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La frequente rinuncia al "che" nel parlato fiorentino: caratteristiche del fenomeno e spunti di riflessione per la lingua comune

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Academic year: 2021

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studi di grammatica italiana

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firenze - le lettere

mmXiv

(3)

Direttore: teresa Poggi salani (firenze)

Comitato di direzione e redazione: luciano agostiniani (firenze) Jacqueline Brunet (Parigi) † nicoletta maraschio (firenze) lorenzo renzi (Padova) francesco sabatini (roma) gunver skytte (copenaghen) Harro stammerjohann (francoforte) marco Biffi (red.; firenze)

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gli articoli proposti per la pubblicazione nella rivista sono sottoposti anche al parere di due revisori anonimi esterni al comitato.

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e sPunti di riflessione Per la lingua comune sebbene non sia ancora stata oggetto di approfondite e sistematiche analisi, in sincronia e in diacronia, l’omissione del che viene presentata nel suo complesso come fenomeno che nel passato aveva conosciuto ben altra fioritura ed estensione. Questa lettura, in genere, accomuna il che “relativo” al che introduttore di completive.

rohlfs rileva la frequente disponibilità dell’italiano antico all’omissione del relativo per quanto riguarda i casi diretti (§ 483)1, dedicando d’altra

parte un apposito paragrafo (§ 797) alla «omissione della congiunzione per collegare le frasi», fenomeno che sarebbe intervenuto specialmente dopo alcuni verbi2. alle testimonianze del passato corrisponderebbero, quasi 1 le testimonianze dell’italiano antico richiamate da rohlfs a questo riguardo sono tutte di area toscana: compagni (fedirono e uccisono molti Gangalandesi erano (= ‘che erano’) quivi alla guardia); sermini (ducati 45, i quali dovevi avere da me di resto di quelle bestie mi vendesti) [cfr. ora Pseudo gentile sermini 2012: novella 16, § 12]; machiavelli (per intendere quello avevi fatto). d’altra parte, è possibile che questa apparente “toscanità” del fenomeno sia da ricondurre in larga parte alla particolare rappresentanza delle scritture toscane nell’italiano antico: infatti, fuori dalla letteratura, l’omissione del

che relativo si riscontra diffusamente, in altro contesto geografico, nelle consuetudini cancelleresche

lombarde quattro-cinquecentesche, di cui rende conto anche un recente studio di Piotti (2012-2013), che ha registrato la ricorrente ellissi del che relativo in uno statuto della val trompia del 1579. ecco gli esempi: «De la pena imposta a quello dirà parole o jniuria a uno altro 3 r.5; Del salario taxato a quelli

serano mandati in alcuno logo 9 r.3; ogni fiada li sera comandato 18 r.23, ogni fiada recusarà dare detti extimatori 20 r.11; dar li liberzolo a chaduno lo volesse vedere 34 r.15; Della pena a quello giocasse uno bocal de vino 5 r.5; Del salario taxato a quelli serano mandati in alcuno logo 9 r.3; pagar tutto quello ve-nesse per tal causa condenato 17 r.2; pagar el damno in duplo di quello venerà extimato 25 r.23, ecc.» (cfr.

Piotti 2012-2013, pp. 183-184). lo stesso Piotti riferisce che secondo vitale questi usi rifletterebbero modalità dialettali lombarde (cfr. ibidem, p. 183, n. 137).

2 «[i]l che appare (specie in passato) superfluo dopo i verbi del sembrare, dovere, temere, concedere, osservare, pensare, pregare e volere, cfr. per dolor non par lagrima spanda (Inf. 18, 84), io temetti non

tenesser patto (ibidem 21, 93), né pur lascerà gli uccelli la possano vedere (ariosto), vide n’usciva uno abbate (Decam. 2, 3), credo mi sarebbe venuto fatto (ibidem i, 1), pregandolo glielo dicesse (ibidem 5, 9), io non vorrei mi tenessino un cerretano (machiavelli, Mandr. 2, 2)». il declinare in diacronia

dell’omis-sione del che, in veste di introduttivo di oggettive, è rilevato anche da serianni (gi: Xiv, § 60), che sottolinea che il fenomeno, «caratteristico della lingua poetica dugentesca [...], raggiunge la sua acme nel Quattrocento». Proprio queste ascendenze “illustri”, si direbbe, fanno ritenere a renzi le odierne ellissi degli introduttori di subordinata (se: fosse per lui; e che: credevo partiste) come «forme predilette dello chic televisivo e della stampa, ammesse sì dalla norma, eleganti, letterarie, ma ben poco usate nel parlato spontaneo» (renzi 2012, pp. 103-4), e quindi presumibilmente trascurabili nella deriva del “neostandard”.

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come eco di una tradizione illustre, attestazioni letterarie novecentesche3,

mentre, a un altro livello, si osserva un radicamento nell’uso “popolare” e “dialettale” significativo forse – ma rohlfs non lo dice – di una sua sopravvivenza “sotto traccia”, nel parlato, come particolare modalità di tradizione ininterrotta4.

in questo quadro – in cui peraltro si può già rilevare, leggendo tra le righe delle attestazioni, una diversa fortuna delle due tipologie di omis-sione, con quella del “che relativo” caratterizzata da un radicamento più toscano, rispetto a un’ellissi del “che congiunzione” praticata da autori di estrazione geografica più variata – la frequente rinuncia al connettivo verificabile nel parlato di firenze (cfr. giannelli 2000, p. 42) appare fe-nomeno sostanzialmente in controtendenza rispetto alla sintassi prevista, in quei contesti, dalla lingua comune: la cosa prefigurerebbe dunque il mantenersi in ambito locale di una modalità sintattica progressivamente trascurata altrove.

Per quanto riguarda il relativo, alisova (1965) ricorda proprio l’omis-sione come modalità di introduzione delle restrittive ben documentata, per il passato, in scritture di media formalità, che ritroviamo, seppure in misura molto più attenuata, in testimonianze – soprattutto, ma non solo, toscane – di parlanti parzialmente scolarizzati. in questa stessa direzione d’achille (1990) annovera il fenomeno tra le caratteristiche della sintassi della relativa che sono «cadute in disuso o sopravvivono solo come “re-litti”» (221).

del resto, la lettura di un parlato toscano disponibile all’ellissi come testimonianza residuale di pregresse condizioni d’uso “panitaliane” con-sente a Berruto (1987) di escludere l’ipotesi (proposta da lehmann, cfr. ivi) per cui la cancellazione del che sarebbe da considerare il prevedibile esito finale di un processo di lungo periodo che promuove, nell’italiano contemporaneo, la generalizzazione della modalità di formulazione del-le relative attraverso il “che indeclinabidel-le”5. Per Berruto, infatti, proprio

il confronto tra la limitata diffusione attuale del fenomeno (circoscritta all’area toscana) e quella, ben più ampia, che le testimonianze scritte fanno

3 Questi gli esempi: «non voleva si affaticasse» (serao); «sembrava avesse sempre freddo» (allodoli); «credo sia meglio» (d’annunzio); «spero non avrai moglie» (deledda).

4 «anche la lingua popolare moderna conosce tali collegamenti paratattici, cfr. il toscano vernacolo

devi dire la ti dia la scatola (imbriani, 211), volete ci vada io, umbro volete ci venga io (ais, 1638), senese credevo mi strozzasse (ibidem, 1672), toscano meridionale vorrèbbe si haminasse sempre di horsa (ibidem,

1604), bolognese a voi t’la finésc ‘voglio che tu finisca’» (ibidem, 1653).

5 l’idea che l’omissione, mettendo vistosamente in scena una giustapposizione tra blocchi informati-vi, possa rappresentare, nel parlato meno sorvegliato (o, in prospettiva diastratica, nelle esecuzioni dei semicolti), il corrispettivo speculare (se non addirittura l’esito finale) dell’uso del che come connettivo generico, è presente anche nelle riflessioni di sornicola 1981, rohlfs 1969, cortelazzo 1972. ma su questo torneremo più avanti.

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prefigurare per il passato, consente invece di ritenere la cancellazione del che – in altri termini, la relativa “a segno zero” – come fenomeno a basso rendimento funzionale, e non a caso improduttiva nell’italiano contem-poraneo (cfr. Berruto 1987, p. 132).

da parte loro le testimonianze letterarie del gdli forniscono una ca-sistica che consente di riferire all’italiano antico le omissioni di che pro-nome, sia nelle funzioni sintattiche più relativizzabili (cioè come soggetto e oggetto), sia in quelle in genere meno interessate dalla resa attraverso che, come succede nei casi obliqui6. Per quanto riguarda il ruolo di

con-giunzione, i casi di ellissi attestata solo anticamente sarebbero quelli in cui il che introduce finali al congiuntivo7, oppure alcune consecutive8.

ancora, l’omissione è testimoniata nell’italiano antico in alcune modalità comparative9. gli spogli del gdli evidenziano invece una continuità,

che in diacronia arriva fino a scrittori moderni, nell’omissione di che in-troduttore di alcune tipologie di completive10.

cercheremo dunque di osservare il modo in cui l’ampia gamma dell’omis-sione del che prevista dal parlato fiorentino, ora si inserisca nel quadro di quelle attestate dall’italiano contemporaneo, ora, invece, se ne allontani, andando però, in questo caso, a condividere molte delle funzioni che oggi caratterizzano l’attività del “che polivalente”. l’obiettivo è capire se, e in che modo, l’ellissi fiorentina, nelle sue diverse articolazioni, costituisca un fenomeno residuale all’interno della deriva dell’italiano, o se invece testimoni il vistoso manifestarsi, in ambito locale, di una tendenza pronta a interessare anche il territorio più esteso della “lingua comune”.

6 da gdli (Che1, § 10), si cfr., nell’ordine: «gli usai tutte quelle cerimonie sono convenienti ad uno amico della vostra città» (machiavelli); «vedessono lo strazio e la derisione facea di lui» (compagni); «chi non si ritruova a que’ tempi si fanno i fatti, non ne sa mai bene parlare» (g. morelli).

7 dopo verbi come chiedere, pregare, esortare, fare in modo ecc.: l’unico esempio in gdli è tratto da Petrarca: «io per me prego il mio acerbo dolore, / non sian da lui le lagrime contese» (cfr. ivi,

Che4, § 2).

8 dopo aggettivi come tale, tanto; avverbi e locuzioni avverbiali come talmente, ecc.: «e’ balestrieri a cavallo... ferono mirabil pruova, e ferirono ed uccisono ed ammazzorono de’ fanti loro; in modo ebbono onore, e messer antonio s’è condotto qua sano e salvo» (Poliziano). cfr. gdli, Che4, § 3.

9 cfr. gdli, Che4, § 5: «a me riuscì [certo vino] molto migliore non s’era ragionato costà» (Po-liziano).

10 Per le soggettive gdli (Che4, § 1) rileva omissioni del che dopo verbi e locuzioni riconducibili ai significati di sembrare, convenire, importare, accadere; dopo predicati nominali costruiti con aggettivi come vero, falso, giusto, normale, meglio, ecc. andrà notato che a quest’ultima tipologia rimanda l’unico esempio di omissione nell’italiano moderno attestato da gdli: «era naturale le sfuggissero» (calvino). l’omissione in diacronia sembra riguardare anche il che dopo locuzioni dichiarative (far piacere). Per le oggettive la rinuncia al che sembra invece intervenire dopo dire, o verba putandi e sentiendi, o verbi che esprimono comandi / proibizioni.

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i luoghi di (parZiale) sovrapposiZione

la rassegna dei contesti è stata ottenuta prevalentemente dalle testi-monianze degli intervistati per la redazione del Vocabolario del fiorentino contemporaneo (vfc): l’ampia esemplificazione vuole restituire, insieme alla casistica, la particolare vitalità che il fenomeno registra a firenze, dove non è assolutamente percepito come tratto marcato (cfr. infra)11.

cominciamo con l’osservare i casi di omissione che riguardano il che congiunzione12.

1. Come connettivo di completive13

1.1. Con verbo al congiuntivo

l’ellissi del connettivo è in genere selezionata da verbi di opinione: io penso gli stia a intènde codesto, lo zorfinaio

credo l’abbi fatto la terza elementare

credo sia scomparso quasi del tutto, queste malattie qui (tP) che credi un si sappia l’è stato lui? (ps)

11 al tempo stesso, l’essere un fenomeno che si manifesta “in absentia” non consente un suo reperi-mento automatico sui corpora di parlato. l’interrogazione automatica di banche dati (com’è quella su cui si basa la compilazione del vfc) risulta dunque praticabile solo in parte, proprio perché si tratta di verificare l’assenza di un tratto: il segmento da sottoporre a ricerca non è dunque identificabile una volta per tutte. lo stesso, naturalmente, vale per la verifica dell’omissione del che nel “neostandard” (vedi più avanti).

12 in questi casi, per non appesantire il testo, si è deciso di omettere il riferimento. altre testimo-nianze di parlato locale sono gli etnotesti di contadini dell’area fiorentina pubblicati da silvia calamai (Dalla terra al pane, siglato come tP). Quando invece la testimonianza è seguita da sigla identificativa ps (“parlato spontaneo”), significa che proviene da conversazioni fiorentine còlte in presa diretta sul territorio. le eventuali attestazioni nella drammaturgia vernacolare sono indicate con il nome del drammaturgo seguito dalle iniziali della commedia (Paolieri IP = I’ Pateracchio; Cei BG = I’ bisnonno

Garibaldo). Per quanto riguarda i criteri di resa del parlato, si sono adottati quelli già sperimentati

per il saggio del vfc edito nel 2012 come Parole di Firenze, in cui la prospettiva è quella di favorire un’agevole fruizione dei testi, facendo una particolare attenzione allo scioglimento di possibili ambi-guità (cfr. ivi, pp. 13-17). l’accento, così, viene generalmente adottato, nei nostri contesti, per le voci sdrucciole presumibilmente esclusive della competenza fiorentina (per cui avremo nàchero, mentre scriveremo bischero, ritenendo la forma una “bandiera di fiorentinità” ormai diffusamente riconosciu-ta), oppure per indicare il timbro delle vocali medie in caso di possibili incertezze nella lettura (córpe ‘colpe’), se non addirittura di ambiguità (sòrdi ‘soldi’; córpo ‘colpo’), ma anche, talvolta, per segnalare il grado di apertura in caso di riduzione del dittongo (vòr dire ‘vuol dire’). in altri casi l’introduzione di parentesi serve a recuperare omissioni previste dalla fonetica locale che potrebbero generare difficoltà di comprensione (le(v)ata); nel caso rappresentato dalle scritture gl(i), c(i), la parentesi è unicamente funzionale a segnalare la pronuncia palatale. Per quanto riguarda la punteggiatura, che è perlopiù di tipo tradizionale, si ricorda l’uso particolare della maiuscola dopo i due punti quando questi introducono citazioni o discorsi diretti riportati.

13 come si vedrà anche dai nostri esempi, è la tipologia di subordinate che schwarze 2009, pp. 289-303 raggruppa nelle “dichiarative”, che dal punto di vista distribuzionale sono caratterizzate dalla presenza del complementatore che e dalla collocazione “a destra” del verbo reggente (cfr. ivi).

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Ho paura un ce la faccia (ps)

ti dico la verità: avevo paura si fosse perso il treno (ps) son proprio contento sia andata così (ps)

il fenomeno è testimoniato anche dal linguaggio giornalistico. le civette dei giornali locali, così, sembrano sfruttarne l’espressiva concisione:

«spero tu muoia»14

la realizzazione senza il connettivo, poi, riguarda diffusamente com-pletive volitive:

speriamo – dice – possa vederlo speriamo duri! (ps)

via, facciamo finta non sia successo nulla (ps)

Quande tu ha’ detto ’ntinto, t’ha’ a fà conto t’abbi, t’abbin le(v)ato da una vasca! l’è… la faccia conto la sia una stoffina leggerina così, ma di cotone

volevo tu ci andassi da sola (ps)

non volevo succedesse tutto questo casino (ps) mi son raccomandato mi chiamasse (ps)

il congiuntivo è selezionato poi da modalità impersonali in cui il valore semantico dei reggenti oscilla tra l’opinione e la percezione15:

sembrava gl(i) avesse rimesso l’orologio, vero? lo cercavano perché sembrava lo volessero fucilare guarda come ride: pare capisca! (ps)16

1.1.1 Con introduttore impersonale

l’omissione del connettivo pare quasi di regola quando la modalità impersonale è espressa da predicati nominali, anche senza copula17:

14 si tratta di una dichiarazione che, riportata come tale e dunque virgolettata, è comparsa come titolo nella locandina del Corriere di Firenze. da ora in poi, la presenza delle virgolette negli esempi di lingua rappresentata dai media indica che la fonte propone il testo in questione come discorso diretto riportato.

15 sul rapporto semanticamente sfumato che intercorre tra i verbi riconducibili alle sfere della di-chiarazione, della opinione, della percezione, cfr. skytte 1983, pp. 302-3.

16 in questi casi skytte (1983, p. 316) parla di una percezione che va riferita «ad un soggetto diver-so dal diver-soggetto grammaticale […]. il diver-soggetto a cui si riferisce normalmente la percezione non è mai espresso, e può essere inteso come “tipo indefinito”».

17 come sempre, l’esemplificazione tiene conto di parlato effettivamente reperito: tuttavia la cancel-lazione del che è senz’altro prevedibile anche per realizzazioni introdotte da attributi speculari a quelli previsti dalle nostre testimonianze (facile / difficile; giusto / sbagliato; possibile / impossibile; meglio /

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È facile [= è probabile; dobbiamo aspettarci] ci sia da chiedere il permesso (ps) non è giusto tu lo faccia te! (ps)

È capace c(i) abbia il telefono spento (ps) unn’è possibile si sia fatto solo un chilometro (ps) Puliscila, guarda, sarà meglio tu la pulisca!

una rogna: l’è uggioso… l’è meglio tu lo … [+ cong.]: lascia perdere… c’è i’ caso la mi’ mamma la foss’andata a dare cinque centesimi

c’è i’ caso un ci sia ancora nessuno (ps) l’era l’ora tu venissi a trovarmi! (ps)

è un peccato sia andata a codesta maniera (ps) è bene ci vada da solo, così impara la strada (ps)

ti ho restituito invece gli scontrini dell’acquisto scanner perché è bene li tenga tu per la garanzia (e-mail)

un sarebbe male tu ci andassi da sola (ps) capace arrivi prima lui! (ps)

Possibile un mi riesca più sciare? (ps)

un’altra tipologia di impersonali che spesso a firenze non prevede connettivo è costituita da forme che dal punto di vista semantico segna-lano il possibile configurarsi del tratto ‘opinione’ come presa d’atto di condizioni di necessità o opportunità (bisognare; importare, far comodo), o come espressione di specifiche “disposizioni d’animo” (far piacere; bastare: cfr. skytte 1983, p. 179)18:

sennò bisognava tu andessi, tu portassi tutto la mattina eh, bisognava stàssero attenti (tP)

Bisogna t’abbia una grande fiducia ’n me! Bigna [= bisogna] vad’ a mettere ’n gobbo! non importa tu stia a venire (ps)

può darsi pensasse a un’altra cosa (ps) un mi pareva i’ vero si fosse belle arrivati (ps)

anche ammesso ci sia posto, non è detto s’arrivi in tempo (ps) a me mi fa dimorto comodo vada lui (ps)

Basta ci sia un vinaio lassù, perche sennò io vo giù! Basta un ci sia l’acqua ’n corpo

bastava tu pagassi le rette, ’nsomma... fa piacere ci sia tutta questa gente! (ps) a me mi basta vu m’accompagni fino a lì (ps)

in questo quadro l’omissione può coinvolgere bisogna costruito in mo-dalità personale19:

18 all’ambito delle disposizioni d’animo possiamo ricondurre aspettare (cfr. skytte 1983, p. 316), che a firenze promuove diffusamente l’omissione del che: «mi aspettavo tu gli telefonassi» (ps); «gli toccava stà fermi con le vacche e aspettare tu l’avessi girato» (tP).

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ragazzi, io bisogna vada (ps) io bisognava sapessi subito!

Perché se la donna è intelligente, te bisogna tu abbia un linguaggio intelligente te bisogna tu ampli. ’nvece io son più stretta

1.2. Con verbo all’indicativo

la completiva, in questo caso, è introdotta da verbi di percezione, che in certi usi può configurarsi come constatazione20:

si sente siamo fiorentini!

Ho visto nel secondo tempo la squadra è andata meglio (ps) e allora capiscano tu la vòi coll’osso.

i pisani si vede facean dormire vedeano aveva dato su l’erba (tP) scommetto l’è stato lui! (ps)

io me lo ricordo gnene domandav’alla mi’ mamma ti ricordi l’avea detto c(i) andava lui? (ps)

analogamente, con costrutto impersonale:

quand’ero ragazzo io l’era sovente la ni veniva; un so: uno facea una sudata... in questo quadro tendono a presentarsi in forma ridotta (cioè con omis-sione) modalità esortative ad alta frequenza (guarda; vedrai) che prevedono l’uso figurato di verbi di percezione:

guarda l’è una bella scuola la strada, eh! guarda quello tu lo ripigli!

stai a vedere ora l’è colpa mia! (ps)

Più più... di, di... di sette lune i’ figliolo unni sta ’n corpo! fa la luna: tu vedrai la lo fa!

eh, ma tanto tu vedrai te tu mori a collotorto!

a loro volta, svincolate dal connettivo, queste forme possono proporsi come esclamazioni autonome (anche dal punto di vista intonativo), e in quanto tali ricorrere in veste di esordi e di intercalari. in questi casi la loro riproduzione scritta prevede la segnalazione di una pausa, cosa che porta il costrutto ad allinearsi con l’italiano comune, assumendo l’aspetto di unione asindetica di due frasi principali:

20 Quando invece la percezione è più orientata verso la formulazione di opinioni (parere, sembrare), il modo verbale selezionato è il congiuntivo: cfr. sopra e n. 15.

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guarda, l’è un riffaiolo! sta’ attento, ti frega!

sta’ attento te, tu va’ a gallina! [andare a gallina = ubriacarsi] sta’ attento, ti frega!

sta’ attento, ti mette fógo a forza di mangia’ a codesta maniera! vòr dire quande si mangia alla svèrta e… si mangia abbuffato: ti mette fógo!

la rinuncia al che, poi, viene spesso promossa da predicazioni di im-pronta dichiarativa (dire, sapere), e da locuzioni funzionalmente analoghe (per dire; va a finire; manca poco; meno male):

Quande uno dice gl(i) ha molti mali, e’ fa [= dice]: se’ come i’ ciuco di saettone. gl(i) avea cento mali sotto la coda!

avevan detto andavan loro

so c(i) avea da fà delle cose in casa (ps) lo sapevo tu ce l’avevi te! (ps) lo sapevi venivan anche loro? (ps) dice gl(i) ha bisogno d’un tornitore dice la mi’ mamma assomigliava a coso Perché dicean venian più forti qualcheduno dice li comprano a metri lo dicevo io l’era stato lui! (ps) m’ha detto veniva (ps)21

Per dire c(i) ha una fragranza cattiva

e dire l’era tanto bono quando l’era piccino! (ps) s’andàa a finire si mangiàa poco e nulla

va a finire – dice – tu fa’ com’i’ moscon d’oro, cioè a dire i’ moscon d’oro normal-mente va nella merda, ni’ merdaio: quindi tu va’ a scegliere dopo tanta... i’ peggio che ci sia, magari...

doveva dar l’impressione gli era sudicia

va bene tu avevi fame, ma qualcosa ce la potevi lasciare! (ps) meno male c’è il notiziario ci salva! (controradio)

meno male vu ci siete voi giovani (cei Bg) meno male tu dici polenta

via, meno male i’ Papa un mi sente (cei Bg) sicché io manca poco mi si piglia male!

come si noterà, il fenomeno tende ad attivare nella sintassi una deriva coordinante, al punto che, per esempio, modalità esplicative come vuol

21 È interessante osservare, nella scrittura semicolta di elio Bartolozzi (cfr. Bartolozzi 2012), la presenza dell’omissione insieme alla formulazione personale, dunque “anti-fiorentina”, del presente indicativo di prima persona plurale: «noi avevamo paura perché ci avevano detto se scappava qualcuno fucilavano i rimanenti» (a p. 17 del Quaderno). la costruzione personale (avevamo paura rispetto al tradizionale e consueto s(i) aveva paura) è infatti il segno di una volontà di distanziamento da un tratto del parlato locale avvertito come inopportuno nella scrittura: questa stessa preoccupazione, tuttavia, non porta a “ripristinare” il che, a conferma della mancata percezione dell’omissione come elemento marcato, che dunque può tranquillamente intervenire nella pagina scritta di elio.

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dire e vale a dire, diventano, sul piano sia semantico che sintattico, più o meno equivalenti a cioè22:

anche quella l’era una cosa sui’ vino: gl(i) ha vortato. vòr dire un era più lui. sì, volea dire l’avea bevuto troppo

io l’ho messa ’n guazzo: voleva dire l’ho messa ’n un liquido intinto vol dire tu se’ propio: mézzo!

vor dire incominciare una cosa, mariméttela vol dire la unn’è più intera, ecco. (r. chiede il significato di pancone) vol dire l’è pinzo, un pane pinzo [= poco lievitato]. vòr dire un tu te la levi mai. Pecché i’ prosciutto l’è salato, allora… dice: si vol levar la sete con i’ prosciutto.

vol dire a que’ tempi c’era una gran fame

vorrà dire saranno più morbidi per capodanno! (cei Bg)

i’ ganzo l’era in senso dispregiativo, val a dire era un amante che ’nsomma: era e non

era… mentre i’ damo – e vengo a i’ discorso! – quande quello aveva fatto entratura [fare entratura ‘fidanzarsi ufficialmente’] quello automaticamente diventava i’ damo, l’eventuale sposo!

icche fo? me le friggo! me le friggo: val a dire un le posso adoprare!

val a dire sono molto... volgarmente – parafrasando – si potrebbe dire: sono culo e camicia

la rinuncia al che dopo vuol dire / vale a dire segnala dunque l’imporsi di un andamento coordinato, per cui l’esplicativa rappresenta di fatto una riformulazione23. del resto, la deriva coordinante che assumono a firenze

queste modalità esplicative è confermata, a suo modo, dalla formulazione di ‘cioè’ come cioè a dire:

se’ come i’ ciuco di saettone. gl(i) avea cento mali sotto la coda! [...] era uno che c(i) avea un ciuco, sì. avea cento mali sotto la coda, cioè a dire era pieno di guai

cioè a dire non ho avuto voglia di fà nulla, ni’ senso di... lo potre’ dire anche ora: mi son butta(t)o propio sull’imbraca! [...] io oggi – guarda – mi butto sull’imbraca [...] e non fo nulla, ecco.

in ogni caso la possibile occorrenza, nello stesso brano, di omissio-ne e conservazioomissio-ne del che, oltre a segnalare la normale disponibilità di entrambi i tratti nel parlato fiorentino, sembra talora il risultato di una diversa scansione dell’enunciato, con il che ad annunciare la volontà di procedere a una più accurata riformulazione24:

22 in qualche caso, comunque, vuol dire può essere interpretato come predicato di soggetto: cfr., tra gli esempi che seguono, «mariméttela vol dire la unn’è più intera».

23 Vale a dire, dunque, parrebbe modalità coinvolta in una deriva lessicalizzante (= cioè), e tuttavia l’omissione non è da considerare tassativa, visto che specifiche condizioni di marcatezza (controllo stilistico, necessità di enfasi) possono infatti suggerire il mantenimento del connettivo (vedi in seguito: «vale a dire che non c’è un comportamento...»).

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d’aprile ogni gocciola mille lire! [...] Perché, val a dire è, che è proprio necessaria, no? analogamente (ma seguendo un percorso inverso) la presenza e la suc-cessiva cancellazione del che nella locuzione dichiarativa sembrano da riferire al progressivo allentarsi del controllo sull’enunciato:

Quelle due persone, so che si conoscono ma son grossi fra loro, val a dire che non c’è un comportamento, son grossi fra sé, perché hanno magari litigato, non tanto tempo fa, per cui son rimasti grossi, val a dire ancora non si son rappacificati.

come si vede, a un esordio in cui il parlante si sforza di restituire il senso dell’espressione ripensandola e riformulandola (son grossi = non c’è un comportamento), sembra corrispondere una scansione dell’enunciato verificabile proprio dalla realizzazione del che; successivamente il bra-no, proprio a partire dal recupero della formulazione iniziale (son grossi fra sé), e dalla sua contestualizzazione in termini di esperienza concreta (magari hanno litigato, non tanto tempo fa), sembra ritrovare scioltezza, e il che può allora dileguarsi, lasciando dietro di sé un vale a dire che, connettendosi senza intermediari alla subordinata, tende ad assumere i connotati di congiunzione dichiarativa analoga a cioè.

il diffuso orientamento fiorentino a sacrificare il connettivo all’interno di modalità esplicative ad alta frequenza trova conferma nella semplificazione a cui può andare incontro il costrutto impersonale (l’)è segno (che):

l’è segno la ti vol fa capire qualche cosa (ps)

Quando uno unn’è ne’ su’ cenci l’è segno o un si sente bene, o qualcosa un va25

1.3. l’omissione del connettivo è ben testimoniata anche nella mimesi linguistica proposta dal teatro “vernacolare”26, a conferma del suo essere

percepita, di fatto, come modalità in grado di riprodurre efficacemente movenze tipiche del parlato locale. si vedano, in ordine sparso rispetto alle tipologie che abbiamo fin qui individuato, alcune battute dell’Acqua cheta (ac) di augusto novelli (1908) e del Bisnonno Garibaldo (Bg) di dory cei (ed. 1989) in cui l’ellissi del che sembra correlarsi all’espressività delle battute:

25 in ogni caso, l’uso fiorentino non esclude, qui come altrove, il mantenimento del connettivo. si cita sempre da Pf: «se l’è abboccato l’è segno che l’è belle, comincia a partire»; «l’è appannatotta, quella lì: l’è segno che l’era grassa». Per una valutazione in chiave stilistica dell’alternanza tra omissione e mantenimento, cfr. infra, e 3.1.

26 sulle procedure mimetiche messe in scena dal teatro dialettale di area toscana, cfr. Binazzi-calamai 2003.

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che crede un si sappia? (novelli ac)

che frustate! … scommetto rigirerebbe anche i’ bacchetto. (novelli ac) tu lo sai dopo mangiato gli do’ [= duole] sempre lo stomaco (novelli ac)

scommetto la testa [che] gliè staco qui [che] s’è scordaco dello strumento! (novelli ac) lui figurati un le volea vedere le donne (cei Bg)27

il fenomeno, comunque, compare già nella Crezia dello zannoni: vo’ lo sapeche le disgrazie le son come le ciliegie28

la cancellazione del che, del resto, è quasi tassativa nella formulazio-ne fiorentina delle interrogative retoriche, che i parlanti, sfruttandoformulazio-ne il carattere esclamativo, sono soliti esibire come modalità vistosa di autori-conoscimento29. a questo proposito possiamo riportare senz’altro tutte le

occorrenze di questa formulazione che si incontrano nel saggio a stampa del vfc pubblicato come Parole di Firenze (Pf):

un tu lo vedi t’hai le gore a codesto coso?

o un tu lo (v)edi costì t’ha’ fatto come meino, da una trave t’ha’ fatto un nottolino! o sta’ zitto te, tu ti se’ le(v)ato ora, un tu lo (v)edi t’ha’ ancora gl(i) occhi tra ’ peli? lasciala perdere un tu lo (v)edi la sembr’una rifricolona: tutt’addobbata...

un tu vedi sembra ciucciato dalle streghe? anche chesta figliola, poeretta, sì, ciucciata dalle streghe perché...

o che ti garba chello lì, un tu vedi regge l’anima co’ denti? o un tu lo (v)edi è di(v)entato un, una pentola senza manico!

di fatto, soltanto in un caso, in PF, l’interrogativa retorica introdotta da non lo vedi prevede l’espressione del connettivo:

ma sìe, un tu vedi che l’hanno i’ gozzo pieno! ecco.

anche in questo caso il costrutto non poteva sfuggire alla

drammatur-27 come succede per le modalità esortative ricordate sopra, figùrati, seguito da una pausa che ne segnala l’isolamento prosodico dal testo seguente, ricorre anche con la funzione di esclamazione auto-noma, e in questa veste lo troviamo riprodotto nelle scritture teatrali con il supporto di accorgimenti ortografici che fanno rilevare proprio la pausa successiva: «figùrati, ce n’avevo cinque soli» (cei Bg). lo stesso succede per badi (‘faccia attenzione’ = ‘tenga conto; consideri’): «ma la badi, pulito pulito unn’è nemmen quello» (novelli ac). una resa di figùrati che ne rileva la funzione prevalentemente esclamativa è anche nelle seguenti testimonianze di Pf: «centòri si dice che gl(i) è, figùrati, quest’affare è centori rispetto a quell’altro!»; «l’insalata… madonna, – dice – l’insalata… figùrati! un fa collottola!». si tratta di usi, del resto, rilevati anche negli spogli del gdli (cfr. figurare, § 12).

28 in genere lo zannoni ha cura di segnalare le eventuali pause intonative (cfr. «e sapeche, me ne ‘mporterà dimoitto»: i,9): l’assenza, nel nostro caso, di segni interpuntivi, sembra dunque escludere che si possa essere in presenza di frasi coordinate (rappresentabili per esempio come: Vo’ lo sapeche,

le disgrazie son come le ciliegie).

29 Per il modo in cui il parlato fiorentino manifesta, a diversi livelli di consapevolezza, il senso di appartenenza dei parlanti, cfr. Binazzi 2009.

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gia vernacolare, e alla sua continua ricerca di modalità che favoriscano l’instaurarsi di un clima di particolare confidenza linguistica con il pub-blico:

O t’un lo ’edi t’ha’ ancora gli occhi tra’ peli!30 (Novelli AC)

La un vede c’è anche la stampa? (Novelli AC) Un tu lo vedi e’ regge l’anima co’ denti? (Cei BA31)

2. Altre subordinate32

La debolezza a Firenze del che congiunzione è ribadita inoltre dalla sua frequente omissione come introduttore di costrutti interpretabili di volta in volta come modalità causali, consecutive, finali. Si tratta, come si noterà, di casi in cui la mancata realizzazione coinvolge il che come forma di generica modalità di subordinazione (non rigidamente inquadrabile dal punto di vista logico-grammaticale, almeno secondo gli schemi tradizionali della lingua scritta), cioè come modalità di manifestazione del cosiddetto “che polivalente”, su cui torneremo più avanti in modo complessivo. 2.1. causali

Possibile in genere in questa tipologia di subordinata (Potete chiudere la finestra l’è freddo?), l’omissione, connessa a un profilo intonativo senza ce-sure33, si manifesta con particolare frequenza nelle modalità esortative:

Mettiti qui tu stai più comodo

I’ mi babbo me lo diceva: Piglia un acquerellino ti fa bene! Diamoci una mossa l’è tardi (ps)

Chiuditi la giacca fa freddo (ps)

Portati dietro l’ombrello sta per piovere (ps) Zitti un si sente nulla! (ps)

Forza ci si fa! (ps)

30 Come si sarà notato, anche nelle risposte del VFC l’espressione avere gli occhi tra i peli compare in questa formulazione espressiva, che evidentemente viene vissuta come una particolare “regola d’uso” in grado di esprimere e rappresentare i connotati “dialettali” del contesto fiorentino. Su questo cfr. Binazzi 2002.

31 La commedia in questione, anch’essa raccolta in Cei 1989, è Barroccini di via dell’Ariento. 32 Come si vedrà, rientrano in questa esemplificazione le subordinate che Schwarze definisce frasi

aggiunto, che sarebbero caratterizzate, rispetto alle completive, da una maggiore autonomia semantica

e sintattica rispetto alla frase matrice (cfr. Schwarze 2009, pp. 303-8). In quest’ottica la frequente omis-sione del complementatore nel fiorentino potrebbe confermare il carattere di queste subordinate come modalità sintattica “giustappositiva”.

33 Diversamente, invece, una scrittura come “La ùgnene dica cosìe, la me la guasta!” (Paolieri IP) restituisce una pausa nell’andamento prosodico che, superficialmente, presenta il costrutto come giu-stapposizione di due coordinate (cfr. 2.1).

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l’omissione può poi interessare la locuzione congiuntiva: visto tu rimani a casa te, io vo a fare un po’ di spesa (ps)

dato c’era lui, io un son stato a restare (ps)

ampiamente interessato da omissione è poi il costrutto tant’è vero (che)34:

tant’è vero non ho mai dimenticato, io son sempre andat’a trovarli! tant’è vero la sera prima mi disse […]

si hanno poi esecuzioni, testimoniate anche nella drammaturgia ver-nacolare, in cui risulta di fatto sacrificata l’intera formulazione della con-giuntiva (che, ipoteticamente, potremmo ricostruire come che / dato che / visto che), mentre il nesso causale resta avvertito:

si dice ancora: diobono icché tu sei, un acquaio, tu mangi tutto… o icché vu fate in casa, un vu rispondete al telefono?! (ps) È bocciato, unn’è mai andato a scuola...

o ragazzi o icché vu’ stahe a fare, vu pareche ‘ncantachi? (Paolieri iP)

vieniche ia, un di voattri, vo’ m’aitache fa’ l’utima carica di bigoncie, tra poco ghi è buio (Paolieri iP)

2.2 consecutive

in questi casi a firenze la rinuncia al che, unita ancora una volta all’as-senza di pause, sembra quasi tassativa:

zoppico oggi paio un paraplegico (e-mail) avea un naso sembrava un quarto d’agnello! corre pare caricato a molla!

Parlava sembrava briaco c’è un freddo si more (ps) c(i) ho una fame un ci vedo (ps)

c(i) ho una buca nello stomaco unne posso più c(i) ho il telefonino un si vede nulla! (ps) un manifesto ci sta gl’è un incanto, lì! c’è un giardino ti fare’ vedere! (ps) fa certi discorsi un si capisce nulla! (ps)

me la metti te la giacchetta a posto io vo in cucina? (= così vado direttamente...) (ps) «Bambini piangete la mamma ve lo compra!» (ps)35

34 l’inserimento della locuzione tra gli introduttori di “causali” è legato al fatto che, dal punto di vista concettuale «tant’è vero che codifica tra i contenuti delle due frasi che collega un motivo di dire, cioè un tipo di rapporto causale che si instaura tra ciò che il mittente dice ed il motivo che lo porta a dirlo, che costituisce al contempo un sostegno argomentativo a favore di quanto detto» (mazzoleni 2009, p. 1085).

35 si tratta, come si noterà, dell’esortazione scherzosa, e cristallizzata, che i venditori di dolciumi delle fiere rivolgono ai potenziali acquirenti della propria merce.

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2.3 finali

il modo della subordinata è obbligatoriamente il congiuntivo: sta’ attenta un ti caschi di sotto, codesto vaso! (ps)36

2.4. si ha omissione del che, poi, in locuzioni incidentali (a parte che / parte che) ed eccettuative (non c’è altro che, a meno che, solo che)

a parte erano libri anche d’avventure a parte la c(i) aveva... era tutta naso...

a parte canta l’è più riferito al cocomero. Quando canta, quando... [batte la nocca sul tavolo] eh! Quando canta...: ’sto cocomero l’è bono, perch’e’ canta.

a parte lo diceano quando ancor un ero nato io, codesto. a parte gli si dice: sembra la madonna di lùrdesse! ora, a parte si porta tutte ’ pantaloni.

Parte l’aveva i’ babbo ch’e’ facev’i’ cenciaiolo, probabilmente c’era questa polvere Parte è pericoloso, ora nelle rificolone, ha’ visto? i ragazzini c(i) hanno la cerbottana colle palline di coso... se ti pigliano ’n un occhio...! te lo sistemano, eh!37

in questa locuzione l’assenza del che parrebbe maggioritaria38, al punto

che la locuzione stessa viene a configurarsi come forma autonoma: del resto, il ricorrere frequente, dopo a parte, di una pausa restituisce una percezione del modo non tanto come forma subordinante, ma come au-tonomo introduttore di una parentetica (dal valore analogo a del resto):

a parte, t’ho detto… io avevo quello… e fatto cosi… e cosi…. c’e una cosa che pe(nde)… e s’attacca.

mi dà una scopa? Però, probabilmente, quelle di vent’anni – a parte, chi le compra, ma ’nsomma – o anche di trenta, e’ le chiameranno scopa, però era la granata.

a parte, non ha bisogno, magari.

a parte, io dico sempre [quando vedo una scia di bava sulla verdura]: gua’ qui c’e stah’una chiocciola.

non c’è altro sia andato a trovare la nonna (ps) non c’è altro piova, e allora son guai

c’è un vinaio ancora in via de’ neri, in cui c’è scritto: vino a mescita. mi sembra, eh, a meno un l’abbin levato

36 in Pf troviamo invece un caso, “inverso”, di mantenimento: «Bada che un ti caschi su un pie-de!».

37 le rificolone sono lanterne di carta decorata che, appese ad una canna, i bambini di firenze tra-dizionalmente portano in strada nei giorni di settembre in cui si festeggia la natività della madonna, e che altri bambini si divertono a bucare colpendole con “proiettili” soffiati dalle cerbottane.

38 in Pf si osservano solo due mantenimenti: «a parte che noi si dicea meglio...; a parte che poi in quarta un si parte!».

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se tu passi i’ semolino da un colino, e’ passa tutto, a meno un sia particolarmente fisso… fitto.

solo la sbriciolona piace di più [= solo che la sbriciolona (‘tipo di salume speziato con finocchio’)... ‘però la sbriciolona...’])

ancora, il mantenimento del che – peraltro sempre possibile come va-riante “libera”39 – sembra correlato in genere a momenti più controllati

dell’esecuzione, come può succedere, per esempio, quando un intervi-stato, introdotto in una prospettiva “metalinguistica”, scandisce di più l’enunciato nel tentativo di chiarire il senso dell’espressione su cui sta riflettendo:

l’ho sempre sentita dire... Però i’ significato... tanto more a collotorto! o a meno che un voglia significare che quello more d’un colpo, perché gli danno gl(i) accidenti!

Quando c’è la neve, e la comincia a sciogliersi […] un c’è altro che sia quella lì. ma allora si dice la melletta: la neve l’è andaha ‘n melletta.

sono i piscialletti, come si chiamano? Quelli gialli... un c’è altro che siin quelli lì. in questo contesto la ricerca delle parole giuste per spiegare il significato di un’espressione può condurre, contemporaneamente, al mantenimento del che e alla produzione di una pausa:

no, non si dice, almeno che… a meno che…che sia tutto rilassato, all’imbraca, e che unn’ha voglia di chiacchierare…

Però nàchero è più affettuoso... davvero. Più affettuoso nàchero, dai. a meno che... l’è come bischero.

3. Condizioni di marcatezza

nel parlato – e nelle scritture che, com’è il caso del teatro vernacolare, si propongono di realizzare in chiave più o meno espressiva una mimesi dell’oralità – l’omissione non sembra rappresentare necessariamente la cifra stilistica di un livello particolarmente informale, e allo stesso modo non è riconducibile all’uso di una determinata classe di parlanti: si tratta infatti di un fenomeno sostanzialmente trasversale sul piano socio-stilistico, che parrebbe semmai favorito da condizioni soprasegmentali qual è la velocità dell’enunciato. l’omissione, cioè, sembra risentire positivamente della speditezza dell’esecuzione, che però non è – almeno, non necessa-riamente – il sintomo di una particolare trascuratezza dell’atto, e tanto meno di una bassa estrazione socio-culturale.

39 Per esempio, quando si lega a personali “stili prosodici” che prevedano una scansione più marcata dell’enunciato (cfr. infra).

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del resto, il fatto che, come si è visto, l’assenza del connettivo possa incontrarsi a firenze allo stesso modo nella lingua “media” dei giornali (secondo il paradigma previsto anche dal “neostandard”: «spero tu muo-ia») e in costrutti incaricati di esprimere appartenenza (e che in questo senso costituiscono “atti dialettali”: «o un tu lo edi la sembr’una rifri-colona?») restituisce l’immagine di un fenomeno che, assecondando la classica configurazione dei tratti locali non percepiti, in toscana, come marcati, si trova a suo agio nei registri informali come in quelli (mediamen-te) sorvegliati: in questo quadro il fenomeno speculare (nel nostro caso, la conservazione del che) tende, per la nota inversione delle condizioni di marcatezza in toscana40, ad assumere i connotati di tratto

consape-volmente utilizzato in chiave stilistica. in particolare, contemplando in genere un profilo prosodico caratterizzato da una più marcata scansione dell’enunciato, la conservazione del che può essere la spia di una volontà di sottolineare enfaticamente il messaggio (che in questo senso appare più “controllato”).

alcune battute del monologo Benvenuti in casa Gori (1986), in cui l’atto-re-regista alessandro Benvenuti dà voce di volta in volta ai dieci personaggi previsti dal testo, sembrano rappresentare bene questa dinamica41:

danilo Babbo!... oh!... ma datti una regolata, eh!

gino o imbecille! una regolata?! ma che credi che ci abbia il potenziometro per regolarmi?... che credi sia facile per me e per la tu’ mamma ‘regolarsi’?

nell’alternanza tra mantenimento e omissione è la presenza del che a configurarsi come tratto stilisticamente marcato, nella misura in cui pre-suppone una maggiore scansione dell’enunciato, in grado di evidenziarne espressivamente il contenuto. anche per questo, il tipo con omissione (nel caso che stiamo considerando, «che credi sia facile?») è da ritenere quello non marcato, e non a caso torna nella battuta immediatamente successiva («ma che credi m’offenda?»), mentre il mantenimento, che in questo caso comporta oltretutto un “pesante” ripetersi di che in rapida sequenza, risulta parallelamente come esito anomalo, e in questa prospet-tiva stilisticamente marcato.

a questo proposito, l’accumulo di che indotto dalla sua presenza an-che in esordio, prevista dalla modalità fiorentina di formulazione delle interrogative, determina di per sé una condizione di particolare debolezza per la seconda occorrenza del che, che in questi casi – come succede per l’italiano42 – viene spesso sacrificata:

40 cfr. agostiniani 1988.

41 cito da Benvenuti-chiti 2011, p. 55.

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che l’ha’ visto l’era lì sull’uscio?

la stessa tendenza a semplificare la serie omettendo la congiunzione compare anche nelle esclamative aperte da che con valore di attributo:

noi si dicea meglio: vedessi che culo la c(i) ha, lei lì! che pezzo di mota tu sei! (ps)

si possono far rientrare in questa tipologia anche espressioni esclamative riconducibili a una matrice sintattica che + sost. / agg. + che + essere:

Pena poco e mangia: ohi ohi ficoso [‘incontentabile nel mangiare’] tu sei! (ps) altrove, infatti, troviamo, con mantenimento del che, la modalità sin-tattica in questione, peraltro condivisa con l’italiano:

sì. Perché a me me lo dicea sempre i’ mi’ babbo: che ficosa che tu sei! Quello un ti va, quell’attro un ti va…

in ogni caso, proprio per la solidarietà che tende a stabilire con la ve-locità di esecuzione (che naturalmente è a sua volta disponibile ad essere utilizzata in chiave stilistica), l’omissione può anche rappresentare una possibilità del sistema fiorentino che alcuni parlanti praticano e altri meno, proprio in osservanza dei diversi “stili” prosodici che caratterizzano il loro parlato. si hanno così parlanti che, nelle nostre testimonianze, mantengono pressoché costantemente il che (anche se questo, come succede nel primo esempio qui sotto, determina un ricorrere in sequenza del tratto):

Perché… quande i’ vino e’ comincia a dà barta [‘inacidire’ (lett. ‘ribaltarsi’)], che poi va a finire che diventa aceto… e giù giù

’nvece io, lo sai come l’ero? ero la più grande e tutte le córpe l’eran mia. andava a finire che l’ero sempre… che facevo sempre io.

in tempo di carestia l’è bon i’ pan di vecce. Queste vecce l’è un’erba che…, che significa, vòr dire che uno s’adatta anch’a, a… a un… a un pane povero.

vol dire che uno l’è vispo, cahito (= capito)?

val a dire che a un certo momento uno che mangia dimórta insalata: eh... non ingrassa! Questo c’è ancora... abbass’il galletto! a parte che noi si dicea meglio...

4. L’omissione nel “neostandard”

le testimonianze di cui si renderà conto non sono il frutto di uno spo-glio sistematico, ma sono state per così dire sorprese nel loro apparire, nel corso dell’ultimo decennio, nei moderni media (linguaggio giornalistico di

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quotidiani, a stampa e on-line, parlato trasmesso di emittenti nazionali, ecc.)43.

dopo una rassegna delle omissioni rinvenute nell’italiano medio con-frontabili con quelle che abbiamo visto fin qui operare nel fiorentino, si osserverà il parere che, sul fenomeno esemplificato dalle testimonianze, forniscono rispettivamente la Grammatica italiana di serianni (gi) e la Grande Grammatica Italiana di Consultazione di renzi e altri (ggc). 4.1. come il fiorentino, il neostandard sembra prevedere diffusamente l’omissione in completive introdotte da verbi di opinione, con verbo al congiuntivo44:

credo ci sia un motivo preciso dietro questa decisione (la repubblica) spero volandri non sia quello visto oggi (la repubblica)

«spero tocchi a marina, o forza italia finisce»45 (la repubblica)

Penso la nostra decisione sia inevitabile (repubblica.it)

immagino siano dispiaciuti di star fuori, ma il calcio è anche questo (la repubblica) immaginiamo io sia un imprenditore (pubblicità radiofonica)

temo non ci sia più tempo (corriere.it) non avevo dubbi facesse bene (repubblica.it)

«mi rammarico non ci sia stata un’intesa»46 (radio capital, gr)

dicevano avesse una particolare predisposizione (la repubblica) «dicevano costassi troppo» (gazzetta.it)

aspettando ritrovi la salute (la repubblica)

come a firenze, l’omissione interessa le completive volitive: [il Pd] voleva si votasse a scrutinio palese (radio capital, gr)

43 allo stesso modo in cui il reperimento delle omissioni non è stato sistematico (cioè non ha previsto lo spoglio integrale di una o più testimonianze di “italiano neostandard” in un determinato arco tempo-rale), ad esso non si è affiancata – se non occasionalmente – la registrazione delle testimonianze, per così dire “inverse”, di attestazione del che nei medesimi contesti. del resto, come si è rilevato per il fiorentino (cfr. n. 11), l’interrogazione automatica di corpora è complicata perché si tratta di verificare l’assenza di un tratto. eventualmente, si possono scegliere forme e modalità introduttive che possono essere seguite da ellissi (cfr. infra, nn. 49, 57), ma questo non consente di procedere a una verifica sistematica.

44 da questo punto di vista, dunque, l’omissione funziona da presidio per la conservazione del con-giuntivo nelle completive. come si ricorderà, nilsson-ehle 1947 parla in questo caso di “completive giustapposte”. cfr. anche Jamrozik 2009. l’omissione, semmai, sembra meno “regolare” (anche se, come mostrano i nostri esempi, ben praticata) in caso di distanziamento tra reggente e predicato della subordinata: «spero che domattina faccia una telefonata agli amici» (la repubblica). Per quanto riguar-da i riferimenti semantici riconducibili ai “verbi di opinione” rimando a quanto osservato a proposito dell’omissione nel fiorentino (cfr. 1.1 e note 15, 18).

45 dichiarazione attribuita a francesca Pascale, compagna di silvio Berlusconi, e utilizzata come titolo (24/03/2014).

46 dichiarazione di annamaria cancellieri nel periodo in cui era titolare del dicastero della giu-stizia.

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anche nel neostandard, l’opinione può essere formulata attraverso mo-dalità impersonali:

ma è terribile sia stato costretto ad andarsene (corriere.it)

ma gli uomini sono diversi, è giusto usino la loro diversità e facciano quello che cre-dono (corriere.it)

sarebbe stato meglio te l’avesse dato47

come nel fiorentino (cfr. 1.1.1), si possono produrre costrutti ellittici nominali:

Possibile fosse un mezzo della base di aviano (repubblica.it) «Possibile non si accorgano che sto per morire?» (la repubblica) Peccato non ci sia nessuno! (pubblicità radiofonica)

Peccato le cose siano andate diversamente (la7.it) «giusto vada altrove» (repubblica.it)

«giusto abbia pagato» (corriere.it) meglio non si faccia niente (repubblica.it)

va rilevato che l’omissione, con la particolare sintesi comunicativa che produce, può rispondere con efficacia anche all’esigenza di concisione imposta dal particolare “impaginato”dei quotidiani on-line: succede così che una stessa affermazione compaia in funzione di titolo con ellissi del che (e della copula: «giusto vada altrove»), per poi ripresentarsi nel cor-po dell’articolo corredata di connettivo (e di copula: «è giusto che vada altrove»)48.

nei media considerati, l’ellissi mostra una certa ricorrenza dopo moda-lità dichiarative che introducono subordinate con verbo al futuro:

sapevo ci sarebbero stati momenti duri (repubblica.it) si sapeva avrebbero fatto questa proposta (corriere.it)

mentre il materiale cartaceo, preziosissimo, si dice verrà affidato a una fondazione (L’Indice dei libri del mese)

4.2. Per quanto riguarda altre tipologie di subordinate, non sembrano prevedere presenza di connettivo le concessive introdotte da nonostante e malgrado49:

47 l’esempio è tratto dall’edizione italiana (Bompiani) del romanzo breve di John steinbeck Uomini

e topi, (traduzione di cesare Pavese, 1938), poi ripubblicato, con la stessa traduzione, fino all’edizione

2012, da cui si cita.

48 allo stesso modo, la dichiarazione-titolo «dicevano costassi troppo», nel corpo dell’articolo di-venta «dicevano che ero costato troppo» (gazzetta.it).

49 cfr. gi Xiv, § 179. d’altra parte nonostante e malgrado, come anche le altre congiunzioni che introducono concessive al congiuntivo (benché, sebbene, quantunque, ecc.) sono poco praticate dal

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nonostante il governo stia approntando una manovra correttiva (tg3) nonostante i conti non tornino (repubblica.it)

malgrado abbia ampi margini di miglioramento (gazzetta.it)

compaiono poi in forma semplificata locuzioni che introducono dichia-rative proposte in chiave esclamativa: è il caso di per fortuna («Per fortu-na c’è Balotelli»50), evidentemente in fase di progressivo consolidamento

come avverbio tout-court, sebbene la locuzione, di per sé, sia in grado di introdurre una subordinata (si confronti una modalità sintatticamente e semanticamente omologa come «meno male che c’è Balotelli»).

in questo quadro si inserisce anche la rinuncia al che dopo a parte («a parte ora bisogna dire anche una cosa»51), grazie a cui, come abbiamo

osservato per il fiorentino, la locuzione viene a configurarsi come modalità (incidentale) a sé stante52.

4.3. Il parere delle grammatiche

in un quadro caratterizzato, in generale, da un progressivo indebolirsi in diacronia dell’omissione del che introduttore di completive, gi (Xiv, 59-62, 66) evidenzia specifiche eccezioni contestuali, riscontrabili nel fatto che il fenomeno «è particolarmente frequente in subordinate di secondo grado dipendenti da una sovraordinata introdotta da che (congiunzione o pronome relativo) [...], oppure da una congiunzione composta con che (affinché, perché)»53.

parlato, e dunque non sono considerabili a pieno titolo testimonianze di una varietà, il neostandard, che come sappiamo si caratterizza proprio per la progressiva “canonizzazione” di tratti riconducibili al parlato. da un sondaggio condotto sulla banca dati di riferimento del liP, cioè il BadiP, emerge che tra le quasi 500.000 occorrenze lessicali registrate, nonostante compare 35 volte (e naturalmente non si presenta solo come introduttore di concessive), malgrado soltanto 1 (e come suo malgrado). come subordinante di concessiva, nonostante sembra trovarsi meglio senza il che, indipendentemente dal luogo di registrazione (9 casi, i 2 con il che sono di registrazioni milanesi e napoletane; in dettaglio: 2 casi a firenze, sempre con il congiuntivo; 2 a milano, con l’indicativo, 3 a napoli, sempre al congiun-tivo, 2 a roma, di cui 1 all’indicativo.) Per quanto riguarda il quadro fiorentino restituito da Pf, non si registrano attestazioni di malgrado, mentre nonostante compare una volta (nonostante mi sforzi). del tutto opposto il panorama offerto dall’italiano scritto: l’interrogazione di coris – il cui corpus di riferimento, peraltro, ha dimensioni notevolmente superiori a quelle del BadiP – restituisce 2838 occorrenze di malgrado e ben 11.130 di nonostante.

50 fonte: gazzetta.it. come esempio di mantenimento del che in questa locuzione si può ricordare il ritornello della canzone “il riccardo” del milanese giorgio gaber (1969): «ma per fortuna che c’è il riccardo / che da solo gioca a biliardo / ecc.».

51 radio capital, testimonianza di area romana. allo stesso modo, un altro parlante romano in-tervistato dalla stessa emittente, ha proposto l’omissione dopo a prescindere: «ora, a prescindere io preferisco il proporzionale».

52 nel neostandard, del resto, sembra farsi strada una certa tendenza a semplificare le locuzioni congiuntive in genere: per esempio cancellando il se in come se e anche se («come si trattasse di altro»; «anche non fosse stato lui»: repubblica.it).

53 gli esempi riportati da serianni sono rispettivamente «altrimenti si aprirebbero situazioni che non nascondo sarebbero difficili» e «in secondo luogo marx mi ha insegnato – perché credo sia lui ad

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in sostanza, per gi questa omissione nell’italiano contemporaneo sareb-be sostanzialmente funzionale (e in questo senso continuerebsareb-be a mostrare una notevole vitalità) all’obiettivo di evitare l’accumulo di che in sequenza, come succede anche in modalità esclamative quali «che disgrazia ci è ca-pitata!»; «che paura abbiamo avuto!», dove il primo che, in quanto tale, svolge funzioni di aggettivo esclamativo (quale)54.

gi rileva peraltro che il fenomeno dell’omissione non è invece pre-visto in alcuni costrutti interrogativi retorici ad alta frequenza (che vuoi che faccia? che cosa vuoi che dica?): questi casi, dunque, costituirebbero un’eccezione rispetto alla tendenza, come si è appena visto variamente attestata nell’italiano contemporaneo, di evitare sequenze di che.

da parte sua ggc indica come condizioni per l’omissione del che subordinante la presenza di una oggettiva in senso stretto, dipendente da un verbo d’opinione55, e non da un nome («immagino gianni sia già al

corrente della novità» vs *«c’è la possibilità gianni sia già al corrente delle novità»56). osservando che l’italiano antico non condiziona questa

ellissi alla presenza di verbi di opinione, né prevede – a differenza dell’ita-liano contemporaneo – l’obbligatorietà del congiuntivo nella subordinata, anche ggc prefigura di fatto una maggiore e più articolata vitalità del fenomeno nel passato.

Quanto alla cancellazione del che nelle due diverse tipologie di com-pletiva, che ha per correlato l’obbligo di congiuntivo nella subordinata, gi rileva semplicemente che la sintassi del fenomeno nelle soggettive ricalca quella delle oggettive, mentre ggc contempla esplicitamente la grammaticalità del fenomeno, oltre che per le completive “volitive”, anche per le soggettive introdotte da verbi inaccusativi o da alcune modalità impersonali57.

averlo inventato». Per la prima tipologia di omissione riporto anche il brano da una mail ricevuta di recente: «ecco il frammento che le dissi potrebbe, forse, servirle».

54 testimonianze riportate dal tg3 dopo il terremoto che ha colpito olbia nell’agosto 2013. 55 «i principali verbi che possono reggere una oggettiva temporalizzata senza che sono: capire, credere,

dire, pensare, temere, sperare, escludere, immaginare, dubitare, ipotizzare, arguire, dedurre, concludere, supporre, pretendere, trovare, ecc. si tratta di verbi di opinione, più sperare e temere» (ggc vol. 2,

Xiii.1.1.3.2.4.). in precedenza (viii, 2.1.5) ggc aveva già parlato della “grammaticalità” dell’omissio-ne della congiunziodell’omissio-ne dell’omissio-nelle completive volitive («speriamo gli faccia piacere»; «telefonò … pregandolo gli confermasse l’incarico»; «non vogliamo ci sfugga niente»).

56 l’esempio, peraltro, sarebbe del tutto accettabile nel parlato di firenze (così come, ad esempio,

ho l’impressione ci stiano prendendo in giro).

57 cfr. 2.1.5: «Basta legga le istruzioni»; «occorre ci sia una sorgente di energia»; «non era necessario lo facesse»; «non c’era bisogno tu spendessi tanti soldi». naturalmente sarebbe interessante conoscere le fonti delle attestazioni di ggc, che, sulla scorta degli esempi riportati, parla della possibilità di omissione sia negli usi letterari che in quelli parlati. Per quanto riguarda il parlato, infatti, BadiP registra, per queste reggenze: basta soltanto con che; occorre soltanto con che (3 casi: mi); essere

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neces-neri binaZZi 276

nel quadro dei costrutti impersonali nei quali l’omissione del che è prevista fin dalle origini (i predicati nominali costruiti con qualitativi come giusto, meglio, ecc.), le grammatiche consultate (e anche gdli) non pre-vedono esplicitamente l’omissione della copula, che invece parrebbe dif-fusamente praticata nel neostandard, magari per esigenze di espressività («giusto abbia pagato»; «Peccato non ci sia nessuno!»).

in definitiva, sebbene, rispetto al fiorentino, mostri un paradigma meno esteso di cancellazioni, il neostandard – che oltretutto, si ribadisce, in questo lavoro appare rappresentato in modo poco più che occasiona-le – sembra comunque condividere con firenze omissioni, come queloccasiona-le rappresentate in 4.2, di cui le grammatiche dell’italiano contemporaneo, evidenziando la presenza del fenomeno solo nelle completive, non rendono testimonianza. nella lingua comune, dunque, la rinuncia al connettivo potrebbe essere meno residuale di quanto, grammatiche alla mano, si potrebbe credere.

I luoghInon condIvIsI (oquasI)

È ora il momento di passare in rassegna l’altra tipologia di omissione che interessa massicciamente il parlato fiorentino e che, a differenza di quella vista finora, il neostandard sostanzialmente ignora. si tratta della frequente rinuncia al che nelle sue funzioni relative (e “pseudo-relative”)58.

1. casi diretti

1.1. assenza di che relativo in funzione di nominativo ampolloso l’è uno si dà dimort’arie!

l’è una persona si dà un po’ di arie

i’ bìndolo l’è uno si gingilla, ma i’ bindolo l’è anche uno un paga ‘ debiti

sario 1 caso, con che (rm); non esserci bisogno, sempre con che (3 mi, 1 rm); per bisogna abbiamo a

fi 11 attestazioni con che e 2 senza; 1 mi, na con che. Per la lingua scritta abbiamo condotto qualche sondaggio su coris riguardo ad alcuni possibili casi di omissione con basta e bisogna (basta / bisogna

sia; basta / bisogna abbia; basta / bisogna dica; basta / bisogna legga; basta / bisogna faccia; basta / bisogna vada). naturalmente va tenuto conto del fatto che queste interrogazioni non consentono di intercettare

cancellazioni che producano sequenze diverse da basta / bisogna + verbo, mentre la sequenza può essere, per esempio, basta / bisogna + pron. + verbo (basta / bisogna tu lo dica). Per basta abbiamo riscontrato 3 casi di omissione solo per basta sia (in totale, basta che genera 515 occorrenze). non si sono invece ottenute occorrenze di bisogna + verbo, mentre l’interrogazione di bisogna + che genera 361 occorrenze.

58 come si ricorderà, nell’impostazione generativista il che relativo non ha uno statuto a sé stante, ma viene assimilato a un segnale generico di subordinazione: «il che non va considerato un pronome relativo vero e proprio, ma la congiunzione che introduce tutte le frasi subordinate non interrogative, o non già introdotte da un pronome interrogativo o relativo» (cfr. ggc vol. 1, iX.1.1.6.5.).

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vol dire una persona unn’arriva mai

io penso gli stia a intènde codesto, lo zorfinaio: uno vendea fiammiferi. sennò quello da(v)a lo zorfo a’ pisciatoi

ripeto: io ho avuto ’ genitori gl(i) avean fatto la seconda la terza elementare m’hanno ammollaho carcosa la unn’è bona

eran gente vivevan un po’ alla – così – un po’ all’avventura Ha’ voglia te! eran quelli un avean voglia di studiare

di riff’ o di raffa: vale a dire uno vuo’ sempre ragione, capito? l’è un riffaiolo! frignolo, son quelle bolle ’ veniva… un eran bolle. una specie d’ascesso

uno ha fatto un affare gl(i) è andato male, poi a un certo momento gl(i) è quasi pe riméttesi e piglia un’altra batosta. dice: gl(i) è piovuto sui’ bagnato!

ripeto: io ho avuto ’ genitori gl(i) avean fatto la seconda la terza elementare questi l’era detti usavano un po’ di tempo fa

come si noterà anche da questa rapida esemplificazione, la rinuncia al che in funzione di nominativo è favorita dal carattere animato dell’ante-cedente; in ogni caso, va presupposto un referente concreto59.

analogamente a quanto si è visto per il trattamento di che congiunzione, l’alternanza tra ellissi e mantenimento può rimandare a un diverso con-trollo dell’esecuzione, con il che a farsi portavoce, con la sua presenza, di un bisogno di chiarire il senso della forma indagata, che porta a scandire di più, e a rallentare la velocità dell’enunciato:

trottapiano son quelle gente [- che] fan tutte le cosine piano piano, lemme lemme. sai, ecco: madonna, [- che] trottapiano [- che] l’è! o se no si pò dire anche: Pena poco, trottapiano! Perché magari l’è una perzona molto... molto apatica, ‘nzomma, ch’e’ fanno le cose troppo lentamente. son quelli che un vanno bene per me, perché io...

1.2. assenza di che relativo in funzione di accusativo

diversamente dal che in funzione di nominativo, l’omissione interessa anche riferimenti “non animati” (ma concreti) del relativo, come succe-de, nelle testimonianze raccolte per vfc, per parole e modi sottoposti a indagine:

cavare l’è una parola un s’usava, noi l’è un detto si usa tutt’ora, eh!

Però co(d)esto l’è un detto si conosce in pochi l’è un detto si usa tutt’ora

colla canizza che tu fai, lo sai i cinghiali tu butteresti fòri!

ai tempi mi ricordo io, c’era anche in famiglia mia, ora un mi ricordo chi tirava via le buccine di’ pomodoro se c’erano... Poerini, quanti fichi!

59 Quando infatti prevale il carattere astratto dell’antecedente, l’omissione sembra addirittura esclusa (son quelle bolle veniva... / l’è una bicicletta c(i) ha de’ freni speciali vs *l’anno verrà).

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neri binaZZi 278

nel coinvolgere i casi – nominativo e accusativo – che sono di per sé quelli più disponibili alla relativizzazione (cfr. Keenan-comrie 1979), l’omissione tende a sottolineare un legame tra relativa e antecedente che è caratteristico in genere delle relative restrittive (o limitative: cfr. alisova 1965). le relative interessate da omissione, infatti, si caratterizzano per una funzione identificatrice dell’antecedente che è sottolineata dall’into-nazione unitaria del costrutto, corrispondente «all’impossibilità di una pausa isolante tra l’antecedente e la relativa» (alisova 1965, p. 304)60. a

sua volta l’omissione del che, con la particolare prospettiva coordinante che impone al rapporto tra relativa e antecedente, sembra portare alle estreme conseguenze il fatto che «[l]a relativa limitativa, formando con l’antecedente un costrutto chiuso, le cui parti si condizionano reciproca-mente, entra nella frase come un tutto organizzato» (ibidem).

non a caso, paiono indisponibili all’omissione le relative appositive, la cui funzione non è quella di definire i connotati semantici dell’antecedente, ma di integrarli con informazioni appunto non identificative, come dal punto di vista pragmatico indica la pausa (rappresentata dalla virgola) che precede la relativa stessa:

a casa mia [nel paniere da portare in chiesa a benedire] ci mettevano le uova con l’affarino di cristallo co i’ sale e i’ canarone, che l’era i’ limone grosso.

tu se’ più grullo della capra de’ pompieri, che l’anda(v)a a mangià l’erba ’n piazza vittorio.

negli esempi seguenti, infatti, il che “appositivo” si mantiene (e non potrebbe non farlo), a fronte della possibile cancellazione del che “iden-tificativo”:

riferito a persone generalmente di campagna, che è gente come minimo avevano una decina d’anni più di me per cui…

in via de’ serragli esisteva un medico - questo pe dire un piccolo episodio – che si chia-mava l.… ** e allora poveri, semipoveri, anche chelli... [che] stavan un pochino meglio. tutti da quest’uomo che l’era verament’una persona… meravigliosa.

se nel primo caso la cancellazione può essere facilitata dalla sua pros-simità con il che mantenuto, e dunque dal bisogno di evitare la sequenza di che, è importante notare, nel secondo caso, che l’omissione non risente della pausa («anche chelli... stavan un pochino meglio»), e dunque sembra da mettere direttamente in relazione al carattere identificativo dell’at-to, mentre il mantenimento in «tutti da quest’uomo che l’era verament’ una persona.... meravigliosa» sembra legato al carattere appositivo della

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