana. C:flysch del Cervarola. Cg: brecce sedimentarie. U1 e U2: deformazione del dominio umbro al Tortoniano e Messiniano, rispettivamente (da Carmignani e Kligfield 1990).

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Questo modello permette agli autori di interpretare la zona apuana come un tipico core complex, tipo Basin and Range. La storia evolutiva di quest’ultimo è, infatti, molto simile a quella del complesso metamorfico apuano. Anch’essa, infatti, prevede il passaggio da una deformazione compressiva ad una distensiva che in seguito evolve in un processo di rift.

Il core complex delle Apuane presenta però delle eccezioni rispetto a quelli della provincia americana. A differenza di questi s’imposta all’interno del prisma di accrezione, nella zona di arco, mentre i core complexes americani s’impostano nella zona di retro arco, inoltre presenta lo sviluppo di zone di taglio duttili a livello della crosta media con opposto senso di taglio, mentre nei core complexes americani si ha una direzione di taglio predominante.

Nonostante queste diversità Carmignani e Kligfield (1990) ritengono che un modello interpretativo di questo tipo possa spiegare l’attuale contesto geologico strutturale del complesso metamorfico apuano, risolvendo molti aspetti particolari che questo settore dell’Appennino settentrionale presenta.

Un modello alternativo d’esumazione, è proposto da Jolivet et al. (1998). Questi distinguono una prima fase distensiva sin-orogenica instaurata durante le fasi terminali dell’accrezione del complesso (D1) e una estensione post-orogenica associata alla D2, si prevede, quindi un continuo nel processo di esumazione dalle fasi

sin-contrazionali a quelle post-sin-contrazionali.

Molli et al., 2001 alla luce di nuovi dati petrologici e metamorfici compiuti in una zona nord-occidentale delle Alpi Apuane, a contatto tra l’Unità di Massa e la sottostante Unità delle Apuane, confermano questo processo di esumazione. Dai dati petrologici e metamorfici, questi autori, hanno riscontrato l’esistenza di un salto metamorfico tra l’Autoctono e l’Unità di Massa. Quest’ultima, avrebbe raggiunto una profondità maggiore, con picco metamorfico nel campo di stabilità di magnesiocloritoide + cianite (temperatura di 400-500° C e pressione di 8 Kbar, che all’incirca corrispondono ad una profondità di circa 25 km), mentre l’unità delle Apuane registra un metamorfismo lievemente inferiore segnato dalla facies a cloritoide-pirofillite. Secondo gli autori, l’accoppiamento tra le unità metamorfiche delle Apuane sarebbe avvenuto durante gli stadi finali della deformazione compressiva D1. Questo accavallamento precede le fasi

sin-metamorfiche della successiva fase deformativa D2, il contatto tra le due unità e

i loro assetti interni risultano infatti deformati dalle strutture legate a questa fase tettonica (fig. 10).

Jolivet et al. (1998) attribuiscono all’estensione sin-orogenica l’esumazione delle rocce di alta pressione bassa temperatura, mentre l’estensione post-orogenica procede con la formazione di zone di taglio a basso angolo immergenti verso est nel mar Tirreno e

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sarebbe legata anche la messa in posto dei plutoni magmatici della Toscana meridionale e alto Lazio.

Fig.10: schema evolutivo del complesso metamorfico apuano. A. Sviluppo di pieghe isoclinali, a scala

chilometrica e di una foliazione molte pervasiva. Impilamento delle falde con senso di movimento verso NE. B. Strutturazione dell’antiformal stack. Termina la fase di trasporto verso NE. C. Inizio della fase D2 che porta all’estensione e all’esumazione del complesso metamorfico. Le strutture della fase D1 sono piegate e tagliate da zone di taglio che si sviluppano lungo faglie a basso angolo. (Da Carmignani e Kligfield, 1990, modificato da Molli et al. 2000).

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Alpi Apuane meridionali

L’area oggetto di studio è situata nelle Alpi Apuane meridionali. La struttura del Monte Corchia, come quella di Arni, seppur in modo diverso, ha contribuito alla nascita della problematica della doppia vergenza nel nucleo metamorfico apuano, (Giglia, 1967; Carmignani e Giglia, 1984).

Le prime interpretazioni relative a quest’area appartengono a Lotti (1881 a) e Zaccagna (1898), che con il proseguire dei rilievi geologici, cominciarono a rendersi conto che la geologia del nucleo apuano doveva essere più complessa da un punto di vista strutturale e più semplice dal punto di vista stratigrafico, di quanto inizialmente ipotizzato. Proposero, così l’ipotesi della doppia vergenza centripeta, con l’interpretazione della struttura del Monte Corchia come una sinclinale a vergenza occidentale, con piano assiale immergente verso SE, compresa tra un’anticlinale, anch‘essa coricata verso ovest e la culminazione dell’antiforme del complesso metamorfico apuano a nucleo paleozoico4 in corrispondenza della Valle del Giardino (fig. 11).

In seguito, con l’interpretazione a falde dell’Appennino, caratterizzato da una polarità delle strutture verso est, il problema della doppia vergenza diventava più difficile da giustificare.

Giglia (1966), nel primo lavoro moderno sull’area, interpretava la struttura del Corchia come una sinclinale rovesciata verso ovest i cui “tratti estremi “ avevano polarità appenninica. Secondo l’autore, l’asse della struttura descriveva un arco con la convessità rivolta verso est e la vergenza verso ovest della struttura, nell’ambito di questo quadro, “appariva del tutto casuale”.

Il problema della doppia vergenza condiziona le interpretazioni geologiche del complesso metamorfico apuano fino alla metà degli anni ’70 (Carmignani e Giglia 1975). Più recentemente Carmignani e Giglia (1983), attraverso l’applicazione dei metodi dell’analisi strutturale, dimostrarono l’inesistenza della doppia vergenza delle strutture del nucleo apuano. Essi interpretarono la sinclinale del Corchia come facente parte di una struttura fortemente non cilindrica, sviluppatasi durante la prima fase deformativa che subisce un ripiegamento in antiforme durante una fase deformativa tardiva (fig. 12).

4. Nelle note del 1881 Lotti, ispirato all’interpretazione di Escher & Hein della struttura dell’Alpe di Glarus (Alpi svizzere) propone un sistema di “doppie pieghe ribaltate in senso inverso, le une contro le altre”, introducendo così il concetto della doppia vergenza del complesso delle Apuane.

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Fig. 11: sezioni geologiche attraverso il M. Corchia secondo D. Zaccagna (1898). B. Interpretazione

geologico strutturale della sezione A. Secondo la simbologia usata da D. Zaccagna: sp: paleozoico; gr: dolomia (Grezzoni), m: marmi; cs: Calcari Selciferi; cp: Cipollini; ar: “Pseudomacigno”. (Da L. Carmignani e G. Giglia, 1983).

Fig. 12: rappresentazione tridimensionale schematica dell’ipotetico sviluppo in profondità delle

strutture del Monte Corchia e di Foce di Mosceta. Illustrato solo l’inviluppo della superficie limite Paleozoico - Mesozoico. (Da Carmignani e Giglia, 1983).

Questo fa sì che le strutture principali, “radicate” sul fianco occidentale del duomo, finiscano a “tête plongeante” sul fianco orientale. In questo modo le strutture anticlinali di prima fase tenderebbero a chiudere verso il basso, mentre le strutture sinclinali chiuderebbero verso l’alto. L’area esaminata vede quindi un sistema sinclinale-anticlinale coricato verso ovest che alla scala del nucleo metamorfico apuano è considerato come il proseguimento verso sud delle strutture di Vinca e Orto di Donna5 (fig. 11).

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Fig. 11: schema strutturale della finestra tettonica delle Alpi Apuane (da L. Carmignani e G. Giglia,

1983). 1 Giacitura degli assi delle pieghe di prima fase. 2 Culminazione del complesso metamorfico. 3 Tracce dei piani assiali delle sinformi di prima fase, con le relative direzioni d’immersione dei piani assiali. 4 Tracce dei piani delle antiformi di prima fase. 5 Falda toscana. 6 Calcari selciferi metamorfici, meta-radiolariti, calcescisti, filladi, meta-arenarie (Lias medio-Oligocene). 7 Dolomie e calcari dolomitici metamorfici, marmi (Trias superiore-Lias inferiore). 8 Filladi, porfiroidi, dolomie ad Orthoceras, quarziti e anageniti (Paleozoico-Trias medio).

5. L’anticlinale di Vinca, interposta tra la struttura più occidentale del nucleo apuano e la sinclinale di Orto di Donna, si estende da Vinca alla valle del Frigido fino alla bassa Versilia mantenendosi sul lato occidentale del nucleo antiforme, attraversandolo in corrispondenza del Monte Ornato per proseguire sopra al paese di Pruno e raggiungere Foce di Mosceta. La struttura prosegue verso Colle di Favilla facendo quasi il giro completo del nucleo apuano. La sinclinale di Orto di Donna – M. Altissimo, si sviluppa più a est. Essa attraversa il nucleo apuano sul lato occidentale, da Orto di Donna fino alla valle del Giardino per poi proseguire sul versante orientale nella sinclinale del Monte Corchia e nella sinclinale di Puntato. Queste ultime, in base alla corrispondenza delle tracce dei piani assiali e alle considerazioni strutturali e stratigrafiche delle anticlinali tra le quali sono comprese, sono ritenute due parti di un’unica struttura, (Carmignani & Giglia 1983).

Il complesso delle Panie è stato e rimane tuttora di difficile interpretazione. Il progredire delle conoscenze geologiche, riguardo a quest’area ha portato ad una

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letteratura spesso controversa e interpretazioni, in alcuni casi, diametralmente opposte. Fin dai primi studi geologici, iniziati verso la fine del 1800 con Zaccagna e Rovereto, si è dibattuto sulle particolarità delle rocce e sull’assetto strutturale di quest’area. Gli autori individuarono alla base del complesso delle Panie un importante contatto tettonico. Queste osservazioni strutturali furono estese, successivamente da Maxwell (1956), che interpretava le rocce del massiccio delle Panie come formazioni carbonatiche analoghe a quelle delle Unità delle Apuane. Le dolomie e i marmi che costituiscono la parte sommitale delle Panie, furono interpretati come parte di un’ampia piega sinforme immergente verso nord. Quest’insieme si sarebbe comportato come un corpo rigido durante il rovesciamento e sovrascorrimento verso SW. La laminazione tettonica è considerata la causa dei marcati assottigliamenti delle formazioni alla base del complesso delle Panie, e si osservano anche sul fianco rovescio della sinclinale del Corchia interpretata come una sinclinale ovest-vergente (in realtà un’antiformesinclinaleche immerge verso est.

Nardi, nel 1961, osservava che le rocce del complesso delle Panie si caratterizzavano per un metamorfismo minore rispetto a quelle dell’Autoctono Auctt.6 e considerava il

massiccio come facente parte di un’unità tettonica a sé stante. Sempre nel lavoro del 1961 proponeva un modello di messa in posto delle unità alloctone sviluppato in due fasi principali: durante la prima fase si ha l’individuazione della scaglia tettonica delle Panie e il sovrascorrimento della falda toscana e unità liguri, già strutturate, sull’Autoctono Auctt. La seconda fase, attribuita al sollevamento della catena, è caratterizzata da scivolamenti, (a livello delle “evaporati triassiche”) verso est delle unità alloctone.

Un’interpretazione diversa viene data nel lavoro di Giglia (1966), che considerava le Panie come facenti parte della Falda Toscana, in base alle relazioni di sovrapposizione dei due complessi e all’evidente contatto tettonico che caratterizzava la base delle unità delle Panie. In un lavoro successivo, (Giglia et al., 1970) è proposto un modello di strutturazione della catena nel quale, dopo un primo impilamento delle falde alloctone, motivo di deformazione e metamorfismo, seguono le successive giustapposizioni a formare l’edificio strutturale attuale.

6. Successivamente, Di Sabatino et al. 1977, confermarono le osservazioni di Nardi (1963), indicando per le dolomie e i marmi del complesso delle Panie, un metamorfismo caratterizzato da pressioni relativamente alte (7-8 Kbar) e temperature modeste, che dati petrologici e geochimici mostrano essere di circa 350° C - 370° C, inferiori alle temperature riscontrate nelle Unità delle Apuane che raggiungono i 450° C. Questo implica una diversa evoluzione tettono-metamorfica del complesso delle Panie rispetto alle Unità delle Apuane.

Successivamente Carmignani e Giglia (1972) tornano a considerare il massiccio delle Panie come un’unità a se stante. Questa, secondo gli autori, era situata al fronte della

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Falda Toscana e durante le fasi tardive di strutturazione della catena si sarebbe messa in posto assieme a quest’ultima.

Più recentemente Bigazzi et al., 1988 interpretano il massiccio delle Panie come facente parte del complesso metamorfico apuano, dal quale è separato mediante un lungo corridoio di faglia. Questa, è interpretata come il risultato di una “laminazione duttile sinmetamorfica”, della sinclinale che raccorda le strutture di Mosceta e della Pania, in seguito coinvolte nelle deformazioni tardive che interessano tutto il complesso metamorfico apuano, caratterizzate da una tettonica duttile-fragile.

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Litostratigrafia dell’area studiata

Nell’area oggetto di studio è stato possibile osservare quasi tutti i termini della successione metamorfica apuana.

Nella parte nord, con buona continuità di affioramento, è stata cartografata l’intera porzione paleozoica, dalle Filladi Inferiori (Barberi & Giglia, 1965) ai Calcescisti.

Nella parte sud, invece, sono stati osservati prevalentemente i termini mesozoico-terziari, dai Grezzoni allo Pseudomacigno.

Le due successioni, mostrano, un’intensa deformazione, contatti anomali e laminazione dei litotipi meno competenti, attribuibili principalmente alla tettonica1.

Basamento paleozoico

Questo si caratterizza per la presenza di un’alternanza di filladi, metaquarzareniti e conglomerati medio-fini, matrice sostenuti, affiorante nella parte centrale dell’area studiata (nei dintorni del rif. La Fania). Questi litotipi sono stati considerati appartenenti alla formazione delle Filladi Inferiori, (Barberi & Giglia, 1965; Bagnoli & Tongiorgi, 1979).

Essi si presentano all’affioramento con un colore variabile dal grigio argento, grigio scuro, al verde, (foto 1). Le porzioni filladiche sono spesso caratterizzate dalla presenza di vene di quarzo, generalmente cariato con patine d’alterazione rossastre date dal contenuto in ossidi di ferro. La paragenesi, che caratterizza questi litotipi, è data dall’associazione di quarzo e miche, principalmente sericite e clorite, quest’ultima, presente in quantità molto variabile, caratterizza le varie colorazioni di queste rocce.

1. Un ipotesi possibile è comunque quella di considerare l’originaria successione mesozoica, come lacunosa e condensata a causa della deposizione in ambienti di alto fondo pelagico, in analogia alle successioni osservate nei settori nord-orientali delle Alpi Apuane, (Carmignani et al., 1987).

Nella corrente letteratura, (Gattiglio et al., 1989), in base a correlazioni con la serie paleozoica della Sardegna, questa formazione, viene interpreta come deposito torbiditico bacinale o di conoide sottomarina (di fronte deltizio e/o di prodelta).

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Nella corrispondente formazione sarda sono stati ritrovate associazioni di Acritarchi che indicano un’età compresa tra il Cambriano medio e l’Ordoviciano inferiore.

Foto 1: deformazione nella facies più grossolana delle Filladi Inferiori (Colle di Deglio). Sono ben visibili

due sistemi di foliazione. Un sistema principale (Sp) molto pervasivo, tagliato da un secondo sistema, ad alto angolo (evidenziato dalla matita). Si nota, inoltre, un’isoorientazione dei clasti di quarzo lungo il secondo sistema di foliazione.

La successione del basamento paleozoico prosegue con metavulcaniti grigie chiare e filladi costituite prevalentemente da quarzo, clorite e miche chiare, attribuibili alla formazione dei Porfiroidi e Scisti Porfirici. Questi rappresentano i prodotti di un metamorfismo di basso grado, a spese, rispettivamente, di vulcaniti riolitiche e depositi sedimentari di natura arcosica, derivati dalla loro erosione e rimaneggiamento in ambiente subaereo.

In corrispondenza di Foce di Mosceta affiorano prevalentemente gli Scisti Porfirici, mentre i Porfiroidi costituiscono un ampio affioramento ad est del M. Corchia (a nord del rif. del Freo), nel quale è stato possibile osservare la caratteristica tessitura “occhiadina” (Giglia, 1966), data dai fenocristalli di quarzo e feldspato circondati da una matrice quarzitico-sericitico-cloritica. Nella corrente letteratura questi litotipi sono interpretati come prodotti metamorfici di un vulcanismo riolitico (Garbarino et al., 1981), o di un magmatismo tardo orogenico (Memmi et al., 1983) che caratterizza tutti i massicci ercinici dell’area mediterranea durante l’Ordoviciano medio.

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di Mosceta – rif. del Freo). Questi mostrano un’alternanza ripetuta, di metarenarie e filladi di colore grigio argenteo. Questi metasedimenti sono attribuibili alla formazione delle “Quarziti e Filladi Superiori” di Barberi & Giglia, 1965. In correlazione con la serie paleozoica sarda i litotipi della formazione delle “Quarziti e Filladi Superiori” sono considerati come depositi, da litorali a marini poco profondi che ricoprono progressivamente il complesso vulcanico dei porfiroidi.

La successione prosegue con la formazione delle Dolomie a Orthoceras2(vedi

Appendice), che sono caratterizzatedalla presenza di scisti grafitici, al letto e al tetto. All’interno di questa formazione sono stati riconosciuti due tipi di dolomie. Dolomie piuttosto massicce con patina d’alterazione perlacea, colore giallo chiaro sulla superficie fresca e intercalazioni di sottilissimi livelli ricchi in miche chiare (foto 2).

Foto 2: aspetto caratteristico delle dolomie scistose chiare. Sulla sinistra i livelli scistosi, sempre di

colore grigio chiaro argentato, in alto a destra, invece, la roccia mostra un aspetto massivo, i livelli scistosi divengo sottilissimi e discontinui. Si osserva, inoltre, la presenza di concrezioni di quarzo, frequenti in questo tipo di rocce. (Affioranti nei pressi del Passo dell’Alpino).

Dolomie cristalline, massicce o ben stratificate (la stratificazione è generalmente marcata dall’alternanza di dolomie e scisti grafitici), con una caratteristica patina d’alterazione rosa o bruno-rossastra e superficie fresca di colore grigio scuro.

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Gli scisti grafitici sono comunemente intercalati in sottili “films”, o talvolta in tasche, negli affioramenti massivi di dolomie, (osservabili sul sentiero 122 salendo per Foce di Mosceta), ma possono anche costituire dei veri e propri livelli di spessori decimetrici, che si alternano a queste.

Gli scisti Grafitici costituiscono una cospicua parte degli affioramenti dell’area investigata. Questi appaiono sia come filladi grafitiche, di colore grigio argentato o nero, sia come rocce con aspetto massiccio, con granulometria arenitica fine, di colore nero e con tipiche alterazioni brune, date dal forte contenuto in ossidi di ferro. Nella zona dell’Acquapendente, questi litotipi, affiorano con continuità verso nord fino al sentiero che porta al rif. La Fania, mostrando un tipico pattern di affioramenti in un’alternanza di scisti e filladi, spesso contenenti lenti di dolomie a Orthoceras (di dimensioni variabili da metriche a decimetriche).

La successione paleozoica si chiude con la formazione dei Calcescisti. Questi affiorano molto bene nella sezione che va dal Passo dell’Alpino verso Foce di Mosceta e sono caratterizzati da una fitta alternanza di metacalcari, sottili livelli di dolomie e filladi calcaree ricche in clorite e muscovite, talvolta sono presenti filladi scure carbonatiche. Le colorazioni tipiche sono, verde e giallo pallido.

Appaiono spesso deformati in fitte pieghe di dimensioni centimetriche, è possibile anche osservare pieghe isoclinali di dimensione metrica, (foto 2a) e strutture milonitiche, (foto 2b).

2. Barberi & Giglia, 1965 considerano la “serie scistosa basale” chiudersi con la formazione delle Dolomie Scistose, che comprende la formazione delle Dolomie a Orthoceras e quella dei Calcescisti. In questa descrizione, invece, è stata adottata la stratigrafia di Bagnoli & Tongiorgi, 1979.

Questi autori individuano, al tetto della formazione silicoclastica, degli scisti grafitici che verso l’alto presentano delle intercalazioni di dolomie con alterazione perlacea. Seguono dolomie con una patina d’alterazione perlacea, caratterizzate da intercalazioni in sottilissimi livelli di scisti grafitici. Gli autori attribuiscono questi litotipi alla formazione delle Dolomie scistose a Orthoceras e a quella degli Scisti Grafitici a Graptoliti (Gortani, 1933; Giglia, 1967). La successione si chiude con la formazione dei calcescisti nella quale sono intercalati, marmi grigi con articoli di crinoide e lenti di dolomie scistose.

(32)

(a) (b)

Fig. 2: deformazioni osservate all’interno della formazione dei Calcescisti paleozoici. (Affioranti in

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Successione mesozoico-terziaria

Il passaggio dal basamento paleozoico ai livelli dolomitici del Trias superiore (Grezzoni) è marcato dalla formazione di Vinca e del Verrucano del Trias superiore (Nardi, 1961; Coli et al., 2001). Nell’area oggetto di studio è stato possibile osservare: metarenarie ricche in quarzo, di colore grigio chiaro, alternate a filladi grigio-verdi e filladi grafitiche che passano a scisti neri-grigio cupo, nei quali sono intercalati conglomerati costituiti da clasti dolomitici rossastri e clasti calcarei violacei (osservabili in corrispondenza del Fosso del Catino e a ovest del rifugio del Freo, foto 3).

Foto 3: paraconglomerati a matrice nera con clasti dolomitici di colore bruno e giallo. (Formazione di Vinca p.p., vedi Appendice nota 1).

Sono stati osservati anche i litotipi che costituiscono il tetto della formazione, affioranti in corrispondenza del Canale delle Volte. Sono essenzialmente dolomie di colore dal grigio chiaro al giallo chiaro con porzioni di dolomie brecciate, (foto 4). Queste associazioni carbonatico-silicoclastiche, che costituiscono modesti spessori di sedimenti interposti tra la formazione delle dolomie triassiche (Grezzoni) e la serie paleozoica, affioranti sul lato est del Monte Corchia, sono state qui considerate come affini ed appartenenti alla formazione di Vinca (vedi appendice).

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Foto 4: dolomie della formazione di Vinca. Aspetto tipico delle porzioni brecciate costituite

prevalentemente da clasti dolomitici circondati da matrice silicoclastica.

Nell’area studiata è ben esposta la base della successione mesozoica. Questa è rappresentata da potenti spessori di brecce dolomitiche che stanno alla base di dolomie ricristallizzate grigio chiare, massive o stratificate. Le brecce dolomitiche costituiscono potenti spessori di sedimenti sotto le dolomie che costituiscono la base del complesso delle Panie. Queste affiorano in modo piuttosto continuo dalla zona della Grotta fino al Fosso del Capitato e assieme alle dolomie danno luogo alle morfologie scoscese che caratterizzano l’insieme Foce di Valli - M. Forato – M. Nona, sul versante occidentale. Sul lato est del Monte Corchia sono visibili in un ampio affioramento le dolomie grossolanamente stratificate a cui seguono le Brecce di Seravezza4(Retico-Giurassico inferiore) caratterizzate da clasti di marmo deformati ed allungati secondo una direzione preferenziale, immersi in una matrice di colore rosso violacea (foto 5).

4. Al Trias superiore Giurassico inferiore il regime di subsidenza legato all’apertura della Tetide avrebbe creato locali emersioni testimoniati da importanti accumuli di brecce date dall’erosione subaerea delle formazioni carbonatiche sottostanti.

Le Brecce di Seravezza, costituite da elementi di marmo e subordinati elementi di dolomia immersi in una matrice scistosa a cloritoide di colore variabile da un rosso vioalceo ad un giallo ocra, vengono interpretate come conseguenti al basculamento verso ovest del “blocco apuano”. Queste affiorano nelle Apuane orientali dove si ritrovano al contatto tra i Grezzoni e i marmi.

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Foto 5: Brecce di Seravezza. (affioranti a ovest del Fosso del Catino)

La successione prosegue con la formazione dei Marmi. Nell’area studiata sono stati considerati appartenenti a questa formazione dei marmi bianchi. Questi hanno caratteristiche variabili, da marmi bianchi costituiti quasi esclusivamente da calcite macrocristallina che gli conferisce un aspetto “saccaroide”, a marmi microcristallini nei quali talvolta si osservano delle venature rosa-violacee.

Sono stati distinti, inoltre, marmi di colore variabile dal grigio chiaro al grigio-scuro, con tessitura microcristallina e marmi dolomitici di colore grigio chiaro lievemente rosato. Quest’ultimi sono stati osservati in un piccolo affioramento in corrispondenza del Canale di Deglio, interamente compresi all’interno delle dolomie triassiche. Sono caratterizzati da un’intensa deformazione, che si evidenzia con lo sviluppo di pieghe di tipo simile, sulle quali sono impostate pieghe parassite (foto 6).

Tutti questi litotipi costituiscono affioramenti discontinui e poco estesi a causa dell’intensa laminazione tettonica, compresi tra il Calcare Selcifero e i Grezzoni.

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Fot 6: marmi dolomitici affioranti in corrispondenza del Canale di Deglio. In alto a sinistra è possibile

osservare il contatto con la formazione dei Grezzoni.

Altro termine della successione mesozoica osservato nell’area di studio è il Calcare Selcifero che costituisce ampi affioramenti a nord del paese di Pruno nei dintorni della Cisterna. In questa zona probabilmente affiora la base della successione poiché si osservano affioramenti che sembrano avere le caratteristiche del Marmo Zebrino. Si osserva, infatti, un’alternanza di marmi bianchi e grigio chiari con livelli di marmi a muscovite e calcescisti grigio-verdi, che passano gradualmente a metacalcari grigio scuri caratterizzati dalla presenza di noduli e livelli di selce ricristallizzata, generalmente di colore giallo pallido. Quest’ultimo è l’aspetto tipico del Calcare Selcifero, che presenta un’intensa deformazione messa in evidenza dal contrasto di competenza tra i livelli calcari e quelli quarzitici.

Seguono dei calcescisti, caratterizzati dall’alternanza di marmi impuri e livelli filladici ricchi in clorite e sericite. Si presentano con aspetto assai variabile, da alternanze di marmi bianchi e livelli filladici di colore verde brillante, a marmi grigi con aspetto omogeneo e marmi grigio scuri foliati.

Questi litotipi, che costituiscono ampi affioramenti a sud della Cisterna e a nord-est di Ranocchiaia, sono stati considerati appartenenti alla formazione dei Cipollini.

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Depositi plio-quaternari

La successione termina con i depositi di tipo flysch dello Pseudomacigno, al quale appartengono metarenarie e filladi. La paragenesi è composta, principalmente, da quarzo, feldspato e miche. Questi litotipi costituiscono la quasi totalità degli affioramenti nella parte est della zona studiata.

Sono stati osservati anche due tipi di depositi recenti, affioranti nella parte nord dell’area studiata. Si tratta di brecce di versante, monogeniche, costituite essenzialmente dai meta-carbonati che costituiscono la Pania, si osservano, infatti, solo nei pressi del Fosso dei Casconi, sul fianco occidentale della Pania della Croce. L’altro tipo di brecce, (foto 7) costituisce un affioramento piuttosto esteso sulla destra orografica del Canale di Deglio a sud di Foce di Mosceta. Si tratta di brecce poligeniche di probabile origine carsica, (Bigazzi et. Al., 1988)5. queste hanno una matrice carbonatici, con caratteristica struttura a cellette. I clasti più abbondanti sono quelli carbonatici (meta-calcari e dolomie), ma si riconoscono piuttosto frequentemente anche clasti provenienti dal basamento e dalla copertura metamorfica.

Foto 7: brecce poligeniche.

5. Secondo gli autori, questa breccia è il risultato dell’attività di carsificazione dei livelli carbonatici più vicini, o a dirittura al contatto con la faglia alla base dell’insieme strutturale Pania – Pizzo delle Saette. Su questa breccia caratterizzata da cataclasi, si sarebbero sviluppati fenomeni di carsismo con

Figura

Fig. 1: schema geologico dell’Appennino Settentrionale (settore nord). 1 depositi Plio-quaternari della
Fig. 2: sezione geologica dell’Appennino settentrionale. Strutturazione della catena al Tortoniano, post
Fig. 3: schema strutturale attuale dell’Appennino settentrionale. (Da Carmignani et al., 1990)
Fig. 4: schema tettonico della Toscana con sezioni geologiche (A e B) nel settore nord occidentale
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