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"Coerenza tra valori aziendali e scelte di gestione delle risorse umane nella percezione dei lavoratori: un'analisi basata sul modello Great Place to Work®"

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Introduzione

Capitolo Primo: Il concetto di cultura ed il ruolo nello studio delle organizzazioni

1.1 Origini del concetto di cultura

1.2 L’approccio culturale allo studio delle organizzazioni

1.2.1 L’evoluzione degli studi sulla cultura nella teoria organizzativa 1.2.1.1 Le teorie classiche dell’organizzazione

1.2.1.2 La teoria dei Sistemi Aperti

1.2.1.3 La cultura come processo relazionale 1.3 Definizioni e livelli di cultura organizzativa 1.3.1 Funzioni della cultura nelle organizzazioni 1.4 Nascita e sviluppo della cultura organizzativa 1.4.1 Il ruolo del fondatore

1.4.2 Il ruolo del leader

1.4.3 La nascita e lo sviluppo delle sottoculture

Capitolo Secondo: Analisi della cultura e del clima organizzativo

2.1 I valori aziendali

2.1.1 Valori percepiti e clima organizzativo

2.2 Metodi di rilevazione e di valutazione della cultura e del clima organizza-tivo

2.2.1 Metodi quantitativi di analisi della cultura 2.2.2 Metodi qualitativi di analisi della cultura 2.2.3 Indagare il clima organizzativo

2.3 Il metodo Great Place To Work® 2.3.1 Culture Audit©

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2

Capitolo Terzo: Selezione dei valori ed introduzione alle aree di indagine secondo il modello Great Place to Work®

3.1 Introduzione

3.2 I valori dichiarati: analisi del web site 3.2.1 Metodo utilizzato per la selezione dei valori 3.2.2 I valori

3.2.3 I risultati

3.3 Analisi del Culture Audit© e Trust Index© 2016 3.3.1 Le aree di indagine del Culture Audit©

3.3.2 Le aree di indagine del Trust Index©

Capitolo Quarto: Analisi di tre medie imprese del settore Biotechnology & Phar-maceutical dichiarate migliori ambienti di lavoro in Italia secondo la classifica proposta da Great Place to Work® 2017

4.1 Considerazioni preliminari 4.2 Impresa 1 4.3 Impresa 2 4.4 Impresa 3 4.5 Conclusioni Bibliografia - Sitografia

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3

INTRODUZIONE

Ogni organizzazione nasce da un’idea o da un sistema di idee dei suoi fondatori, del suo leader, di una coalizione, che esprimono una visione.

In termini generali, ogni organizzazione nasce per divenire qualche cosa; avrà sempre una sua ragion d’essere, una sua missione da concretizzare, così come avrà sempre dei valori a cui si ispira, anche nella gestione delle risorse umane1.

Tutte le organizzazioni sono ispirate da un sistema di valori nelle scelte strategiche e gestionali e tale sistema può essere ricavato dalla cultura organizzativa.

Schein2 propone la seguente definizione di cultura organizzativa: “un insieme di assunti

di base – inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indi-cato a quanti entrano nell’organizzazione con il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”.

E’ sulla base di questa definizione che ha individuato tre livelli di analisi: gli artefatti, i valori e gli assunti base.

Gli artefatti sono il livello più visibile della cultura, come l’ambiente fisico e sociale che costruisce, ma nonostante questi siano visibili, la difficoltà risiede nell’interpretare il lo-ro significato, il modo in cui si collegano tra di lolo-ro e se eventualmente riflettono mo-delli più profondi.

Per interpretare e comprendere gli artefatti si possono analizzare i valori fondamentali che costituiscono i principi in base ai quali gli individui elaborano il comportamento. Sostanzialmente i valori identificano le convinzioni e le opzioni fondamentali su ciò che è preferibile e auspicabile nella realtà e nella vita di una specifica organizzazione. Molti valori vengono definiti in maniera esplicita, rimanendo nella sfera del conscio e possono essere sintetizzati nella filosofia dell’organizzazione e rappresentano la guida nella gestione dell’incertezza ambientale.

1 G. Gabrielli, People Management. Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, Franco Angeli, Milano, 2010, p.

28

2 E.H. Schein, Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, San Francisco, CA, 1998 trad.it. M. Decastri (a cura di) Cultura

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4 Si può trattare però di valori che potrebbero prevedere cosa diranno le persone in una serie di situazioni, ma che potrebbe essere diverso rispetto a quello che faranno nelle si-tuazioni in cui si applicano effettivamente3.

Le ragioni profonde, cioè i valori impliciti, appartengono alla sfera inconscia e vengono definiti assunti di base.

Quando un valore diventa assunto di base viene dato per scontato ed entra a far parte delle idee cui si fa riferimento in maniera inconscia, scomparendo progressivamente dalla sfera della consapevolezza, al punto che se un assunto di base viene tenuto in grande considerazione all’interno del gruppo, per i componenti dello stesso risulta in-concepibile agire in base ad altri presupposti.

Questo breve accenno teorico permette di inquadrare la presente tesi, che si concentra in un primo momento sull’importanza dell’individuazione del nucleo valoriale delle orga-nizzazioni e della loro diffusione e comunicazione all’interno del contesto organizzativo mediante le scelte relative alle politiche di gestione delle risorse umane.

Si intende quindi andare oltre l’identificazione del sistema di valori per comprendere quali di questi sono stati effettivamente agiti con tali politiche e con quali modalità. Una volta compresa questa relazione, si procede indagando su come tali valori siano ef-fettivamente percepiti dai collaboratori.

In questo senso diviene centrale il concetto di clima organizzativo, la cui analisi permet-te di comprendere le percezioni di ciascuna persona che opera all’inpermet-terno dell’impresa e quindi valutare complessivamente la coerenza tra valori dichiarati e valori percepiti. A fini di indagine della cultura organizzativa e del clima organizzativo sono stati scelti due strumenti proposti da Great Place to Work®: Culture Audit© e Trust Index©.

Il primo è un questionario che indaga sulle politiche di gestione delle risorse umane, mentre il secondo è un questionario che indaga sul clima organizzativo.

Gli esiti complessivi dei due questionari permettono di rientrare nella classifica dei mi-gliori ambienti di lavoro in Italia elaborata da Great Place to Work® .

Da tale classifica sono state selezionate tre imprese di dimensioni medie del settore Bio-technology & Pharmaceutical, quindi sono stati elaborati gli esiti dei suddetti questiona-ri con la finalità di comprendere quanto è importante la coerenza tra valoquestiona-ri dichiarati e valori percepiti al fine di poter creare un ambiente di lavoro eccellente.

3 Sono gli “espoused values” definiti da Argyris e Schon in C. Argyris, D.A. Schön, Organizational Learning II. Theory, method,

and practice, Addison Wesley, 1996, trad. it., Apprendimento organizzativo. Teoria, metodo e pratiche, Guerini Associati, Milano,

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5 Il presente lavoro si articola in quattro capitoli.

Il Capitolo 1 è dedicato alla presentazione del concetto di cultura organizzativa.

A partire da un excursus storico-antropologico sulle origini del concetto di cultura, l’analisi si sposta sul ruolo che la cultura organizzativa riveste all’interno delle teorie organizzative.

Segue la disamina delle definizioni, livelli e funzioni della cultura organizzativa per poi comprendere il ruolo del fondatore e del leader nella fase di nascita e di sviluppo della stessa. Il capitolo si conclude con un accenno al concetto di sottocultura.

Il secondo capitolo si concentra in una prima parte sul costrutto del clima organizzativo per poi spostare l’attenzione sui metodi di rilevazione e valutazione della cultura e del clima organizzativo, offrendo un quadro sui metodi quantitativi ed metodi qualitativi. Ciò si è ritenuto necessario per introdurre il metodo Great Place to Work® ed i due strumenti di indagine Culture Audit© ed Trust Index©.

Il terzo ed il quarto capitolo sono dedicati all’analisi della cultura organizzativa e del clima organizzativo di tre imprese di medie dimensioni del settore Biotechnology & Pharmaceutical.

Il terzo capitolo descrive la fase di selezione dei valori dichiarati dalle imprese sul web-site ed all’introduzione delle aree di indagine del Culture Audit©

ed Trust Index©. Si illustra quindi il metodo secondo il quale sono stati selezionati i valori, l’attribuzione dei significati per poi verificare i risultati dell’applicazione di metodo alle tre realtà or-ganizzative. Si conclude con la spiegazione dei contenuti delle aree di indagine dei due questionari.

Il quarto capitolo si focalizza sull’analisi dei risultati delle tre imprese per poi eviden-ziare la relazione che sussiste tra i valori dichiarati, i risultati del Culture Audit© e del Trust Index©.

Ciò permette di creare una base per considerazioni conclusive.

In primo luogo, un ambiente di lavoro eccellente trova spazio in un’impresa che com-prende l’importanza dell’individuazione e della comunicazione dei valori che la con-traddistinguono e ne definiscono l’identità ed allo stesso tempo pone attenzione alla percezione di tali valori da parte dei collaboratori.

Inoltre, la diffusione dei valori è agevolata da un adeguato clima organizzativo basato sulla fiducia e sull’integrità delle relazioni tra manager e collaboratori, oltre che tra i collaboratori stessi e ciò è reso possibile anche da coerenti scelte di gestione delle risor-se umane.

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6 Tra le altre pratiche, si può affermare che per la costruzione di relazioni positive, profi-cue e basate sulla fiducia all’interno del contesto organizzativo assumono rilevanza cen-trale le politiche di comunicazione ed ascolto, perché permettono di creare un confron-to, coinvolgere l’individuo e renderlo parte di una collettività, che funziona anche grazie al suo contributo.

Sempre in un’ottica di diffusione della cultura e creazione di un clima organizzativo po-sitivo, si ritiene importante anche il processo di selezione del personale, che dovrà esse-re sempesse-re più orientato a ricercaesse-re persone che “meglio rispondono alle caratteristiche

richieste in termini di potenziale di performance e probabilità di ‘sopravvivenza’ nell’organizzazione”4

.

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7

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8

1.1 Origini del concetto di cultura

Il tema della cultura è uno dei più complessi e sfumati tra tutti quelli che si incontrano nello studio delle dinamiche organizzative. Si tratta infatti di una dimensione soggettiva, informale, astratta e non razionale della vita delle organizzazioni, appartenente alla sfera del “non detto”, dell’implicito. Dare una definizione è molto complesso ed alcune delle motivazioni risiedono nel fatto che si tratta di un insieme molto ampio di concetti che spazia dai valori alle credenze, dalle conoscenze alle norme, dai simboli ai significati, dagli assunti ai modi di agire ed interpretare il mondo da parte degli individui; la cultura può essere analizzata su molteplici livelli e con diversi gradi di approfondimento ed è pluridisciplinare, dal momento che a questo campo di studi contribuisce la teologia, la psicologia, l’antropologia, la linguistica, la sociologia, l’etnografia e, come si approfon-dirà nei prossimi paragrafi, gli studi organizzativi.

Per poter analizzare il concetto di cultura ed il ruolo e significato che ha assunto nella teoria organizzativa, è necessario partire da un excursus storico e antropologico.

Il termine cultura deriva dal verbo latino “colere”, che significa coltivare, abitare, ma anche onorare, venerare, trattare con riguardo, celebrare. Coltivazione, cultura, culto ed altri termini hanno la stessa origine etimologica5, ma si può dedurre un filo conduttore tra i vari termini, cioè il riferimento ad un processo evolutivo che si può realizzare at-traverso l’investimento di risorse fisiche, ma anche mentali e spirituali della persona. In-torno alla fine del 1800, il dibattito sulla cultura assume un carattere scientifico, diven-tando oggetto di indagine di numerose discipline. La nascita del concetto scientifico di cultura si attribuisce all’anno 1871, quando l’antropologo evoluzionista Edward Burnett Tylor pubblicò la sua opera “Primitive Culture”6, in cui in apertura presentava la prima e più importante definizione sistematica del concetto di cultura: “ La cultura, o civiltà,

intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la cono-scenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e

abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”7

. Secondo tale definizione, la cultura in generale, comprende tutte le manifestazioni dell’uomo in quanto membro

5

Un dizionario dell’inizio del secolo scorso spiega come “il latino cultura=coltivazione, è detto di terreno o paese; riferito a uomo, vale educazione e istruzione; a popolo, vale civiltà, esprimendo la cura assidua per ottenerla, pari a quella dell’agricoltore” (A. Pan-zini, Dizionario Moderno, 1918 – 3° Ed. – in M. Cortellazzo, M. Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, 1999) 6 Taylor, influenzato dalle teorie evoluzionistiche di stampo darwinista, attraverso una prospettiva storico-evolutiva, individua l’organizzazione sociale primitiva come la fase originaria dello sviluppo dell’umanità, sostenendo l’esistenza di una cultura primiti-va ed una cultura progredita dei popoli civilizzati.

7

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9 della società. La definizione di Taylor costituì un riferimento per i successivi contributi scientifici, tra cui quelli di Boas8, cheelaborò una propria definizione di cultura.

Essa è definita come “la totalità delle reazioni e delle attività intellettuali e fisiche che

caratterizzano il comportamento degli individui che compongono un gruppo sociale – considerati sia collettivamente sia singolarmente – in relazione al loro ambiente natu-rale, ad altri gruppi, ai membri del gruppo stesso, nonché quello di ogni individuo ri-spetto a se stesso”9. La cultura, continua Boas, «comprende anche i prodotti di queste

attività» e soprattutto «i suoi elementi non sono indipendenti ma possiedono una strut-tura». La sua definizione di cultura riprende da Tylor l'idea di totalità (la cultura è un

insieme di elementi che non sono indipendenti ma che possiedono una struttura), ma, fa una distinzione tra due diversi aspetti della cultura: da una parte le reazioni e le attività comportamentali, dall'altra i prodotti di questa attività, cioè quella che potremmo defini-re la cultura materiale. Ciò che tuttavia spicca in questa definizione è la centralità riser-vata all'individuo: mentre nella definizione di Tylor l'individuo, inteso come “membro della società”, è un elemento passivo perché mero “portatore” della cultura, Boas assu-me l'individuo nella qualità di soggetto capace di “attività” e “reazioni”.10

La cultura quindi non si trasmette mediante meccanismi riproduttivi (eredità biologica), ma si acquisisce attraverso un processo di apprendimento (eredità sociale). Il concetto di cultura come eredità sociale viene ripreso da Malinowsky11, che teorizza la sua nozione di cultura nel saggio postumo Una teoria scientifica della cultura (1944), per cui la cul-tura costituisce un ambiente creato dall’uomo per estendere il suo potere di azione ed il controllo dell’ambiente naturale e rappresenta un sistema chiuso, un complesso di ele-menti legati tra loro da relazioni funzionali.

A partire dagli anni Trenta all’interno comunità scientifica americana il concetto di cul-tura comincia ad essere analizzato a partire dalla sua funzione di fornire un adattamento all’ambiente esterno12

. Ma negli stessi anni gli studiosi si concentrarono anche sulla di-mensione normativa della cultura, cioè sul complesso dei modi di vita ai quali viene at-tribuito un valore da parte dei membri di un gruppo sociale.

8 Franz Boas (1858 – 1942) è stato un antropologo tedesco naturalizzato statunitense, tra i pionieri dell'antropologia moderna, autore

dell’opera “The Mind of Primitive Man”, 1938

9

F. Boas, The Mind of Primitive Man, The MacMillan Company, New York, 1938

10 Tratto da https://books.google.it/books?isbn=8868224356 11

Bronisław Malinowski (1884 –1942) è stato un antropologo polacco naturalizzato britannico, celebre per la sua attività pionieri-stica nel campo della ricerca etnografica.

12 Sulla base delle riflessioni di Sumner, primo teorico del relativismo culturale, George P. Murdock (1932) sostiene che la cultura sia un processo di adattamento all’ambiente esterno, che si esplica attraverso una serie di scelte comportamentali condivise o posse-dute in comune dai vari membri di una società.

(10)

10 In generale, nella lettura antropologica ed etnografica13, le definizioni di cultura sono numerosissime. Intorno al 1950 si arriva alla prima sistemizzazione concettuale con l’opera di Kluckhohn e Kroeber14

, che attraverso una raccolta di più di 164 definizioni, sono arrivati a riassumere il concetto di cultura in una definizione che ne sintetizza gli aspetti più importanti: “La cultura consiste in modelli espliciti ed impliciti, di e per il

comportamento, acquisiti e trasmessi mediante simboli, costituenti il risultato distintivo di gruppi umani, comprendenti le loro incarnazioni nei manufatti; il nucleo essenziale della cultura consiste in idee tradizionali (cioè derivate e selezionate storicamente) e specialmente nei valori loro attribuiti; i sistemi culturali possono considerarsi da un la-to prodotti dall’azione, e dall’altro elementi condizionanti l’azione futura”15

. La defini-zione prende quindi in consideradefini-zione la cultura come concetto che definisce l’identità della collettività, ma anche gli elementi che compongono la cultura e quindi il processo di costruzione condivisa e di interpretazione di rappresentazioni simboliche della realtà. Questo sintetico excursus storico ed antropologico sulle origini del concetto scientifico di cultura è un passaggio necessario per poter introdurre il ruolo e il significato che la cultura ha assunto nella teoria organizzativa, dati i molteplici aspetti che racchiude. Nei prossimi paragrafi, dunque, verrà approfondito il concetto di cultura organizzativa e l’evoluzione del suo ruolo nei diversi approcci allo studio delle organizzazioni.

1.2 L’approccio culturale allo studio delle organizzazioni

Ancorare il concetto di cultura a quello di gruppo apre la strada allo studio delle culture delle organizzazioni, che sono contesti sociali ben definiti e dove lo studio dei fenomeni culturali trova un terreno di applicazione fertile. Gli studi culturali in questo ambito possono individuare diversi livelli di analisi organizzativa come oggetto di indagine. In-fatti, Schein16 sostiene che il concetto di cultura si può applicare ad un qualsiasi gruppo di individui che elaborano una concezione di sé e della relazione del gruppo con l’ambiente che lo circonda. Sostanzialmente, ogni raggruppamento di individui può

13 Gli etnologi considerano la cultura come il complesso di attività caratterizzanti un gruppo umano e i prodotti di tali attività (al

centro sono le pratiche e le interazioni sociali), mentre gli antropologi sono inclini a considerare la cultura come un’interpretazione personale della realtà che si costituisce nei membri di ciascun gruppo umano per effetto dell’interazione con l’ambiente. (Il concetto

di cultura, Il Mulino, Bologna, 1972),

14 M. Farnese, F. Avallone, Culture Organizzative. Modelli e Strumenti di intervento, Ed. Angelo Guerini e Associati S.p.A.,

Mila-no, 2005

15 C. Klukhohn, A.L. Kroeber, Il concetto di cultura, op.cit., p.367 16

E. H. Schein, Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, San Francisco, CA,1998, trad. it. M. Decastri (a cura di)

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11 essere considerato un’unità stabile con una serie di esperienze comuni e quindi con una propria cultura. A partire da questa considerazione, cioè che gli elementi culturali si possono individuare in qualsiasi raggruppamento di individui, si possono delineare i livelli di analisi organizzativa della cultura: il livello di analisi più ampio è costituito dalle civiltà e quindi rimanda alla distinzione tra culture occidentali e orientali. Il livello successivo è rappresentato dai paesi caratterizzati da una certa omogeneità etnica (ad esempio la cultura americana, italiana, asiatica). Procedendo verso un’ulteriore specifi-cazione, possiamo individuare il livello delle culture professionali, ricercando elementi trasversali alle organizzazioni e che caratterizzano lavoratori che afferiscono alla mede-sima area professionale, poi quello dell’ambiente inter-organizzativo più in generale ed infine, l’analisi dell’organizzazione, che viene considerata come entità avente una cultu-ra costituita a sua volta da gruppi che possono sviluppare una propria sottocultucultu-ra. Lo studio della cultura organizzativa e delle dinamiche ad essa connesse, emerge più o meno implicitamente a partire dagli studi di Mayo17 negli anni Trenta, ma a partire dagli anni Cinquanta conosce uno sviluppo considerevole, ma è in particolare negli anni Set-tanta e OtSet-tanta, che inizia a riceve numerosi contributi, riscuotendo una popolarità al di fuori dell’ambito accademico che altre correnti di pensiero organizzativo non hanno co-nosciuto in precedenza. Ciò si evince dal fatto che numerose riviste di organizzazione e management hanno dedicato numeri monografici allo studio culturale delle organizza-zioni. La prima pubblicazione sul tema18 è del Journal of Management Studies (1982, 19/1), che discute le organizzazioni come sistemi ideologici; segue il Journal of Applied

Behavioral Science (192, 18/3), nel quale il dibattito sulla crisi della leadership come

prassi o come teoria è introdotto da Linda Smircich e Gareth Morgan19.

Alla fine del 1982 e nella primavera del 1983 l’International Studies of Management &

Organization (XII/4; XIII/1-2) pubblica numeri sull’analisi concettuale e studi empirici

sul cross-cultural management. Nello stesso anno Administrative Science Quarterly (28/3) pubblica un numero sulla cultura organizzativa e quasi contemporaneamente,

Organizational Dynamics (12/2) raccoglie una serie di saggi orientati ad esaminare le

17

Elton George Mayo (1880 - 1949) è stato uno psicologo e sociologo australiano. Dalle sue ricerche presso gli stabilimenti Ha-wthorne della Western Electric Company per studiare gli elementi in grado di incidere sulla produttività origina l’Human Relation-ship Movement. Emersero elementi non solo oggettivi, ma anche soggettivi ed i principi base individuati furono: l’ importanza degli aspetti e delle relazioni informali, l’importanza delle motivazioni di natura sociale, i comportamenti degli individui non spiegabili esclusivamente secondo un approccio basato sulla razionalità assoluta, esistenza di un legame tra aspetti psicologici, aspetti motiva-zionale e produttività. Cfr. E. Mayo, The Social Problems of an Industrial Civilization, Boston, Graduate School of Business Administration, Harvard University, 1945, trad. it., La civiltà industriale, Utet, Torino, 1969.

18

P. Gagliardi, Teoria dell’organizzazione e analisi culturale in P. Gagliardi (a cura di), Le imprese come culture. Nuove prospettive

di analisi organizzativa, Isedi Petrini Editore, Torino, 1986, pp.12-13

19 L. Smircich, G. Morgan, Leadership: the management of meanings, The Journal of Applied Behavioral Science, Vol.

18/N.3/1982

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12 conseguenze dell’approccio culturale sulla prassi direzionale. Nel 1984 la Revue

Franç-aise de Gestion dedica il numero 47/48 a Culture d’Entreprise; nel 1985 il Journal of Management (11/2) dedica il numero al simbolismo organizzativo, tema ripreso nel

1986 da Organizational Studies (7/2) e poco dopo da International Studies of

Management & Organization (XVI/1) su The Experience of Culture. A fianco di questa

esplosione di interesse nella letteratura specializzata si trovano le prime pubblicazioni destinate ai dirigenti ed al grande pubblico in generale come “The art of Japanese

Management: Application for American Executives” pubblicato da Pascale e Athos nel

1981, stesso anno in cui Ouchi pubblica “Theory Z: How American Business Can Meet

the Japanese Challenge”. Seguono nel 1982 Deal e Kennedy con “Corporate Cultures: The Rites and Rituals of Corporate Life” e Peters e Waterman, che pubblicano il

best-seller “In Search of Excellence”. Questi sono stati i primi bestbest-seller di argomento ma-nageriale, che identificano la cultura come il segreto del successo delle imprese. Il cul-mine di questa apparente nuova “moda” della cultura si raggiunge il 17 ottobre 1983, quando la rivista Fortune20 dedica una copertina alla cultura organizzativa21. L’enfasi sugli aspetti culturali e simbolici della realtà organizzativa si afferma come una rottura radicale nei confronti del pensiero organizzativo dominante alla fine degli anni Settanta. La promessa di razionalità, efficienza ed oggettività di matrice classica adottato da gran parte degli studiosi, prevede la superiorità del modello di organizzazione razionale e-spresso nella specializzazione dei compiti, nel coordinamento attraverso le regole im-personali e nell’autorità legittimata dalla responsabilità gerarchica.

Secondo Ouchi e Wilkins22, a partire dagli anni Sessanta, il paradigma della razionalità organizzativa è stato supportato ed accentuato dallo sviluppo di elaborazione dei dati. Infatti, questi sviluppi influenzarono i contenuti ed i metodi di ricerca organizzativa, dal momento che si accentuò l’attenzione sull’analisi comparata delle relazioni esistenti tra variabili oggettive e misurabili (struttura e tecnologia) al punto di porre le fondamen-ta di una teoria dell’organizzazione come una “scienza”.

L’esplosione dell’interesse per lo studio dei fenomeni culturali nelle organizzazioni contemporanee è stato favorito da una serie di circostanze riconducibili in primo luogo alla sfida giapponese, che non solo ha messo in crisi il primato economico internaziona-le del paese americano (dove c’è una fervente comunità scientifica che si occupa del tema organizzativo), ma ha comportato l’impossibilità di spiegare l’evidente superiorità

20 Fortune è una rivista fondata nel 1930, che tratta di business globale pubblicata dalla Time Inc.'s Fortune|Money Group. 21 http://graphic-server.com/cgi-bin/backissues.cgi?full/FU19831017.JPG

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13 delle imprese giapponesi con le teorie dominanti23. Inoltre, altri fenomeni come la glo-balizzazione dei mercati, la crescita del costo del lavoro, il peggioramento del sistema di relazioni industriali, l’aumento della turbolenza ambientale, la maggiore segmentazione della domanda (che diventa più dinamica ed instabile), l’inflazione a due cifre, l’accelerazione dei ritmi tecnologici e la conseguente difficoltà di gestione dell’innovazione rendono obsolete le modalità competitive e gestionali consolidate, ri-chiedendo un repentino e profondo cambiamento dell’approccio all’organizzazione. Secondo Gagliardi si sono sviluppate nuove tendenze culturali generali24:

 La reazione alla crescente tecnocratizzazione della vita sociale, il rifiuto dell’idea che la vita moderna debba essere necessariamente dominata da una cultura “secolare”, fattuale, razionale, solo attenta alle relazioni mezzi-fini, e il piacere della scoperta di livelli simbolici di significato in aree nelle quali la convenzione ci ha avvezzato a riconoscere solo gli interessi, il potere, l’efficienza25

;

 La tendenza a concepire il successo non più soltanto in termini materiali, ma di qualità di vita, il lavoro come occasione espressiva e non solo strumentale, i luoghi di lavoro come comunità di vita26;

 La più diffusa coscienza che la complessità della vita sociale ed organizzativa è dominabile solo attraverso rappresentazioni simboliche semplici, e la rivaluta-zione delle funzioni olistiche ed immaginative, a cui gli studi sulla specializza-zione encefalica hanno dato collocaspecializza-zione e legittimaspecializza-zione biologica27;

 La crisi della fede incondizionata nel progresso tecnologico ed il desiderio di ri-scoprire le tradizioni, le radici, la storia;

 La diffusione della cultura del narcisismo28 (Lasch, 1980), che enfatizza il biso-gno di “sentire” piuttosto che “pensare” ed il bisobiso-gno di ottenere la continua

23 Si fa riferimento all’approccio del Total Quality Management. Il concetto di qualità totale nasce negli Stati Uniti all’inizio degli

anni Cinquanta con E. Deming, P. Crosby e J. Juran, ma viene sviluppato maggiormente nelle realtà giapponesi agli inizi degli anni Sessanta, che ne fanno uno dei pilastri del loro sviluppo industriale. Secondo questo approccio alla base della cultura dell’organizzazione deve esserci un impegno del management nei confronti della qualità. Questo si traduce nel rendere noti tali con-cetti e tecniche, al fine di essere applicati da tutto il personale, e non soltanto dagli specialisti della qualità. Ciò implica un adeguato piano di formazione delle risorse umane ed un radicale cambiamento di mentalità da parte del personale, che deve sentirsi parte dell’azienda, sviluppando un atteggiamento collaborativo e proattivo nei confronti dell’organizzazione, ma anche forte commitment da parte del top management aziendale che, oltre a considerare il TQM uno strumento strategico per il successo dell’azienda, per primo deve applicarlo concretamente nell’attività direzionale per dare l’esempio.

24 P. Gagliardi, “Teoria dell’organizzazione e analisi culturale” in P. Gagliardi (a cura di), Le imprese come culture. Nuove

prospet-tive di analisi organizzativa, Isedi Petrini Editore, Torino, 1986, op. cit., p.22-23

25 J.R. Gusfield, J. Michalowicz, Secular Symbolism: studies of ritual, ceremony, and the symbolic order in modern life, Annual

Review of Sociology 10, 1984, pp. 417-435.

26

P.J. Frost, L.F. Moore, M.R. Louis, C.C. Lundberg e J. Martin, “An allegorical view of organization culture” in Organizational

Culture. P.J. Frost, L.F. Moore, M.R. Louis, C.C. Lundberg e J. Martin (a cura di), London, Sage Pubblications, 1985

27 V. Andreoli, A. Cartoccio, G. Ermolli, B. Vailati e G. Varchetta, “Le capacità manageriali e la biologia della dominanza

encefa-lica”, Studi Organizzativi 2, 1984, pp. 57-77

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14 conferma della propria soggettività e dei valori sui quali è costruita l’immagine di sé.

In questo contesto, due eventi hanno contribuito in particolar modo ad accrescere e fo-calizzare l’interesse della comunità scientifica verso l’approccio culturale allo studio delle organizzazioni29: la pubblicazione nel 1979 di un numero speciale di

Administra-tive Science Quarterly (1979, 24/4) sui metodi qualitativi nello studio delle

organizza-zioni e quindi sull’analisi della cultura organizzativa e l’istituzione due anni dopo, nel 1981, dello Standing Conference on Organizational Symbolism, un network di studiosi per i quali l’organizzazione è un fenomeno umano e sociale, da studiare attraverso un approccio interdisciplinare.

Tra i diversi approcci ed i diversi modelli interpretativi della cultura organizzativa, un contributo fondamentale è l’articolazione proposta da Linda Smircich (1983), che ri-prende i principali modelli usati in antropologia per lo studio delle culture e nelle teorie sociologiche e psicosociali per lo studio delle organizzazioni, che verrà analizzata nel paragrafo successivo.

1.2.1 L’evoluzione degli studi sulla cultura nella teoria organizzativa

Prima di proseguire nell’approfondimento del concetto di cultura organizzativa è essen-ziale dedicare l’attenzione ai contributi di alcuni studiosi che si ritiene abbiano anticipa-to l’attuale approccio culturale.

Tra i precursori dell’approccio culturale allo studio delle organizzazioni spicca la pro-spettiva teorica dell’Istituzionalismo e Neo-Istituzionalismo.

Secondo la teoria istituzionale, le organizzazioni si conformano ai valori, alle norme, al-le regoal-le, alal-le credenze derivanti dall’ambiante in cui operano, al fine di ottenere al- legit-timità istituzionale. Agire all’interno di un contesto strutturato e riconosciuto di vincoli e prescrizioni, cioè il contesto istituzionale, si traduce nell’emergere di pressioni30 capil-lari e diffuse, che costringono in qualche misura l’azienda a conformarsi a standard ri-conosciuti per ottenere la legittimazione, originando così il fenomeno dell’isomorfismo

29 M. Farnese, F. Avallone, Culture Organizzative. Modelli e Strumenti di intervento, Ed. Angelo Guerini e Associati S.p.A.,

Mila-no, 2005

30

Powell e DiMaggio affermano che esistono tre tipologie di pressioni istituzionali: mimetiche, cioè la pressione a conformarsi ad altre organizzazioni come reazione all’incertezza, normative, cioè le pressioni esercitate da istituzioni / organizzazioni, tese a impor-re struttuimpor-re, tecniche, comportamenti e coercitive, cioè pimpor-ressioni esercitate da comunità professionali tendenti a diffondeimpor-re stan-dard/tecniche. (W.W. Powell, P.J.DiMaggio (a cura di), The New Institutionalism in Organizational Analysis, The University of Chicago Press, Chicago, 1991, trad. it., Il neoistituzionalismo nell‟analisi organizzativa, Edizioni di Comunità, Torino, 2000).

(15)

15 organizzativo31. Si può quindi affermare che la sopravvivenza di un’organizzazione in ambienti istituzionalizzati non dipende esclusivamente dall’efficienza produttiva, quan-to dalla capacità di conformarsi alle convenzioni sociali e quindi di essere legittimati dall’ambiente stesso. Il filone del neo-istituzionalismo suggerisce quindi l’idea che le organizzazioni hanno un significato simbolico e assetti culturali che non sono il risultato della ricerca di condizioni di elevata efficienza ed efficacia: per le teorie che adottano un approccio soggettivo o considerano l’istituzionalizzazione come processo32

le strut-ture formali riflettono più i miti dei loro ambienti istituzionali, che le necessità delle lo-ro attività di lavolo-ro. Scott33 definisce un’istituzione come il frutto di strutture e attività cognitive, normative e regolative che danno stabilità e significato ai comportamenti so-ciali.

Si può quindi comprendere come la teoria istituzionale abbia avuto un ruolo centrale nell’anticipare ed indirizzare lo sviluppo dell’analisi della prospettiva culturale nello studio delle organizzazioni.

Nel panorama delle teorie organizzative, molti studiosi si sono interessati all’analisi e approfondimento del tema della cultura organizzativa. Si cercherà quindi di individuare come la cultura sia stata analizzata nei diversi filoni di ricerca della teoria organizzativa moderna: teorie classiche dell’organizzazione, teoria dei sistemi aperti e l’approccio re-lazionale.

1.2.1.1 Teorie classiche dell’organizzazione

Secondo le teorie classiche dell’organizzazione34

, le organizzazioni sono strumenti crea-ti per raggiungere fini determinacrea-ti mediante lo svolgimento di una serie di attività in maniera efficiente, razionale e prevedibile. L’organizzazione viene concepita come una macchina35, cioè un insieme di parti intercambiabili, gestita e progettata in maniera effi-ciente con metodi scientifici e razionali attraverso la struttura gerarchica, la definizione precisa di mansioni e studio dei tempi e metodi per raggiungere una completa

31 Il concetto di isomorfismo organizzativo è stato introdotto da Meyer e Rowan nel 1977 nell’ambito della teoria

neo-istituzionalista. Tale concetto indica i processi attraverso i quali organizzazioni dello stesso tipo, operanti all’interno dello stesso ambiente istituzionale, tendono a somigliare sempre più tra loro adottando strutture, strategie e processi simili.

32

A, Camuffo, R. Cappellari,Teorie Neoistituzionaliste, in Costa G., Nacamulli R.C.D. (a cura di), Manuale di Organizzazione

A-ziendale, Vol. I, Utet, Torino

33 M. Bonti, Una, nessuna e centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese, Angeli, Milano, 2012, op.

cit., p. 47

34 La letteratura comprende in questo filone di studio tre principali scuole di pensiero: la Teoria dello Scientific Management di

Ta-ylor, secondo la quale le decisioni riguardo le organizzazioni e l’organizzazione del lavoro devono essere basate su studi scientifici; la Teoria della Direzione Amministrativa di Fayol; l’analisi dell’organizzazione burocratica con il modello elaborato da Weber. R.L. Daft., Organizzazione Aziendale, IV Edizione, Apogeo, 2010

35 Le teorie classiche si collocano cronologicamente al periodo della rivoluzione industriale, che portò l’introduzione delle

(16)

16 dizzazione dell’attività lavorativa. In questo approccio, che fa della razionalità tecnica ed organizzativa , oltre che della standardizzazione la propria fede, la cultura svolge un ruolo di strumento di controllo per alimentare la metafora dell’“organizzazione come macchina”. Si tratta quindi di un insieme di regole, programmi, procedure formalizzate che hanno il fine di guidare i comportamenti nel rispetto della gerarchia. Perrow 36 ha elaborato una categorizzazione per descrivere le forme di controllo in questa tipologia di organizzazione meccanica: il controllo di terzo livello, basato su assunti e definizioni considerati come “dati” dai membri dell’organizzazione, che rafforza il controllo di primo livello, basato su ordini diretti e regole per lo svolgimento di una determinata mansione, e il controllo di secondo livello, legato a fattori organizzativi particolari, co-me ad esempio particolari programmi e procedure operative standardizzate o la disposi-zione di una catena di montaggio.

Si tratta di una cultura descrittiva e prescrittiva, che si configura come un componente della macchina organizzativa orientato a rafforzare i principi di razionalità consentendo all’organizzazione di raggiungere obiettivi specifici nei tempi e nei modi che garanti-scano la massima efficienza.

1.2.1.2 La Teoria dei Sistemi Aperti

La teoria dei sistemi aperti trova la propria base nella teoria generale dei sistemi del bio-logo Von Bertalanffy37 e considera l’organizzazione come sistema aperto in ragione del-la sua dipendenza e deldel-la continua interazione con l’ambiente nel quale è inserita. A differenza delle teorie classiche, che hanno un approccio che prende in considerazio-ne solamente la progettazioconsiderazio-ne intra-organizzativa, come se l’organizzazioconsiderazio-ne fosse un si-stema “chiuso”, secondo la teoria dei sistemi aperti la sopravvivenza dell’organizzazione è determinata dalla capacità di stabilire una relazione biunivoca a-deguata con l’ambiente esterno.

La teoria dei sistemi aperti parte con il processo ciclico di input-trasformazione-output, quindi la trasformazione di input in beni e servizi utilizzabili.

Nell’ambiente, l’output prodotto dall’organizzazione crea dei potenziali feedback che generano altri input per l’organizzazione, che devono essere selezionati al fine di mi-gliorare i futuri input e quindi assicurare la sopravvivenza a lungo termine.

36 A.L. Wilkins, Le storie organizzative come strumenti di controllo, in P. Gagliardi (a cura di), Le imprese come culture, Isedi

Pe-trini Editore, Torino, 1986, pp. 266-277.

37 L. Von Bertalanffy, The History and Status of General Systems Theory, “Academy of Management Journal”, 1972 citato

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17 La visione sistemica concepisce l’organizzazione come un sistema composto da sottosi-stemi, cioè parti che interagiscono tra di loro.

In questa prospettiva ed in questa sede di analisi, si prende in considerazione il contribu-to di Katz e Kahn38, che rifacendosi alle considerazioni della teoria generale dei sistemi aperti di Von Bertalanffy individuano dieci elementi caratterizzanti i sistemi aperti:

 Importanza dell’energia: nessuna organizzazione è autosufficiente ed ha bisogno di prendere energie dall’esterno (ad esempio, l’acquisto di materie prime neces-sarie per produrre i beni e servizi dell’azienda) per sopravvivere;

 Trasformazione: le risorse umane dell’organizzazione utilizzano gli input presi dall’ambiente e li utilizzano per trasformarli in output mediante dei processi di trasformazione;

 Output: le organizzazioni erogano gli output ai clienti, ottenendo un pagamento per i beni e servizi offerti;

 I sistemi sono cicli di eventi: gli eventi forniscono identità all’impresa ed i con-fini organizzativi, come ad esempio nel caso di una società di consulenza sono la contrattazione, l’acquisto, la selezione della forza lavoro, la preparazione dell’intervista e l’erogazione dei servizi ad essa associati, l’ottenimento del pa-gamento da parte del cliente. Tale ciclo di eventi è ciò che stabilisce e identifica un sistema aperto, quindi un’organizzazione39

;

 Entropia negativa: secondo la teoria generale dei sistemi aperti, il processo en-tropico rappresenta la legge universale per cui tutte le forma di organizzazione si muovono verso uno stato di disorganizzazione, ma acquisendo energia dall’ambiente in misura maggiore di quanto impiegata, il sistema può conservare energia. Ciò per spiegare che le organizzazioni non sono auto-sufficienti, ma in-stabili e non possono sopravvivere nella misura in cui implementano sforzi attivi e deliberati;

 Input informativi, feedback negativi e processo di codifica: si lega alla relazione con l’ambiente. Se un’organizzazione ottiene feedback su come il proprio output viene accolto dall’ambiente di riferimento, questo potrà aiutare a rispondere più efficacemente alle esigenze degli utenti o clienti. Questo vale ancora di più nel caso di feedback negativi: le azioni correttive possono essere pianificate e intra-prese.

38 D. Katz, R.L. Kahn, The social psychology of organization (2nd ed.), John Wiley&Sons, New York, 1978 citato in W.Warner

Burke, Il cambiamento organizzativo. Teoria e pratica, Ed. Franco Angeli, Milano, 2010, p. 104

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18

 Teoria dello stato stazionario e omeostasi dinamica: le organizzazioni che so-pravvivono rispondo alla teoria dello stato stazionario, cioè dello stato di appa-rente equilibrio. Per combattere l’entropia, le organizzazioni hanno bisogno di crescere e di controllare sempre più il loro ambiente e tale processo di contro-azione richiede cambiamento;

 Differenziazione: un’organizzazione continua a controbilanciare il processo en-tropico e quindi cresce; intervengono differenziazione ed elaborazione ed evol-vono i processi di specializzazione e divisione del lavoro;

 Integrazione e coordinamento: nel tentativo di mantenere una stabilità può inter-venire un’eccessiva differenziazione e perciò è necessario un certo grado di co-ordinamento. Ciò può essere realizzato mediante norme e valori condivisi, oltre che struttura organizzativa, ruoli e sistema gerarchico che rappresentano gli strumenti del sistema sociale che i manager utilizzano per conseguire integra-zione e coordinamento;

 Equifinalità: secondo il principio affermato da Von Bertalanffy, un’organizzazione può raggiungere gli stessi obiettivi da punti di partenza diffe-renti e secondo percorsi differenziati. Lo stesso accade nelle organizzazioni, cioè si possono mettere in atto attività diverse per condurre alla stessa finalità.

Nella prospettiva sistemica, il successo e l’efficacia di un’organizzazione sono contin-genti rispetto a due processi: apertura e selettività40.

I manager, oltre ad operare secondo le precedenti dieci caratteristiche dei sistemi aperti, dovranno essere selettivi negli input e nei feedback che ricevono dall’ambiente.

In generale, devono essere costantemente consapevoli che stanno gestendo un sistema con confini permeabili, dipendente dall’ambiente per la sua sopravvivenza e che sarà destinato a terminare a meno che non sia attivamente gestito.

1.2.1.3 La cultura come processo relazionale

Contributi recenti sostengono che le organizzazioni possano essere interpretate come culture e ciò porta ad analizzare le stesse secondo la prospettiva del paradigma cultura-le. Secondo tale prospettiva, la cultura non è una variabile che compone l’organizzazione, ma è l’essenza dell’organizzazione. Questa interpretazione rimanda

40

(19)

19 all’articolazione proposta da Linda Smircich41

, che descrive cinque prospettive, indica-te nella Tabella 1.1, distinguendo tra:

Prospettive funzionaliste (Cross-Cultural Management e Corporate Culture), che considerano la cultura come una variabile organizzativa (ciò che l’organizzazione ha), con funzione strumentale/adattativa in rapporto alla strut-tura considerata;

Prospettive interpretative (Organizational Cognition, Organizationa Symbolism e Structural-Psychodynamic Model), che considerano la cultura come una meta-fora per la concettualizzazione dell’organizzazione (ciò che l’organizzazione è).

Tabella 1.1 – I diversi approcci per lo studio delle culture organizzative PROSPETTIVE FUNZIONALISTE Cross-cultural

Management

La cultura è una variabile indipendente che influisce sugli assetti strutturali e compor-tamentali di qualsiasi organizzazione: introdotta dal contesto sociale esterno nell’organizzazione attraverso i membri che ne fanno parte, è considerata un elemento esplicativo che rende conto di alcune affinità o differenze fenomeniche tra i sistemi manageriali adottati in organizzazioni che operano in diversi Paesi.

Corporate Culture

Studia le relazioni contingenti tra variabili di contesto e variabili organizzative (tecno-logia, sistema dei ruoli, ecc.) in rapporto all’efficienza dell’organizzazione stessa. La cultura è generata dal sistema di relazioni interno all’organizzazione. Producendo artefatti (rituali, miti, ecc.), è una delle variabili che interagiscono e costituiscono lo specifico sistema-organizzazione: svolge funzione di “collante” sociale e/o normativo dell’organizzazione.

PROSPETTIVE INTERPRETATIVE

Organization Cognition Crea i copioni, gli scripts, le mappe cognitive che guidano l’azione. Le organizzazioni sono “imprese cognitive”, strutture e sistemi di conoscenze condivise. Un’organizzazione, ossia la cultura che la definisce,è considerata una particolare struttura della conoscenza per comprendere e agire: in base all’auto-immagine, si or-ganizzano coerentemente regole, schemi condivisi di riferimento, e così via. La cultu-ra è un set di schemi comuni di riferimento, una rete di significati soggettivi, che i membri dell’organizzazione condividono in varia misura.

Organization Symbolism Studia, attraverso la decifrazione dei simboli e dei loro significati più profondi, come i membri di un’organizzazione interpretano le loro esperienze lavorative, in rapporto all’azione, e come tali interpretazioni vengono condivise all’interno dei gruppi di la-voro. L’organizzazione, allo stesso modo della cultura, viene concepita come un mo-dello di comunicazione simbolica, che serve a facilitare la condivisione di significati. Structural-Psychodynamic

Model

La cultura organizzativa è un’espressione, una manifestazione consapevole, di proces-si pproces-sicologici inconsci. Le organizzazioni, così come le culture, sono forme particolari di ordinamento sociale, espressione esperibile di fenomeni psichici inconsci. Lo stu-dio delle culture non può fare riferimento alle categorie consce e razionali general-mente utilizzate per spiegare i comportamenti in determinati contesti, ma deve inte-grare questi aspetti più evidenti, legittimati e consensuali, con i più complessi processi inconsci propri delle interazioni umane. Vanno dunque studiati i modelli strutturali che connettono i processi inconsci con le loro manifestazioni esperibili.

[Fonte: rielaborato da Smircich, 1983]

Adottando una prospettiva interpretativa, la cultura non è una variabile organizzativa strumentale all’adattamento all’ambiente, ma è un concetto radicato, che scaturisce dai processi continuativi ed attivi di creazione di significati della realtà da parte dei membri dell’organizzazione. Infatti, come sostiene Weick, “la realtà viene percepita in modo

(20)

20 lettivo, risistemata in modo cognitivo e negoziata in modo interpersonale”42

. Esiste quindi un processo di attivazione mediante il quale gli individui costruiscono la realtà (sensemaking). In questo senso si ribadisce l’influenza che il fenomeno culturale delle organizzazioni ha sulle azioni a livello individuale, organizzativo ed anche inter-organizzativo. La cultura è un fenomeno vivo e dinamico, che fornisce una visione mul-ti prospetmul-tica dell’organizzazione nel suo complesso. Si possono quindi individuare due componenti del fenomeno culturale: un nucleo centrale di valori e credenze coerenti e condivise, che costituisce la parte stabile ed un processo di costruzione ed interpretazio-ne di significati, che costituisce invece la parte dinamica. Questi sono in un continuo rapporto di interdipendenza e di influenza reciproca, poiché il nucleo stabile seleziona i valori funzionali alla realtà organizzativa, ma allo stesso tempo la parte dinamica per-mette di rigenerare i valori del nucleo culturale.

L’evoluzione degli studi delle teorie organizzative, porta a concepire le organizzazioni come entità culturali e simboliche distinte, quindi uniche. Si inizia a riconoscere, quindi, che il funzionamento dell’organizzazione risulta difficile da comprendere utilizzando esclusivamente le tecniche dell’analisi logico-razionale. Il concetto di cultura organizza-tiva (intesa come ciò che l’organizzazione è) fornisce dunque uno strumento per com-prendere il funzionamento complesso e apparentemente non razionale dei sistemi socia-li. Un’analisi della percezione della cultura nelle diverse prospettive fornite dalle teorie organizzative permette di comprendere la complessità e la relatività di questo concetto e dei suoi significati. Nei prossimi paragrafi si analizzeranno le definizioni della cultura e l’origine e sviluppo all’interno del contesto organizzativo.

1.3 Definizioni e livelli di cultura organizzativa

Il fermento accademico (e non solo) intorno al tema in analisi ha portato nel tempo a numerose definizioni di cultura organizzativa, ciascuna orientata ad approfondire un a-spetto particolare di essa. Alcune definizioni sono indicate nella Tabella 1.2.

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21 Tabella 1.2 – Alcune definizioni di cultura organizzativa

1952 – E. Jacques

“ La cultura della fabbrica sta nel suo modo di pensare e di fare le cose, che è condiviso in misura minore o maggiore da tutti i suoi membri; ogni membro la deve imparare, o almeno accettare parzialmente, se vuole essere assunto dall‟impresa.”

1979 – A. Pettigrew

“ La cultura è il sistema di significati pubblicamente e collettivamente accettati, operante per un gruppo determinato in un momento determinato. Questo sistema di termini, forme, categorie ed immagini serve ad interpretare la situa-zione delle persone a loro stesse. “

1983 – M.R. Louis

“Le organizzazioni [sono] contesti pieni di cultura, ovvero [esse sono] unità sociali distinte con un set di interpreta-zioni comuni per organizzare l‟azione (che spiegano, ad esempio, cosa stiamo facendo in un certo gruppo e il modo giusto di agire al suo interno) espressi attraverso linguaggi e altri veicoli simbolici.”

1984 - C. Siehl, J. Martin

“La cultura organizzativa può essere vista come il collante che tiene insieme l‟organizzazione attraverso la condivi-sione di schemi di significato. La cultura consiste nei valori, nelle credenze e nelle aspettative che i membri si trovano a condividere.”

1985 – E.H. Schein

“ [La cultura è] un insieme di assunti di base - inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impa-ra ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integimpa-razione al suo interno – che si è rive-lato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell‟organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi.”

1988 – J. Van Maanen

“La cultura si riferisce alle conoscenze che si pensa che i membri di un certo gruppo condividano in misura minore o maggiore; [è] il tipo di conoscenze che si dice informi, incarni, formi e giustifichi le attività di routine e non, svolte dai membri della sua cultura […]. Una cultura è espressa (o costituita) soltanto attraverso le azioni e le parole dei suoi membri e deve essere interpretata da, non consegnata a, il ricercatore […]. La cultura non è visibile in sé, ma è resa visibile soltanto attraverso la sua rappresentazione.”

1993 – H. Trice, J. Bayer

“Le culture sono fenomeni collettivi che incarnano le risposte della gente alle incertezze e al caos intrinseci all’esperienza umana. Ci sono due tipi principali di risposte. La prima è la sostanza di una cultura – quei sistemi di credenze condivise e cariche di emotività che noi chiamiamo ideologie. La seconda sono le forme culturali – quelle entità osservabili attraverso cui i membri di una cultura esprimono, affermano e comunicano l‟uno all‟altro la sostan-za della propria cultura.”

1997 – P. Gagliardi, M. Monaci

“La cultura organizzativa [è] una struttura di codici di senso – espressi in un sistema simbolico – ordita dagli attori organizzativi, sia in occasione di eventi collettivi unici e straordinari sia nel corso delle quotidiane attività e intera-zioni, attraverso operazioni di definizione sociale della realtà.”

[Fonte: adattato da Hatch 2006, 206]43

43 F. Avallone, M. Farnese, Culture Organizzative. Modelli e strumenti di intervento, Ed. Angelo Guerini e Associati S.p.A., Milano,

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22 Il termine cultura organizzativa è molto complesso, ampio e soggettivo, tantoché ad og-gi alcuni dei significati più ricorrenti ad essa attribuiti sono : i valori dominanti di un’organizzazione, le norme che si sviluppano nei gruppi di lavoro, derivando dall’interazione tra i membri dell’organizzazioni, i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza, le regole del gioco per orientarsi all’interno di un’organizzazione e per essere accettati da essa, l’atmosfera, il clima che l’organizzazione comunica attraverso l’aspetto e le modalità di interazione tra i membri dell’organizzazione e soggetti esterni.

Nonostante una certa frantumazione teorica delle definizioni di cultura organizzativa, sembra possibile elaborare un quadro teorico di sintesi, dove individuare i punti di uni-ficazione, riassumibili in44:

 La cultura come sistema o sistemi di senso e di significati espressi simbolica-mente: questo è il primo dato teorico che definisce e distingue il concetto di cul-tura da qualsiasi altra disciplina sociale;

 La cultura come sapere, che viene assunto e vissuto simbolicamente, come valo-re: questo è il secondo elemento che identifica il binomio sapere-valore come l’unità elementare di base della struttura costitutiva della cultura;

 La cultura come storia, strategia e pratica quotidiana nel suo processo di forma-zione, in quanto accumulazione storica progressiva e selettiva si significati,che sono interpretati e verificati in modo continuo con la pratica quotidiana e con l’elaborazione strategica;

 La cultura come integrazione interna e differenziazione esterna: due funzioni fondamentali svolte nell’impresa per conservare la stabilità interna e l’adattamento distintivo e legittimativo esterno.

In questa sede si ritiene che la definizione di Schein sia quella che coglie maggiormente la complessità del concetto. Secondo l’autore, la cultura organizzativa è “un insieme di

assunti di base – inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando im-para ad affrontare i propri problemi di adattamento con il momento esterno e di inte-grazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corret-to di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”45.

44

D. Radicchi, Cultura d’impresa e gestione del cambiamento: analisi e riorientamento dei valori e della cultura organizzativa, Gentes, anno I numero 1 - dicembre 2014 https://www.unistrapg.it/sites/default/files/docs/university-press/gentes/gentes-2014-1-135.pdf

45 E. H. Schein, Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, San Francisco, CA,1998, trad. it. M. Decastri (a cura di)

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23 La cultura quindi è un prodotto derivante dall’esperienza di un gruppo definito di perso-ne che hanno alle spalle una storia significativa, rappresentata da un insieme di modelli cognitivi e comportamentali che consentono di interpretare gli eventi e costruire l’identità individuale e di gruppo.

Per poter comprendere la complessità del fenomeno culturale occorre enucleare ed ana-lizzare i livelli di cultura. Schein propone un modello di cultura organizzativa composto da tre differenti livelli di analisi (Figura 1): gli artefatti, i valori e gli assunti di base. Il livello più visibile della cultura è costituito dagli artefatti e dalle sue creazioni, cioè l’ambiente fisico e sociale che costruisce. A questo livello sono visibili lo spazio socia-le, la produzione tecnologica del gruppo, il linguaggio scritto e parlato, oltre che il com-portamento (visibile e udibile) adottato dai componenti. Nonostante gli artefatti siano visibili, la difficoltà risiede nell’interpretare il loro significato, il modo in cui si collega-no tra di loro e se eventualmente riflettocollega-no modelli più profondi. Per interpretare e com-prendere gli artefatti si possono analizzare i valori fondamentali che costituiscono i principi base ai quali gli individui elaborano il comportamento.

I valori rappresentano il secondo livello del modello di cultura organizzativa proposto da Schein.

Identificano le convinzioni e le opzioni fondamentali su ciò che è preferibile e auspica-bile nella realtà e nella vita di una specifica organizzazione.

Quando un gruppo si trova ad affrontare un nuovo compito o un problema, la prima so-luzione proposta, ad esempio dal fondatore, ha lo status di valore in quanto non è ancora stata formata una base comune per determinare la realtà effettiva, cioè fino a che non sarà verificato che porta a soluzioni di successo. Se la soluzione funziona ed il gruppo comprende che la stessa è valida ed ha successo, allora il valore inizia gradualmente un processo di trasformazione cognitiva in una convinzione e successivamente in un assun-to, quindi entra a far parte delle idee cui si fa riferimento automaticamente.

E’ importante specificare che tale trasformazione riguarda solamente quei valori che so-no suscettibili di approvazione fisica e sociale (cioè che si riesce a dimostrare pratica-mente che riducono l’incertezza e l’ansia) e che si dimostrano efficaci con continuità. Molti valori vengono definiti in maniera esplicita, rimanendo nella sfera del conscio e possono essere sintetizzati nella filosofia dell’organizzazione e rappresentano la guida nella gestione dell’incertezza ambientale.

(24)

24 Si tratta però di valori che Argyris e Schön46 definiscono “espoused values”, in quanto prevedono abbastanza bene cosa le persone diranno in una serie di situazioni, ma che potrebbe essere diverso da quello che effettivamente faranno nelle situazioni in cui si applicano effettivamente. Le ragioni profonde, cioè i valori impliciti, appartengono alla sfera inconscia e vengono definiti assunti di base. Nell’analisi dei valori si deve proce-dere ad una distinzione tra i valori che sono coerenti con gli assunti di base e quelli che invece sono in effetti razionalizzazioni o aspirazioni per il futuro. Quando un valore di-venta assunto di base viene dato per scontato ed entra a far parte delle idee cui si fa rife-rimento in maniera inconscia, scomparendo progressivamente dalla sfera della consape-volezza, al punto che se un assunto di base viene tenuto in grande considerazione all’interno del gruppo, per i componenti dello stesso risulta inconcepibile agire in base ad altri presupposti. Gli assunti di base corrispondono a quelli che Argyris e Schön de-finiscono “teorie-in-uso”47

, cioè gli assunti impliciti che determinano il comportamento ed indicano come la realtà vada percepita, pensata e sentita.

46 C. Argyris, D.A. Schön, Organizational Learning II. Theory, method, and practice, Addison Wesley, 1996, trad. it.,

Apprendimento organizzativo. Teoria, metodo e pratiche, Guerini Associati, Milano, 1998

47 La collaborazione tra Argyris e Schön ha determinato un nuovo approccio alla teoria dell’apprendimento organizzativo. Essi

in-troducono il concetto di “teoria dell’azione” intesa come la rappresentazione della conoscenza dell’organizzazione nella forma di sistemi di credenze. Essa include l’insieme delle strategie efficaci in specifiche situazioni e per la soluzione di specifici problemi, i valori che ne governano la scelta e gli assunti su cui si fondano. Con l’espressione “teoria dichiarata” fanno riferimento alla teoria dell’azione proposta per spiegare o giustificare un dato schema di attività. Con l’espressione “teoria in uso” s’intende la teoria dell’azione implicita nell’attuazione dello schema stesso. Potrebbe accadere che la teoria in uso non corrisponda alla teoria dichiara-ta nell’organizzazione, rivelando quindi l’incongruenza tra i valori dichiarati ed i reali schemi di attività dell’organizzazione. (C. Argyris, D.A. Schön, Organizational Learning II. Theory, method, and practice, Addison Wesley, 1996, trad. it., Apprendimento

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25 Figura 1.1 – I livelli della cultura e le loro interazioni

[Fonte: Schein 1998, p.4]

Tale definizione contribuisce ad evidenziare quanto complesso ed articolato sia il con-cetto di cultura applicato nel contesto organizzativo, costituito da molteplici livelli di in-terazione da interpretare singolarmente per giungere ad un’interpretazione complessiva. Una definizione formale di cultura organizzativa è necessaria, ma non sufficiente per comprenderne le dinamiche e soprattutto per individuare le sue effettive funzioni.

1.3.1 Funzioni della cultura nelle organizzazioni

Secondo Robbins48, la cultura, o le culture, assolvono varie funzioni all’interno dell’organizzazione: definire i confini tra gli individui, trasmettere un senso di identità, generare impegno verso l’impresa ed incrementare la stabilità organizzativa.

In primo luogo, svolgono una funzione adattativa e regolatoria facilitando l’unione tra individui; trasmettono un sentimento di identità organizzativa che aiuta e sostiene il senso dell’appartenenza e della causa comune; definiscono – in quanto sistema condivi-so di simboli e di temi significanti – le regole dell’interazione professionale e umana e

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26 influenzano la dinamica organizzativa e istituzionale; incrementano, inoltre, la stabilità dell’organizzazione incoraggiando l’integrazione e la cooperazione tra membri.

Altri autori valorizzano maggiormente la cultura come processo regolatore delle azioni organizzative, come ad esempio affermano Martin e Siehl49 :“Quattro proposizioni

cat-turano ed esprimono l’essenza di una buona parte dei risultati delle recenti ricerche sulla cultura organizzativa.

La prima dichiara che le culture offrono un’interpretazione della storia dell’istituzione che può servire ai membri dell’organizzazione per decifrare come essi debbono com-portarsi in futuro.

La seconda dichiara che le culture possono generare impegno e adesione ai valori o alla filosofia gestionale di un’impresa, in modo che i membri dell’organizzazione sen-tano di lavorare per qualcosa in cui credono.

La terza dichiara che le culture sono dei meccanismi organizzativi di controllo attra-verso i quali informalmente certi comportamenti sono approvati o inibiti.

Infine, l’ultima proposizione dichiara che certe culture organizzative possono essere associate con produttività e profittabilità più elevate”.

Schein sostiene che la cultura permette all’organizzazione di affrontare i problemi di sopravvivenza e adattamento all’ambiente esterno, i problemi di integrazione interna ed ha funzione di contenimento dell’ansia. Prima di descrivere le modalità con cui la cultu-ra assolve tali funzioni, è necessario precisare che l’autore intende la cultucultu-ra come un processo dinamico, quindi presuppone che ci sia un processo dinamico di formazione della cultura paragonabile al meccanismo di formazione del gruppo. Egli infatti affer-ma: “Dobbiamo, quindi, comprendere come le intenzioni individuali dei fondatori, dei

leader o di coloro che sono entrati a far parte di un nuovo gruppo o organizzazione, il loro modo di definire la situazione contingente, i loro assunti e i loro valori diventino un patrimonio comune, unanimemente approvato di definizioni che vengono trasmesse ai nuovi membri come “il modo giusto di definire la situazione”50

.

Le problematiche di adattamento esterne dipendono dalla definizione data dal gruppo e dal leader dell’ambiente esterno e del modo in cui sopravvivere ad esso, mentre le pro-blematiche interne sono legate alla definizione data del modo in cui organizzare le rela-zioni tra membri. Con riferimento alle problematiche di adattamento esterno, è possibile individuare degli elementi con forti radici culturali e le attività ad essi connesse, che

49 Martin, Siehl, “Cultura e controcultura nelle organizzazioni: una difficile simbiosi”, in P. Gagliardi (a cura di), Le imprese come

culture, Isedi Petrini Editore, Torino, 1986, pp. 177-194

50 E. H. Schein, Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, San Francisco, CA,1998, trad. it. M. Decastri (a cura di)

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27 l’organizzazione considera per gestire l’adattamento all’ambiente esterno in continua evoluzione, sintetizzati nella Tabella 1.3: la missione e strategia, gli obiettivi, i mezzi, i criteri per valutare i risultati e le strategie correttive.

Tabella 1.3 – I problemi di adattamento esterno

Missione e strategia

Giungere a una comprensione univoca e generale della missione cen-trale, del compito primario, delle funzioni manifeste e latenti.

Obiettivi

Sviluppare il consenso sugli obiettivi derivanti dalla missione centrale.

Mezzi

Sviluppare il consenso sui mezzi da utilizzare per raggiungere gli o-biettivi, quali la struttura aziendale, la divisione dei compiti, il sistema di incentivi e di autorità.

Valutazioni

Sviluppare il consenso sui criteri da applicare per valutare i risultati del gruppo nel raggiungere gli obiettivi, quali quelli usati nel sistema informativo e di controllo.

Correttivi

Sviluppare il consenso sulle strategie correttive da adottare nel caso in cui non si raggiungano gli obiettivi.

[Fonte: adattato da Schein, 1998, p.73]

L’organizzazione dovrebbe in primo luogo definire il senso della sua mission, o meglio la sua “ragion d’essere” (“Chi siamo?”, “Che cosa siamo capaci di fare?”, “Cosa

vo-gliamo essere?”) per poi sviluppare il consenso intorno a tale concetto51. Sviluppare un’idea di mission e condividerla all’interno dell’organizzazione, consente di creare la base per la definizione della cultura di gruppo, delineando così il contesto nel quale spe-cificare gli obiettivi ed i mezzi per perseguirli. La mission deve essere articolata in o-biettivi operativi, che abbiano il consenso generale da parte di tutti i membri e ciò è pos-sibile se esiste un linguaggio comune e degli assunti comuni sulle operazioni logiche fondamentali attraverso le quali si traduce un concetto astratto (ad esempio la mission) in un concetto operativo (ad esempio la produzione di un prodotto nei limiti specifici prestabiliti di tempo e di costo). E’ necessario tenere in considerazione, infatti, che all’interno dell’organizzazione ciascun gruppo, nell’accordo totale con la mission, può giungere all’individuazione di obiettivi specifici completamente diversi. Gli obiettivi possono essere considerati elementi culturali solo quando si raggiunge un consenso sul-le questioni di fondo relative all’attività dell’organizzazione. Per svolgere sul-le attività ne-cessarie per raggiungere gli obiettivi, sono necessari i mezzi. L’organizzazione deve

51 E. H. Schein, Organizational culture and leadership, Jossey-Bass, San Francisco, CA,1998, trad. it. M. Decastri (a cura di)

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